Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
23/11/2006
Indice
0.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1
0.1 Introduzione
Nei corsi della triennale si è studiata la semplicità del gruppo alterno An per
n ≥ 5, per lo più strettamente collegata con la non risolubilità di Sn per n ≥ 5.
L’obiettivo di questa tesi è studiare altre classi di gruppi semplici finiti.
Dato un gruppo G, è chiaro che il suo centro, chiamiamolo Z, è normale in
G, e quindi l’idea per cercare di costruire un gruppo semplice a partire da G
è considerare il quoziente G/Z. In questa tesi verrà fatto questo in due casi
particolari: verranno presi in considerazione due gruppi di isomorfismi lineari e
verrà studiata la semplicità del loro quoziente rispetto al centro.
I due gruppi studiati sono i seguenti:
1. Il gruppo speciale lineare SLn (F ), che consiste di tutte le trasformazioni
lineari invertibili di uno spazio vettoriale sul campo F in sé, con determi-
nante 1.
2. Il gruppo simplettico Spn (F ), che consiste delle B-isometrie di uno spazio
vettoriale V di dimensione n sul campo F , dove B è una fissata forma
bilineare alternante non degenere su V . Sarà chiaro che la scelta di B
non influirà sulla classe di isomorfismo del particolare gruppo simplettico
associato a B.
I centri dei gruppi presi in esame verranno a coincidere con il nucleo della loro
azione naturale sull’insieme dei sottospazi 1-dimensionali di V (chiamato “spazio
proiettivo n − 1-dimensionale”) che “cambia le direzioni”, nel senso che il sot-
tospazio 1-dimensionale di V di direzione x ∈ V viene mandato tramite l’iso-
morfismo lineare T nel sottospazio 1-dimensionale di V di direzione T (x).
A meno di poche eccezioni, discusse a parte, si dimostrerà che ognuno dei
due gruppi considerati (chiamiamolo G) coincide col suo sottogruppo derivato.
Questo, connesso con due importanti proprietà dell’azione descritta sullo spazio
proiettivo, permetterà di concludere che il quoziente di G col nucleo dell’azione
(e quindi col centro di G) è un gruppo semplice.
2
Capitolo 1
G×X →X
(g, x) 7→ g ∗ x
è equivalente a dare un omomorfismo α : G → Sym(X), dove Sym(X)
denota il gruppo (rispetto alla composizione) delle applicazioni biiettive
di X in sé. Infatti se è data un’azione di G su X l’applicazione
G → Sym(X)
g 7→ γg : x 7→ g ∗ x
è omomorfismo, e se è dato l’omomorfismo
α : G → Sym(X)
allora la funzione
G×X →X
(g, x) 7→ α(g)(x)
determina un’azione di G su X. Il nucleo dell’omomorfismo α associato
all’azione si dice nucleo dell’azione e se tale nucleo consiste del solo
elemento identico l’azione si dice fedele. Data un’azione arbitraria di G
su X si può costruire un’azione fedele facendo agire il quoziente G/ker(α)
su X tramite (gker(α), x) 7→ gx.
2. Dato un gruppo G, e dati a, b ∈ G, il commutatore di a e b (nell’ordine)
è
[a, b] := aba−1 b−1
3
Indichiamo con G0 il sottogruppo derivato di G, o commutatore di G,
definito da
G0 := h{[a, b] | a, b ∈ G}i
Si hanno i seguenti fatti:
(i) Se γ : G → G è automorfismo allora γ(G0 ) = G0 . In particolare G0 E G.
(ii) Se N E G allora G/N è abeliano se e solo se N ≥ G0 .
Prova:
(i) Notiamo che
γ([a, b]) = γ(aba−1 b−1 ) = γ(a)γ(b)γ(a)−1 γ(b)−1 = [γ(a), γ(b)]
quindi γ(G0 ) ≤ G0 , e che se h, k ∈ G allora h = γ(a), k = γ(b) per qualche
a, b ∈ G e quindi [h, k] = γ([a, b]). Da cui G0 ≤ γ(G0 ).
(ii) Se (e solo se) G/N è abeliano, (G/N )0 = {1G/N } = {N }, quindi
[aN, bN ] = N per ogni a, b ∈ G, il che impica
N = [aN, bN ] = (aN )(bN )(a−1 N )(b−1 N ) = (aba−1 b−1 )N = [a, b]N
cioè [a, b] ∈ N . Quindi G0 ≤ N . Se invece G0 ≤ N allora [a, b] ∈ N per
ogni a, b ∈ G, quindi [aN, bN ] = [a, b]N = N cioè (G/N )0 = {N }.
3. Dato un campo F , Ln (F ) denota l’insieme degli isomorfismi lineari V →
V , dove V è uno spazio vettoriale su F di dimensione n. Si tratta
di un gruppo rispetto alla composizione, che chiameremo gruppo lin-
eare. Scelta una base di V , possiamo certamente identificare Ln (F ) con
il gruppo delle matrici n × n invertibili a entrate nel campo F (essendo
le colonne di una di tali matrici le immagini della base scelta rispetto al
corrispondente isomorfismo, scritte nella base scelta). L’applicazione
(Ln (F ), ◦) → (F ∗ , ·)
T 7→ det(T )
è omomorfismo suriettivo di gruppi. Per il primo teorema di omomorfis-
mo per i gruppi Ln (F )/ker(det) ∼
= F ∗ quindi tale quoziente è abeliano.
Denoteremo ker(det) con SLn (F ), e lo chiameremo gruppo speciale
lineare. È normale in Ln (F ) in quanto nucleo di un omomorfismo.
Riepilogando, la seguente sequenza è esatta:
det
{1} → SLn (F ) ,→ Ln (F ) → F ∗ → {1}
4
Definizione 2 (azioni primitive). L’azione del gruppo G sull’insieme S si
dice primitiva se è transitiva e le uniche partizioni di S che sono stabilizzate
dall’azione indotta di G su P (S) sono {S} e {{x} | x ∈ S}.
Osserviamo ora che nella definizione precedente la richiesta che l’azione sia tran-
sitiva è superflua se |S| > 2, ma non lo è se |S| = 2. Infatti G agisca su S in
modo primitivo, e consideriamo la partizione di S in G-orbite,
[
S= Ox
x∈S
5
mostrare che esiste g ∈ G tale che gA ∩ A 6= ∅ e gA 6= A. Poiché l’azione è
2-transitiva esiste g ∈ G tale che gx = x e gy 6∈ A. Allora x ∈ gA 6= A.
