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Il mondo misterioso del Jazz – Dalle

Origini al Be Bop
Dal Blues al Jazz… il passo è breve, anzi possiamo affermare, in un certo senso, che
storicamente si identificano. Il Blues, il padre o la madre di tutte le… musiche!, con i
suoi ritmi provenienti dall’Africa e l’improvvisazione che, gradualmente, dal canto
umano si spostava alla voce dello strumento, ha caratterizzato ed è coinciso con le
origini del Jazz anche se non possiamo pretendere di scrivere un’opera omnia e
particolareggiata per il gran numero di esecutori e per la varietà delle contaminazioni
presenti. Ancora oggi ci sono molti dubbi sull’origine etimologica e semantica della
parola Jazz; alcuni critici sostengono che si riferisse al nome di un ballerino creolo il
cui nome era Jazzbo ma rimane tuttora un mistero! Il chitarrista Eric Clapton
afferma che l’ABC di ogni grande musicista è riuscire a interpretare e a dare il giusto
“feeling” a un brano di Blues e, dunque, al Jazz che si è sempre ispirato a questa
musica nelle diverse forme improvvisative ed evolutive.

Il Jazz nasce a New Orleans , anche se la musica nera era già presente e la città
rappresentava un luogo di incontro, il crocevia o la tappa obbligata di tutti i musicisti
per potersi confrontare.
Ricordando questo periodo, siamo agli inizi del 900′, non possiamo non citare il grande
Re del Jazz , ovvero Louis Armstrong , la prima tromba struggente, nato in un
quartiere poverissimo con una madre che arrotondava “on the road” e un padre che lo
aveva abbondonato quando era bambino.
La qualità strumentale di Armstrong fu quella di possedere un “sound” squillante che
riusciva a rendere ombroso e cupo quando lo richiedeva la musica e poi gli splendidi
acuti lancinanti, una voce disperata che riecheggiava e riviveva il suo passato
miserabile. Negli anni successivi il più grande, forse, di tutti i trombettisti, Miles
Davis riprese, se pur con tecniche diverse e con un background culturale di tutto
rispetto, quei suoni così angoscianti, incisivi e di profonda solitudine umana. Armstrong
infine preparò la prima rivoluzione musicale in ambito jazzistico: il passaggio dalla
esecuzione collettiva al virtuosismo solistico.
Successivamente Louis raggiunse Oliver a Chicago, poi andò a New York e nel 1925
cominciò a incidere con i suoi Hot Five e dopo con gli Hot Seven. Luis fu il primo a
rendere popolare l’approccio ritmico nell’improvvisazione (jazz swing feeling).
Abbandonando le parole in favore di sillabe senza significato riproducendo le
sfumature degli strumenti,Armstrong è considerato come l’inventore dello scat. Lo
scat ha precedenti nella pratica africana nell’assegnare sillabe fisse a modelli ritmici
percussivi.
Autori come Langston Hughes scrive il musicologo Treggiari, hanno fatto del jazz un
punto centrale dello sviluppo della letteratura afro-americana, e anche della storia
letteraria degli Stati Uniti, dal momento che in “esperimenti jazz” si sono cimentati
diversi poeti e scrittori “bianchi”, come Ginsberg, Kerouac, Rexroth ed altri. Già nei
primi anni del secolo, Vachel Lindsay faceva degli esperimenti di jazz poetry, e nel
1920, nella raccolta Smoke and Steel, Carl Sandburg pubblica la poesia Jazz Fantasia,
in cui ricrea, strumento per strumento, il sound di una jazz band:
JAZZ FANTASIA.

Drum on your drums, batter on your banjos,


sob on the long cool winding saxophones.
Go to it, jazzmen.
Sling your knuckles on the bottoms of the happy
tin pans, let your trombones ooze,

Fu comunque Langston Hughes che riuscì per primo a cogliere i significati più profondi
del jazz come modus vivendi. Egli si formò poeticamente durante il periodo del Harlem
Reinassance, storicamente conosciuta come Jazz Age. Diverse sono le sue raccolte di
poesie legate alla musica jazz e alla black Music in genere: Nella poesia Jazzonia
(1920) Hughes rievoca memorie ancestrali in un cabaret di Harlem, grazie ai sei
suonatori di jazz ed alla ballerina che danza al ritmo della loro musica. La struttura è
legata al concetto di ripetizione, con il ripetersi di un tema centrale, invocativo (O,
silver tree…), su cui si muove un assolo di pensieri evocativi, un susseguirsi di immagini
quasi senza tempo, che spostano l’attenzione del lettore dal cabaret all’Eden, dove la
ballerina di colore diviene Eva, che viene rappresentata quindi come “nera”, o
Cleopatra, cioè come massima immagine di bellezza e regalità africane trasportate dal
ritmo del jazz e dalle movenze della sua danza di nuovo a Harlem:

JAZZONIA

O, silver tree!
O, shining rivers of the soul!
In a Harlem cabaret
Six long-headed jazzers play.
A dancing girl whose eyes are bold
Lifts high a dress of silken gold.
O, singing tree!
O, shining rivers of the soul!
Were Eve’s eyes
In the first garden
Just a bit too bold?
Was Cleopatra gorgeus
In a gown of gold?
O, shining tree!
O, silver rivers of the soul!
In a whirling cabaret
Six long-headed jazzers play.

