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Italiano 4
Lezione 61

Verbi

v. tr. [der. di festa] (io festéggio, ecc.).


Festeggiare, festeggiato-
– 1. a. Celebrare con festa: f. una ricorrenza, una solennità; f. la
vittoria; f. l’onomastico, il compleanno di un familiare; f. la promozione
all’esame. b. F. una persona, far festa o dimostrazioni di gioia in suo
onore, accoglierla festosamente: f. un illustre personaggio; f. gli sposi, un
amico; l’ospite fu molto festeggiato al suo arrivo. 2. intr., ant. Fare festa,
fare festini; divertirsi, sollazzarsi: e preso Filocolo per la mano,
... tornarono a festeggiare (Boccaccio). ◆ Part. pass. festeggiato,
anche come agg. e sost.: brindare all’ospite festeggiato o in onore del
festeggiato, della festeggiata.

v. tr. [dal lat. invitare, di etimo ignoto].


Invitare, invitato-
– 1. a. Chiamare gentilmente una persona in casa nostra,
offrendole ospitalità, ecc., o proporle di venire in altro luogo, per
partecipare insieme con noi a cosa lieta e gradita, a un
divertimento e sim.: i. a pranzo, a cena, a un banchetto, a una festa, a
una scampagnata, a una gita in macchina, a una partita di caccia; i. nel
proprio palco; lo invitarono per una settimana nella loro villa al mare; i. a
voce, direttamente, per iscritto (con un biglietto d’invito). Con a e
l’infinito: l’ho invitato a trascorrere la serata con noi; anche come
proposta di partecipare, di fare insieme qualcosa: i. gli amici a bere, a
prendere parte al gioco; i. una signora a ballare. Nel passivo, quando non
sia specificato il genere dell’invito, s’intende in genere essere
invitato in casa di qualcuno, per un pranzo, una cena, o anche solo
per conversare: nel pomeriggio, sono invitato dai miei vicini; domani sera
sono invitato da un mio collega; allora sei senz’altro invitato, o resti
invitato, per domani; mi dispiace di non poter accettare, sono già invitato
altrove. Nel rifl.: s’invitò a pranzo da sé, e sim., di chi interviene senza
alcun invito. Prov.: chi va alle nozze e non è invitato, ben gli sta se n’è
cacciato (oppure: torna a casa sconsolato); modi prov.: i. qualcuno a
nozze, al suo gioco, i. il matto alle sassate, i. la lepre a correre, stimolare
una persona a fare cosa che le è molto gradita o facile o abituale, e
in genere a cosa per cui non ha bisogno di alcuno stimolo. b. Più
genericam., trattandosi di riunioni pubbliche o collettive, pregar
d’intervenire, di prendervi parte: i. a una conferenza, a un’adunanza, a
una cerimonia; i. a (partecipare a) un convegno, a una tavola
rotonda. 2. estens. a. Pregare, chiedere di fare qualche cosa: il
direttore lo invitò a passare nel suo ufficio; sono stato invitato a tenere una
conferenza, un corso di lezioni. Fig.: la campana invita i fedeli in
chiesa o alla preghiera; il bronzo che le turbe pie Invita ad
onorarte (Manzoni). Spesso indica soltanto l’espressione di una
volontà, che può essere anche un ordine, un’ingiunzione,
caratterizzati però dal tono, almeno in apparenza ed
esteriormente, cortese: i. a presentare un documento, a dire le proprie
ragioni, a esporre esattamente i fatti, a rendere conto del proprio operato; i. i
condomini morosi a pagare le rate scadute; i. gli alunni a fare silenzio; i. i
disturbatori a uscire; l’agente lo invitò a seguirlo in questura. b. Consigliare,
esortare: ti invito a meditare sulle possibili conseguenze di questa tua
decisione. c. Spingere, stimolare, eccitare; per lo più con soggetto
astratto: Ciacco, il tuo affanno Mi pesa sì, ch’a lagrimar mi
’nvita (Dante); Ira la ’nvita e natural furore A spiegar
l’ugne (Ariosto). d. fig. Indurre, allettare, invogliare: un vinello che invita
a bere; un calduccio che invita al sonno; l’estate invita al riposo; c’è un sole che
invita a uscire all’aperto; il mare era così calmo che invitava a fare un bagno.
Spesso usato assol., attrarre, invogliare: questa pietanza ha un odorino
che invita; in questa accezione, è soprattutto comune il part.
pres. invitante (v. invitante, n. 2). e. Sfidare, provocare: i. l’avversario
a battersi; per lo più in una competizione agonistica o nel gioco,
proporre cioè un incontro o una partita: i. alla sciabola; i. agli scacchi.
Nel gioco del calcio, i. il portiere all’uscita, indurre con una finta il
portiere avversario ad abbandonare la porta, per batterlo dopo
averlo spiazzato; i. un compagno di squadra all’azione, passargli la palla
per sviluppare insieme una azione d’attacco. Nelle carte, i. a fiori, a
coppe, ecc., lo stesso che chiamare, cioè chiedere al compagno di
giocare una carta del seme indicato. Con la prep. di, proporre
all’avversario la posta per la partecipazione al gioco: i. di cinquanta
centesimi. 3. rifl. recipr., ant. Fare un brindisi, brindare
reciprocamente (in quanto il brindisi è anche un invito a
bere): lietamente L’un con l’altro invitatevi, e beete (Caro). ◆ Part.
pres. invitante, anche come sost. e agg. (v. la voce). ◆ Part.
pass. invitato, anche come sost., chi interviene a una festa, a un
banchetto, a una cerimonia, ecc., per invito: c’erano parecchi
invitati; distribuire i confetti agli invitati; gli invitati si congedarono.

