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L'ITALIA NEL MONDO CHE CAMBIA

Il PD è per il rafforzamento dell’amicizia e della collaborazione nazionale e europea con gli Stati
Uniti. Siamo favorevoli alla proposta di costruire uno spazio comune transatlantico in campo
economico oltre che politico, che rafforzi il nucleo di base per il governo della globalizzazione e
della liberalizzazione e diminuisca il rischio di crescenti protezionismi. Europa e USA assieme
rendono tutto più facile e possibile. La partnership atlantica è la base migliore per un nuovo dialogo
con il mondo arabo e islamico, per il governo delle crisi, per la piena integrazione dei Balcani
occidentali nel sistema europeo e per un approccio positivo nei confronti delle nuove potenze
emergenti e dei rischi della proliferazione nucleare e del riarmo.

Altrimenti detto; il centrosinistra vuole assolutamente avvicinare l’Italia al modello economico


Statunitense dove il potere privato accorpato fa ciò che vuole; indirizza la politica e costringe la
debole società basso il suo giogo. Si vuole “liberalizzare” un po’ tutto di modo che chi ha capitale
possa mungere gli Italiani e le loro strutture pubbliche, senza ostacoli. Si trasforma così il popolo
nel perfetto consumatore, colui che nulla ha e di nessun servizio può disporre (in qualità di
cittadino) se non pagando, acquisendo, consumando.
In argomento di politica estera, il Partito Democratico ritiene che il miglior lasciapassare in
oriente medio, sia quello stato che da decenni depreda, costringe alla fame e poi bombarda nella
regione. Anche per parlare di pace nei Balcani, sarebbe meglio essere accompagnati da un
qualche emissario USA. In realtà, qui, Veltroni & co., candidano l’Italia quale mellifluo delegato
convincitore perchè la Ex-Jugoslavia accetti pienamente il modello Statunitense di sviluppo
(proprio).
Il PD ci dice pure che l’accompagnatore Statunitense, sarebbe il più indicato per affrontare il
pericolo della proliferazione nucleare e del riarmo.
Sicuramente è così; chi meglio degli Stati Uniti conosce i problemi inerenti alla proliferazione di
armi di distruzione di massa?
Gli USA presentano un curriculum vitae davvero impressionante.
- Uso di armi nucleari contro civili ad Hiroshima (Little Boy) ed a Nagasaki (Fat Man).
- Uso di armi chimiche, tra le quali il napalm, nella guerra del Vietnam.
- Finanziamento del progetto nucleare in Israele (la più aggressiva nazione dell’oriente prossimo).
- Uso del Agent Orange nella Guerra del Golfo.
- Impiego dell’Uranio Impoverito nella guerra in Yugoslavia.
- Progettazione dello scudo spaziale.
- Bombardamenti al Fosforo Bianco nella città di Falluja, in Iraq.
- Sviluppo dei cosiddetti ‘bunker-busting nukes’ e rivisitazione del ‘Doctrine for Joint Nuclear
Operations’ (2005) enfatizzando la possibilità di impiego preventivo delle armi nucleari.
Medice cura te ipsum.

I QUATTRO PROBLEMI DEL PAESE


Un problema di disuguaglianza, pari opportunità e immobilità sociale: si è bloccato l'ascensore
sociale che consente ai giovani e alle giovani donne più impegnate, intelligenti e preparate di salire
quanto vorrebbero e meriterebbero.

Attenzione all’uso dell’espressione “ascensore sociale” ciò significa che si vorrebbe ovviare
all’odierno sistema di segregazione sociale, non per rimuoverlo ma semplicemente per far sì che i
maggiormente fortunati, capaci ed articolati abbiano modo di collocarsi tra i più abbienti.
Trattasi non di giustizia sociale ma di eugenesi sociale, sul modello anglofono.
L'Efficienza economica e la qualità dello sviluppo
Il progetto del PD deve assumere l'aumento della ricchezza nazionale come obiettivo principale.
Non è un obiettivo confinato nella sfera economica: l'aumento della produttività (del lavoro e dei
fattori) è frutto di una strategia a 360 gradi, abbraccia la cultura, la qualità dell'ambiente e
l'educazione tanto quanto la riforma della Pubblica Amministrazione. E, senza crescita, non c'è
politica redistributiva che tenga.

In sostanza, non ci sarà nessuna forte politica di redistribuzione. Si continuerà invece ad


incentivare alla produzione, senza tenere conto della totale assenza di nesso tra aumento del PIL e
crescita della ricchezza reale, dei cittadini tutti.
Si cita l’ambiente così, perché è fashion e Veltroni è “in”ovvero “ce sta dentro ‘na cifra”.
Non si tiene conto che è proprio la “produzione” processo, quand’anche filosofia, anti-ecologica;
finché non si spezza la catena dell’indiscriminato sfruttamento del territorio, la produzione
industriale, il subitaneo consumo e poi l’altrettanto rapido cestinamento dei beni, non si avrà né
ricchezza, né ecologia perché decadrà (come già accade) la qualità della vita.
La qualità della vita va di pari passo con la qualità dell’ambiente, dei suoi prodotti che noi
ingeriamo e respiriamo come interazione fondamentale con l’esterno.
Non si può produrre qualità della vita, solo lo si può conservare all’uguale dell’ambiente; le due
cose sono inscindibili.
Non importa quante fabbriche si costruiscano o quanti e quali progressi tecnologici s’avanzino, il
pianeta e, nello specifico, l’Italia non potrà mai essere ricreata.

La disuguaglianza
Il progetto del PD deve cambiare profondamente qualità e quantità dell'intervento pubblico, per
renderlo capace di aiutare davvero i più poveri ad uscire con le loro gambe dalla situazione di
disagio in cui si trovano; deve favorire il rapido innalzamento della partecipazione dei giovani e
delle donne - specie nel Sud - alle forze di lavoro e deve chiamare di più il mercato a risolvere
problemi sociali e ambientali.

La parola chiave qui è “mercato” questo santone-sciamano che tutto risolve. Nello specifico si
parla di mercato del lavoro, il quale è insidiato dal rallentamento della crescita demografica. Si è
individuato, specie nel sud, una categoria di persone che svolge un’attività importantissima,
gestendo le attività domestiche, cucinando, educando come lo stato od i servizi privati mai
potrebbero fare.
Le casalinghe contribuiscono alla qualità della vita loro e delle proprie famiglie, purtroppo ciò
non si confà agli interessi dei finanziatori di Veltroni che vorrebbero far confluire questa forza
operante, nel mercato del lavoro.
Il problema maggiore non è la disuguaglianza tra stipendi agli uomini e stipendi alle donne ma un
sempiterno surplus di offerta di lavoro ambisesso che, governata dalle leggi di mercato, permette
ai datori di poter sottoporre il dipendente a condizioni di lavoro sempre più svantaggiose per lo
stesso. S’indica tale trend con l’eufema “mobilità” o “flessibilità” che in realtà si traduce come
“precariato” e “schiavitù salariale”. Sono tendenze liberticide che vanno a colpire i più deboli,
quelli che trovano l’ascensore sociale perennemente fuori uso.
Incoraggiare le casalinghe ad affacciarsi sul mercato del lavoro serve ad aumentare ancora
l’offerta di lavoratori in maniera tale da poter tendere a condizioni lavorative simili a quelle che
esistono in paesi dove i sindacati sono pressoché inesistenti (Cina, Filippine etc.) oppure dove sono
state sconfitte e svuotate di potere come nel Regno Unito. Ciò aiuta i Ricucci, i Piersilvi ed i Piccoli
Tronchi ad essere più competitivi in relazione ai propri corrispettivi esteri; questa forma malata di
competitività non è nell’interesse di chi è a reddito fisso, anzi è spesso a detrimento dello stesso,
costretto a lavorare di più, più lontano ed in cambio di compensi la cui entità è (sempre più
saldamente) a discrezione del datore.

Le libertà
La regolamentazione pubblica definisce lo spazio in cui tutte le libertà, anche quelle private, sono
rese possibili ed effettive. Anche per questo, però, essa è chiamata a giustificare il perché di divieti,
ostacoli, strettoie che si frappongono fra la libertà individuale e l'effettivo perseguimento del
progetto di vita di ciascuno. Quali di queste giustificazioni siano accettabili è questione che investe
la politica, le scelte collettive. Ma è giusto rimuovere quei vincoli - e sono tanti - la cui
giustificazione ormai non è più sostenibile.

S’insite ancora sulla liberalizzazione indiscriminata; si vuole recidere una parte consistente delle
normative e regolamentazioni che sono a tutela dell’interessse pubblico (contrapposto a quello
privato).
Laddove si parla di giustificazione non più sostenibile, si vogliono indicare quelle esigenze di
mercato che impedirebbero all’Italia di seguire quale stato sociale, mediamente democratico.
Non sono queste le esigenze dei comuni cittadini ma delle lobby edili ed industriali, verso i quali
Veltroni volge dolci padigli.
Il “progetto di vita” è il loro non quello di chi subisce e subirà ancora di piu la schiavitù
salariale, privatamente imposta con il benestare dello stato.

IL PROGETTO: DIECI PILASTRI E UN METODO


La sicurezza, prima di tutto. Severi contro il crimine e i criminali. Più severi contro chi fa violenza
ai bambini.

