Riprendiamo ora il filo del discorso dagli anni tra le due guerre.
Già negli anni '30 avevano
cominciato ad essere formulate numerose critiche verso pratiche educative ritenute troppo centrate sull'attività spontanea del fanciullo Sacrificare l'adul to al fanciullo, secondo i critici, non era erore diverso da quello di sacrificare il fanciullo all'adulto ed era una illusione ritenere che l'insegnamento potesse essere sempre adattato agli interessi del fanciullo. In un volume del 1956 Bruner sosteneva che soltanto una teoria della personalità poteva aprire una nuova via allo studio delle funzioni dell'lo. Era il segnale che un'epoca si stava chiudendo e se ne apriva un'altra. Nel settembre del 1959 una trentina di studiosi (matematici, fisici, chimici, psicologi, pedagogisti) si riunirono a Woods Hole per studiare come procedere al rinnovamento dell'insegnamento scientifico nelle scuole primarie e secondarie. Questa conferenza divenne presto il simbolo della svolta. Gli sforzi si concentrarono soprattutto sullo studio dei processi di apprendimento, sulla predisposizione di nuovi percorsi in grado di rispondere alle sfide di una società sempre più tecnologicamente avanzata. Un altro notevole contributo alla definizione del nuovo nuolo della scuola giunse in quegli anni dalla cosiddetta "teoria del capitale umano", messa a punto negli ambienti della facoltà di economia dell'Università di Chicago. L'istruzione era prospettata non più come una forma di consumo, ma piuttosto come un investimento in "capitale umano". La scuola non doveva fermarsi alla selezione dei migliori talenti e assicurare poche nozioni a tutti gli altmi; investire nella scuola significava reclutare risorse non ancora valorizzate e capacità utili allo sviluppo produttivo, economico e scientifico. Mediante l'investimento scolastico si poteva accelerare il progresso tecnologico e la diffusione di una mentalità idonea a recepirlo, promuovendo l'innalzamento del livello medio di istruzione della popolazione. Un personaggio centrale nelle vicende pedagogistiche statunitensi degli anni "50 e '60 fu Jerome Bruner Nato nel 1915 a New York e professore di psicologia nella Harward University, rivolse la propria attenzione alla continuità tra l'attività percettiva e quella concettuale, sviluppò nel contempo anche una spiccata attenzione verso le questioni educative. Bruner osservava che, insistendo sul carattere di continuità che la scuola ha con la società e con la famiglia, John Dewey sottovalutò la speciale funzione dell'istnuzione come introduttrice di nuove prospettive. Se la scuola fosse soltanto una zona di transito dall'intimità della famiglia alla vita sociale, il suo compito sarebbe assai semplice, ma non è cosi: questo modello funzionava nelle societă premodeme, ma non è più praticabile in quelle di moderne. Il passaggio all'età adulta è qualcosa di più di un adattamento, richiede un'introduzione a muovi campi d'esperienza, la scoperta e l'esplorazione di nuovi misteri. 4. Per Bruner l'educazione non è semplicemente trasmissione di cultura, ma è anzitutto formazione di una sensibilità mentale che consentano a ciascuno di procedere da solo nella ricerca e di costruirsi una personale cultura interiore. Il fine dell'educazione è la conoscenza del mondo e delle sue leggi. Secondo Bruner l'apprendimento si svolge attraverso tre fasi principali: - la "rappresentazione attiva" nella quale l'identificazione degli oggetti sembra dipendere non tanto dalla natura degli oggetti quanto dalle azioni evocate da loro - la "rappresentazione iconica" in cui il soggetto è in grado di rappresentarsi il mondo mediante un'immagine o uno schema spaziale indipendente dall'azione - la "rappresentazione simbolica" si organizza a partire da una forma primitiva e innata di attività simbolica che, attraverso l'acculturazione, si specializza in sistemi diversi, il più complesso dei quali è il linguaggio Lo sviluppo intellettuale dell'allievo secondo lui non è una sequenza automatica di eventi, ma risente anche delle condizioni ambientalie soprattutto di quelle dell'ambiente scolastico. Sono perciò decisivi non solo i programmi, ma le modalità di insegnamento. 