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"Requiescat in pace"

Il destino dei morti tra fragile pace ed eterno riposo alla fine del Medioevo

[article publié in La pace fra realtà e utopia, Verona, Cierre,


« Quaderni di storia religiosa, XII », 2005, pp. 99-158]

« Pace forse è davvero la tua


E gli occhi che noi richiudemmo
Per sempre ora riaperti
Stupiscono
Che ancora per noi
Tu muoia un poco ogni anno
In questo giorno »

Vittorio Sereni, 3 dicembre1

« Messere, a queste notti mi sono appariti più miei parenti, e parmi che egli sieno in
grandissime pene e non dimandino altro che limosine, e spezialmente la mamma mia, la qual
mi par sì afflitta e cattivella, che è una pietà a vedere (…). E per ciò vorrei che voi mi diceste
per l’anime loro le quaranta messe di san Grigorio e delle vostre orazioni, acciò che Idio gli
tragga di quel fuoco pennace »2.
La testimonianza del Boccaccio, colta all’interno del racconto di Filomena di quella donna
innamorata che finisce con il gabbare il solito buon frate, contiene gli elementi fondatori che
nutriranno la nostra riflessione sulla condizione dei defunti nell’aldilà. Le informazioni sono
precise. Da una parte, si afferma la comunicazione che esiste tra i vivi e i morti, separati in
fondo da frontiere labili e sottili. Si descrive poi la condizione dell’anima del defunto.
Un’anima che proprio non pare conosca la pace. Essa, al contrario, essa è « afflitta
e cattivella », affranta da un’indigenza profonda. Un’anima dunque colpita da grandissime
pene, sofferente, un’anima che chiede aiuto (ri)tornando sulla terra. Infine, si insiste non
soltanto sulla partecipazione emotiva dell’interlocutore vivo, avvolto da un sentimento di
pietà, ma anche sul ruolo importante che esso deve assumere per aiutare l’anima sofferente.
Un aiuto di parola essenziale, reso possibile dalla preghiera intima e personale e dalla
macchina liturgica che bisogna finanziare per far recitare dal prete o dall’ecclesiastico di
servizio quelle messe di san Gregorio – di solito sono trenta e non quaranta – che il papa
Gregorio Magno (590-604) fece celebrare per liberare l’anima del monaco Giusto dai suoi
tormenti.
Si svelano quindi in poche linee i punti fondamentali del discorso: l’anima, la sua condizione,
gli attori di un dialogo, la ricerca di un legame e di un aiuto solidale e infine la parola, la
parola come strumento soteriologico. Ed è proprio attorno a questi elementi che vorremmo
costruire la nostra riflessione in cui certo sarà questione di pace, ma soprattutto di speranza, di

* Un’infinita riconoscenza a Mattia Cavagna per la sua amicizia e per le sue preziose suggestioni.
1
V. Sereni, 3 dicembre, in Idem, Tutte le poesie, Milano 1986, p. 28.
2
G. Boccaccio, Decameron, giornata III, novella 3; G. Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, Milano
1985, I, p. 247.

1
ricerca dinamica e bramosa della sua realizzazione o almeno di un progressivo suo
avvicinamento. Parlare di pace come destino ultimo del morto, ci condurrà dunque nei solchi
di un cammino cominciato prima della morte ma che nella morte trova la vera vita. Pensare ad
una possibile pace dopo la morte per quelli che le carte medievali indicano come coloro che
ex hoc saeculo transierunt significa interrogarsi congiuntamente sulla condizione dell’uomo
post mortem nella sua intima duplicità tra anima e corpo, ma anche chiedersi quali siano i
luoghi e i tempi che tracciano gli orizzonti del suo destino.
Numerose sono però le difficoltà da affrontare. La prima risiede proprio nella ampiezza di
senso e di significati di quel territorio dello storico che sono la morte, il morire e l’aldilà.
Nella dimensione della lunga durata, la storia di questi tre concetti è una storia globale che
necessiterebbe lo studio approfondito del pensiero, della speculazione teologica, delle
mentalità e dell’immaginario religioso, politico e sociale, ma anche del quotidiano, di quello
che potremmo definire, con André Vauchez, l’universo complesso e variegato delle politiche
della morte3.
La morte è per gli uomini del Medioevo un evento centrale. Banale osservazione si obbietterà.
Memento mori si piccano di ripetere i predicatori. Il destino dell’uomo nel pensiero cristiano
nell’Occidente medievale, trova il suo senso profondo nella sola prospettiva escatologica di
una fine dei tempi, di una seconda parusia che metterà fine al saeculum e che introdurrà la
comunità dei vivi e dei morti nell’eternità. La Sacra Scrittura ha dettato i ritmi di questa
teleologia. Si rileggano le pagine del vangelo di Matteo o la rivelazione dell’Apocalisse di
Giovanni4. La morte non è un finire ma un cominciare, nell’attesa del giudizio universale e
della risurrezione dei corpi. Essa non è un momento conclusivo, di fissa immobilità, bensì un
passaggio estremamente dinamico verso una nuova vita, quella, almeno per chi lo merita, del
ricongiungimento col Padre. L’idea di passaggio contiene nel suo intimo una stratificazione
temporale, un prima, il prepararsi alla morte, un durante e un dopo fissato dal giudizio
universale. Una trilogia essenziale attorno alla quale si è cercato di pensare e di immaginarsi il
destino e il senso dell’uomo dopo la morte tra paura del giudizio e speranza della salvezza.
La morte svolge anche un ruolo centrale nella storiografia. Si è imposta come oggetto di
studio essenziale per capire i meccanismi della Weltanschauung dell’uomo e delle società
medievali. I problemi metodologici sono conosciuti. Le fonti da considerare sono numerose
ed estremamente diverse nella loro natura, che varia anche in funzione della cronologia
prescelta allo studio. Lo sguardo dello storico deve far capo ad un approccio interdisciplinare
forte e intelligente. Dalla letteratura religiosa ai trattati teologici, dai testi agli oggetti liturgici,
dalle immagini ai reperti archeologici, dalle fonti d’archivio nella loro profonda diversità –
testamenti, statuti, obituari –, una certa vertigine che invade lo sguardo del ricercatore dinanzi
a una tal quantità di testimonianze. Egli si trova anche alle prese con una storiografia delle più
abbondanti che, da una parte, affila il pensiero ma dall’altra ne determina in qualche modo a
priori gli interrogativi. E la morte ha un gran successo. Già nel 1982, Michel Vovelle, in una
nota critica pubblicata negli Annales, si chiedeva se vi è una moda della morte nella
storiografia europea osservando l’incredibile sviluppo di lavori scientifici ad essa dedicati.
Tre sono le direzioni di questo iperbolico interesse storiografico: quella geografica, che vede
l’allargarsi dell’orizzonte spaziale e storiografico degli esempi studiati, dall’Italia
all’Inghilterra, dalla Francia alla Germania; quella cronologica, che vede accanto a studi
condotti su una cronologia ristretta, degli studi di ampio respiro che oltrepassano le frontiere
tra i periodi storici convenzionali; infine quella metodologica, che vede il progressivo ricorso

3
A. Vauchez, La tomba, la morte e il destino del corpo, in Idem, Esperienze religiose nel Medioevo, Roma
2003, p. 239.
4
Apocalisse di Giovanni, 20; Vangelo secondo Matteo, 25.

2
ad una gamma sempre più svariata di fonti e un diversificarsi delle piste di ricerca5. Jacques
Le Goff, nel 1997, sottolineava che la storia del Medioevo non sarebbe stata più possibile
senza i morti e gli usi che ne fanno i vivi6. Michel Lauwers, a sua volta, nell’importante
sintesi sulla morte nell’età di mezzo per il dizionario ragionato del Medioevo, ricordava che
sono i morti ad aver captato l’attenzione degli studiosi più che la morte stessa7. È una
primavera storiografica che prosegue da ormai più di venti anni nella quale troviamo piena
ispirazione per queste nostre considerazioni : con un’attenzione tutta particolare alla
storiografia francese, che così ampiamente ha contribuito a svelare l’affascinante e complesso
volto dell’uomo di fronte alla morte e le sfaccettature del suo destino nell’aldilà.
Tre grandi interrogativi guideranno la nostra riflessione. Prima di tutto, prendendo in esame
lo sviluppo e i cambiamenti della geografia dell’aldilà e sintetizzando le tappe essenziali della
sua sistematizzazione medievale, ci soffermeremo sulla condizione dell’anima in quel tempo
intermedio tra il momento della morte e il giudizio universale8. In un secondo momento,
dando voce ad alcune testimonianze della fine del Medioevo, ci interrogheremo sulle modalità
e sulle espressioni del dialogo che viene a stabilirsi tra le due comunità, quella dei vivi e
quella dei morti. Infine, vorremmo non dimenticare il corpo9 : il testamento, aldilà della
commendatio animae, svela le preoccupazioni che avvolgono il destino del corpo. Il cadavere
dunque, ma forse più del cadavere il luogo della sua collocazione, del suo riposo, è al centro
di politiche religiose, devozionali e istituzionali che operano per la tutela della sacralità del
locus sepulturis e del riposo del corpo morto.
La nostra inchiesta, all’interno proprio di quell’ampio paesaggio delle fonti a cui si accennato
sopra, impone tuttavia delle scelte. Si darà così ampio spazio alle testimonianze testuali nella
loro piena diversità tipologica per sottolineare l’importanza e la simbologia del lessico
impiegato nel definire il destino post mortem nel suo oscillare tra pene, angosce e tormenti,
speranze e desideri di pace, riposo e gioia. L’iconografia però, pur così importante per la
storia delle mentalità, dell’immaginario e della spiritualità, è stata sacrificata come anche le
preziose testimonianze delle indagini archeologiche10. I testimoni a cui abbiamo prestato
ascolto sono poi solo un assaggio letterario o archivistico, spicchi di voce che certo
meriterebbero un’analisi più ampia ed approfondita. Si spera comunque che queste voci
suggeriscano nuovi interrogativi, nuove indagini e nuove curiosità.

5
M. Vovelle, La mort encore: un peu plus qu’une mode?, in “Annales ESC”, 37, 2 (1982), pp. 276-287.
6
J. Le Goff, Préface, in M. Lauwers, La mémoire des ancêtres, le souci des morts. Morts, rites et société au
Moyen Âge (diocèse de Liège, XIe-XIIIe siècle), Paris 1997, p. VII.
7
M. Lauwers, Mort(s), in Dictionnaire raisonné de l’Occident médiéval, Paris 1999, p. 773 (ora anche in
traduzione italiana, Dizionario dell’Occidente medievale : temi e percorsi, a cura di J. Le Goff e J.-C. Schmitt,
edizione italiana e bibliografie ragionate a cura di G. Sergi, con la collaborazione di P. Cancian, Torino 2004);
l’osservazione di M. Lauwers viene ripresa da Jacques Le Goff in Une histoire du corps au Moyen Age, Paris
2003, p. 133 (ora anche in traduzione italiana, Il corpo nel Medioevo, traduzione di F. Cataldi Villari, Roma-Bari
2005).
8
Himmel, Hölle, Fegefeuer. Das Jenseits im Mittelalter, catalogo della mostra a cura di P. Jezler, Zürich 1994 ;
in modo particolare il saggio introduttivo dello stesso P. Jezler, Jenseitsmodelle und Jenseitsvorsorge – Eine
Einführung, pp. 13-26. L’autore propone degli schemi che illustrano in maniera chiara il destino delle anime e
dei corpi tra giudizio individuale e giudizio universale.
9
J. Le Goff, N. Truong, Une histoire du corps au Moyen Age, p.133; V. Fumagalli, Solitudo carnis : vicende del
corpo nel Medioevo, Bologna 1990; N. Laneyrie-Dagen, L’invention du corps: la représentation de l’homme du
Moyen Age à la fin du XIXe siècle, Paris 1997; Le corps et ses énigmes au Moyen Age. Actes du colloque,
Orléans (15-16 mai 1992), a cura di B. Ribémont, Caen 1993; R. Stella, La représentation du corps dans l’œuvre
de Dante, in La représentation du corps dans la culture italienne. Actes du colloque organisé par le Centre
d’études italiennes d’Aix-en-Provence, Aix en Provence 1982, pp. 3-27.
10
Una ricerca esemplare nella quale immagini, archeologia e testi si intrecciano è quello proposto di recente da
D. Alexandre-Bidon e M.-T. Lorcin, Le quotidien au temps des fabliaux. Textes, images, objets, Paris 2003.

3
Dal riposo alle amarezze del purgatorio: le condizioni possibili dell’anima

L’hora mortis è il momento culmine di un distacco, l’istante drammatico e delicato della


separazione dell’anima dal corpo, elementi di quella duplicità fondamentale che caretterizza
l’immaginario cristiano medievale11. La teoria del creazionismo, impostasi nel corso dei
secoli XII e XIII secolo, soprattutto con Tommaso d’Aquino, definisce con precisione
l’origine dell’anima rispondendo in tal modo alle incertezze di sant’Agostino che aveva finito
col parlare di un insolubile mistero12. Viene così identificata la triplice origine della persona.
Un corpo ed un’anima sensitiva : ecco l’individuo alla sua nascita. L’uomo viene poi dotato di
un’anima razionale, dono di Dio, che assorbendo le qualità di quella sensitiva, la sostituisce e
determina così le propre de l’homme, la sua singolarità e il suo allontanamento dal mondo
animale13. In un rapporto di stretta simmetria, considerato dalla tradizione medievale in
maniera spesso assai diversa se non paradossale : basta pensare da un lato all’amore e alla
rivalutazione del corpo in san Francesco e dall’altro, quasi contemporaneamente, al suo
disprezzo da parte di Iacopone da Todi che lo considera come prigione dell’anima.
L’anima e il corpo, lo spirito e la materia, sono i due elementi fondatori dell’uomo che
vengono a separarsi nel momento della morte. L’iconografia cristiana offre delle immagini
esplicite di questa separazione, mostrando l’anima, piccolo bambino nudo pieno di
corporalità, nell’atto di abbandonare il corpo scivolando fuori dalla bocca e di essere accolta
da angeli felici oppure, in caso di un’anima cattiva, strappata fuori violentemente da demoni
inferociti14. La redazione del testamento, una delle fonti fondamentali per lo studio delle
pratiche e dell’immaginario della morte15, rispecchia questa duplicità, illustrando

11
Si rinvia all’articolo di J. Baschet, Ame et corps dans l’Occident médiéval: une dualité dynamique, entre
pluralité et dualisme, in “Archives de Sciences Sociales des Religions”, 112 (2000), pp. 5-28.
12
Sant’Agostino, De origine animae ; si vedano le riflessioni di J. Baschet, La parenté partagée: engendrement
charnel et infusion de l’âme, in Anima e corpo nella cultura medievale, a cura di C. Casagrande e S. Vecchio,
Firenze 1999, pp. 123-137.
13
J. Baschet, Âme et corps dans l’Occident médiéval, p. 10.
14
Ricordiamo le frequenti rappresentazioni della morte del cattivo ricco. Egli è disteso in posizione orizzontale e
la sua anima viene estratta dalla bocca. Alcuni esempi: il timpano romanico della chiesa Saint Pierre di Moissac
e il capitello della navata della chiesa Sainte Marie Madeleine a Vézelay ; frequenti anche le rappresentazioni
dell’anima che lascia il corpo morto nelle miniature dei manoscritti. Si veda ad esempio il Messale dell’abbazia
di Saint-Amand, Valenciennes, Biblioteca municipale, ms. 0118, prima metà del XV secolo, f. 9; ma anche le
numerose miniature che illustrano il Pellegrinaggio dell’anima di Guillaume de Digulleville (1355-1358), tra
cui il manoscritto di Parigi, Bibliothèque Sainte-Geneviève, ms. 1130, fine XIV secolo, f. 89. Vi si rappresenta il
cadavere rinsecchito e disteso per terra, mentre l’anima se ne allontana in volo accompagnata da un angelo.
Infine citiamo l’esempio straordinario di una miniatura dello Scivias di Hildegarde de Bingen del 1165. Si veda
l’edizione di A. Führkötter, A. Karlevaris, Turnhout, 1978, I, pp. 84-84, pl. 7. La miniatura è riprodotta in bianco
e nero da J. Baschet, Jugement de l’âme, jugement dernier : contradiction, complémentarité, chevauchement?, in
“Revue Mabillon”, nouvelle série, 6, 67 (1995), p. 193; si rinvia anche a M. Cavagna, Les visions de l’au-delà et
l’image de la mort, in La mort écrite. Rites et rhétoriques du trépas au Moyen Age. Atti del convegno tenutosi
alla Sorbona, Università di Parigi IV-Sorbona (aprile 2003), a cura di E. Doudet, Paris 2005, pp. 51-70.
15
Si vedano i contributi del volume Nolens intestatus decedere. Il testamento come fonte della storia religiosa e
sociale. Atti dell’incontro di studio (Perugia, 3 maggio 1983), Perugia 1985; specialmente quelli di A. Petrucci,
Note sul testamento come documento, pp. 11-15; di G. Severino Polica, Storia della morte e testamenti : una
scheda da Erasmo, pp. 27-30; e di A. Rigon, Orientamenti religiosi e pratica testamentaria a Padova nei secoli
XII-XIV (prime ricerche), pp. 41-63. Si veda anche S. Lavarda, L’anima a Dio e il corpo alla Terra. Scelte
testamentarie nella Terraferma veneta (1575-1631), Venezia 1998; M. A. Visceglia, Corpo e sepoltura nei
testamenti della nobiltà napoletana (XVI-XVIII secolo), in “Quaderni storici”, 50, XVII, II (1982), pp. 583-614

4
perfettamente il doppio destino dopo la morte in attesa della resurrezione quando Cristo
tornerà a giudicare i vivi e i morti16.
Ed è questa una preoccupazione essenzialmente di luogo sulla quale avremo l’occasione di
tornare. Ciò che importa è trovare una collocazione all’anima e al corpo. Quale sia il destino
delle anime una volta abbandonato il corpo è un interrogativo centrale nel pensiero teologico
sino dai primi tentativi di riposta dell’era cristiana17. L’idea essenziale che prevale nelle Sacre
Scritture è che la morte introduca l’anima in un tempo intermedio che è il tempo dell’attesa,
dilatata in una temporalità imprecisata, del giudizio universale che determinerà per l’eternità o
un destino di felicità paradisiaca o un destino di tormenti infernali. La grande escatologia
finale dei primi secoli cristiani condannava così o alla vita eterna presso Dio o alla morte
eterna nell’oscurità dell’inferno. Una logica binaria, bipolare che non nascondeva la difficoltà
nel definire quel luogo intermediario di attesa. La domanda che bisogna porsi è la seguente.
L’attesa del giudizio finale è un’attesa nella calma della pace e del riposo? E tutte le anime
attendono allo stesso modo senza distinzione alcuna tra cattivi e buoni?
Che la morte sia l’accesso ad una condizione di sonno e di riposo in cui le anime dei defunti
aspetterebbero l’avvento finale del Redentore è una concezione espressa nel Nuovo
Testamento18. La prima lettera ai Tessalonicesi offre una bella immagine del morto che
sonnecchia aspettando la fine dei tempi: Si enim credimus quod Iesus mortuus est et
resurrexit, ita et Deus eos, qui dormierunt, per Iesum adducet cum eo (I, Tessalonicesi, 4, 14),
e più lontano qui (Iesum Christum) mortuus est pro nobis, ut sive vigilemus sive dormiamus,
simul cum illo vivamus (I, Tessalonicesi, 5, 10).
L’intermezzo dell’attesa non è dunque ciò che prevale, l’attenzione è concentrata unicamente
sulla resurrezione finale. Espressione chiara di questa analogia sonno/morte e morte/riposo è
proprio la formulazione liturgica della preghiera e del canone della messa per i morti di cui le
prime attestazioni risalgono alla fine del II secolo dopo Cristo19. Sono le formulazioni
seguenti Requiescat in pace ma anche Requiem aeternam dona eis Domine. Gli specialisti ne

(ora anche in Eadem, Il bisogno di eternità. I comportamenti aristocratici a Napoli in età moderna, Napoli
(1988), pp. 107-139; M. Berengo, Lo studio degli atti notarili dal XIV al XVI secolo, in Fonti medievali e
problematica storiografica. Atti del congresso internazionale (90. anniversario dell’Istituto storico italiano per il
Medioevo, 1883-1973), Roma (1976), pp. 149-172; L. Donvito, Ricerche e discussioni recenti in Francia su un
tema di storia della mentalità : gli atteggiamenti collettivi di fronte alla morte, in “Rivista di storia e letteratura
religiosa”, XIII (1977), pp. 376-379; A. Tilatti, Il testamento come fonte per la storia sociale e religiosa nel
Medioevo, in “Ricerche di storia sociale e religiosa”, 41 (1992), pp. 32-36; e infine di M.-T. Lorcin, Le
testament, in A réveiller les morts. La mort au quotidien dans l’Occident médiéval, a cura di D. Alexandre-Bidon
e C. Treffort, Lyon 1993, pp. 143-156.
16
F. Ruello, La résurrection du corps sera l’œuvre du Christ. Raison et foi au Moyen Age, in “Les Quatre
fleuves”, 15-19 (1982), pp. 93-114 ; C. W. Bynum, The resurrection of the body in Western Christianity (200-
1336), New York 1995.
17
Per un’eccellente sintesi si veda l’introduzione della recente edizione di G. Lachin, Il purgatorio di San
Patrizio, Maria di Francia, Roma 2003; utile per quanto concerne i rinvii ad altre fonti e ai testi antichi l’articolo
sul purgatorio, dalle origini fino al concilio di Trento di A. Michel, Purgatoire, in Dictionnaire de théologie
catholique contenant l’exposé des doctrines de la théologie catholique, leurs preuves et leur histoire, a cura di
A. Vacant, E. Mangenot e E. Amann, Paris, XIII (1936), pp. 1163-1326.
18
Si veda la nota critica del libro La Nascita del Purgatorio di J. Le Goff proposta da Ph. Ariès, Le purgatoire et
la cosmologie de l’Au-delà, in “Annales ESC”, 38, 1 (1983), pp. 151-157; H. Neveux, Les lendemains de la mort
dans les croyances occidentales (vers 1250 – vers 1300), in “Annales ESC”, 34, 2 (1979), pp. 245-263; ma
anche A. Gourevitch, Conscience individuelle et image de l’au-delà au Moyen Age, in “Annales ESC”, 37, 2
(1982), pp. 255-275. A pagina 260-261, l’autore critica l’insistenza di Ariès sull’immagine nell’Alto Medioevo
della morte come un sogno, un riposo di pace.
19
Ad esempio Tertulliano, Passio SS. Perpetuae et Felicitatis, ma anche il suo De corona militis, 3, 2-3; D.
Sicard, La mort du chrétien, in L’Eglise en prière, III, “Les sacrements”, a cura di A. G. Martimort, Paris 1984,
pp. 238-258 ; Ibidem, La liturgie de la mort dans l’Eglise latine, des origines à la réforme carolingienne,
Münster 1978.

