1-Il sogno dell’impero, la realtà di monarchie e repubbliche.
All’inizio del XVI secolo Carlo D’Asburgo riunisce sotto il suo potere un gran numero di possedimenti. Dal padre Filippo il Bello, eredita i domini della casa D’Asburgo (Austria, Franca Contea e Paesi Bassi); dalla madre Giovanna La Pazza eredita le corone di Castiglia e Aragona (Sardegna, Sicilia, Napoli e le nuove colonie americane); inoltre nel 1519, succede al nonno Massimiliano I d’Asburgo nel titolo di imperatore del Sacro Romano impero della Nazione germanica, dunque controlla anche indirettamente gran parte dell’attuale Germania e la Boemia. Si può dire che nella prima metà del Cinquecento sembra realizzarsi la cosiddetta restauratio imperii, ovvero la rinascita dell’impero. Nella fase tarda l’impero romano era stato un impero cristiano e l’imperatore era considerato come colui che doveva assicurarsi che si eseguisse la volontà divina. Quando l’impero romano si dissolse, il regno dei Franchi considerò l’impero romano come un modello da imitare. Tra l’VIII e il IX secolo, il sovrano franco Carlo Magno, con l’appoggio del papato, aveva tentato di fare rinascere l’antica istituzione universale adattandola all’Europa Medievale: il giorno di Natale dell’800, papa Leone III incoronò Carlo Magno, attribuendogli il titolo di imperatore del Sacro Romano Impero. Nel corso del Basso Medioevo gli imperatori tedeschi Federico I detto il Barbarossa e Federico II di Svevia si scontrarono con il papato che si sentiva minacciato dal grande potere dell’autorità imperiale. Nonostante ciò il sogno dell’Impero (monarchia universale che realizzasse i valori cristiani), rimase a lungo vivo e Carlo Magno possiede teoricamente risorse economiche e forze in grado di assoggettare l’intero continente europeo, ma alla fine dovrà riconoscere l’incapacità di superare le difficoltà legate alla complessità della politica europea e alla complessità di tenere uniti i propri domini. Al figlio Filippo II, Carlo Magno lascia le corone di Castiglia e Aragona, mentre al fratello Ferdinando garantisce la successione al trono imperiale (tradizionali possedimenti asburgici e corone di Boemia e Ungheria). la fine dell’unità religiosa cristiana, i nuovi equilibri territoriali determinati dall’avanzata dell’impero ottomano nel Mediterraneo, l’inizio dello sfruttamento delle Americhe e il consolidamento nel continente europeo di forti poteri monarchici porterà al tramonto dell’idea di un unico impero romano cristiano europeo. Le nuove monarchie dispiegano la loro autorità su territori di ampie dimensioni. Il loro potere (grazie alla creazione di efficaci strutture burocratiche che si occupano del controllo della vita religiosa e civile, dell’amministrazione di giustizia, della riscossione delle tasse, di armare un esercito) si esercita in modo più forte rispetto al passato. Tradizionalmente i sovrani erano visti come dei severi detentori della virtù della giustizia, ma erano anche visti come gli unici in grado di promuovere e innalzare i sudditi ai principali onori materiali e spirituali; le principali qualità del sovrano erano equanimità e magnanimità. Tra il Quattro e Cinquecento i sovrani aumentano le loro capacità di controllo dei vasti possedimenti territoriali e ciò comporterà anche l’aumento della capacità di prelievo fiscale. Grazie alle maggiori entrate sarà possibile finanziare apparati burocratici stabili e esercitare flotte sempre più potenti e pagate in maniera continuativa. Si manifesta, da una parte, l’inclinazione dei sovrani a liberarsi di ogni struttura di potere che minacci o condizioni quello della corona (come per esempio i grandi feudatari, abituati ad essere quasi pari al re, o le città autonome abituata all’autogoverno e all’indipendenza), in modo da tenere a freno le forze centripete; dall’altra parte, la crescita del potere dei re, porta anche a porre la loro sovranità come indipendente da ogni altro potere esterno e a considerarla come voluta direttamente da Dio questa tendenza comporta, nel migliore dei casi, a subordinare le strutture ecclesiastiche al controllo della corona, mentre nel peggiore dei casi, la totale separazione dalla Chiesa di Roma. Il rafforzamento delle monarchie si lega anche alla formazione delle identità protonazionali: l’insediamento e la stabilizzazione di monarchie territoriali contribuisce allo sviluppo di tradizioni e costumi comuni e alla consapevolezza delle classi dirigenti di far parte di un unico organismo politico. Lo storico svizzero Jacob Burckhardt afferma che i processi di accentramento politico delle «nuove» monarchie hanno le loro radici nella cultura rinascimentale. Nel corso del Novecento, la creazione di un’entità superiore quale la monarchia, è apparsa agli storici come il presupposto necessario per l’affermazione di un positivo e progressivo principio di tendenziale uguaglianza dei sudditi. Recentemente, è però emerso dagli studi come la maggioranza delle esperienze monarchiche europee della prima età moderna non sia affatto caratterizzata dall’affermazione sicura dei principi di superamento dei particolarismi amministrativi, culturali e politici nel segno di una sempre crescente omogeneizzazione. Al contrario, la costruzione delle nuove monarchie viene vista come un processo molto più complesso. Lo storico inglese J. Elliott parla a questo proposito di «monarchie composite» un agglomerato politico-territoriale, tenuto insieme dalla sola persona del sovrano e dagli appartenenti alla sua dinastia. La prima e più importante monarchia sulla scena europea è quella di Francia, erede del regno franco e retta dalla monarchia dei Valois che nella lunga guerra contro l’Inghilterra – guerra dei Cent’anni 1337/1453 - riuscì a cementare l’unità del regno nella difesa dalle pretese di dominio inglese. I sovrani sono anche molto attenti ad attaccare ed eliminare i domini feudali autonomi, potenziali pericoli per la stabilità della corona. Il ducato di Borgogna (comprendente la Borgogna, la Piccardia, l’Artois, la Franca Contea, il Lussemburgo, il Brabante e la Fiandra) aveva raggiunto una grande fame europea per splendore e mecenatismo. Il re Luigi XI di Valois, al fine di accrescere il proprio potere in Francia favorisce la disintegrazione del ducato, dopo avere sconfitto l’ultimo duca Carlo il Temerario. In seguito Luigi XI annette anche le regioni dell’Angiò, del Maine e della Provenza. Il suo successore, Carlo VIII, sposa Anna di Bretagna e annette anche la Bretagna. Questo processo di aggregazione è sostenuto da un rafforzamento dell’esercito, dall’imposizione di nuove tasse, da un crescente controllo sulla Chiesa francese e dalla creazione di un’amministrazione e dalla riorganizzazione degli apparati giudiziari. Luigi XII d’Orléans, Francesco I ed Enrico II seguiranno la stessa direzione, ma in un contesto internazionale molto mutato poiché avevano la necessità di limitare il potere degli Asburgo. In Inghilterra, in seguito alla sconfitta della Guerra dei Cent’anni, si verificano una serie di conflitti, animati dalle due casate degli York e dei Lancaster(che si contendono il diritto alla successione del trono inglese) , che indeboliscono l’autonomia della corona.) Guerra delle Due Rose (1455-85). Soltanto con Enrico VII, (1485/1509) erede dei Lancaster e marito di Anna di York, la monarchia inglese ritrova la sua capacità di azione politica riorganizzando il sistema fiscale, istituendo un tribunale di diretta dipendenza regia, e favorendo con una potente flotta militare, una notevole espansione commerciale e marina. Questa strategia sarà ripresa anche dal figlio Enrico VIII Tudor, che vorrà rendere l’Inghilterra la protagonista dello scenario europeo e che separerà la Chiesa d’Inghilterra da quella di Roma, dando vita al protestantesimo, con la creazione della Chiesa Anglicana. I processi di ricomposizione politico-territoriale sotto autorità monarchiche interessano anche la penisola iberica, divisa in quattro grandi aree: regno di Portogallo, regno di Castiglia, Regno di Navarra e la Corona di Aragona In Portogallo, la dinastia degli Aviz, tra il Quattro e Cinquecento, darà il via all’esplorazione, per scopi commerciali, della costa atlantica africana creando basi lungo le coste e sviluppando una rete marittima di scambi Europa/Africa. Gli altri stati iberici, a seguito del matrimonio di Ferdinando II d’Aragona con Isabella di Castiglia, si uniscono mantenendo però leggi ed istituzioni distinte. Ferdinando ed Isabella (i re cattolici) creano un potente esercito comune per condurre a termine il processo di riconquista della Castiglia meridionale ancora sotto il dominio arabo/mussulmano. Dopo la conquista di Granada -1492- i re cattolici si trovano a governare una popolazione composta anche da ebrei e mussulmani. Grazie alla creazione nel 1478 di uno speciale tribunale ecclesiastico – Inquisizione spagnola - riusciranno ad imporre, con la forza, l’uniformità religiosa cristiana. Nel 1492 vengono espulsi gli ebrei, poi si cerca di convertire al cattolicesimo la popolazione di fede mussulmana. Ciononostante rimane relativamente alta la percentuale di ebrei convertiti e di musulmani convertiti e questa è la ragione dell’esplodere del timore per la “contaminazione” etnica. Si giunge sino all’idea razzista della cosiddetta purezza di sangue cristiana dall’assenza di antenati di religione ebraica e mussulmana Solo dopo l’acquisizione del regno di Navarra si incomincia a parlare di Spagna. La crescita delle «nuove» monarchie – Francia/Inghilterra/Spagna – avviene in un continente caratterizzato da un minor tasso di innovazione istituzionale, una variegata galassia composta da regni, principati indipendenti, città autonome, repubbliche, ma anche da ampi territori soggetti all’autorità del Sacro Romano impero della nazione germanica e di quelli che fanno parte dello Stato della Chiesa. L’universo delle organizzazioni statali appare frammentato e multiforme, una realtà sfrangiata e complessa, un puzzle. In questo periodo la Germania, formalmente sotto la sovranità del Sacro romano impero, si presenta come una confederazione di entità territoriali e politiche diverse: piccole città Stato affiancate da grandi principati laici ed ecclesiastici, come il Ducato di Sassonia e l’arcivescovado di Brema. Due le principali differenze tra l’impero e le «nuove» monarchie: - il carattere elettivo e non ereditario del titolo imperiale (l’imperatore viene eletto), l’esistenza in tutto il territorio dell’impero di poteri autonomi, solo formalmente soggetti all’autorità imperiale, ma in sostanza svincolati dal suo potere. Di fatto l’imperatore è sempre più una entità formale con limitati poteri reali. Ma la forza del «nuovo» modello regio si fa sentire anche nelle terre dell’impero. La carica imperiale da elettivo diventa quasi - ereditaria; dal 1438 l’imperatore vien eletto fra i membri di una sola dinastia: Asburgo. Massimiliano I d’Asburgo, grazie al matrimonio con Maria di Borgogna, figlia di Carlo il Temerario, riesce ad