(2) Partizioniamo S nelle orbite dell’azione di H su S. Poiché H E G, g(Hx) =
H(gx) per ogni g ∈ G, x ∈ S (ghx = (ghg −1 )gx). Quindi G stabilizza la
partizione di S nelle orbite dell’azione di H. Poiché H non è contenuto nel
nucleo dell’azione di G esiste un x ∈ S la cui H-orbita è diversa da {x}, il che
esclude che la partizione in H-orbite sia ∪x∈S {x}. Ma allora poiché l’azione è
primitiva c’è una sola H-orbita, e quindi l’azione di H su S è transitiva.
(3) Siano x ∈ S, g ∈ G. Allora esiste h ∈ H tale che hx = gx. Allora
h−1 g ∈ Stab(x) e dunque g ∈ HStab(x).
Lemma 2 (di Iwasawa). Sia G un gruppo che agisce su un insieme S con più
di due elementi, e sia K il nucleo dell’azione. Allora G/K è semplice se sono
verificate le seguenti condizioni:
(1) L’azione è primitiva
(2) G = G0
(3) Esiste x ∈ S tale che Stab(x) contenga un sottogruppo normale abeliano Ax
tale che G sia generato dai coniugati gAx g −1 , g ∈ G.
Dimostrazione. Sia H E G contenente propriamente K. Basta mostrare che
H = G, perché ogni sottogruppo normale L > {1G/K } di G/K è del tipo H/K
con K < H E G (e precisamente con H = {h ∈ G | hK ∈ L}), quindi se
H = G, L = G/K. H è transitivo su S per il lemma 1 (2). Detto x ∈ S che
soddisfi la condizione (3), per il lemma 1 (3) G = HStab(x). Sia G∗ = HAx .
È un gruppo perché h1 a1 h2 a2 = h1 (a1 h2 a−1
1 )a1 a2 ∈ HAx . Mostriamo che è
normale in G.
Detto g ∈ G, esistono h00 ∈ H, l ∈ Stab(x) tali che g = h00 l e quindi se a ∈ Ax e
h ∈ H si ha
ghag −1 = ghg −1 gag −1 = h0 h00 lal−1 (h00 )−1
con h0 = ghg −1 ∈ H. Detto a0 = lal−1 ∈ Ax ,
ghag −1 = h0 h00 a0 (h00 )−1 = h0 h00 a0 (h00 )−1 (a0 )−1 a0 = h0 h00 h000 a0 ∈ HAx
G∗ = HAx = G
G/H = Ax H/H ∼
= Ax /(Ax ∩ H)
6
Capitolo 2
2.1 Generazione
Alcune notazioni: d’ora in poi F denoterà un campo, eij denoterà la matrice
quadrata avente 1 nel posto (i, j) e zero altrove, e dato b ∈ F , se i 6= j Tij (b)
denoterà la matrice 1 + beij . Dal fatto che il prodotto delle matrici A e B è
definito per componenti X
(AB)sl = Asp Bpl
p
ricaviamo che il prodotto eab ecd vale ead se b = c, altrimenti vale 0. Ovvero
eab ecd = δbc ead
Un altro semplice risultato è che dato b ∈ F, Tij (b) è invertibile e ha come
inversa Tij (−b), infatti
Tij (b)Tij (−b) = (1 + beij )(1 − beij ) = 1 − b2 e2ij = 1
Inoltre poiché Tij (b) è una matrice triangolare, il suo determinante è il prodotto
degli elementi diagonali, che è 1, quindi Tij (b) ∈ SLn (F ).
Lemma 3. SLn (F ) è generato dalle matrici elementari Tij (b).
Dimostrazione.
Osservazione 1. Se F è un campo e A ∈ Mn (F ) allora A è equivalente a una
matrice del tipo
d1 0
..
diag(d1 , ..., dr , 0, ..., 0) :=
.
dr
0 0
7
dove di 6= 0 ∀i = 1, ..., r, e r è il rango di A. Si ha P AQ = diag(d1 , ..., dr , 0, ..., 0)
ove P e Q sono prodotti di matrici del tipo Tij (b) e Pij = 1 + eij + eji − eii − ejj .
Dimostrazione. Si può passare da una matrice quadrata A di ordine n e rango
r a una diagonale del tipo dell’enunciato facendo solo le seguenti operazioni:
Per dimostrarlo usiamo l’induzione sull’ordine n mostrando che una matrice del
tipo
a11 a12 ... a1n
a21
A= .
..
B
a1n
tramite le operazioni sopra descritte, se a11 6= 0, si può portare a
a11 0 ... 0
0
A0 = .
..
0
B
0
8
ricaviamo che possiamo rimpiazzare le Pij con matrici del tipo Tij (b) e 1 − 2eii .
Ora osserviamo che
Tij (b)(1 − 2eii ) = (1 + beij )(1 − 2eii ) = 1 − 2eii + beij (2.1)
(1 − 2eii )Tij (−b) = (1 − 2eii )(1 − beij ) = 1 − beij − 2eii + 2beij (2.2)
quindi
Tij (b)(1 − 2eii ) = (1 − 2eii )Tij (−b)
Analogamente
Tji (b)(1 − 2eii ) = (1 − 2eii )Tji (−b)
Inoltre se j 6= k 6= i 6= j allora 1 − 2eii commuta con Tjk (b), infatti commutano
ejk e eii essendo ejk eii = 0 = eii ejk . Possiamo allora trascinare tutte le 1 − 2eii
a sinistra nella fattorizzazione di P , a destra nella fattorizzazione di Q, e poi
moltiplicare per gli inversi di tali fattori (i fattori stessi) in modo da eliminarli
ottenendo ancora una matrice diagonale (prodotto di matrici diagonali). Ot-
teniamo cosı̀ una matrice diagonale equivalente ad A avendo fatto su A solo
operazioni elementari su righe e colonne.
Quindi possiamo ridurci al caso in cui P e Q sono prodotti di matrici del tipo
Tij (b). Per mostrare che A stesso è prodotto di matrici di tale tipo poiché
P AQ = diag(p1 , ..., pn ) basta ricondursi al caso A = diag(p1 , ..., pn ), poiché
evidentemente det(P ) = det(Q) = 1. In altre parole mostrato il risultato per
diag(p1 , ..., pn ) esso varrà anche per A = P −1 diag(p1 , ..., pn )Q−1 perché come
abbiamo visto l’inversa di Tij (b) è di tale tipo. Ora det(A) = 1 implica
d1 ...dn = 1
quindi ogni di è invertibile.