5
hanno individuato la fonte nel salmo, 4, 9 in cui viene annunciato: In pace in idipsum
dormiam et requiescam, quoniam tu, Domine, singulariter in spe constituisti me. Anche se
non vi è un nesso preciso con la morte, vi si evoca un dormire in pace. Ma è soprattutto un
brano del quarto libro apocrifo di Esdra che sembra essere la fonte principale del lessico
liturgico. Esdra scrive: Requiem aeternitatis dabit vobis (…) lux perpetua lucebit vobis per
aeternitatem temporis20. Introdotta nel canone della messa, l’immagine del sonno e del riposo
di pace trova espressione anche nella pietra. Si pensi allora agli epitaffi funebri ritrovati sui
sarcofagi e nelle catacombe dei primi secoli dopo Cristo21. Un esempio ci proviene da
un’iscrizione lapidare nel cimitero di Lucina datata dell’inizio del IV secolo, in cui si legge
che la defunta è penetrata nella pace: Iobina qu<i>exit annos plus minus cinquaginta recessit
a seculo ingressa in pace22. Così è nel linguaggio liturgico che l’analogia morte/pace
sopravvive attraverso i secoli medievali, conservando l’idea della morte come un destino di
pace e di riposo23.
Nell’immaginario collettivo e nel discorso teologico, però, le cose sono profondamente
diverse. Il Medioevo rompe completamente con questa idea di riposo e di pace. La storia
dell’aldilà è dunque sul lungo periodo la storia di una presa di distanza sempre maggiore
dall’idea della morte come momento di sonno o di riposo ed è la storia di un
ridimensionamento e ripensamento profondo della geografia dell’aldilà, che troverà le sue
massime elaborazioni nella nascita del purgatorio, attorno alla fine del XII secolo ma
soprattutto nella sistematizzazione dantesca, vero e proprio punto di arrivo per quanto
concerne la geografia dell’ultraterreno24. Studiando in profondità la pastorale cristiana della
morte nella tarda Antichità, Eric Rebillard ha sottolineato il ruolo e l’importanza di
sant’Agostino nell’elaborazione della terminologia attraverso la quale trovava espressione la
preoccupazione per le anime e per i corpi dei defunti25. Sant’Agostino, dopo Tertulliano26, si è

20
IV Libro di Esdra, 2, 34. Un testo, quello di Esdra, di stampo apocalittico, posteriore al 70 dopo Cristo,
momento della distruzione di Gerusalemme. Esso dunque viene a consolare gli ebrei in questo momento difficile
proponendo un’illustrazione della Gerusalemme celeste. Si vedano le edizioni di H. Cousin, Quatrième livre
d’Esdras, Lyon 1987; e di A. Frederik J. Klijn, Die Esra-Apocalypse (IV. Esra), Berlin, 1992.
21
Fondamentali rimangono le osservazioni e le suggestioni proposte da H. Leclercq, Paix, in Dictionnaire
d’archéologie chrétienne et de liturgie, a cura di dom F. Cabrol e dom H. Leclercq, Paris 1937, XIII, I, pp. 465-
483.
22
J.-B. De Rossi, Roma sotterranea, I, p. 328, pl. XIX, n. 10; citato da H. Leclercq, Paix, p. 469.
23
Memento etiam, Domine, famulorum famularumque tuarum N. et N. qui nos pracesserunt cum signo fidei, et
dormiunt in somno pacis (…) ipsis Domine (...) locum refrigerii, lucis et pacis ut indulgeas deprecamur,
formulazione del canone della messa romana ; ripreso in H. Leclercq, Paix, p. 467. Sul tema del riposo si veda
l’articolo di Ph. Ariès, Une conception ancienne de l’au-delà, in Death in the Middle Ages, a cura di H. Braet e
W. Verbeke, Louvain 1983, pp. 78-87. L’espressione “requiescat in pace” viene anche usata nei necrologi
accanto al nome del defunto. Ne è un esempio il necrologio di San Pietro in Carnia conservato alla Biblioteca V.
Joppi di Udine (BUC, ms. fp. 1281-1). Alla carta 30r, in data 1413, si legge : “1413 obiit in Christo venerabilis
presbiter Nicolaus filius Iohannis Michisi de Tûm (Tumecio) canonicus Sancti Petri eius anima in pace
requiescat amen”.
24
Si veda l’articolo di C. Carozzi, La géographie de l’au-delà et sa signification pendant le Haut Moyen Age, in
Paesi e popoli nella cultura altomedievale. Atti delle settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto
Medioevo (Spoleto, 23-29 aprile 1981), Spoleto 1983, 2, pp. 423-485; ma anche l’articolo di J. Rivière,
Jugement, in Dictionnaire de théologie catholique, VIII, p. 1721-1832.
25
Sulla dottrina agostiniana rinviamo a E. Rebillard, Tristis est anima mea usque ad mortem. Faiblesse humaine
et peur de la mort dans la pastorale d’Augustin, in Idem, In hora mortis. Evolution de la pastorale chrétienne de
la mort aux IVe et Ve siècles, Roma 1994, pp. 51-92; si vedano anche le riflessioni di J. Ntedika sull’immagine
dell’aldilà nella tarda Antichità e sull’idea del purgatorio proprio in Sant’Agostino: J. Ntedika, L’évolution de la
doctrine du purgatoire chez Saint Augustin, Paris 1966; e Idem, L’évocation de l’au-delà dans la prière pour les
morts: étude de patristique et de liturgie latines: IVe-VIIIe siècles, Louvain 1971.
26
Tertulliano, De anima, capitolo 58. Tertulliano spiega come solo i martiri hanno accesso al paradiso mentre
tutti gli altri finiscono nei bassi fondi degli inferi in attesa del giudizio. Conferma che l’escatologia almeno fino
al IV secolo è un’escatologia essenzialmente finale.

6
a più riprese interessato alla questione della morte. Nel De cura pro mortuis gerenda, redatto
tra il 421 e il 422, vengono illustrate le pratiche materiali della gestione del corpo morto al
fine di opporsi con fermezza alle forme tradizionali del culto dei morti in cui si accordava
troppa importanza al cadavere e alle forme di culto che gli rendevano omaggio, pratiche
ritenute troppo vicine alle credenze pagane. Nell’Enchiridion e nel XX libro della Città di
Dio, invece, Agostino elabora la sua visione delle sorti delle anime nell’aldilà. Nel periodo
intermedio di attesa, l’anima viene collocata in quelle che Agostino chiama receptacula,
ovvero una specie di depositi segreti: Tempus autem quod inter hominis mortem et ultimam
resurrectionem interpositum est animas abditis receptaculis continet, sicut unaquaeque digna
est vel requie vel aerumna, pro eo quod sortita est in carne cum viveret27.
Agostino differenzia dunque la sorte delle anime in una gradazione progressiva di purgazione
tra pene e pace a seconda della vita condotta nel secolo. Però nessuna precisazione viene
fornita in merito alle caratteristiche e alla localizzazione di questo luogo di attesa intermedio.
E le difficoltà rimangono nel definire il vero status dell’anima in attesa del giudizio. Anche
sant’Ambrogio nel suo De bono mortis aveva espresso qualche esitazione in proposito. Se
l’anima, scrive Ambrogio, viene deposta nelle mani di Dio, ovverossia se si è meritata la via
al paradiso, essa non verrà rinchiusa nell’oscurità del sepolcro ma verrà deposta e godrà di un
pio e religioso riposo28. Qualche paragrafo più in là, Ambrogio si interroga di nuovo sulla
condizione dell’anima collocata nei ripostigli – egli li definisce habitacula – spiegando che le
anime attendono lì la loro ricompensa finale e definitiva, per le une la gloria, per le altre i
tormenti eterni. Nel frattempo però nessuna delle due anime, quella buona o quella malvagia,
è privata di tormenti o godimenti : le anime cattive perché si vergognano fin da ora del giorno
in cui si presenteranno di fronte a colui di cui hanno violato i precetti, le altre, quelle buone,
perché già gioiscono delle gioie future29. Ambrogio, come poi Agostino, considera la
condizione dell’anima in attesa proporzionale alla vita terrena condotta30.
Se ancora in Agostino la condizione vera e propria dell’anima viene avvicinata in maniera
ambivalente, la critica della pace dell’anima dopo la morte viene espressa con veemenza da
Cassiano nelle sue Collationes, redatte nel V secolo. A proposito della perpetuità dell’anima
scrive: nam quia nec otiosae sint post separationem huius corporis animae, neque nihil
sentiant, etiam Evangelii parabola, quae de illo paupere Lazaro, et divite purpurato
profertur, ostendit31. La stessa idea è rifiutata anche in un trattato anonimo del IX secolo, il
Tractatus utrum animae de humanis corporibus exeuntes mox deducantur ad gloriam vel ad
poenam, an expectant diem judicii sine gloria et poena in cui l’autore si scaglia contro coloro,

27
Sant’Agostino, Enchiridion, sectio quinta, De novissimis, XXIX, 110; edizione di J. Rivière, Paris 1988, p.
302.
28
Si anima in manu Dei est, non utique anima nostra sepulchro simul cum corpore includitur nec busto tenetur,
sed quiete pia fungitur; cfr. Sant’Ambrogio, De bono mortis, 10, 44, edizione di C. Moreschini, Sant’Ambrogio,
Opere esegetiche, III, Isacco o l’anima, il Bene della morte, Milano-Roma 1982, p. 190. Ma anche in Patrologia
Latina (=PL), 14, col. 589.
29
Ergo dum expectatur plenitudo temporis, expectant animae remunerationem debitam. Alias manet poena,
alias gloria; et tamen nec illae interim sine iniuria nec istae sine fructu sunt. Nam et illae (...) videntes
servantibus legem dei repositam esse mercedem gloriae, conservari earum ab angelis habitacula, sibi autem
dissimulationis et contumaciae supplicia futura et pudorem et confusionem, ut intuentes gloriam altissimi
erubescant in eius conspectum venire, cuius mandata temeraverint; cfr. Sant’Ambrogio, De bono mortis, 10, 47,
edizione di C. Moreschini, Sant’Ambrogio, Opere esegetiche, p. 194.
30
Est enim ordo quietis, quia est resurrectionis; cfr. Sant’Ambrogio, De bono mortis, 11, 48, edizione di C.
Moreschini, Sant’Ambrogio, Opere esegetiche, p. 196.
31
Joannis Cassiani, Collationes, Collatio I, De monachi intentione ac fine, caput XIV, De animae perpetuitate,
PL 49, col. 500; si veda anche J. Rivière, Jugement, pp. 1801-1802.

7
eretici, che sostengono: quod ante novissimum examinis diem nullus electus regna coelorum,
nullus reprobus loca penetret inferorum32.
Sono solo alcuni esempi che dimostrano come già nella tarda Antichità si fa strada l’idea di
una purgazione attiva e diversificata delle anime nell’aldilà, almeno delle anime di quelli che
Agostino stesso definisce i medi peccatori, i non valde boni e i non valde mali33.

E pertanto le teorie di Agostino sono il prodotto di un interrogativo puramente teologico. La


loro influenza sull’immaginario escatologico medievale deve essere fortemente rivalutata. Ad
alimentare la percezione del mondo ultraterreno medievale sono piuttosto le testimonianze di
esperienze concrete raccontate da quei visionari che hanno oltrepassato le frontiere tra i due
mondi. L’Apocalisse di san Paolo, la Visio Sancti Pauli, del III secolo deve essere considerato
come il testo fondatore delle visiones medievali. Accanto a questo modello, il quarto libro dei
Dialoghi di Gregorio Magno, composti tra il 593 e il 594, riafferma l’importanza di un
giudizio individuale dopo la morte. Secondo papa Gregorio, dopo la morte ogni anima viene
giudicata e l’esito del giudizio deciderà del luogo e della condizione in cui l’anima sarà posta.
Accanto all’escatologia finale appare dunque un’escatologia individuale. La distribuzione
delle pene in rapporto alla gravità del peccato: Unum quidem est gehennae ignis, sed non uno
modo omnes cruciat peccatores. Uniuscuiusque etenim quantum exigit culpa, tantum illic
sentietur poena34. Si esprime così in Gregorio quella « peccatisation du monde » di cui parla
Peter Brown nel suo saggio sulla nascita del purgatorio35, che conduce in una corrispondenza
precisa al supplizio nell’aldilà di pene materiali e non solo più spirituali – i spiritualia
agostiniani – di natura giudiziaria e purificatrice. Assistiamo ad un cambiamento significativo
del pensare l’altrove. Come sottolinea in maniera precisa Giosuè Lachin, Agostino, nel suo
approccio metafisico, si era concentrato sul fuoco extratemporale del giudizio che avrebbe
saggiato le anime, mentre Gregorio disegna un purgatorio bipartito, un giudizio individuale
che conduce in un inferno o in un paradiso terrestri, dove all’anima spettano pene o gioie
provvisorie36.
Il destino delle anime e i suoi luoghi vanno sempre più precisandosi e trovano, nella ricchezza
della letteratura delle visioni e dei viaggi nell’aldilà, la loro piena realizzazione37. Se la
distinzione tra giudizio universale e giudizio individuale si impone con maggior evidenza, la
crescente importanza di quello individuale non inficia quello della fine dei tempi, ma i due
rimangono profondamente complementari. L’Aldilà è il luogo della realizzazione della

32
Tractatus utrum animae de humanis corporibus exeuntes mox deducantur ad gloriam vel ad poenam, an
expectant diem judicii sine gloria et poena, PL, 96, col. 1379; testo segnalato in J. Baschet, Jugement de l’âme,
jugement dernier, pp. 162-163.
33
Sant’Agostino, Enchiridion, XXIX, 110; edizione di J. Rivière, Paris 1988, p. 304.
34
Gregorio Magno, Dialoghi, IV, c. XLV, edizione di A. de Vogüé, Paris 1980 (Sources Chrétiennes, 265), p.
160.
35
P. Brown, Vers la naissance du purgatoire. Amnistie et pénitence dans le christianisme occidental de
l’Antiquité tardive au Haut Moyen Age, in “Annales HSS”, 52, 6 (1997), p.1260.
36
Si veda l’introduzione di G. Lachin, Il purgatorio di San Patrizio, Maria di Francia, Roma 2003.
37
Rinviamo alle riflessioni di P. Dinzelbacher, Vision und Visionsliteratur im Mittelalter, Stuttgart 1981; Idem,
Revelationes, Turnhout 1991 (Typologie des sources du Moyen Age occidental, 57); Idem, Himmel, Hölle,
Heilige. Visionen und Kunst im Mittelalter, Darmstadt 2002; ma anche alla fondamentale opera di C. Carozzi, Le
Voyage de l’âme dans l’au-delà d’après la littérature latine (Ve-XIIIe siècle), Roma 1994; Idem, Eschatologie et
au-delà. Recherches sur l’Apocalypse de Paul, Aix-en-Provence 1994; a P. M. Ciccarese, Le visioni dell’aldilà
come genere letterario: fonti antiche e sviluppi medievali, in “Schede medievali: Rassegna dell’officina di studi
medievali”, 19 (1990), pp. 266-277; a Idem, Visioni dell’aldilà in Occidente. Fonti, modelli, testi, Firenze 1987,
478 p.; a I viaggiatori del Paradiso. Mistici, visionari, sognatori alla ricerca dell’Aldilà prima di Dante, a cura
di G. Tardiola, Firenze 1993; a J. Amat, Songes et visions. L’Au-Delà dans la littérature latine tardive, Paris
1985; a G. Gatto, Le voyage au paradis. La christianisation des traditions folkloriques au Moyen Age, in
“Annales ESC”, 34, 5 (1979), pp. 929-942.