acquisire la sovranità sulla Franca Contea e sui Paesi Bassi. Gli Asburgo puntano a mantenere il titolo imperiale all’interno della famiglia e ciò, unito ad una accorta politica di alleanze matrimoniali, crea un forte blocco territoriale nell’Europa centro-orientale capace di arginare l’impero ottomano ad oriente ed il peso politico/economico della repubblica di Venezia. Ma anche i sovrani della Russia pretendono di essere i legittimi eredi dell’impero romano affermando che la loro sovranità deriva dall’impero romano d’Oriente, sopravvissuto a lungo dopo la caduta dell’impero romano d’Occidente (476 d.C.). Nel 1453, con la conquista di Costantinopoli da parte degli ottomani, anche l’impero romano d’Oriente era scomparso e i sovrani russi ne rivendicarono l’eredità, indicando nella propria nuova capitale, Mosca, la terza Roma. A Costantinopoli, ribattezzata Istanbul si sono insediati sultani ottomani che governano sul mediterraneo orientale e sui Balcani; l’impero ottomano è di fede mussulmana, ma tollera sudditi di religione diversa e perfino culti differenti. Nell’impero ottomano sono però presenti delle debolezze strutturali che affliggeranno sia il Sacro romano impero sia la Russia. difficoltà a governare grandi estensioni territoriali molto diverse al loro interno, territori abitati da popoli di diversa radice etnica (con lingue, culture e fedi diverse). Al di là degli imperi, la grande maggioranza dei poteri pubblici che governano le società europee sono organizzati in regni o principati. Molti regni dell’Europa orientale e settentrionale, come la Polonia, non presentano le caratteristiche delle nuove monarchie (no monarchia ereditaria). Molti signori europei non possono fregiarsi del titolo di re, ma solo di principe, duca o marchese. Questi principi esercitano lo stesso potere di un re in domini di dimensioni ridotte e in alcuni casi i territori che formano principati o signorie raggiungono una discreta estensione di scala regionale. In Italia vi sono una varietà di entità politiche diverse: città indipendenti che si reggono in forma di repubbliche eredi dei liberi comuni medievali i governanti delle repubbliche sono eletti da liste di cittadini che comprendono solo la parte della popolazione più prestigiosa. Le più importanti repubbliche sono: Venezia che ha costruito un ampio impero commerciale e si è espansa territorialmente in parte del Veneto, della Lombardia e del Friuli; Firenze che aveva dato vita ad uno Stato di dimensioni regionali. Genova che aveva creato una serie di basi commerciali sparse nel mediterraneo. Fuori dall’Italia, in Svizzera, i cantoni – piccole repubbliche – si sono unite in una confederazione -1499 – che si occupa essenzialmente della politica estera comune. Però la repubblica viene considerata una forma di governo adatta solo a comunità cittadine o Stati di piccole dimensioni in quando esempio di democrazia diretta difficilmente applicabile in governi di grandi Stati. Si considera adatta al governo dei grandi Stati, la monarchia. Dal 1494 al 1554, l’Italia divenne un vero e proprio campo di battaglia, in cui i contendenti sono le nuove e vecchie monarchie europee. Questo momento è stato definito come lo sciagurato periodo del dominio straniero, della perdita della cosiddetta “libertà d’Italia”. Le guerre d’Italia queste possono essere considerate le prime vere guerre europee perché l’Italia non era solo una delle nazioni più colte e ricche dell’epoca, ma era anche la sede della massima autorità spirituale del mondo cristiano: il papa. Chi avesse dominato la penisola avrebbe di conseguenza avuto l’egemonia sull’intero continente. Alla fine del Quattrocento l’Italia risulta divisa in numerosi stati di piccoli e medie dimensioni, incapaci di assoggettarne altri, ma capaci di evitare di essere assorbiti dagli altri (nell’Italia settentrionale ci sono per esempio il ducato di Savoia, la repubblica di Genova, il ducato di Milano, la repubblica di Venezia; nell’Italia centrale ci sono la signoria di Firenze, lo Stato della Chiesa; nell’Italia meridionale, infine, vi è il Regno di Napoli). Con la pace di Lodi (1454) i maggiori stati della penisola aveva siglato un accordo che mirava al rispetto del principio di equilibrio, dello status quo esistente. Tutto cambia nel 1494 quando, il re di Francia, Carlo VIII, scende in Italia, chiamato dal signore di Milano Ludovico Sforza detto il Moro, con l’intento di acquisire il regno di Napoli che egli rivendica in quanto erede della estinta casata degli Angiò. Nel 1495 Napoli viene occupata senza che vi sia alcuna resistenza contro il potente esercito francese, successivamente il pontefice Alessandro VI promuove un’alleanza antifrancese che include Venezia, Milano, Imperatore, Re cattolici che costringe Carlo VIII a ritirarsi. La spedizione francese evidenzia comunque l’instabilità e debolezza della realtà italiana dovuti ai contrasti fra i potentati locali, ed accentuata anche dalla conflittualità creato nello Stato della Chiesa dallo spregiudicato papa Alessandro VI il quale mira ad istituire nella Stato della Chiesa una vera e propria dinastia a favore del figlio Cesare. L’improvvisa morte di Alessandro VI stronca le ambizioni di Cesare A Firenze, intanto, dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, il potere dei Medici viene rovesciato da una rivolta di impronta repubblicana che faceva leva sulla predicazione di Girolamo Savonarola. Girolamo Savonarola, predicando un ritorno allo spirito del vangelo e alla purificazione dai peccati della Chiesa corrotta, riesce ad influenzare il governo repubblicano della città spingendola ad allearsi con la Francia. Alessandro VI scomunica Savonarola che privo di appoggi viene condannato al rogo nel 1498. In un secondo tempo, nel 1512, le forze ispano-pontificie travolgono la repubblica fiorentina e ristabiliscono la signoria dei Medici. Nel 1499, il nuovo re di Francia, Luigi XII, si accorda con Ferdinando il Cattolico per spartirsi il Regno di Napoli. Tuttavia ben presto scoppia la guerra fra i due sovrani che viene vinta dagli spagnoli. Intanto il papa Giulio II tenta di salvaguardare il potere temporale della Santa Sede minacciato dalla repubblica di Venezia in Romagna. Egli dà vita con l’imperatore Massimiliano e Ferdinando il Cattolico alla lega di Cambrai che infligge una pesante sconfitta alle forze veneziane, ma poi con la cosiddetta Lega Santa costituisce una alleanza per scacciare i francesi dell’Italia. Nel 1513 Luigi XII è costretto ad abbandonare Milano e la penisola. Nel 1515, il nuovo re francese, Francesco I, torna in Italia per conquistare Milano e Con il trattato di Noyon, Milano viene assegnata alla Francia e Napoli alla Spagna. Nel 1521 Carlo d’Asburgo, divenuto imperatore con il nome di Carlo V, muove nuovamente guerra alla Francia sconfiggendola nella battaglia di Pavia, 1525 e il re francese, Francesco I, rinuncia ad ogni pretesa sull’Italia con il trattato di Madrid. A questo punto papa Clemente VII (1523/34), resosi conto che il maggiore pericolo per i potentati italiani era costituito dagli ispano-imperiali, opera un rovesciamento delle alleanze e dà vita ad una lega antiasburgica con Francia, Venezia, Milano, Genova e Firenze. L’esercito di Carlo V torna in Italia e riesce ad occupare Roma e i suoi mercenari tedeschi, lanzichenecchi, saccheggiano la città eterna. L’orrore e lo sconcerto per il sacco di Roma alimenta ansie apocalittiche e di fatto suggella l’egemonia spagnola sull’Italia, sancita dalla Pace di Cambrai, con cui Francesco I deve riconoscere il ritorno del Ducato di Milano al duca Francesco II Sforza, e l’assegnazione a Carlo V del regno di Napoli, delle Fiandre e dell’Artois. Ma il conflitto franco-asburgico per il controllo della penisola non è ancora concluso: nuove campagne militari hanno luogo nel 1535-37 e 1542/44. Solo nel 1559 i francesi vengono definitivamente espulsi dall’Italia che finisce sotto l’egemonia politica spagnola (il figlio e successore di Carlo V, Filippo II, sui troni iberici governa direttamente Milano, Napoli, Sicilia e Sardegna etc.). Nel 1530, a Bologna, con l’incoronazione da parte di Clemente VII, Carlo V, eletto imperatore nel 1519, ottiene il decisivo riconoscimento del suo ruolo grazie alla potenza dei suoi eserciti temuti in tutta Europa. In seguito alla morte del nonno, l’imperatore Massimiliano, Carlo aveva dovuto affrontare la competizione del re di Francia Francesco I. Carlo riuscì a farsi nominare elargendo ai grandi elettori una somma maggiore di quella di Francesco. Governare su territori così vasti ed eterogenei risulta un’impresa molto ardua. In Spagna la sua ascesa (essendo figlio di Giovanni la Pazza) suscita timori e resistenze e viene contrastata sino a dar vita ad una divisione politica che degenera in una guerra civile le comunità urbane castigliane si riuniscono in una confederazione, Comuneros, che mina le basi di rappresentatività dell’aristocrazia feudale la guerra è vinta però dai lealisti, truppe dell’aristocrazia castigliana. A questo punto Carlo V sembra in grado di dar vita ad un impero europeo che si richiami al modello della Roma imperiale e all’impero carolingio medioevale, ma anche segnato dalla forte impronta degli Asburgo. Tuttavia diversi fattori minano alla base questo sogno. Il primo elemento è l’espansionismo ottomano nel mediterraneo che grazie all’abile ed intraprendente sultano Solimano II porta le truppe mussulmane all’assedio di Vienna 1529, e a conquistare Rodi nel 1522. Le truppe di Carlo V, pur ottenendo significative vittorie contro gli ottomani e contro i corsari arabi loro alleati, non riescono mai a raggiungere successi decisivi. Di fatto Solimano II non viene mai definitivamente sconfitto. Il secondo elemento sono le continue guerre contro la Francia, il vero bastione contro cui si infrange il sogno di egemonia continentale degli Asburgo. Il terzo elemento è la nascita a la diffusione della Riforma protestante in Germania che dà vita ad una dura conflittualità religiosa e politica in ampi territori del suo impero. Di fronte a tale situazione Carlo V si rende conto dell’impossibilità di realizzare nel corso della propria vita l’egemonia continentale. Anche l’ipotesi di proseguire nel suo progetto, ovvero instaurare un ordine imperiale europeo, affidando al proprio figlio, Filippo, unico erede, l’insieme dei propri domini, viene osteggiata da suo fratello Ferdinando che pretende la successione. Tutto ciò porta Carlo V a credere che il mancato trionfo su tutti gli avversari sia conseguenza della volontà divina e lo spinge a ritirarsi in uno sperduto monastero spagnolo. Col la Pace di Augusta del 1555 viene sancita la convivenza del cattolicesimo e del luteranesimo nell’impero el regno viene diviso fra il figlio; a Filippo II: Castiglia ed Aragona, Paesi Bassi, domini italiani; mentre al fratello Ferdinando: Austria, Boemia ed Ungheria. E con questa divisione muore il progetto di un unico impero europeo.
2-Ordini, ceti e forme della rappresentanza politica.
