Sei sulla pagina 1di 12

ANTIOCO III

PERSONAGGI

ANTIOCO III, re di Siria


MONOUCHOS, indovino di corte
ANNIBALE, generale cartaginese esule dalla sua patria
BADIPPAS, fido servitore di Annibale
SPHYSSOS, consigliere di Antioco
CHARICEUTES, altro consigliere di Antioco
ATTO I

SCENA I - NEL PALAZZO REALE DI ANTIOCHIA. ANTIOCO SEDUTO SUL TRONO,


ALLA SUA SINISTRA ANNNIBALE, CHE PARLA AI PIEDI DI DUE COLONNE.

ANNIBALE:- Come dunque la fortuna mi ha ridotto, o grande re!


ANTIOCO:- Già da gran tempo, o Annibale, tu perdesti un occhio. Ma con quello
che ti rimase, unito all’occhio della mente, per anni continuasti ancora a
procurare la rovina ai Romani.
ANNIBALE:- Come giurai a mio padre, mio signore!
ANTIOCO:- E dunque, o Annibale, non rimproverare la fortuna di averti privato
di un po’ di gloria, o di quel comando in cui ti mostrasti eccellente quant’altri
mai, quando puoi ancora renderti utile strumento per abbattere i tuoi eterni
nemici.
ANNIBALE:- Questo è l’intendimento che mi prefiggo nel mettermi al tuo
servizio, o signore!
ANTIOCO:- Una volta mi narrarono una storia a proposito dei Romani: c’era
Pirro a combattere contro di loro, in Italia, dove anche tu hai combattuto.
ANNIBALE:- Sì signore, e furono anni ruggenti. Indimenticabili.
ANTIOCO:- Orbene, una volta Pirro invitò nell’accampamento epirota il console
romano Caio Fabrizio, per delle trattative, se non ricordo male. Ad un tratto, un
po’ per provare divertimento e un po’ per fargli capire che il più forte era lui, gli
venne l’idea di far irrompere nella sua tenda la proboscide di un elefante. Ma sì,
quel nostro caro animale di cui si dice che i Romani avessero tanta paura
all’inizio.
ANNIBALE:- Mio signore, anch’io combattei in Italia con gli elefanti. Ma per mia
sfortuna, a quel tempo i Romani si erano già smaliziati...
ANTIOCO:- Ma non è questo il punto, mio caro Annibale. Con quel gesto Pirro si
tolse la soddisfazione di utilizzare al momento opportuno, cioè all’improvviso,
l’arma per terrorizzare i Romani; e ciò che lo rendeva potente era il fatto che
quell’arma la possedeva lui, in esclusiva. Anch’io adesso ho quell’arma; adesso
sei tu il mio elefante, Annibale.
ANNIBALE:- Dimentichi, mio signore, che le legioni romane mi hanno già
sconfitto, e non già in territorio italico, bensì sul mio suolo natio. Come con gli
elefanti, io temo che i Romani si siano smaliziati anche con me...
ANTIOCO:- Eppure non mi risulta che i Romani oggi combattano con reparti
provvisti di elefanti. In realtà essi temono ancora quei giganti dalle grandi
orecchie, solo hanno voluto rimuoverli, dalla loro vista e dalla loro testa. Come
hanno fatto con te. Ti hanno sconfitto, ma resterai il loro incubo per tutti i secoli
a venire.
ANNIBALE:- Io non ho più alcun potere, mio signore, né a Cartagine né in
alcun’altra parte del mondo. Eppure nella tua considerazione io sono ancora un
condottiero invitto. Mi onori troppo, credo.
ANTIOCO:- Se anche tu fossi stato sconfitto in altre quattordici Zama, i Romani
avrebbero di te la stessa paura di quando non ti avevano ancora mai battuto. Io
voglio che essi sappiano, al momento opportuno, cioè all’improvviso, che come
un potente re degli inferi io mi sono alleato col fantasma del loro più grande
incubo. E quando le loro legioni saranno annichilite, tu, come uno spettro
invincibile, vagherai trionfante sopra i loro corpi morenti. E avrai ottenuto la tua
vendetta. Avrai tenuto fede al giuramento di tuo padre. Avrai ottenuto, solo un
po’ in ritardo, la rovina dei tuoi nemici.
ANNIBALE:- Che altro mi rimane da fare, mio signore, se non contribuire al tuo
trionfo, non potendo più essere artefice del mio?