8
giustizia divina, una doppia giustizia, che interviene subito dopo la morte con il giudizio
individuale e che interverrà poi alla fine dei tempi aprendo le porte all’eternità38. Aaron
Gourevitch ha insistito sul ruolo della letteratura visionaria latina, tra cui per esempio
ricordiamo la visione di Bernoldo di Hincmar di Reims, la visione di Fursay, quella di
Drythelmo e quella del monaco di Wenlock, per la ridefinizione non soltanto della geografia
dell’aldilà ma anche della stessa condizione dell’anima39. Soffermandosi da vicino sulla
visione di Drycthelm riportata da Beda nella sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum –
siamo nel VII secolo – visione che distingue le sorti per i peccatori mortali e per gli altri meno
malvagi, Gourevitch distingue chiaramente i due giudizi parlando di una grande escatologia
universale e di una piccola escatologia individuale40.
Ed è proprio il giudizio individuale imminente ai confini dell’hora mortis ad essere il motore
dell’angoscia di fronte alla morte. Esso determina la direzione del viaggio che l’anima
intraprenderà in una dinamica ben lontana dalla culla dei receptacula agostiniani. Bernardo di
Chiaravalle indicava con precisione i tre luoghi in cui si recheranno le anime dopo la morte a
seconda dell’importanza dei peccati commessi sulla terra: Tria sunt loca, quae mortuorum
animae pro diversis meritis sortiuntur : infernus, purgatorium, coelum e i tre luoghi
corrispondono ad una condizione tra pene e gioie dell’anima.41
Il giudizio individuale è dunque un momento di altissima gravità. Nel libro della vita, angeli e
demoni, che già circondano il moribondo attorno al suo letto, consulteranno la lista delle
buone azioni o delle cattive compiute sulla terra e si disputeranno il possesso della sua
anima42. E` Beda il Venerabile la fonte principale per la tradizione della battaglia tra angeli e
demoni che accerchiano l’anima appena lasciato il corpo43. Una battaglia che troverà ampio
eco in tutta la letteratura esemplare del Due e Trecento e che ricorda come l’hora mortis
assuma sempre più una connotazione drammatica. « Leggesi – riporta il predicatore Iacopo

38
J. Baschet, Jugement de l’âme, jugement dernier, pp. 159-203.
39
A. J. Gourevitch, La Divine Comédie avant Dante, in Idem, La culture populaire au Moyen Age. Simplices et
Docti, Paris 1996, pp. 193-266.
40
« Autrement dit, il s’agit de deux jugements: l’un individuel, qui a lieu immédiatement après le décès, et
l’autre qui est reporté à l’avènement du Messie. Cette solution, incomplète et représentant une sorte de
compromis, est pourtant fort symptomatique. Elle relève d’un dualisme: à coté d’une grande eschatologie
universelle, il en existerait une autre, petite, individuelle »; cfr. A. J. Gourevitch, La Divine Comédie avant
Dante, p. 216.
41
Tria sunt loca, quae mortuorum animae pro diversis meritis sortiuntur : infernus, purgatorium, coelum. In
inferno impii, in purgatorio purgandi, in coelo perfecti. Qui in inferno sunt, redimi non possunt ; quia in inferno
nulla est redemptio. Qui in purgatorio sunt, exspectant redemptionem, prius cruciandi ; aut calore ignis, aut
rigore frigoris, aut alicujus gravitate doloris. Qui in coelo sunt, gaudio gaudent ad visionem Dei, Christi fratres
in natura, cohaerendes in gloria, similes in aeternitate jucunda (…) Locus est voluptatis, ubi torrente voluptatis
potantur justi ; locus splendoris ubi justi fulgent sicut splendor firmamenti ; locus laetitiae, ubi laetitia
sempiterna super capita eorum ; locus abundantiae, ubi nihil deest videntibus eum ; locus suavitatis, ubi apparet
Dominus suavis universis ; locus pacis, ubi in pace factus est locus ejus, locus admirationis, ubi sunt mirabilia
opera ejus ; locus satietatis, ubi satiabimur cum apparuerit gloria ejus ; locus visionis, ubi videbitur magna
visio. O regio sublimis, plena divitiarum; cfr. Bernardo di Chiaravalle, Sermones de diversis, PL 183, coll.
663D-664D.
42
Di questa disputa si prenda in considerazione l’iconografia che accompagna le Artes moriendi, o Artes bene
moriendi, che pullulano alla fine del Medioevo. Per un approfondimento si veda ad esempio A. Chené-Williams,
Vivre sa mort et mourir sa vie : l’art de Mourir au XVe siècle, in Le sentiment de la mort au Moyen Age. Actes
du Ve colloque de l’Institut d’études médiévales de l’Université de Montréal, a cura di C. Sutto, Montréal 1979,
pp. 169-182; N. F. Palmer, Ars moriendi und Totentanz : zur Verbildlichtung des Todes im Spät Mittelalter, in
Tod in Mittelalter, a cura di A. Borst, G. V. Graevenitz e alii, Konstanz 1993, pp. 313-334; e F. Bayard, L’art du
bien mourir au XVe siècle. Etude sur les arts du bien mourir au bas Moyen Age à la lumière d’un Ars moriendi
allemand du XVe siècle, Paris 1999.
43
Beda il Venerabile, Historia ecclesiatica gentis Anglorum, 13, PL 95, coll. 252-253; su Beda sono appena stati
pubblicati gli atti del convegno Bède le Vénérable entre tradition et postérité, a cura di S. Lebecq, Villeneuve
d’Ascq 2005.

9
Passavanti – che fu uno cavaliere in Inghilterra, prode dell’arme ma de’ costumi vizioso, il
quale, gravemente infermato, fu visitato dal re, ch’era santo uomo, e indotto che dovesse
aconciarsi dell’anima, confessandosi come buono cristiano. Rispuose e disse che non era
bisogno, e che non volea mostrare d’aver paura né esser tenuto codardo o vile (…). Ora, che
mai non foss’io nato, m’é tolt’ogni speranza, ché, poco dinanzi che voi entraste a me,
vennono due bellissimi giovani e puosonsi l’uno da capo del letto e l’altro da piè e dissono:
"Costui dee tosto morire, veggiamo se noi abbiamo veruna ragione in lui ». E l’uno si trasse di
seno uno picciolo libro, scritto in lettere d’oro, dove avegnaché in prima non sapessi leggere,
lessi certi piccioli beni e pochi ch’io aveva fatto nella mia giovanezza, inanzi che mortalmente
pecassi: né non me ne ricordava. E avendone grande letizia, sopravennoro due grandissimi,
nerissimi e crudelissimi demoni e puosono davanti a’ miei ochi uno grande libro aperto, ove
erano scritti tutt’i miei pecati, e tutt’i mali ch’io avea mai fatti (…). E così partendosi (gli
angeli) mi lasciarono nelle mani de’ demoni, i quali con due coltella taglienti mi segano, l’uno
dal capo e l’altro da’ piedi. Ecco quelli da capo mi taglia ora gli occhi, e già ho perduto il
vedere; e l’altro ha già segato infino al cuore, e non posso più vivere. E dicendo queste parole
si morì »44.
Sono immagini, queste, di una forza e di un impatto esemplari che materializzano la paura
della morte45, una paura condizionata proprio dal giudizio imminente e quindi dalla
prospettiva di finire all’inferno allontanandosi così dalle letizie divine e subendo le più
terribili sevizie. Ma il sentimento di angoscia e di paura è anche intimamente legato alla
tristezza di fronte ad una ineluttabile duplice separazione, quella di un’anima che non vuole
separarsi dal corpo e quella di un individuo che non vuole separarsi dai suoi cari e dai beni
terrestri. Un momento, quello che Ariès ha definito la « mort de soi »46, al quale bisogna
necessariamente ed accuratamente prepararsi al fine di evitare il pericolo di una « mort
subite », solitaria, fulminante, imprevista, idea terrificante, sulla quale i predicatori medievali
hanno incessantemente insistito. Ci sono alcune tappe obbligatorie per prepararsi alla buona
morte assicurandosi così, dopo un periodo di necessaria purgazione, la via ad una eternità di
luce e di pace nella dimora di Dio e sfuggendo al rischio di sprofondare nella gola profonda e
scura del pozzo infernale47. Bisogna essenzialmente fare penitenza, confessare i propri
peccati, fare l’atto di contrizione sincero e non dimenticare di redigere il proprio testamento.
Una preparazione meticolosa e progressiva che suggerisce come la pace dell’aldilà vada
anticipata o perlomeno preparata da vivi.
Questo terrore delle pene infernali, esito di un giudizio individuale negativo, lo si riscontra
con insistenza nella letteratura religiosa. Scelgo, tra i molti possibili, un esempio proveniente
da un laudario ad uso della confraternita dei Battuti di Santa Maria della Misericordia di

44
“Il cavaliere dissoluto e la contesa fra gli angeli e i diavoli per la sua anima”, Iacopo Passavanti, Specchio di
vera penitenza, in Racconti esemplari di predicatori del Due e Trecento, a cura di G. Varanini e G. Baldassarri,
Roma 1993, II, pp. 536-538.
45
P. Dinzelbacher, Angst im Mittelalter: Teufels, Todes und Gotteserfahrung. Mentalitätsgeschichte und
Ikonographie, München-Wien 1996; J. Delumeau, Il peccato e la paura. L’idea di colpa in Occidente dal XIII al
XVIII secolo, Bologna 2000 (Paris 1983); Idem, La paura in Occidente, secoli 14.-18. La città assediata, Torino
1994 (Paris 1978).
46
Ph. Ariès, Essais sur l’histoire de la mort en Occident du Moyen Age à nos jours, Paris 1975, pp. 37-50.
47
J. Baschet, Comment échapper aux supplices de l’enfer, in Vivre au Moyen Age, Paris 1998 (Dossier Historia),
pp. 54-62; Idem, La peur de l’enfer et ses limites, in Idem, Les justices de l’au-delà. Les représentations de
l’enfer en France et en Italie (XIIe-XVe siècle), Roma 1993, pp. 533-581; Idem, L’enfer en son lieu : rôle
fonctionnel des fresques et dynamisation de l’espace cultuel, in Luoghi sacri e spazi della santità, a cura di S.
Boesch Gajano e L. Scaraffia, Torino 1990, pp. 551-564; Idem, I peccati capitali e le loro punizioni
nell’iconografia medievale, in C. Casagrande e S. Vecchio, Storia dei peccati nel Medioevo, Torino 2000, pp.
225-260; Idem, Les conceptions de l’enfer en France au XIVe siècle: imaginaire et pouvoir, in “Annales ESC”,
1 (1985), pp. 185-207; Lavorare all’inferno. Gli affreschi di Sant’Agata de’ Goti, a cura di C. Frugoni, Roma-
Bari 2004.

10
Udine conservato nel manoscritto degli statuti del 1445 ma compilato già alla fine del
Trecento. In una delle laude si invita con parole folgoranti a temere l’inferno:
« Le pene de l’inferno tema tutta çente
lo fogo eterno e stridor de denti
L’anima danata ch’è lagiù çitada in tanta tenebria »48.

L’immagine di una verticalità vertiginosa tra oscurità, grida e fiamme che bruciano eterne
assume tutta la sua funzione di ammonizione e dunque di esortazione per il fedele a seguire la
giusta via. Sempre a Udine, in altre due laude quattrocentesche, che riportiamo nella loro
integralità, ritroviamo la paura e l’angoscia per le tristi sorti infernali che attendono l’anima
del peccatore. L’unico strumento di salvezza sembra essere l’intercessione della corte celeste,
soprattutto di Cristo e di Maria, affinché con la loro misericordia assicurino all’anima un
destino migliore. Ci si rivolge allora direttamente e individualmente a loro nella speranza
della salvezza :

Laude anonima Laude prima di morire della beata Elena da


Udine (1395/1396-1458)
« Maria de lo ciel regina
de Iesu dolce figla madre et sposa « O Jesù, Jesù veni mio diletto,
verzina gloriosa che io Helena grande peccatrice t’aspeto,
porzi socorso a l’ama mia mischina con grande pena e con grande defetto.
porçi socorso verzina gentille O Jesù dolce amor mio,
al tuo mischino servente Con gran desiderio t’aspetto io.
et non guardar che verso te sia vile Veni, Jesù, e non tardare
questa anima dolente L’anima mia a visitare,
verzine intercedente Perchè quanto più starò,
porzi socorso a mi che tel domando Io tanto pezo haverò.
et traziora may di bando O Signore, non me abandonare
l’anima mia che a ty ura el s’inchina In la mia infirmitade.
calça el santo reluçente ziglo E per li mei meriti non è,
verzina benedeta Ma per la tua sancta passione
et per mi prega el to piatoso figlo E per lo merito del sangue santissimo,
per cuy tu fosti eleta Che spargesti in croce, Jesù altissimo,
verzina pura e neta Per amore de li peccatori
che sey de pecatori speranza vera Havendo, pio Signore.
beati che in te spera O passione di Cristo, conforta me.
che za non meter il suo sperar invano O bon Jesù a te fa venire me.
Jo o posto solo in te el mio sperare O bon Jesù habi misericordia de mi.
voio me exaudire O bon Jesù exaudi me.
porzi mi mano e non me arbandonare Veni Jesù, sposo diletto dell’anima mia,
non me lasar perire Dello paradiso mostrami la via,
madre non consitire Acciò che io vegna in la tua sancta
che l’anyma topina ora may perischa compagnia,
nela tribela trescha Io Helena sposa e serva tua. Amen »50.
del crudo inferno che may non perdona

48
Confraternita dei Battuti. Statuto e laudario, Udine, 1445 ; Biblioteca Civica « V. Joppi » (=BCU), ms. Osp.
B., sec. XV, c. 12r.; la lauda è anche riportata nel laudario di Pordenone, Parigi, BnF, ms. it. 2104, c. 9r. Per
l’edizione del laudario di Udine si veda G. Fabris, Il più antico laudario veneto : con la bibliografia delle laude,
Vicenza 1907 ; e Idem, Laude antiche e laude moderne : contributo alla storia della poesia ascetica, Udine
1906.

11
dolce benigna madre graciosa
solo non me lasare
e fa che l’alma misere et doglosa
cognoscha el so falare »49

L’anima dolente, l’anima tapina, schiacciata e macchiata dal peso del peccato, si rivolge agli
avvocati supremi, la Vergine e Cristo. « Dello paradiso tu devi mostrarmi la via », implora
Elena da Udine51, che morì in profumo di santità, suggerendo dunque la meta bramata del
viaggio dopo la morte ; un’analoga implorazione di soccorso lancia l’anonimo cantore
udinese. Ma la speranza di salvezza ha ormai assunto una sua diversa concretezza. Come è
noto, dall’aldilà binario, inferno e paradiso, quale lo si immaginava nella tarda Antichità, si fa
spazio attorno al XII secolo un luogo intermedio, il purgatorio. Dall’aggettivo purgatorium
che indicava quel fuoco di cui si parla nel XX libro della Città di Dio ma di cui parla molto
chiaramente anche Beda52, si impone il sostantivo purgatorio. L’invenzione del purgatorio
come dimostra Jacques Le Goff nel suo celeberrimo libro pubblicato nel 198153, è
l’invenzione di un luogo vero e proprio, luogo intermediario tra inferno e paradiso in cui le
anime, senza nome54, purgano purificandosi i loro peccati. Di questo sostantivizzarsi, il
Purgatorio di San Patrizio scritto da Henri de Saltrey verso la seconda metà del XII secolo, è
la prima conferma letteraria55.
Dalla lettera di papa Innocenzo IV (1243-1254) al cardinale di Châteauroux in cui si
riconosce l’esistenza del purgatorio al concilio di Lione del 1274, indetto da papa Gregorio X
(1271-1276), fino al concilio di Ferrara-Firenze del 1438/1439 organizzato da papa Eugenio
IV (1431-1447), la storia del purgatorio corrisponde ad una volontà precisa da parte della
Chiesa di fissare con più rigore, chiarezza e precisione le frontiere dell’aldilà e allo stesso

49
Archivio di Stato di Udine (=ASU), Archivio della Porta, busta 9, fasc. 1.
50
Simone da Roma, Libro over legenda della beata Helena da Udene, edizione a cura di A. Tilatti, Tavagnacco
1988, p. 162.
51
A. Tilatti, Per man di notaro : la beata Elena Valentinis da Udine tra documenti notarili e leggende
agiografiche, in “Cristianesimo nella storia”, 8 (1987), pp. 501-520.
52
Ceterum sunt plures in ecclesia iusti qui post carnis solutionem continuo beata paradisi requie suscipiuntur
expectantes in magno gaudio in magnis congaudentium choris quando recepto corpore veniant et appareant
ante faciem Dei. At vero non nulli propter bona quidem opera ad electorum sortem praeordinati sed propter
mala aliqua quibus polluti de corpore exierunt post mortem severe castigandi excipiuntur flammis ignis
purgatorii et vel usque ad diem iudicii longa huius examinatione a vitiorum sorde mundantur vel certe prius
amicorum fidelium precibus elemosinis ieiuniis fletibus et hostiae salutaris oblationibus absoluti a poenis et ipsi
ad beatorum perveniunt requiem; cfr. Beda il Venerabile, Homelia, I, 2, In Adventu; cfr. Bedae Venerabilis
Opera, Pars III, Opera Homiletica, in Corpus Christianorum series latina (=CCL), 122, pp. 12-13.
53
J. Le Goff, La nascita del purgatorio, Torino 1982 (Paris 1981). Sul purgatorio segnaliamo i già citati H.
Neveux, Les lendemains de la mort; P. Brown, Vers la naissance du purgatoire; ma anche La mort et l’au-delà
en France méridionale (XIIe-XVe siècle), Toulouse 1998 (Cahiers de Fanjeaux, 33); e M. Fournié, Le Ciel peut-
il attendre? Le culte du Purgatoire dans le Midi de la France (1320 environ-1520 environ), Paris 1997.
54
(...) cumque in eum intenderet, et an ipse Evrardus vocaretur – sic enim eum quondam constiterat appellari –
suppliciter rogitaret, ipse negavit. Nec mirum, si spiritus eo se nomine insigniri diffiteretur, quo homo olim
fuerat, spiritus enim spiritui nihil aliud quam quod spiritualitati congruum sit respondere debuerat. Mutuam
autem spiritus per nomina habere notitiam, credi valde ridiculum est, alioquin in futuro saeculo, rara nisi
nostratium cognitio est. Nomina plane non necesse est habere spiritus, quorum tota visio, immo visionis scientia
est ab intus; cfr. Guiberto di Nogent, De Vita sua, I, 18, edizione di E.-R. Labande, Paris 1981, pp. 148-150.
55
Henri de Saltrey, Tractatus de purgatorio sancti Patricii, edizione di Karl Warnke, Das Buch vom
Espurgatoire S. Patrice der Marie de France und seine Quelle, Genève 1976 (1938); Yolande de Pontfarcy,
Marie de France, L’Espurgatoire Saint Patriz, Louvain-Paris 1995; G. Lachin, Il purgatorio di San Patrizio,
Maria di Francia, Roma 2003; sul purgatorio di san Patrizio si veda l’articolo di J. Le Goff, Les gestes du
purgatoire, in L’art des confins. Mélanges offerts à Maurice de Gandillac, a cura di A. Cazenave e J.-F. Lyotard,
Paris 1985, pp. 457-464.