Alle soglie dell’età moderna, nell’Europa cristiana, l’universo naturale si ritiene sia preordinato e predisposto da Dio per la salvezza dell’uomo. anche il mondo sociale entra in un disegno divino e la società è organizzata in tre parti che dipendono l’una dall’altra e creano un equilibrio (oratores, ovvero il clero, bellatores, i guerrieri, e i laboratores, il resto della popolazione.) La funzione sociale più importante è attribuita al ruolo religioso e coloro che fanno da tramite con la sfera del sacro sono i membri del clero che si occupano di garantire all’intera comunità la benevolenza. Gli uomini di Chiesa devono essere curati a spese della società. Il clero è nella società europea di antico regime, ovvero il primo ordine o primo stato. Il clero (sia quello secolare che regolare), governa in prima persone città e territori, gestisce istituzioni educative, sanitarie ed assistenziali, consiglia e guida le coscienze di politici e sovrani, si troverà presente nelle principali nelle istituzioni politiche rappresentative dei vari ceti. Anche i guerrieri svolgono una funzione vitale, quella di proteggere, mediante le armi, le vite ed i beni di tutti. Come il clero, i guerrieri devono essere mantenuti ed anche ad essi vanno riservati particolari onori. Diversamente dal clero, i guerrieri sono un gruppo sociale che si riproduce e quindi perpetua i propri beni e privilegi. Esiste quindi una barriera, non invalicabile ma tangibile, tra loro e gli altri. Anche la nobiltà affianca ben presto all’originale proprio ruolo militare, compiti di direzione politico- amministrativa. Si tratta di una delega da parte del sovrano di funzioni di governo, politiche, amministrative e giudiziarie ai vari feudatari. Tale delega finisce per diventare perpetua ed il potere del sovrano si riduce di molto perché i vari feudi, non essendo proprietà private, si trasmettono in via ereditaria e l’eventualità di confisca del feudo da parte del sovrano è molto remota. Si afferma nell’universo mobiliare una scala gerarchica: principi, duchi, marchesi, conti e baroni. Di fatto l’universo nobiliare non è mai stato completamente a disposizione del potere del re. I re possono concedere titoli o crearne dei nuovi, ma ci sono tre fattori che limitano la pretesa regia di disegnare la scala della dignità: i vari nobili rivendicano una discendenza comune con il re dagli antichi conquistatori barbari e questo comporta un’ideologia, ovvero, il sovrano è solo un primus inter pares; si è tanto più nobili quanto più la discendenza è riconosciuta universalmente ; la nobiltà nasce non soltanto dalla concessione, ma anche dall’esercizio concreto del potere signorile e questo spesso sfugge al potere del re. L’ordine nobiliare nella società europea occidentale non è stato un gruppo sociale chiuso ed impermeabile: nobili si nasce, ma lo si può anche diventare sia attraverso l’esercizio di alte cariche politiche, amministrative o in campo militare, sia attraverso la ricchezza. A partire dal XVI secolo i sovrani (per bisogni finanziari) incominciano a vendere massicciamente titoli nobiliari e onorificenze. La nobiltà è l’insieme dei discorsi che esprimono la preminenza sociale. Ogni città d’antico regime europea è popolata da una quantità di gruppi definiti rispetto al lavoro che svolgono. Centrale è il ruolo sociale ed economico delle corporazioni. Non tutti i lavoratori fanno parte di delle corporazioni, esistono artigiani che lavorano nelle aree rurali e non fanno parte di esse; vengono anche definite arti, collegi, compagnie, corpi, matricole, scuole o università nella penisola italiana. Gli artigiani ed i mercanti dello stesso settore produttivo si uniscono per difendere i rispettivi interessi ed impedire che qualcuno di essi diventi troppo ricco e potente a danno degli altri. Le corporazioni vengono distinte in arti maggiori e arti minori. Le corporazioni mirano ad acquisire anche il monopolio nei diversi ambiti manifatturieri e commerciali controllando i rispettivi settori di attività. Dal XIV secolo si incrina il meccanismo tradizionale di ricambio all’interno delle corporazioni con l’ingresso di nuovi membri; l’accesso alle corporazioni diventa più rigido. La struttura interna delle associazioni è gerarchica: all’apice i maestri che eleggono i capi della corporazione i quali fissano le regole; il rispetto delle norme può essere verificato mediante ispezioni da parte dei maestri. Le corporazioni sono spesso affiancate da organizzazioni religiose laiche: le confraternite, che aiutano a costruirne o a cementarne l’identità; e da società di mutuo soccorso che gestiscono un fondo comune destinato ai momenti di bisogno dei vari membri (ciascuno dei membri versa una quota.). Col passare degli anni le corporazioni acquistano sempre più un notevole grado di controllo sulle attività produttive delle varie regioni europee riuscendo ad influenzare le autorità cittadine: possono assumere la tutelare l’ordine pubblico, ma anche destabilizzare. In sostanza le corporazioni, organizzano, distinguendola e gerarchizzandola, una parte importante dello spazio sociale dei non nobili e dei non ecclesiastici. Alla funzione religiosa e militare corrispondono gruppi sociali separati, con una propria gerarchia e che fanno riferimento al potere religioso (il papa) e a quello politico (il re). Distinguere il resto degli individui che fanno parte della società di antico regine e che non sono né membri della chiesa né nobili è più complicato: il cosiddetto Terzo Stato si differenzia a secondo del ceto di appartenenza (un gruppo sociale specifico, giuridicamente riconosciuto). In ordine crescente dai meno prestigiosi: artigiani (suddivisi in corporazioni); titolari di professioni (avvocati, medici, notai); titolari di uffici pubblici; infine mercanti. Solo attraverso l’appartenenza ad uno di questi gruppi istituzionalizzati, che gode di riconoscimento giuridico, un individuo può avere una voce pubblica ed essere tutelato. È una società in cui la legge non è uguale per tutti, ma è diversa a seconda dell’appartenenza ad un determinato ceto, che gode di determinati privilegi. Il clero e la nobiltà sono considerati i grandi i ceti privilegiati per eccellenza. Vi sono vari tipi di privilegi: privilegi giurisdizionali (attinenti alle caratteristiche, ai confini e ai limiti di estensione dell’autorità giudiziaria; vi sono perciò tribunali speciali detti “fori” anche per soldati o membri di corporazioni), privilegi economici (non pagare certe imposte e godere di particolari beni) I privilegi contribuiscono a determinare il rango di un gruppo sociale, ovvero la posizione sociale in rapporto con gli altri gruppi. La conflittualità dell’antico regime è originata dalla tendenza dei vari ceti a difendere la propria posizione e le proprie preminenze e la conflittualità si estende anche agli individui: è evidente che, laddove la legge non è uguale per tutti, ma diversa a seconda dei ceti, tutte le questioni di precedenza diventano cruciali. Nell’ordine nobiliare, che coltiva l’ideologia del proprio ruolo militare, le questioni di precedenza sfociano spesso in duelli perché i nobili si sentono obbligati a difendere il loro status, noblesse oblige: l’essere nobili, obbliga. Il linguaggio che esprime questo sottile gioco della reputazione è il linguaggio dell’onore. Il processo di inflazione dei ranghi nobiliari, dovuto alla vendita dei titoli da parte dei sovrani, a partire dal XVI secolo, portò ad una distinzione tra antica e nuova nobiltà. Questa funzione di distinzione dai folti ranghi della nobiltà minore viene svolta dagli antichi ordini militari e cavallereschi: sorti spesso nel Medioevo per combattere gli infedeli e svolgere le funzioni connesse all’immagine del guerriero generoso e caritatevole servono per venire incontro alla richiesta sociale di distinzione, creando una sorta di aristocrazia internazionale. I più prestigiosi e antichi: Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (XII sec) che stabilitosi a Malta diventa Ordine di Malta; Ordine del Toson d’oro (1430); ordini castigliani: Santiago, Calatrava, Alcántara. Nel corso del XVI e XVII secolo tutte le monarchie europee si dotano di nuovi ordini militari e cavallereschi: Ordine di Santo Stefano (1562); Ordine San Maurizio e Lazzaro (1572). In questa società che pensa a sé stessa come parte di un ordine dato, immutabile in quanto divino, un individuo partecipa alla vita politica non in quanto tale, come persona, ma in quanto parte di un ordine o ceto. La società politica nasce perciò dalla composizione di questi corpi sociali, gerarchicamente disposti, ma anche funzionalmente legati l’uno all’altro in modo da comporre un organismo unitario. Nelle monarchie europee tali idee comportano la presenza di corpi rappresentativi più o meno ampi che richiamano alla Magna Curia, l’assemblea dei rappresentanti dell’antico regno franco. In tutte le principali monarchie europee il re è affiancato da un’assemblea dei rappresentati del regno; non è una assemblea elettiva, ma composta da rappresentati di ciascun ordine. Il sovrano decide sulle più importanti questioni, pace e guerra, solo dopo aver ascoltato il parere dei rappresentanti degli ordini del regno. In Inghilterra, Scozia, Napoli e Sicilia queste assemblee si chiamano parlamenti. Il parlamento inglese è diviso in Camera dei Lord (Camera alta) composta da nobiltà e clero e Camera dei Comuni, i rappresentanti sono abitanti delle città e terre non infeudate. In Francia e Paesi Bassi questa assemblea, riunita molto di rado, si chiama «Stati Generali»; questo perché è composta dai tre Stati che rappresentano i tre ordini sociali. In Castiglia questa assemblea si chiama Cortes. Queste assemblee non sono permanenti, ma periodiche e in genere si riuniscono solo all’occorrenza: per richieste o rimostranze dei vari rappresentanti o per approvare nuovi tributi per il re (permanenti o temporanei). In cambio della approvazione di nuove imposte i rappresentanti chiedono al sovrano un contraccambio. Nel farlo ci si appella a due delle principali caratteristiche della sovranità: la munificenza (capacità del sovrano di elargire titoli, pensioni, privilegi, riconoscimenti) e la giustizia (il sovrano è pensato come il garante ultimo dell’equità). Spesso queste procedure comportano un lavoro di mediazione che fa sì che le sedute parlamentari si prolunghino anche per mesi. Viste queste difficoltà di gestione il re tende a convocarle solo in caso di necessità. Durante le assemblee il sovrano usa stare seduto sul trono per sottolineare la sua superiorità in quanto designato da Dio a governare il regno. Anche in assenza del re, il trono rimane, vuoto, a legittimare il proprio potere superiore, che essendo legato a Dio, può giustamente essere tramandato ai suoi successori. Di fatto il re è l’incarnazione della respublica, cioè l’incarnazione della cosa pubblica. L’innalzamento sacrale della monarchia regnante ha lo scopo preciso di allontanare lo spettro della monarchia elettiva, un re eletto da nobili e magnati; il sistema elettivo esisteva solo per l’imperatore e per il papa. Il regno del sovrano viene inteso come parte di una missione affidatagli direttamente da Dio, e la sua sovranità è ammantata da tratti soprannaturali: credenza che i re di Inghilterra e Francia potessero guarire con un tocco della mano la scrofola; la teoria della monarchia che prevede sdoppiamento della figura del sovrano, ad imitazione delle due nature di Cristo (la figura del re, dunque il suo corpo fisico e mortale, e una figura spirituale, ovvero il corpo immateriale ed immortale che cinge tutto il suo regno. Questo secondo corpo abbraccia e raccoglie, con continuità, in sé la comunità politica.)
3-La Scoperta dell’America e gli imperi coloniali.