ENTRA SPHYSSOS, DECANO DEL COLLEGIO DEI CONMSIGLIERI DEL RE.


ANNIBALE SI INCHINA A LUI E FA PER ANDARSENE. MA, ORMAI DI SPALLE, SI
VOLTA ALL’IMPROVVISO.

ANNIBALE:- Ma non voglio essere un fantasma, mio signore. Dopo tutto non
sono ancora morto. Voglio un comando vero, visibile, in questa guerra, e non una
regia occulta. E così saluto te e il tuo venerabile consigliere.
ANNIBALE VA VIA. SI CHIUDE IL SIPARIO.

SCENA II - NEL SALONE DELLE FESTE DEL PALAZZO DI ANTIOCHIA. ANTIOCO


STA DI FRONTE AD UNA FONTANA MONUMENTALE CON DUE DELFINI. AL SUO
FIANCO SONO SPHYSSOS E UN ALTRO CONMSIGLIERE, CHARICEUTES.

SPHYSSOS:- O grande re, non fidarti di Annibale. La sua fama sinistra è ben
meritata: egli è perseguitato dalla sfortuna. E nella sfortuna egli minaccia di far
versare coloro che si affidano alla sua protezione.
CHARICEUTES:- Fallo imprigionare, signore. La consegna di Annibale ai Romani
ti garantirà una pace vantaggiosa, profittevole, duratura.
ANTIOCO:- Egli vuole un comando. Ed io volevo farne un ispiratore segreto.
CHARICEUTES:- Perché egli crede che la dea alata che gli sta sopra sia Nike e non
la sfortuna. Ma chi è protetto davvero da Nike vince sempre negli scontri
decisivi. Mentre chi gode dell’attenzione di una sua sorellastra trionfa negli
scontri secondari, ma perde all’ultimo giro. Non è Annibale l’uomo a cui affidare
la Siria. E noi teniamo al tuo regno, o signore.
ANTIOCO:- No, miei nobili consiglieri. Non lo metterò in catene. Un sogno alcuni
giorni fa mi ha persuaso del contrario.
SPHYSSOS:- Che cosa, dunque, o mio signore, ti spinge a dare fiducia al
Cartaginese?
ANTIOCO:- State a sentire. Ero a cavallo sulla strada di Magnesia, equipaggiato
come se fossi in battaglia. Mi si presentò un uomo dall’aspetto dimesso,
trasandato; coperto di una veste scura, e mi disse di essere orfano, ma di non
aver perso mai la forza di combattere quei nemici. che lo avevano reso tale. Io lo
scacciai in malo modo, anche un po’ impressionato. Ed egli se ne andò. Ma,
quando ormai era lontano all’orizzonte, fece cadere la sua veste e si palesò nelle
fattezze di Ercole.
SPHYSSOS:- Chi era quell’uomo, grande re?
ANTIOCO:- Quando Annibale mi chiese udienza, io ricollegai subito a lui l’uomo
di quel sogno. Io penso che il destino ci abbia portato in dono un grande
guerriero... Però non voglio che si esponga, non volevo per lui il comando. Volevo
che i Romani avessero paura di sospettare la presenza di Annibale dietro i nostri
trionfi, prima di accertarla...
CHARICEUTES:- E se non fosse Annibale, mio signore? Se fosse al contrario
qualche valente generale di Siria, o magari tu stesso, augusto sovrano? Tu, che
con la tua forza autorevole, costringi a far retrocedere persino un’erculea
minaccia?
ANTIOCO:- Provate a pensare allo sgomento, alla sorpresa, alla meraviglia
quando sapranno che Annibale, il terrificante Annibale, combatte per noi?
Pensate solo a questo, signori.
SPYSSOS:- Lascerai dunque che sia Annibale a prendere il comando del tuo
esercito, scavalcando tutti i nostri degnissimi condottieri? E mettendo in ombra
la tua gloria, o signore?
ANTIOCO:- La fortuna, solo la fortuna ha messo sulla mia strada Annibale. La
fortuna che vuole la distruzione dei Romani. Di questo io sono convinto, signori.
E dunque sì, gli darò un comando. Ma un comando che sorprenda.
Un’utilizzazione inedita del grande Annibale.
SPHYSSOS:- Mio signore, in quale ruolo di comando dovrebbe sorprendere, lui
che in quello che gli era più congeniale, dopo il Ticino, la Trebbia, il Trasimeno e
Canne fallì nello scontro più importante? In che altro memorabile modo vuoi che
ti deluda quel grande perdente?
ANTIOCO - La flotta. Lo metterò a capo della flotta. Di sicuro i Romani non si
aspettano che egli guidi le truppe di mare. Annibale per loro è l’incubo campale.
Ed io ne farò un fantasma che naviga.
SPHYSSOS:- La flotta, mio signore?
ANTIOCO:- Sì, Sphyssos. Così è deciso.
CHRARICEURTES:- E Magnesia, grande re? Che significato ha quella località, se
ha un significato?
ANTIOCO:- Lì i Romani, sconfitti e costretti alla resa, pronunceranno per l’ultima
volta il nome di Annibale, e scapperanno in preda ad un fiero panico. Questa è la
mia promessa, signori. E con Annibale celebreremo sulle nostre acque una
Egospotami per i Romani. Niente sarà salvato: niente albatri, niente gabbiani a
pelo d’acqua, solo aquile dallo sguardo feroce smorzato che coleranno a picco. E
Annibale non offuscherà la mia gloria: essa sarà resa più grande dall’aver
accettato come suddito il primo nemico dei Romani.
SPHYSSOS:- Eppure io dico di consultare l’indovino di corte, mio signore. Il
nobile Monouchos. Non lasciare che Magnesia diventi la nostra disfatta, per
colpa di un’interpretazione erronea.
ANTIOCO:- No, niente Monouchos, miei signori. Giacché andare contro i vaticini
è da re audace, ma non ascoltarli affatto è da grande re.
CHARICEUTES:- Mio re, Ercole non era orfano.
ATTO II -