Promettere, promesso- v.tr. [lat. promĭttĕre, comp. di pro-


1 e mĭttĕre «mandare»; propr. «mandare avanti»] (coniug.

come mettere). – 1. a. Annunciare ad altri la propria intenzione di


fargli o dargli qualche cosa a lui gradita o da lui chiesta, o
comunque impegnarsi a fare qualche cosa, a tenere un dato
comportamento, ecc. Con compl. oggetto: p. un premio, un
regalo, una ricompensa; gli ho promesso il mio appoggio; m’ha promesso aiuto,
o il suo aiuto; non ti posso p. nulla. Con prop. oggettiva: promettimi di
star buono, di comportarti bene; mi ha promesso di mettersi a studiare; ti
prometto di tornare presto; promettimi che mi condurrai con te; mi prometti
che non lo farai più? come risposta: te lo prometto; lo prometto (o
semplicem. prometto); in usi assol., con sign. generico: è un uomo
facile a promettere; è un tipo che promette, ma non c’è da fidarsi; promettere è
facile, difficile è mantenere; fig.: p. mari e monti, p. Roma e
toma, p. mirabilia, fare promesse eccessive, senza intenzione di
mantenerle, per lusingare o fare il gradasso; con soggetto di
cosa: la fatica promette il premio, e la perseveranza lo porge (prov.). Anche
annunciando cosa spiacevole: ti prometto che non avrai più un soldo da
me; quindi, non di rado, minacciare: aspettino la giustizia di Dio, la
quale per molti segni promette loro male (Compagni); anche nell’uso
com.: gli ho promesso due scapaccioni se non la smette con i capricci; te le ho
già promesse [le botte]: ora le prendi! b. In altri casi il verbo esprime
una più chiara consapevolezza dell’impegno assunto mediante la
promessa: pensaci bene, prima di p.; ho promesso e intendo
mantenere; cercherò di terminare il lavoro per domani ma non ti posso
p. nulla. In partic., p. una ragazza in moglie, in matrimonio, riferito ai
parenti di lei, sancire una formale promessa di matrimonio; per
indicare l’impegno da parte della ragazza, è usato il rifl.: promettersi
in sposa, in moglie, o semplicem. promettersi; con riferimento a due o
più persone, assicurarsi reciprocamente qualcosa: promettersi amore
eterno. c. Significato ancora più grave (obbligarsi, contrarre un
obbligo) ha il verbo quando è usato per formulare una promessa
che abbia rilevanza giuridica e spec. nel caso di promessa al
pubblico, o quando sia pronunciato con particolare solennità;
talora equivale a giurare: Chiamando in testimonio il gran
Maumette ..., Ciò che detto ha, tutto osservar promette (Ariosto). 2. fig. Far
sperare: Però che ’n vista ella si mostra umìle Promettendomi pace ne
l’aspetto (Petrarca). Spec. di persona o cosa che mostri chiaramente
di voler riuscir bene, o che dia indizio dell’esito e dei futuri
sviluppi: è un ragazzo, un giovane che promette bene (anche assol. che
promette), o al contr. che non promette molto, che promette poco di buono; ha
un ingegno, un’intelligenza che promette molto; l’inizio, l’affare, l’impresa, il
lavoro promette bene; la campagna promette abbondante raccolto; quest’anno
gli olivi promettono meglio dell’anno scorso; il suo aspetto non prometteva
nulla di allegro; il tempo promette bene oggi (ma anche promette
male, promette tempesta, dove si ha il senso di minacciare); è un cielo che
non promette nulla di buono; con altra costruzione: oggi promette d’essere
una bellissima, una brutta, una pessima giornata. Iron.: promette bene!, di
persona o cosa che non fa presagire niente di buono, che non
lascia sperare bene. 3. estens., letter. Offrire, votare: Le nate a
delirar vite mortali, Più deste all’Arti e men tremanti al grido Che le promette
a morte (Foscolo); anche nel rifl.: li occhi miei ... Rivolsersi a la luce che
promessa Tanto s’avea (Dante). In partic., p. a Dio qualche cosa, fare
voto; promettersi a Dio, votarsi a lui, farsi religioso o
religiosa. 4. Non com. per ripromettere, nel suo uso con la particella
pron. (aspettarsi qualche cosa da qualcuno, sperare o illudersi di
poter fare o ottenere qualche cosa): non mi prometto molto da lui; s’era
promesso grandi guadagni da quell’impresa. 5. Ant. o region., assicurare
(non circa un fatto futuro ma circa la verità di un’asserzione): vi
prometto che la cosa sta proprio così come dico io. ◆ Part.
pres. promettènte, anche come agg. col sign. 2, che fa sperar
bene, che dà buoni indizî per il futuro: un giovane, un ingegno, un
affare promettente; le colture sono ben promettenti quest’anno. Come sost.,
per indicare chi si impegna con promessa, nel linguaggio giur. è
adoperata la forma promittente. ◆ Part. pass. promésso, anche
come agg.(v. la voce).
Ricevere, ricevuto- v.
tr. [lat. recĭpĕre, comp. di re- e capĕre «prendere»].
– 1. Prendere ciò che viene dato (oppure consegnato, mandato,
recapitato, somministrato, trasmesso) o che si porge da sé; è
spesso implicita la volontà di accettare, ma non necessariamente
(non, per es., in r. un pugno, un danno, un’offesa); è in molti casi affine
a avere, ma nel sign. dinamico e non statico di questo verbo,
quando esprime cioè il trapasso da chi dà a chi è il termine
dell’azione: a. Con compl. ogg. di cose, materiali e non materiali,
dovute, desiderate, gradite o comunque non sgradevoli e
dannose: r. lo stipendio, la paga, il compenso pattuito; ho già ricevuto un
acconto per le prime spese; r. un regalo, molti regali; r. un’eredità; r. un
bacio, un abbraccio; r. la vita o r. vita, essere generato, e in uso fig.,
letter., riacquistare vita, vitalità: Io sentia dentr’al cor già venir meno Gli
spirti che da voi ricevon vita (Petrarca). E di cosa che viene non data
ma fatta o concessa da altri: r. una visita; r. un beneficio; r. una
promessa; r. il giuramento; r. aiuto, materiale o morale; r. una grazia, un
favore; per grazia ricevuta, formula che di solito accompagna gli ex
voto; r. la benedizione; r. una lezione o delle lezioni, meno com.
che prendere, nel senso proprio (v. lezione, n. 2 a) ma com. in senso
fig., r. una lezione, una dura lezione, un severo ammaestramento, in
conseguenza di un errore commesso, di un comportamento
riprovevole, e sim. Di cosa che viene accordata o somministrata
con qualche solennità: r. un titolo
nobiliare o cavalleresco, r. l’investitura; r. la porpora, la corona; r. i
sacramenti, il battesimo, il viatico, gli ordini sacri. b. Di cose spiacevoli,
dannose e comunque non cercate e desiderate: r. uno schiaffo, un
pugno in un occhio, uno spintone da qualcuno. c. Con un altro
complemento, oltre il compl. ogg., che determina il titolo o lo