Osservazione 2. diag(d−1 , d) si può scrivere come prodotto di Tij (b) con i 6= j.
Infatti si scrive come
1 −1 1 0 1 −1 1 d 1 0 1 d
0 1 1 1 0 1 0 1 −d−1 1 0 1
Quindi lo stesso vale per
Di := diag(1, ..., 1, (d1 ...di )−1 , d1 ...di , 1, ..., 1)
dove il termine (d1 ...di )−1 si trova nella posizione i.
Moltiplicando D1 = diag(d−1 1 , d1 , 1, ..., 1) a destra per A = diag(d1 , ..., dn ) otte-
niamo diag(1, d1 d2 , d3 , ..., dn ), e moltiplicando a sinistra per D2 = diag(1, (d1 d2 )−1 ,
d1 d2 , 1, ..., 1) otteniamo D2 D1 A = diag(1, 1, d1 d2 d3 , d4 , ..., dn ) e proseguendo di
questo passo
Dn−1 ...D2 D1 A = diag(1, ..., 1, d1 ...dn ) = 1
con i Di che sono prodotti di matrici del tipo Tij (b). Otteniamo che
A = D1−1 D2−1 ...Dn−1
−1
9
Lemma 4. Se n 6= 2 oppure |F | 6∈ {2, 3}, e se n ≥ 2, SLn (F ) coincide col suo
sottogruppo derivato (gruppo commutatore).
Dimostrazione. Per il lemma 3 basta mostrare che le Tij (b) appartengono al
sottogruppo derivato. Osserviamo che se n ≥ 3 prendendo i, j ∈ {1, ..., n}
distinti e k 6= i, j otteniamo
Tij (b) = Tik (b)Tkj (1)Tik (−b)Tkj (−1) = Tik (b)Tkj (1)Tik (b)−1 Tkj (1)−1
infatti
Tik (b)Tkj (1)Tik (−b)Tkj (−1) = (1 + beik )(1 + ekj )(1 − beik )(1 − ekj )
= (1 + ekj + beik + beij )(1 − ekj − beik + beij )
= 1 − ekj − beik + beij + ekj + beik − beij + beij
= 1 + beij = Tij (b)
Se invece n = 2 abbiamo
−1
1 c(d2 − 1)
d 0 1 c d 0 1 −c
=
0 d−1 0 1 0 d 0 1 0 1
10
la condizione di commutazione dice che
Quindi se n > 2:
nel caso j = l, i 6= k otteniamo gki = 0,
nel caso j 6= l, i = k otteniamo gjl = 0,
nel caso j = l, i = k otteniamo gii = gjj .
Al variare di i 6= j, k 6= l, le prime due condizioni (equivalenti) dicono che g è
nulla fuori dalla diagonale, la terza dice che g è costante sulla diagonale. Quindi
g è una matrice scalare, e quindi commuta con ogni elemento di Ln (F ). Il caso
n = 2 si risolve facilmente, imponendo che una generica matrice A ∈ Ln (F )
commuti con le matrici
1 1 1 0
,
0 1 1 1
e trovando che essa dev’essere una matrice scalare.
Quindi il centro C di Ln (F ) è F ∗ 1, ed è il gruppo delle matrici scalari d1 al
variare di 0 6= d ∈ F .
Definizione 3. Il gruppo unimodulare proiettivo P SLn (F ) è il quoziente SLn (F )/C
dove C := F ∗ 1 ∩ SLn (F ) è il centro di SLn (F ).
Il nostro obiettivo è mostrare che eccettuati i casi esclusi nel lemma 4, tale
gruppo è semplice.
Definizione 4 (spazio proiettivo). Sia V un n-spazio vettoriale su F , e sia
Pn−1 (F ) l’insieme dei sottospazi
F x := {αx | α ∈ F }
T (F x) = F (T x)
per ogni T ∈ Ln (F ).
Proposizione 2. Il nucleo dell’azione sopra descritta è F ∗ 1.
Dimostrazione. Il nucleo consiste dei T ∈ Ln (F ) tali che T (F x) = F x per ogni
0 6= x ∈ V . Quindi T è nel nucleo se e solo se
T : 0 6= x ∈ V 7→ ax x ∈ V
11
F . Allora T ei = aei ei e se i 6= j, T (ei + ej ) = aei +ej (ei + ej ) = T ei + T ej =
aei ei + aej ej da cui (aei +ej − aei )ei + (aei +ej − aej )ej = 0. Per l’indipendenza
lineare aei +ej = aei = aej . Quindi T = a1 con a 6= 0.
Viceversa ogni mappa di tale forma agisce come l’identità su Pn−1 (F ).
Ponendo P Ln (F ) := Ln (F )/F ∗ 1 abbiamo una azione fedele di tale gruppo su
Pn−1 (F ) in cui la classe [T ] = F ∗ T agisce su F x tramite [T ](F x) = F (T x).
Il gruppo P Ln (F ) si dice gruppo proiettivo. Esso contiene il sottogruppo
SLn (F )/(F ∗ 1 ∩ SLn (F )) che abbiamo chiamato gruppo unimodulare proiet-
tivo. Anch’esso agisce fedelmente su Pn−1 (F ). Abbiamo quindi dimostrato
il
Teorema 1. Il centro di SLn (F ) coincide col nucleo dell’azione di SLn (F ) su
Pn−1 (F ) indotta da quella di Ln (F ).
2.3 Semplicità
Mostriamo che valgono per SLn (F ) le condizioni sufficienti richieste per la
semplicità dal lemma di Iwasawa.
Lemma 5. SLn (F ) è 2-transitivo su Pn−1 (F ) se n ≥ 2.
Dimostrazione. Dobbiamo provare che se F x1 6= F x2 e F y1 6= F y2 con 0 6=
x1 , x2 , y1 , y2 ∈ V allora esiste una trasformazione lineare T di determinante 1
tale che T x1 = a1 y1 6= 0 e T x2 = a2 y2 6= 0 con ai ∈ F, i = 1, 2. Per ipotesi
x1 , x2 e y1 , y2 sono linearmente indipendenti.
Pn Possiamo
Pnquindi scegliere una
base (x1 , x2 , ..., xn ) di V con y1 = a x
j=1 j1 j , y 2 = j=1 aj2 xj . Se n > 2
possiamo aggiungere n − 2 colonne alla matrice
a11 a12
a21 a22
.. ..
. .
an1 an2
12
Dimostrazione. Stab(F e1 ) è l’insieme delle trasformazioni lineari di matrice
a11 a12 ... a1n
0
..