SCENA I - NEL PALAZZO REALE DI ANTIOCHIA. ANTIOCO SEDUTO SUL TRONO,


DI FRONTE A LUI MONOUCHOS, L’INDOVINO DI CORTE.

MONOUCHOS:- I sogni di un re non sono i sogni di qualsiasi altro mortale. E’


proprio per questo quelli di che qualsiasi altro mortale non sono così importanti
da dover essere interpretati dagli indovini.
ANTIOCO:- Ma dovrebbe essere proprio dell’autorità regale non essere vincolati
a nessun altro autorevole consulto, nella lettura dei sogni concepiti dalla mente
del re che dorme.
MONOUCHOS:- Mio grande re, credi forse che nell’autorevolezza regale sia
compresa anche l’onniscienza? Lascia, dunque, che ti dica che dietro ogni uomo
potente ben più grandi e oscure potenze agiscono, sul cui favore quell’uomo
potente si regge; ed egli ha quanto mai bisogno di un intermediario tra lui e
quelle potenze. E a quella categoria di intermediari io appartengo.
ANTIOCO:- Io avevo Annibale dalla mia.
MONOUCHOS:- Tu avevi dalla tua una grande fonte di sciagure. Nient’altro.
ANTIOCO:- E sia. Però non gli diedi il comando delle truppe di terra. Se sciagura
doveva essere, per mio esclusivo merito non è stata ancora più grande e
irrimediabile.
MONOUCHOS:- Ma nessuna sciagura ci sarebbe stata, se tu avessi cacciato
immediatamente il Cartaginese. Magnesia! Magnesia! Che questo nome ti
perseguiti in eterno, o re!
ANTIOCO:- Non c’era Annibale a guidare le mie truppe a Magnesia!
MONOUCHOS:- Eppure se un ammiraglio - un vero ammiraglio - avesse bloccato
i Romani alle foci dell’Eurimedonte tutta la guerra, forse, avrebbe avuto una
piega diversa. Per l’amore del tuo regno e per l’onore dei tuoi avi, scaccia ora
quel Cartaginese!
ANTIOCO:- La mia intenzione non era quella di farlo comandare, né truppe di
mare né truppe di terra!
MONOUCHOS:- E che propositi da re sono, quelli che si fanno piegare dal fascino
di un fantasma? Ma tu non hai sbagliato nel dargli il comando, hai sbagliato a
non sbarazzartene appena si è presentato al tuo cospetto.
ANTIOCO:- Ho sbagliato decidendo autonomamente da re. Pagherò da re.
SCENA II- IN UN’ALTRA ALA DEL PALAZZO REALE. CORRODOIO CON IL BUSTO
DI ALESSANDRO. ANNIBALE E IL SUO FEDELE ASSISTENTE, BADIPPAS,
PARLANO VICINO AD UN’ARMATURA AMMASSATA ALLA PARETE.
ANNIBALE:- Esule come Odisseo mi tocca ormai andare. Finire. Ma per me non ci
sarà il ritorno in patria, alla fine di quest’avventura.
BADIPPAS:- O mio grande generale, tu godi del favore del re di Siria!
ANNIBALE:- Questo è ciò che credevo anch’io, Ma io so che Antioco già trama per
consegnarmi ai Romani.
BADIPPAS:- O no, signore, quale indegna condotta sarebbe per un sì gran re!
ANNIBALE:- Ebbene, lui non voleva che io mi mettessi al comando. La mia
sconfitta è stata l’inizio della catastrofe in quella guerra: ed io credo che tutta la
stima che aveva in me si sia trasformata in disprezzo.
BADIPPAS:- Consegnarti ai Romani, mio generale?
ANNIBALE:- Sì, o mio fedele Badippas, io debbo fuggire. Questa è la mia sorte.
Andar ramingo di corte in corte, e tramutare i re in nemici di Roma, finché la mia
parola continuerà ad essere ascoltata. Finché il nome di Annibale continuerà a
contare qualcosa.
BADIPPAS:- O mio grande Annibale, qualunque sia la tua sorte, per quanto
grande possa essere la solitudine in cui le sventure fanno precipitare, a volte, i
più forti, la mia compagnia, il mio aiuto, il mio conforto non ti mancheranno mai.
ANNIBALE:- Mio buon Badippas, va’ dunque a preparare quanto ti serve per
fuggire. Questa terra non ci è più amica, e ogni minuto che passa è sempre più
ostile.

ESCE BADIPPAS. PASSA MONOUCHOS E SI FERMA.

MONOUCHOS:- Và via, Cartaginese. Ora!