Questo ameno passaggio è pura demagogia; storicamente parlando, gli omicidi e le violenze su
donne e minori, sono in costante diminuzione.
Esiste tuttavia un nesso tra qualità della vita e violenze domestiche nonché tra povertà e crimine.
Un partito le cui politiche attentano alla qualita della vita e che facilitano la polarizzazione sociale
è un partito che ingenera le condizioni perché tale forme criminose persistano.
Il PD può anche inasprire le pene ma ciò non serve (se non quale bieco stratagemma elettorale),
come ampiamente dimostrato negli Stati Uniti. La pena è solo l’ultimo strumento della lotta al
crimine e non necessariamente il più efficace.
La condanna al carcere è comunque una sconfitta della societa perché la stessa si trova costretta
ad allontanare ed escludere alcuni tra i suoi membri. La carcerazione, inoltre, non costituisce
rimedio sufficiente per le vittime ed i loro affetti; un rimedio sufficiente non può esistere.
Occorre prevenire, il qual processo, non è poliziale (la polizia arriva quasi sempre a fatto
avvenuto) ma socio-culturale.
Qualche anno fa, in pieno delirio pre-elettorale, si parlava di più poliziotti nei quartieri; ma è
davvero questa la volontà dei cittadini? Sarebbe bene domandarlo alle nuove generazioni che non
hanno dimenticato le vicessitudini di Genova, dove lo stato prendeva a randellate il diritto a
manifestare oppure ad Acerra e dintorni dove le uniformi picchiavano un paese stanco di morire di
cancro.
Sono tutte questioni di grande interesse ma il PD si guarderà bene dall’affrontarle; il crimine, il
“terrorismo” ed altre forme eversive, vengono poste all’attenzione dei cittadini soprattutto quando
lo stato intende sottrarne i diritti oppure generare consensi simulando una situazione d’emergenza
criminale che non esiste. Trattasi di semplice operazione mediatica; è sufficiente diradare o
concentrare determinate notizie (spesso irrilevanti) per generare una situazione di paura diffusa ed
irrazionale.

Un nuovo patto tra generazioni, imperniato sull'investimento in conoscenza, ricerca, innovazione


tecnologica. L'educazione è il principale ascensore sociale.

Ancora con quest’ascensore.


Funziona così bene nei paesi anglofoni che gli studenti di quei paesi, sin dalla scuola media,
vengono plasmati secondo le esigenze dei futuri datori di lavoro: s’insegnano la puntualita,
l’uniformita di linguaggio ed espressione, l’obbedienza, l’efficienza, i target etc.
In questi paesi è vero che funziona il tanto amato ascensore ma al prezzo di un vuoto culturale
spaventoso, di un’assenza pressoché totale di senso critico autonomo.

Diritto dell'economia che "liberi" le energie vitali del Paese. Più legalità per produrre buona e forte
crescita.

“Liberi” è tra virgolette perché da intendersi in senso figurato; si legga “svendi”.


Lo stato intende monetizzare tutto per pagare gli interessi del suo debito.
Si cedono cose reali (terreni demaniali, infrastrutture, acqua potabile) in cambio delle scorie di
previ accordi tra politicanti ed usurai. Interessi ovvero soldi promessi, generati da soldi concessi
ma tutto virtuale, matematica, carta, numeri su di uno schermo.
Si parla di legalità, perché esiste una nutrita fazione tra i legislatori nazionali che mal sopporta la
concorrenza di altri pizzo-richiedenti.

La piena integrazione del criterio della sostenibilità e della qualità ambientale in tutte le politiche
pubbliche. L'intervento diretto dello Stato, attraverso meccanismi di premio, e non con nuovi
enti/società, nel settore dell'ambiente, sul quale costruire una nuova frontiera di leadership
tecnologico-industriale.

Premi? Ma quali premi?


Qui è bene distinguere tra persone a reddito fisso e private aziende; è chiaro che per chi già fatica
ad arrivare alla terza settimana, ci vogliono incentivi all’investimento ecologico ma per il grande
industriale, gli introiti scandalosi che accumula, dovrebbero essere premio sufficiente.
Che credibilità ha un sistema legislativo per cui chi opera il danno della moltitudine e non ne paga
i costi, sia premiato per attutire il suo impatto invece di essere punito per il danno che arreca?
E poi, perché si parla di “settore dell’ambiente”? L’ambiente non è un settore; l’ambiente è tutto.
Veltroni parla pure di “frontiera di leadership tecnologico-industriale” tentando di vendere la
coscienza ambientale ai suoi finanziatori (Topo Gigio PowerPoint?). Secondo la sua logica,
l’ambientalismo non esiste se non si puo contrattare, se non si puo monetizzare.

Una politica che decida e Pubbliche Amministrazioni che funzionino. Nel rispetto del principio di
sussidiarietà: Stato forte, nel suo core business.

Oh yeah! “Core business”, per una classe politica che sa l’inglese. Che campagnia elettorale!
Lo scontro di piazzisti finti anglofoni che si sperticano nell’adoperare sciocchi lemmi da inamidi
borghesotti esterofili.
Ora, serve un nuovo modello, con un nuovo obiettivo: l'incremento della produttività totale dei
fattori, introducendo fortissime dosi di innovazione nel nostro sistema economico ed aprendolo agli
investimenti stranieri. Protagonisti della nuova fase di concertazione - al pari dei sindacati dei
lavoratori e di Confindustria - devono essere le Associazioni rappresentative della piccola e
piccolissima impresa artigianale e commerciale, unitamente alle organizzazioni della cooperazione
e del no profit. In questo contesto, tutti devono "cambiare" comportamenti e capacità di
rappresentanza: la politica, certo. Ma anche le forze sociali, per le quali diventa urgente (per
renderle protagoniste della contrattazione di secondo livello, dove si può agire sulla produttività),
una (auto)riforma delle regole della rappresentanza.

La prima frase vede l’autore, grembiul-vestito a rosolare l’etere.


Si giunge dunque alle parole “aprendolo agli investimenti stranieri”.
L’investimento straniero non arricchisce necessariamente lo stato che lo ospita, in caso il
contrario.
Uno dei continenti dove gli investitori stranieri hanno più a lungo e con maggior dileggio portato il
proprio capitale è il Sud America. Le conseguenze socio-politiche sono state disastrose con una
popolazione che, pur vivendo sul suolo del più grande esportatore alimentare del pianeta, patisce
la fame. In Sud America sanno bene cos’è il Neo Liberismo e persino chi continua a voler attuare
politiche di questo tipo, si guarda bene dal nominarlo.
In Italia ci sono D’Alema e Colaninno che credono che l’economia sia una serie di misteriose
parole inglesi da usare in qualsiasi contesto, calorose telefonate ad “amici” e ricchi executive
brunch da consumarsi facendo battute sugli indici delle borse mondiali. Essenzialmente ritengono
di far economia, attuando una forma di spregiudicata, saccente goliardia disinformata e
disinformante.
Attualmente l’Italia ha dei limiti di attrattiva per gli investitori esteri dacché vi sono sindacati forti
e severe norme a tutela dei lavoratori.
In questo contesto, si parla di “cambiare”; la politica vuole invitare i sindacati al compromesso
totale. Si prospetta quindi una “decurtazione” dei diritti del lavoratore con tutte le problematiche
sociali che ne conseguono.
La storia ci offre un’esempio di riforme in questo senso; negli anni ’80 la Thatcher sfidò i
sindacati e con l’aiuto, di una stampa complice, vinse. I sindacati furono annientati e svuotati di
influenza e potere; arrivò l’investimento straniero con l’apertura, ad esempio, di molte fabbriche
d’auto giapponesi. Incrementò quella mobilità cui il PD è tanto affezionato, il costo della vita salì
vertiginosamente, iniziò un processo di polarizzazione sociale che continua tuttora e le condizioni
di ciò che viene chiamato “unskilled labour” peggiorarono sensibilmente.
In termini di orari, ferie, retribuzione della malattia, intervalli di riposo durante il lavoro, la classe
operaia Britannica è messa molto, molto peggio di quella italiana e non per iniziative extra-legali
dei datori di lavoro ma per legge.
Le conseguenze sociali, sono state disastrose; basta guardare come si piazza la Gran Bretagna
nelle classifiche di qualità della vita.

DODICI AZIONI DI GOVERNO


Rimpiazzo parziale e selettivo (50%) del turnover, ricorrendo alla mobilità.
Precariato massivo.

Riduzione al 50% delle società e degli Enti partecipati dallo Stato centrale e dal sistema delle
Autonomie.
Ulteriore svendita dei beni pubblici.

Valorizzare l'attivo patrimoniale


Il patrimonio pubblico non è quello che si definisce tale. I beni demaniali sono oggi, in Italia,
multipli di quelli che troviamo altrove. Ridefiniamo le norme civilistiche per restringere in maniera
europea la nozione di demanio pubblico e offriamo una tutela puntuale, ma flessibile, alla
componente di patrimonio pubblico che smetterebbe di essere demaniale. Ne seguirebbe una
diversa fruizione di quel patrimonio. Questa azione è indispensabile premessa di un’iniziativa volta
alla valorizzazione della quota “non demaniale” del patrimonio pubblico, sia per ridurre il deficit
annuale (la gestione dei beni immobili è oggi una voce di costo per il bilancio pubblico), sia per
ridurre più rapidamente e più massicciamente il volume globale del debito pubblico. In un contesto
di assoluto rigore nella gestione della finanza pubblica e di sostanziale pareggio di bilancio,
l’ingente attivo patrimoniale della Pubblica Amministrazione può contribuire a ridurre più
rapidamente il debito sotto il 90% del PIL, così da liberare risorse per almeno mezzo punto di PIL
all’anno per politiche di sostegno alla crescita e di lotta alla povertà. Non dobbiamo mai
dimenticare, infatti, che la spesa per interessi ammonta oggi a quasi il 50% dell'intero gettito
IRPEF.

