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GLI ELECTROIMANOS

Un rombo-motore, piccolo cannone di scorta, già si stava avvicinando all’oasi, selvatica parentesi di
antiche dimore per animali arrancanti, dal fiato lucido di nostalgia.
Rombo-motore come mano potente, cremagliera d’innesto per il volante comandato con sicura
prepotenza dalle nuove creature, misteriosi ingorghi di circuiti aggrovigliati.
Il piccolo animale, memore di antiche sapienze, tese l’orecchio arrotondato a riconoscere qual’era il
nemico che lo attaccava, e i suoi occhi brillarono d’un timore arabescato di strane fantasie. Era il
vento a ricondurre per mano la civiltà sei-dimensionale dei sapienti Elecrtroimanos verso il sapore
d’infanzia che emanava da quel tratto di terra fertile, lunga striscia di salvezza.
Da un guscio di argilla ecco uscire il capobranco degli animali, ed eccolo tendere all’aria le narici
dilatate:
- Piccoli guerrieri della notte, è giunta l’ora di imbracciare la clava squillante e di scendere ai nostri
confini per difenderli dagli Electroimanos!
Il piccolo animale, come tutti i suoi compagni, raccolse le armi e si mise in fila con gli altri.
La notte era solo una lieve oscurità rischiarata dai raggi catodici provenienti dalle vicine città
nemiche, quando Abuelo, questo il nome del piccolo animale, alzò gli occhi al cielo, come a
identificare, vedere, toccare il rombo-motore che incombeva sulla testa della sua gente e sui prati
stridenti di grilli.
L’orizzonte risplendeva di verderame fosforescente quando i Cuevados giunsero ai confini del loro
territorio, mentre notte e rombo-motore si confondevano in un unico e ignoto terrore.
La vicina città nemica era una sorgente di ronzii incastrati e indistinguibili; era la prima volta che
l’esercito dei piccoli guerrieri della notte si spingeva così in là:
- Il sole è lì lì per sorgere; ora ci apposteremo qui e alla luce dell’alba ci avvicineremo alla sorgente
di questo suono cupo.
Dalla sua postazione ora Abuelo poteva dominare con lo sguardo le interminabili vie di
circonvoluzione al pianeta che tutt’intorno gorgogliavano la loro schiavitù; e le sue mani si tesero a
carezzare l’ultimo fiore che s’affacciava ai bordi della civiltà, mentre nel cervello prendevano corpo
i suoi desideri:
- Questo fiore, germoglio inestinguibile, solo può soddisfare la nostra sete di bellezza, e noi, piccoli
guerrieri della notte, mai e poi mai permetteremo alla generazione degli Electroimanos di
distruggerlo.
E, così riflettendo, posò la mano sul fiore: bagliore di fiamma liquida, vulcano di odio e distruzione,
dal fiore nacque una luce viola-squillo che colpì le palpebre di tutti i Cuevados.
L’aria si trasformò in magma ardente ed ognuno per suo conto cercò rifugio in mezzo alla foresta.
Unico, Abuelo, si spinse al di là del confine, e sui suoi sensi confusi s’infransero odori stagnati da
secoli sopra alle macchine potenti, mentre le sue mani, che ancora imbracciavano la clava
squillante, furono investite dai getti potenti del fumo riciclabile che ai bordi della civiltà veniva
fatto arieggiare. Un altoparlante meccanico, come sassofono elettrico, s’infilò nelle sue orecchie:
“Un Cuevado è entrato nei nostri confini: prendetelo!”
Grinfie d’acciaio, elettrostatiche protuberanze, bloccarono il suo corpo, mentre lui, il piccolo
guerriero della notte, disperatamente tentava di far uso della clava che, comunque, era già stata
automaticamente smagnetizzata al momento del suo ingresso in territorio straniero.
Squittii come minaccia, lampeggi di telecamere come curiosità aliena, piccole scarche elettriche a
sfilacciare e contorcere i suoi muscoli per saggiarne ogni possibile reazione, menti telepatiche a