ANNIBALE:- Se così vuole Antioco, io eseguo la sua volontà.
MONOUCHOS:- Salva te stesso, da una consegna certa ai Romani. E salva questo
Paese, dalla maledizione di aver consegnato un uomo fuori dalla grazia della
sorte ai suoi nemici più acerrimi.
ANNIBALE:- Dunque è già deciso, o indovino. Volete darmi ai Romani. E dunque
è questo ciò che vuole il gran re?
MONOUCHOS:- Sì, perché uno sbaglio chiama l’altro. A che ti è servito accettare
le profferte di Antioco? Forse che la sconfitta all’Eurimedonte cancellerà il
ricordo di quella di Zama? Invece no, per tutti sarà la riprova che Annibale non
può risollevarsi da Zama. Non in questa vita. Per la tua dignità, dovevi far morire
il tuo mito in silenzio, senza coinvolgere nel tuo declino altri suoli, altri Paesi,
altri re.
ANNIBALE:- Bada a te, indovino. Non esisterà più nessun altro Annibale, in
questa vita. E maledetto sia Antioco, che mi preferì ammiraglio, sapendomi
condottiero di terra.
MONOUCHOS:- Questa maledizione - oh lo so - si tramuterà in palazzi che
cadono, palle di fuoco dal cielo che annientano eserciti, cavallette che devastano
campi e soldati dell’armata di Eeta che spuntano dal suolo, a falciare donne e
bambini. E questo, soltanto se Antioco riuscirà a consegnarti ai Romani. Fuggi,
dunque! La tua parola malsana si disintegri al vento, insieme alla tua presenza,
anziché diventare sentenza di pietra! Fuggi, prima che Antioco si accorga che
ancora non l’hai fatto! Va’, va’ a portare l’ombra sinistra della tua sorte lontano
da qui. Ed io mi dimenticherò che esisti, mi dimenticherò del tuo nome, mi
dimenticherò di Annibale!
ANNIBALE ESCE SENZA GUARDARLO. MONOUCHOS RESTA SOLO SULLA SCENA
CON SGUARDO RABBIOSO.
ATTO III -

NEL PALAZZO REALE DI ANTIOCHIA. ANTIOCO SEDUTO SUL TRONO, DI


FRONTE A LUI LUCIO CORNELIO SCIPIONE, VINCITORE DI MAGNESIA.

SCIPIONE:- Dov’è Annibale, o re?