Si parla sempre di svendite, soprattutto a vantaggio degli strozzini che ci costringono al debito
pubblico; un assurdo che costituisce il vero attentato alla civiltà, altro che i tanto decantati
islamici appassionati di speleologia.
Relazionare il debito al PIL e illuminante; aiuta a capire come il processo, frenetico, inarrestabile
di produzione e distruzione sia mosso dall’esigenza di essere puntuali nel pagamento degli
interessi dovuti alle banche private.

PER UN FISCO AMICO DELLO SVILUPPO


Per imprese più forti e capitalizzate
Per sostenere la crescita dimensionale delle imprese, si devono introdurre forti sconti di imposta
(fino all’azzeramento di Ires ed Irap per un certo numero di anni) per la quota di profitti
corrispondente alla quota di capitale dell’impresa detenuto da fondi private equity. Allo stesso fine
si deve abbattere l’imposta sostitutiva per i disavanzi da fusione. Deve, inoltre, essere equiparata la
normativa fiscale relativa ai fondi d'investimento a quella degli altri Paesi europei (tassazione sul
realizzato e non sul maturato).

Esplicitamente si dichiara l’intento di alleggerire la pressione fiscale sui grandi gruppi aziendali,
incoraggiandone la fusione al fine di avere anche in Italia quelle corporations o multinazionali di
cui tanto bene si parla e che tanto bene hanno fatto per le persone ed il pianeta.
È forse la cosa più lontana dalla ricerca della giustizia sociale che è tradizione ideologica della
sinistra; si va verso un sistema bi-partitico molto simile a quello Statunitense, in cui entrambi i
partiti curano interessi affaristici privati. Per molti non v’è una sostanziale differenza tra i due e,
parafrasando Noam Chomsky, si dice che non esista un Partito Repubblicano ed un Partito
Democratico, solo due differenti (ma non contrastanti) correnti all’interno dell’unico Business
Party.

Deve essere esteso a tutte le Regioni, anche in cooperazione tra di loro, il metodo del “federalismo
infrastrutturale”, sperimentato dal Governo Prodi con la regione Lombardia, e avviato con altre. In
particolare, il potere di assegnare concessioni di costruzione e gestione di significative opere
stradali e ferroviarie deve essere trasferito dallo stato centrale a soggetti misti stato-regione.

Questa devolution renderà senz’altro più semplice per le lobby affaristiche stringere accordi
clientelari e far pressione sulle amministrazioni locali. Fioriranno i cantieri.

CITTADINI E IMPRESE PIÙ SICURE


Le reti senza fili a larga banda (WI-FI, WIMAX) consentono un’infinita possibilità di controllo del
territorio. Nel più assoluto rispetto del diritto alla riservatezza, si possono aiutare i cittadini più
esposti alla paura: le donne che escono sole di notte, gli anziani che si muovono nel quartiere, i
bambini che vanno a scuola, possono essere protetti dal sistema georeferenziale della rete, attivando
un allarme in caso di pericolo. Le stesse iniziative di video sorveglianza dei privati, che nascono
come funghi, potrebbero avere convenienza a diventare un terminale interoperabile della rete,
contribuendo alla sua espansione e ottenendo in cambio preziosi vantaggi.

E perché fermarsi a controllare che uno non delinqui? Perché non vedere dove va, se ha l’amante,
se fa la spesa al discount? Se partecipa alle riunioni di sindacato...
La rete Wi-Fi, WiMax e l’internet in genere dovrebbero essere strumenti per meglio informarsi,
organizzarsi, scambiare dati e multimedia non un oggetto contundente dello stato e dei suoi
associati per controllare ed eventualmente ricattare i singoli.
Quella privacy che tanto invocano i politici, quando qualcuno osa sottoporre all’attenzione
pubblica, dettagli sulle “amicizie e rapporti creativi” di un personaggio pubblico, è diritto invece
del privato cittadino che non deve rappresentare nessuno e non ha ragione di essere assiduamente
quanto pretestuosamente identificato.
L’anonimato è un diritto che dovrebbe essere garantito a prescindere dai gretti isterismi mediatici
ch’aizzano al sospetto ciclico delle non-italiche genti.

Il Governo del PD offrirà questa garanzia. Verrà infatti immediatamente approvata quella parte del
"Pacchetto Sicurezza" (30-10-2007) che ha ampliato il numero dei reati di particolare allarme
sociale - fra questi la rapina, il furto in appartamento, lo scippo, l’incendio boschivo e la violenza
sessuale aggravata - prevedendo la cosiddetta custodia cautelare obbligatoria

Ovvero se io fossi sospettato di quel crimine efferato che è lo scippo oppure peggio ancora, la
rapina in banca (creando grande costernazione per la subitanea inversione dei ruoli), dovrei
languere nelle regie prigioni, aspettando i tempi, lunghissimi peraltro, della giustizia Italiana.
Poi se aveva ragione il PM, bene sennò, pazienza mi sarei fatto qualche annetto al fresco; non ci si
poteva mica prendere il rischio che continuassi a (non) scippare.
Da notare che il furto in appartamento e lo scippo costituiscono una sottrazione di beni come pure
la corruzione nei pubblici uffici, la bancarotta fraudolenta, l’evasione fiscale, solo che in questo
caso, i beni sottratti sono molto più ingenti ed i derubati più numerosi. Curiosamente i reati
quest’ultimi non sono citati nel programma del PD; la recidività dello scippatore è davvero più
pericolosa di quella del bustarellista? No però l’abbigliame sì è differente. Trattasi forse di riforma
estetica nazionale: meno sciattoni e più vestiti su misura?
L’accorgimento è, in realtà, obliquo; la classe dirigente opera da anni per l’allungamento dei
tempi della giustizia in maniera da meglio accogliere quella salvifica prescrizione che decorre dal
rinvio a giudizio. Più tempo passa tra indagini e giudizio, meno si svuota il parlamento e più
s’allungano le carriere politiche dei nostri rappresentanti. Questo lo sa bene, ad esempio il
prescritto D’Alema; che però giustamente pensa, va bene il finanziamento illecito ai partiti, che è
un attentato alla democrazia però, porca vacca, se mi rubano la cartiera, questo scoccia.
Con gli attuali tempi geologici della giustizia, la custodia cautelare è rischiosissima ed i danni da
pagare in caso d’assoluzione sarebbero ingenti. Chiunque rischia di farsi mesi e mesi di carcere
pur considerato (com’è giusto) innocente fino a quando non se ne accerta la colpevolezza. Di fatto
la custodia cautelare è incompatibile, in uno stato di diritto (quale l’Italia aspira), con i tempi della
giustizia italiana.
Ingenti tempi che sono però nell’interesse della classe dirigente, che “risolve” in maniera creativa.
S’individuano quei reati che sono piuttosto alieni alla casta politica e la classe sociale cui
appartiene ( la rapina, il furto in appartamento, lo scippo, l’incendio boschivo e la violenza
sessuale aggravata) e s’applica ad essi la custodia cautelare in modo da dare l’illusione d’una
giustizia che funziona pur mantenendo i tanto salvifici processi interminabili. Dunque carceri che
si empiono di presunti colpevoli di bassa estrazione, prescrizioni che fioccano e grandi abbuffate in
parlamento.

DIRITTO ALLA GIUSTIZIA GIUSTA, IN TEMPI RAGIONEVOLI


Intercettazioni sì, violazione dei diritti individuali no
Lo strumento delle intercettazioni di comunicazioni telefoniche, informatiche e telematiche è
essenziale al fine di contrastare la criminalità organizzata ed assicurare alla giustizia chi compie i
delitti di maggiore allarme sociale, quali la pedofilia e la corruzione.
Bisogna conciliare tali finalità con diritti fondamentali come quello all’informazione e quelli alla
riservatezza e alla tutela della persona.
Il divieto assoluto di pubblicazione di tutta la documentazione relativa alle intercettazioni e delle
richieste e delle ordinanze emesse in materia di misura cautelare fino al termine dell’udienza
preliminare, e delle indagini, serve a tutelare i diritti fondamentali del cittadino e le stesse indagini,
che risultano spesso compromesse dalla divulgazione indebita di atti processuali.
E’ necessario individuare nel Pubblico Ministero il responsabile della custodia degli atti, ridurre
drasticamente il numero dei centri di ascolto e determinare sanzioni penali e amministrative molto
più severe delle attuali, per renderle tali da essere un’efficace deterrenza alla violazione di diritti
costituzionalmente tutelati.