12
tempo la necessità di far fronte alle credenze devianti che un luogo impreciso e incontrollabile
come quello intermedio poteva alimentare. Come riassume magistralmente Jean-Claude
Schmitt, il purgatorio, oltre che precisare la geografia dell’aldilà, introduce una idea nuova
della felicità aprendo ad un pubblico maggiore le porte della salvezza e della speranza di
contemplare nella gioia del paradiso la luce divina56. Maggiore speranza di salvezza che
conduce, in ottica pedagogica, all’importanza di un pentimento in punto di morte. E tuttavia,
se il purgatorio è, come lo descrive Philippe Ariès, l’anticamera provvisoria del paradiso57, la
condizione delle anime non è di certo di tutto riposo né di pura pace. Non sorprende che la
purificazione delle anime, pensate come dei veri e propri corpi, imponga una sofferenza
gerarchicamente strutturata e temporalmente distribuita, una logica matematica proporzionale
tra i peccati commessi e il tempo di purificazione nel purgatorio58.
Le testimonianze sulle condizioni di sofferenza delle anime in purgatorio sono numerose.
« Visto che il purgatorio – scrive il francescano Marquardo di Lindau in pieno Trecento – è
così amaro e che rapidamente si dimenticano le anime, desidero che la tua carità mi dica come
deve comportarsi un malato ormai sicuro di morire per evitare di soffrire nel purgatorio »59.
Sempre Marquardo precisa chi avrà accesso al purgatorio e raccogliendo le anime in sei
categorie, insiste sulle pene attraverso le quali esse si purificheranno durante la loro
permanenza. « Impara – scrive l’autore – che gli uomini lasciano il mondo in sei maniere
differenti. Primo: i bambini piccoli non battezzati raggiungono un luogo in cui non soffrono
fisicamente ma non vedono mai in tutta l’eternità il volto del Signore. Secondo: i bambini
battezzati che muoiono poco dopo non capaci dunque di discernere tra il bene e il male,
raggiungono direttamente il regno eterno al servigio di nostro Signore Gesù Cristo. Terzo: gli
uomini perfetti e totalmente purificati di ogni macchia e di ogni peccato raggiungono
direttamente e senza pene il regno eterno. Quarto: l’anima dei peccatori che si sono pentiti e
confessati ma non hanno compiuto la totalità della loro penitenza prima di morire raggiunge il
purgatorio fino alla fine della loro penitenza. Quinto: quelli che si sono visti imporre una
penitenza leggera dal loro confessore raggiungono il purgatorio per purificarsi. Sesto: quelli
che hanno vissuto nella grazia divina, rispettando i suoi comandamenti di Dio ma peccando
venialmente nella vita quotidiana, hanno dimenticato di confessare le loro colpe e le hanno
dunque portate con sé al momento del trapasso : debbono dunque soffrire nel purgatorio »60.
Sarebbe dunque possibile considerare che il tempo dei supplizi purgatoriali sia un tempo già
di gioia proprio perchè esso annuncia e prepara l’accesso al regno del cielo? L’idea di un
purgatorio, luogo sì di sofferenze e di irrequietezza, ma al contempo luogo di felicità e di
pace, la si riscontra ad esempio nel tradizione mistica di una Caterina da Genova (1447-
1510)61. Nel suo Trattato sul Purgatorio – un trattato di stampo più mistico che allegorico,
dedicato alle condizioni dell’anima in purgatorio che attende di accedere alle beatitudini del
paradiso – Caterina descrive la giusta purificazione dell’anima secondo il volere divino ma
sostiene che l’anima già gioisce di un sentimento e di una sensazione di pace e di gioconda
letizia che prefigurano l’eterna felicità paradisiaca. Sono questi i termini con cui racconta la
sua visione: « Come, per comparazione del divino fuoco che sentiva nel cuore, il quale le

56
Si veda la prefazione di Jean-Claude Schmitt a Jean Gobi. Dialogue avec un fantôme, edizione di M.-A. Polo
de Beaulieu, Paris 2004 (1994), p. XVII.
57
Ph. Ariès, Le purgatoire et la cosmologie de l’Au-delà, in “Annales ESC”, 38, 1 (1983), p. 156.
58
C. Vincent, Les confréries médiévales dans le royaume de France (XIIIe-XVe siècle), Paris 1994, p. 105.
59
Marquardo di Lindau, Das Buch der zehn Gebote, edizione di Venezia del 1483, pubblicata da W. van Maren,
Amsterdam 1984 (Quellen und Forschungen zur Erbauungsliteratur des späten Mittelalters und der frühen
Neuzeit, 7), p. 43; il brano è tradotto in francese da C. Lecouteux, Dialogue avec un revenant, XVe siècle, Paris
1999, p. 101. Proponiamo qui una traduzione personale.
60
Marquardo di Lindau, Das Buch der zehn Gebote, p. 43; cfr. C. Lecouteux, Dialogue avec un revenant, p. 117.
Proponiamo qui una traduzione personale.
61
Caterina da Genova, Trattato del Purgatorio, a cura di M. Rolfo, Palermo 2004.

13
purificava l’anima, vedeva interiormente e comprendeva in quali condizioni si trovassero le
anime nel purgatorio per essere mondate da ogni peccato, prima di presentarsi al cospetto di
Dio, nella vita beata (…) conseguentemente, non possono peccare e neppure compiere opere
meritorie. Non credo si possa trovare una contentezza simile a quella che prova un’anima nel
purgatorio, se non quella che vivono i santi, in paradiso. Questa contentezza cresce ogni
giorno, per la corrispondenza di Dio in quelle anime. Cresce perché giornalmente si consuma
l’impedimento di detta corrispondenza »62. Poi chiarisce meglio la duplicità del luogo:
« Sicché, nel purgatorio le anime hanno un contento grandissimo e una pena grandissima, e
l’una cosa non impedisce l’altra »63.
Ma le percezioni della condizione dell’anima possono essere anche molto diverse. Quella di
Girolamo Savonarola ne è un buon esempio. Nel 1496, il predicatore avvisa il popolo di
quella Firenze ‘nuova Gerusalemme’: « Se tu farai anche quanto io ti ho detto, non solamente
che tu scampi dallo Inferno, ma tu scamperai anche forse le pene del purgatorio, dove sono
gravissime pene e, a chi vi è dentro, pare ogni ora mille di uscire di quelle pene. E però
doverria ognuno oggi fare bene per li morti, perchè loro aspettano le nostre orazioni, perchè
non possano meritare più nulla per loro medesimi, se non sono aiutati per le orazioni della
Chiesa. Oh, se tu sapessi quanto aspre sono le pene del Purgatorio, tu eleggeresti più presto
ch’el ti venissi addosso tutte le guerre, carestie e pestilenze di questa vita, che stare in quelle
pene del Purgatorio »64. Le intenzioni di Caterina e di Savonarola sono abissalmente diverse.
Caterina, infuocata dall’amore divino, nella sua visione percepisce il purgatorio come
anticamera del paradiso, paradiso che è luce e amore di Dio. In questa anticamera, l’anima
non può che procedere verso quella luce che l’aspetta e vi coglie di già alcuni raggi delle
letizie di quell’amore eterno. Savonarola sta predicando, sta educando i fedeli con parole
taglienti, indicando loro il cammino verso la salvezza. Pedagogia della minaccia e
dell’inquietudine la sua : Jean Delumeau parlerebbe di pastorale della paura65, volta alla
disfatta dei peccati che corrompono il mondo. Da una parte, dunque, impazienza e serenità,
dall’altra angoscia, paura e tormenti.
Tra tutte le pene che le anime subiscono nel purgatorio e diversamente e con maggior
intensità nell’inferno, vi è soltanto un momento su cui vale la pena soffermarsi anche
brevemente, un momento che potremmo definire di una pace effimera. Viene infatti concesso
alle anime tormentate qualche breve attimo di riposo la domenica e le feste importanti del
calendario liturgico, soprattutto il periodo pasquale. Il tema del riposo settimanale è di antiche
origini. Lo si trova ad esempio nell’Apocalisse di Paolo, e più tardi nel V secolo, in
Prudenzio66. Aveva influenzato anche la pratica giudiziaria, come ad esempio il codice
teodosiano che prevedeva per i prigionieri un’uscita domenicale per andare ai bagni
pubblici67. Ma è la tradizione visionaria che conferma questo breve attimo di sospensione dai
tormenti. La visione di un monaco del monastero di Wenlock, narrata da san Bonifacio, è
estremamente significativa68. Il monaco vede una serie di pozzi eruttanti fiamme (igneos
puteos horrendam eructantes flammam) che sono situati nelle parti inferiori di questo mondo

62
Ibidem, pp. 33-34.
63
Ibidem, p. 45.
64
G. Savonarola, Predica XXVIII. Dell’arte del ben morire, fatta a’ di 2 di novembre 1496, in Prediche sopra
Ruth e Michea, a cura di V. Romano, Roma 1962, II, pp. 389-390.
65
J. Delumeau, La pastorale de la peur, in Idem, Le péché et la peur. La culpabilisation en Occident (XIIIe-
XVIIIe siècles), Paris 1983, pp. 369-624.
66
Ad esempio Prudenzio, Cathemerinon, hymnus 5 (hymnus ad incensum lucernae), 125-136 : Sunt et spiritibus
saepe nocentibus poenarum celebres sub Styge feriae illa nocte, sacer qua rediit Deus stagnis ad superos ex
Acherunticis; cfr. Prudence, Cathemerinon liber, edizione di M. Lavarenne, Paris 1943, p. 30
67
Codice teodosiano, 9. 3. 7; indicazioni e approfondimenti in P. Brown, Vers la naissance du purgatoire, p.
1253.
68
Si veda la presentazione di C. Carozzi, Le Voyage de l’âme, pp. 195-225.

14
(in inferioribus huc mundo). In mezzo alle fiamme sono puniti i peccatori in forma di uccelli
neri che gemono con voce umana69. A questi uccelli è concesso talvolta un breve riposo sugli
argini del pozzo: uno degli angeli che accompagnano il monaco spiega che questo brevissimo
momento di riposo (parvissima haec requies) simboleggia la grazia che Dio accorderà loro al
momento del Giudizio, quando verrà loro concesso il riposo eterno (requiem perpetuam)70.
Che la domenica sia un giorno di riposo anche per le anime purganti spiega tra l’altro il
perché delle messe per i defunti che si tengono il lunedì detto appunto dei morti, giorno in cui
riprendono i supplizi dell’aldilà71.
La condizione delle anime, malgrado il riposo domenicale, rimane comunque una condizione
tormentata. L’anima nel fuoco del purgatorio non conosce la pace assoluta, non soltanto a
causa dei supplizi a cui è sottoposta ma anche a causa di un profondo e forte desiderio che la
pervade, di ricongiungersi al suo corpo nel giorno del giudizio finale, nel giorno della
risurrezione dei corpi72.
Se prendiamo a testimone la letteratura visionaria ed escatologica in generale, non possiamo
che ricordare come la pace, quella eterna, sia possibile solo nel paradiso73. Bisogna dunque
alzare gli occhi un istante verso il luogo dei luoghi per capire meglio i linguaggi e le
immagini di questa pace che le anime bramano. Gli esempi potrebbero essere moltissimi,
mentre da sola la Divina Commedia fornisce senza dubbio l’immagine più elaborata,
sistematica e definitiva del percorso nell’aldilà dai cerchi infernali fino alle vette
dell’empireo. Ma un rapido sondaggio nella letteratura visionaria può essere più che prezioso.
E` la visione di Tungdal che ci fornisce le allusioni più belle all’idea di un riposo e dunque di
una pace dei sensi nel paradiso74. Il testo in latino, del XII secolo, redatto da un certo Marcus

69
L’assimilazione delle anime dei morti a degli uccelli ha delle origini antichissime e si ritrova, sotto varie
forme, in molte civiltà quali la greca (l’anima, psyché, rappresentata sotto forma di farfalla), la paleocristiana
(spesso le colombe sono rappresentate sulle pareti delle catacombe) e la celtica (gli uccelli sono assimilati alle
anime dei defunti, Immram Ua Corra). Per le tradizioni greco-latine si veda per esempio C. Noireau, La lampe
de Psyché, Paris 1991, pp. 11-52; per quelle celtiche, R. A. Bartoli, La Navigatio Sancti Brendani e la sua
fortuna nella cultura romanza dell’età di mezzo, Fasano 1993.
70
Interea referebat se quasi in inferioribus in hoc mundo vidisse igneos puteos horrendam eructantes flammam
plurimos et erumpente tetra terribilis flamma ignis volitasse, et miserorum hominum spiritus, in similitudine
nigrarum avium per flammam plorantes, et ululantes, et verbis et voce humana stridentes, et lugentes propria
merita et praesens supplicium, consedisse paululum haerentes in marginibus puteorum, et iterum ejulantes
cecidisse in puteos. Et unus ex angelis dixit: Parvissima haec requies indicat quia omnipotens Deus in die futuri
judicii his animabus refrigerium supplicii et requiem perpetuam praestiturus est. Sub illis autem puteis adhuc in
inferioribus et in imo profundo, quasi in inferno inferiori audivit horrendum, et tremendum et dictu difficilem
gemitum et fletum lugentium animarum; il brano è edito in Monumenta Germaniae Historica (=MGH), Epistolae
Merovingici et Karolini, I, pp. 252-264.
71
M.-A. Polo de Beaulieu, Le Lundi des trépassés. Création, diffusion et réception d’un rituel, in “Annales
HSS”, 53, 6 (1998), pp. 1191-1217; anche M. Lauwers, Les formes de la messe pour les défunts, in Idem, La
mémoire des ancêtres, le souci des morts. Morts, rites et société au Moyen Âge (diocèse de Liège, XIe-XIIIe
siècle), Paris 1997, pp. 376-381.
72
In merito a questo irrequieto desiderio si veda J. Baschet, Ame et corps dans l’Occident médiéval, p. 16; per la
resurrezione dei corpi si vedano le opere di C. W. Bynum, The resurrection of the body; e Eadem,
Fragmentation and Redemption: Essays on Gender and the Human Body in Medieval Religion, New York 1992.
73
Rinviamo alla trilogia di J. Delumeau consacrata al paradiso: J. Delumeau, Storia del paradiso: Il giardino
delle delizie, Bologna 1994; Idem, Une histoire du paradis. Mille ans de bonheur, Paris 1997; Idem, Quel che
resta del paradiso, Milano 2001; si vedano anche le riflessioni di J. Baschet, Le sein du Père. Abraham et la
paternité dans l’Occident médiéval, Paris 2000; Idem, Vision béatifique et représentation du paradis (XIe-XVe
siècle), in La visione e lo sguardo nel Medioevo, Firenze 1998 (Micrologus, VI), pp. 73-93.
74
Mattia Cavagna sta terminando una tesi di dottorato sulla visione di Tondale e sulle sue versioni francesi del
XIV e del XV secolo all’Università di Paris IV-Sorbonne (dir. J. Cerquiglini-Toulet) e all’Università di Bologna
(dir. A. Fassò). La tesi prevede l’edizione di due traduzioni anonime e delle versioni di Jean de Vignay, David
Aubert e Regnaud le Queux. Si veda M. Cavagna, La Visione di Tungdal e la scoperta dell’Inferno, in “Studi
Celtici”, 3 (2004, di prossima pubblicazione); Idem, La maladie dans les récits visionnaires médiévaux, in La

15
a Ratisbona, e le numerosissime traduzioni che si sono fatte nel corso del Medioevo, a
testimoniare la fortuna della visione, raccontano il viaggio che il cavaliere irlandese ha potuto
compiere nell’aldilà. Se ripercorriamo qualche passo dalla visione di Tungdal, vediamo
l’angelo che fa da guida al viaggiatore evocare sempre il paradiso come luogo di gloria e di
riposo, che i due raggiungeranno dopo essere usciti dall’inferno75. Davanti alle porte del
paradiso, Tungdal chiede alla sua guida chi siano quelle persone che, aspettando di esservi
ammesse, non subiscono i tormenti infernali. Sono, dice l’angelo, coloro che nella vita non
hanno commesso peccati mortali ma che non distribuirono ai poveri i beni temporali concessi
loro da Dio, ma li tennero per sè dimentichi dell’importanza dell’elemosina e della carità.
Sono qui, tra vento e pioggia, aspettando di raggiungere il luogo di pace e di gioia76. Giunti,
alla fine del viaggio, in paradiso, Tungdal e il suo angelo guida scoprono un luogo magnifico
composto da una serie di giardini fioriti, caratterizzati da alcuni elementi simbolici : la
fontana della vita, l’albero che simboleggia la chiesa. Qui i santi trovano il giusto riposo
attorno alla fontana o all’ombre dell’albero77.
Lussureggiante natura, freschezza di limpide acque, il paradiso si svela nella sua incantevole
luce di calma e voluttà. Giacomino da Verona, frate minore osservante nel suo De Jerusalem
Celesti et de pulcritudine eius et beatitudine et gaudia sanctorum, ne offre un’immagine
precisa:
« D’oro è embrostae le söe vestimente,
blançe plui ke nevo e plui de rose aolente,
e tant’ à setille le veçue e le mente
ke de celo en terra cognoxo e vé la çente.
Ferma segurtà sì à tuti del so corpo
k’el no dé mai morir unca d’alguna morto,
mo sempro aver vita, requïa e reponso
e gaudio e solaço e pax de gran conforto »78.

Gioia, pace e conforto, ecco il regno di Dio. Luogo dell’iperbole, il paradiso è caratterizzato
dall’assenza di ogni tribolazione. Fuori dal tempo, fuori dalla condizione del corpo, come lo
ricorda Ugo di San Vittore (1096-1141), il lessico che ne descrive le meraviglie è un lessico

maladie et la mort au Moyen Age. Atti del convegno di Amiens (gennaio 2004), a cura di D. Buschinger,
Amiens 2004 (Médiévales, 30), pp. 36-45; Idem, La Navigatio sancti Brendani et ses liens avec la tradition
visionnaire, in “Medioevo Romanzo”, 26 (2002), pp. 30-48.
75
« (...) nous tirons et desormais approcherons les lieux des bien eurez, c’est a entendre les lieux de gloire et de
repos »; Los Angeles, Paul Getty Museum, ms. 30, fol. 34ra. Questa versione francese della visione è stata scritta
scritta da David Aubert et commissionata da Margherita di York, sorella di Edoardo IV re d’Inghilterra,
duchessa di Borgogna e moglie di Carlo il Temerario. Per l’edizione del testo latino originale, del 1149, si veda
B. Pfeil, Die Vision des Tnugdalus Albers von Windberg. Literatur – und Frömmigkeitsgeschichte im
ausgehenden 12. Jahrhundert. Mit einer Edition der lateinischen Visio Tnugdali aus Clm 22254, Francfort 1999
(Mikrokosmos. Beiträge zur Literaturwissenschaft und Bedeutungsforschung, 54).
76
« Quelz gens sont ce quy la demeurent en ce lieu sans endurer tormens? Et l’angele luy respondi : Ce sont
ceulz quy oncques au monde ne commisrent grans maulz, et quy se y garderent et conduisrent honnestement;
mais les biens temporelz que Dieu Nostre Seigneur leur avoit prestez pour en departir aux povres, quy pour
l’amour de Dieu le demandoient, point ne le firent si lealment comme ilz debvoient ; et pour tant ont ilz desservy
a endurer le vent et les pluyes tant comme a Dieu plaira ; et après seront menez en lieu de repos »; Paul Getty
Museum, ms. 30, fol. 34rb.
77
« Haa, chier sire – dist l’ame al angele – maiz quelles ames sont ce quy la se reposent entour de la fontaine ?
(fol. 35ra) (...). Et adont dist l’ame au bon angele : Haa, chier sire, plaise toy que nous demourons en ce lieu de
repos" (fol. 37vb) (…) Et dessoubz cel arbre croissoient flours de roses et de liz a grant plenté et toutes manieres
de herbes et d’espices quy oudeur rendoient a ceulz quy dessoubz cel arbre se reposoient (…) (fol. 41ra) »; Paul
Getty Museum, ms. 30.
78
Giacomino da Verona, De Jerusalem Celesti et de pulcritudine eius et beatitudine et gaudia sanctorum, vv.
193-204; cfr. Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli 1960, I, pp. 634-635.

16
imperniato sull’eliminazione dei limiti della vita : De beatitudinis animae, et ferculus vitae
aeternae ; descriptioque virtutum per quas ad eas pervenitur (…) in ea siquidem coelesti
patria est vita sine morte, juventus sine senectute, sanitas sine infirmitate, requies sine labore,
gaudium sine tristitia, pax sine discordia, delectatio sine fastidio, lux sine tenebris,
pulchritudo sine turpitudine, agilitas sine ponderositate, fortitudo sine imbecillitate, libertas
sine servitude, voluptas sine anxietate, longaevitas sine vitae termino, sapientia sine
insipientia, amicitia sine inimicitia, concordia sine discordia, honor sine dedecore, securitas
sine timore79.
Nel cammino verso la pace paradisiaca, l’anima viene caratterizzata dunque dalla sua
profonda e stridente indigenza. Senza nome, senza nessuna possibilità di interagire o di
migliorare personalmente la sua condizione né di abbreviare la durata della sua purificazione,
essa non può che contare su di un aiuto esterno, l’aiuto degli « amici » rimasti in vita, di
quella comunità solidale, carnale o spirituale, che durante la sua sosta terrena, strutturava il
suo essere sociale. L’unica compagnia dell’anima nel purgatorio è quella del suo angelo
custode, che assicura la giusta ripartizione dei tormenti e il rispetto della volontà di Dio, ma
che non sembra poter interagire a favore dell’alleviamento delle sue pene80. La figura
dell’angelo custode è dunque una figura assolutamente interessante, che accompagna il morto
dalla separazione dell’anima dal corpo al viaggio nel purgatorio81, come lo illustra molto bene
il pellegrinaggio dell’anima raccontato dal cistercense Guillaume de Digulleville tra il 1355 e
il 135882.