Nel corso del XV secolo l’intensificarsi dei traffici marittimi fra i maggiori centri mercantili del tempo (Venezia, Genova, porti Europa settentrionale) favorisce lo sviluppo di alcune città iberiche affacciate sull’oceano atlantico: Cadice, Lisbona. Le navi genovese e veneziane, percorrendo le rotte prossime alle coste atlantiche della penisola iberica e dalla Francia, raggiungono Londra, Bruges ed Anversa. Barcellona diventa un importante snodo commerciale del mediterraneo. Nel corso del XIII e XIV secolo i navigatori genovesi e catalani hanno cercato di circumnavigare l’Africa per sottrarsi ai controlli dei veneziani ed alle tensioni politiche fra i regni mussulmani. Per tutta l’età medievale i mercanti arabi del Nord Africa gestiscono il commercio dell’oro dalle miniere del Senegal e del Niger verso l’Europa e Mediterraneo. Tra il 1336 e 1341 due navigatori genovesi al servizio della corona portoghese scoprono le Canarie. Di rivelante importanza sono sia lo sviluppo delle tecniche navali, per affrontare le onde dell’atlantico occorrono navi più grosse e con un sistema di vele più complesso e non basta semplicemente utilizzare più i remi che le vele come si verificava per solcare il Mediterraneo (vengono ora concepite navi più complesse come le caracche e le caravelle); sia degli strumenti di navigazione, la bussola per individuare il nord e l’astrolabio per misurare l’altezza della stella polare o del sole rispetto all’orizzonte, triangolazioni e che permettono di stabilire la latitudine in cui si trovano i navigatori rispetto alla nave.. Anche la cartografia, partendo da mappe rudimentali e poco attendibili, si sviluppa notevolmente: l’avvio delle esplorazioni atlantiche produce una vera e propria domanda di rappresentazioni efficaci di terre e rotte (sono la riscoperta e la traduzione de la “Geografia” di Tolomeo a fornire nuovi elementi alla cartografia). In Portogallo, nella seconda metà del Trecento, la crisi demografica causata dalla peste nera e delle guerre civili ha consentito l’ascesa sociale dei ceti mercantili a danno dell’aristocrazia feudale. La stessa dinastia degli Aviz favorisce tutela i ceti mercantili. Il principe Enrico il Navigatore investe molto in attività marittime commerciali e esplorative. Nel 1415 i portoghesi occupano Ceuta, in Africa settentrionale, di fronte a Gibilterra. Vengono poi colonizzate le isole di Madera (a Madera viene introdotta la coltivazione della canna da zucchero), le isole Azzorre e Porto Santo. Successivamente le navi portoghesi si spingono più a sud approdando alle isole di Capo Verde, Sierra Leone e nel golfo di Guinea, fondando nuove basi commerciali costiere. Queste esperienze nautiche e geografiche permetteranno a Bartolomeo Diaz (1487) di doppiare il Capo di Buona Speranza. Nel 1497 Vasco de Gama, raggiunge l’India con una flotta di quattro navi. Il commercio delle spezie rimane comunque problematico a causa del monopolio che i mercanti arabo- mussulmani continuano ad esercitare sulle regioni. Per imporre i loro commerci e fondare basi commerciali, i portoghesi finiscono con l’entrare in guerra con i sovrani locali riuscendo a controllare le rotte commerciali. Il sultanato d’Egitto cerca di tutelare gli interessi dei mercanti arabi ma negli scontri militari i portoghesi riescono a sconfiggerlo arrivando ad imporre un monopolio delle spezie che vengono da essi vendute a prezzi inferiori. Con l’importante porto di Malacca i portoghesi si affacciano sul Mar della Cina insediandosi a Macao (1557). Nel 1570 la corona portoghese fonda la Casa da India che gestisce in monopolio ogni commercio tra Asia ed Europa. Ma nel 1520, l’alleanza di Venezia con il nascente impero ottomano, riesce infine a forzare il monopolio dei portoghesi. Mentre le navi portoghesi costeggiano l’Africa, la regina Isabella di Castiglia finanzia la spedizione di Colombo per arrivare in Cina navigando verso occidente. Il 12 ottobre 1492 le navi spagnole approdano all’isola di San Salvador, credendo di essere giunti a Cipango (Giappone) ne prendendo possesso in nome della regina spagnola Tra la corona portoghese quella casigliana sorse il problema della delimitazione dei rispettivi diritti. Nel 1493, papa Alessandro VI stabilisce una linea di demarcazione, poi rinegoziata nel 1494, che porta ad una spartizione dei territori scoperti. Solo con Amerigo Vespucci (1501) prende corpo l’idea che le terre scoperte da Colombo sia un vero e proprio Nuovo Mondo. Nel 1519 Magellano, dopo due anni di navigazione, riesce nell’impresa di circumnavigare per la prima volta il mondo. Intanto nelle terre scoperte da Colombo inizia un disumano sfruttamento delle popolazioni indigene - per la brama dell’oro – che porterà ad una progressiva estinzione delle popolazioni autoctone ed al successivo sviluppo del commercio degli schiavi, tale commercio raggiungerà le dimensioni di una vera e propria tratta nel XVIII sec. Nel Nuovo Mondo gli europei entreranno in contatto con popolazioni diverse e diversamente sviluppate ed organizzate ma nessuna capace di resistere a conquistatori Vengono annientati l’impero azteco in Messico e quello Inca in Perù che inizialmente non si oppongono a questi nuovi venuti credendoli portatori di una nuova vita. Gli europei annientano le popolazioni indigene non solo grazie alle armi da fuoco ed all’uso dei cavalli che solo loro possedevano, ma anche perché tali popolazioni sono prive di difese immunitarie alle nuove malattie arrivate dall’Europa. La colonizzazione del Brasile da parte dei portoghesi inizierà solo dopo il 1530; dapprima la corona portoghese istituisce feudi concessi all’aristocrazia lusitana; solo successivamente decide di riacquistare il controllo diretto con un governatore generale. Prima conseguenza della conquista è la distruzione dell’universo religioso e culturale delle popolazioni americane. La distruzione dei templi e delle divinità locali operata dai conquistatori comporta non solo l’azzeramento delle credenze religiose, ma anche un vero e proprio trauma psicologico per la perdita dei tradizionali punti di riferimento religiosi, culturale e mentali. Successivamente anche la Chiesa si aggiungerà ad estirpare le loro credenze tradizionali imponendo i valori religiosi e culturali degli europei. Nella così detta lotta all’idolatria e alle superstizioni degli indigeni, i primi missionari si comportano con uno zelo fanatico dagli esiti disastrosi: stravolgimento del mondo sociale, dei valori e della mentalità indigena. A fronte di religiosi che giustificano i massacri degli indigeni vi è pero chi, come Bartolomé de las Casas, primo sacerdote ordinato in America, che conduce una battaglia a favore dei diritti umani degli indios e contro il loro sfruttamento e l’occupazione delle loro terre. Le denunce di Casas rimangono inascoltate perché vanno contro i cospicui interessi economici dei conquistatori. Superata la fase di esplorazione ha inizio nei decenni centrali del XVI secolo il consolidamento della corona castigliana per mezzo della creazione di istituzioni proposte al governo dei territori dell’America Centrale e Meridionale. Nella seconda meta del XVI, in seguito alla loro diminuzione, gli indios vengono raggruppati con forza in villaggi e si procede alla vendita dei loro terreni ai nuovi coloni. Il lavoro forzato degli indigeni viene utilizzato nelle fattorie dove si alleva bestiame e si coltiva banane, tabacco, caffè, canna da zucchero. Il pagamento delle tasse, basato prima in prestazioni di lavoro o fornitura di prodotti, viene forzatamente monetizzato, obbligando gli indios ad adeguarsi. I conquistadores cercano di dar vita in America a forme di organizzazione del territorio secondo gli schemi della loro terra di origine: essi organizzano città e villaggi e si istituiscono municipi che assumono notevoli poteri. La monarchia castigliana cerca di ottenere un certo controllo della vita coloniale istituendo l’istituto giuridico dell’encomienda de indios –affidamento degli indios-. Tale strumento consente di regolare i rapporti fra i conquistatori, inoltre con l’encomienda il sovrano affida a ciascun colono un certo numero di indios ai quali insegnare la fede cattolica. Gli indios sono tenuti a prestare il proprio lavoro, obbligatorio e non retribuito, nelle terre e nelle miniere degli encomenderos che di fatto diventano i loro padroni. Gli encomenderos sono obbligati a fornire alla corona castigliana il proprio servizio militare. Nascono, contemporaneamente alla colonizzazione della Antille, tensioni fra la società coloniale ed il sovrano poiché quest’ultimo teme la nascita di una aristocrazia nel Nuovo Mondo, nel quale l’autorità regia è debole. Nel 1512-1513 Ferdinando d’Aragona promulga le leggi di Burgos con le quali accetta l’encomienda, ma la corona non possiede gli strumenti per attuare queste leggi: quei lontani possedimenti e quelle terre sono di fatto sotto il controllo dei conquistadores e dei loro discendenti. Carlo V e Filippo II cercano di ridimensionare il potere degli encomenderos, ma solo il tracollo demografico delle popolazioni indigene riuscirà ad erodere tale potere. La corona castigliana istituisce a Siviglia, porto sull’Atlantico che diviene il maggior snodo economico/ finanziario per i commerci col Nuovo Mondo, la Casa de Contrataciòn, un ufficio regio che ha il monopolio dell’organizzazione dei traffici commerciali con le colonie, e provvede ad esigere le imposte sulle merci in partenza e in arrivo dall’America. La corona non solo stabilisce i prezzi e le quantità delle merci inviate in America, ma anche i prezzi delle derrate che da essa provengono ricavandone enormi profitti. Le navi che viaggiano fra il Vecchio ed il nuovo Mondo, per ridurre i rischi legati alla pirateria inglese e francese, si riuniscono in convogli (che si muovo due volte l’anno da Siviglia alla volta di Vera Cruz e di Portobelo) scortati da vascelli da guerra. Dall’Europa partono farina, olio, vino, armi, utensili, tessuti e strumenti nautici, mentre dall’America arrivano oro, perle, zucchero, legnami pregiati e cuoio. Successivamente la tipologia delle merci cambia perché le Colonie sono sempre più indipendenti per prodotti e merci normali, mentre, grazie alla loro crescente ricchezza, richiedono tessuti di lusso, vini e alimentari pregiati, calzature, orologi e quando le manifatture castigliane non sono in grado di far fronte alla domanda di tali merci si rivolgono a mercanti portoghesi, francesi e inglesi che violano il monopolio castigliano ricevendo in pagamento argento. 