scopo per cui la cosa viene data: r. in consegna, in deposito, in
prestito, in pegno; r. in cambio; r. in dono, in regalo; r. in premio; r. in
compenso, come stipendio o salario; ho ricevuto in consegna una
valigia; ricevette alcuni libri in regalo; ha ricevuto solo un grazie in compenso
di tante fatiche. Ma l’uno o l’altro di tali sign. può essere implicito
nel verbo anche senza determinazione: il magazziniere sostiene di non
aver ricevuto la merce (in consegna, in deposito); per il tuo
lavoro, riceverai cento euro (come compenso); ha fatto tanto bene
ricevendo (in contraccambio) solo ingratitudine; dichiaro di ricevere, di aver
ricevuto la somma di ..., formule usuali nelle ricevute. d. Prendere,
avere, ottenere cosa che sia stata spedita, trasmessa, diretta,
rivolta: r. un pacco, una lettera, un telegramma (e analogam. una
telefonata, un segnale); r. un avviso, una comunicazione; r. un
messaggio; r. una buona, una brutta notizia; r. risposta (a una lettera,
oppure a una domanda); ricevi tanti saluti, riceva i miei omaggi (nella
chiusa delle lettere); r. gli augurî per il compleanno; r. un’invito, un’offerta
di lavoro, una proposta di matrimonio; r. un ordine, un incarico (e
specificando: r. l’ordine di recarsi ...; r. l’incarico di costituire il
governo); non ho ancora ricevuto istruzioni in proposito; r. continue
osservazioni, continui rimproveri. e. Nel linguaggio tecnico (in
contrapposizione a trasmettere), captare energia emessa da una
sorgente: la Terra riceve energia elettromagnetica dal Sole; antenna
direzionale che riceve nella direzione N-S. Con sign. più partic., nelle
telecomunicazioni, captare ed eventualmente rivelare segnali
(telegrafici, telefonici, radioelettrici, ecc.) trasmessi da un posto
trasmittente: apparecchio (telegrafo, telefono, radioricevitore,
televisore, ecc.) che riceve bene, male (i segnali); la mia radio riceve anche le
onde corte e cortissime. f. Nel linguaggio sportivo, prendere la palla
lanciata da un altro giocatore: r. la palla in area di rigore; r. il
passaggio. 2. a. Accogliere qualcuno. Indicando il luogo dove si fa
entrare e sostare la persona: l’ha ricevuto in casa, nel salotto, nel suo
studio, in ufficio; e precisando il modo: r. a braccia aperte, con molte
feste, familiarmente, con cordialità, alla buona, con tutti gli onori; con il
sign. più specifico di ospitare: venne il discreto siniscalco e loro con
preziosissimi confetti e ottimi vini ricevette e riconfortò (Boccaccio); e di
ammettere, accogliere: essere ricevuto in collegio, in convento, in un
istituto; r. qualcuno nella propria squadra; aspirare a essere ricevuto come
socio in un circolo, in un’accademia. Usato assol., ammettere alla
propria presenza, far entrare in casa o nel proprio ufficio chi viene
in visita o chiede di conferire: il direttore la riceverà subito; il presidente è
in riunione e non può r. nessuno; il padre stesso si è rifiutato di riceverlo; la
signora si scusa ma non può riceverla. In partic., di funzionarî o di
professionisti che accolgono in visita o in udienza in ore
stabilite: r. i clienti, il pubblico; il dottore riceve dalle 10 alle 19; l’avvocato
riceve solo la mattina; con riferimento a visite ufficiali, a ricevimenti
solenni, a riunioni di amichevole intrattenimento: il capo dello stato
ha ricevuto il ministro degli Esteri. b. Accogliere andando incontro,
fare onorevole o cordiale accoglienza: la giunta al completo con il
sindaco andò a r. alla stazione l’illustre concittadino; all’aeroporto c’erano a
riceverlo tutti i suoi vecchi amici; mi vide arrivare da lontano, e scese fino in
giardino a ricevermi; iron.: lo riceverò io come si merita! c. fig., ant. o raro.
Ammettere approvando, riconoscendo giusto o vero o buono (in
questa accezione, quasi esclusivam. nel part.
pass.). 3. a. Accogliere, ammettere in sé per trattenere o
contenere; recepire: Caccianli i ciel per non esser men belli, Né lo profondo
inferno li riceve (Dante); è un salone che può r. fino a 300 persone; più
spesso, in frasi negative: stoffa che non riceve la tinta; intonaco speciale che
non riceve l’umidità; il serbatoio non riceve altra acqua, è già pieno; il
malato non può r. cibo, in quanto questo gli può provocare il vomito;
e analogam.: un medicamento che il mio stomaco non riceve. b. Prendere,
avere, di cose che arrivano o derivano dall’esterno: il fiume riceve
acqua da più affluenti; la stanza riceve aria e luce da un ampio finestrone; le
vele ricevevano il vento di fianco; mentre si sporgeva, ricevette una pallottola in
pieno petto. Per estens., sostenere: il battaglione ricevette a piè fermo l’urto
del nemico. 4. a. Con sign. non diverso da quello fondamentale, in
espressioni in cui tuttavia assume maggiore evidenza il concetto
della passività: nella proposizione attiva il soggetto fa l’azione, nella
proposizione passiva la riceve (o subisce); r. una cortesia; r. liete
accoglienze; r. soddisfazione di un’offesa. Con questo sign. forma
parecchie locuz. che sono traducibili in un verbo passivo: r. lodi,
essere lodato; ha ricevuto un’ottima educazione, è stato ottimamente
educato; di cose spiacevoli: r. un torto, un’ingiustizia, un insulto, un
affronto, subirli; r. un castigo, una punizione, una multa, essere punito,
multato. b. Avere, subire, di oggetti sottoposti a una determinata
lavorazione, a un determinato trattamento tecnico: i tessuti passano
quindi in altre macchine, dove ricevono un’ulteriore rifinitura. c. Risentire
un determinato effetto: r. giovamento, beneficio (da una cura,
ecc.); r. danno, essere danneggiato; r. conforto, consolazione, sollievo, da
qualcuno o da qualche cosa. d. Essere modificato da un’azione
qualsiasi: questo sportello deve aver ricevuto una bella botta!; r. una
buona, una cattiva, una forte impressione; i centri nervosi ricevono le
eccitazioni dagli stimoli che agiscono su di essi. ◆ Part. pres. ricevènte,
anche come agg. e sost. (v. la voce). ◆ Part. pass. ricevuto, anche
come agg., soprattutto nel senso di accolto, accettato: l’opinione
comunemente ricevuta; il testo fino a oggi ricevuto (con riferimento alla
critica testuale); in un vocabolario, la regola da seguirsi è quella sicuramente
di dare alle parole l’ortografia più ricevuta (V. Monti); chi lo volesse
difendere in questo, ci sarebbe quella scusa così corrente e ricevuta, ch’erano
errori del suo tempo, piuttosto che suoi (Manzoni).