. An−1
0
nella base {ei }i=1,...,n , con a11 det(An−1 ) = 1. La mappa Stab(F e1 ) → Ln−1 (F )
che manda una tale trasformazione nella matrice An−1 è omomorfismo il cui
nucleo è Ae1 , l’insieme delle trasformazioni lineari V → V di matrice
1 a12 ... a1n
0
..
. 1
n−1
0
nella base {ei }i=1,...,n . Si vede velocemente che Ae1 è un gruppo abeliano.
Quindi è un sottogruppo normale abeliano di Stab(F e1 ) (normale in quanto
nucleo di un omomorfismo). È chiaro che Ae1 contiene tutte le trasformazioni
lineari di matrice T12 (b) con b ∈ F ∗ . Ora sia
Osserviamo che se i 6= j 6= k 6= i,
(i) Tjk (1)Tij (b)Tjk (−1)Tij (−b) = (1 + ejk )(1 + beij )(1 − ejk )(1 − beij )
= (1 + beij + ejk )(1 − beij − ejk )
= 1 − beij − ejk + beij − beik + ejk
= 1 − beik = Tik (−b)
e inoltre essendo (1 − e11 − e22 + e21 − e12 )−1 = 1 − e11 − e22 − e21 + e12 ,
(ii) (1 − e11 − e22 + e21 − e12 )T12 (b)(1 − e11 − e22 + e21 − e12 )−1
= (1 − e11 − e22 + e21 − e12 )(1 + be12 )(1 − e11 − e22 − e21 + e12 )
= (1 + be12 − e11 − be12 − e22 + e21 + be22 − e12 )(1 − e11 − e22 − e21 + e12 )
= 1 − e11 − e22 − e21 + e12 − e11 + e11 − e12 − e22 + e22 +
+e21 + e21 − e21 + e22 + be22 − be22 − be21 − e12 + e12 + e11
= 1 − be21 = T21 (−b)
Quest’ultima relazione dice che T21 (b) ∈ Y per ogni b ∈ F . È chiaro che Y
contiene tutte le trasformazioni di matrice T1k (b) con k = 2, ..., n Da (i), se
i 6= 1, 2
Ti1 (−b) = T21 (1)(Ti2 (b)T21 (1)−1 Ti2 (b)−1 ) ∈ Y
e finalmente se 1 6= i 6= k 6= 1, da (i) segue
13
La conclusione è che Y contiene le matrici del tipo Tij (b) con i 6= j e quindi
poiché SLn (F ) è generato da tali matrici (lemma 3) si ha Y = SLn (F ).
I lemmi 4, 5 e 6 mostrano dunque che il gruppo SLn (F ) eccetto il caso in cui
n = 2 e |F | ∈ {2, 3} soddisfa le richieste del lemma 2 e dunque abbiamo il
risultato:
Teorema 2. Se n 6= 2 oppure |F | 6∈ {2, 3} e se n ≥ 2 allora P SLn (F ) è
semplice.
2.4 Le eccezioni
Come abbiamo visto, la semplicità di P SLn (F ) è provata eccetto che per i casi
n = 2 e |F | ∈ {2, 3}. Proviamo ora un risultato che ci sarà utile nel discutere tali
casi, e provare che effettivamente i corrispondenti gruppi unimodulari proiettivi
non sono semplici.
Proposizione 3. Sia F campo finito di ordine |F | = q = pr con p primo e r
intero positivo. Allora detto d := (n, q − 1),
da cui
|SLn (F )| = |Ln (F )|/(q − 1) =
= (q − 1)...(q − q n−1 )/(q − 1) = q n−1 (q n − 1)...(q n − q n−2 )
n n
14
Poiché |F ∗ | = q − 1 abbiamo xq−1 = 1 per ogni x ∈ F ∗ . Se xn = 1 allora anche
xd = 1, infatti esistono a, b ∈ Z tali che d = an + b(q − 1) da cui
|F2 |2 − 1 22 − 1
= =3
|F2 | − 1 2−1
15
elemento. Supponiamo per assurdo che per qualche a ∈ {1, 2, 3, 4} si abbia
δ(a) = a. Allora
|F3 |2 − 1 32 − 1
|P1 (F3 )| = = =4
|F3 | − 1 3−1
16
Capitolo 3
Il gruppo simplettico
modulo il suo centro
B :V ×V →F
(x, y) 7→ B(x, y)
tale che per ogni y ∈ V la mappa yR : x 7→ B(x, y) è lineare e per ogni x ∈ V
la mappa xL : y 7→ B(x, y) è lineare. Tali condizioni si sintetizzano nella
condizione
Xm q
X q
m X
X
B( ai xi , bj yj ) = ai bj B(xi , yj )
i=1 j=1 i=1 j=1
∀xk , yh ∈ V, al , bp ∈ F
Ora scegliamo un bij ∈ F per ogni 1 ≤ i, j ≤ n, e poniamo
n
X
B(x, y) = bij ai bj
i,j=1
P P
dove x = i ai ei e y = i bi ei . Si verifica in fretta che B è bilineare e che
se B è data, ponendo bij := B(ei , ej ) si ottiene per B una forma di questo
tipo. Quindi ogni forma bilineare si può esprimere in questo modo, e la matrice
(bij )i,j determina B. Si dice matrice di B rispetto alla base (e1 , ..., en ).
17
P
Se (fj )j è un’altra base di V con fj = i pij ei allora
X X X
B(fi , fj ) = B( pki ek , psj es ) = pki B(ek , es )psj = (pt bp)ij
k s k,s
P P P
ricordando che (ABC)ij = s (AB)is Csj = s t Ait Bts Csj .
È quindi chiaro che la matrice della forma bilineare B nella base (fj )j è
c := pt bp
Se, date le matrici quadrate b e c, esiste una matrice invertibile p che realizza
questo allora b e c si dicono congruenti.
Ora dati x, y ∈ V restano definite le applicazioni
xL : V → F, y 7→ B(x, y)
yR : V → F, x 7→ B(x, y)
Ovviamente sono entrambe lineari, quindi sono elementi di V ∗ . Le mappe
V →V∗
L : x 7→ xL
R : y 7→ yR
sono anch’esse lineari.
U ⊆ (U ⊥L )⊥R
U ⊆ (U ⊥R )⊥L
V ⊥L = ker(L) e V ⊥R = ker(R) si dicono rispettivamente radicale sinistro e
radicale destro di B.
18
Teorema 3. Sia B forma bilineare V × V → F . Le seguenti asserzioni sono
equivalenti:
(1) V ⊥R = {0}
(2) V ⊥L = {0}
(3) la matrice di B rispetto a una base qualsiasi è invertibile.