4-Umanesimo e Rinascimento. Umanesimo e Rinascimento possono essere considerati momenti successivi di un medesimo processo culturale che nasce e si sviluppa in Italia fra il Tre e Quattrocento e che assume dimensioni europee nel secolo successivo. L’Umanesimo è un movimento intellettuale caratterizzato da un atteggiamento nuovo nei confronti del mondo antico, cioè della Grecia e di Roma. Il poeta Francesco Petrarca (1304/74) invita allo studio ed analisi dei testi latini. Nelle biblioteche monastiche in tutt’Europa si riscoprono opere di autori dell’antichità da tempo dimenticati. Si cerca anche di restituire purezza al latino e si pongono le basi della filologia, grazie alla quale si restituiscono alla forma originale testi tramandati in maniera scorretta. Altro aspetto essenziale dell’umanesimo è il ritorno della cultura della Grecia antica in Europa, autori come Aristotele vengono studiati in greco e non in traduzioni latine. Nel 1438-42, a Ferrara si tiene un concilio per superare lo scisma fra la chiesa Cattolica e quella Ortodossa, questo da modo a molti studiosi greci di stabilirsi in Italia contribuendo alla diffusione della conoscenza del greco antico. Il contributo più grande in filologia fu quello di Poliziano che espone i criteri principali dell’esame erudito dei manoscritti nella sua Miscellanea. Lorenzo Valla (1405/57) analizza con il metodo filologico, e attraverso l’uso di diverse espressioni linguistiche, del documento che tradizionalmente segna la nascita dello Stato della Chiesa, mediante la cessione di Roma e del Lazio fatta dall’imperatore Costantino a papa Silvestro I (314-335) dimostra che si tratta di un falso redatto successivamente. Erasmo da Rotterdam (1466.536) fu una rilevante figura nella cultura umanistica europea, si impegna a conciliare le istanze della fede con il rigore intellettuale. Considera la traduzione della Bibbia, la Vulgata, un testo costellato di errori: si dedica, dunque, ad elaborare una edizione critica del testo greco del Nuovo Testamento, con traduzione latina a fronte. L’invenzione della stampa a caratteri mobili ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione e circolazione delle idee umanistiche e rinascimentale in tutta Europa. Precedentemente i testi erano realizzati a mano da amanuensi, trascritti da copisti, prima su pergamena e poi su carta. Dapprima la diffusione in Europa di cartiere e poi l’invenzione dei caratteri mobili, tradizionalmente attribuita a Gutenberg (1400/68), consenti di abbassare notevolmente il prezzo dei libri favorendone la diffusione. Fra il 1445 e 1455, a Magonza, sono stampati il Messale e la Bibbia di Gutenberg. In Italia le prime tipografie nascono a Venezia, Roma, Subiaco, Foligno; in poche ore vengono stampati testi che prima richiedevano la fatica di mesi di lavoro. «La fioritura della cultura alto-rinascimentale nell’Italia del Cinquecento dovette molto ai primi stampatori.». L’editore veneziano A. Manunzio (1447/1516) ebbe una notevole importanza nella diffusione in Europa dei classici: Aristotele, Aristofane, Erodoto, Platone, Virginio, Orazio, Ovidio Giovenale. La riflessione dei testi antichi porta ad elaborare una visione diversa del mondo. Nel medioevo, la centralità della figura di Dio aveva portato all’ideale ascetico, alla vita contemplativa, alla rinuncia dei beni, al distacco dalle passioni. L’esempio dei classici sottolineava invece l’importanza dell’individuo e delle sue azioni nel mondo per il raggiungimento della gloria. La cultura umanistica elabora un nuovo ideale; mettendo in risalto la dimensione pubblica, politica e sociale dell’individuo. L’uomo con il contatto dei propri simili, svolgendo le sue attività politiche/militari/ culturali, sviluppa le qualità della propria natura, diventa artefice del proprio destino. Leonardo da Vinci (1452/1519) – pittore/scultore/architetto/ingegnere/scrittore - uno dei maggiori protagonisti dell’epoca rinascimentale, è l’esempio di questo nuovo ideale. Egli nutre grande fiducia nelle capacità dell’uomo ed è spinto da una curiosità insaziabile verso ogni aspetto della realtà che lo circonda; per lui l’uomo deve perseguire la conoscenza attraverso l’osservazione diretta della natura. Nel mondo rinascimentale l’artista conquista rispetto e prestigio all’interno della società. Precedentemente, il professare un’arte manuale era considerato avvilente. A partire dal XVI secolo si afferma il concetto che l’artista debba lavorare in solitudine seguendo la propria espirazione, il suo lavoro assume un alto valore intellettuale. Ai giovani promettenti apprendisti, oltre ai rudimenti dell’arte a cui vuole dedicarsi, viene impartita una educazione umanistica e liberale. Agli artisti serve anche maggior qualificazione per realizzare le grandi opere desiderate. Grande esempi di artisti rinascimentali:- Filippo Brunelleschi (1377/1446) , - architetto, ingegnere, scultore; -- Michelangelo Buonarroti (1475/1564) – pittore, scultore,architetto, ingegnere, poeta. Il quadro politico del rinascimento italiano è caratterizza da notevoli tensioni e conflitti; grande il contrasto tra valori politici dell’antichità e realtà contemporanea. Nicolò Machiavelli (1469/1527), medita sugli scritti storici dell’antichità classica riflettendo sulle modalità che consentono ai governati di conquistare e conservare uno Stato. Fondamentale è lo studio del passato perché può fornire soluzioni ai problemi che si presentano. Tutte le forme di Stato vanno incontro a processi di trasformazione decadimento; Monarchia/Tirannia -Aristocrazia/Oligarchia -Democrazia/Demagogia. Il Principe (1513: per giungere al potere si deve essere furbi come una volpe e spietato come un leone; per Machiavelli esemplare è la figura di Cesare Borgia, figlio di Alessandro VI, che dopo essersi ricavato, con astuzia e spietatezza, un’ampia signoria territoriale, non riesce a consolidarla alla morte del padre Alessandro VI. Anche Francesco Guicciardini elabora le sue opere –I Ricordi e Storia d’italia - partendo da esperienze personali ed esaminando le azioni dei governanti coetanei. I centri di cultura Rinascimentale sono le corti principesche: Visconti/Sforza a Milano, Este a Ferrara, Gonzaga a Mantova, Medici a Firenze, Montefeltro a Urbino. Diversi pontefici sono i committenti delle opere d’arte del, XV e XVI secolo. La figura umana a cui aspirare per ottenere i favori dei vari signori è il cortigiano. Il Cortigiano, libro di successo di Baldassarre Castiglione suggerisce agli uomini di lettere il modo di comportarsi alla corte di un principe, ed agli aristocratici che frequentano le corti l’esempio ideale dei comportamenti da tenere in pubblico. Galateo, libro di Giovanni Della Casa dello stesso periodo, detta le buone maniere. Nella visione cristiano medioevale la natura è semplicemente la raffigurazione della potenza e della volontà di Dio da ammirare nella sua bellezza, mentre gli eventi straordinari (terremoti, siccità, inondazioni) sono i segni dell’ira di Dio. Con l’Umanesimo la natura viene vista come soggetto relativamente autonomo, dotato di proprie regole da studiare ed indagare e questo avviene dopo la riscoperta di testi filosofici e scientifici classici. Di particolare importanza è la figura di Marsilio Ficino che appronta la prima edizione della traduzione latina delle opere di Platone. Però, gli stessi intellettuali dediti alla riscoperta della cultura classica a volte visti quali figure precorritrici delle novità scientifiche seicentesche, sono anche affascinati da dottrine e idee occulte ed esoteriche quali la magia, l’astrologia, l’alchimia (l’arte di manipolare pietre e metalli che si suppone posseggano virtù magiche, terapeutiche e spirituali). Figure quali Paracelso (1493/1541), Cardano (1501/76), Della Porta (1535/1615) sono chiari esempi della singolare mescolanza di cultura e magia - alchemica ed interessi scientifici che mostrano fino a che punto i saperi magici siano connessi alla cultura scientifica successiva. Anche la qabbalah, dottrina mistica ebraica esamina la possibilità di ritornare a Dio attraverso molteplici mediazioni. Pico della Mirandola, particolarmente influenzato dallo studio della qabbalah, è una notevole figura intellettuale dell’epoca, giunge a parlare di vera e di falsa scienza. Queste teorie si scontrano spesso con la rigida posizione della Chiesa.
5-Solo la grazia salva: la Riforma protestante.
Durante la prima metà del XVI secolo si diffondono in Europa idee cristiane sulla religione e sulla vita diverse da quelle insegnate dalla Chiesa cattolica. Già precedentemente la Chiesa aveva dovuto affrontare sostenitori di idee contrarie a quelle ufficiali, ma aveva bollato queste persone come eretici, che dopo essere state definite scomunicate, venivano di norma sterminate con la forza. Il sorgere di queste idee eterodosse è dovuto alla grande distanza tra la visione del mondo proposta dai testi sacri e la realtà ecclesiale: le nuove idee cristiane sottolineano che l’insegnamento di Cristo propone un’etica della donazione e del sacrificio molto lontana dalla pratica della Chiesa interessata all’accumulazione di beni materiali e di potere. Nasce il richiamo ad una riforma della Chiesa per farla ritornare alla spiritualità tipica delle origini e fare sì che la Chiesa si conformi alla volontà espressa da Gesù Cristo. Erasmo da Rotterdam, nel secondo Quattrocento, critica con il suo testo “L’elogio della pazzia” (1509), la ricchezza smodata della Chiesa ed il potere temporale del pontefice. Nonostante questa sua aspra critica del papato, Erasmo rimase cattolico. Quando nel 1517, Martin Lutero (1483/1546), diffonde 95 tesi teologiche sospette di eresia nessuno della Curia si allarma particolarmente perché si ritiene di poter farlo ravvedere, o farlo condannare dalla Santa Inquisizione Ma le tesi diffuse da Lutero, in breve tempo, sconvolgono il mondo cattolico distruggendo per sempre l’unità della Chiesa. Le sue idee porteranno ad una profonda spaccatura fra Chiesa cattolica e protestanti. La riflessione teologica di Lutero confronta il messaggio di Cristo con il sapere ufficiale tramandato dalla tradizione ecclesiale. Egli asserisce che nelle Sacre Scritture viene affermato che l’unica salvezza per l’uomo discende dalla grazia di Dio che dona al singolo la vita eterna, stando alle Sacre scritture la Chiesa non svolge alcun ruolo ed il papa non è nominato. Per Lutero l’opera di mediazione tra l’uomo e Dio che la Chiesa pretende di esercitare è del tutto inutile, se non addirittura dannosa. Il tradizionale insegnamento cattolico affermava che solo attraverso la Chiesa potevano veder accompagnata la loro anima verso il Paradiso, il più delle volte dopo un lento passaggio in Purgatorio dove i peccati venivano scontati ed annullati. Il Purgatorio era considerato una prigione provvisoria per ridurre la pena bisognava, non solo svolgere opere di carità, ma anche fare offerte in denaro alla Chiesa: in questo modo la Santa Sede può rastrellare denaro. La pratica delle indulgenze che garantiva la cancellazione dei propri peccati e lo sconto di pena per i defunti, assume i tratti di una compravendita Nel 1517, Leone X, per rastrellare ancora più denaro, bandisce un’indulgenza plenaria. Il 31 ottobre 1517 Lutero invia le sue 95 tesi prima a Hohenzollern e poi ad alcuni suoi teologi. La posizione luterana può essere riassunta nell’affermazione che solo la grazia salva, e solo la fede autentica sottrae l’uomo alla schiavitù del peccato originale; le indulgenze sono quindi un’impostura: esse significano spacciare un credito che non si possiede e fare mercimonio di un bene divino, la grazia. La critica radicale di Lutero mette in discussione il ruolo stesso della Chiesa, è una vera è propria rivoluzione nella Chiesa. Grazie alla stampa gli scritti di Lutero hanno una sorprendente circolazione in Germania. La straordinaria diffusione delle idee luterane evidenzia il fatto che esse interpretano bisogni largamente diffusi nella società del tempo, un desiderio di critica ed esigenze di mutamento rispetto all’ordinamento sociale ed ecclesiale. In primo luogo, vi è una profonda necessità di rinnovamento degli ordinamenti ecclesiali, inoltre il rapporto diretto fra Dio e l’uomo, proprio della teologia luterana, è un passo importante verso una religiosità popolare più comprensibile, meno magico/misterica. In secondo luogo alcuni sovrani trovano nelle idee luterane la possibilità di ridurre l’influenza della Chiesa non solo in campo religioso, ma anche politico e mirano, attraverso il controllo delle strutture ecclesiastiche, ad impadronirsi degli ingenti beni della Chiesa. Infine le dottrine di Lutero appaiono a molti come lo strumento per ottenere maggiore libertà per tutti. Egli, dichiarando che solo la Sacra Scrittura è l’unica autorità legittima a cui il cristiano deve fare riferimento nella sfera religiosa, nega qualunque valore al ruolo sacro del sacerdozio e del papato. Nel 1518, Lutero viene citato a comparire a Roma per essere processato, ma viene difeso dal principe di Sassonia, Federico il Saggio (1486/1525). Nel 1520, il papa Leone X condanna esplicitamente la dottrina di Lutero. Lutero prosegue con la sua predicazione asserendo che ogni cristiano è chiamato ad un rapporto diretto con Dio e conseguentemente tutti i fedeli possono amministrare i sacramenti e predicare la parola di divina. Gli unici sacramenti riconosciuti da Lutero sono il battesimo e l’eucarestia. Siccome egli continua a attaccare