Vocabolario

Auguri- s.m. [dal lat. augurium, der. di augur «augure»]. – 1. a. In senso


proprio, la cerimonia con cui gli àuguri ricavavano presagi
dall’osservazione del volo degli uccelli o da altri fenomeni; anche,
il presagio stesso. b. non com. L’arte divinatoria degli
àuguri. 2. Presagio in genere, indizio, previsione di eventi buoni o
cattivi: essere di buono, lieto, felice, o di cattivo, tristo, sinistro a.; questo
fatto mi pare di ottimo a.; le sue parole mi suonano di pessimo a. (v.
anche malaugurio). Quindi anche presentimento: Or tristi auguri e
sogni e penser negri Mi danno assalto (Petrarca). 3. Desiderio che
accada qualcosa di bene, e l’espressione stessa di questo
desiderio: formulare un a.; a. di felicità, di buona fortuna; ti faccio l’a. di
guarir presto; gradisci i miei più sinceri augurî; cerca di riuscire: questo è il
mio a. più cordiale. Inoltre: fare, porgere, mandare, inviare gli
augurî; lettera, cartolina, biglietto di augurî, per le maggiori solennità o
per qualche avvenimento particolare, come compleanno,
onomastico, matrimonio, ecc. (e in questi casi si adopera sempre al
plurale).
Capodanno- (o capo d’anno) s. m. (pl., non com., capodanni o capi
d’anno). – Il primo giorno dell’anno, ossia il 1° gennaio, soprattutto
come festività: buon c.!; auguri, regali di c.; ritrovarsi insieme a c.; cenone
di c.; e come modo prov., cosa che dura da Natale a Capodanno, che ha
breve durata.

Carnevale- (ant.e tosc. carnovale) s. m. [dalla locuz. carne-


levare «togliere la carne», riferito in origine al giorno precedente la
quaresima, in cui cessava l’uso della carne]. – 1. Periodo dell’anno
antecedente la quaresima, che si festeggia con balli e mascherate, e
i festeggiamenti stessi che lo caratterizzano: passare il
c. allegramente; fare c. in buona compagnia; l’ultima domenica di c.; il c. di
Nizza, di Viareggio; prov., di c. ogni scherzo vale. 2. a. estens. Tempo
di spasso e di baldoria: fare c., divertirsi. b. fig. Manifestazione,
cerimonia, o più semplicem. riunione di persone che si
comportano o vestono in modo poco serio: cos’è questo c.?; era un
vero c.; finiamola con questo carnevale! ◆ Dim. carnevalino, la prima
domenica di quaresima, che si festeggia in taluni luoghi come
prolungamento del carnevale; accr. carnevalóne, periodo
supplementare del carnevale, che nelle chiese di rito ambrosiano
termina con la prima domenica di quaresima e comprende perciò
4 giorni in più.
Comunque- avv. e cong. [comp. di come e -unque]. – 1. Seguito da
verbo al congiuntivo: a. In qualunque modo: c. vadano le
cose, bisogna rassegnarsi; c. tu la pensi, io agisco così. b. non com.
Quantunque, nonostante che: è rimasto male, c. faccia finta di
nulla. 2. ant. Con il verbo all’indicativo, appena che: C. questo romor
fu sentito, A furia ognun si lieva da sedere (Pulci). 3. Usato
ellitticamente, in frasi di tono risolutivo o conclusivo, ha valore
simile a «in ogni modo, in ogni caso» o «per quanto, benché»: c., ci
penserò io; c., poteva andar peggio.

f. [dal lat. tardo epiphanīa, gr. ἐπιϕάνεια, in origine agg.


Epifania- s.
neutro pl., «(feste) dell’apparizione» e quindi «manifestazione
(della divinità)», da ἐπιϕανής «visibile», der.
di ἐπιϕαίνομαι «apparire»]. – 1. La festività, che ricorre il 6
gennaio, in cui si commemora la visita dei re Magi a Gesù
in Betlemme; è lo stesso che befana, che ne è la forma popolare;
prov., epifania tutte le feste porta via. Il termine, che nel mondo
religioso greco indicava le azioni con cui la divinità si manifestava,
passò nel mondo cristiano a designare la celebrazione delle
principali manifestazioni della divinità di Gesù Cristo (battesimo nel
Giordano, adorazione dei Magi e primo miracolo), restringendosi
nella Chiesa occidentale e nella tradizione popolare a indicare la
venuta e l’adorazione dei Magi. 2. Nel linguaggio letter., la parola è
talora usata con il sign. originario di manifestazione: l’e. dello
spirito (D’Annunzio).

