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NOSY - Joy - KEN (letto kin)

Dovete sapere che la mia infanzia è stata piuttosto speciale per uno della mia razza,
dopotutto i miei genitori erano gente tranquilla. Mia madre, Alyssra Hering è una dolce
donna, dall’aspetto ordinario se non fosse per i suoi magnifici capelli color carota. Non l’ho
mai sentita alterarsi con anima viva e ha sempre trovato il tempo di star dietro alla casa, a
me, e perfino dare una mano a mio padre nell’erboristeria di famiglia. Mio padre invece, Alan
Garret, è un tipo solare e piuttosto acculturato, smilzo e dai corti capelli neri. E’ stato lui ad
insegnarmi a leggere, scrivere e tutto ciò che sò riguardo le basi arcane e alchemiche… due
persone normali in una normale città insomma.
Ora immaginate lo sguardo dei miei poveri genitori quando si sono ritrovati me come figlio!
Un piccolo essere dalla pelle blu come il mare, occhi gialli come quelli di un gatto, capelli di
un rosso scuro e armato di denti ed unghie particolarmente affilate oltre ad una vivace coda
puntuta! Ancora non so se sono stati folli o meno a tenermi, ma non posso far altro che
essergliene eternamente grato.
Crescendo i miei peculiari tratti si sviluppavano sempre più; la pelle divenne di un blu scuro
come l’oceano, sulla mia fronte apparvero due possenti corna, che seguendo la curvatura
della testa terminano in punta verso l’alto dietro la nuca come ben potete vedere.
Dato il mio aspetto e la possibilità di essere istruito in casa come ho già detto, non sono
uscito molto di casa purtroppo ma ciò serviva a tenerci tutti sani e salvi.
Come potete immaginare però, è difficile tenere a bada la curiosità di un bimbo…
Spinto dalla curiosità per il mondo esterno,più e più volte sgattaiolavo fuori nel mezzo alla
natura che circondava la nostra isolata casa. Putroppo come prevedibile, un giorno fui visto
da una famiglia che stava arrivando dalla città per chiedere dei rimedi a mio padre.
Spaventato fuggii in casa sperando non succedesse nulla, ma al contrario, non feci altro che
coinvolgere anche i mia attirando l’attenzione. I mia provarono a spiegare alla famiglia le loro
ragioni e la mia innocenza, ma le parole caddero nel vuoto infatti, la sera stessa di
quell’incidente, la notizia si era sparsa in città.
Quella stessa gente che mio padre aveva aiutato fin’ora con la sua medicina, marciò verso
casa nostra col solo obiettivo di ottenere giustizia e respingere il male. Non capivo il perchè
di quei gesti e se devo ammetterlo a volte ancora mi sfuggono, ma fortunatamente mio
padre è sempre stato abbastanza accorto. Usando un passaggio sotterraneo preparato anni
addietro, riuscimmo a scappare senza lasciare possibilità agli inseguitori mentre vedevamo
la nostra casa cadere in preda alle fiamme. Quel giorno mi insegnò il disprezzo della gente
comune nei confronti del retaggio che mi porto dietro..
Atterrati per la situazione ma felici di essere ancora tutti insieme, acquistammo un carro nel
quale abbiamo vissuto per molti anni, vagando di città in città senza trattenerci troppo per
timore di essere scoperti. Dopotutto iniziavo a crescere, e per quanto preoccupati, i miei
genitori capirono che non avrei potuto passare la mia vita rinchiuso in una casa. Iniziai ad
usare travestimenti in modo da coprire il mio aspetto, ma comunque percorrendo le strade
della città solo durante la notte.
Questo finchè all’età di 16 anni, durante una delle mie passeggiate notturne, un gruppo di
avventurieri che percorrevano la città trainando un carro voluminosi attirò la mia attenzione.
Seguendoli per buona parte della notte, scoprii che questi non erano altro che avventurieri,
sciacalli di tombe che commerciavano in beni preziosi e sfruttavano la notte per non destare
occhi indiscreti e dover dividere eventuali profitti.