l’autorità del papa, l’avidità della Chiesa e la sua ingerenza nel potere terreno viene scomunicato quale eretico. Ma le sue idee si diffondono, con grande successo in tutta la Germania. L’imperatore Carlo V si adopera per raggiungere un compromesso fra la Santa Sede e Lutero, il quale però si rifiuta di rinnegare la propria dottrina e trova rifugio presso Federico il Saggio che continua a sostenerlo. Lutero traduce in tedesco il Nuovo Testamento con l’intento di renderne disponibile a tutti la lettura. Questo suo lavoro ottiene una straordinaria diffusione ed accoglienza in tutta la Germania. In molte città i fedeli esigono l’applicazione della Riforma non esitando a ricorrere all’uso della forza contro chi si oppone. Principi a governati aderiscono alla riforma luterana incamerando e vendendo i beni della Chiesa. I numerosi violenti disordini – condannati dallo stesso Lutero - vengono duramente repressi. Anche nelle campagne esplodono numerose rivolte dei contadi che, in nome del vangelo, invocano la comunanza dei beni e la ridistribuzione del potere su base egualitaria. Le agitazioni si diffondono in tutta la Germania, in Svizzera e Tirolo; ancora Lutero condanna questi tumulti -stroncati nel sangue- preoccupato che il suo pensiero sia travisato Grazie alla presa di distanze delle interpretazioni radicali del suo pensiero Lutero mantiene la solida alleanza con i principi tedeschi, mentre si va strutturando una vera e propria Chiesa luterana. L’imperatore Carlo V, contemporaneamente impegnato nella guerra con la Francia e con l’impero ottomano, tenta ripetutamente la mediazione. Ma il suo tentativo fallisce e si chiude la fase del dialogo per ritrovare l’unità; quattordici città rifiutano di sottomettersi all’imperatore e stilano un documento di «protesta», - da qui il nome di «protestanti» -. I principi protestanti si riuniscono in una lega della di Smalcalda, che, nonostante sia sconfitta dall’esercito imperiale, ottiene, nella pace di Augusta (1555), il riconoscimento dell’esistenza della confessione luterana nel loro territori. Viene sancito il principio: «cuius regio eius religio» ; i sudditi devono praticare la religione scelta dal proprio sovrano, o emigrare. La diffusione dello spirito protestante nella Svizzera e Alsazia porta alla nascita di forme di organizzazione confessionali diverse. A Zurigo la città si trasforma in una sorta di democrazia a base teocratica, grazie all’azione di Swingli validità battesimo e eucarestia. Gli anabattisti, il cui impulso è dato da Zwingli, che sostengono il battesimo come scelta adulta e consapevole. A Basilea prima e poi a Ginevra opera il riformatore Giovanni Calvino che accentua l’idea della predestinazione: solo il Signore conosce quali anime saranno salvate, però gli uomini sono chiamati ad operare con zelo nella società in quanto verranno giudicati in base al buon esito delle loro azioni. I calvinisti non tollerano il dibattito delle loro idee e si chiudono nel recinto delle proprie certezze teologiche, i dissenzienti sono espulsi e condannati al rogo. Accade così che le Chiese riformate riproducano l’intolleranza contro la quale avevano originariamente protestato. Ginevra, sotto la guida di Calvino, divenne un esempio di città cristiana per tutti i protestanti di lingua francese. Viene formato il Concistoro, un’istituzione formata dai magistrati del Consiglio cittadino e dai pastori e deve sovrintendere l’andamento della Chiesa riformata e reprimere le idee non conformi alla nuova ortodossia. I dissenzienti e gli eterodossi sono condannati a morte mediante rogo. In tutta Europa centro-settentrionale la diffusione del movimento protestante procede con grande rapidità; i luterani in Svezia, Danimarca, Norvegia, Islanda; i calvinisti in Francia –vengono chiamati ugonotti - , nei Paesi Bassi, in Polonia, in Italia, in alcune valli piemontesi, si fondono con i valdesi - seguaci di Valdo di Lione (1140/1207) già perseguitati. Inizialmente il sovrano d’Inghilterra si schiera apertamente contro le idee luterane e viene insignito dal papa Leone X del titolo di defensor fidei. Ma ben presto Enrico VIII avverte l’importanza dell’occasione che la diffusione delle idee protestanti gli offre: ridurre l’influenza del papato sulla politica e sulla società inglese. Nel caso specifico dell’annullamento del matrimonio di Enrico VIII con Caterina d’Aragona, di fatto il papa controllava la politica dinastica. Vista l’atteggiamento attendista sulla sua richiesta di divorzio da parte di Clemente VII, il sovrano inglese ne approfitta per spezzare il legame di sudditanza spirituale alla Chiesa romana. Nel 1534 con l’Atto di supremazia, egli si proclama unico e supremo capo della Chiesa d’Inghilterra affidando all’arcivescovo di Canterbury il governo degli affari ecclesiastici. Mentre viene introdotta la Bibbia in inglese, il re procede ad incamerare e vendere le ingenti proprietà degli ordini religiosi della Chiesa Romana rimpinguando le sue casse e dando vita ad un ceto di piccoli/medi nobili proprietari terrieri. Enrico VIII mantiene la gerarchia ecclesiastica ed è solo con Edoardo VI Tudor che la Chiesa d’Inghilterra inizia un avvicinamento al movimento protestante. Il movimento protestante diffusosi in Europa a partire da istanze dal basso, si afferma in uno dei più importanti regni del continente sulla base di una decisione presa dall’alto, dal sovrano, per ragioni politiche ed economiche. La sfera religiosa diventa un ambito aperto allo scontro politico.
6-La frontiera mediterranea e l’impero ottomano.
Alla metà del Cinquecento la grande espansione ottomana nel mediterraneo, cominciata nel 1453 con la conquista di Costantinopoli, può dirsi conclusa. Grazie a Maometto II, Bayezid II e Solimano il Magnifico (il legislatore) il dominio dei sultani si estende dal Marocco alla Persia. L’impero ottomano è una potenza sia territorialmente, sia politicamente. La società cristiana guarda con paura alla potenza del sultano di Istanbul ed ai corsari nord-africani, suoi tributari, autori di scorrerie sulle coste italiane/ iberiche. Alla base della potenza ottomana vi è una efficace organizzazione amministrativa e militare che si consolida tra Quattrocento e Cinquecento grazie all’azione legislativa dei diversi sultani; a capo di un impero vastissimo ed abitato da popolazioni diverse, unite sola dalla fede mussulmana, vi è il sultano che ha un potere assoluto. La sua reggia è il palazzo di Topkapi a Istanbul, dove ha sede anche la scuola dei paggi di corte Il Gran Consiglio – il governo – è presieduto dal gran visir (scelto personalmente dal sultano e detiene un potere pari a quello del sovrano-, e composto da funzionari che dirigono i singoli settori del governo e controllano i governatori delle varie provincie. Nell’esercito spiccano, oltre ad una potente flotta, anche i giannizzeri, speciali corpi di fanteria fedeli in modo assoluto al sultano. Dai membri del divan si diparte l’amministrazione che si estende a tutte le province dell’impero.l La religione ufficiale è quella mussulmana- sunnita; la base del diritto è costituita dal Corano, il muftì di Istanbul, la più alta autorità religiosa. Nondimeno nell’impero vige una grande tolleranza religiosa. Pur avendo trasformato diverse chiese in moschee, i mussulmani non hanno interesse a far convertire chi professa una fede diversa, ne intendo cancellare le diversità - lingua, tradizioni – delle varie popolazioni che essi governano. La popolazione è divisa in due gruppi; una costituita da chi è al servizio del sultano: militari, autorità civili e religiose esentati dalle imposte; l’altra dai contadini, artigiani, mercanti che sono obbligati al pagare le tasse. Con la morte di Carlo V, il suo impero è diviso fra il fratello, Ferdinando, a cui vanno, oltre la Boemia e l’Ungheria, i territori dell’area austriaca; ed il figlio Filippo II: Castiglia, Aragona, Paesi Bassi, Contea Franca, Stato di Milano, regno di Napoli e quello di Sicilia. Gli unici elementi comuni della monarchia composita di Filippo sono la sua persona e la religione cattolica Prioritaria è la lotta all’eresia protestante che è portata avanti dal tribunale dell’Inquisizione spagnola (1478) – un inquisitore generale, affiancato da un consiglio, di fatto controlla le coscienze e il comportamento dei sudditi. L’inquisizione spagnola opera in modo crudele e la sua estensione in Italia viene duramente osteggiata dalle autorità locali. Nel 1516, Filippo II stabilisce la sua corte a Madrid da dove comanda i suoi territori con grande circospezione - rey prudente -. Alla penisola italiana egli assegna il ruolo di suo bastione nello scacchiere mediterraneo. In Italia continuano ad esistere numerosi piccoli stati che conservano una propria autonomia: Repubbliche di Genova e di Venezia, ducati di Savoia, di Mantova, di Parma Piacenza, di Modena, Stato Vaticano. – L’Italia si presenta come una sorta di sistema di Stati che riconoscono il loro legittimo sovrano in Filippo II, ma che conservano una propria autonomia istituzionale e sociale. A partire dal 1560 Filippo II cerca di fermare l’espansione dei mussulmani nel Mediterraneo sferrando un attacco contro la pirateria araba dell’Africa del nord, l’esito di questa sua azione militare è però limitato nel tempo. Nel 1571, l’impero ottomano si annette l’isola di Cipro, possedimento della repubblica veneziana e importante snodo commerciale e strategico. La Santa Sede vede nell’avanzata ottomana una minaccia mortale all’esistenza stessa della religione cattolica e papa Pio V si fa promotore di una crociata contro «il pericolo turco» . Inizialmente, Filippo II, impegnato a sedare una rivolta nelle Fiandre ed una vera e propria insurrezione dei moriscos, - discendenti delle popolazioni di fede mussulmana costretti a convertirsi al cristianesimo -, nei territori di Granada, appare renitente all’appello del papa. Solo nel 1571 prende vita la Lega Santa a cui aderiscono: Filippo II, le repubbliche di Venezia e di Genova, i ducati di Savoia e di Toscana, Malta, ma non la Francia. Il 7 ottobre 1571, a Lepanto, la flotta cattolica ottiene una importante vittoria contro quella ottomana; ma questa vittoria non viene sfruttata perché la Lega Santa si dissolve a causa di dissensi tra Venezia e la Spagna, che hanno diversi interessi strategici. Venezia conclude una pace separata con gli ottomani, rinunciando a Cipro per garantirsi la sicurezza dei propri commerci, le forze asburgiche, invece, concentrano i propri sforzi sulla riconquista di Tunisi. L’evento di Lepanto non costituisce l’evento epocale propagandato dal mondo cattolico, - come già era successo con la vittoria dei franchi sugli arabi a Poitiers nel VIII secolo,- . la perdita della flotta fu un duro colpo per gli ottomani, ma l’esaurimento del conflitto nel Mediteranno fu essenzialmente dovuto al riaccendersi della guerra fra impero ottomano e la Persia. Filippo II e Selim III siglano una tregua (1581) perché entrambi sono costretti a spostare i loro eserciti su altri teatri bellici. Molto denaro viene sfruttato dalla corona spagnola per la guerra contro l’Inghilterra e per la costruzione della Invencible Armada, che subirà una grande sconfitta nel 1588. Il mediterraneo torna ad essere il mare dei commerci che continuano però ad essere minacciati da una pirateria endemica sia da parte dei saraceni ai danni delle navi cristiane, sia anche da parte dell’ordine di Malta e di Santo Stefano che giustificano le loro azioni come risposta agli attacchi subiti. Da entrambe le parti, oltre ad impossessarsi delle merci, i vincitori riducono i vinti in schiavi che utilizzano sulle loro galere. A partire dalla fine del Cinquecento il Mediterraneo non è più teatro di scontri tra europei e ottomani: al di là dei conflitti e della diffidenza che le differenze religiose vanno alimentando, la tradizionale fitta rete di scambi rimane intatta. Si diffonde anche un fenomeno di conversione di europei cattolici all’Islam.
7-La Chiesa in armi: l’Europa delle Controriforma.