frugare nel suo cervello ancora malato di gioventù; e, sopra a tutto il resto, sapore-alone di morte.
Altoparlante ancora insinuante e suadente ticchetta ora i timpani di Abuelo: “Tu ora ritornerai dai
Cuevados e dirai loro di rinunciare, una volta per tutte, a rimanere nella vostra orrenda tana fatta di
cellule organiche che con orribili processi biochimici, da noi considerati immorali, si riproducono”.
Versi di ribrezzo rivolti al suo corpo, come scalpiccio di circuiti elettronici addolorati e schifati dal
fatto che un essere umano ancora potesse essere composto di materia.
-No! - urlò Abuelo.
Indietreggiarono piene di disgusto, quelle menti intelligenti, per tornare ad avvicinarsi quando
l’onda acustica fu dispersa nell’aria.
“Sei sciocco, piccolo Cuevado; lunghe generazioni di idioti hanno fatto crescere in te una mente
corrotta dalla bruta materia. Va’ e dì loro di rinunciare. Venite nella civiltà: noi vi offriamo
immortalità, sapienza, fine di ogni dolore”.
- E’ la morte quella che voi ci offrite!
“Piccolo insetto schifoso, sia come vuoi tu!”
Corde, elettronici vincoli, comandarono ai suoi muscoli prigionieri di teletrasportarlo al laboratorio,
mentre con ribrezzo gli Electroimanos allontanarono le loro menti da lui.
Sonno come lunga disperazione, laggiù oltre ogni umana avventura-immaginazione. Solo, come
corpo sospeso nel vuoto, il piccolo Cuevado osservava le pareti ricciolute di contorsioni
elettromagnetiche: unica presenza la mente del ricercatore incaricato di scoprire il perché una parte
degli uomini fossero regrediti allo stadio di materia.
Ogni sua più piccola molecola fu analizzata e Abuelo non poté non sentirsi squartato,
disumanizzato, martoriato, insultato, calpestato, condannato.
E da ogni sua cellula, ora, più potente sgorgava la vita, mentre imbestialito lo scienziato interrogava
le sue macchine sapienti, che non sapevano però come esorcizzare quei nervi che si tendevano a
sopravvivere. Pietrificato nello stadio del pensiero, il gran dottore non comprendeva perché quel
Cuevado rifiutasse così ostinatamente di la sciare il suo corpo schifoso.
Invano si tentò di sopprimere la sua voglia di vivere, di dimenticare la sua esistenza, ma lui, come
un cactus nel deserto, resisteva ancora e non mollava un grammo di se stesso.
Tormentarono a non finire il suo povero cervello che invecchiava, laggiù nel laboratorio degli
Electroimanos; lo straziarono, giungendo a ridurlo in fin di vita.
Dall’altoparlante tuonò ancora una volta, severa, la voce fredda: “Stai morendo, piccolo Cuevado:
passa dalla nostra parte e avrai salva la vita; per sempre”.
Abuelo, già nel dormiveglia della fine, accarezzava il fiore più bello che mai avesse veduto; Abuelo
sorrideva e, mentre moriva, disse:
- La mia vita non finisce qui; laggiù, dove voi non siete mai riusciti ad arrivare, ho lasciato una
piccola cellula di quella carne che voi tanto obbrobriate; laggiù ora un altro piccolo Abuelo continua
la mia battaglia.
Di fronte al corpo che, ancora immerso nel tempo, si scomponeva, tutti gli Electroimanos sentirono
più forte una strana nostalgia e guardarono con telecamere colme di lacrime verso il confine, là, da
dove i piccoli guerrieri della notte stavano giungendo per vendicare il loro compagno.
E, quella volta, gli Electroimanos lasciarono fare; lasciarono che i Cuevados entrassero nelle loro
città di fantasmi e distruggessero gli intrecci elettrici e filamentosi che, per secoli, avevano tenuto in
vita i pensieri di che non voleva morire.

Pubblicato sulla rivista “Silarus” n. 103 – 1982 - Battipaglia

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