Folla- s.f. [der. di follare1; cfr. calca, da calcare3]. – 1. Moltitudine di


persone addensata in un luogo: c’era gran f. per le vie; la f. si
disperse; mescolarsi tra la f., confondersi nella f.; i movimenti, l’agitazione, il
tumultuare della f.; c’è sempre f. in quel cinema, in quel supermercato; Sono
entrato nella gran f. mista Della messa di mezzogiorno, in cerca Di te (Attilio
Bertolucci); fare folla, accalcarsi, ammassarsi di più persone; con
determinazioni: una f. di gente, di spettatori; era attorniato da una f. di
amici, di adulatori; per estens.: medico, avvocato che ha una f. di clienti.
Nel linguaggio giornalistico, bagno di folla, espressione (ricalcata sul
fr. bain de foule) con cui viene indicato il contatto diretto con la
folla, con la moltitudine, ricercato da un uomo di stato soprattutto
nei suoi viaggi ufficiali. Talora con senso spreg., massa,
volgo: cercare gli applausi della f.; non curarsi degli apprezzamenti della
folla. Con usi specifici: delitti della f., espressione impropria del
linguaggio giur. per indicare i delitti commessi per suggestione di
una folla in tumulto; psicologia delle f. (o della massa), v. massa, n.
3 c; condizione di f. compatta, nella tecnica delle costruzioni, la
condizione di carico di strutture sulle quali può venirsi a trovare
un fitto assembramento di persone (solai per sale di riunione,
marciapiedi di ponti, scale, balconi, ecc.), e che corrisponde,
tenendo conto delle sollecitazioni dinamiche, a un carico di 400-
600 kg al m2. 2. fig. Gran quantità di cose ammassate, soprattutto
astratte: una f. di pensieri, di preoccupazioni. Nel linguaggio scient.,
anche riferito a un insieme di elementi di varia natura; così, in
meccanica statistica, f. di monadi, un insieme di elementi
materiali. 3. ant. Quantità di cose che facciano pressione in un
luogo, e la pressione stessa: anzi che lo stomaco abbia smaltito l’uno
cibo, vi getta su l’altro, donde la digestione la f. de’ cibi impedisce (Ottimo).
Invitato(a)-
Invito- s. m. [der. di invitare1]. – 1. a. L’atto d’invitare una persona,
di chiederle cioè d’essere nostro ospite o commensale, di venire
con noi in qualche luogo, di prendere parte con noi a un
divertimento, d’intervenire a una riunione, e sim.: i. a pranzo, a
cena, a teatro, a un ballo, a una serata in casa d’amici, a trascorrere qualche
giorno al mare; i. a una festa, a una cerimonia, a una
conferenza; i. cordiale, sincero, affettuoso; fare, ricevere un i. a voce, per
telefono; mandare un biglietto d’i.; accettare, gradire,
o declinare, rifiutare, respingere un i.; rispondere a un i.; ringraziare
dell’i.; scordarsi di un i. (di essere cioè stato invitato); mancare all’invito.
Ant., tenere l’i., accettarlo: aveva dubitato che essi non avesser tenuto lo
’nvito se, quando gli trovò, invitati gli avesse (Boccaccio); D’un ostier
paesan lo ’nvito tenne, Che lo pregò che rimanesse seco (Ariosto). In senso
concr., il biglietto d’invito, e in genere qualsiasi cartoncino o
foglio, scritto o stampato, che contiene un invito: preparare, spedire
gli i.; si entra solo con i.; gli i. per la cerimonia si ritirano in
segreteria; i. sacro, manifesto, per lo più affisso alle porte delle chiese,
con cui s’invitano i fedeli alle sacre funzioni. b. letter., ant. Brindisi
(in quanto è un invito a bere): E celebrar con lieti i. i prandi (T.
Tasso). 2. In relazione agli altri sign. del verbo: a. Richiesta di fare
o dire qualche cosa: i. a presentarsi in un ufficio, a ritirare un pacco, a
dare le prove di quanto si afferma; aderire all’invito. Talora anche ordine
o ingiunzione rivolti in tono, almeno formalmente, cortese: i. a
esibire i documenti; i. a sciogliere un assembramento; i. a tacere; i. in
questura; ubbidire, rifiutarsi di ubbidire all’invito. b. Esortazione,
stimolo, incitamento: ebbe ripetuti i. a correggersi; essere sordo agli i. della
coscienza. c. Richiamo, allettamento: non resistere all’i. della bella
giornata, della buona cucina, d’un bicchierino di liquore. d. Sfida, proposta
di un incontro agonistico o di una partita di gioco: i. a battersi; un
i. a scopone; accogliere, accettare l’invito. Nel poker e in altri giochi di
carte, la posta stabilita in ciascun giro dal giocatore che apre il
gioco: due cip d’ i.; l’i. è di un euro. 3. Nel linguaggio
sport.: a. Atteggiamento particolare assunto dallo schermidore,
quando toglie il ferro dalla linea, scoprendo un bersaglio
all’avversario: i. di prima, di seconda, ecc. b. Nel pugilato,
movimento con cui uno dei competitori, lasciando
intenzionalmente scoperta una parte, induce l’avversario a lanciare
un determinato colpo, ch’egli è preparato a neutralizzare, per
poterlo colpire d’incontro. 4. Nella caccia, tesa all’i., ogni
dispositivo predisposto da cacciatori o uccellatori per indurre la
selvaggina a incappare in reti o trappole e a farsi comunque
catturare ed uccidere. Nelle tese con la tagliola, ostacolo all’i., quello
generalmente costituito da un tronco d’albero che sbarra un
sentiero di fronte a una tagliola ben dissimulata; il mammifero
predatore che percorre il sentiero, giunto di fronte al tronco, lo
salta cadendo nella tagliola. 5. Qualsiasi accorgimento o artificio
costruttivo atto a facilitare l’avvio o l’ingresso; per es., in una scala,
il primo gradino, o la serie dei primi gradini, che sporge dagli altri
e dalla ringhiera, costituendo quasi un invito a salire; nella viabilità
stradale, l’imbocco di un passaggio, di un passo carrabile o anche
di una via perpendicolare all’asse della strada principale, che si