Una delle vie per risolvere il problema protestante sarebbe stata la convocazione di un concilio ecumenico, la riunione straordinaria di tutti i vescovi eletti dalle singole comunità, l’unica istanza in grado di porre rimedio alla frattura della cristianità. Ma né Leone X, né Clemente VII, nonostante la richiesta di Carlo V, si muovono in questa direzione, soprattutto per la decisa opposizione degli ambienti curiali, preoccupati di essere i primi bersagli delle istanze riformatrici. Solo papa Paolo III convoca il concilio, prima a Mantova, poi a Trento (1544). La scelta di Trento come sede del concilio ha un duplice significato: è una città italiana dal punto di vista geografico, ma fa parte del Sacro romano impero ciò dà garanzie adeguate sia al pontefice sia all’imperatore. La vicinanza di Trento ai paesi di lingua tedesca costituisce un segnale di apertura verso il mondo protestante. Con il concilio il Papa vuole imporre l’autorità della Chiesa ed intraprendere la lotta contro gli eretici; l’imperatore punta ad una soluzione di compromesso che gli consenta di salvaguardare la sua autorità in Germania. Ma vi è anche chi spera in una vera ricucitura della frattura della Chiesa. A causa della complicata situazione politica, il Concilio si svolge senza continuità, lentamente. Il concilio si apre il 13 dicembre 1545 sotto lo stretto controllo del Papa che, in contrasto con Carlo V, è contrario a qualunque concessione ai protestanti. A causa di guerre tra il Papa e l’imperatore il concilio viene più volte sospeso; di fatto la maggioranza dell’’episcopato italiano non vuole rinunciare ai propri privilegi tradizionali legati alla carica di vescovi che permette grandi entrate e carriere politiche. Sul piano dottrinale sono riconfermati: i sette sacramenti, l’esistenza del Purgatorio, il culto dei santi e delle reliquie, la capacità della Chiesa di ridurre le pene ultraterrene tramite le indulgenze. In seguito viene diffuso un nuovo catechismo che, con una ristrutturazione delle Chiesa stessa, avvia una sorta di ricristallizzazione del mondo cattolico che si chiude in difesa delle proprie idee. La struttura della Chiesa viene ricondotta strettamente sotto il controllo dell’autorità papale. Alla sua conclusione il concilio di Trento si dimostrerà essere stato un’assise esclusivamente cattolica volta a riformare per rafforzare le strutture della Chiesa di Roma. Questa imponente reazione della Chiesa cattolica alla Riforma protestante, denominata Controriforma, influirà enormemente sulla fisionomia dell’Europa nei secoli successivi. Con una bolla papale, nel 1542, Paolo III riorganizza il tribunale dell’inquisizione, istituzione medievale, per la lotta all’eresia in tutta la cristianità. Una vera e propria rete di tribunali per la repressione dell’eresia ed il controllo dei comportamenti opera in tutta l’Italia ed eccezione della Sardegna e della Sicilia sottoposte all’inquisizione spagnola; viene edificato un solido impianto istituzionale poliziesco e giudiziario che decide in materia di fede. La Congregazione del Sant’Ufficio, il cui raggio d’azione è limitato all’Italia è presieduta dal pontefice e formata da cardinali che reclamano l’adozione della linea repressiva, tra cui anche Gian Pietro Carafa. Nel mirino dell’inquisizione entrano figure di primo piano del Collegio cardinalizio, come Reginald Pole, sensibili alle istanze valdesiane (Juan de Valdés ricerca di una via interiore alla salvezza, basata sull’illuminazione del singolo da parte dello spirito divino), ed entrano nel suo mirino anche le persone che, seppur cattoliche, sono disponibili ad un dialogo coi protestanti. Anche Ignazio di Loyola, prima che la Compagnia di Gesù divenga uno dei più potenti strumenti della Chiesa, finisce sotto inchiesta da parte dell’Inquisizione. Di norma vengono raccolte denunce anonime e si opera nell’assoluto segreto, si usano violenze psicologiche e fisiche contro chi è considerato eretico. Nei primi decenni si opera con estrema spietatezza contro singoli individui o intere comunità, come per esempio la comunità valdese della Calabria viene completamente sterminata (1561). Per controllare e reprimere la circolazione delle idee viene istituito l’Indice dei libri proibiti nel 1559: in esso finiscono anche libri di Erasmo da Rotterdam, mentre Galileo Galilei viere processato e costretto all’abiura per aver aderito alla teoria eliocentrica copernicana, la terra rotonda gira attorno al sole; Tommaso Campanella, filosofo, incarcerato per molti anni e Giordano Bruno condannato al rogo. La censura e l’azione violenta dell’inquisizione hanno un effetto depressivo sulla vita intellettuale, vengono anche colpite tutte le pratiche, le idee, e le feste che si rifanno a riti di origine pagane, e il teatro. L’applicazione delle riforme tridentine incontra all’interno delle varie nazioni europee notevoli resistenze perché tende a mutare comportamenti e pratiche ben radicate nelle società cattoliche europee che devono subire un crescente rafforzamento del potere della Chiesa: nel 1564 Filippo II autorizza la pubblicazione nei regni iberici dei decreti del concilio con una clausola di salvaguardia a favore dei diritti della corona; la Francia invece si rifiuterà di accettarli. Anche i sovrani temono la crescente ingerenza del papato nelle Chiese locali dovuto alle rigide normative tridentine applicate come un vero e proprio strumento di affermazione del potere pontificio a scapito di quello dei vescovi locali. Dopo la conclusione del concilio, una nuova generazione di vescovi, sostenuti dai papi, inizia a modellare la vita religiosa delle diocesi sulla base dei decreti della Controriforma. Carlo Borromeo, nipote di Pio IV, incarna un nuovo modello di vescovo, rigido sostenitore dell’ortodossia, fermo interprete dei dettami tridentini; egli però si scontra con il potere politico che governa Milano. Già nel corso del Medioevo, gli Ordini religiosi mendicanti – domenicani, francescani, carmelitani, agostiniani – sono venuti sostituendosi ad un clero secolare ignorante ed impreparato. Essi rappresentano, grazie un’imponente rete di conventi, una presenza molto radicata soprattutto in virtù delle opere caritatevoli ed esistenziali che svolgono a favore delle popolazioni locali. Sin dagli ultimi anni del Quattrocento gruppi di laici e religiosi, spinti dall’esigenza di rinnovamento spirituale, diedero vita a confraternite laicali, dette Oratori del divino Amore, che nascono a Roma, Napoli, Brescia, Venezia e Milano. La grande novità nel modo dei regolari è rappresentata dagli Ordini di chierici regolari che vanno nascendo a partire dal terzo decennio del Cinquecento: i barnabiti, i somaschi, i gesuiti, i camilliani, i caracciolini e gli scolopi si distinguono per un’organizzazione più efficiente rispetto agli ordini dei Mendicanti e per una vocazione all’assistenza dei malati, orfani, poveri, prostitute, predicazione, catechesi etc. La Compagnia di Gesù – i gesuiti – fondata dal nobile spagnolo Ignazio di Loyola, è il più importante tra i nuovi Ordini; la forte struttura gerarchica e l’elevato livello di istruzione fanno dei gesuiti il più importante Ordine missionario nelle nuove terre dell’America Latina e Estremo Oriente.
8-Cristianesimo lacerato: l’età delle guerre di religione.
All’indomani del Concilio di Trento la riscossa della Chiesa cattolica si manifesta in uno scenario di grandi tensioni politiche e religiose. La Chiesa può contare sulle armi degli Asburgo, sia di Spagna che di Austria. A differenza del padre Carlo V, che aveva tenuto distinta la causa della riunificazione della fede cattolica da quella della egemonia degli Asburgo, Filippo II si erge come difensore della vera fede. Carlo V, infatti, pur essendo cattolico, aveva tenuto distinta la causa della riunificazione della fede cristiana da quella dell’egemonia dinastica della casa Asburgica prospettiva più o meno remota, di un ordine universale. Egli pensa, come già era avvenuto in Castiglia (liberata dai mussulmani nei secoli precedenti) di difendere la cristianità dalla minaccia ottomana e di riportare alla vera fede l’Europa caduta nell’eresia. Il suo programma prevede: ricongiungere l’Inghilterra al mondo cattolico superando lo scisma anglicano; sostenere il ramo degli Asburgo d’Austria sia contro gli ottomani, sia contro i principi protestanti; finanziare in Francia un partito ultracattolico che si opponga agli ugonotti (calvinisti), evitando però di rafforzare la monarchia francese; arrivare a controllare la Santa Sede influenzandone le scelte mediante l’elezione di papi favorevoli alla politica spagnola. Filippo II dispone della maggior potenza militare del tempo e di ingenti risorse economiche provenienti dalle colonie americane; inoltre riesce ad impossessarsi del trono del Portogallo (1581) rimasto senza altri eredi legittimi, ampliando in questo modo i propri domini e giura di fronte alla Cortes di rispettare le leggi e i privilegi del regno Però contro il successo delle sue strategie agiscono forze potenti: l’insostenibilità degli enormi costi militari contro gli ottomani unito al voler finanziare la lotta al protestantesimo; la difficoltà di unificare le forze cattoliche contro obbiettivi comuni; la lotta al calvinismo, molto più combattivo ed agguerrito del luteranesimo, che si propaga nei Paesi Bassi . Alla morte di Enrico VIII l’Inghilterra entra in una crisi di successione dinastica che è anche una crisi religiosa. Nel 1553, sale al trono Maria Tudor, la moglie che Enrico aveva ripudiato per sposare Anna Bolena. Ma questa regina cattolica, che l’anno dopo sposerà Filippo II, suscita la reazione da parte degli anglicani i quali, appoggiati dai puritani, di fede calvinista, vorrebbero sul trono, la figlia di Enrico e di Anna Bolena, ovvero Elisabetta. La regina chiude la sorellastra nella torre di Londra e tenta di rintrodurre il cattolicesimo con una violenta repressione, motivo per il quale verrà detta Maria la Sanguinaria. Alla sua morte (1558) i cattolici puntano sulla regina di scozia, Maria Stuart, cugina di Enrico VIII, sostenendo l’illegittimità del matrimonio da cui era nata Elisabetta, sostenuta dagli anglicani. Il parlamento inglese risolve la successione a favore di Elisabetta. L’Irlanda rimane cattolica e anche in Inghilterra permane una forte minoranza cattolica. Elisabetta nel 1559 promulga l’atto di uniformità, con cui viene riformata la liturgia della Chiesa anglicana, reintroducendo un libro comune ufficiale; cerca di mediare tra le ancora vaste fasce di rito cattolico della popolazione e le posizioni più radicali dei puritani/calvinisti che mirano ad indebolire la sua autorità. Intanto Maria Stuart, scacciata dalla Scozia da una rivolta puritana, viene incarcerata a Londra. Sul piano politico, la regina favorisce i commerci attraverso lo sviluppo della marineria e della flotta militare; cresce l’ostilità inglese, sul piano diplomatico, nei confronti della potenza spagnola, contro la quale la regina utilizza la guerra di corsa. Sir Francis Drake, pratica una fiorente e sistematica azione di pirateria ai danni dei galeoni spagnoli. L’Inghilterra diventa campione dell’antispagnolismo e dell’anticattolicesimo finanziando ogni movimento di rivolta contro la monarchia di Filippo II, come nei Paesi Bassi. Quando nel 1587 Elisabetta fa decapitare Maria di Stuart, Filippo II decide di invadere l’Inghilterra ed invia la sua grande flotta, l’Invincibile Armata, che però, in parte distrutta da una burrasca, viene poi battuta dalle navi inglesi e olandesi. A questo punto i cattolici inglesi diventano sempre più una minoranza mal sopportata, ad eccezione dell’Irlanda, dove rimangono ancora maggioranza. Dopo essere stata estromessa dalla corona asburgica dall’Italia (1559) con la pace di Cateau-Cambrésis, la Francia entra in una grave crisi politica. Dopo la morte di Enrico II, la corona viene retta dalla vedova Caterina de’ Medici per conto dei figli: Francesco II (1559/60) e poi Carlo IX (1560/74). Il principale problema di Caterina è la diffusione dei calvinisti/ugonotti che si concentrano in alcune città del sud (Lione e La Rochelle) ed in aree del Centro e Nord dove raccolgono adesioni fra artigiani, professionisti e nobiltà come i Borbone. I protestanti cercano di sostituire la regina con Luigi I Borbone principe di Condé; Caterina non si schiera mai completamente a favore delle due parti in contesa - cattolici/ugonotti- nel tentativo di difendere l’autorità della sua corona sempre più debole. Nel 1567, la contesa sfocia in una vera guerra civile che si concluderà con l’ammissione al Consiglio di Stato di una dei capi ugonotti, Gaspard de Cologny. Ma la crescente influenza di Cologny (riesce quasi a convincere Carlo IX a favorire la causa protestante nei Paesi Bassi; contribuisce ad organizzare un matrimonio pacificatore tra uno dei capi del partito ugonotto, Enrico di Borbone, e Margherita di Valois, sorella del re) spinge Caterina a cercare di farlo uccidere e poi ad eliminare in un sol colpo lo stato maggiore della nobiltà ugonotta, la notte di San Bartolomeo 23 agosto. Nei giorni seguenti i cattolici intransigenti uccidono nelle varie provincie più di 12.000 ugonotti dando inizio alla fase più violenta della guerra civile religiosa con un’estrema radicalizzazione dello scontro. La Lega cattolica, vero e proprio partito politico-religioso, inizia un lungo e sanguinoso scontro contro i Borbone perché pretendono entrambi di designare il successore alla corona Lega cattolica designa Carlo di Guisa, il cardinale; Enrico di Borbone è invece il parente più prossima della famiglia di Valois. Dopo alterne vicende, sale al trono Enrico di Borbone che, di fronte ad un paese profondamente spaccato ed in guerra con la Spagna, finisce per rinnegare il calvinismo e aderire al cristianesimo (1593). Questo atto consente la sua incoronazione a re di Francia nella cattedrale di Chartres con il nome di Enrico IV. Anche il papa Clemente VIII, concede l’assoluzione ad Enrico IV. Gli ugonotti ottengono comunque libertà di coscienza e di culto in luoghi prestabiliti con l’editto di Nantes nel 1598.Nello stesso anno Spagna è costretta a siglare un accordo di pace. Conclusa la lunga fase di lotte religiose Enrico IV può dedicarsi a ripristinare la sua autorità e a risanare le disastrose finanze della Francia; ma nonostante il suo buon operato a favore del suo paese egli rimane, per gli oltranzisti cattolici, un eretico convertitosi per ragioni opportunistiche e verrà assassinato nel 1610 da un estremista cattolico. Durante il periodo delle guerre di religione due sovrani francesi vengono assassinati. È una pratica estrema di lotta politica dovuta alla contrapposizione della spaccatura tra cattolici e protestanti. Cade l’idea della sacralità dei sovrani considerati come rappresentati di Dio in terra, anzi un sovrano nemico della vera fede viene ritenuto un pericolo e può essere combattuto ed ucciso. Si afferma il tema della liceità dell’uccisione di un sovrano eretico; dottrine «monarcomache». Si tratta del recupero della teoria politica greco romana della tirannia: la monarchia tende naturalmente a degenerare in regime tirannico; Cesare finisce per trasformarsi in Nerone. I primi ad elaborare queste idee sono gli ugonotti francesi; si deve obbedienza al sovrano solo se è un re di grazia e di giustizia (testo anonimo, Vindiciae contra tyrannos). Egli deve mettere d’accordo le diverse parti del suo regno, ma se si schiera con una delle parti, cessa di essere re e diventa un tiranno a cui non si deve obbedienza. Successivamente queste tesi vengono teorizzate da entrambi le parti in lotta, cattolici/protestanti. Queste idee minano il fondamento sacro dell’autorità regia, il ruolo di rappresentate di Cristo. Conseguentemente, in Francia, si elabora una teoria politica che consente di sottrarre l’autorità sovrana allo scontro religioso; i portatori di queste idee sono vicini alle posizioni della reggente Caterina de’ Medici e vengono definiti politiques. Loro sostengono un rafforzamento dell’autorità regia e della concessione di una certa libertà di culto come unico rimedio alla divisione religiosa. Nel 1576, Jean Bodin nei “Six livres de la république” sostiene la sovranità unitaria, indivisibile e perpetua dello Stato, conseguentemente al principe detentore della sovranità spetta la pienezza del potere legislativo senza alcun vincolo. Si apre così la strada alla teorizzazione del potere «assoluto» del re; non è ammesso il diritto di resistenza, né di reazione contro i sovrani. La radicalizzazione promossa dallo scontro religioso tende a spingere sia il papa, che i capi delle sette protestanti a pretendere di intervenire nelle questioni religiose degli Stati: un esempio è quello della Santa Sede contro la Repubblica di Venezia tra il 1605 e il 1607: problema del patrimonio ecclesiastico nel territorio della repubblica veneziana.