ANTIOCO:- Credi forse, o console, che avermi battuto a Magnesia faccia di me un
re sconfitto? Il mio regno è ancora mio. Eppure a Roma già ti chiamano Asiatico,
come se l’avessi conquistato.
SCIPIONE:- Io mi ritengo vincitore, o re, non perché ho conquistato un regno, ma
perché ho sconfitto colui che lo guida.
ANTIOCO:- Perché dunque non prendere me come prigioniero, anziché volere a
tutti i costi Annibale?
SCIPIONE:- O grande re, non decido di mia iniziativa, io rispondo a Roma e al suo
Senato. Se avessero voluto che proseguissi fino al tuo abbattimento completo,
non sarei venuto a trattare la pace.
ANTIOCO:- Ebbene, caro il mio console, dì pure al tuo Senato che non avrete
Annibale. Egli è già fuggito, come un fantasma, pronto a piombare nei vostri
incubi quando sarete convinti che la vostra potenza non ha più limiti.
SCIPIONE:- No, io non credo questo, re. Io credo che tu l’abbia fatto mettere a
morte.
ANTIOCO:- E magari davvero l’avessi fatto! Allora, forse, Annibale realmente
sarebbe diventato il fantasma che non avreste più potuto vincere. Ma egli, come
un genio imprendibile, così com’è venuto, è sparito, portandosi dietro quell’aura
triste di grandezza perduta. E l’odio inestinguibile per Roma.
SCIPIONE:- O re, come ricordarti che la consegna di Annibale era una delle tue
condizioni più importanti di questa pace?
ANTIOCO (ride con sprezzo):- Accontentatevi, tu e il tuo Senato, dei territori che
aggiungerete ai vostri domini, laggiù, a nord dei monti del Tauro. Ma ti dico
questo, o console: sebbene dapprincipio la pensassi diversamente, adesso, se
avessi Annibale tra le mie mani, non te lo darei.
SCIPIONE:- O grande re, il Senato vuole quei territori e Annibale.
ANTIOCO:- No, caro console, non si può andare contro il destino, specie se si
sottovalutano i segni che il destino stesso, a volte distrattamente benigno, ti
offre per ammortizzare i suoi colpi. Il mio destino era quello di perdere a
Magnesia, perché non riconobbi di aver compiuto una scelta sbagliata.
SCIPIONE:- Perché, invece, o re, più razionalmente non riconosci la superiorità
strategica dei Romani? Il destino in battaglia è solo legato all’eccellenza tattica,
che tu non hai avuto.
ANTIOCO:- No, console, io ti parlo di un sogno, che stoltamente non rivelai al mio
indovino. E in quel sogno - oh adesso lo so - c’eri tu.
SCIPIONE:- Se dunque mi hai sognato, o re, e dalla tua parte avevi addirittura
Annibale, dove hai sbagliato, sì da non vincere la guerra?
ANTIOCO:- Annibale odia i Romani perché quest’odio gli fu inculcato dal padre. E
voi, dico proprio voi, o nobili membri della famiglia degli Scipioni, odiate
Annibale perché umiliò due volte in battaglia vostro padre, sì da renderlo un
generale perdente, nonostante continuasse ad essere amato dal popolo, e quasi