Dimostrazione. Sia (ei )i una
Pnbase di V e sia (bij = B(ei , ej ))i,j la matrice di B
in tale base. Ora sia z := j=1 cj ej . Per la bilinearità,
n
X
z ∈ V ⊥R ⇔ B(ei , z) = 0 ∀i = 1, ..., n ⇔ bij cj = 0 ∀i = 1, ..., n
j=1
n
X
z ∈ V ⊥L ⇔ B(z, ei ) = 0 ∀i = 1, ..., n ⇔ bji cj = 0 ∀i = 1, ..., n
j=1
det(b) = det(bt ) 6= 0
Questo, unito al fatto che nel cambiare base il determinante della matrice viene
moltiplicato per un elemento non nullo di F , conclude la dimostrazione.
Definizione 7. Una forma bilineare B su V tale che la matrice b di B rispetto
a una base (ei )i di V sia invertibile si dice non degenere.
Il teorema appena dimostrato dice che B è non degenere se e solo se L (e di con-
seguenza R) è iniettiva. Ma poiché dim(V ) = dim(V ∗ ) = n, B è non degenere
se e solo se L e R sono isomorfismi lineari V → V ∗ .
19
Dato U ≤ V applichiamo tale relazione alla mappa lineare RU : V → U ∗ .
Poiché ker(RU ) = U ⊥R si ha
n = dim(U ⊥R ) + dim(W )
(U ⊥R )⊥L = U = (U ⊥L )⊥R
20
allora vale B(x, w) = B(x, B(x, y)z−B(x, z)y) = B(x, B(x, y)z)−B(x, B(x, z)y) =
B(x, y)B(x, z) − B(x, z)B(x, y) = 0 da cui per la simmetria dell’ortogonalità
B(w, x) = 0, che si riscrive come 0 = B(B(x, y)z−B(x, z)y, x) = B(B(x, y)z, x)−
B(B(x, z)y, x) = B(x, y)B(z, x) − B(x, z)B(y, x) ovvero
da cui se x = y,
Ora supponiamo falsa la nostra tesi, cioè supponiamo che B non sia né sim-
metrica né alternante. Allora per la non-simmetria esistono u, v ∈ V tali che
B(u, v) 6= B(v, u) e per la non-alternanza esiste w ∈ V tale che B(w, w) 6= 0.
Usando (3.2) con x = u, z = v e poi con x = v, z = u otteniamo
U ⊥L = U ⊥R =: U ⊥
21
Data una base (ei )i di V , possiamo definire il discriminante di B come 0 se B
è degenere, e come la classe
det(b)(F ∗ )2 ∈ F ∗ /(F ∗ )2
dove
0 1
S=
−1 0
Dimostrazione. Se B(x, y) = 0 ∀x, y ∈ V il risultato è immediato. In caso
contrario esistono u, v ∈ V tali che B(u, v) = b 6= 0. Allora u1 = u e v1 = b−1 v
soddisfano −B(v1 , u1 ) = B(u1 , v1 ) = b−1 B(u, v) = 1. Certamente u1 e v1
sono linearmente indipendenti perché per ogni x ∈ V e per ogni a ∈ F si ha
B(x, ax) = aB(x, x) = 0. Ora supponiamo di aver trovato i vettori indipendenti
Abbiamo
k
X k
X
B(y, uj ) = B(x, uj ) − B(x, vi )B(ui , uj ) + B(x, ui )B(vi , uj ) =
i=1 i=1
22
da cui y ∈ Vk⊥ . Poiché
k
X k
X
x=y+ B(x, vi )ui − B(x, ui )vi
i=1 i=1
rispetto a cui la matrice sarà del tipo voluto, e questo prova l’ipotesi induttiva
nel caso k + 1.
Se b è la matrice antisimmetrica associata alla forma bilineare alternante B su V
su F rispetto alla base (ei )i , e p è la matrice di cambiamento di base dalla base
(ei )i alla base (uj , vj , zk ) del teorema allora pt bp = s come nel teorema. Ponendo
q = p−1 abbiamo b = q t sq e quindi b e s hanno lo stesso rango essendo ottenute
l’una dall’altra moltiplicando a destra e a sinistra per matrici invertibili. Ma
poiché det(s) ∈ {0, 1} si ha det(b) = det(q)2 det(s) ∈ {0, det(q)2 } e quindi:
Corollario 1. Una matrice antisimmetrica invertibile con entrate in un campo
F ha rango pari e il suo determinante è un quadrato in F .
Corollario 2. Due matrici antisimmetriche n × n con entrate in un campo F
sono congruenti se e solo se hanno lo stesso rango.
Dimostrazione. La sufficienza si vede notando che se pt bp = s = q t cq allora
c = (q −1 p)t b(q −1 p).
23
Osserviamo ora alcune piccole conseguenze della definizione. Se
{u1 , v1 , u2 , v2 , ..., ur , vr }
α : V 1 → V2
tale che B2 (α(v), α(w)) = B1 (v, w) per ogni v, w ∈ V1 , allora i rispettivi gruppi
simplettici sono isomorfi.
Dimostrazione. Indichiamo con G1 e G2 i gruppi simplettici di (V1 , B1 ) e (V2 , B2 )
rispettivamente. Definiamo l’omomorfismo di gruppi
ϕ : G 1 → G2
σ 7→ ασα−1
La definizione ha senso perché se σ ∈ G1 allora
24
3.2.1 Le trasvezioni simplettiche
Analogamente a quanto fatto per il gruppo speciale lineare, ci occupiamo di
particolari trasformazioni simplettiche:
Definizione 12 (trasvezioni simplettiche). Sia u ∈ V non nullo e sia c ∈ F .
L’applicazione
τu,c : V → V
x 7→ x + cB(x, u)u
si dice trasvezione simplettica di direzione u.