Le origini del Jazz proseguono poi con una varietà di stili, tuttora ripresi dai nostri
musicisti contemporanei: pensiamo, ad esempio, alle orchestrine Dixi, che, sempre
negli anni Venti, resero commerciale il Jazz, allo Swing, ovvero le Big Band con il
compositore e pianista Duke Ellington, in cui la componente ritmica si traduceva nella
libertà espressiva del singolo musicista che improvvisava l’assolo senza preoccuparsi
della partitura o della scrittura dello spartito sino ad arrivare al movimento del be bop
con il suo massimo esponente: Charlie Parker.

Cosi ha scritto bene il musicologo Gualberto sulla corrente musicale del be bop, nato a
New York attorno al 1940.

“Per quanto mi consta, il be bop rappresenta una fase cruciale nello sviluppo del
linguaggio musicale improvvisativo africano-americano. A livello strutturale così come
di pensiero estetico esso rappresenta non solo un passo evolutivo di vasta e complessa
portata, ma anche un momento di definitiva presa di coscienza da parte degli artisti
africani-americani (e non solo).

Il be bop ha effettuato un’operazione di maieutica, è stato l’ostetrica che ha


conferito al jazz (che già li possedeva, ma senza esserne pienamente cosciente) gli
strumenti per imporsi definitivamente nel panorama della musica del Novecento come
fenomeno di eccezionale e preveggente rilevanza. Ed è stata tale la portata
“rivoluzionaria” del be bop da conquistare una posizione di preminenza linguistica che
ancora oggi costituisce il tessuto connettivo di base delle più recenti evoluzioni sub-
linguistiche dell’improvvisazione contemporanea (pensiamo a come il linguaggio
parkeriano si estrofletta e sviluppi in Eric Dolphy e come, attraverso quest’ultimo,
colleghi un arco sino a Anthony Braxton o altri ancora, ivi incluso Steve Coleman).

Si è però fatta strada l’idea che il be bop abbia rappresentato una “frattura” nel
continuum dell’improvvisazione africana-americana e americana; cioè che il be bop,
scaturito dal cervello di un paio di artisti nati già in armatura come Pallade Atena, sia
balzato alla ribalta “out of the blue”, soprattutto come reazione al decadentismo dello
Swing bianco. Come al solito, ciò è solo parte minima della realtà: è regola che ogni
innovazione artistica tenda a “uccidere i propri genitori”, per la cosiddetta “vitalità
del negativo”. Ma, per l’appunto, l’uccisione dei genitori implica ipso facto l’esistenza di
essi, ed un loro ruolo, che a un certo punto è stato, per forza di cose, fertile.

Le varie manifestazioni dello Swing hanno posseduto un ruolo fondamentale


nell’articolazione del linguaggio boppistico (e, per forza generazionale, i primi bopper
nascevano nelle formazioni swing, fucina di base…). Si tende a sottovalutare certi
fenomeni per la grande rapidità con cui essi si sono affermati, e che non ha sempre
permesso un’adeguata messa a fuoco in prospettiva. E’ come la polemica sullo Swing
visto essenzialmente come meccanismo musicale ‘da ballo’…Come racconta Archie
Shepp, i giovani africani-americani adattarono ben presto anche il be bop alle esigenze
ludiche del ballo, senza che ciò inficiasse minimamente la portata “eversiva” del
linguaggio che, comunque, ebbe un approccio inizialmente caotico, e non sorprende che
un artista come Miles Davis provasse la necessità (non solo per mancanza di
virtuosismo strumentale) di conferire maggiore spessore strutturale a un linguaggio
che rischiava di auto-emarginarsi nella provocazione dadaista. Anche il caso del be bop
sottolinea la necessità di conoscere più o meno l’intera estensione della storia
jazzistica: francamente, è difficile concepire l’esistenza di un Clifford Brown,
peraltro posteriore al bop, senza conoscere Louis Armstrong. E certo linguaggio
orchestrale e strumentale sarebbe impensabile senza la conoscenza, che so, di un
Fletcher Henderson o di un Don Redman, tanto per citare dei nomi. E non
sottovaluterei, ad esempio, il peso anche delle orchestre swing bianche, capaci di far
compiere un notevole balzo qualitativo alla scrittura orchestrale, e all’eloquio
strumentale. Ho steso poche, pochissime annotazioni esemplificative. L’argomento è,
ovviamente, di incommensurabile vastità.”

Il Jazz negli anni 60/70

Verso la metà degli anni Cinquanta il bop aveva ormai raggiunto la sua piena maturità. I
suoi elementi melodici, armonici e ritmici, che all'inizio erano stati il frutto di una
serie di sperimentazioni, avevano trovato delle regole definitive su cui modellarsi. Su
questo sfondo, un gruppo di musicisti che faceva capo soprattutto al pianista Horace
Silver e al batterista Art Blakey iniziò a elaborare un nuovo linguaggio, un idioma più
robusto e schematico del bebop, su cui pure era basato, al quale fu attribuito
l'appellativo di hard bop (bop duro), ma che altri definirono con un termine
specificamente neroamericano: "funky". L'hard bop nacque e venne praticato, infatti,
da complessi neri a New York e ne furono pionieri solisti bebop ritrovatisi dopo la crisi
del movimento (M. Davis, A. Blakey e M. Roach) e giovani pieni di nuovo slancio (C.
Brown, H. Silver, S. Rollins e J. Coltrane).