lo uccise alla Trebbia. E poi, dirottato in Spagna, fu costretto a guardare
impotente la morte del fratello, tradito dalle popolazioni locali che Asdrubale, il
fratello di Annibale, aizzò contro i Romani. Così, per causa di Annibale, tu e tuo
fratello siete rimasti, in un certo senso, orfani del prestigio miliare paterno. Ed
eri tu, proprio tu, l’orfano che mi menava sulla strada di Magnesia, quand’io
credevo potesse essere Annibale.
SCIPIONE:- Così è, o gran re. Noi Scipioni avremo sempre un conto in sospeso
con Annibale, più di qualsiasi altro Romano. Ecco perché la cattura di Annibale
sarebbe stato prima di tutto un trofeo personale, per me e mio fratello.
ANTIOCO:- Ma perché,o nobile Scipione dall’animo esacerbato, perché l’esercito
di voi prodi Romani non catturò Annibale lì sulle rive dell’Eurimedonte, dopo
averlo sconfitto? Perché chiedete a me, che sconfiggeste dopo di lui, di darvelo in
ceppi?
SCIPIONE:- Quando mai si potrà vedere Annibale, in questa vita, arrendersi
spontaneamente al nemico disprezzato? Così com’è sparito alla tua vista, così
sparì alla nostra. E Annibale era il prezzo per fare di te un sovrano alleato,
garantito per il futuro dalla nostra minaccia.
ANTIOCO:- O bontà degli dei. Mi puniste per non aver ascoltato il consiglio che
mi si diede tramite il sogno, ma la vostra volontà è al di sopra di qualsiasi errore.
Ecco, dunque, che Annibale ha vinto, ma senza aiutarmi a vincere.
SCIPIONE:- O re, dì piuttosto che Annibale ha perso, e ti ha trascinato nella sua
disfatta. In quale segno della natura tu scorgi una sua vittoria?
ANTIOCO:- Nell’essere riuscito a rendersi ancora inafferrabile, ai suoi nemici
come ai falsi protettori che lo avrebbero dato in pasto ai primi. Nell’essere
riuscito a rimanere un mito, quello che i suoi avversari vorrebbero estinguere.
SCIPIONE:- Un mito? Esiliato dalla sua patria e sconfitto?
ANTIOCO:- Ma di cui, nonostante tutto, avrete sempre paura, perché sapete, nel
vostro cuore, che finché non lo avrete ingabbiato, anche dopo l’ennesima
sconfitta, Annibale tornerà contro di voi, più potente di prima.

ENTRA MONOUCHOS. DALLA SINISTRA DEI DUE PERSONAGGI. PORTA IN


MANO L’ARMATURA DI ANNIBALE.

MONOUCHOS:- O Romano, non cercare Annibale qui nel palazzo reale né in tutta
la Siria. Egli tornerà contro di voi, quando meno ve lo aspetterete, e giungendo
da dove meno ve lo aspetterete. Che sia vivo o che sia morto, non lo saprete se
non dopo che un brivido avrà tagliato in due il vostro foro, i vostri templi, avrà
fatto gemere le vostre porte. Va’ via dunque, o Scipione, e non cercare tra le
spoglie che spettano al vincitore quel nemico che il tuo orgoglio di figlio ferito ti
ha assegnato.
GETTA AI PIEDI DI SCIPIONE L’ARMATURA. FINE.

Potrebbero piacerti anche