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Nel mio ultimo post mi ero occupato delle storie a bivi e di come secondo me potrebbero essere un
ottimo modo per raccontare l’archeologia. Vi avevo promesso che mi sarei impegnato a scriverne
una.
Le promesse si mantengono ed ecco la mia prima storia a bivi archeologica, che continuerà per tre
post. Passando ore e ore delle mie giornate nel laboratorio dello scavo di Vignale presso
l’Università di Siena, la storia non poteva che avere come protagonista questo sito o, meglio,
uno dei reperti che conosco meglio. Buona lettura a tutti!
“Ehi, dico a voi! Dai su, svegliatevi! Tutti gli archeologi sono usciti dal laboratorio, i custodi hanno
chiuso a chiave le porte. Tocca a me, oggi tocca a me!”
“Graf, Graf, fermati, fermati!!! Quante volte ti abbiamo detto che devi muoverti lentamente! Sei
una gigante cicciona e ogni volta che ci sfiori noi perdiamo un pezzo! Stai attenta e non farti
prendere dalla foga. Abbiamo tutta la notte a disposizione!”
Credetemi, Graf è veramente molto sbadata! Dovete capirla, è un anfora, e come tutte le anfore è
pesante e ingombrante. Non per caso veniva usata per trasportare vino e olio.
Dovrebbe fare molta più attenzione con i suoi amici. Sono dei vetri antichi, piccole bottiglie che
contenevano profumi e oli. Fragili, molto fragili, così fragili che basta poco per mandarli in mille
pezzi.
Quando sono stati realizzati dai romani, circa 2000 anni fa, Graf e i suoi amici erano interi, mentre
ora sono dei frammenti, che attraverso i secoli sono arrivati fino a noi. Sono stati ritrovati nel sito di
Vignale e ora sono a Siena, in un grande stanzone del dipartimento di archeologia, dove sono
conservati insieme agli altri reperti trovati sullo scavo. Graf e i vetri
vivono in un’alta cassettiera bianca e blu: dovete immaginare che ogni cassetto sia la casa di quei
reperti che sono stati ritrovati insieme. Insomma, si conoscono da secoli! Altri invece si trovano
dentro dei sacchetti trasparenti e altri ancora, i più fragili di tutti, in alcune scatoline di plastica o
latta.
Ma cosa succede durante la notte? E’ il turno di Graf per fare cosa? Andiamolo a scoprire insieme!
Graf non sta più nella… ceramica; si schiarisce la voce con un sonoro colpo di tosse e, motivato
come all’epoca del primo carico di vino, chiama gli amici a raccolta: “Ragazzi!!! Come ogni lunedì
è giunta l’ora del nostro incontro: uscite dai cassetti, dai sacchetti e dalle scatole.”
“Sì sì, non urlare Graf, arriviamo, lo sai che questa sveglia serale non è proprio il massimo: non è
facile dormire di giorno con il baccano che fanno gli archeologi e poi svegliarsi a quest’ora tarda!”
“Ehi laggiù, al piano terra: sì dico proprio a voi, Tic e Toc, voi e la vostra combriccola di chiodi del
tetto della stazione di posta, siete così arrugginiti da non riuscire a sporgervi dal vostro cassetto?”
“Nossignore, a rapporto! Il tempo di far due flessioni e siamo da te!”
“Signor Int! Può alzare il suo leggiadro profilo dal letto di sabbia? Lei e il suo raffinato gruppo di
intonaci, non siete mica così sbiaditi da non partecipare, siete stati appena restaurati!!!
“Coff coff. Va bene, signora Graf. Ci togliamo un po’ di polvere di dosso e veniamo a dare un po’ di
lustro al vostro incontro con il nostro nobile portamento…”
“E tutti gli altri, vecchi pezzi da collezione, uscite dal letargo, è il mio turno, ho aspettato secoli e
oggi vi racconto la mia storia! Siete curiosi? Ci sarà da divertirsi!!”
Quale sarà la storia di Graf? E soprattutto, perché si chiama Graf?