5. La teoria dell'istruzione elaborata da Bruner rifiuta sia la concezione dell'infanzia subalterna alla società degli adulti sia quella dell'infanzia come "età dell'oro" della condizione umana. La scuola delle società socialmente progredite e tecnologicamente avanzate deve invece puntare su un modello strutturalista, logico, scientifico caratterizzato dall'astrazione e dal linguaggio simbolico. Ogni disciplina è sia un sistema di idee e contenuti sia una maniera di conoscere. Non si conosce una disciplina di studio quando se ne sono memorizzati i dati essenziali, ma soltanto quando se ne padroneggia la "struttura" e si è in grado di applicarla in situazioni nuove. Risultano perciò centrali nella proposta di Bruner tanto il problema dell'organizzazione dei programmi quanto quello dei metodi, del ruolo dell'insegnante e delle motivazioni soggettive. Bruner riconosce che accanto all'intelligenza logica esiste un'altra dimensione del conoscere affidata all'intuizione, alla creatività e all'arte. Egli costituisce una delle figure di maggior rilievo nell'ambito di quelle "pedagogie dell'apprendimento" che a partire dagli anni '60 si sono gradualmente affermate in tutto il mondo occidentale. 10. Tra gli anni '60 e '70 si svilupparono in molti Paesi Occidentali teorie educative accomunate dalla forte opposizione con il sistema culturale e sociale esistente. Prese fisionomia soprattutto in Francia una forte corrente che è stata definita dell'antipedagogia, secondo la quale la cultura e il sapere non erano altro che la codificazione di una serie di norme e regole che la scuola si incaricava di trasmettere. Si trattò di una vasta serie di iniziative che denunciavano l'intrinseca violenza dell'istituzione, fosse essa politica, religiosa o educativa; l'antipedagogia criticava in modo sistematico le pratiche usuali di trasmissione del sapere, viste come imposizione di norme e valori predeterminati. Un altro asse portante della cultura antipedagogica riguardò la funzione del maestro: il ruolo del maestro fu in genere negato in nome dell'eguaglianza garantita dal collettivo. Il gruppo fu concepito come luogo ideale dove l'individuo poteva trovare il legame tra interiorità ed esteriorità, tra la passività e l'attività. Al rifiuto di qualsiasi tipo di condizionamento esterno si accompagnò la convinzione che l'evento educativo andava concepito come scoperta creativa personale e soprattutto come relazione non gerarchizzata tra fanciullo e adulto, ovvero senza ruoli fissi tra i due soggetti della relazione. Il processo di sviluppo personale è in sostanza visto come progressiva liberazione del soggetto dai condizionamenti che limiterebbero la sua capacità razionale. Inoltre la liberazione individuale non avrebbe senso se nello stesso tempo non si svolgesse un processo di emancipazione sociale rispetto alle norme e alle regole, fino a creare una società egualitaria, libertaria e autogestita. 12. A partire specialmente dagli anni '80 molti studiosi si sono orientati a indagare il processo culturale e sociale denominato "complessità", esplorando le caratteristiche e il funzionamento delle società con molteplici stili di vita e non più guidate da ideali unificanti, tecnologicamente avanzate, senza gerarchie prestabilite. Questi studiosi si sono anche interrogati se la scuola predisposta per rispondere alle esigenze di società strutturalmente più semplici di quelle attuali possa ancora essere efficace per il prossimo futuro. I sostenitori della complessità non negano il ruolo ordinante della ragione, ma sostengono che l'evoluzione, la vita, il cambiamento e l'apprendimento non procedono per sequenze lineari ma si svolgono in ambienti perturbati, caotici, influenzati da un gran numero di soggetti e di cause. Tra gli studiosi della complessità quello più impegnato a indagarne i risvolti sul versante educativo è senza dubbio Edgar Morin; secondo il sociologo e filosofo francese la sfida più impegnativa che attende le società complesse è individuata in una "riforma del pensiero". Questa dovrebbe consistere in un nuovo modo di impiegare l'intelligenza umana, formando "una testa ben fatta"; l'educazione deve favorire l'attitudine generale della mente a risolvere i problemi. I programmi inoltre dovrebbero essere sostituiti da guide d'orientamento che permettano agli insegnanti di collocare le discipline nei nuovi contesti: l'Universo, la Terra, la vita e l'umano. Secondo Morin la testa ben fatta è anche concepita come perno centrale per vivere in modo attivo la fase di trapasso nella storia dell'umanità, verso quella che lui definisce la società- mondo, che sta appena nascendo e richiederebbe la comprensione e la cura attenta di bravi genitori che attraverso la nascita del figlio rinascono essi stessi per diventare cittadini del mondo. Gli uomini dovrebbero imparare a vivere, a condividere, a comunicare in quanto umani del pianeta Terra; una rivoluzione cognitiva, emotiva e sociale. 