Questi carri che continuavano a giungere in modo continuo ma scostante, non facevano
altro che aumentare la mia curiosità sul loro contenuto ad ogni arrivo così, in modo furtivo,
riuscii a rubare da uno dei carri, uno strano ninnolo rettangolare con incisi degli strani glifi
che non avevo mai visto ma che, con mio sommo stupore, riuscivo a leggere! Per comodità
decisi di farne un amuleto per averlo sempre con me.
Fui veramente sorpreso da questa scoperta, che per me non si rivelò altro che combustibile
per la mia fiamma di conoscenza..
Studiai la gemma per i giorni successivi mentre sperando di poter recuperare altri oggetti del
genere. La mia speranza non fu delusa.
Nelle notti successive infatti udii una conversazione tra la scorta del carro, che era
soddisfatta del guadagno ottenuto dalle rovine trovate a Thornwood e la gente era un’allocca
a credere alle superstizioni.
Probabilmente non fu il più lucido dei miei pensieri, ma non potevo ignorare ciò che avevo
sentito! Esisteva un posto che sembrava chiamarmi, chissà cosa avrei trovato dentro che
era li ad aspettarmi!
Divorato dalla curiosità passai giorni ad elaborare un piano per poter proseguire nei miei
intenti, ma alla fine ci riuscii.
Convinsi mio padre che la gente iniziava ad avere sospetti nei nostri confronti, e che come al
solito sarebbe stato meglio cambiare città; proposi una tranquilla cittadina che ci avrebbe
portato incredibilmente vicino alla mia destinazione e con mio stupore, riuscii a convincergli.
Tra i preparativi ed il viaggio passarono 5 interminabili giornate nelle quali temevo che gli
sciacalli di tombe lo avrebbero completamente svuotato dei suoi averi.
Finalmente, la notte del 6 giorno di viaggio, ci fermammo in una zona al limitare di
Thornwood, la foresta che secondo racconti che avevo letto mentre attendevo lo scorrere
dei giorni, era maledetta e persino la vegetazione aveva preso una forma contorta, aliena e
ostile. Carico di eccitazione attesi che i miei si addormentassero e partii seguendo
vagamente le indicazioni ricavate dagli sciacalli. Capii presto perchè i libri che avevo letto e
la cultura popolare additava la foresta come maledetta, gli alberi dal colore scuro e dalle
forme contorte sembravano creature in agguato nell’ombra, e il sottobosco era fitto di rovi
tremendamente acuminati e di un malato color bordò. Vagai per un buon numero di ore tra
la vegetazione finchè iniziò a farsi strada in me una sensazione di paura; ero solo, lontano
da i miei cari mentre attorno a me inquetanti ombre si stagliavano da ogni dove e ogni
rumore o fischio del vento sembrava una risata crudele o un inquietante sussurro da gelare il
sangue. Mi fermai a ripensare a cosa stavo facendo, era davvero necessario vedere questo
posto? Perchè? E sopratutto avevo soltanto qualche vaga informazione sul posto, avrei
potuto vagare tra quel labirinto verde fino alla mia morte. No, ormai era troppo tardi, erano
già ore che vagavo, l’uscita dov’era? Non lo ricordavo più..
Mentre ansia e disperazione si impadronivano di me spingendomi a correre ciecamente
nella boscaglia, un rumore mi fece trasalire e bloccare di colpo. Ascoltai più attentamente
temendo per la mia vita, ma non era un rumore. Erano voci.
Come se la paura non fosse mai esistita, iniziai a seguirle evitando le fitte radici e i bassi
rami rami ricolmi di spine, finchè non le vidi. IIlluminate dalle luce della luna, una serie di
rovine si ergevano in una radura al centro della foresta.