Questa definizione porta ad alcuni piccoli risultati. Innanzitutto si vede che
τu,c ∈ Spn (F ), infatti se v, w ∈ V , essendo B(u, u) = 0,
B(τu,c (v), τu,c (w)) = B(v + cB(v, u)u, w + cB(w, u)u) =
= B(v, w) + cB(w, u)B(v, u) + cB(v, u)B(u, w)
= B(v, w) + cB(w, u)B(v, u) + cB(v, u)(−B(w, u))
= B(v, w)
Inoltre fissato u ∈ V non nullo, l’applicazione
F → Spn (F )
c 7→ τu,c
è monomorfismo di gruppi, dove F è inteso come gruppo additivo. Infatti:
τu,c (τu,d (v)) = τu,c (v + dB(v, u)u) = v + dB(v, u)u + cB(v + dB(v, u)u, u)u
= v + cB(v, u)u + dB(v, u)u = v + (c + d)B(v, u)u = τu,c+d (v)
Inoltre se τu,c è l’identità allora τu,c (v) = v + cB(v, u)u = v, ovvero cB(v, u)u =
0, per ogni v ∈ V , e poiché u non sta nel nucleo di B (essendo B non degenere)
esiste w ∈ V tale che B(u, w) 6= 0; preso v = w si ha subito c = 0.
Un’altra conseguenza della definizione: se η ∈ Spn (F ) allora
ητu,c η −1 = τη(u),c
Infatti si ha
η(τu,c (η −1 (v))) = η(η −1 (v) + cB(η −1 (v), u)u) =
v + cB(η −1 (v), u)η(u) = v + cB(v, η(u))η(u) = τη(u),c (v)
Infine se a ∈ F ∗ allora
τau,c = τu,a2 c
Infatti τau,c (v) = v + cB(v, au)au = v + a2 cB(v, u)u = τu,a2 c (v).
Si vede facilmente che se x è B-ortogonale a u allora è fissato da τu,c , e in
particolare u è fissato da τu,c . Resta quindi definita l’applicazione
ζu,c : V → F u
x 7→ τu,c (x) − x
2
Per quanto detto ζu,c = 0 e quindi il seguente lemma dimostra che det(τu,c ) = 1.
25
Lemma 9. Se 1 6= A ∈ Mn (F ) è tale che (A − 1)2 = 0 allora det(A) = 1.
Dimostrazione. È ben noto che il minimo esponente a cui elevare una matrice
nilpotente X per ottenere 0 è rk(X) + 1 (questo è sostanzialmente dovuto al
fatto che se X ∈ Mn (F ) è nilpotente e non nulla, ker(X k ) ha dimensione
min(dim(ker(X)) + k − 1, n)). Ne segue che poiché A 6= 1, rk(A − 1) = 1.
Quindi il nucleo di A − 1 ha dimensione n − 1, e quindi presa una base di tale
nucleo {v1 , ..., vn−1 } e completata a una base di V {v1 , ..., vn−1 , vn }, la matrice
di A in tale base, chiamiamola X + 1, è del tipo
1 0 ... 0 ∗
0 1 ... 0 ∗
.
0 0 . . . .. ∗
. . .
.. .. . . 1 ...
0 0 ... 0 ∗
3.2.2 Generazione
Il motivo per cui sono state introdotte le trasvezioni simplettiche è che esse gen-
erano il gruppo simplettico Spn (F ), e da ciò segue in particolare che Spn (F ) ≤
SLn (F ). Prima un altro piccolo risultato:
Lemma 10. Se U ≤ V e η ∈ Spn (F ) allora η(U ) = U se e solo se η(U ⊥ ) = U ⊥ .
Dimostrazione. Poiché (U ⊥ )⊥ = U basta mostrare la necessità. Sia v ∈ U ⊥ ,
e sia u ∈ U . Allora B(u, η(v)) = B(η −1 (u), v) = 0 perché η −1 (u) ∈ U , quindi
η(v) ∈ U ⊥ . Viceversa B(u, η −1 (v)) = B(η(u), v) = 0 quindi η −1 (v) ∈ U ⊥ ,
ovvero v ∈ η(U ⊥ ).
Lemma 11. Spn (F ) è generato dalle trasvezioni simplettiche.
26
Dimostrazione. : Introdurremo innanzitutto le coppie iperboliche: dati u, v ∈
V , (u, v) si dice coppia iperbolica se B(u, v) = 1 (nel caso B non sia alternante
nella definizione si richiede anche B(u, u) = B(v, v) = 0). Per cominciare di-
mostriamo il seguente fatto: se (u, v) e (u0 , v 0 ) sono due coppie iperboliche allora
esiste un prodotto di trasvezioni simplettiche ψ tale che ψ(u) = u0 e ψ(v) = v 0 .
Siano quindi (u, v) e (u0 , v 0 ) coppie iperboliche. Se B(u, u0 ) 6= 0 allora u 6= u0 e
quindi w := u − u0 6= 0. τw,c (u) = u + cB(u, w)w = u − cB(u, u0 )(u − u0 ) quindi
preso c = B(u, u0 )−1 , τw,c (u) = u0 . Se invece B(u, u0 ) = 0, esiste f ∈ V ∗ tale
che f (u) 6= 0 e f (u0 ) 6= 0. f in quanto forma lineare è del tipo x 7→ B(x, u00 ) per
qualche u00 ∈ V , quindi B(u, u00 ) 6= 0 6= B(u0 , u00 ). Quindi esiste una trasvezione
simplettica che manda u in u00 e ne esiste una che manda u00 in u0 . La loro
composizione (il loro prodotto nell’ordine inverso) manda u in u0 . Quindi per
ogni coppia di coppie iperboliche (u, v) e (u0 , v 0 ) esiste un prodotto di trasvezioni
simplettiche che manda u in u0 . Ci siamo ridotti a dimostrare che se (u, v) e
(u, v 0 ) sono coppie iperboliche allora esiste un prodotto di trasvezioni simplet-
tiche che fissa u e manda v in v 0 . Siano quindi (u, v) e (u, v 0 ) coppie iperboliche.
Se B(v, v 0 ) 6= 0 allora v 6= v 0 . Detto w := v − v 0 6= 0, e detto c = B(v, v 0 )−1
si ha τw,c (v) = v 0 , analogamente a poco fa. Inoltre τw,c (u) = u + cB(u, w)w =
u + cB(u, v − v 0 )(v − v 0 ) = u + cB(u, v)(v − v 0 ) − cB(u, v 0 )(v − v 0 ) = u perché
B(u, v) = B(u, v 0 ) = 1. Se invece B(v, v 0 ) = 0 la coppia (u, u + v) è iperbolica,
B(v, u + v) = −1 e B(u + v, v 0 ) = 1. Quanto appena dimostrato applicato alle
coppie iperboliche (u, v) e (u, u + v) e poi a (u, u + v) e (u, v 0 ) mostra che esiste
un prodotto di trasvezioni simplettiche che fissa u e manda v in u + v, e ne esiste
uno che fissa u e manda u + v in v 0 . Il loro prodotto nell’ordine inverso fissa u
e manda v in v 0 .