presenti svasato in modo da facilitare la svolta e l’ingresso di
veicoli. 6. Nelle costruzioni meccaniche, la graduale diminuzione
di spessore di un organo di accoppiamento (per es., una vite) e il
corrispondente allargamento (detto anche invasatura) del foro nel
quale esso va introdotto, destinati a facilitare l’accoppiamento
stesso. Analogam., in un tubo, in una conduttura, e sim., tratto
terminale a sezione più ampia, fatto in modo da consentire
l’accoppiamento con tronchi successivi.
Matrimonio- s.m. [dal lat. matrimonium, der. di mater -tris «madre», sul
modello di patrimonium]. – 1. a. Istituto giuridico (o, secondo la
Chiesa cattolica, sacramento) mediante cui si dà forma legale (e
rispettivam. carattere sacro) all’unione fisica e spirituale dell’uomo
(marito) e della donna (moglie) che stabiliscono di vivere in
comunità di vita al fine di fondare la
famiglia: m. valido, m. nullo; consumare il m., dargli compimento, da
parte degli sposi, con l’atto sessuale; m. rato e consumato, m. rato e non
consumato (v. rato); impedimenti al m.; promessa di
m.; scioglimento, annullamento di m.; un m. d’amore, in contrapp.
a m. d’interesse, di convenienza, o a m. di necessità; m. riparatore, tra due
persone che hanno concepito un figlio al di fuori del vincolo
legittimo e dunque sono oggetto di riprovazione morale nelle
culture e negli ambienti che condannano i rapporti sessuali
prematrimoniali; promettere, dare in m., dei
genitori; legarsi, congiungersi, unirsi in m., degli sposi stessi; il
m. romano, germanico, cristiano, cattolico, quando se ne vogliano
rilevare le diverse concezioni morali, sociali,
legali; m. morganatico (v. morganatico), di re o principe con donna
di condizione sociale inferiore; m. di disparaggio, nel medioevo,
quello compiuto tra un uomo di alto lignaggio e una donna di
minore stato (v. disparaggio); m. putativo (v. putativo). Con sign.
più ampio, in antropologia sociale, l’unione di un uomo e di una
donna; normalmente permanente o comunque tale per cui i figli
nati dalla coppia, oppure adottati, sono riconosciuti quali prole
legittima dei due genitori da parte della comunità sociale. b. Per
estens., il periodo di tempo durante il quale i coniugi vivono
insieme: è stato un m. felice; si sono separati dopo 10 anni di
matrimonio. 2. Il rito, laico o religioso, nel quale un uomo e una
donna manifestano la volontà di unirsi come marito e
moglie: m. civile; m. religioso, o più propriam. m. canonico, contratto da
due battezzati secondo le norme del diritto canonico; m. misto, in
diritto canonico, celebrato tra un battezzato cattolico e un
battezzato non cattolico (e m. naturale è detto quello celebrato tra
due non battezzati); m. concordatario, matrimonio canonico, cui
sono riconosciuti, in forza degli accordi concordatarî tra l’Italia e
la Santa Sede e in seguito a regolare trascrizione nei registri dello
stato civile, gli effetti civili; m. di coscienza o segreto, matrimonio
canonico, contratto senza pubblicazioni, alla presenza solo di due
testimoni e del sacerdote, caratterizzato da particolari obblighi di
segretezza e al quale si ricorre solo per comprovati motivi di
gravità e urgenza; m. in extremis, celebrato nel caso di imminente
pericolo di vita di uno degli sposi, senza pubblicazioni, a
condizione che gli sposi prima giurino che non esistono tra loro
impedimenti al matrimonio che non siano suscettibili di
dispensa; m. per procura, quando uno degli sposi si fa rappresentare
all’atto della celebrazione da un soggetto che manifesta per lui, in
base a procura, la volontà di unirsi in matrimonio (nel diritto
italiano è ammesso solo per militari e assimilati in tempo di guerra,
e in tempo di pace solo per residenti fuori dallo stato, purché
concorrano gravi motivi da accertarsi da parte del
tribunale); m. attentato, in diritto canonico, matrimonio (non valido)
contratto in malafede da almeno uno dei coniugi. Con uso
generico, testimoni al m. o del m.; celebrare il m., compierne il
rito; benedire il m., celebrarlo secondo il rito religioso; assistere al
m., essere invitati a un m., alla cerimonia; al m. seguì un grande
rinfresco; dopo il m. gli sposi partirono per un lungo viaggio di nozze. ◆
Spreg. matrimoniùccio; accr. matrimonióne, con riferimento al
lusso e allo sfarzo della cerimonia e alla condizione sociale degli
sposi; pegg. matrimoniàccio, mal combinato e di esito non felice
(tutti dell’uso fam. o pop.).
Nascita- s.f. [der. di nascere]. – 1. Il nascere, il venire al mondo di un
essere umano, sia con preciso riferimento all’evento fisiologico del
parto sia con sign. più ampio e generico, come inizio dell’esistenza
di un essere umano: la capacità giuridica si acquista dal momento della n.
(affermazione con cui ha inizio il Codice civile ital.); la n. del
fratello, della sorella; attendere la n. del primo figlio; controllo delle n.
(v. controllo, n. 2 a). Analogam., di animali: la n. dei gattini; abbiamo
avuto la n. di un vitellino. Trauma della n., l’esperienza angosciosa e
fortemente traumatica che, secondo una controversa teoria
psicanalitica, l’individuo vive al momento del nascere, a causa della
cessazione dello stato beato della vita intrauterina, con
conseguenze profonde e durature per l’intera sua vita psichica; nel
linguaggio burocr.: atto, fede, certificato di n.; registro delle n. e dei
decessi; numero delle nascite. Con riferimento al giorno natalizio: il
centenario della n. di uno scienziato; nell’uso fam. anche per indicare il