“Molti di voi mi conoscono da sempre, con altri non ci siamo mai incontrati. Gli archeologi
difficilmente mischiano reperti di epoche diverse!! Però di solito chi mi conosce non mi dimentica:
ho un segno particolare molto… evidente!! Sono una spalla di anfora, la parte del vaso vicino al
manico, e potete vedere qui inciso un graffito. Per questo tutti mi chiamano Graf.”
“E che cosa c’è scritto?” chiese Olly, un piccolo frammento di pietra ollare di circa mezzo millennio
più giovane di Graf.
“C’è scritto Menofilo, in lettere maiuscole dell’alfabeto greco.”
“E chi è? Sono curiosa!” insistette Olly. Qualcun altro però stava sbadigliando… Int e i suoi
intonaci chiacchieravano ad alta voce tra loro, Tic, Toc e tutti i chiodi punzecchiavano di continuo i
vetri. Graf mugugnò qualcosa di incomprensibile però aveva un asso nella manica con cui
richiamare la loro attenzione!
“Tra poco saprete chi è Menofilo ma non sarò io a dirvelo, per compiere questo viaggio dovrete
affidarvi a qualcun altro!
Chi volete seguire? Menofilo o un archeologo? Scegli qui sotto!
Menofilo
Archeologo
Hai scelto di leggere la storia dal punto di vista degli archeologi. Eccola qui!
Scatole, contenitori e sacchetti di vario tipo erano ammassati sui tavoli dell’A21, il laboratorio di
archeologia dell’Università di Siena. Finalmente erano arrivati e ora i reperti di Vignale erano quasi
tutti insieme. Quelle casse erano infatti conservate a Piombino perché erano il frutto delle
ricognizioni dell’Associazione Archeologica Piombinese. Prima che iniziasse lo scavo, nel 2001, i
soci dell’Associazione avevano percorso il campo di Vignale e raccolto tutto ciò che avevano
trovato. Si è sempre saputo che il campo nascondeva testimonianze del passato e, quando la terra
veniva arata, tracce di quelle testimonianze risalivano in superficie. In quel giorno del 2008, gli
archeologi potevano finalmente osservare e studiare per la prima volta quei reperti. Alcuni spazi
della cassettiera erano stati appositamente lasciati liberi per accogliere i nuovi arrivati.
C’era un po’ di tutto: ceramica, vetro, ferro, piombo, marmo, ossa e anche qualche moneta.
Bisognava solo avere calma per fare ordine e la solita, meticolosa precisione degli archeologi per
non disperdere i vari insiemi. Ogni insieme corrispondeva al punto in cui quei reperti erano stati
trovati, quindi niente distrazioni!
Un gruppo di archeologi stava occupandosi di un sacchetto con su scritto, “Campi sottostanti la via
Aurelia”. Lo aprono e trovano piombo, denti, un pezzo di osso, delle tessere di mosaico, dei vetri e
infine una spalla di anfora.
“Ehi, qui c’è qualcosa di interessante!”
“Mah… non credo, mi pare la solita anfora sinceramente!”
“Non penso proprio, guarda meglio…!”
Menofilo
Hai scelto di leggere la storia dal punto di vista di Menofilo. Eccola qui!
Nonostante fosse settembre, quell’anno in Etruria la calura estiva non accennava a diminuire. Nelle
prime ore del pomeriggio pochi erano i carri e i cavalieri che transitavano sulla via Aurelia e anche
più tardi durante il pomeriggio non erano in molti a fermarsi: la laguna era a pochi metri e le
zanzare imperversavano. Non era certamente la stagione migliore per sostare alla stazione di posta!
Non che Menofilo potesse scegliere di andarsene altrove. Era uno schiavo e gli schiavi non
potevano certo andarsene in giro per il mondo e decidere il luogo migliore dove vivere. Gli schiavi
potevano solamente obbedire agli ordini del padrone, anche se lui, tutto sommato, era stato
fortunato. Anche Marco Fulvio Antioco era stato uno schiavo e, come Menofilo, proveniva dalle
province orientali dell’Impero Romano.