18. A questo punto riflettiamo sulla rinnovata attenzione attribuita al linguaggio, alla parola, all'idea stessa che "l'umano" si manifesti soprattutto attraverso la parola. La qualità di una società in questa prospettiva si misurerebbe perciò con l'intensità degli sforzi per assicurare a tutti la piena padronanza della parola e cioè la piena capacità di capire e di farsi capire. In campo strettamente pedagogico due nomi sugli altri spiccano come pedagogisti della parola: Paulo Freire e Lorenzo Milani. Animatore di attività di alfabetizzazione tra i campesinos del nord-est del Brasile, Paulo Freire ha sviluppato il tema dell'educazione come "coscientizzazione"; secondo lui è una conquista personale, l'educazione è tale solo a condizione di viverla come acquisizione di conoscenze liberanti, ovvero se si traduce in un processo di coscientizzazione. Essa è una parola intesa come segno di conquista della piena autonomia e consapevolezza della contrapposizione fra società aperte e società oppressive e chiuse. L'alfabetizzazione e la coscientizzazione sono quindi inseparabili. L'esperienza dell'educatore brasiliano va collocata in quella cultura della liberazione che segnò gli sforzi dei Paesi in via si sviluppo di guadagnare una propria identità. Freire si sforza di porre al centro del riscatto sociale e culturale soprattutto la persona umana vista nella sua dignità e capacitàdi essere consapevole. Questi concetti si trovano anche nelle esperienze di Lorenzo Milani, sacerdote fiorentino, che fin dai primi tempi della sua esperienza pastorale si convinse che la mancanza d'istruzione generale impediva ai suoi parrocchiani di vivere e capire la proposta del Vangelo, ma riduceva la stessa umanità dei ceti popolari. Di conseguenza solo il potenziamento delle capacità culturali poteva consentire di ricostituire l'unità tra vita e fede. Egli diede vita ad una scuola popolare aperta a tutti; il punto forte della sua esperienza didattica è il particolare rilievo che egli volle dare all'acquisizione scritta e parlata della lingua, possedere la lingua era per kui avere la possibilità di esprimersi e di parlare con gli altri. La scuola non poteva essere soltanto per i figli dei ricchi ma anche per i ragazzi di paese che invece erano presto esclusi dal sistema scolastico quasi fossero nati diversi. Pur criticando il sistema scolastico in vigore, don Milani sosteneva il valore pieno della scuola, rivendicava la presenza attiva del maestro e giudicava il rapporto educativo l'unica forma attraverso cui poteva maturare la coscienza personale. 21. Alla fine degli anni '90 si consideravano gli possibili scenari del futuro con cui l'educazione dovrà seriamente misurarsi. Di fronte all'ineluttabilità del passaggio alla società telematica bisogna elaborare e organizzare strategie educative e formative adeguate per mettere i giovani nelle migliori condizioni per affrontare la nuova realtà e sfruttarne le potenzialità. Sono evidenti i grandi squilibri del nostro tempo (società ricche e paesi poveri, processi migratori verso i paesi più ricchi alla ricerca di maggiori possibilità di sopravvivenza e di lavoro) che riguardano la convivenza specie nei paaesi Occidentali e i fenomeni di intolleranza verso gli immigrati nel disperato tentativo di protezione contro quello che spesso viene percepito come un attacco alle nostre sicurezze economiche. Tematiche come l'identità, la differenza, l'appartenenza, la cittadinanza entrano a pieno titolo nelle questio pedagogica. Poiché è altamente improbabile la soluzione dei contrasti e educative e nella riflessione delle tensioni, l'educazione è chiamata a svolgere la sua parte per favorire mentalità e modelli di vita cooperativi in gradodi maturare la capacità di comporre culture diverse. A 15 anni di distanza si deve considerare anche un'altra questione e cioè il rischio che dalla nostra vita scompaia la speranza; le società europee e quella italiana sono segnate da una diffusa sfiducia verso il futuro, percorse da una specie di rassegnazione. Si aprono perciò grandi interrogativi sulla capacità dei giovani di reagire in modo adeguato, su come educare i ragazzi e i giovani a vivere in una società meno ricca di quella attuale, nella quale sarà più difficile trovare un lavoro stabile, formarsi una famiglia e nella quale la qualità della vita non potrà più essere colmata dai beni di consumo; insomma su come tenere acceso il motore del desiderio.