Ripercorrendo in maniera sintetica la lunga e complessa riflessione che dall’Antichità al


Medioevo ha cercato di disegnare i contorni e i destini dell’aldilà, siamo giunti a ricordare
come in fondo l’idea di pace e di riposo immediati dopo la morte sia stata completamente
abbandonata dalla tradizione medievale. Non solo. Con la nascita del purgatorio si delinea
una geografia dell’aldilà più precisa. Per i morti « normali »83 si è trovato un luogo di attesa,
un’attesa che non è immobile sospensione bensì cammino e ascesi dinamica verso la luce di
Dio. Se il purgatorio dunque introduce quello che si è definito uno spiraglio di salvezza
maggiore, esso diventa simbolo proprio della condizione imperfetta dell’anima dei defunti84.
Due condizioni rimangono essenziali nella ricerca e nell’aspirazione della pace del paradiso :

79
Ugo di San Vittore, De anima et ejus ad sui et ad Dei cognitionum et ad veram pietatem institutionem libri
quatuor, PL 177, cap. XVI, col. 189a.
80
P. Faure, Les anges gardiens (XIIIe-XVe siècles). Modes et finalités d’une protection rapproché, in “Cahiers
de recherches médiévales”, 8 (2001), "La protection spirituelle au Moyen Age", pp. 23-41. Sulla figura
dell’angelo nella tradizione medievale si rinvia al volume Les anges et la magie au Moyen Age, Actes de la table
ronde, Nanterre, 8-9 décembre 2000, in “Mélanges de l’Ecole française de Rome, Moyen Age”, 114, 2, 2002, pp.
589-890. Per il periodo barocco si segnala il recente Gli angeli custodi. Storia e figure dell’amico vero, a cura di
C. Ossola, Torino 2004.
81
« A la mort, l’âme du juste est traitée comme la promise que le fiancé reçoit et conduit, parmi les chants,
lorsqu’il arrive accompagné de la mesnie de ses chevaliers. L’ange, qui est son gardien, arrive avec la grande
mesnie des anges qui tire la fiancée de Dieu hors de la prison du corps, ce qui s’accompagne de grands chants,
de lumière et d’une suave odeur, et elle la conduit au palais du paradis spiritual »; cfr. Honorius di Autun,
Elucidarium (Lucidarius), III, De futura vita, 1; D. Gottschall, G. Steer, Des deutsche Lucidarius I: kritischer
Text nach den Handsschriften, Tübingen 1994, p. 123. Il testo in traduzione francese è proposto da C.
Lecouteux, Dialogue avec un revenant, p. 100. Si veda anche Y. Lefèvre, L’Elucidarium et les Lucidaires.
Contribution, par l’histoire d’un texte, à l’histoire des croyances religieuses en France au Moyen Age, Paris
1955. Alla fine dell’opera vi è un’edizione critica del testo latino.
82
Guillaume de Digulleville, Pèlerinage de l’âme (1355-1358), edizione di J. J. Stürzinger, Londra 1895; si veda
a proposito degli angeli P. Faure, Les anges gardiens, p. 37.
83
I peccati mortali (suicidi ad esempio) come pure la santità dei “morti speciali” (santi, beati, martiri) conducono
immediatamente verso altri destini.
84
P. Torricelli, La sua povera moglie. L’interpretazione cattolica della morte nell’accezione “defunto” di
povero, in “Studi e saggi linguistici”, 26 (1986), supplemento a “L’Italia dialettale”, XLIX, p. 244.

17
il prepararsi alla morte per ben morire di cui abbiamo parlato, e il ruolo dei vivi, delle loro
preghiere e dei loro suffragi. E` proprio su questa responsabilità, unica garanzia per
migliorare le sorti dell’anima, che vorremmo soffermarci nel secondo tempo della riflessione.

I vivi e i morti : due comunità sul filo della memoria

L’anima, privata del proprio corpo, immersa nelle pene del purgatorio, non possiede più
alcuna capacità di influire sul proprio destino, privata com’è di ogni forma ed espressione di
un’iniziativa personale. Da qui la necessità di un costante legame e di una intima
comunicazione con gli altri, ovvero i vivi ; da qui, anche nella morte, il senso profondo che
ricoprono i rapporti di solidarietà e di associatività nella società medievale. Sono solo loro, i
vivi, che possono interagire per migliorare le sorti dell’anima. I due mondi, quello dei vivi e
quello dei morti, sono profondamente polarizzati. Separati, certo essi non sono mai stati così
vicini e così intrecciati in un destino comune elaborato su di un fitto scambio di mutua
assistenza e di costante dialogo. La letteratura esemplare del Medioevo offre anche in questo
caso numerose testimonianze delle fragili frontiere attraverso cui è reso possibile
l’incontro/scontro tra i vivi e i morti85.
Ci sono essenzialmente tre forme di assistenza che i vivi possono proporre ai defunti e tutte e
tre rispondono al senso della caritas cristiana: le preghiere, le elemosine, soprattutto ai poveri,
e le celebrazioni eucaristiche o messe di suffragio86. Dalle celebrazioni liturgiche in ambito
monastico, dai libri memoriales di epoca carolingia in cui venivano iscritti i nomi dei defunti
per la commemorazione collettiva dei morti, agli obituari e necrologi parrocchiali,
conventuali o confraternali in cui i nomi dei morti e spesso la breve menzione dei loro lasciti
venivano iscritti seguendo il calendario, la storia dell’ufficio dei morti e delle sue
testimonianze ha attirato l’attenzione di numerosi storici87. Si è propensi nel sottolineare come

85
J.-C. Schmitt, Spiriti e fantasmi nella società medievale, Roma 1995 (Paris, Gallimard, 1994) ; Idem, Les
images de revenants, in A réveiller les morts, pp. 287-294; Idem, Les revenants ou l’imaginaire comme lieu du
pouvoir, in Lieux de pouvoir au Moyen Age et à l’époque moderne, a cura di M. Tymowski, Varsavia 1995, pp.
61-69; Idem, Une horde de revenants enrichit l’Eglise, in Vivre au Moyen Age, pp. 63-69 ; V. Fumagalli, Il
paesaggio dei morti. Luoghi d’incontro fra i morti e i vivi sulla terra nel Medioevo, in “Quaderni storici”, 50,
XVII, II (1982), pp. 411-425; J. Gobi, Dialogue avec un fantôme, edizione di M.-A. Polo de Beaulieu, Paris
2004 (1994); G. Zarri, Purgatorio particolare e ritorno dei morti tra Riforma e Controriforma : l’area italiana,
in “Quaderni storici”, 50, XVII, II (1982), pp. 466-497; C. Lecouteux, Fantômes et revenants au Moyen Age,
Paris 1996.
86
Ad esempio Arnoldo Buschmann domanda allo spirito con cui sta dialogando che cosa si può fare per aiutare
le anime. Lo spirito gli risponde che bisogna dire messe, fare l’elemosina, digiunare e pregare con grande
devozione. E che queste cose si facciano, continua lo spirito, con grande cura, le messe con devozione,
l’elemosina fatta con vero e sincero desiderio, la preghiera infine deve venire da persone pure e devote che
hanno fatto una vera penitenza. Il brano è pubblicato in francese da C. Lecouteux, Dialogue avec un revenant, p.
53.
87
A. Tilatti, Chest é … il chiatte pan… Alcune note sugli obituari parrocchiali in Friuli, in “Memorie storiche
forogiuliesi”, LXXXIII (2003), pp. 113-130; N. Huyghebaert, Les documents nécrologiques, Turnhout 1972
(Typologie des sources du Moyen Age occidental, 4), pp. 33-70; J.-L. Lemaître, Nécrologes et obituaires: une
source privilégiée pour l’histoire des institutions ecclésiastiques et de la société au Moyen Age, in Le
médiévistes devant ses sources. Questions et méthodes, a cura di C. Carozzi, H. Taviani-Carozzi, Aix-en-
provence 2004, pp. 25-39 ; J.-L. Lemaître, Libri dei vivi e libri dei morti, in Lo spazio letterario del Medioevo, I,
Il Medioevo latino, III, La ricezione del testo, a cura di C. Leonardi, G. Cavallo e E. Menesto, Roma 1995, pp.
633-659. N. e J.-L. Lemaitre, Un test des solidarités paroissiales: la prière pour les morts dans les obituaires, in
La parrocchia nel Medioevo. Economia, scambi, solidarietà, a cura di A. Paravicini Bagliani e V. Pasche, Roma
1995 (Italia Sacra, 53), pp. 255-278 ; M. McLaughlin, Consorting with Saints. Prayer for the Dead in early

18
alla fine del Medioevo le ritualità, le forme e il ricorso ai suffragi per i defunti siano in
crescita esponenziale. La quantità di doni e di suffragi cresce come si moltiplicano i luoghi di
questo comunicare, dalla parrocchia ai conventi mendicanti, alle confraternite88. Le forme di
associazionismo non sono mai state così policentriche. La tradizione delle preghiere e dei
suffragi destinati ai defunti e della loro effettiva utilità è antica89. Già sant’Agostino ricordava
l’efficacia del ruolo dei vivi nell’aiutare l’anima dei morti precisando però che ne potevano
beneficiare solo coloro che lo avevano meritato da vivi: Neque negandum est defunctorum
animas pietate suorum viventium relevari, cum pro illis sacrificium Mediatoris offertur, vel
eleemosynae in Ecclesia fiunt. Sed eis haec prosunt, qui cum viverent, ut haec sibi postea
possint prodesse, meruerunt90. Nel Medioevo il ruolo fondamentale dei suffragi è ricordato
con insistenza. A Cluny, Odilone, nel 1030, fissò il 2 novembre come giorno della
commemorazione generale dei defunti, all’indomani dell’Ognissanti91. Ed è un altro abate
cluniacense, Pietro il Venerabile, che, confutando le teorie di Pietro di Bruis sull’inefficacia
dei suffragi per i morti, nei primi decenni del XII secolo teorizzava magistralmente quello che
potremmo definire come la magna carta per la commemorazione dei defunti92. Egli propone
addirittura un quadruplice sistema di scambi e comunicazioni nel nome della caritas
cristiana ; i vivi possono aiutare i vivi, attraverso la carità e l’assistenza ; i morti possono
aiutare i morti, nel caso in cui i primi siano i santi, che intercedono per migliorare le sorti dei
morti comuni ; i vivi aiutano i morti con le loro preghiere e i loro suffragi ; infine i morti
aiutano i vivi, consigliandoli ad esempio sulla via da seguire per evitare di incappare in pene
troppo dure nell’aldilà. All’interno di questi molteplici résaux di solidarietà e di scambio, è
l’oralità ad assumere un ruolo fondamentale. La parola diventa così performativa. Essa non ha
frontiere. Preghiera intima o parola liturgica collettiva, la parola viene in beneficio all’anima,
è un atto di speranza per il raggiungimento di quel rifrigerio tanto desiderato. Così ad
esempio il fiorentino Giovanni di Pagolo Morelli nei suoi Ricordi, tra la fine del Trecento e
l’inizio del Quattrocento, ripensando, nell’impossibilità di elaborare il lutto, alla morte
prematura del suo giovane figlio Alberto, sperava che grazie alle sue preghiere l’anima del
figlioletto potesse godere di un poco di rifrigerio salutare93.
Questa permeabilità, questa costante ridefinizione delle frontiere fanno da paesaggio alla
parola per i defunti, che cancella il terribile oblio sempre in agguato : oblio che spesso diventa
ragione del ritorno corrucciato del morto sulla terra per chiedere giustizia. La preghiera è così

medieval France, Ithaca and London 1994, soprattutto i capitoli Commemoration, pp. 55-101 e The Ideology of
Prayer for the Dead, pp. 178-249.
88
Essenzialmente J. Chiffoleau, Sur l’usage obsessionnel de la messe pour les morts à la fin du Moyen Age, in
Faire croire. Modalités de la diffusion et de la réception des messages religieux du XIIe au XVe siècle, Table
ronde organisée par l’Ecole française de Rome, Roma, 22-23 juin 1979, a cura di A. Vauchez, Roma 1981, pp.
235-256.
89
Si veda soprattutto J. Ntedika, L’évocation de l’au-delà dans la prière pour les morts.
90
Sant’Agostino, Enchiridion, sectio quinta, De novissimis, XXIX, 110, ed. J. Rivière, Paris 1988, p. 302.
91
M.-A. Polo de Beaulieu, Le Lundi des trépassés, pp. 1191-1217.
92
Pietro il Venerabile, Contra Petrobrusianos, PL 189, coll. 819-847: Contra id quod dicunt vivorum beneficia
nihil prodesse defunctis; si vedano i commenti di D. Iogna-Prat, Ordonner et exclure. Cluny et la société
chrétienne face à l’hérésie, au judaisme et à l’islam (1000-1150), Paris 1998, pp. 226-233; N. Bériou,
L’intercession dans les sermons de la Toussaint, in L’Intercession du Moyen Age à l’époque moderne. Autour
d’une pratique sociale, a cura di J.-M. Moeglin, Genève 2004, pp. 127-157, in merito all’argomento soprattutto
p. 130; M. Lauwers, Dicunt vivorum beneficia nichil prodesse defunctis. Histoire d’un thème polémique (XIe-
XIIe siècle), in Inventer l’hérésie? Discours polémiques et pouvoirs avant l’Inquisition, a cura di M. Zerner,
Nice 1998, pp. 157-192.
93
Giovanni di Pagolo Morelli scrive: « isperando pure di fare sentire alla sua benedetta anima alcun refrigerio »;
si veda Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra Medioevo e Rinascimento, a cura di V. Branca, Milano
1986, p. 303 ; ma anche Giovanni di Pagolo Morelli, Ricordi, a cura di V. Branca, Firenze 1969 (1959).

19
il simbolo di un legame necessario e indispensabile94. Nel corso del Medioevo e soprattutto
nei suoi ultimi due secoli, alla commemoratio e alla memoria di impianto monastico, si
impone un’altra forma di comunicabilità e di funzione della preghiera per i defunti :
l’intercessione. I due sistemi, ben diversi nelle loro forme espressive e rituali, non si
sostituiscono l’un l’altro ma, è questo un punto importante, continuano a coesistere.
L’importanza della commemorazione dei defunti è centrale in tutto l’alto Medioevo95. Fino al
XIII secolo infatti le comunità monastiche celebravano collettivamente la memoria di tutti i
fedeli defunti che appartenevano alla comunità o che ne erano stati lauti benefattori. Si fa
strada poi progressivamente, con l’insorgere di altre comunità come le confraternite, un
sistema di orazioni funebri rivolte più specificamente all’intercessione individuale, alla
commendatio animae di una persona particolare96, forme queste a cui spesso si fa ricorso per
alimentare la convinzione, discussa e discutibile, della nascita dell’individuo alla fine del
Medioevo97.
La finalità principale delle preghiere è quella di accorciare il tempo imposto all’anima per la
sua « mondatura », la sua purgazione, e dunque contribuire ad un più celere avvicinamento
alle letizie del cielo. Il già citato memorialista Morelli ne fornisce un accattivante esempio
scrivendo sempre a proposito delle preghiere che dedica al figlio morto: « Ti priego ancora
che la mia orazione ti piaccia udire per tua pietà, e quella asaudire per tua misericordia e
perdono disiderato, per la tua salute, lume, gaudio e allegrezza della benedetta anima del mio
dolce figliuolo, la quale disidero contenta in vita eterna (…) »98. Siamo così nel cuore del
sistema dell’intercessione in favore delle anime dei defunti, tipico delle credenze e delle
pratiche devozionali alla fine del Medioevo.
Ritorniamo al territorio friulano, terreno privilegiato di indagine per queste mie note. Una
raccomandazione devota degli inizi del Quattrocento viene riportata nel libro dei benefattori
della confraternita dei fabbri, confraternita di San Nicolò, di Udine :
« Vo fares priere p[er] chestis animis lis quals Jo ay nominadis achi, e p[er] lis altris lis quals
son passadis di cheste vite a l’altre, chu ses fossin in alguna pene di purgitori, Dio p[er] la so
mi[sericordi]e, si lis c[on]duye alg bens di vite eterne, Deo gracias »99.

Dalla commemoratio collettiva alla commemoratio individuale e all’intercessione privata.


Non vi è necessariamente sostituzione dell’una con l’altra ; i due sistemi si intrecciano,
coesistono. Si moltiplicano e si gerarchizzano però, e questo va ricordato, gli attori di questa
intercessione, uomini e donne della comunità al primo livello, santi, madre di Dio e Cristo
poi, sono loro gli intermediari della misericordia divina100, come vi è moltiplicazione,

94
Ripensando al frequente dialogo tra i vivi e morti che struttura il quarto libro dei Dialoghi di Gregorio il
Grande, Patrizia Torricelli scrive: « La concezione di un tempo supplementare dopo la morte per scontare i
peccati non riguarderebbe direttamente i vivi se non fosse loro concesso di partecipare a tale tempo intervenendo
per alleggerire le pene che le anime vi devono sopportare »; cfr. P. Torricelli, La sua povera moglie, p. 241.
95
Soprattutto il libro importante di M. Lauwers, La mémoire des ancêtres; per uno sguardo sulle ultime tendenze
storiografiche tra Francia e Germania si veda « Memoria », in Les tendances actuelles de l’histoire du Moyen
Age en France et en Allemagne, a cura di J.-C. Schmitt e O. G. Oexle, Paris 2002, pp. 53-126.
96
Su questo punto rinviamo alle riflessioni di M. Lauwers, L’intercession pour les morts, in Idem, La mémoire
des ancêtres, pp. 375-376.
97
Si veda in merito il recentissimo volume L’individu au Moyen Age: individuation et individualisation avant la
modernité, a cura B. Miriam Bedos-Rezak e D. Iogna-Prat, Paris 2005.
98
Mercanti scrittori, p. 307.
99
Libro delli benefattori della Confraternita di San Nicolò dei fabbri, XV secolo. Il brano è riportato da G.
d’Aronco in Nuova antologia della letteratura friulana, Udine 1982, I, p. 73. Si veda anche G. B. Corgnali,
Scritti e testi friulani, Udine 1968, p. 124.
100
L’iconografia insiste alla fine del Medioevo sull’intercalarsi e il moltiplicarsi delle intercessioni. Si pensi alle
numerosissime presenze, nei dipinti, dei donatori che si presentano inginocchiati e le mani giunte in preghiera ai
santi o alla Vergine Maria. Spesso à addirittura un santo, san Giovanni Battista ad esempio, che raccomanda il