Il bop non era stato assimilato a fondo e interamente dalla comunità nera: appariva
troppo ermetico ed eccessivamente intellettuale. Da qui la necessità di renderlo più
semplice formalmente e di esaltare il suo valore prettamente musicale attraverso
l'adozione di alcune forme folcloriche che lo facessero apparire meno sofisticato,
anche se sempre formalmente evoluto. Il disegno armonico venne perciò ricondotto a
progressioni elementari e venne riscoperto l'arcaico call and response, che, assieme al
beat basato su sei ottavi, permise alla comunità nera di fare entusiasticamente
propria questa nuova musica. Era presente anche l'evidente volontà di instaurare una
vera e propria barriera dinanzi a un mondo retto da "valori" essenzialmente bianchi. Si
trattava di mettere in rilievo i valori dell'etnia afroamericana, che in quegli anni stava
vivendo in America un forte rilancio, sia sul piano ideologico, sia su quello
squisitamente politico. Il jazz veniva in tal senso fondendosi alle lotte per i diritti
civili, alla rivendicazione di parità con i bianchi, all'affermazione che black is beatiful
("nero è bello").

Questo stile è chiamato Hard bop o post bop in contraddizione al cool e le sue
caratteristiche sono la bluesizzazzione dei temi e sezioni ritmiche più agili ed
omogenee di quelle del be bop.
Le formazioni più importanti sono il quintetto sax e tromba ( quintetto di Clifford
Brown e Max Roach) o il sestetto sax, tromba e trombone
( Jazz Messenger di Art Blakey, Jazztet di Benny Golson e Art Former ).

Il cool e l' hard bop crearono la monotonia alla fine degli anni 50.
L' avanguardia verso il superamento di essa venne fornita da Davis e il suo
sassofonista Coltrane nel Milestone in cui appare la concezione modale.
L' improvvisazione modale usa temi basati non sul sistema tonale ( tonalità maggiore o
minore ), ma su strutture di pochissimi accordi e scale in cui sono variati gli intervalli
tra i gradi.
Le tendenze del modale si affermarono in Kinds Of Blue di Davis, Coltrane e il pianista
bianco Bill Evans.
Il sistema modale apre due strade diverse: una che si contamina con modi classici e
con il sistema tonale intrapresa da Evans; e un' altra che porta al free jazz.

Con l' utilizzo del sistema modale, molti jazzisti come Coltrane arrivarono a
esecuzioni sempre più libere e meno convenzionali.
Nel 1960 fu utilizzata la parola free jazz, era il titolo di un lavoro di Ornette Coleman
in cui due quintetti improvvisavano partendo da una modalità e scansione predefinite e
poi si allontanavano da esse.
Questa tendenza comporta una rottura completa con il jazz precedente e lascia al
solista una grande libertà Ciò si innesta ai movimenti per l' emancipazione del popolo
nero di Martin Luther King e di Malcom X.
Quindi dal punto di vista musicale ciò comporta un rifiuto totale delle influenze
bianche e un ritorno alle origini e all' improvvisazione collettiva. Purtroppo, nel free,
se non si hanno grandi capacità comunicative e creative non si ottengono grandi
risultati estetici.
Grandi interpreti furono invece: Don Cherry, Cecil Tylor, Ornette Coleman, Pharoah
Sanders, Albert Ayler.

A metà degli anni 60 si ripresenta l' esigenza di accostarsi a sonorità diverse


perché la maggior parte del pubblico giovane considera il jazz una musica "vecchia".
Quelli erano gli anni del successo del rock così dalla fusione tra l' improvvisazione del
jazz e la comunicazione del rock nasce il jazz-rock.
Non bisogna dimenticare che il free aveva deluso le aspettative del pubblico nero
perché era diventato prerogativa delle lotte studentesche dei bianchi.
Un grande esempio di avvicinamento al rock è naturalmente Davis che nelle sue
formazioni includeva musicisti latino-americani, della pop-music, pianisti
elettrici,batteristi free,ecc.Dalla sintesi di questi elementi Davis traeva il modo per
andare sempre incontro al favore del pubblico.

In un periodo relativamente breve il jazz arriva ad essere una musica poliforme.


Convivono insieme lo stile modale imbevuto di elementi classici e il jazz mescolato ad
altri generi.
Quindi il jazz di questo periodo si chiama fusion o jazz elettrico, le sue
caratteristiche sono l' utilizzo di strumenti elettrici e ritmi simili alla musica rock e
funk.
Il fenomeno fusion parte dal grande pioniere Miles Davis con il suo doppio album
Bitches Brew, altri esponenti sono Pat Metheny e Michael Breacker.

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