“Meglio di tanti altri sì, ma insomma… fortunato mica tanto!” pensava spesso dentro di sé
Menofilo. “Mi riterrò fortunato solo quando sarò veramente libero da ogni vincolo. Antioco sa cosa
provo ma non per questo mi risparmia lavori che odio. Soprattutto da quando ha queste manie di
grandezza: va bene ricostruire la stazione di posta con dei mattoni ma… dico, che bisogno c’era di
prodursi da sé i mattoni! Non poteva comprarli da un’altra parte, come fanno tutti… non proprio
tutti, d’accordo, però con le nostre forze è un’impresa veramente dura. Quelle fornaci fanno
veramente un caldo infernale, e i mattoni vanno cotti tutti, dal primo all’ultimo!”
Proprio in uno di questi momenti di pausa, in cui nella sua testa si affollavano i soliti pensieri,
Menofilo vide avvicinarsi Antioco con un’espressione che non prometteva niente di buono…
Anfora-story, capitolo 2
La nostra storia a bivi continua! Nella prima parte l’anfora Graf ha iniziato a raccontarvi la sua
storia, lasciandovi poi decidere se seguire gli archeologi o Menofilo, uno schiavo che lavorava a
Vignale nel I secolo d.C.
“Al diavolo l’esame! Non ho saltato una lezione e studio le stesse cose da un mese; ormai quello
che dovevo imparare l’ho imparato.” Michela ostentava sicurezza e i voti che aveva ottenuto fino a
quel momento la aiutavano ad andare avanti più spensierata nel suo intento.
Gli archeologi sono testardi e curiosi, per natura. Studiano, certo, studiano molto ma quando
scavano o hanno a che fare con un oggetto sanno che non devono sottovalutare nessun indizio che
gli si pari davanti.
Michela osservava la spalla di anfora. La terra che c’era ancora sopra copriva qualcosa, ne era certa.
Era ora di chiarire una volta per tutte la questione.
Prese una bacinella nell’armadietto, la riempì di acqua più o meno calda e vi immerse il coccio.
Nell’unica campagna di scavo a cui aveva partecipato nella sua breve carriera da archeologa,
Michela si era trovata più volte a lavare la ceramica e, tutto sommato, era una delle attività che
preferiva. La trovava rilassante: musica e chiacchiere a non finire erano necessarie al termine di una
impegnativa giornata di scavo per ritrovare gradualmente il contatto con la realtà. Poi certo, stando
chini sulla bacinella bisognava mettere in conto anche un certo mal di schiena e, avendo le mani
sempre immerse nell’acqua, le mani screpolate. Ma era un piccolo prezzo da pagare in confronto al
vivere un’esperienza nuova e fuori dalla norma.
Mentre quei pensieri fluttuavano nella sua testa, la terra sull’anfora si era ammorbidita e con le dita
riuscì a rimuoverla alla superficie. Poi prese uno spazzolino e pulì meglio nella zona in cui vedeva
tracce di altri graffiti. Alla luce giallastra del laboratorio, dopo vari minuti, un’iscrizione completa si
stagliava di fronte ai suoi occhi.
Per ogni lettera che riconosceva lo sforzo di contenere la sua emozione saliva vertiginosamente ma,
alla fine, riuscì a mantenere un atteggiamento professionale di fronte a questa scoperta inaspettata.
Si avvicinò a Vincenzo, che aveva da poco concluso di mettere in ordine : “Avevi ragione tu,
sull’anfora non c’era nulla di interessante…”
“Te l’avevo detto!! – disse Vincenzo esultante. “Poco male, almeno hai lavato il pezzo!”
“Già, sempre meglio pulire bene tutto. Non c’è nulla di interessante eccetto un’iscrizione graffita in
alfabeto greco. C’è scritto Menofilo! Ci vediamo domani, dopo il mio esame, così cerchiamo di
capire chi poteva essere questo misterioso personaggio!” disse Michela andandosene, con un sorriso
furbetto stampato in faccia.