compleanno: oggi ricorre, o si festeggia, la n. della mamma. Indica
talvolta l’origine, la famiglia: di nobile n.; di
n. umile, oscura; nobile, ricco, povero di nascita, o per nascita; per diritto di
nascita, ereditariamente. La locuz. avv. di nascita è usata anche con
riferimento a qualità (imperfezioni) che si hanno fin dalla
nascita: cieco, sordo di n. (anche dalla n., che ha peraltro sign. più
generico: ha sempre vissuto a Roma fin dalla nascita). 2. a. In relazione
con i sign. estens. di nascere, lo spuntare di organi vegetali: la n. del
grano; la n. delle foglie, dei fiori; il sorgere di astri: la n. meravigliosa del
sole (Buzzati). b. fig. L’inizio di una qualsiasi attività: la n. di un
grande complesso industriale; fin dalla n. del partito si delineò il contrasto tra
le due tendenze.
Nozze- s.f. pl. [lat. nŭptiae -arum, der. del tema di nubĕre «prendere
marito», che prob. in origine significava «velarsi» (dalla stessa
radice di nubes «nube»); la -o- aperta è forse dovuta a un incrocio
con nox nŏctis «notte»]. – 1. a. Il rito, la cerimonia con cui si celebra
il matrimonio (sinon. quindi, ma più pop., di matrimonio): fissare la
data delle n.; andare a n., sposarsi; celebrare le n., riferito sia agli sposi
sia al sacerdote o al pubblico ufficiale che compie il
rito; n. solenni, splendide, sontuose, o semplici, modeste (con allusione sia
alla cerimonia in sé sia agli altri festeggiamenti); fauste n., in
espressioni augurali; scherz., convolare a giuste n., sposarsi (propr.,
unirsi in matrimonio legittimo); consumare le n., lo stesso
che consumare il matrimonio (v. consumare2); le n. di Cana, episodio
evangelico in cui si narra della partecipazione di Gesù a un
banchetto di nozze a Cana, località della Galilea, dove compì il
suo primo miracolo, convertendo in vino l’acqua portata dai servi
per i commensali; Le n. di Figaro, titolo di un’opera in quattro atti
composta da W. A. Mozart su libretto di L. Da Ponte (tratto dalla
commedia Le mariage de Figaro di P.-A. C. de Beaumarchais) e
rappresentata la prima volta a Vienna nel 1786. Con riferimento alle
usanze nuziali: vestito, abito di n., quello indossato dalla sposa e dallo
sposo per la cerimonia; invitare, essere invitato a n.; festeggiare le n.,
detto sia degli sposi sia dei parenti e amici che vi sono
invitati; regali di n., quelli che amici e parenti fanno agli sposi; lista
di n., elenco degli oggetti desiderati che, redatto dai due fidanzati, è
depositato presso un negozio di vendita per facilitare a parenti e
amici la scelta del regalo per il matrimonio (l’espressione era
talvolta sostituita, nel passato, dalla corrispondente fr. liste de
mariage); banchetto, pranzo, rinfresco, ricevimento di n.; sonetto, versi per n.,
composti e spesso pubblicati nell’occasione di un
matrimonio; viaggio di n., il viaggio che tradizionalmente compiono
gli sposi subito dopo conclusi i festeggiamenti per il matrimonio.
Si riferiscono invece allo stato civile e giuridico conseguente al
matrimonio le espressioni prime n., di chi si sposa o si è sposato
per la prima volta, e seconde n., di chi contrae un secondo
matrimonio dopo la morte del coniuge o dopo che il precedente
vincolo sia stato validamente sciolto (sposarsi in prime n., in seconde
n.; passare a seconde n.; i figli di prime, di seconde n., nati dal primo o dal
secondo matrimonio, detti più comunem. di primo o di secondo letto).
Per estens., n. d’argento, n. d’oro, n. di diamante, la ricorrenza
rispettivam. del 25°, 50° e 60° anniversario del matrimonio. b. In
autori antichi, con allusione scherz., fare n., accoppiarsi, avere
rapporti sessuali: così cavalcando, non avendo spazio di far n. per ciò che
temevano d’esser seguitati,... alcuna volta l’un l’altro
basciava (Boccaccio); menatosela a casa, fece le n.; e ci ebbe a morir
suso, tante volte gnele [= gliene] fece (Aretino). c. In locuzioni fam. e
modi prov.: andare a n., fare qualcosa con grande piacere: non sapete
che i soldati è il loro mestiere di prender le fortezze? Non cercan altro; per
loro, dare un assalto è come andare a n. (Manzoni); invitare a n., proporre
a qualcuno di fare cosa che è più che contento e desideroso di
fare; fare le n. coi funghi, e più com. coi fichi secchi, voler fare con
troppo risparmio cosa che invece richiede abbondanza di spese e
di mezzi. d. In usi fig., proprî del linguaggio mistico e quindi
poetico (anche per diretto o indiretto richiamo al parallelismo
istituito da s. Paolo, Lett. agli Efesini 5, 22-23: ... Viri, diligite uxores
vestras, sicut et Christus dilexit ecclesiam ... «... Mariti, amate le vostre
mogli, così come Cristo ha amato la Chiesa ...»), la parola ricorre
in espressioni come sante n., mistiche n., n. celesti e sim., per indicare
l’unione della Chiesa con Cristo, o la dedizione totale a Cristo o
alla Chiesa di chi abbraccia la vita monastica, o altra unione
spirituale: le vergini chiuse in casta cella Che Dio con alte n. a sé marita (T.
Tasso); a quelle pure Nozze aspirar più non poss’io, legata D’un altro
nodo (Manzoni, di Ermengarda); le mistiche n. di san Francesco con la
povertà. 2. In botanica, n. delle piante, traduz. del lat. sponsalia
plantarum, espressione con cui il naturalista C. Linneo (1707-1778)
indicò i fenomeni, allora imperfettamente noti, della fecondazione
nei vegetali, in base ai quali egli propose il suo sistema sessuale
(Sponsalia plantarum è anche titolo di varie edizioni di un suo
trattatello, originariamente intitolato Praeludia sponsaliarum
plantarum).