L’informazione di garanzia, ai sensi dell’articolo 369, prevede che l’indagato, nonché la parte
offesa, vengano informati dell’indagine in corso; si garantisce che inquisito e parte lesa siano
informate prima che l’informazione diventi di pubblico dominio. Una volta consegnati gli avvisi, la
divulgazione dei dettagli in esso contenuti non pregiudica il corretto svolgimento del processo, dal
momento che chi deve deliberare in proposito deciderà tenendo conto pure di quanto contenuto
nell’informazione di garanzia, intercettazioni incluse. Il pericolo di diffamazione non risiede
nell’avviso medesimo, il quale indica le ragioni a procedere e non una sentenza di colpevolezza,
ma nel dubbio che l’indagine notificata si concluda con l’accertamento di quanto ipotizzato
nell’informazione di garanzia. Nello specifico l’avviso di garanzia comunica il dubbio di reato,
dubbio che è del pubblico in quanto ha luogo nella mente del pubblico ministero che ha l’obbligo a
procedere nell’interesse pubblico ed in qualità di rappresentante pubblico di questo interesse.
Laddove l’indagato è accusato di reati concernenti soprattutto una ristretta sfera d’individui e
cose, si capisce come l’interesse pubblico sia minore rispetto all’effetto diffamante che può avere il
dubbio di reato, ai danni dell’inquisito.
V’è da sottolineare che per effetto diffamante s’intendono quelle conseguenze socio-affettive che
possono avere luogo nel momento in cui il pubblico giunga a delle conclusioni partendo da un
documento ch’esprime il dubbio. Si possono operare delle decisioni editoriali per cui dati fatti
privati, che concernano pochi si decida di non pubblicarli magari perché l’interesse dei lettori
sarebbe morboso e non civico.
In Italia, avviene soprattutto il contrario.
Nel momento in cui l’informazione di garanzia è inviata ad un personaggio pubblico, l’interesse
civico esiste ed è doveroso, specie se l’ipotesi di reato s’articola nello svolgimento d’incarichi
pubblici. Il politico non può far appello alla privacy quando egli è indagato per aver intrattenuto
rapporti con la criminalità organizzata oppure di avere sottratto beni allo stato, oppure ancora di
aver “caldeggiato”, abusando dei propri poteri, determinate iniziative economico-finanziarie.
Il dubbio di colpevolezza è chiaro che ne pregiudichi la carriera politica ma il dubbio ha durata
razionale solo finché dura il relativo processo.
Arrivare alla sentenza in tempi brevi, aiuta l’inquisito a chiarire la sua posizione e, se innocente,
continuare la propria carriera. I processi lunghi, oltre a tendere alla prescrizione, estendono la
durata del dubbio.
Per ovviare a questo, il PD, che assieme a Forza Italia e compagnia ha (pur sotto dimentiche
spoglie) sempre legislato in favore dell’allungamento ad infinitum dei processi, vuole adesso
vincolare l’informazione alla lentezza processuale di modo che i reati (poco prima di essere
prescritti) vengano a conoscenza delle persone quando non sono più attuali a mo’ di cocci
archeologici.
Chi ne vorrà parlare comunque, verrà tacciuto di voler rinvangare il passato, come gli archeologi
appunto.
Tale provvedimento svuoterebbe completamente di significato il voto permettendo alla retorica
propagandistica di dilagare incontrollata anch’essa immune al pericolo di fatti, accertamenti od
intercettazioni che la smentiscano.
La classe dirigente italiana già gode di ampie garanzie, con rispetto all’operato dei magistrati; si
sopporta che siano impuniti per decisioni avventate che causano miseria e malattia a centinaia di
persone, si sopporta pure che rubando soldi pubblici arrivino tra indulti, patteggiamenti ed
attenuanti generiche a vedere il carcere solo guardando “Prison Break”, nelle loro confortevoli
residenze romane; almeno si potrebbe non risparmiargli il ridicolo che la propria meschina natura
e trimalchiona aspirazione ha loro meritato.
Il PD non è d’accordo e legifererà per una casta immune dallo spettro del gabbio, immune ad
un’informata verifica elettorale ed immune pure al sacrosanto pubblico motteggio.

L'AMBIENTALISMO DEL FARE


incoraggiare l'abbandono di stili di vita consumistici fino alla dissipazione, a favore di stili di vita
attenti alla eco-compatibilità dei comportamenti individuali.
In questo senso, va sostenuta la sperimentazione di particolari incentivi di mercato, volti a ridurre le
emissioni di CO2.

Meglio fare un po’ di storia, per capire meglio.


Dopo la prima guerra mondiale le grandi forze industriali americane affrontavano il rischio della
sovrapproduzione. Si sapeva che la gente, fino a quel momento, aveva sempre comprato per
necessità e siffacendo, gli acquisti si sarebbero fatti più radi, una volta che ognuno avesse
conseguito quanto abbisognava. Fu contattato Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud, il quale
diceva che era possibile stimolare le persone all’acquisto di cose che non necessitavano, premendo
sui loro desideri irrazionali.
Bernays è il padre delle pubbliche relazioni, colui che ha reinventato il mercato.
Prima di Bernays, il mercato era inteso come realtà pressoché statica, preesistente.
Diventò qualcosa che i produttori potevano creare in forma di necessità percepite, generate nella
psiche dei potenziali consumatori, attraverso un sistema propagandistico che adesso si chiama
pubblicità. Il settore della pubblicità si chiama infatti anche “marketing” perché consiste nel
creare mercati.
Il mercato odierno è un prodotto del lavoro di Bernays (cui s’ispirò pure Goebbels); spinge al
consumo irrazionale perché è stato creato con questo intento.
Il PD s’imbatte in un ossimoro concettuale. Parla a vanvera; non si preoccupa del significato delle
proprie frasi (che a ben vedere non sono razionali) ma solo sull’effetto che esse possono suscitare;
nella migliore tradizione del marketing, si fa appello all’emotività, al desiderio irrazionale.
Il consumismo si è fatto un cattivo nome quindi si finge di volerlo limitare a mezzo di quel mercato
che ci è stato venduto ideologicamente come sinonimo di “progresso”.
Si propone una cosa assurda usando però sagacemente i lemmi in modo da artefare l’immagine di
un partito coscienzioso e moderno.

Molti gli interventi possibili, già sperimentati in diversi Paesi. Da tariffe di smaltimento dei rifiuti
variabili a seconda che si partecipi o meno alla raccolta differenziata, che va comunque
incrementata, a tasse di possesso automobilistiche legate alle emissioni; dalla detassazione degli
investimenti in ricerca e sviluppo, alla previsione di una carbon tax che penalizzi processi
particolarmente energivori.
In generale: maggiore ricorso al mercato e ai prezzi; minore ricorso a concessioni, licenze e divieti.
Che è come dire: più libertà per tutti, più responsabilità, anche economica, per ciascuno.

La tassa di possesso automobilistica, oltre ad essere, in teoria, uno strumento per ridurre le
emissioni del parco macchine italiano, funge anche da incentivo al mercato delle automobili.
I costruttori riducono progressivamente i consumi e le emissioni delle loro auto mentre i legislatori
innalzano progressivamente i limiti sulle emissioni.
Possedere un’auto datata diventa sempre più oneroso, dunque il proprietario pensa di sostituirla.
Spesso però l’automobilista non ha soldi sufficienti per comprare un’auto nuova; ecco allora che
arrivano repentini e ciclici gli eco-incentivi statali (ovvero pagati da tutti) a stimolare (in tandem
con l’innalzamento della tassa di possesso) quel consumo di cui tanto male si diceva poc’anzi.
Il paradosso risiede nel fatto (accertato) che è più ecologico non sostituire la propria auto
piuttosto che cambiarla in favore di modelli più parchi e meno fumosi. I processi produttivi e quelli
di rottamazione sono talmente inquinanti da annullare l’effetto benefico di circolare con un’auto
nuova, meno inquinante.
Proporzionare la tassa di possesso all’età oltre che alle emissioni del veicolo, significa fare una
politica atta a ridurre l’inquinamento; legare l’entità della tassa solamente alle emissioni significa,
in pratica, stimolare il consumo.
L’estratto conclude con una frase sulla “libertà per tutti” ed il ricorso al “mercato” che
significano deregolamentazione ulteriore nel settore produttivo e dei servizi.
Attenzione però alle gabelle economiche per chi non rispetta l’ambiente; non costituiscono un
fermo divieto all’eccessivo inquinamento, possono solamente renderlo meno conveniente, se però
la gabella statale (inteso come costo in bilancio) non impedisce di fare buoni utili, detto
inquinamento continuerà indisturbato.

Sono indispensabili il potenziamento delle infrastrutture di rigassificazione, trasporto e stoccaggio


del gas, la garanzia della loro reale terzietà rispetto ai competitors e la diversificazione delle fonti,
così da determinare quell'eccesso di offerta che può creare la concorrenza.