20
parcellizzazione dei luoghi di associazione, di devozione, di memoria. Pensiamo al ruolo delle
confraternite che, negli ultimi secoli del Medioevo, si impongono come il luogo essenziale
dello svolgimento della vita socio-devozionale e della realizzazione della coesione di gruppo
così fondamentale per la definizione stessa dell’individuo medievale. A partire dagli studi
‘pioneristici’ di Gilles Gérard Meersseman, fino alla sovrabbondante più recente storiografia
confraternale, è stato esplorato in maniera approfondita il ruolo innovativo e determinante
delle confraternite medievali per quanto riguarda l’inquadramento religioso-devozionale della
comunità dei fedeli101. Ora, basta percorrere gli statuti delle fraterne o i quaderni dei camerari
che registrano le spese effettuate anno dopo anno, per accorgersi di quanto la morte e i morti
siano al centro delle attività associative. E non solo delle confraternite della buona morte,
specializzate proprio nell’accompagnamento dei moribondi102. Sempre più numerose, almeno
in ambito urbano, queste associazioni laiche, che siano di stampo puramente devozionale, o di
mestiere o nazionale, rispondono così all’intimo bisogno di una comunione socio-spirituale
della società medievale e contribuiscono a quello che Jacques Chiffoleau ha definito
« l’éclatement, en ville, des centres de prières, de vie spirituelle, de sociabilité chrétienne »103.
Il fare corpo dell’associazione confraternale si impone sempre più come una famiglia di
sostituzione104. I suoi membri, uomini e donne, erano singolarità facenti parte di un tutto

donatore alla Vergine Maria. Lo straordinario affresco che Benozzo Gozzoli dipinse nel 1464 all’interno della
chiesa degli Agostiniani a San Gimignano, nella quale il pittore aveva illustrato il ciclo della vita di
sant’Agostino ne è un ottimo esempio. San Sebastiano vi è rappresentato alla maniera di una Vergine della
Misericordia, mantello aperto proteggente dalle frecce della collera divina, simbolo della peste, gli abitanti. Essi,
in preghiera, chiedono misericordia al santo, il quale si rivolge in preghiera alla Vergine Maria, che mostra i seni
nudi a suo figlio. Cristo a sua volta mostra le piaghe del suo martirio e chiede perdono a Dio. Assistiamo quindi
ad una triplice intercessione. Si veda in proposito D. C. Ahl, Due San Sebastiano di Benozzo Gozzoli a San
Gimignano: Un contributo al problema della pittura per la peste nel Quattrocento, in “Rivista d’arte” 40, IV, 4
(1988), pp. 31-61; ma anche le riflessioni di M. Bacci, Pro remedio animae. Immagini sacre e pratiche
devozionali in Italia centrale (secoli XIII e XIV), Pisa 2000; e Idem, Investimenti per l’aldilà. Arte e
raccomandazione dell’anima nel Medioevo, Roma-Bari 2003.
101
La bibliografia sulle confraternite è sterminata. Indichiamo tuttavia qualche riferimento importante: G. G.
Meersseman, Ordo fraternitatis : confraternite e pietà dei laici nel Medioevo, Roma 1977 (Italia Sacra, 24-26), 3
voll.; Le Mouvement confraternel au Moyen Age: France, Italie, Suisse. Actes de la table ronde organisée par
l’Université de Lausanne avec le concours de l’Ecole française de Rome et l’U.A. 1011 du CNRS (Lausanne, 9-
11 mai 1985), a cura di A. Paravicini Bagliani, Roma 1987; Il buon fedele. Le confraternite tra Medioevo e
prima età moderna, Verona 1998 (Quaderni di storia religiosa, V); R. Rusconi, Confraternite, compagnie e
devozioni, in La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, Annali 9, a cura di G. Chittolini
et G. Miccoli, Torino 1986, pp. 469-506; G. De Sandre Gasparini, Appunti per uno studio sulle confraternite
medioevali: problemi e prospettive di ricerca, in “Studia Patavina”, 15, 1 (1968), pp. 115-124; Eadem,
Movimento dei disciplinati. Confraternite e ordini mendicanti, in I Frati Minori e il Terzo Ordine. Problemi e
discussioni storiografiche. Atti del convegno del Centro Studi sulla spiritualità medievale (Università degli studi
di Perugia, XXIII, 17-20 ottobre 1982), Todi 1985, pp. 79-114 ; Ch. M. De La Roncière, La place des confréries
dans l’encadrement religieux du Contado florentin au XIVe siècle, l’exemple du Val d’Elsa, in “Mélanges de
l’Ecole française de Rome, Moyen Age”, 85 (1973), pp. 31-77; J. Chiffoleau, Les confréries, la mort et la
religion en comtat venaissin à la fin du Moyen Age, in “Mélanges de l’Ecole française de Rome, Moyen Age et
Temps modernes”, 91, 2 (1979), pp. 785-825. Sul problema preciso dell’inquadramento religioso dei fedeli si
vedano i vari contributi proposti in Faire croire. Modalités de la diffusion et de la réception des messages
religieux du XIIe au XVe siècle. Table ronde organisée par l’Ecole française de Rome (Roma, 22-23 juin 1979),
a cura di A. Vauchez, Roma 1981 ; e in L’encadrement religieux des fidèles au Moyen Age jusqu’au Concile de
Trente : la paroisse, le clergé, la pastorale, la dévotion. Actes du 109e Congrès national des sociétés savantes
(Dijon, 1984), Paris 1985.
102
J. Chiffoleau, Les confréries, la mort et la religion en comtat venaissin, p. 787.
103
Idem, Le foisonnement rituel, in Histoire de la France religieuse, a cura di J. Le Goff e R. Rémond, 2, Du
christianisme flamboyant à l’aube des Lumières (XIVe-XVIe siècle), Paris 1988, p. 81.
104
Idem, Les confréries, la mort et la religion en comtat venaissin, p. 808; ma soprattutto p. 811 dove l’autore
precisa: « Les statuts (delle confraternite) montrent que la confrérie fonctionne comme une famille. Et c’est

21
confraternale che assicurava loro un quadro giuridico, sociale e devozionale forte e
alimentava il senso di appartenenza ad una nuova comunità non più limitata al perimetro
parrocchiale, spesso inadatto alle nuove esigenze della vita cittadina e inospitale per i
viaggiatori o i nuovi arrivati in città. Appartenere alla confraternita era per i suoi membri
l’unica occasione di ricevere dei funerali degni e pomposi ed offriva, grazie alla straordinaria
amplificazione quasi « matematica dei mezzi di intercessione »105, un’assicurazione per
l’aldilà.
Durante la celebrazione dei funerali si apre il primo tempo della preghiera106. Gli statuti sono
per lo storico una fonte preziosa per lo studio dell’organizzazione rituale e collettiva di questo
momento centrale della vita di gruppo. I confratelli si riuniscono tutti insieme ad
accompagnare il corpo del defunto nel luogo prescelto per la sepoltura, indicazione rogata
nell’atto testamentario. Essi, rispettando le norme statutarie, devono pregare per l’anima del
morto pronunciando più volte il Pater Noster e l’Ave Maria. Torniamo ancora una volta
all’esemplificazione friulana. Gli statuti del 1479 della confraternita dei Battuti di Udine, ad
esempio, prevedono per la morte di un membro della fraterna la recita di cinquanta Pater e
cinquanta Ave107. Anche a Cividale, in seno ad un’altra confraternita dedicata alla santissima
Trinità, le norme statutarie del 1489 sono chiare: « Item chadauno fradello de la fradaglia sia
obligato ogni volta che mancharà qualche fradello o sorella de la ditta fradaglia de dir cinque
Pater Nostri e cinque Ave Maria. Et ogni volta che serà la nostra messa del mese altri cinque
Pater Nostri e cinque Ave Maria per le anime de tutti li fradelli passadi de sta vita a
l’altra »108.
Tra le carte della confraternita di Cividale sono anche trascritte svariate orazioni dedicate ai
membri della comunità, ai sacerdoti, agli amici, agli infermi, ma anche ai defunti e alle
defunte. Tra le preghiere troviamo quelle indirizzata all’anima del padre e della madre di uno
dei membri della confraternita. Vi si dice: Pro patre et matre oratio. Deus qui nobis patrem et
matrem honorare praecipisti, miserere queso clementer animabus patris et matris mee
eorumque (...) Celestis participacio Domine sacramenti animabus patris et matris mee
requiem et lucem obtineant perpetuam meque cum illis gratia tua coronet eterna per
Dominum109.

parce qu’elle est une famille de substitution qu’elle joue un rôle très important dans la préparation à la mort, les
funérailles, les suffrages pour les morts ».
105
Ibidem, p. 809.
106
Si veda il recente libro di M. Gaude-Ferragu, D’or et de cendres. La mort et les funérailles des princes dans
le royaume de France au bas Moyen Age, Villeneuve d’Ascq 2005; ma anche A. Erlande-Brandenburg, Le Roi
est mort. Etude sur les funérailles, les sépultures et les tombeaux des rois de France jusqu’à la fin du XIIIe
siècle, Paris 1975; M.-T. Lorcin, Ripailles des funérailles aux XIVe et XVe siècles ou le pauvres seront-ils invités
à l’enterrement?, in Mélanges en l’honneur d’Etienne Fournial, Saint-Etienne 1978, pp. 239-251; sul ruolo delle
fraterne e la ritualità dei funerali si rimanda anche al nostro saggio A. Martignoni, Entre trépas et deuil:
pratiques d’écriture dans le Frioul du XVe siècle, in La mort écrite. Rites et rhétoriques du trépas au Moyen
Age, pp. 9-33; J. Chiffoleau, Le foisonnement rituel, pp. 63-127; Idem, Pratiques funéraires et images de la mort
à Marseille, en Avignon et dans le Comtat Venaissin (vers 1280-vers 1350), in La religion populaire en
Languedoc du XIIIe à la moitié du XIVe siècle, Toulouse 1976 (Cahiers de Fanjeaux, 11), pp. 271-304; Idem,
Sur l’usage obsessionnel de la messe, pp. 235-256; al recente contributo di C. Vincent sulla presenza e il ruolo
dei luminari nelle pratiche religiose, Un élément de distinction sociale dans la mort, in Eadem, Fiat lux. Lumière
et luminaires dans la vie religieuse du XIIIe au XVIe siècle, Paris 2004, pp. 481-526; D. Alexandre-Bidon,
Gestes et expressions du deuil, in A réveiller les morts, pp. 121-134.
107
Et corpuum suum associare ad sepolturam, et pro anima illius defuncti vel defuncte dicere quinque Pater
Noster et totidem Ave Marie (…) ; rubrica VIII, De confratribus et sororibus defunctis associandis, degli Statuta
venerande fraternitatis Batutorum de Utino (1479) ; BCU, ms. Osp. A., c. 7r.
108
Cividale, Fraternita della SS. Trinità. Libro della fraternita della SS. Trinità nella chiesa di San Giovanni
Battista di Cividale, Cividale, 1489 ; BCU, ms. 1279, sec. XV, c. 68r.
109
Ibidem, c. 62r.

22
Ma l’esempio che illustra meglio di tutti l’intercessione dei vivi sono le laudi funebri che
venivano intonate durante le cerimonie del funerale, spesso attorno alla tomba del defunto,
dove il corpo era stato appena collocato. Della confraternita dei Battuti di Santa Maria della
Misericordia di Udine si è conservato un insieme importante di laudi : una trentina di
composizioni scritte in lingua vernacolare verso la metà del Trecento110, importanti testimoni
della spiritualità della fraterna dei disciplinati, aldilà del ricorso alla flagellazione che ne era
un tratto specifico111. La maggior parte delle laudi sono dedicate alla Vergine Maria,
protettrice della confraternita. Essa appare come la madre dispensatrice della misericordia di
Dio, ma sul modello del Planctus Marie, le laudi insistono sulla sua umana sofferenza ai piedi
della croce vedendo suo figlio messo a morte e ricordano così come Maria sia la persona
dramatis per eccellenza. Alcune laudi invece si concentrano sulla sofferenza del Cristo in
croce che con il suo sangue ha lavato i peccati del mondo ; un tratto, questo, tipico della
devozione negli ultimi secoli del Medioevo, di quella devotio moderna così sensibile al Cristo
uomo sofferente. Due esempi si distinguono dal corpus delle laudi perché sono due
composizioni speciali per la morte di un membro della confraternita. Il modello della laude
funebre ricalca un canovaccio comune per non dire stereotipato. Un modello per la collettività
confraternale che però viene individualizzato dalle circostanze del suo cantarsi, il funerale.
Proponiamo qui un solo esempio tratto dal laudario dei Battuti di Udine.

« Con dolce voxe e con planti Dolce dona gloriosa


pregerom la santa mare encontra lui si pietoxa
chen compagnia de li santi la sua faça lagrimoxa
receva questo nostro frare. recevelo humele madre
Fate prego al vostro fio
che li debia perdonare. Si com de voy stella diana
receve Dio carne humana
O donna del cel reyna e la via li faça plana
ditta se stella marina ch’en paradixo posse’1 andar.
vui luxe se de la matina
a chi vol a voy tornare. Recevelo in paradixo
là si serà çogo e rixo
Dolce Dio del cel signor a veder quel dolce viso
receve questo pecatore do vu dolce Christo padre.
sto nostro frare per vostro amore
con santi del celo lo fate regnar. Misericordia Segnor
De sto nostro pecadore
I ve saludo de gracia plena batemose per lo so amore

110
Nei quaderni dei camerari della fraterna di Udine viene indicata per l’anno 1355 la seguente menzione: « Adì
VII di setembrio si fo spindut per un quaderno per scrivir li chanzon soldi 5 »; cfr. V. Joppi, Testi inediti friulani
dal secolo XIV al XIX, in “Archivio Glottologico Italiano” IV (1878), p. 189.
111
Una veduta d’insieme è proposta da V. Masutti, Forme e gesti di solidarietà in confraternite disciplinate al di
fuori degli ospedali, in Storia della solidarietà in Friuli, a cura di C. G. Mor, Milano 1987, pp. 100-115 ; E.
Lamma, I flagellanti in Friuli, in “Ateneo veneto”, 22 (1899), pp. 65-68 ; P. Caracci, Antichi ospedali del Friuli,
Udine 1968; R. Pellegrini, I Battuti in Friuli : tra scritture pratiche e poetiche, in Ospitalità sanitaria in Udine.
Dalle origini all’ospedale della Città, secoli XIV-XVIII, a cura di L. Morassi, Udine 1989, pp. 13-55 ; L.
Banelli, La confraternita dei Battuti di S. Maria della Misericordia di Udine dalle origini al XV secolo, tesi di
laurea, Università Cattolica di Milano, Facoltà di Magistero, 1972-1973 (rél. C. Piana) ; G. Bucchetti, I Battuti in
Friuli, tesi di laurea in Lettere Moderne, Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Trieste,
1973-1974 (rel. G. Petronio).

23
vu se luxe del cel serena ch’a lui debia perdonare »112.
sto nostro frar tra for de pena
vostro fiol vel fa donare.

La lettura di questa lauda funebre suggerisce qualche considerazione in merito al ruolo dei
vivi verso i morti. I fratelli della comunità dei Battuti accompagnano, cantando questa litania,
il confratello morto durante i rituali dei funerali che venivano assicurati dall’associazione
confraternale. Una oralità dunque che è il cuore di una scenografia della morte, in quella
comunione religiosa dell’accompagnamento funebre. Parole e gesti diventano linguaggio e
sono costitutivi dell’unione del gruppo di fronte alla morte. L’accompagnamento collettivo
del defunto è garantito in maniera chiara e severa dagli statuti della stessa confraternita.
Numerose sono le rubriche che organizzano, strutturano i riti funebri per i confratelli o le
consorelle. La coesione del gruppo è ricordata con meticolosa ripetitività. Tota congregatio, è
la solidarietà di una presenza totale della collettività confraternale che assicura lo svolgimento
dei funerali. Gli assenti, prevedono gli statuti, vengono multati con una somma di denaro, ad
eccezione di chi è malato o sofferente. Si legge ad esempio alla VII rubrica degli statuti del
1479 ricordati sopra : De confratribus et sororibus defunctis associandis. Et quod nullus
existens in terra Utini requisit et praecepit ab hoc possit excusari, nisi fuerit oppressus aliqua
infirmitate113. Nel quaderno delle spese della confraternita dei Battuti d’Udine, tenuto dal
magistri Jacobi Politi cerdonis de Utino nel 1477 si legge : « Item adi VI maii spendeii dat aii
frati de sant Piero Marter che acompagnarino Antonii de Matius ala sua sepoltura et per farlo
portar et aii batudi che fereno lo chanto in sula sepoltura, lire iiiior ss. iiiior »114.
Anche se la fonte non appartiene alla confraternita di Udine ma alla confraternita omologa di
Cividale del Friuli, abbiamo una precisa conferma di questa oralità che avvolge la tomba del
defunto nei quaderni della fraterna dei Battuti di Cividale. Nel 1425 si ricorda il canto della
canzone/lauda sopra la tomba del defunto: « Vardo ben chu la chiasso di Ortal si è oblegado a
fa dì ogni an per l’animo di Spirit messis XX e a fa dì lu so anniversari in quel dì chu vul lu
Ufficial e si debo fa dì uno chianzo(n) su la so sepoltura »115.
L’oralità è dunque un elemento intrinseco ad una codificata e collettiva ritualità funebre che
insiste sulla drammatizzazione delle emozioni (ne sono testimoni, al negativo perchè lo
proibiscono, anche gli statuti urbani che cercano di regolare tali manifestazioni ritenute
eccessive e creatrici di scompostezza e disordine116).
La voce dei compagni intercede presso la Vergine Maria o il Cristo, e ritroviamo qui lo
schema tipico della doppia intercessione, allo scopo di salvare il defunto dalle pene del
purgatorio (« trar for de pene »), e l’immagine si fa ancor più penetrante quando si spera che
gli spianino la via al paradiso (« via li faça plana »). La composizione è precisa. Le preghiere
dei vivi non toccano di per sé nè possono influire direttamente sulla condizione dell’anima.
Questa dipende solo dal volere divino che unicamente i santi, Maria o Cristo possono

112
Confraternita dei battuti. Statuto e laudario, Udine, 1445 ; BCU, ms. Osp. B., sec. XV, c. 33v. Si veda per un
approfondimento E. Monaci, Uffizi drammatici dei disciplinati dell’Umbria, in “Rivista di filologia romanza”, 1
(1873-1874), p. 237; e V. Cian, Una silloge ignota di laude sacre, in Dai tempi antichi ai tempi moderni: da
Dante a Leopardi, Milano 1904, p. 279.
113
Statuta venerande fraternitatis Batutorum de Utino (1479), BCU, ms Osp. A, c. 7r.
114
Archivio dell’Ospedale di S. Maria della Misericordia di Udine, Biblioteca del Seminario Arcivescovile,
Fondo dei camerari della confraternita e dell’ospedale, b. 95, fasc. 3, a. 1477, c. 113v.
115
V. Joppi, Testi inediti friulani dal secolo XIV al XIX, p. 202.
116
Si veda ad esempio il IV libro, rubrica LXXXXI degli Statuti di Bologna del 1288. La rubrica è intitolata: De
poenis plorantium seu se desmantantium ad exequias mortuorum vel e(m)xenia mittentium et de modo servando
in exequiis mortuorum; Statuti di Bologna dell’anno 1288, a cura di G. Fasoli e P. Sella, Roma 1937, I, pp. 245-
248.

24
influenzare. Le preghiere non sono dunque indirizzate all’anima ma agli intercessori. Essi a
loro volta intercederanno per chiedere misericordia a Dio e assicurare così all’anima un
destino migliore.
Non bisogna però dimenticare l’altra forma d’oralità essenziale per l’accompagnamento
dell’anima del defunto. Dall’istante del funerale si passa a delle forme di commemorazione
liturgiche che si iscrivono nella durata e nella ciclica ripetizione. Sono le messe e le
celebrazioni degli anniversari dei defunti, i cui nomi riposano sulle pagine di obituari.
Indicate con volontà precise e assicurate da lasciti di denaro o di beni mobili e immobili nei
testamenti, esse assicurano al defunto la salvezza dall’oblio.
Alla fine del Medioevo le comunità, da quella parrocchiale a quella confraternale, sono gli
attori di una duplice celebrazione della memoria dei defunti. Da una parte dunque la
celebrazione individuale degli anniversari, il dies natalis, che commemora nella data annuale
della morte del membro della comunità, la sua memoria o anche in altre scadenze fissate dal
testatore nel suo testamento ; dall’altra le messe di commemorazione collettiva della comunità
dei morti che avvengono canonicamente il lunedì117. Di questa ricorrenza, gli archivi delle
confraternite forniscono testimonianze preziose. Ad esempio la Scuola piccola veneziana di
San Mattia prevede una messa per i suoi defunti, che sono passati ad una miglior vita, proprio
il lunedì: « Della messa che die dir lo luni sequente la domenega ordenada. Ancora si è da
saver che lo luni seguente della domenega ordenada li ditti della ditta scuola dieno dar alli
ditti prevedi soldi tre piccoli per la mesa che li dieno celebrar per le aneme de tutti li frari
della ditta scuola li quali sono passati a miglior vita (…) »118.
Cos’è questa miglior vita? Senza dubbio il raggiungimento della pace e del riposo gioioso nel
paradiso. Un percorso arduo e ascendente per l’anima che comincia nell’ora della morte.
L’anima, abbandonato il corpo, non può che contare sull’aiuto di chi rimane nella vita, dei
cari, degli amici continuatori e unici guardiani di quel fragile filo della memoria che è
speranza di pace per l’anima in attesa di ricongiungersi un giorno con il corpo risuscitato.