Mentre mi avvicinavo ammiravo stupito la struttura decadente, anche in questo stato riusciva
comunque a trasmettere timore e mostrava la grandezza di un tempo. Interamente
composta da spesse mura di pietra scure come la pece, e numerosi sostegni di ferro nero
come la notte adornati da numerosi spunzoni e brutali ganci.
Dopo qualche minuto di contemplazione, combattuto tra meraviglia e orrore, iniziai a cercare
un ingresso o qualcosa di simile. Numerose statue di esseri con tratti a me comuni come
corna, coda ed alcuno perfino delle ali simile a quelle di pipistrelli, giacevano a terra
frantuamte, erose e reclamate dalla malsana vegetazione attiravano costantemente la mia
attenzione finchè, eccolo!
Un grande arco, quasi interamente collassato sul peso dei piani superiori, sembrava far
accede all’interno della struttura! Ma c’era una cosa che non avevo previsto. Nello stretto
corridoio formato dalle macerie, era stato installato un nuovo e solido portone a sbarre che
lasciava intravedere il corridoio svanire nelle ombre. Provai più e più volte a passare tra le
strette sbarre o forzare la serratura ma con scarso successo finchè, preso dal mio intento,
non realizzai che non ero più circondato soltanto da ombre e rovine.
Quattro individui che evidentemente stavano venendo a trafugare altri beni, mi avevano
circondato, tagliandomi ogni via di fuga.
Immediatamente pensai di essere morto, e tentai il tutto per tutto fuggendo. Purtroppo
ebbero la meglio su di me in breve ma a quanto pare avevano progetti peggiori per me.
Mi legarono e portarono al loro accampamento in zona. Mentre camminavamo potevo
sentire i loro discorsi. ”Ma guarda un pò un diavoletto blu! Vendiamolo come cavia a qualche
mago, ci pagherà un sacco!” diceva una nano dalla barba grigia e dai lunghi ma radi capelli
che non nascondevano la piazza sulla sua testa,”Sta zitto Irum, questo sicuro vale di più
venduto ad un ricco nobile come pezzo raro nelle collezioni di schiavi!” Diceva una ragazza
dalle orecchie a punta, lunghi capelli e occhi dorati sosteneva. “Per me vale più da morto,
ma non sta a voi due decidere ne a noi, portiamolo da Urzog e sentiamo che vuol farne”
sentenziò un umano possente, completamente glabro e una profonda cicatrice sul volto
mentre un’altro più esile, con capelli piuttosto lunghi raccolti in una coda, dalla barba a
chiazze e una faretra lungo il fianco si limitava ad annuire. Dopo qualche minuto di cammino
raggiungemmo un accampamento spartano, composto da una decina di tende. Altri gruppi di
persone erano qua, nani umani elfi e mezz’orchi, eppure tutti mostravano la solita
espressione alla mia vista già vista nel mio villaggio natale, un misto tra paura, ribrezzo e
odio. Venni portato nella tenda più grande, e venni legato ad una sedia. Osservando la
quantità di manufatti presenti, la presenza di armi e varie armature e pellicce, dedussi di
essere nella tenda di questo Urzog. Lasciato solo e temendo per la mia vita, non so dove
trovai la forza ma, terrorizzato dai racconti che mio padre mi aveva detto dopo l’incidente
della bottega, su cosa aspettava a quelli come me in mano alla gente, tirai il più possibile la
mano per far evadere lo stretto cappio. Una fitta lancinante alla mano ed un rumore sordo
che vibrò nel mio interno, fu l’avvertimento della mia libertà e della rottura della mia mano.
Morsi i miei labbri per non fiatare finchè non iniziai a sentire il sapore del sangue nella
bocca. Col mio udito iniziai a sentire passi pesanti farsi sempre più vicini ed istintivamente mi
lanciai sull’unica arma presente nella stanza: una lunga alabarda grezza.
Il manico in osso e metallo nero, simile a quello visto pochi minuti fà nelle rovine, culminava
in una lama semicurva, simile a quella di un’ascia ma più rozza e dai numerosi denti
accuminati. Sulla lama vi erano incise tre rune che lessi naturalmente come Stige.