Già l’idea di congelare il gas per poi riportarlo allo stato gassoso costituisce un absurdum
energetico. Esiste la possibilità di ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dall’Algeria e dalla
Russia diversificando le fonti d’approvvigionamento, ma ciò stimolerà davvero la concorrenza?
Ci sarà un reale beneficio per gli utenti in termini di riduzione del prezzo del gas?
Interessati ai rigassificatori ci sono Eni, Edison, British Petroleum, Qatar Petroleum, Endesa,
Exxon, Gas Natural etc. che sperano così di affacciarsi sul mercato italiano aggirando il
monopolio dell’Eni sugli oleodotti. Vi è pure il Gruppo Bellelli dell’ingegner Aldo Bellelli
condannato nel 1995 e nel 1997 nell’ambito dell’inchiesta su tangentopoli e poi ancora, per
bancarotta fraudolenta, nel 1999. Del suo gruppo, il progetto di Livorno, fortemente impopolare.
Studi sulla sicurezza degli impianti GNL, effettuati negli Stati Uniti, hanno riscontrato il rischio di
ingenti danni qualora si verificasse un incidente. In caso di rottura dei serbatoi (5 nello studio
citato), si sprigionerebbe una nube di gas per un raggio di 55km; gas che può incendiarsi ed
esplodere facilmente data l’elevata “finestra” di infiammabilità del gas GNL.
Un impianto esiste già ed è quello dell’ENI a Panigaglia, in Liguria; altri tre progetti sono stati
approvati (tra omissioni, silenzi ed accordi fra galantuomini) a Porto Viro (ExxonMobil, Qatar
Petroleum, Edison), a Livorno (Endesa, Iride, gruppo Bellelli, Golar Offshore Toscana Ltd.) ed a
Brindisi (British Gas).
Quattro sono sufficienti a coprire il fabbisogno locale ma ecco prospettarsi la possibilità che
l’Italia diventi un hub del Mediterraneo per esportare gas all’Europa. Sembrerebbe questo il
proposito del programma PD. Tutto ciò grazie alla generosità degli Italiani che si prenderebbero
carico di tutti i rischi in caso di incidenti.
Sette (forse otto) i progetti da approvare sempre “caldeggiati” dagli stessi illustri filantropi
dell’energia di cui prima: Shell, British Petroleum etc. gli stessi che hanno appoggiato altre, più
famose, iniziative tra il Tigri e l’Eufrate.
I nuovi impianti verrebbero costruiti a Ravenna (ENI), a Gioia Tauro (gruppo Bellelli, IRIDE,
Sorgenia), a Porto Empedocle (ENI), Taranto (Gas Natural), a Zaule (Gas Natural), a Monfalcone
(Endesa), a Priolo Gargallo (ERG, Shell) e forse anche a Rosignano (Edison, British Petroleum).
Cosa avranno in cambio della propria, incontenibile, irresponsabile generosità gli Italiani?
Scenderanno i prezzi del gas?
Si pensi a quanto avviene in Basilicata dove viene estratto il Petrolio, pagando le più basse
royalties al mondo (7% sul barile) e si vende come se fosse stato comprato dagli sceicchi.
Questo è l’ecologia del fare di Veltroni; investimenti e deregolamentazione per chi investe nel
fossile, con una buona dose di mani che si lavano vicendevolmente, nel più classico stile
all’italiana.

L'Italia deve impegnarsi sulle tecnologie di punta: che si tratti della cattura del biossido di carbonio
per il "carbone pulito", o si tratti del metano, delle biomasse o dell'idrogeno e anche del nucleare di
quarta generazione, ovvero quello a sicurezza intrinseca e con la risoluzione del problema delle
scorie.

Da notare come l’espressione “carbone pulito” sia fra virgolette anche nel loro testo e come si
sposi perfettamente, nel mondo non-sensico delle finte riforme energetiche, con l’espressione
“nucleare a sicurezza intrinseca”.
A taluni, interessa che la riforma energetica sia tale da tenere il consumatore “lontano” dalla
materia prima che, mediante combustione o fissione, procura energia.
Il gas naturale può essere prodotto dalla cacca (anche umana) o dalla decomposizione degli scarti
alimentari, l’idrogeno si fa con l’acqua; queste materie prime, i cittadini le possiedono già, non
come il carbone o l’uranio.
Le fonti rinnovabili, spesso sono una risorsa cui tutti hanno accesso, si pensi al sole od al vento.
Esiste la possibilità di una micro-organizzazione di comuni e comunità per l’auto-
approvvigionamento energetico; ciò è in opposizione agli interessi di Eni e colleghi.
Si riscopre il carbone e l’uranio allo scopo di tutelare gli interessi delle corporazioni energetiche.
Le biomasse e l’idrogeno, pur menzionate, probabilmente non saranno oggetto di forti investimenti
statali, saranno cospicui invece i sussidi per lo sviluppo del nucleare e del carbone.

Nelle grandi città, in particolare, è possibile e necessario realizzare reti senza fili a larga banda (WI-
FI, WIMAX, etc. per creare un ambiente disponibile alla gestione di nuovi servizi collettivi.

Il WiMax rende più semplice ed economico collegare alla rete i comuni rurali e le zone a bassa
densità abitativa; offrirebbe la possibilità a praticamente tutti di usare internet. Le reti WiMax non
servono nelle grandi città, dove la banda larga è già disponibile, come servono a chi il broadband
proprio non ce l’ha.
Cosa s’intende poi, per “nuovi servizi collettivi”?
C’entra ancora una volta il mercato; conviene alle compagnie di telefonia spendere per garantire
una copertura di base in zone a bassa densità abitativa? O conviene piuttosto creare una rete senza
fili in centri densamente abitati, dove i consumi sono maggiori, al fine di creare una piattaforma
per la vendita di “nuovi servizi collettivi”?
Probabilmente il PD conosce le risposte a queste domande.
Veltroni and compagnia credono forse che le cose hanno valore solo se possono essere vendute,
che le idee, gli scritti, i filmati, i disegni, le foto, le canzoni che circolano liberamente in internet,
per canali sia leciti che illeciti, non hanno un valore intrinseco fondamentale.
L’idea è ricca perché viene pensata e perché può essere comunicata.
Non capire questo significa non essere in grado di capire la differenza tra valore e prezzo.
Piegarsi alle pretese di chi vuole mettere le mani sui vettori tecnologici, per mezzo dei quali
viaggiano le idee, significa legare la conoscenza e la cultura al reddito.
Internet è ben accolto da chi lo usa perché, a fronte del pagamento del servizio, si può disporre di
moltissimo contenuto.
La telefonia mobile, invece, è una frode pazzesca perché i contenuti li forniamo noi, e poi li
paghiamo, a minutaggio. Ma se l’utente da un senso al minutaggio riempiendolo di contenuto
perché deve pagare le scarpe di Afef, invece di se stesso?
La connettività senza parole od idee non avrebbe valore.
Se Provero, Vento e Vodatelefono ci proponessero di pagare la rete, potremmo fare due conti e poi
gentilemente declinare perché la rete l’abbiamo già e la stiamo già pagando (la banda larga).
Il WiMax, abbinato al Voip, consentirebbe di chiamare tutti, gratis.
Manca solo convergenza tra le reti.
Chi guarda la tv, studia, chiama, ascolta la musica, legge le notizie tutto allo stesso tempo?
Vishnu? Non servono quindi 4, 5 reti differenti per far circolare le idee ed i prodotti delle idee.
Dubito abbiano in mente questo, quelli del PD quando parlano di creare un “ambiente disponibile
alla gestione di nuovi servizi collettivi”.
La convergenza, infatti ridurrebbe il lavoro necessario alla manutenzione e gestione, eliminando
gli sprechi e creando (liberando) ricchezza collettiva (anziché concentrata).
Convergenza significherebbe pure una diminuzione del PIL mentre se la tecnologia WiMax, venisse
usata per creare un’ulteriore rete (piattaforma) cittadina da cui vendere “nuovi servizi”, il PIL
crescerebbe. Al Partito Democratico, l’uomo dei conti dice: “si’!”