Ospite- s. m. e f. [dal lat. hospes -pĭtis (con tutti e due i sign.


fondamentali, in quanto la parola alludeva soprattutto ai reciproci
doveri dell’ospitalità)]. – 1. La persona che ospita, che accoglie
cioè nella propria casa altre persone (siano queste amici,
conoscenti, oppure forestieri, estranei) offrendo loro alloggio e
vitto, o anche soltanto per una visita, per una festa, per un
ricevimento e sim.: un o. generoso, gentile, affabile, accogliente; un
o. indiscreto, opprimente; andarsene insalutato o., v. insalutato. In
funzione attributiva, la casa, la terra, il paese ospite, che ospita, che ci
ospita; come agg., nel linguaggio poet., ospitale, accogliente: l’onda
Jonia ..., che amica Del lito ameno e dell’o. musco Da Citera ogni dì vien
desïosa A’ materni miei colli (Foscolo). 2. estens. e fig. a. In
parassitologia e in zoologia, la specie, animale o vegetale, a spese
del quale vive un parassita; anche come agg.: l’animale, la pianta
ospite. Nel caso in cui il parassita svolga il suo ciclo vitale anziché
in uno solo, in due o più ospiti, di solito di specie diverse, si
distinguono: o. definitivo, quello nel quale il parassita raggiunge lo
stadio adulto e si riproduce per via sessuata; o. intermedio, quello (o
quelli) in cui si sviluppano le forme larvali del parassita, che in
alcuni casi si riproducono in modo asessuato; o. accidentale, quello
in cui il parassita non si sviluppa normalmente e nel quale perciò
difficilmente raggiunge il completo sviluppo. b. In embriologia
sperimentale, l’individuo sul quale viene effettuato un
trapianto. 3. a. Più comunem., la persona ospitata: presso i popoli
antichi l’o. era sacro; sono stato suo o. per alcuni giorni; sarei felice di avervi
ospiti nella nostra villa; essere o. di una famiglia, di una casa, di un
paese; accogliere, intrattenere, congedare gli o. (soprattutto quelli venuti
per un ricevimento o sim.); attendiamo ospiti per domani; abbiamo ospiti
a cena; un o. di riguardo; un
o. gradito, molesto, indiscreto; liberarsi, sbarazzarsi di un o.; prov.
scherz., l’o. è come il pesce: dopo tre giorni puzza (per dire che una
permanenza troppo prolungata in casa d’altri finisce con l’esser
molesta). In pubblici spettacoli di varietà, in riunioni culturali o
d’altro genere, o più spec. in trasmissioni televisive di spettacolo o
d’informazione, chi è invitato a intervenire e prendere parte allo
spettacolo o alla trasmissione con partecipazione parziale o anche
essenziale (è detto o. d’onore se si tratta di attore rinomato o di
personaggio noto: v. anche guest star). Con funzione attributiva: la
squadra o., quella che, in una competizione sportiva, gioca in
trasferta ed è perciò ospite della città o della squadra nel cui
campo si disputa l’incontro. b. Con uso estens. e scherz., nel
linguaggio fam., parassita o, in senso generico, insetto: gli
scarafaggi, le cimici sono o. poco piacevoli; spero che in questo letto non ci siano
ospiti. 4. In geologia, o. nordici, i fossili esistenti nelle basse latitudini
in seguito a migrazione di fauna dalle zone artiche, in
concomitanza alle fasi di espansione glaciale del pleistocene; in
contrapp., o. caldi, i fossili di clima più temperato, relativo alle fasi
interglaciali.
Regalo- s. m. [prob. dallo spagn. regalo, riferito anticam. ai doni dei
sudditi al re]. – L’atto di regalare, il fatto di venire regalato;
l’oggetto, la cosa che si regala: dare, ricevere qualcosa in
regalo; dare, offrire, portare, porgere, fare un r.; per il suo onomastico il padre
gli ha dato come r. (o in r.) cento euro; quale r. hai avuto per il tuo
compleanno?; ricevere, accogliere, gradire un r.; è un funzionario onesto, non
accetta regali da nessuno; rifiutare, respingere, rimandare indietro un r.; hanno
rotto il fidanzamento e si sono restituiti lettere e
regali; r. ricco, splendido, magnifico, superbo, prezioso, povero, meschino, di
poco valore, senza pretese; r. gradito, opportuno, utile; regali di
fidanzamento, di nozze, per la prima comunione. Com. in funzione
appositiva nelle espressioni pacco, confezione regalo, preparati
appositamente per oggetti da regalare. Con usi fig.: il miglior r. che
mi puoi fare è quello di aiutarmi; talvolta come sinon.
di favore, cortesia: una sua visita sarà per noi il più bel r., un vero r.; e
iron.: mi farà un gran r., un doppio r., se non si presenterà più a casa
mia; mi hai fatto un bel r. mandandomi quel seccatore! ◆
Dim. regalétto, regalino; spreg. regalùccio; accr. regalóne.
Tra, fra- [lat.intra] (radd. sint.). – 1. a. Indica fondamentalmente
posizione intermedia tra persone, oggetti, o tra limiti di luogo e
anche di tempo: un paesetto a mezza strada tra Siena e Firenze; tra un
palo e l’altro c’è una distanza di 10 metri; il ruscello scorre tra due sponde
erbose; passare tra due ali di folla; stringere, tenere tra le braccia; ci
incontreremo tra le sei e le otto, o nell’intervallo tra il primo e il secondo
atto; te lo saprò dire tra oggi e domani. Con verbi di moto, è talvolta
preceduto dalla prep. di: un raggio usciva di tra le nuvole. b. In
espressioni fig. e modi prov.: passare tra difficoltà d’ogni
genere; parlare, mormorare tra i denti, a bocca quasi chiusa, senza
articolare chiaramente le parole; mettere i bastoni tra le ruote,
frapporre ostacoli; dormire tra due guanciali, essere privo di timori o
preoccupazioni. In varie frasi indica condizione non netta o
decisa, incertezza tra due modi di essere, due situazioni, due
scelte: essere tra il sonno e la veglia; lottare tra la vita e la morte; ondeggiare
tra il sì e il no, essere in dubbio; trovarsi tra due fuochi, tra Scilla
e Cariddi, tra l’incudine e il martello, essere minacciato da opposti
pericoli. Per istituire un confronto (ma con valori varî): tra loro due
c’è un abisso; vediamo chi è più bravo tra voi due; La mia sorella, che tra
bella e buona Non so qual fosse più (Dante). Sempre fig., per indicare
posizione non ben definita tra due condizioni o qualità: un colore tra
giallo e verde; con un tono tra serio e faceto. c. Con sign. più prossimo a
«in mezzo a»: cercare tra gli appunti; mescolarsi tra la gente; arrivare tra i
primi; c’è nessuno tra voi che lo sappia?; e in genere di oggetto che si
trovi insieme con altri: tra le uova che ho comprate ce n’erano due guaste;
fig., sia detto tra noi, rimanga tra noi (meno bene tra di noi), di cose
dette in confidenza; con valore partitivo: il migliore tra i miei
studenti; scegli tra questi disegni quello che preferisci; come locuz. avv., tra
l’altro, oltre a tutto, oltre al resto: tra l’altro, non ero neppure stato
avvertito. d. Con valore di «presso»: come usa tra gente per bene; è
opinione diffusa tra gli studiosi. e. Preceduto dalla prep. in, può essere
variante grafica di intra, e con il sign. proprio di questa prep. (cioè
«dentro»), ma può anche costituire una prep. composta (come in
fra) per indicare insieme posizione interna e intermedia: Egli alto
ride al vomero che splende In tra le brune zolle (Carducci). f. Riferito a
persone, per indicare relazione scambievole: nacque tra loro una
discussione; c’era molta amicizia tra me e lui; tra voi due c’è poca
somiglianza; tra uomini d’onore basta la parola; fig., dicevo tra me e
me, pensava tra sé e sé (anche semplicem. tra me, tra sé, cioè dentro di
me o di sé). E riferito a cose poste in qualche modo in rapporto
una rispetto all’altra: due figure simili, o differenti, tra loro. g. Con
riferimento al tempo, o comunque a fatto che si svolge nel tempo,
equivale a «entro, durante»: Ch’i’ temo forte di mancar tra
via (Petrarca), durante il cammino; tra questo, ant., frattanto; e per
indicare il tempo che deve ancora trascorrere perché qualche cosa
avvenga: lo saprai tra poco (o tra breve, tra non molto); te lo consegnerò tra
otto giorni. 2. a. Nell’insieme, per indicare un complesso di persone,
una somma di più cose: tra tutti quanti, non siete stati capaci
d’indovinare!; tra una cosa e l’altra, il viaggio c’è costato quasi mille euro.
Con questa accezione, cui si aggiunge talora un valore causale
(tra il lavoro e la casa e altri piccoli impegni, non ha mai un momento libero),
è meno frequente di fra. b. In correlazione con un altro tra o con
la cong. e, «parte ... parte»: tra per la paura, tra per la debolezza, si sentì
svenire; tra per lo difetto degli oportuni servigi ... e per la forza della
pistolenza, era tanta nella città la moltitudine di quegli che di dì e di notte
morieno (Boccaccio). Con questa accezione, soltanto tra (non fra).
◆ Si alterna nell’uso con la prep. fra, di cui ha sostanzialmente gli
stessi sign., e la preferenza per l’una o per l’altra forma è spesso
dovuta soltanto a ragioni di eufonia sintattica (si evita, per es., di
dire fra fratelli o tra trent’anni). Forme composte con l’articolo
(tral, trallo, tralla, trai, tragli, tralle, normali come fatto fonetico
nell’uso parlato) si trovano spesso documentate nella lingua scritta
dei secoli passati; non del tutto scomparsa la forma tra’ (senza
radd. sint.) per tra i.

Espressioni

Compiere gli anni-

Fare le ore piccole-

Fare um regalo a qualcuno-

Incontrare per caso-

Grammatica

Il futuro símplice

Nessuno-

Comunque-

Domattina-

Bimbo-

Rifiutato-

Lezione 62

Bari? Lugar-

Notte dei tempi-

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