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23/05

…alcune figure “resistenti”


Tra gli anni ’50 e gli anni ’60, figure come Vittorini e Brancati si distinguono per la resistenza
praticata. Vittorini fonderà il Politecnico, Brancati militerà come partigiano.

Nel 1948 Pavese pubblica La casa in collina, dramma autobiografico dov’egli pensa di non avere
svolto adeguatamente la sua azione militante nella resistenza e nella successiva ricostruzione.
Scompenso intellettuale che Pavese avverte per tutta la sua parabola letteraria e vitale. Nel lungo
testo che accompagnerà la sua vita, Il mestiere di vivere, dove vi sono riflessioni personali,
intellettuali legate alle proprie scelte poetiche, si trova spesso il senso di inadeguatezza, la
consapevolezza altissima dei propri successi ma sempre accompagnata da un perenne senso di
insoddisfazione.

Da un lato, dunque, abbiamo il protagonismo intellettuale perseguito e voluto da Moravia, dall’altro


la parabola di Pavese segnata dalla profonda inadeguatezza.

Calvino, Vittorini e Pavese rappresentano la possibilità di prendere strade diverse nella vicinanza
fisica: Calvino considerava Vittorini e Pavese come i suoi maestri. Si troveranno a collaborare nel
momento editoriale importante di Einaudi.

Gli Indifferenti è un romanzo esemplare. I personaggi cui Moravia dà voce gli permettono di dar
voce alla coscienza della crisi – la consapevolezza che in quegli anni (’20-’30) l’indifferenza
diventa l’emblema del fatto che la crisi fosse una condizione costitutiva dell’esistere di quegli anni.
Gli oggetti consumati che figurano nel romanzo potrebbero essere montalianamente considerati
come i correlativi della condizione coscienziale dei personaggi.

Michele  personaggio impotente e rivoltario, come gli altri ma ne ha consapevolezza. [passo letto
in classe presente nel materiale didattico].
Leo  arrivista senza scrupoli, colui che non è minimamente sfiorato dal dubbio che possa esistere
un’altra realtà (soprattutto morale), ed è mosso solo dai beni materiali. Michele scende in strada in
un giorno di pioggia e comincia a realizzare dentro di sé un senso di indifferenza, e spiccano parole
come “angoscia”. La conclusione del passo conferma che il movimento presente nel romanzo è un
movimento apparente: non c’è progressione. Anche laddove sembrano covati istinti di ribellione,
poi, questo implode con la stessa repentinità con cui è nato.
Carla  decide di concedersi a Leo un po’ per rivalsa contro la madre.

Quella cui Moravia dà voce è una realtà borghese in cui il fascismo passa da movimento a regime.
La crisi, ne Gli Indifferenti, si infiltra in ogni piega della realtà. Lo si vede, per esempio, nelle
dinamiche affettive: si vedano Mariagrazia e Carla. La prima si imbelletta così tanto da essere
definita, nel romanzo, maschera. Una maschera che cerca di celare lo sfiorimento del fisico, etc. Si
inganna, inoltre, di essere amata da Leo. Dall’altro canto, Carla, che porta una sorta di rancore
dentro. Capisce lo squallore e si lascia andare a una nuova vita, ma nel momento in cui dice ciò
parla dello squallore – ci ricorda il procedimento antifrastico di Svevo. Anche qui, dunque, si
assiste ad un movimento apparente.

Battaglia dice che nel romanzo i personaggi crescono non per evoluzione, ma per accumulazione.
L’accumulazione fa riferimento ad una successione di azioni, di gesti che si consumano sempre
all’interno di uno squallore di fondo. Tutto ciò non genera movimento. Gli eventi sono essi stessi
espressione dello squallore, dunque diventano correlativi oggettivi del titolo del romanzo stesso.
ELSA MORANTE
Il suo esordio narrativo avviene nel 1930 e giunge fino al 1982 con Aracoeli.
La raccolta dei suoi racconti risponde ad una selezione che lei stessa compie su una vastissima
produzione di raccolti. Ella presenta la raccolta come una sorta di autobiografia intellettuale.
I racconti contengono i capitoli della mia straordinaria avventura.
Racconti dagli anni ’30 fino agli anni ’50 (Lo scialle andaluso pubblicato nel ’63) che raccontano le
tappe fondamentali del suo percorso vitale. Lei stessa ci dice che fra gli innumerevoli racconti da lei
scritti – dagli anni ’30 agli anni ’60 – ha selezionato solo quelli che tratteggiassero

Per la Morante, scrivere era la faccenda seria della vita. Per lei scrivere era rispondere sempre ad
una resistenza etica, il suo poeta è Saba, da lei amato come il poeta di tutta la vita.