Occorre aprire alla concorrenza sia la rete degli autobus sia le ferrovie regionali. Ciascuno deve
tornare a fare il proprio mestiere: il sussidio statale si deve trasformare in incentivo a mettere in
concorrenza la gestione delle reti mediante gare europee e le aziende di trasporto devono imparare a
gestire normali relazioni industriali in un mercato aperto. Ciascuna amministrazione comunale sarà
libera di scegliere le regole che preferisce, entro un campo di soluzioni diverse, ma lo Stato
premierà solo quelle che scelgono il mercato.
Si parla di sostanziali privatizzazioni delle ferrovie e degli autobus con il rischio che accada come
in Gran Bretagna, dove sono saliti i prezzi, con tariffe ch’hanno indotto molti a fare gli
spostamenti, anche domestici, con le low-cost. Questo fatto è problematico per due ragioni, da una
parte la salita dei prezzi è stata tale da condurli fuori dalla portata delle classi a reddito inferiore,
dall’altra c’è il problema delle emissioni e delle scie chimiche (nei voli low-cost).
Non è la “concorrenza” che risolverà i problemi ambientali legati al trasporto, anzi.
Chi deve incrementare il proprio profitto sul servizio che offre, ha l’opzione di alzare i prezzi
oppure di fare risparmi di personale ed infrastrutture.
C’è il rischio che molte tratte poco redditizie siano abbandonate, che si abbia una forma di semi-
monopolio in cui le ditte si fanno concorrenza soprattutto di marketing, fruizione e qualità del
servizio accordandosi però su di una soglia minima di prezzo decisa più o meno arbitrariamente e
che rischia di tagliare fuori chi è meno abbiente.
Questa non è mobilità.
V’è da aggiungere che se ditte straniere s’interessassero al settore trasporti in Italia, è probabile
che pretendido determinate limitazioni del poter sindacale nonché la possibilità di “snellire” detto
corpo personale.
Ancora una volta lo stato si propone di svendere gli apparati pubblici, per la smania di far
quadrare i conti, monetizzare tutto senza consultare il contribuente.
Si vuole convincere i cittadini che quello che non frutta introiti per una ristretta cerchia di
“proprietari”, non può funzionare.
Si suggerisce al cittadino d’empirsi di guadio all’avvento di servizi privatizzati che ben
s’affacciano sul mercato. Deve essere contento delle patinate reclame, dei treni riverniciati, delle
poltrone non più polverose, soprattutto deve riempirlo d’orgolio vedere coloro che se lo possono
permettere viaggiare, ora, molto più comodi.
Non c’è alternativa, ci dicono, ricordandoci gli sprechi quotidiani, i progetti improbabili, il
nepotismo, la corruzione ch’essi stessi hanno riversato sul settore pubblico. Ce lo assicurano quelli
che gli piace di conversare sereni con la banca, che gli molesta alquanto d’esser trascinati in
tribunale per storie vecchie, prescritte ormai, che si scelgono il maggiordomo-giullare in tv,
ch’attaccano la sirena per arrivare prima alla toilette.
Personaggi pubblici, ben s’intenda che però in gran privato chiamano gli amici-impresari, stanno
con la famiglia, gestiscono le ditte, nutriscono i conti off-shore ma soprattutto si battono per il
diritto di fare tutto ciò senza che gli altri facciano le pulci ai loro due conti in tasca.
Forse il problema non è il pubblico, ma processi di privatizzazione abusiva che si verificano in
ambito pubblico.
Fare accordi con dei costruttori per realizzare progetti superflui, pagare profumatamente la ditta
di consulenze del cognato senza accertarne la competenza, assumere solo propri parenti,
assegnarsi uno stipendio pari agli utili di una media impresa, non sono queste privatizzazioni del
fondo pubblico? Oppure è vero che le aziende pubbliche devono fallire per forza, per la mera
natura collettiva del proprio mandato?
È come se il politico ci dicesse: “Ho usato il nostro computer ma si è rotto, credo che, da adesso in
poi, è meglio che si vada tutti all’internet point. Ritengo infatti che non siamo in grado di avere un
computer in questa casa senza romperlo. È inevitabile; appena l’ho usato sott’acqua si è bloccato
tutto”.
Citiamo pure l’ennesimo ossimoro concettuale in cui s’imbattono Faccino e compagni: “ma lo
Stato premierà solo quelle che scelgono il mercato”.
Ovviamente chi sceglie il mercato non dovrebbe avere sussidi dello stato. Magari si vuole
intendere “mercato” in maniera più creativa…
Lo stesso meccanismo si può applicare verso le Regioni per il trasporto ferroviario. E' davvero
penosa la condizione del servizio offerto a milioni di pendolari. Solo quando cominceremo a vedere
diversi operatori sulle ferrovie regionali, a confrontare diversi prezzi e standard di qualità in un
mercato aperto dei servizi, potremo soddisfare le aspettative dei pendolari. Occorre inoltre
rimuovere il blocco d’ingresso alla concorrenza costituito dalla disponibilità dei treni, garantendo ai
vincitori delle gare l’opportunità di acquisire con indennizzo il materiale rotabile utilizzato fino a
quel momento sulle tratte in concorrenza.

Svendita quindi anche delle cose, questo è da sottolineare; lo stato-bancarella rinuncia, svendendo,
pure al personale specializzato, le attrezzature, l’infrastruttura (talvolta), la tecnologia, il know-
how.
Filantropico l’augurio a soddisfare le aspettative dei pendolari, che saranno davvero comodissimi
ed in orario prima di scappare quando arriva il controllore.
L’esternazione deve essere attruibile al buon D’Alema od al dolce Colaninno, impresari
straordinari, con antenati illustri famosi per una famosa briocherie di Parigi, aperta poco prima
della Rivoluzione, su suggerimento di Maria Antonietta.

Oggi, si presenta una grande occasione: il completamento dell’Alta velocità metterà a disposizione
del trasporto regionale un aumento del 50% delle tratte ferroviarie. È possibile dare alle aree
metropolitane italiane un’armatura su ferro.

Non e’ vero.

I progetti devono essere presentati agli enti locali ed anche alla cittadinanza, rendendoli disponibili
su web. Dopo uno spazio di tempo per la discussione e per l'ascolto di tutte le opinioni, il progetto
viene rielaborato sulla base delle osservazioni, per poi decidere con un sistema di avocazione della
capacità decisionale. In questo contesto, va riformata la normativa di valutazione d’impatto
ambientale delle opere (VIA-AIA) con l'eliminazione dei tre passaggi attuali e la concentrazione in
un’unica procedura di autorizzazione, da concludere in tre mesi. Una volta assunta la decisione,
deve essere previsto un divieto di revoca o l'applicazione di sanzioni pecuniarie elevate con
responsabilità erariale a carico degli amministratori pubblici interessati.

“Sistema di avocazione del potere decisionale” decidono loro insomma. E con un’indebolimento
aggressivo del VIA-AIA, per la gioia dei cementificatori della Repubblica.
D’ora in avanti, il verde si concentrerà soprattutto nei manifesti.

La priorità va data al trasporto ferroviario (TAV Torino-Lione-Trieste, alta capacità e trasporto


urbano e locale), agli impianti per produrre energia pulita, ai rigassificatori indispensabili per
liberalizzare e diversificare l'approvvigionamento di metano, agli impianti per il trattamento dei
rifiuti, alla manutenzione ordinaria e straordinaria della rete idrica.

TAV, progetto molto contestato e di dubbia utilità. Si farà nel solco della tradizione: “prima
facciamo costruire questa bella cosa all’amico Sempronio; poi qualcosa ci faranno”.
PD e PDL sono d’accordo in questo; è sempre bene che il cittadino paghi ciò che non vuole e che
probabilmente non gli apporterà alcun beneficio.
Si sa poi che la vera soddisfazione sta nell’iniziarli i cantieri, non nel chiuderli. Soprattutto in
questo caso, dove è prevista una durata dei lavori (per la tratta Torino-Lione) di 15 anni. Ma
Sempronio, non se ne cruccia, visto che ha stipulato un contratto del tipo general contractor per
cui può richiedere, in qualsiasi momento, ulteriori finanziamenti per l’ultimazione.
Il tutto, è offerto alla modica cifra di 20 miliardi di euro, molto più dell’esborso necessario al
potenziamento della linea preesistente.
Questo è lo stato che tira la cinghia.
Viene da chiedersi chi è il gongolante Sempronio? Di quali credenziali dispone, per l’affidamento
di un progetto così munifico?
Sempronio è Impregilo, lo stesso Sempronio che si proponeva di smaltire i rifiuti in Campania, la
stessa ditta del ponte sullo stretto.
Pazienza poi se i costi di manutenzione sono insostenibili, qui il segreto è costruire, fare PIL e
spendere generosamente i soldi dei contribuenti.
Il PD continua parlando di “impianti per il trattamento dei rifiuti”, il neologismo
“termovalorizzatore” non è più in voga, dal momento che si è scoperto che l’inceneritore non
valorizza proprio nulla. Ha un rendimento bassissimo, regolarmente al di sotto del 20% (meno
delle vecchie centrali elettriche) e la frazione di energia “recuperata” è circa 5,6 volte inferiore a
quella persa nella combustione dei rifiuti.
I sostenitori degli inceneritori si fan lesti ad illustrare come il “termovalorizzatore” possa fornire
calore alle case mediante teleriscaldamento.
Sarebbe bene considerare due cose a tal proposito:
Su 50 inceneritori italiani, solo 6 sorgono in comuni dove esiste una rete per il teleriscaldamento,
quindi per oltre l’80% degli inceneritori, non avviene neanche l’iperuranica termovalorizzazione di
cui si fa un gran parlare. Noto è inoltre che le centrali termoelettriche, essendo più efficienti degli
inceneritori, sono più facili alla cogenerazione, dunque maggiormente idonei all’integrazione in
reti di teleriscaldamento. Delle 76 centrali termoelettriche italiane, solo 16 si ubicano in province
dove esiste una rete di teleriscaldamento.
Viene da chiedersi se la tanto attesa termovalorizzazione non avviene più per l’assenza di reti per
lo sfruttamento della cogenerazione che per la carenza d’inceneritori.
In Europa, solo in Francia e Germania ci sono più inceneritori che in Italia (rispettivamente 112,
60 e 51) eppure l’Italia è tra i paesi che “tratta” meno rifiuti per inceneritore. Solo la Norvegia
brucia meno rifiuti per impianto, ma gli impianti in Norvegia sono quattro (non 51) e dei rifiuti
totali, più del 65% viene riciclato (dati 2006) contro il 22,7%, della raccolta differenziata in Italia
(dati 2005). Il Portogallo è invece il paese che brucia più rifiuti per impianto (466.900 tonnellate
annue contro le 68.407 italiane); in Italia, abbiamo invece più di 30 (sui 51 totali) impianti con
capacità di trattamento non superiore alle 300 t/giorno.
Potenzialmente, con il numero di impianti odierni, si potrebbero bruciare 6,8 volte i rifiuti
attualmente “trattati” e sarebbero sufficienti 15 impianti per trattare il doppio dei rifiuti di adesso.
Oggi, funziona così; gli italiani pagano il cip6 sulla bolletta che va a pagare la costruzione degli
inceneritori, i quali però inceneriscono pochissimi rifiuti rispetto al fabbisogno in più si viene a
sapere che causano cancri ed altre patologie, si “riscopre” dunque l’emergenza rifiuti in
Campania ed i politicanti tornano ad empirsi la bocca di “termovalorizzatori”.
Dedicato a chi dice che in Italia non vengono riciclate le eco-balle…
L’inceneritore è un’idea stupida come è stupido dare fuoco al cestino di casa.
Lo capirebbe anche un bambino.
Produce scorie assai tossiche, polveri sottili, diossina, cancerogeni assortiti etc.
Ostacola il riciclaggio perché diventa esoso da gestire se la raccolta differenziata supera il 40%.
Costa ai cittadini che pagano per costruirlo e poi per farlo funzionare. È una tecnologia ridicola
perché poco efficiente, costosa, inquinante, concettualmente obsoleto. Basta pensare che con la
sola raccolta differenziata dei rifiuti, si risparmia quattro volte l’energia prodotta dal loro
incenerimento. Perché si fa, allora?
Impregilo, intanto, di termovalorizzatori ne avrebbe fatti sette, tutti in Campania dove non esiste
rete per termovalorizzare alcunché.
Lo stesso Sempronio risponde ai dubbi del pubblico contribuente; dalla sua pagina web fa sapere
che: “De tous les actes, le plus complet est celui de costruire” (Paul Valéry)