Cimitero e tutela della sacralità del luogo

L’istante della morte introduce dunque una dinamicità effettiva, segnando l’avviarsi verso
nuove mete del duplice destino del defunto, destino dell’anima e destino del corpo. Ed è
proprio al corpo morto, al cadavere119, che vorremmo dedicare queste riflessioni conclusive
per cercare di capire non soltanto quale possa essere la sua condizione o la sua importanza
nella morte, ma anche quali siano gli attori e quali siano le strategie che vengono messe in
atto per garantirne un onorevole destino.
Introducendo l’ampia indagine condotta sulle pratiche testamentarie nella terraferma
veneziana tra il 1575 e il 1623, Sergio Lavarda sottolinea che non soltanto l’anima al
momento della morte continua a mantenere una corrispondenza con il corpo da cui è stata
separata, ma per ottenere « una pace completa occorre naturalmente che il destino del corpo

117
Nel XIIIe secolo Giovanni Beleth, Summa de ecclesiasticis officis, c. 51. Thomas de Chobham, Summa
confessorum, Art. 4, dist. 2, q. Va, c. VI; cfr. M.-A. Polo de Beaulieu, Le Lundi des trépassés, pp. 1191-1217.
118
Scuola di San Mattia, Archivio di Stato di Venezia (=ASV), PC, reg. V, ff. 395v-397v: 1361, 15 aprile,
Accordi presi fra la scuola di San Mattia e il capitolo della chiesa di San Bartolomeo; testo edito da F. Ortalli,
Per la salute delle anime e delli corpi. Scuole piccole a Venezia nel tardo Medioevo, Venezia 2001, p. 203.
119
A. Vauchez, Le tombeau, le corps et la mort, in Il cadavere, Firenze 1999 (Micrologus. Natura, scienze e
società medievali, 7), pp. 1-10 ; ora in versione italiana A. Vauchez, La tomba, la morte e il destino del corpo, in
Idem, Esperienze religiose nel Medioevo, Roma 2003, pp. 237-246; ma anche D. Alexandre-Bidon, Le corps et
son linceul, in A réveiller les morts, pp. 183-206.

25
sia affidato alla Chiesa, potere delegato dall’Altissimo sulla terra »120. Un ritorno alla terra,
proprio quella sacra e consacrata dalla Chiesa, dunque, che assume un’importanza capitale
nella logica di un’attesa escatologica della risurrezione, del ricongiungimento cioè dell’anima
e del corpo. Agli altri corpi, quelli colpiti da scomunica per esempio, la terra sconsacrata nega
definitivamente la pace. La lunga e variegata storia del cimitero medievale ha interessato da
vicino gli storici. Michel Lauwers, in un recente libro, ha tracciato nel dettaglio la sua storia
nel corso del Medieovo121. Il cimitero è quella terra cimiteriata in cui i corpi si consumano
trasformandosi in cenere. L’etimologia si costruisce nell’accavallamento dei termini
cimiterium e cinisterio. Ruffino da Bologna è il primo canonista che, nel XII secolo, utilizza
l’espressione terra cimiteriata, precisando che id est cimiterio dedicata122.
La commendatio corporis in generale viene espressa dal testatore subito dopo aver affidato la
sua anima alla misericordia di Dio o della Vergine Maria. Le formule incalzano con
inflessibile regolarità: primo quidem animam altissimo Creatori recomendatur, sepolturam
sui corporis ellegit apud ecclesiam maiorem in cimiterio sive claustro Sancti Iohannis123,
oppure ancora primo namque animam suam altissimo creatori omino nostro Iesu Christo
eiusque genitrici gloriose beate Marie semper virgini recomendans. In cimiterio ecclesie
maioris Sancte Marie in eius predecessorum monumento ellegit sui corporis sepolturam124.
Per valutare con precisione le scelte testamentarie sarebbe opportuno condurre delle indagini
sistematiche su di una regione precisa, città o borgo, e su una lunga durata per comparare
serialmente i testamenti tra di loro. La scelta del luogo di sepoltura rimane comunque
essenziale nella speranza o nel tentativo di approccio del dono escatologico di pace125. Dove e
come far riposare e rendere il corpo morto alla terra in attesa del ricongiungimento al ritorno
del Messia, sono delle preoccupazioni fondamentali nella preparazione della morte di sé.
Tutto ciò pone al centro degli sguardi il luogo dei morti, sia esso nella semplice ma consacrata
terra del cimitero collettivo, sia esso nella tomba privata o famigliare posta all’interno della
chiesa sotto tal o tal altro altare o cappella. Le scelte alla fine del Medioevo del luogo di
sepoltura sono diverse e incredibilmente svariate. Bisognerebbe prima di tutto distinguere
anche le realtà di una morte in città e di una morte in campagna, chiedersi poi a quale
istituzione il corpo venga affidato, infine quali siano le scelte nel dettaglio della condizione di
tale sepoltura126.

120
S. LAVARDA, L’anima a Dio e il corpo alla Terra. Scelte testamentarie nella Terraferma veneta (1575-
1631), Venezia 1998, p. 4, nota 7.
121
M. Lauwers, Le cimetière dans le Moyen Age latin. Lieu sacré, saint et religieux, in “Annales HSS”, 54, 5
(1999), pp. 1047-1072 ; Idem, Naissance du cimetière. Lieux sacrés et terre des morts dans l’Occident médiéval,
Paris 2005. Si vedano anche i contributi di D. Alexandre-Bidon, C. Treffort, Un quartier pour les morts : images
du cimetière médiéval, in A réveiller les morts, pp. 253-276 ; C. Treffort, Les lanternes des morts : une lumière
protectrice?, in “Cahiers de Recherches Médiévales (XIIIe-XVe siècles)”, 8 (2001), “La protection spirituelle au
Moyen Age”, pp. 143-164; Ph. Ariès, L’uomo e la morte dal Medioevo a oggi, Roma-Bari 1980 (Paris 1977), ch.
II, Ad sanctos; apud ecclesiam, pp. 33-107; e ch. XI, La visita al cimitero, pp. 557-656; J. Tardieu, La dernière
demeure: archéologie du cimetière et des modes d’inhumation, in A réveiller les morts, pp. 223-244.
122
Ruffino da Bologna, Summa decretorum, ad C. 13, qu. 2, c. 12, p. 336; per quanto concerne l’etimologia e la
definizione del cimitero elaborate dai canonisti medievali si veda M. Lauwers, Terre des morts, terre sacrée, in
Ibidem, Naissance du cimetière, pp. 115-158.
123
ASU – Pergamene notarili (diplomatico), inventario n. 64, Testamenti vari, busta IV, n. 612, 22 aprile 1435,
testamento di domina Lucia fu Giovannino, moglie di Giovanni muratore, in Cividale del Friuli.
124
BCU, Annales, F XVI, n. 70, testamento del 17 gennaio 1423 di Giovanni di ser Leonardo del Zuet di
Variano (Udine).
125
M.-T. Lorcin, Choisir un lieu de sépulture, in A réveiller les morts, pp. 245-252; M. A Visceglia, Corpo e
sepoltura nei testamenti della nobiltà napoletana, pp. 583-614.
126
Rinviamo ai lavori condotti da Jacques Chiffoleau per la regione di Avignone : La comptabilité de l’au-delà;
Idem, Perché cambia la morte nella regione di Avignone alla fine del Medioevo, in “Quaderni storici”, 50, XVII,
II (1982), p. 462; si veda anche V. Pasche, Pour le salut de mon âme. Les Lausannois face à la mort (XIVe

26
Il riferimento alla parrocchia rimane fondamentale127. E` la parrocchia, in principio, a
possedere il monopolio dello ius sepulturae, quindi a inquadrare dalla nascita alla morte la
vita sacramentale del fedele. Ma a partire dal XIII secolo, con l’avvento degli ordini
mendicanti, Minori e Predicatori in prima linea, i riferimenti della vita religiosa e delle
pratiche devozionali sono andati via via moltiplicandosi. Non è raro dunque che la scelta del
testatore finisca per preferire il cimitero del convento o la tomba nella chiesa conventuale,
magari vicina all’altare della confraternita a cui egli apparteneva. Queste scelte hanno sovente
generato tra le due entità istituzionali, secolari e regolari soprattutto minoritiche, numerosi
conflitti per quanto concerne le politiche della sepoltura128. Non dimentichiamo che oltre le
prerogative spirituali dello ius sepulturae vi sono in gioco delle importanti fonti di
guadagno129 : per ogni corpo sepolto nel loro cimitero, gli ordini mendicanti dovevano
riversare alla parrocchia nella quale era iscritto il defunto la quarta funeralis, o canonica
portio, ovvero un quarto dei lasciti pro anima del testatore130. Alla fine del Medioevo si tende
dunque, fatte le dovute eccezioni, non soltanto a preferire le istituzioni conventuali, ma a
scegliere proprio la chiesa e non il cimitero comune come luogo della sepoltura131. Il
passaggio dal cimitero – scrive Jacques Chiffoleau – alla chiesa corrisponde così ad un
cambiamento di mentalità importante. All’anonimato dello spazio cimiteriale, dove le tombe
erano il più sovente distinte da semplici croci e dove con il passare del tempo i corpi venivano
ad intrecciarsi l’un l’altro o finivano ammucchiati negli ossari, si preferisce dunque l’interno
dell’edificio sacro. Due ragioni essenziali possono essere evocate. La prima concerne proprio
la memoria : la tomba famigliare permette materialmente e visivamente di esprimere la
propria identità individuale e risponde al desiderio di raggiungere e ricongiungersi con i
propri antenati e congiunti. Questa maggiore caratterizzazione del locus sepulcralis si
concretizza nelle caratteristiche materiali della tomba: visibile, costruita, protettrice, la tomba
grazie anche alla presenza di un epitaffio è il libro della memoria. Ma è anche in qualche
modo il motore e l’incentivo stesso della memoria, permettendo la realizzazione di una
commemorazione più spettacolare e dall’impatto maggiormente sacralizzante. Essa diventa in
modo visivo il fulcro delle preghiere e delle messe per il defunto. La seconda ragione di
questa scelta può essere ricondotta anche al desiderio di prossimità con il sacro che ricorda
l’importanza delle sepolture ad sanctos. In effetti è l’edificio sacro che permette al corpo di
riposare vicino a reliquie, statue e immagini religiose. Frammentazione e polarizzazione dei
luoghi di sepoltura corrispondono alla moltiplicazione esponenziale dei poli della vita
religiosa e devozionale di cui si è parlato132. Queste opzioni richiedevano comunque, bisogna

siècle), Lausanne 1990; L. Stouff, Les Provençaux et la mort dans les testaments (XIIIe-XVe siècle), in La mort
et l’au-delà en France méridionale, pp. 201-222; S. Lavarda, L’anima a Dio e il corpo alla Terra.
127
N. e J.-L. Lemaître, Un test des solidarités paroissiales, pp. 255-278; A. Bissegger, Une paroisse ranconte
ses morts. L’obituaire de l’église Saint Paul à Villeneuve (XIVe-XVe siècles), Lausanne 2003.
128
Sui conflitti tra regolari e conventuali rimandiamo soprattutto a M. Ronzani, Gli ordini mendicanti e le
istituzioni ecclesiastiche preesistenti a Pisa nel Duecento, in “Mélanges de l’Ecole française de Rome, Moyen
Age – Temps modernes”, 89, 2 (1977), “Les ordres mendiants et la ville en Italie centrale (v. 1220-1350)”, pp.
667-677 ; in particolare p. 670; e a M. Bacci, Investimenti per l’aldilà, p. 69.
129
Su questo punto essenziale, N. Bériou, L’économie des mendiants (XIVe-XVe siècles), in “Revue Mabillon”,
nouvelle série, 15, 76 (2004), pp. 227-231.
130
E` la bolla Super cathedram di papa Bonifacio VIII promulgata il 18 febbraio 1300, in risposta proprio
all’aumento esponenziale della scelta di chiese e cimiteri conventuali come luoghi privilegiati per le sepolture, a
fissarne per la prima volta l’ammontare ad un quarto sul totale speso per i funerali e per le messe pro anima.
131
Suggestive le conclusioni che Jacques Chiffoleau propone nel suo articolo Perché cambia la morte nella
regione di Avignone, pp. 456-463. Anche Michele Bacci lo ricorda nel libro Investimenti per l’aldilà, pp. 67-68.
132
R. Rusconi, Da Costanza al Laterano : la calcolata devozione del ceto mercantile-borghese dell’Italia del
Quattrocento, in Storia dell’Italia religiosa, 1, L’Antichità e il Medioevo, a cura di A. Vauchez, Roma-Bari,
1993, p. 508; ma anche J. Chiffoleau, Note sur le polycentrisme religieux, in Religion et société urbaine au
Moyen Age, études offertes à Jean-Louis Biget, Paris 2000, pp. 277-252.

27
sottolinearlo, una disponibilità finanziaria sufficientemente abbondante, per non parlare di chi
poteva addirittura beneficiare dell’onore di riposare in pace all’interno di una cappella privata.
Torniamo dunque al cimitero. Esso ha essenzialmente tre funzioni: assicurare al corpo un
riposo cristiano che solo la terra consacrata della Chiesa poteva offrire, creare un luogo di
memoria e di dialogo tra le due comunità – dei vivi e dei morti – e infine fungere da luogo
propizio alla sensibilizzazione catechetica alla morte e alla fragilità della vita133. A proposito
di quest’ultima funzione, Girolamo Savonarola, nel 1496, consigliava al fedele: « Dunque
piglia questa regola: va’ spesso a vedere sepelire morti, va spesso alle sepolture, guarda
spesso coloro che muoiono; dilettati, se tu sai qualche tuo parente, o amico, o altra persona
che muoia, di starlo a vedere morire, e dipoi vallo a vedere sepelire, e sta’ bene a considerare
che cosa è l’omo (…) »134.
Luogo di vita e luogo di morte dunque, il cimitero è il centro delle svariate forme di socialità
collettiva, crogiolo di quegli usi sociali dello spazio a cui la recente storiografia presta
un’attenzione tutta particolare135. Il luogo delle ceneri è dunque un luogo altamente pubblico.
Perciò esso diventa una preoccupazione frequente per le autorità cittadine garanti dell’ordine
e della buona gestione dello spazio pubblico136.
Il luogo non solo risponde al bisogno di offrire al cadavere una sistemazione precisa, ma
risponde anche al bisogno di creare nuovi linguaggi, nuovi spazi di comunicazione, aperto ma
allo stesso tempo separato, chiuso e distinto, offrendo così una duplice protezione, dei morti e
dei vivi, che possono trovare rifugio nel perimetro dello spazio sacro (si pensi all’introduzione
della pace di Dio nel X secolo che trasformava ogni luogo sacro e consacrato – chiese e
cimiteri – in uno spazio protetto e privo di violenza137). Per i morti l’assicurazione di un
giusto riposo è garantita non solo grazie all’inumazione nel sacro perimetro ma anche, ad
esempio, dalla luce apotropaica delle lanterne che venivano poste al centro del cimitero138.
I morti stessi possono prestare man forte ai vivi. Un exemplum riportato da Jean Gobi nel suo
Scala coeli illustra molto bene l’importanza dell’aiuto che i morti possono offrire alla
comunità. Vivi e morti si ritrovano riuniti in una comunione solidale e di mutua assistenza.
Bisogna quindi che i vivi preghino per morti affinché questi ultimi vengano in aiuto, quando
la situazione lo necessita, ai vivi. « Si legge – racconta l’autore – che un cavaliere aveva una
tale devozione per i morti che ogni volta che passava a cavallo nei pressi di un cimitero,

133
« Dans l’esprit des clercs, le cimetière fut dès lors moins le lieu où les ancêtres confortaient les actes des
vivants que celui, effrayant, où les vivants devaient contempler leur mort future »; cfr. M. Lauwers, Le cimetière
comme espace sacré, in Ibidem, Naissance du cimetière, p. 268.
134
G. Savonarola, Predica XXVIII. Dell’arte del ben morire, fatta a’ di 2 di novembre 1496, in Prediche sopra
Ruth e Michea, II, pp. 382-383.
135
Si vedano ad esempio le riflessioni sul cimitero come luogo sociale di D. Alexandre-Bidon, C. Treffort, Un
quartier pour les morts, pp. 270-273. Sul concetto di uso sociale dello spazio si veda E. Crouzet-Pavan, La ville
et ses villes possibles : sur les expériences sociales et symboliques du fait urbain (Italie du centre et du nord, fin
du Moyen Age), in D’une ville à l’autre : structures matérielles et organisation de l’espace dans les villes
européennes (XIIIe-XVIe siècles). Actes du colloque organisé par l’Ecole française de Rome avec le concours de
l’université de Rome, Rome (1-4 décembre 1986), a cura di J.-C. Maire Vigueur, Roma 1989, pp. 643-680.
136
Sulla nozione di res publica nello spazio urbano medievale si rinvia a E. Crouzet-Pavan, Pour le bien
commun… A propos des politiques urbaines dans l’Italie communale, in Pouvoir et édilité. Les grands chantiers
dans l’Italie communale et seigneuriale, a cura di E. Crouzet-Pavan, Roma 2003, pp. 11-40 ; P. von Moss,
“Public” et “privé” à la fin du Moyen Âge. Le “bien commun” et la “loi de la conscience”, in “Studi
medievali”, 3, 41 (2000), pp. 505-548 ; et F. Bruni, La città divisa : le parti e il bene comune da Dante a
Guicciardini, Bologna 2003.
137
Si veda M. Lauwers, Mort(s), p. 781. Sulla « pace di Dio », si veda D. Barthélemy, L’an mil et la paix de
Dieu. La France chrétienne et féodale (980-1060), Paris 1999.
138
E. Bozoky, Les démons et les morts. Croyances et pratiques pour protéger les morts contre les démons au
Moyen Âge, in Enfer et paradis. L’au-delà dans l’art et la littérature en Europe, Conques 1995 (Cahiers de
Conques, 1), pp. 311-331; e C. Treffort, Les meubles de la mort: lit funéraire, cercueil, natte de paille, in A
réveiller les morts, pp. 207-222; Eadem, Les lanternes des morts, pp. 143-164.

28
scendeva da cavallo e inginocchiatosi recitava questa preghiera: "Signore, sii favorevole alle
anime dei defunti sotterrate qui; assolvile da tutti i loro peccati e dalle loro pene". Inseguito
un giorno da dei nemici, non trovò altro rifugio che un cimitero della chiesa; quando
attraversò il cimitero, tutti i morti si levarono con delle armi luminose e accerchiarono il
cimitero. I nemici, terrorizzati da questo miracolo, si gettarono a terra, onorarono il cavaliere
e strinsero con lui un patto di pace e di amicizia »139. I morti di questo exemplum appaiono
come una vera e propria comunità oltre ogni possibile individualizzazione personale. Il
cavaliere prega per loro con molta devozione e viene protetto dall’attacco dei nemici che
hanno osato penetrare nella loro terra, il cimitero. Vi è dunque un’area di vita collettiva, di
preghiera e di mutuo soccorso, questa area è il cimitero.
Esso è anche al centro di tutta una serie di politiche di tutela e di controllo dello spazio,
politiche promosse al contempo dalle autorità pubbliche e da quelle ecclesiastiche. Statuti e
sinodi sono dunque le fonti che meritano di essere interrogate. Le molteplici e frequenti
attenzioni rivolte allo spazio cimiteriale da parte delle autorità cittadine sono innanzitutto il
segnale delle preoccupazioni pubbliche in materia di igiene dello spazio cittadino140. La città
di pietra diventa un corpo da curare, da ordinare e da ripulire affinché si ottenga l’equilibrio e
la corrispondenza profonda tra le pietre e gli uomini che ne sono l’anima. Ritroviamo qui il
binomio fondamentale nella definizione della città medievale, teorizzato già da sant’Agostino
e Isidoro di Siviglia, tra urbs, città di pietra, e civitas, città di uomini141.
Sono gli statuti civici che raccontano la tutela da parte delle autorità del luogo cimiteriale142.
Quelli di Bologna del 1288 prevedono ad esempio: De quadam claviga facienda pro
discolanda aqua cimitterii Sancti Leonardi et vicinantie dicte cappelle a latere de supra. Ad
reparandas sepolturas et cimiterium ecclesie Beati Leonardi burgi strate Sancti Vitalis, inquo
aliquis nisi in aqua vallis sepeliri non potest, propter inundationem aquarum que perveneruit
de versus stratam Maiorem, placet, si placuerit maiori parti vicinantie dicte capelle, que est
inter Brocaglindossum et andronam que est iuxta domum heredum domini Montanarii
Bertoldi notarii, fiat una claviga per quam decurrat aqua predicta143.
La presenza del cimitero negli statuti cittadini non è però così sistematica come si potrebbe
credere. Gli statuti di Padova – ecco un altro esempio –, pur essendo molto prolissi in materia
di lavori e manutenzione degli spazi pubblici, non fanno riferimento alcuno al cimitero144.

