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Introduzione Storia Economia Aziendale

Dal punto di vista storiografico, la Ragioneria e le tematiche connesse rimontavano


all'Egitto (lo scriba), alla Grecia (il logista), a Roma (il rationale). Da Columella in
poi, una prima formalizzazione soprattutto in termini algebrici della Ragioneria si
ottiene principalmente tramite Leonardo Fibonacci e Fra' Luca Pacioli. Fibonacci
nel 1202 scrive i Liber Abaci, in cui presenta i calcoli da utilizzarsi nelle trattative
commerciali, tra l'altro proponendo l'uso dei numeri arabi in luogo dei romani.
Pacioli nel 1494 pubblica il Tractatus de computis et scripturis, in cui viene
presentato per la prima volta il concetto di partita doppia (quindi: dare e avere,
inventario, bilancio), metodo che si diffuse poi in tutta l'Europa con il nome di
metodo veneziano, poiché usato dai mercanti di Venezia. Il Negoziante di
Giovanni Domenico Peri (1707) è considerato il primo manuale organico di tecnica
commerciale, seguito via via, nel '700, da una quantità di trattati francesi e
tedeschi relativi a Tecniche particolari, dalla Bancaria alla Assicurativa[1].

Nell'Ottocento avviene l'introduzione in Italia del concetto di scienza economica ad


opera di Francesco Villa e con riferimento speciale alle unità produttive (1840-42):
secondo Villa l'amministrazione aziendale è una scienza che studia la gestione e
l'organizzazione aziendale (con riferimento ad esempio alle imprese agricole), e a
tal fine vi incorpora la Ragioneria.

Con l'avvento dell'Unità d'Italia l'evoluzione potenziale di una disciplina organica


subisce un arresto: prendono piede le teorie dell'allora Ragioniere Generale dello
Stato Giuseppe Cerboni. Cerboni fonda la logismografia sulla teoria dei conti
personali, 5 in totale, e principalmente riconducibili 1) al proprietario; 2) alle
persone che prendono in consegna i valori (consegnatari); 3) ai clienti e
corrispondenti. Cerboni proporrà poi (1892) una Teoria Organica
dell'Amministrazione Aziendale alla sequela di Francesco Villa, ma l'opera rimarrà
senza seguito[2].
Mentre in Germania l'Economia Aziendale decolla nella sua forma di
Betriebswirtschaftslehre specialmente con Nicklisch[3], e nel contempo
Schmalenbach[4] innova la sistematica ragioneristica proponento il passaggio dal
patrimonio al reddito quale grandezza-base 1) per lo studio dell'economia delle
imprese, 2) ai fini della redazione dei bilanci, in Italia si sviluppa e giunge a
dominare, al riguardo, la teoresi di Fabio Besta, teoresi che, dalla sua cattedra di
Ca' Foscari a Venezia si diffonderà autorevolmente fra tutti gli studiosi d'Italia[5].

Dai suoi studi sull'Amministrazione, Besta aveva derivato che la stessa non
potesse trasformarsi in una scienza onnicomprensiva nel senso di Francesco Villa
e dell'ultimo Cerboni, a causa degli aspetti troppo eterogenei che comprendeva.
Egli ritrova invece nel controllo economico una logica teorico-pratica applicabile a
tutte le aziende, e ridefinisce quindi la Ragioneria quale scienza del controllo
economico. Egli inventa così un compiuto sistema patrimoniale (in auge in Italia
fino agli anni Trenta, ma fino agli anni '40-'50 nell'Italia meridionale, sempre fedele
ai suoi insegnamenti), sistema caratterizzato dal tracciamento di attivo, passivo e
delle loro variazioni rilevate in appositi conti. Esito formale sono il trattato La
Ragioneria (1880), continuamente migliorato e ripubblicato fino all'edizione
definitiva a cura dei suoi allievi Alfieri, Ghidiglia, Rigobon (Milano, Vallardi, 1922, 3
volumi), e nondimeno la monografia Ragioneria pubblica (1891).

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