Vincenzo si voltò di scatto e vide il pezzo appoggiato accanto a lui. Con un filo di voce tremante,
l’unica cosa che fu in grado di dire fu: “Va bene, a domani…
Anfora story, ultimo capitolo
Siamo giunti all’epilogo della nostra storia a bivi. Se negli scorsi capitoli avete sempre scelto la
giusta direzione a ogni incrocio, in questo post troverete i finali delle due storie sulla nostra spalla
di anfora, quella narrata dallo schiavo Menofilo e quella dal punto di vista degli archeologi.
Tra le righe di queste storie ho cercato di far emergere come lavora un archeologo e cosa può
ricostruire in modo verosimile il passato che studia. Come scritto nel post introduttivo sulle storie a
bivi, l’archeologo è continuamente di fronte a dei bivi, è abituato a sbagliare strada e tornare
indietro, ogni volta raffinando l’informazione con nuove tracce o semplicemente mettendo in un
ordine diverso quelle che ha a disposizione.
Non vi annoio ancora e passiamo subito ai finali.
Alla prossima storia a bivi!
Menofilo
L’urto a terra era stato molto forte. Era riuscito appena in tempo a mettere le mani avanti per attutire
la caduta. La testa gli girava e strane sensazioni gli si agitavano dentro: quell’anfora davanti a lui
sembrava conoscerla da sempre. Come se fosse sempre stata sua. Forse era solo confuso per la
botta, non poteva essere veramente così, l’anfora era stata cotta pochi giorni prima nella fornace.
Fatto sta che qualcosa spingeva Menofilo a non alzarsi e andarsene; invece di inveire per la caduta e
tornare a fare quello che stava facendo, rimase per un po’ seduto a terra. Gli altri schiavi
ridacchiavano e lo sbeffeggiavano per la sua sbadataggine ma lui non se ne curava. A loro avrebbe
pensato dopo.
Da quando i suoi occhi avevano incrociato quel contenitore così insignificante ma allo stesso tempo
così attrattivo solo un pensiero gli frullava in testa: non poteva lasciarlo lì e portarselo via non era
così complicato. Era solo una delle tante anfore che producevano alla fornace e Antioco non si
sarebbe di certo accorto se ne mancava una. Era un padrone pignolo ma non fino a quel punto.
Agguantò i manici e si lasciò alle spalle la fornace trasportando l’anfora con una certa difficoltà.
Dopo aver deciso di tenerla, Menofilo volle suggellare questa decisione. Seduto in un angolo
riservato della laguna, attorniato dalle zanzare e con il sole ormai nascosto dietro l’isola d’Elba,
estrasse un chiodo che aveva preso alla fornace e iniziò a incidere e scalfire la superficie liscia del
vaso, concentrato come un bambino alla prese con i primi compiti in classe. In fondo lui aveva
imparato a scrivere molto tempo prima, e da quando era uno schiavo non aveva più tratteggiato una
lettera. Il suo nome però se lo ricordava bene, lo stava scrivendo in lettere maiuscole, con il suo
alfabeto, quello greco. Ben più difficile era realizzare incisioni precise.
Quando ebbe terminato ormai non c’era quasi più luce ma il suo nome sulla spalla dell’anfora era
completo.
Da tempo voleva avere un oggetto tutto suo e quell’anfora su cui era inciampato aveva attirato
subito la sua attenzione. L’avrebbe portata nella stanza dove viveva e l’avrebbe tenuta lì per
metterci dentro cibo o altro. Nessuno avrebbe potuto metterci le mani, c’era il suo nome sopra,
nessuno poteva ignorare fosse sua, nemmeno gli uomini del futuro. Quell’anfora gli avrebbe sempre
ricordato quel momento in cui aveva deciso di restare, nonostante una vita piuttosto grama di
soddisfazioni e un padrone avaro di complimenti. In quel momento non sapeva cosa avrebbe
riservato il suo futuro ma sapeva che sarebbe rimasto indissolubilmente legato a Vignale. E non
avrebbe mai immaginato per quanto tempo!