139
J. Gobi, Scala Coeli, edizione di M.-A. Polo de Beaulieu, Paris1991, exemplum 740 ; il brano é riportato in
francese anche in J. Gobi, Dialogue avec un fantôme, pp. 124-125. Proponiamo qui una traduzione personale.
Sull’aiuto che i morti possono offrire ai vivi, si veda anche F. Cervini, I morti difensori dei vivi. Note di
iconologia e religiosità popolare sul culto dei morti a Taggia e Riva, in “Bollettino della comunità di
Villaregia”, 1, 1 (1990), pp. 42-55.
140
Si rinvia a L. Feller, Hygiène et pollution dans les villes italiennes d’après les statuts communaux, relazione
inedita tenuta al convegno La pollution au Moyen-Age et à l’époque moderne, IIèmes rencontres internationales
de Liessies, aprile 1999, © dell’autore. Distribuito da Reti Medievali, http://www.retimedievali.it (sezione
biblioteca; ultima consultazione in data 10 giugno 2005)
141
Civitas in civibus est; cfr. Sant’Agostino, Sermo de Urbis excidio, Enchiridion, 6, 6; Isidoro di Siviglia
riprende la definizione agostiniana: Nam urbs ipsa moenia sunt, civitas autem non saxa, sed habitatores
vocantur; cfr. Isidoro di Siviglia, Etymologiae, XV, 2, 1.
142
Si segnala la preziosa raccolta delle edizioni di statuti cittadini italiani e delle corporazioni tra Medioevo ed
epoca moderna conservate alla Biblioteca del Senato della Repubblica disponibile sul sito internet:
http://www.statuti.unibo.it/Statuti/Default.htm (ultima consultazione in data 10 giugno 2005)
143
Statuti di Bologna dell’anno 1288, a cura di G. Fasoli e P. Sella, Roma 1939, II, p. 172 (libro X, rubrica
LXX).
144
Statuto vecchio prima del 1236, libro III (atti criminali), capitolo VIII (Immondizie e fogne) ; in Statuti del
Comune di Padova, edizione e traduzione a cura di G. Beltrame, G. Citton e D. Mazzon, Cittadella 2000, pp.
318-320. Vi si legge tra le altre cose : « 791. Statuto vecchio sancito prima del 1236. Un abitante di Padova o dei
sobborghi non debba porre o far porre del letame sulla via o su di un pubblico vico o nel sagrato di qualche
chiesa. S’intende per letame anche il fango. Se lo ha posto o se lo ha fatto porre, lo faccia togliere entro otto
giorni. Il trasgressore paghi al comune venti soldi per ogni volta ».

29
Gli statuti di comunali di Parma del 1316 offrono dei dettagli d’eccezione, e tuttavia non
isolati, in merito alla preoccupazione igienica dei luoghi sacri. Nessuno deve dunque deporre
sporcizia o rifiuti sugli spazi pubblici ma soprattutto si deve evitare che i porci circolino
liberamente in città. Si prevede tra l’altro l’obbligo di porre un anello nel muso dell’animale
affinché non penetri nella zona del cimitero e finisca per compiere uno scempio
insopportabile nel dissotterrare i cadaveri sepolti: Capitulum quod si quis decetero posuerit
vel deiecerit vel deici vel poni fecerit in aliquo zimenterio alicujus ecclesiae ledamen,
ruschum, calcinacium vel spazaturam, de domibus in canalibus civitatis vel viis publicis,
solvat pro banno pro quolibet et qualibet vice viginti solidos parmensium ; et quilibet possit
accusare et habeat medietatem banni (…). Capitulum quod omnes porci et porchae euntes et
inventi stare vel ire in platea communis Parmae et per ipsam plateam et infra confines
plateae et in palacio communis seu sub palacio communis sint banniti et diffidati, ita quod
sine poena fiant capiencium, et occidi et tenere porcos in civitate Parmae extra confines
plateae debeat ipsos tenere et facere poni ad muxum unum anulum ferri, ut non possint
rugare mortuos de zimenteriis ecclesiarum (…)145.
Se poi volgiamo lo sguardo al territorio friulano – più volte ‘visitato’ –, troviamo, sempre in
merito all’organizzazione del traffico di bestie nello spazio urbano, che gli statuti di Udine del
Trecento stipulano al settimo capitolo: De bestiis non ponendis in dictis cimiteriis, vel pellibus
tendendis in eisdem. Capitulum VII. Item statutum et ordinatum fuit quod nemo presumat vel
audeat bestias qualescumque ponere nec ire permittere aut pelles tendere in cimiterio
ecclesie maioris predicte et aliis cimiteriis ecclesiarum Utinensium, ad pascendum vel alia
occasione quacumque, in pena et banno decem soldorum pro qualibet vice ut supra, dominio
applicandam146.
Sempre a Udine, ma nella nuova redazione statutaria del 1425, dopo la conquista veneziana
del giugno del 1420, si proibisce di condurre le bestie e di conciare pelli nel cimitero: De non
audentibus ludere nec audentibus tendere pelles vel bestias ponere in cimiteriis Sancte Marie
Maioris et aliarum ecclesiarum. Firmatum fuit quod nullus terrigena vel forensis maior XIV
annis audeat ludere ad ludum aliquem taxillorum, zonorum, pillotorum vel trocharum seu
alium ludum, (…) vel bestias quascumque ponere aut pelles tendere in cimiterio ecclesie
maioris Utinensis et aliarum ecclesiarum. Et qui contrafecerit, cadat in pena X soldorum pro
qualibet vice dominio applicandam147.
Questi brevi esempi, che certo meriterebbero maggiori approfondimenti148, dimostrano come
il rispetto della sacralità di un luogo come quello del cimitero interessi da vicino le pubbliche
autorità. Il caso degli statuti di Udine del 1425, appare altrimenti interessante nel suo
associare preoccupazioni di ordine meramente igienico a preoccupazioni più morali, che
riguardano la tutela e il controllo del comportamento collettivo, di gesti, di abitudini e di
usanze. La gente nel cimitero si riunisce, discute, commercia, ma soprattutto si diverte tra
danze e giochi149. Il sinodo diocesano tenuto ad Aquileia nel 1338 dal patriarca Bertrando di

145
Statuta communis Parmae ab anno MCCCXVI ad MCCCXXV, Parma 1858, pp. 275-280, pp. 282-283, pp.
295-297 ; brano riportato in Archives de l’Occident, t. 1, Le Moyen Age (Ve-XVe siècle), a cura di O.
Guyotjeannin, Paris 1992, pp. 576-581.
146
Statuti di Udine del secolo XIV, edizione di E. Carusi, P. Stella, in Corpus Statutorum Italicorum, n. 12,
nuova serie n. 2, Milano 1930, p. 8.
147
Statuta et ordinamenta comunitatis terre Utini, Statuti e ordinamenti del comune di Udine, pubblicati dal
Municipio, Udine 1898, p. 3.
148
Sarebbe tra l’altro molto interessante confrontare nel loro insieme le molteplici realtà statutarie dell’Italia
medioevale.
149
Sul tema del gioco e del divertimento tra pratica e normalizzazione nel Medioevo si rinvia agli studi di A.
Arcangeli, Passatempi rinascimentali. Storia culturale del divertimento in Europa (secoli XV-XVII), Roma 2004
(edizione originale in inglese Recreation in the Renaissance 2003); J. Huizinga, Homo ludens, traduzione
italiana di C. van Schendel, Milano 1967; ai contributi nel volume Gioco e giustizia nell’Italia di Comune, a cura

30
Saint-Geniès, ribadendo gran parte delle costituzioni stipulate dai suoi illustri predecessori, i
patriarchi Bertoldo di Andechs, Gregorio di Montelongo e Raimondo della Torre, ne offre una
preziosa testimonianza. Le più antiche costituzioni di Bertoldo proibivano di tenere taverne o
aste ed incanti nel cimitero150. Le aggiunte fatte dal patriarca Bertrando – gli articoli 7, 8, 9 –
insistono sul rispetto dovuto alle chiese e ai cimiteri. Vi si proibisce lo svolgimento di ogni
commercio mondano e l’esercizio della giustizia di sangue151. Sempre gli statuti di Udine del
Trecento ricordano che nel cimitero non bisogna giocare: De non audentibus ludere in
cimiterio sancti Oldorici et aliarum elesiarum. Capitulum VI. Firmatum et ordinatum fuit
quod nullus terrigena vel forensis audeat ludere in cimitero ecclesie maioris Utinensis et
earum ecclesiarum cimiteriis terre Utinensis ad ludum aliquem. Et qui contrafecerit cadat in
penam decem soldorum pro qualibet vice dominio applicandam152.
Le testimonianze più significative e poetiche non provengono tuttavia dall’essenzialità della
retorica statutaria, bensì dalle testimonianze della letteratura, soprattutto dagli exempla che
venivano utilizzati dai predicatori per rendere più pungente, accattivante e efficace il loro
messaggio dal pulpito. Il predicatore domenicano Domenico Cavalca (1270-1342) nei suoi
Esempi racconta: « Onde si legge che faccendo certi villani e llor femmine dissoluto ballo nel
cimitero della chiesa di santo Magno nelle contrade di Cologna, lo prete di ciò indegnato
perché impedivano lo suo offizio, turbatamente disse: - Io priego Idio e santo Magno che non
possiate voi fare altri di qui a uno anno -. E così fu; in ciò che per giudizio di Dio tutti
perdendo la mente, tutto l’anno andorono al ballo cantando, e non poterono né mangiare né
bere né altro fare, ed essendo ismemorati; e volendose uno tratte la sua suora e prendendola
per lo braccio, sì li rimase lo braccio in mano. E poi dipo l’anno tutti miseramente caddono e
rimanettero morti. Ma questo non par che oggi si pensi; anzi, veggiamo comunamente che
massimamente per le ville e per lo contado nelle chiese si fanno questi maladetti balli e
giuochi, sì che par ch’a studio per più dispetto di Dio l’uomo lo vada ad offendere a casa
sua »153.
Il tentativo religioso o laico di garantire un giusto riposo e una benefica tranquillità ai corpi
morti, che va insieme col garantire la separazione e la conservazione della sacralità del luogo
consacrato, è importante ma lascia comunque spazio ad una costante rimessa in questione di
questo stesso luogo di pace. La letteratura esemplare ci fornisce numerosi casi che illustrano
questa fragilità. Citiamone uno tratto dal IV libro dei Dialoghi di Gregorio Magno. Questi
racconta di come alcuni orribili demoni sono giunti nella notte a tormentare il corpo di
Valentino, uomo particolarmente ‘lubrico’, che fu sepolto nella chiesa genovese di San Sirio.
La sacralità del luogo non è sufficiente a proteggere il corpo dell’empio individuo : Ibi
namque, ut dicunt, Valentinus nomine Mediolanensis ecclesiae defensor defunctus est, vir
valde lubricus et cunctis levitatibus occupatus, cuius corpus in ecclesia beati confessoris Syri
sepultum est. Nocte autem media in eadem ecclesia factae sunt voces, ac si quis violenter ex

di G. Ortalli, Roma 1993, tra cui quello di E. Crouzet-Pavan, Quando la città si diverte. Giochi e ideologia
urbana : Venezia negli ultimi secoli del Medioevo, pp. 35-48 ; si veda dello stesso autore, Homo ludens, in
Eadem, Venise : une invention de la ville (XIIIe-XVe siècles), Paris 1997, pp. 175-187 ; J.-M. Mehl, Les jeux au
royaume de France du XIIIe au début du XVIe siècle, Paris 1990, pp. 299-300 et pp. 321-322 ; L. Zdekauer, Il
gioco d’azzardo nel Medioevo italiano, con un saggio introduttivo di G. Ortalli, Firenze, 1993. Sul tema della
danza, A. Arcangeli, Dance and punishment, in “Dance Research”, X, 2 (autunno 1992), pp. 30-42; Idem, La
disciplina del corpo e la danza, in Disciplina dell’anima, disciplina del corpo e disciplina della società tra
medioevo ed età moderna, a cura di P. Prodi, Bologna 1994 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico, 40), pp.
417-436; e A. Wéry, La danse écartelée de la fin du Moyen Age à l’age classique, Paris 1992.
150
Si veda G. Marcuzzi, Sinodi aquileiesi, Udine 1910, p. 160. Per la Francia, J. Avril, Mort et sépulture dans les
statuts synodaux du Midi de la France, in La mort et l’au-delà en France méridionale, pp. 344-364.
151
Ibidem, p. 171.
152
Statuti di Udine del secolo XIV, p. 8.
153
« I balli indemoniati », Domenico Cavalca, Esempi, n. 45, Pungilingua, in Racconti esemplari, pp. 119-121.

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ea repelleretur atque traheretur foras. Ad quas nimirum voces concurrerunt custodes, et
viderunt duos quosdam teterrimos spiritus, qui eiusdem Valentini pedes quadam ligatura
strinxerant et eum ab ecclesia clamantem ac nimium vociferantem foras trahebant. Qui
videlicet exterriti ad sua strata reversi sunt. Mane autem facto, aperientes sepulcrum in quo
isdem Valentinus positus fuerat, eius corpus non invenerunt. Cumque extra ecclesiam
quaererent ubi proiectum esset, invenerunt hoc in sepulcro alio positum ligatis adhuc
pedibus, sicut de ecclesia fuerat abstractum154.

Quando la pace dei cadaveri e la sacralità della loro dimora, tutelata sia dalle autorità
ecclesiastiche che da quelle cittadine viene ad interrompersi brutalmente, l’avvenimento si
carica di senso e può essere letto come segno divino. Andiamo per un’ultima volta in Friuli.
L’inverno e la primavera del 1511 furono per la regione un periodo nefasto segnato dalla
« crudel zuobia grassa ». Un giovedì mattina del 27 febbraio – in pieno carnevale – le
tensioni tra alcune fazioni nobiliari, gli Zambarlani e gli Strumieri, sfociarono in un bagno di
sangue155. Le violenze omicide che scossero la Patria del Friuli furono poi, ai primi tepori
primaverili, accompagnate da un terribile terremoto. Il furore sismico distrusse case, chiese e
palazzi. Molta gente morì, molta di più ebbe una gran paura. La forza distruttiva segnò le
coscienze collettive. Numerose sono le testimonianze contemporanee, dalle cronache anonime
come quella di Gemona ai Diarii udinesi degli Amaseo, le stesse immagini devastatrici
impongono il ritmo della narrazione156.
Tutto sembra intrecciarsi, tutto sembra essere orchestrato da una volontà divina. Massacro,
violenza, spargimento di sangue e segni del corruccio divino tra apparizioni e terremoto, che
sono interpretati come la punizione divina degli scempi commessi. Del terremoto in Friuli
parlano i Diarii amasei e più particolarmente le pagine scritte da Gregorio Amaseo in
memoria della « crudel zuobia grassa »: « (…) del maximo terremoto, che fo del 1511 adì 26
marzo circa le ore 20, di spaventosi mai fusse sentito da homo vivente, et forsi dala passion de
Christo in qua in quello locho, et durò per uno ottavo d’hora, con terribile reboar in aere et
horrendo odezar de l’aque perfin al fondo et dessecation de qualche fiume et vacillar dela
terra cum ruina d’alcune monte, sorzendo de nove aque et dele vechie desperdendo, cum
commotion et tremar de edificii, strepizando li sollari et muri per ogni verso, cum desolation
de multi lochi et oppression de persone, talmente che ognuno ne rimase attonito et spaurito,
confessando la potentia de Dio et stupor dela natura (…) et altra ruina notabile non fo in la
città, salvo d’un pinacolo, che cascato dala zima del Domo, fracassò la sepoltura, dove erano
stati seppelliti quelli innocenti assassinati, non senza stupendo murmuro de tutti,
concerrendoli immediate dal maximo al minimo, et celebrando con summa devotione et
lacrime una solenne procession, cridando et chiedendo perdonanza dell’error passato per
placar l’ira de Dio »157. L’interrotto riposo dei morti viene dunque ad imporsi come fulgurante
segno della collera divina.

154
Gregorio Magno, Dialoghi, IV, c. XXVI, edizione di A. de Vogüé, Paris 1980, pp. 180-182.
155
Sulla « crudel zobia grassa » si rimanda a F. Bianco, 1511. La crudel zobia grassa : rivolte contadine e faide
nobiliari in Friuli tra Quattrocento e Cinquecento, Pordenone 1995 ; a E. Muir, Mad Blood Stirring : Vendetta
and Factions in Friuli during the Renaissance, Baltimore-London, 1993 ; e Idem, Riti e rituali nell’Europa
moderna, traduzione di L. Melissari, Milano 2000 (1997), soprattutto pp. 131-134.
156
Chronicon glemonese ab anno MCCC ad MDXVII, edizione di S. Mulioni, Udine 1877, pp. 13-15 ; L.
Amaseo, G. Amaseo, G. A. Azio, Diarii udinesi dall’anno 1508 al 1541, edizione di A. Ceruti, Venezia 1884,
XI, III.
157
G. Amaseo, Historia della crudel zobbia grassa, in Diarii udinesi, pp. 527-533.

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Concludiamo. La pace e il riposo dei defunti non è una condizione che può essere data per
scontata. Essa è la meta da raggiungere nella sottile speranza di trovare la via del paradiso.
All’indigenza dell’anima « poverella » e tapina rispondono delle strategie di presenza, di
memoria e di solidarietà ritualizzate : dove il dono della parola che si svela nella preghiera per
i morti. Se alla fine del Medioevo gli attori, i luoghi e le forme della commendatio animae
sono travolti da una diversificazione e da un’accelerazione esponenziale, rimane la forza di
un messaggio unico e potente, il desiderio e la necessità di mantenere il dialogo, di non
rompere il fragile filo dell’amicizia, del legame con l’altro, alla frontiera della vita e della
morte. Atto di speranza ma anche palliativo dell’angoscia della separazione. Nei gesti e nelle
parole, le due comunità, dei vivi e dei morti, si stringono così in un ridimensionamento
costante delle frontiere.
Come raggiungere la pace, quella vera, quella eterna? L’interrogativo è quello di un percorso
che attende l’uomo che sa di morire. Tutto allora deve cominciare prima, in mezzo alla vita,
in un gesto, quello di portare, come consiglia il Savonarola, gli occhiali della morte: « fatti
fare un paio di occhiali che si chiamino li occhiali della morte (…). Questi sono li occhiali che
io ti dico: fa’ che la morte ti sia impressa sempre nella fantasia, e in ogni opera tua ricordati
della morte; e la mattina quando tu ti lievi, la prima cosa fatti el segno della croce; dipoi ti
metti li occhiali della morte, cioè dirai: – Memento homo quia cinis es et in cinerem
reverteris, "ricordati, omo, che tu se’ polvere e cenere, e in cenere hai a ritornare" (…). Questi
occhiali, figliuolo mio, ti faranno vedere la brevità di questa vita, e quanta sollecitudine tu
debbi avere per stare continuamente preparato alla morte »158.

158
G. Savonarola, Predica XXVIII. Dell’arte del ben morire, fatta a’ di 2 di novembre 1496, in Prediche sopra
Ruth e Michea, II, pp. 378-381; sul tema del memento mori, dal Petrarca al Savonarola, si vedano gli
approfondimenti di G. Gigliucci, Disprezzo del mondo e contemplazione della morte, in Idem, Lo spettacolo
della morte. Estetica e ideologia del macabro nella letteratura medievale, Anzio 1994, pp. 147-161.

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