Leggendo Lo scialle andaluso bisogna soffermarsi sul tema importante: il rapporto tra l’infanzia e
l’età adulta. E’ un tema che la ossessionò – diversamente da Morante che era sempre lucido,
razionale. Lei era disorganica, caotica pur tenendo le cose sempre a fuoco.

La cifra della sua scrittura è un ossimoro: Giacomo Debenedetti elaborò per lei la nozione di logica
visionaria. La Morante, che amò solcare strade del misterioso, di fatto pensava che questi fossero
gli strumenti privilegiati per scorgere i tratti più nascosti della realtà. Questo modo le consente di
far emergere quegli aspetti talora censurati della realtà umana (si veda la società del benessere, dove
ci si credeva sempre più immortali). Ella era un’estrema oppositrice di tutte quelle retoriche che
fanno pensare all’uomo di poter essere sempre al di sopra delle leggi naturali; per lei queste sono
solo la forma più subdola di narcosi delle coscienze. Eppure, la Morante aveva terore di
invecchiare. Visse con ambivalenza la maternità, tra la voglia di avere un figlio e il desiderio di
rifiutarlo. Per questo, solca tutte le strade che non fossero della mimesi razionale, bensì
dell’irrazionale, i linguaggi del sogno. Al centro di tutto ciò c’era sempre il rapporto tra l’infanzia e
l’età adulta. Perché? L’infanzia, per definizione, si vive con innocenza, con purezza per ragioni
naturali. Questa innocenza ci porta a saper traverstire la realtà e a saperla vivere con maggiore
verità. Questo non preclude ai bambini di soffrire: Elsa Morante soffrì molto per le aspettative della
madre. Viveva con sofferenza il fatto di dovere essere sempre la prima della classe, e inviadava la
compagna non di bell’aspetto e con il ginocchio sbucciato.

I bambini sentono le sofferenze, ma operano un travestimento naturale. L’autenticità della realtà


non viene mascherata, anzi viene resa più bruciante. Ne consegue che il passaggio all’età adulta
diventa un passaggio all’insegna con il compromesso della vita sociale, dell’identità sociale. In
questa fase, tendiamo a tenere sopiti i tratti più profondi di noi.
Questo

Racconto su cui bisogna soffermarsi è Il gioco segreto, del 1937.

Amore per il sogno. L’attività onirica della Morante era sfrenatissima. Dà vita alle sensazioni
lasciate dei sogni in un diario: Diario del ’38 – anno delle leggi razziali, già frequentava Moravia.
E’ un diario di sogni, ma con forme e modalità peculiari.
Lettura Che miracolo il sogno!: alla fine, il ruolo della memoria ci ricorda quello di Svevo. I sogni
diventano invenzione, come avviene ne Lo sciallo andaluso.
A un certo punto di questi sogni: vi è una corrispondenza di aggettivi ne Lo scialle andaluso. È
difficile distinguere una pagina di diario da una romanzesca, perché ricorre lo stesso movente e la
stessa cifra.
Lettura Primo risvolto di sovraccoperta (prefazione Scialle, Einaudi): qui, lei stessa dice che nella
raccolta si potrà capire ancora meglio che nei romanzi il suo cammino, che al centro ha il suo tema.
Il passaggio dalla leggenda barbara e luminosa della vita (=infanzia) al rischio mortale della
coscienza (=età adulta). Significa anche che a volte, purtroppo, se non siamo noi ad autoingannarci
vi sono dispositivi esterni a narcotizzare la nostra coscienza. Bisogna, pertanto, innalzare la propria
vigilanza.

Calvino e Morante: egli la capì nel profondo, seppur diversi, perché muovono dalla stessa etica. La
Morante voleva scrivere il paratesto dei suoi libri.

Lettura della prima nota di sovraccoperta

Lettura nota biografica Cenni sulla vita e sulle opere

Lettura nota introduttiva Sulla funzione della poesia nel mondo (…) del 1971 a Il mondo salvato dai
ragazzini

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