Ascoltai con attenzione, dietro di me i passi si interruppero. Voltandomi verso l’ingresso vidi
quello che presumo fosse Urgoz, un mezz’orco imponente, coperto da una pesante pelliccia
di un orso. Il fisico scolpito coperto era ricoperto da motivi tribali che si estendevano fino al
volto e sulla testa pelata. Persino le zanne erano scavate con motivi tribali, affiancate da un
pesante anello dorato pendente dal naso.
I piccoli e penetranti occhi rossi rivolti contro di me, mentre un ghigno sinistro illuminava il
suo volto.
Colto dal terrore impugnai l’arma maledicendo subito la stretta dolorosa con la mano rotta.
Mentre il gelido freddo del manico si insinuava nelle mie mani, fin quasi a bruciare, il mondo
sembrò fermarsi per un attimo. Sentii chiaramente qualcosa toccarmi dentro, non so come
spiegarlo veramente, è stato come se una bestia sopita fosse stata improvvisamente
svegliata.
In un lampo, come se l’arma non avesse peso nelle mie mani e come se fosse lei a guidarmi
mi lanciai in un affondo. Notai dal volto che anche Urgoz si stupì quanto me, infatti non riuscì
ad evitare il colpo che sfregiò in parte la sua guancia e staccò di netto il suo orecchio sinistro
come fosse burro. Mentre Urgoz si teneva l’orecchio maledicendomi in orchesco e incitava
le guardie a seguirmi, quella minima distrazione mi permise di creare un varco nella tenda
alle mie spalle e lanciare l’arma addosso agli increduli inseguitori prima di fuggire a gambe
levate. Il tempo che impiegarono a reagire ai rapidi eventi, fu abbastanza per permettermi di
guadagnare qualche secondo di vantaggio iniziale. Abituato a corre, e inseguito dalla morte,
corsi per ore più forte che potevo. Corsi a perdifiato per ore e ore finchè, alle prime luci
dell’alba, non fui certo di non avere nessuno alle spalle. Scosso dall’avvenimento e
malconcio, mi diressi in direzione della mia carovana, ancora perplesso su tutto ciò che era
successo quella notte. Con mia somma fortuna ritrovai la carovana che mi stava cercando
disperatamente e nulla potè evitarmi una romanzina dai miei genitori.
Il viaggio riprese rapido e senza intoppi ma in me qualcosa era cambiato. Me ne accorsi
subito, eccome se me ne accorsi. Dopo essermi concesso un lungo riposo, mi misi a
riflettere sull’accaduto a mente fredda durante una sosta della carovana, mentre pensavo
alla strana arma, vidi il terreno accanto a me muoversi come fosse acqua, mentre dal centro
emergeva accanto a me nuovamente la grottesca arma. Pensai ad un allucinazione ma il
suo dolce peso e il metallo, gelido al punto di bruciare, mi convinsero del contrario.
Col passare degli anni imparai ad usare l’arma e il potere che con essa venne risvegliato in
me, imparando persino a mutare il mio aspetto. Mi scelsi il nome di Thorn Nightwood, come
ricordo di quei giorni, una versione umana di me stesso, in modo da poter finalmente
vagare liberamente per la città durante il giorno!
Purtroppo però i gesti non vennero dimenticati e iniziò a diffondendersi la notizia che un
possente guerriero mezz’orco era in cerca di un diavolo azzurro che gli aveva sottratto la
sua fedele arma. Non potendo coinvolgere i miei genitori, mi separai da loro, salutandoli e
partendo per il viaggio che mi ha portato sin qui, ramingo in cerca del chi sono e del perchè
proprio io.
Ah quasi dimenticavo, perchè la fasciatura blu lungo il braccio sinistro dite? Beh, diciamo
che la mano non si è mai ripresa del tutto e, dato che passo sempre meno tempo nella mia
vera forma, mi ricorda chi sono e da dove vengo, semplice.

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