STATO SOCIALE: PIÙ EGUAGLIANZA E PIÙ SOSTEGNO ALLA


FAMIGLIA, PER CRESCERE MEGLIO
Anche grazie all'attività dell'Agenzia, potrà essere realizzato un sistema di forti premi per le imprese
che investono in sicurezza, agendo sul livello della contribuzione; al tempo stesso, una quota delle
risorse del surplus INAIL deve essere utilizzata per aumentare gli indennizzi ai lavoratori
infortunati e per aggiornare le tabelle delle malattie professionali;

Forti premi?
Chi scende sotto una certa quota di decessi, grida Bingo! E viene chiamato in tv dove, insiema ad
un sacco di soldi, gli danno pure un telegatto. Ospiti illustri, anche del mondo del pallone, Arrigo
Sacchi dice: “Straordinerio” a sottilineare l’eccezionalita’ del caso.

E’ necessario trasformare l’enorme capitale umano femminile inattivo in un “asso” da giocare nella
partita dello sviluppo, della competitività, del benessere sociale. Passare dal circolo vizioso ad un
circolo virtuoso. Più donne occupate significa, infatti, più crescita; più nascite; famiglie più sicure
economicamente e più dinamiche; meno minori in povertà.

Limiti di logica ed osservazione.


Le casalinghe non sono inattive, lavorano per l’armonia, l’igiene e la saluta del nucleo familiare;
la loro economia domestica limita lo spreco ed il conseguente danno ambientale è pertanto molto
più sofisticata di quella statale, affaristica e speculativa.
Chi vorrebbe riversare su di un mercato già saturo, nuova forza lavoro non ha alcun senso civico.
Il mondo del business non ha interesse a risolvere il problema della disoccupazione; finché ci
saranno più persone in cerca di lavoro che datori alla ricerca degli stessi, il potere contrattuale ed
il lusso della scelta saranno sempre in mano a chi assume, invece che nelle mani di chi viene
assunto (la maggioranza delle persone).
Da un lato, lo stato chiama i sindacati ad abbassare le pretese, dall’altro diminuisce il potere
contrattuale del lavoratore inondando il mercato di sempre maggiore offerta.
Con uno stato così restio alla collaborazione coi sindacati, questo può solo significare più ore
lavorative a retribuizione diminuita perché è questo che conviene ai privati impresari.
Dubito che una situazione del genere porterebbe ad un maggiore numero di nascite (cosa
comunque insostenibile), famiglie “più dinamiche” e “meno minori in povertà”. Credo invece che
porterà a più minori lasciati soli, parcheggiati davanti alla tv; più spreco, meno salute, meno
tempo libero; in sostanza una forte diminuzione della qualità della vita.

Un sistema attivo si ottiene potenziando la rete dei servizi, pubblici e privati, all’impiego e
introducendo forme di responsabilizzazione reciproca fra beneficiari di sussidi e erogatori dei
servizi. I primi sono tenuti non solo ad accettare offerte di impiego e di formazione, pena la
decadenza dal sussidio, ma ad attivarsi per cercare il reimpiego. Cercare lavoro è in sé
un’occupazione, che per questo va retribuita, con un contratto specifico di ricerca d’occupazione. I
servizi all’impiego devono essere responsabilizzati anch’essi ad attivarsi, offrendo agli operatori
incentivi specifici e strumenti adeguati (compreso il potere di erogare le indennità e di sanzionare le
inefficienze).
Si prospetta un programma sul modello americano Welfare-to-work dove il sussidio statale, decade
nel momento in cui il disoccupato mostra di non attivarsi alla ricerca di lavoro.
Il programma si fonda su uno dei miti più in voga, in argomento di welfare ovvero che la povertà
non è un problema sociale ma è da attribuirsi alle manchevolezze del disoccupato.
Ragionare in questi termini è confortante per le classi privilegiate perché consente d’attenuare il
loro senso di colpa ma non è un pensiero logico. Le cause della povertà sono altre.
Si è già parlato prima di come vada accentuandosi la forbice sociale, di come lo stato incoraggi,
incentivi, detassi il trend. Si è parlato di come i datori di lavoro abbiano interesse che persista la
disoccupazione in modo da poter contrattare forza lavoro a prezzi sempre più vantaggiosi
(vantaggiosi per il datore, sia chiaro). Come lo stato voglia ridurre i servizi pubblici, svendendo in
favore dei privati. Si diceva anche di come lo stato caldeggi la dipendenza energetica dalle
corporazioni nazionali ed estere invece di incoraggiare modelli d’autonomia energetica locale.
Tutto ciò comporta una crescita del costo della vita, particolarmente gravante sulle tasche dei
meno abbienti ed una decrescita continua e costante del potere d’acquisto.
Negli Stati Uniti le contraddizioni del sistema Welfare-to-work sono note; il sistema colpisce
soprattutto le giovani madri nubili, che devono mostrare più “flessibilità” in termini di orari e
spostamenti e sono costrette a lasciare soli i figli per più tempo. I maggiori beneficiari dei sussidi
statali sono infatti i figli con un solo genitore, sia in termini economici che affettivo-educativi.
Con il welfare-to-work, il secondo beneficio viene negato perché il genitore non ha più l’opzione di
rimanere a casa.
Il pericolo di dissesto sociale che porta in dote questo programma è forte.
Inoltre è difficile che gli “incentivi specifici” degli operatori servano a premiare il contenimento
del suddetto dissesto sociale; favorirebbero piuttosto il raggiungimento di determinati target, uno
su tutti, l’abbattimento della spesa sociale.
Le contraddizioni del welfare-to-work sono ovvie, e manifeste sperimentalmente negli StatiUniti,
dove tale programma esiste. Altrettanto lapalissiani sono i benefici per la contabilità statale, si
potrebbe dire, addirittura enumerici.
Forse è proprio questo il maggiore potenziale del programma; consente agli amministratori statali
di presentare cifre incoraggianti sia in tema di occupazione che nell’ottica della quadratura dei
conti dello Stato.
Le cifre nascondono le problematiche sociali inerenti al welfare-to-work e soprattutto distraggono
dall’obiettivo principe di tale programma: tagliare i contributi ai disoccupati.
Non si agisce sul problema reale della disoccupazione, sull’esistenza tangibile della povertà, sulle
cause, sui fautori ma ci si concentra sulle responsabilità dell’individuo che questi problemi
subisce. Nasce così una figura mitologica che trova ospitalità soprattutto nell’immaginario
dell’alta borghesia: il povero troppo stupido e troppo pigro per cercarsi un lavoro decente che,
anzi, sguazza nella munificenza del misero sussidio statale.

1. Allungamento del periodo di prova, in misura da concertare con le parti sociali, per permettere
alle imprese, e anche al lavoratore, una più adeguata valutazione della possibilità di una assunzione
a tempo indeterminato;
2. incentivazione e modulazione del contratto di apprendistato come strumento principale di
formazione e di ingresso dei giovani nel lavoro. Le agevolazioni contributive vanno graduate in
rapporto alla qualità e quantità della formazione dell’apprendista, e tenendo conto dei periodi di
apprendistato.
In un primo periodo, di lunghezza variabile da definire con le parti secondo le necessità di
formazione, i trattamenti e le agevolazioni all’impresa restano quelle attuali; alla fine di questo
periodo si procede alla verifica della qualificazione dell’apprendista, con la possibilità di continuare
il rapporto, se necessario a completare la formazione, con ulteriori agevolazioni, ovvero di
terminare il rapporto (come oggi).
Dopo questo ulteriore periodo vanno previsti incentivi all’impresa che trasforma il rapporto in
contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Assente ingiustificato, in questo allegro quanto prodigo estratto è il rischio d’impresa.