Rimane quindi dimostrato che se (u, v) e (u0 , v 0 ) sono coppie iperboliche esiste
un prodotto di trasvezioni simplettiche che manda u in u0 , v in v 0 .
Supponiamo ora che le trasformazioni simplettiche degli spazi di dimensione
n − 2 siano tutte prodotti di trasvezioni simplettiche. Allora presi η ∈ Spn (F )
e (u, v) coppia iperbolica, anche (η(u), η(v)) è coppia iperbolica e quindi esiste
ψ, prodotto di trasvezioni simplettiche, tale che ψ(u) = η(u) e ψ(v) = η(v). Ne
segue che η 0 := ψ −1 η fissa u e v, quindi fissa (in particolare, stabilizza) F u+F v,
quindi stabilizza U := (F u + F v)⊥ . Ora, η 0 |U : U → U è trasformazione sim-
plettica di U , e dim(U ) = n − 2. Ne segue che η 0 |U è prodotto di trasvezioni
simplettiche con elementi di U come vettori-direzione (ipotesi induttiva), ma
d’altra parte la corrispondente applicazione pensata di V in V è l’identità su
U ⊥ = F u + F v (se x è B-ortogonale a u allora è fissato da τu,c ), quindi coincide
con η 0 . Quindi η 0 è prodotto di trasvezioni simplettiche, quindi tale è ψη 0 = η.
Resta da mostrare che l’ipotesi induttiva è vera nel caso n = 2, ma questo si
vede facilmente: se η ∈ Spn (F ) e {u, v} è base simplettica di V , lo è anche
{η(u), η(v)} e quindi esiste un prodotto di trasvezioni simplettiche che manda
u in η(u) e v in η(v), che deve quindi coincidere con η.
3.2.3 Semplicità
Iniziamo con la seguente
27
Proposizione 7. Il centro di Spn (F ) è {−1, 1}, e coincide col nucleo dell’azione
Spn (F ) × Pn−1 (F ) → Pn−1 (F ), (γ, F x) 7→ F γ(x) (3.6)
Dimostrazione. Un elemento γ ∈ Spn (F ) che commuti con ogni altro elemento
di Spn (F ) in particolare soddisfa
γ ◦ τu,c = τu,c ◦ γ
per ogni fissato u ∈ V \ {0}, c ∈ F , e quindi per ogni v ∈ V si ha
γ(τu,c (v)) = τu,c (γ(v)) (3.7)
Mostriamo che γ stabilizza u⊥ . Sia dunque x ∈ u⊥ . Ne segue che x è fissato
dalle trasvezioni di direzione u: τu,c (x) = x, e quindi da (3.7) segue che γ(x) =
τu,c (γ(x)) ovvero γ(x) è fissato dalle trasvezioni di direzione u, e quindi γ(x) ∈
u⊥ . Quindi, poiché lo stesso vale per γ −1 , γ(u⊥ ) = u⊥ . Per il lemma 10 γ
stabilizza F u, quindi γ(x) = αx x per ogni x ∈ F u. Ma questo vale per ogni
0 6= u ∈ V , quindi, analogamente a quanto visto nella dimostrazione della
proposizione 2, γ è la moltiplicazione per un elemento di F , chiamiamolo α. Ma
essendo anche trasvezione simplettica, presi x, y ∈ V non B-ortogonali (esistono
altrimenti B sarebbe degenere),
B(x, y) = B(γ(x), γ(y)) = B(αx, αy) = α2 B(x, y) ⇒ α2 = 1
ovvero α ∈ {1, −1}. Viceversa se α ∈ {1, −1} allora la moltiplicazione per α è
trasvezione simplettica.
Per la proposizione 2, l’azione (3.6) ha come nucleo
K = {a1 ∈ Spn (F ) | a ∈ F }
ovvero proprio il centro di Spn (F ), come visto.
Ora proseguiamo verificando tutte le richieste del lemma di Iwasawa.
Lemma 12. L’azione (3.6) è primitiva.
Dimostrazione. Supponiamo quindi di disporre di una partizione di Pn−1 (F )
stabilizzata dall’azione di Spn (F ) su P (Pn−1 (F )) indotta dall’azione su Pn−1 (F ).
Consideriamo S, elemento di tale partizione (quindi sottoinsieme di Pn−1 (F ))
che abbia almeno due elementi: |S| > 1. Mostriamo che l’unica possibilità è
S = Pn−1 (F ).
Se S contiene due elementi distinti F x e F y con B(x, y) 6= 0, dividendo even-
tualmente y (o x) per B(x, y) si può assumere B(x, y) = 1. Sia F z ∈ Pn−1 (F )
z
diverso da F x e da F y, con z non B-ortogonale a x, e sia w = B(x,z) . Allora
(x, y) e (x, w) sono coppie iperboliche, quindi esiste η, prodotto di trasvezioni,
che fissa x e manda y in w. È chiaro che η(S) = S, infatti da η(F x) = F x segue
F x ∈ η(S) ∩ S, e le due classi laterali S e η(S) avendo intersezione non vuota
devono coincidere. Ma allora
F z = F w = F η(y) = η(F y) ∈ S
28
Se invece x e z sono B-ortogonali (B(x, z) = 0) esiste w ∈ V tale che B(x, w) =
1, B(z, w) 6= 0 (lemma 7). Ma allora (x, y) e (x, w) sono coppie iperboliche,
quindi esiste η, prodotto di trasvezioni, che fissa x e manda y in w. Poiché
η(S) = S, F w = F η(y) = η(F y) ∈ S. Ora detto z 0 := B(z,w) z
, (−w, x) e
0
(−w, z ) sono coppie iperboliche, quindi esiste ζ, prodotto di trasvezioni, che
fissa w e manda x in z 0 . Da F w ∈ S ∩ ζ(S) segue ζ(S) = S quindi F z = F z 0 =
F ζ(x) = ζ(F x) ∈ S.
Ora supponiamo che F x e F y siano due elementi distinti di S, tali che B(x, y) =
0. Mostriamo che esistono due elementi F x∗ e F y ∗ di S, distinti, tali che x∗
e y ∗ non siano B-ortogonali, riconducendoci cosı́ al caso B(x, y) 6= 0. Poiché
F x 6= F y, per il lemma 7 esiste u ∈ V tale che B(x, u) = 1, B(y, u) = 0. Sia
ora U := (F x + F u)⊥ , e sia
G := {η ∈ Spn (F ) | η|U ⊥ = 1}
G|U := {η|U | η ∈ G}
n = 2, |F | ∈ {2, 3}
n = 4, |F | = 2
29
Inoltre per ogni 0 6= x ∈ V esiste Hx E Stab(F x), abeliano, i cui coniugati
generano Spn (F ).