Archeologo
Michela tornò in laboratorio il pomeriggio successivo con la scanzonata leggerezza di chi, sapendo
di aver svolto il suo dovere, è libero di impiegarre il suo tempo come meglio crede. Lei in quel
momento voleva studiare meglio la spallla dell’anfora con il graffito: dalla sera precedente non
aveva mai smesso di pensarci. Vincenzo cercò di fermarla: “Se sei qui vuol dire che l’esame è
andato bene, ma sei sicura di non voler riposare?!”
“Il mio riposo è la libertà di studiare ciò che voglio e di sciogliere le redini della mia curiosità!
L’esame è andato bene e ora cerchiamo di capire se su qualche possiamo trovare informazioni su
questo Menofilo!”
Michela sapeva di non poter fare a meno di Vincenzo. Lei era alle prime armi e non sapeva molto
bene come affrontare uno studio del genere. Vincenzo era più esperto di lei e meglio informato.
“Michela, intanto iniziamo a osservare attentamente l’anfora. Non abbiamo la certezza perché il
manico non si è conservato ma direi che è un anfora Dressel 2/4, uno dei tipi più diffusi nell’epoca
che ci interessa, il primo secolo d.C. A un’analisi preliminare dell’impasto dell’argilla mi sembra
possa essere stata cotta nelle fornaci di Vignale, per cui direi che il nostro graffito non è stato inciso
da Menofilo per qualche funzione commerciale. Probabilmente l’ha usata lui stesso, per fare cosa è
difficile dirlo.”
“Potrebbe voler dire qualcosa il fatto che ha scritto in maiuscolo?”
“Molto brava! In effetti di solito in età romana quando si scriveva il proprio nome su un oggetto per
segnalare che lo si possedeva, si scriveva in corsivo. E’ molto strano sia in maiuscolo, fa pensare
che possa trattarsi di un graffito con funzione funeraria, con l’anfora a segnalare il luogo e il nome
del defunto. Anche perché la superficie dell’oggetto è molto liscia, come se fosse stata usata molto
poco.”
“No, speriamo di no, anche perché significherebbe che il graffito non è stato realizzato dallo stesso
Menofilo. E io che pensavo di poter arrivare a ricostruire la sua storia, un po’ come per Antioco.”
“Beh, sai benissimo che per Antioco conosciamo prenome, nome e cognome, mentre qui con un
solo elemento del nome diventa impossibile. E’ come se trovassi scritto Andrea su un quaderno,
quanti Andrea ci sono nel mondo? Non riuscirai mai a ricostruire la sua vera storia, puoi pensare
quale possa essere stata una sua storia verosimile, ed è già raro che tu riesca a vedere la vita di un
uomo sull’oggetto che hai trovato, anche se solo con il suo nome. Riesce già a farti sentire il passato
più vicino, che dici?”“Sicuramente, anche se ancora un po’ sfuggente. Magari potrebbero uscire
altre tracce di Menofilo dai prossimi scavi, e allora chissà…. Forse saremo in grado di ricostruire un
altro pezzo della sua storia.”
“Mai porre un limite al caso. Hai ragione, però per il momento ci dobbiamo fermare qui.”
Mentre tornava a casa, se da un lato Michela si sentiva piuttosto delusa per avere un quadro molto
parziale della storia di Menofilo, dall’altro non poteva che ammettere il fascino che un tipo di studio
e di ricerca come quella archeologica portava con sé. Sudarsi sullo scavo le singole informazioni,
costruire attraverso di esse ipotesi, riscrivere le storie ogni volta che un elemento nuovo emergeva
dalla terra o da altri studi. Un’infinita complessità da raccontare e da vivere in prima persona.
Menofilo era solo un tassello di quel grande mondo, in cui si era da poco affacciata e che non
vedeva l’ora di esplorare.