Ricapitolando: allungamento del periodo di prova, incentivi per l’apprendistato, possibilità di
deroghe ad infinitum, incentivi per chi assume a tempo indeterminato. Il conto lo paga lo stato,
scoprendosi generoso al cospetto delle imprese, laddove prim’anzi razionava con i disoccupati.
Si fa menzione, nel programma del PD, del problema del precariato massivo e sistematico, delle
sonore prese per il culo che si beccano apprendisti, interinali, stagisti etc.
Il Pd ritiene di ovviare potenziando proprio quegli strumenti che le imprese (ab)usano per
sottopagare e derogare indefinitivamente l’effettiva assunzione dei lavoratori.
Il precariato e gli strumenti che lo rendono possibile, rendono nulli tutti quei diritti che i lavoratori
organizzati hanno tanto faticosamente ottenuto; sono la cancellazione di un’importantissima
tranche di storia e di progresso civico.

Per l'invecchiamento attivo


Il nostro tasso di occupazione degli over 50 è sotto la media europea. Occorrono misure diverse:
agevolazioni alle imprese che assumono over 50 a tempo indeterminato, incentivi ai lavoratori che
prolungano il lavoro oltre l’età pensionabile (sopravvalutazione del tempo di lavoro ai fini della
pensione, abolizione del divieto di cumulo fra retribuzione e pensione), part-time misto a pensione.

Uso creativo di parentesi, o meglio, un minimo di pudore nel tentativo d’occultare l’ennesima
iniziativa della casta per tutelare…se stessa.
I parlamentari sono quasi tutti piuttosto vetusti, con alle spalle, spesso, altri incarichi retribuiti,
quindi, molti, dovrebbero godere della pensione ma non possono.
Che scocciatura e che reazionario peculiarismo! Punitivo, ritengono faccino e consorte, il divieto
di cumulo delle loro maturate pensioni con la loro scandalosa retribuzione da parlamentari.
Ora, finalmente si porrà fine a questo terribile problema nazionale.

CULTURA, SCUOLA, UNIVERSITÀ E RICERCA: PIÙ


AUTONOMIA, PER L'EQUITÀ E L'ECCELLENZA
Nell'ambito del sistema nazionale dell'istruzione universitaria, va riconosciuta effettiva autonomia
agli atenei e promossa la loro internazionalizzazione, per rompere chiusure baronali e portare
l'università italiana nel novero dell'eccellenza mondiale. Ciascun ateneo deve essere libero di
assumere personale docente italiano e straniero, di darsi il sistema di governo che ritiene più
adeguato, di stabilire le norme per l’ammissione degli studenti, di fissare liberamente le rette.

L’Università italiana è già tra le migliori al mondo, soprattutto considerando il rapporto


qualità-prezzo. Liberalizzare le rette significa permettere una selezione già non meritocratica dei
maturandi. Borse di studio e prestiti non sarebbero in grado di ovviare a questa iniquità; si profila
una situazione simile a quanto avviene negli Stati Uniti, dove chi proviene dai ceti medio-bassi,
spesso si indebita pesantemente oppure si trova a dover rinunciare alle offerte provenienti da
atenei troppo costosi.
Schiaccia, schiaccia ma quello proprio non arriva: l’ascensore sociale PD è di nuovo guasto.
IMPRESE PIÙ FORTI, PER COMPETERE MEGLIO

Passare dall'amministrazione che autorizza, all'impresa responsabile della proprio attività.


Le Agenzie per le imprese, enti privati promossi dalle Associazioni o da professionisti associati,
sono lo strumento attraverso il quale l'impresa diffusa può accedere ad un nuovo rapporto con le
Pubbliche Amministrazioni, fondato sull'autocertificazione e sui controlli ex post.

Geniale, siamo ai livelli dei questionari che fanno compilare prima di entrare negli USA.
- Sei tu un ladro? -
- No –
- Benissimo, allora beccati quest’altro sussidio. -

Turismo: lo stato promuova l'Italia nel mondo


In attesa di una riforma del Titolo V della Costituzione, attraverso un'azione concertata con le
Regioni deve essere riassunta in capo allo Stato la definizione della strategia nazionale per lo
sviluppo del Turismo. Deve invece restare affidata alle Regioni la gestione delle politiche di
regolazione e sostegno delle attività turistiche.
In questo quadro, il Governo del PD si impegna a promuovere un'iniziativa in sede europea per
l'applicazione di un'aliquota IVA ridotta alle attività turistiche nel loro complesso o a segmenti
significativi delle stesse.

Tipico delirio di chi non capisce la differenza tra valore e prezzo. Ennesima esenzione fiscale per
gli impresari questa volta, si dice, per incentivare il turismo, che porta ricchezza al paese.
Un tempo forse questo era vero, adesso è meglio precisare.
Innanzitutto occorre sottolineare che gli stranieri vengono in Italia, per vedere l’Italia, le sue
bellezze, non per saggiarne le strutture turistiche.
In parole povere: sono il mare e le spiagge ad essere belle, non le sdraio.
Gli operatori, oggigiorno, offrono un’infinità di servizi, perlopiù superflui, facendo sogni caldi ed
appiccicaticci in cui tutti i clienti sono dai gusti pacchiani e dagli infiniti danari.
Questi clienti esistono quasi esclusivamente nei deliri degli operatori.
Con l’avvento delle compagnie aeree low-cost, anche (orrore!) persone normalissime con
(blasfemia!) redditi ordinari possono permettersi di viaggiare all’estero. Il dilagare di sofisticate e
soprattutto costose strutture turistiche pertanto rischia di allontanare più turisti di quanti ne attrae.
Da sottolineare pure la modalità, del tutto impropria con cui gli operatori turistici monopolizzano i
paesaggi naturali, i monumenti, le città d’arte etc.
Cosa hanno contribuito costoro alla realizzazione delle attrattive su cui lucrano?
Sono loro le chiese, le spiagge, i parchi, le sculture la cui vista fan pagare?
Oltre a rendere più caro per gli stessi Italiani, godere della bellezza del proprio paese, gli
operatori turistici tendono pure a canalizzare la ricchezza portata in dote dagl’ignari visitatori.
Sarebbe bene, invece, che questa ricchezza avesse modo di arrivare un po’ a tutte le attività (e
micro-attività) commerciali che operano normalmente sul territorio.
Il villaggio turistico, più che portare ricchezza, la concentra e la canalizza; mette fuori gioco la
pensione, il ristorante, il bar, il mercato etc.
L’attrattiva di un dato paese esiste, quasi sempre, indipendentemente dalla speculazione turistica
che lì ha luogo, anzi è la speculazione medesima, spesso, a far decadere un’attrattiva che poteva
altrimenti perdurare.
SUD E MEDITERRANEO
Il nostro obiettivo è quello di portare entro il 2013 la rete delle infrastrutture e dei servizi per i
cittadini, le imprese e le istituzioni del Mezzogiorno a dimezzare il gap accumulato rispetto al
Centro-Nord. Si tratta, in primo luogo, delle infrastrutture della mobilità: strade, ferrovie, porti,
aeroporti e autostrade del mare. Almeno il 50% delle risorse comunitarie sarà impegnato su questi
progetti. E poi, servizi pubblici essenziali, per i quali vanno stabiliti obiettivi-standard: dal servizio
idrico all’ambiente, dall’energia alla scuola, dalla giustizia alle università.

La Impregilo avrebbe dovuto lavorare sulla Salerno-Reggio Calabria, alla linea1 della metro di
Napoli, al faraonico ponte sullo stretto; un sacco di cose, ma ecco, se avranno ancora tempo ci
sarebbe ancora il 50% delle risorse comunitarie da spendere in cemento.
Elargisce Veltroni, a nome di tutti gli Italiani che proprio non ne possono più di tutto questo verde.
Sono con Veltroni perché un’Italia nuova si può fare, ma proprio fare, con i camion e le betoniere.
D’Alema e compagni l’hanno capito: quello che serve all’Italia ed al sud in particolar modo, è il
cemento.
50% alle betoniere e quello che rimane verso altri dettagli assortiti: l’acqua, l’energia, la scuola e
l’università. Magari qualcosina rimarrà anche per la giustizia. Senza esagerare però; poi c’è il
rischio che funzioni davvero.

LA DEMOCRAZIA GOVERNANTE
Quel sistema elettorale ben si presterebbe a stabilizzare un bipolarismo fondato su grandi partiti a
vocazione maggioritaria, quale si va configurando già in questa elezione, a partire dalle scelte
unilaterali fatte dal PD. Il PD è disponibile anche ad esaminare ipotesi di sistemi elettorali diversi, a
condizione che possano corrispondere alla medesima finalità.

Lezioni di democrazia, da parte del PD; non importa quale sarà il sistema elettorale, purché esso
porti alla stabilizzazione di un “bipolarismo fondato su grandi partiti a vocazione maggioritaria”
ossia, non è importante la relazione tra voto e rappresentanza sempre che possa spadroneggiare in
parlamento l’accorporazione bipolare Veltrusconi.

Il Presidente del Consiglio, nominato dal Capo dello Stato sulla base dei risultati della Camera,
dovrebbe ricevere da solo la fiducia esclusivamente dalla Camera, dovrebbe poter richiedere al
Capo dello Stato la revoca dei ministri

In altre parole, che si torni pure alle preferenze tanto, alla fine, decidono in due: Presidente del
Consiglio e Capo dello Stato.
Questa la considerazione che ha il PD per la verifica elettorale dei cittadini.
Partito Democratico?

a.ritroso

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