Dimostrazione. Iniziamo osservando che dati x, y ∈ V non nulli, essi non stanno
nel nucleo di B essendo B non degenere, quindi esistono x0 e y 0 non ortogonali
a x, y rispettivamente, e possiamo assumere che (x, x0 ) e (y, y 0 ) siano coppie
iperboliche. Quindi esiste una trasformazione simplettica che manda x in y.
Dato x ∈ V non nullo, definisco
Che Hx ≤ Stab(F x) segue dal fatto che x è fissato da τx,c per ogni c ∈ F . Che
Hx EStab(F x) segue dal fatto che se η ∈ Stab(F x) allora η(x) = αx per qualche
α∈F e
η ◦ τx,c ◦ η −1 = τη(x),c = ταx,c = τx,α2 c ∈ Hx
Il fatto che Hx sia abeliano segue da
e quindi
−1
τz,c = τz,a+b = τz,a ◦ τz,b = η ◦ τz,b ◦ η −1 ◦ τz,b ∈ Spn (F )0
|F | = 3, n ≥ 4
|F | = 2, n ≥ 6
Per mostrare che Spn (F ) = Spn (F )0 basta mostrare che tutte le trasvezioni stan-
no nel commutatore, e per questo basta mostrare che una qualunque trasvezione
sta nel commutatore. Infatti in tal caso, detta τz,c tale trasvezione, poiché G0 EG
per ogni gruppo G, e poiché in questo caso |F | ∈ {2, 3} quindi Hz è ciclico, tut-
ti i coniugati di Hz , che è contenuto in Spn (F )0 , sono contenuti in Spn (F )0 e
30
generano Spn (F ), quindi Spn (F )0 = Spn (F ).
Primo caso: |F | = 3, n = 2r ≥ 4.
Sia {u1 , v1 , u2 , v2 , ..., ur , vr } base simplettica di V . Definisco η, σ come le appli-
cazioni lineari V → V che fissano ui e vi se 2 < i ≤ r e soddisfacenti la seguente
tabella:
◦ u1 v1 u2 v2
η u1 + u2 v2 u1 v1 − v2
σ u1 − v1 + v2 v1 u2 + v1 v2
I seguenti fatti sono di facile (ma noiosa) verifica: η e σ sono invertibili, e sono
trasformazioni simplettiche in quanto le basi
È facile verificare che τv1 ,1 manda i vettori della base {ui , vi }i dove li manda γ,
quindi γ = τv1 ,1 . Ne segue che τv1 ,1 ∈ Spn (F )0 .
Secondo caso: |F | = 2, n = 2r ≥ 6.
Sia di nuovo, {u1 , v1 , u2 , v2 , ..., ur , vr } base simplettica di V . Definisco η, σ
come le applicazioni lineari V → V che fissano ui e vi se i > 3 e soddisfacenti
la seguente tabella:
◦ u1 v1 u2 v2 u3 v3
η u1 + u3 v3 u1 v1 + v3 u2 v2
σ u1 + v2 v1 u2 + v1 + v2 + v3 v2 u3 + v2 + v3 v3
Analogamente a prima, η e σ sono invertibili e sono trasformazioni simplet-
tiche. In questo caso inoltre σ −1 = σ. Mostriamo che γ := ηση −1 σ −1 è una
trasvezione. γ chiaramente fissa ui e vi per ogni i > 3. Negli altri casi:
31
γ(u2 ) = η(σ(η −1 (u2 + v1 + v2 + v3 ))) = η(σ(u3 + v1 + v2 + v3 + v1 ))
= η(u3 + v2 + v3 + v2 + v3 ) = u2
Segue quindi, analogamente a prima, che γ = τv1 ,1 , quindi che τv1 ,1 ∈ Spn (F )0 .
3.3 Le eccezioni
Innanzitutto valutiamo l’ordine di Spn (q) := Spn (F ) quando F ha q elementi.
Proposizione 8. Si ha
Segue che
|Sp2 (2)/Z(Sp2 (2))| = 6, |Sp2 (3)/Z(Sp2 (3))| = 12, |Sp4 (2)/Z(Sp4 (2))| = 720
Dimostrazione. Siano (x, y) e (x, y 0 ) coppie iperboliche. Allora esiste η ∈ Spn (F )
che fissa x e manda y in y 0 , quindi detto z := y 0 − y, si ha
32
transitiva, quindi l’orbita di ogni coppia iperbolica ha ordine q n−1 (q n − 1), e
fissata una coppia iperbolica (x, y) si ha che
Ora, Stab((x, y)) consiste dei η ∈ Spn (q) che fissano x e y, e come visto nel
lemma 11 coincide col gruppo simplettico di (F x + F y)⊥ . Ma allora
(x, y) 7→ x · y := x1 y1 + x2 y2 + x3 y3 + x4 y4 + x5 y5 + x6 y6
Tale forma bilineare è non degenere essendo rappresentata nella base canonica
dalla matrice identica. Sia j := (1, 1, 1, 1, 1, 1)t . Abbiamo allora che
33
forma alternante è degenere in quanto il suo nucleo contiene j. Anzi il suo
nucleo consiste di quei y ∈ V tali che y ∈ j ⊥ e y ∈ (j ⊥ )⊥ = hji. Ne segue che
la restrizione del prodotto scalare a j ⊥ ha come nucleo hji. Sia ora
W := j ⊥ /hji
(x + hji, y + hji) 7→ x · y
B è non degenere, perché dato x ∈ j ⊥ , x + hji sta nel nucleo se e solo se x ∈ hji,
ovvero x + hji = 0W .
Se x ∈ V e σ ∈ S6 denotiamo con xσ l’elemento di V la cui coordinata i è xσ(i) .
Mostriamo che ησ : x + hji 7→ xσ + hji è trasformazione simplettica W → W ,
e che σ 7→ ησ è monomorfismo S6 → Sp4 (2). Si ha
6
X 6
X
B(xσ +hji, yσ +hji) = xσ ·yσ = xσ(i) yσ(i) = xi yi = x·y = B(x+hji, y+hji)
i=1 i=1
S6 ∼
= Sp4 (2) = Sp4 (2)/Z(Sp4 (2))
34
Bibliografia
[2] Peter J. Cameron, Lecture notes for the University of London M.Sc. course
A31: Classical Groups (January-March 2000).
http://www.maths.qmul.ac.uk/∼pjc/class gps/
35