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Abu Simbel: il salvataggio dei templi

di Mara Noveni | 03 dicembre 2014

“Una delle più affascinanti avventure dell’uomo”, “Spettacolare e misteriosa”… Non mancano gli
aggettivi per descrivere la grande Campagna Nubiana, nell'antico Egitto, sorgente di fascino e di
ammirazione, che continua a svelare i tesori di una storia millenaria che rischiavano di essere
sommersi dal Grande Nilo.
Nel 1954, il governo egiziano decise di costruire a sud della città di Aswan una gigantesca diga
destinata a trasformare e modernizzare l’economia del paese ma che rischiava di sommergere,
con il suo immenso bacino di raccolta, decine di edifici e di siti archeologici tra cui i templi di Abu
Simbel e di Philae.
Per questo i governi dell’Egitto e del Sudan chiesero, nel 1959, l’aiuto attivo dell’Unesco dal punto
di vista materiale,tecnico e scientifico per proteggere e mettere in atto i progetti di salvaguardia
dei monumenti dell’antica Nubia.
L’Unesco rispose lanciando un duplice appello: il primo, di ordine generale, nel marzo del 1960; il
secondo, nel novembre del 1968, riguardante specificamente il salvataggio dei templi di Philae.

La Campagna aveva i seguenti obiettivi:


· Inventariazione dei monumenti della Nubia
· Individuazione di quelli a rischio inondazione
· Azione di salvaguardia dei monumenti a rischio, con il conseguente spostamento dei siti in zone
non minacciate dal rialzo del livello delle acque del Nilo. Dal 1964, il livello del aumentò
progressivamente, creando un grande bacino che prese il nome di Lago Nasser, con la previsione
dell’innalzamento del livello delle acque del fiume di circa 60 metri.

I templi di Abu Simbel dovevano essere salvati, per non rimanere sommersi. Due commissioni di
ingegneri noti in campo internazionale da una parte, e di archeologi ed architetti dall’altra,
parteciparono come consiglieri delle autorità della R.A.U. I lavori cominciarono nel ’64 e furono
terminati nel ’68.
Tutte le macchine da cantiere – 630 tonnellate di macchinario da sterro e scavo, 135 tonnellate di
compressori, martelli pneumatici e perforatori, 350 tonnellate di macchinario di sollevamento, e
610 tonnellate di veicoli – arrivarono dall’Europa, via mare. Nel maggio ’65 la gru sollevò il primo
masso: aveva così inizio, un anno e mezzo dopo la firma del contratto, il vero lavoro di
smantellamento.
Ciascun blocco era stato contrassegnato da un codice di riconoscimento: una combinazione di
lettere e numeri che indicavano di quale dei due tempi si trattasse, la posizione del pezzo, l’area, la
fila e il numero del blocco. Una volta sollevati dalla gru i blocchi venivano depositati su un camion
a rimorchio che li trasportava lentamente fino all’area di immagazzinaggio.

Le facciate dei templi furono coperte con cuscini di sabbia fine per proteggerle dalla caduta di
frammenti durante le operazioni di smantellamento. L’interno dei due templi fu rinforzato, invece,
con una impalcatura in acciaio profilato, ingegnosamente progettata, su cuscini d’aria.
Questa impalcatura avrebbe dovuto sopportare il peso dei blocchi della volta appena tagliati ed
evitarne l’eventuale caduta. Le decisioni prese, in ultima analisi, stabilirono come peso massimo
dei blocchi dei soffitti e perimetrali 20 tonnellate, e per i blocchi della facciata 30 tonnellate.
Inoltre, la massima estensione permessa della superficie esterna di un lato per i blocchi tagliati,
doveva essere di 15 mq per i massi della facciata, 10 mq per i blocchi del soffitto, e 12 mq per i
muri delle stanze del tempio. I singoli blocchi,dopo il trattamento prima del taglio e quello durante
la manovra di sollevamento, furono sottoposti ad un ulteriore trattamento nell’area- magazzino
dove ricevettero iniezioni rinforzanti di resina sintetica poiché l’acqua non si poteva usare in
queste iniezioni per il timore di decolorare la pietra.

L’operazione di smantellamento cominciò all’inizio del ’65 con la rimozione del picco sovrastante,
e lo scavo dietro la facciata che permetteva di raggiungere i soffitti dei templi. La maggior parte
del lavoro di scavo doveva essere fatta senza l’aiuto di esplosivi per non mettere in pericolo i
templi per via delle vibrazioni: l’unica via per i salvatori di Abu Simbel – scrive …. era quella di
avvicinarsi cautamente ai santuari prigionieri della roccia, dall’alto e di fianco, non usando
nient’altro che i martelli pneumatici azionati a mano. Sia l’interno sia la facciata del tempio
dovevano invece essere tagliati con seghe a mano.

L’assemblaggio
L’operazione di montaggio fu il trionfo dei geometri. Il loro lavoro garantiva al millimetro la
reciproca posizione dei blocchi e la relazione dei due templi tra loro: il raggiungimento della
posizione finale durava delle ore.

La ricostruzione del paesaggio originale


Questa fase si mostrò più difficile e laboriosa di quanto gli esperti avessero previsto. Il restauro
della roccia attorno alle facciate, così come la creazione di colline artificiali, richiesero quasi un
anno e mezzo per essere completati. I templi che erano stati ora rimontati fuori dalla portata delle
acque, non erano fatti per sopportare il peso delle colline sovrastanti. Il progetto così prevedeva
l’erezione di archi protettivi di calcestruzzo, composti di una sezione cilindrica e sferica (in forma di
quadrante).
Queste cupole avevano lo scopo soprattutto di stornare la pressione della copertura di terra dei
templi, e inoltre di mantenere uno spazio vuoto al di sopra, per ragioni di ventilazione. Queste
sezioni di volte sferiche non erano mai state costruite prima. La creazione delle colline del tempio
ed il completamento del lavoro di paesaggio prese circa 6 mesi.

Nessun altro progetto di costruzione ha mai subito una tale varietà di procedure di prova e di
progetti.

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