9-La rivolta dei Paesi Bassi e la nascita delle Province Unite.
Prima dell’ascesa di Carlo al trono i Paesi Bassi sono terre fiorenti e popolate; una agricoltura ricca si accompagna ad un florido artigianato tessile. Il fulcro della ricchezza risiede nelle Fiandre e Anversa importante piazza commerciale e finanziaria. Dopo l’Italia, i Paesi Bassi sono un centro nevralgico dello sviluppo europeo non solo economico, ma anche culturale: un esempio sono la pittura fiamminga e realistica ( realistica Rembrandt, Bruegel); pensatori e teologi quali Erasmo da Rotterdam. L’inserimento nella monarchia di Carlo V giova grandemente ai Paesi Bassi; sviluppo delle industrie tessili di Liegi e di Bruges, Borsa commerciale e finanziari di Anversa. Però a partire dalla seconda metà del Cinquecento cresce la concorrenza inglese sia nel tessile, sia nei commerci internazionali; pure gli olandesi aumentano la concorrenza dei traffici marini. Anche su piano politico sorgono difficoltà perché ogni provincia ha proprie leggi e ordinamenti. Ulteriore elemento di tensione è dato dai problemi religiosi perché la normativa contro i protestanti era stata inasprita e la persecuzione contro i luterani e gli anabattisti era stata brutale. Negli anni sessanta il calvinismo penetra in questi territori facendo breccia nei settori artigianali, fra i mercanti e gli uomini d’affari delle città. Contemporaneamente la guerra commerciale con l’Inghilterra crea sacche di disoccupazione e di malcontento popolare. Anche le relazioni tra la corte di Filippo II e l’aristocrazia locale, che chiede una diminuzione delle imposte, diventano critiche. Infine, Filippo II rifiuta di mitigare la repressione dell’eresia calvinista. La crisi esplode. Nel 1565 l’opposizione alla politica religiosa della corona si fa intensa. Un gruppo della nobiltà minore chiede l’espulsione dai Paesi Bassi dell’Inquisizione e di rivedere la politica religiosa. Il 5 aprile 1566 una folla di confederati si presenta in armi al cospetto di Margherita di Parma, governatrice in nome dell’imperatore, decide di cedere con un editto invita le autorità ad una minor rigidità ad attuare la repressione, con conseguente aumento dei calvinisti. Le tensioni sociali si fa preoccupante; i calvinisti attaccano le chiese cattoliche. Alla corte spagnola prevale la linea dura dei falchi che chiedono l’invio di un esercito guidato dal duca d’Alba per una dura repressione. Il duca d’Alba agendo duramente proprio contro la classe dirigente locale alla quale si appoggiava Margherita per ottenere il consenso al proprio governo; Margherita si dimette ed il duca diventa il governatore generale. Il governo di Alba è rimasto tristemente famoso per la violenza della repressione: vengono eseguite oltre mille sentenze capitali, molte anche fra la nobiltà locale. Inoltre per il mantenimento del suo esercito il duca impone nuove tasse che fa crescere l’opposizione. Si giunge alla ribellione aperta motivata con il diritto alla resistenza al sovrano che compie azioni tiranniche. Nel 1575 le due province di Olanda e Zelanda si legano in un’unione per difendere le proprie autonomie e la libertà di culto: le deliberazioni, firmate dagli Stati e Orange, abbozzano un primo esempio di potere condiviso tra un’assemblea rappresentativa e un’istanza esecutiva. Guglielmo d’Orange, detto il Taciturno, costituisce un punto di contatto tra calvinisti olandesi e ugonotti francesi, diventando poi il punto di riferimento di una rivoluzione condotta in nome della difesa della libertà costituzionale e religiosa. L’incapacità del duca di Alba a sconfiggere i ribelli, «i pezzenti del mare», spinge Filippo II a sostituirlo. Il successor, Luis de Requesens, pone fine alla politica del terrore e cerca un accordo con le province ribelli. Si ripropone il grave problema del finanziamento della guerra; nel 1575, mentre Filippo II dichiara bancarotta, muore il nuovo governatore dei Paesi Bassi a cui segue l’ammutinamento dell’esercito che compie saccheggi ed eccessi di ogni tipo contro la popolazione. I dirigenti delle provincie leali prendono in mano la situazione e avviano trattative con le province ribelli d’Olanda e con il principe di Orange per espellere le truppe straniere e congelare la questione religiosa. Nel 1576 si ha la pacificazione di Gand, in seguito al saccheggio di Anversa da parte delle truppe spagnole ammutinate. Filippo II invia come governatore il fratellastro Giovanni d’Austria, vincitore di Lepanto, il quale in cambio del ritiro delle truppe e del rispetto delle leggi delle province, ottiene il riconoscimento della propria autorità e il ripristino del cattolicesimo come religione ufficiale. Ovviamente le provincie a maggioranza calvinista, Olanda e Zelanda, reagiscono e riprende la guerra: esplodono rivolte guidate dai calvinisti che si uniscono sotto Guglielmo d’Orange. Le province, che rimangono di fede cattoliche non puntano all’indipendenza, ma al rispetto delle proprie libertà e privilegi, offrono il posto di governatore al nipote di Filippo II, Mattia d’Asburgo, ma anche questa soluzione fallisce. I Paesi Bassi sono ormai divisi in due aree: quelle delle Provincie Unite ribelli, a egemonia olandese e calvinista; la seconda, quelle delle provincie lealiste, vallone e cattoliche. Le provincie ribelli dichiarano Filippo II spergiuro e tiranno, e cercano un nuovo sovrano nel fratello del re di Francia, duca d’Angiò, che però non si dimostra all’altezza. Alla morte del principe d’Orange nel 1584, assassinato da un fanatico cattolico, il vuoto di potere viene occupato dal conte di Leicester, fiduciario di Elisabetta d’Inghilterra con cui esisteva un’alleanza antispagnola. Alla fine gli stati generali delle provincie ribelli decidono di evocare a se la piena sovranità proclamandosi autorità suprema della nuova entità statale delle Province Unite. (1589). Negli anni successivi, nelle Province Unite (Groninga, Frisia, Gheldria, Olanda, Overjissel, Utrecht e Zelanda, Drenthe) prende una forma più definita il regime di tipo repubblicano con un’ampia assemblea in cui ogni provincia gode di un solo voto. Si afferma l’egemonia dell’Olanda, la provincia più ricca e popolosa; alla famiglia Orange viene riconosciuto il comando dell’esercito; e per motivi commerciali viene siglata una tregua con la corona spagnola, nonostante la contrarietà di Maurizio Nassau, figlio di Guglielmo d’Orange. Nei primi anni del Seicento si ripresentano gli scontri fra i fautori di una versione più tollerante della fede calvinista e i sostenitori intransigenti del riformatore di Ginevra (scandalizzati dalla posizione di Arminio sulla salvezza); nonostante questo le Province Unite riescono a trovare una sostanziale stabilità sino al 1612 quando scade l’armistizio con la Spagna. Riprende una lunga fase di guerra; le Province Unite colpiscono la monarchia cattolica nei possedimenti coloniali e nei suoi interessi commerciali. Si giunge infine al trattato di Munster in cui la corona spagnola rinuncia alle sue pretese di sovranità sulle Province Unite. -1648-
10-Economia e finanze nel secolo dei genovesi.
Nei primi decenni del XVI secolo si registra in Europa una crescita della popolazione; la crescita è diversa da regione a regione. Aumenta anche la popolazione urbana grazie all’afflusso di persone dalle campagne: vi è un grande sviluppo di Londra, Siviglia, Lisbona, Palermo, Napoli, Milano, Venezia. Alla base della crescita demografica vi è sia la flessione della mortalità (le epidemie di peste e di altre malattie non hanno il medesimo grado di virulenza e diffusione avuto in precedenza), sia l’aumento della natalità dovuto al fatto che le persone tendono a sposarsi più giovani. L’aumento della popolazione comporta un notevole aumento della domanda di derrate alimentari ed una conseguente crescita dei prezzi dei prodotti agricoli; in Francia il prezzo grano cresce di 6 volte In Europa si arriva ad una «cerealizzazione» dell’agricoltura. Vengono bonificate varie zone in Francia, Inghilterra, Paesi Bassi, in Italia regioni del Veneto da parte delle Repubblica di Venezia e del Polesine del duca di Ferrara. I cereali riguadagnano anche il terreno destinato all’allevamento ed altre coltivazioni (Inghilterra tendenza ad cerealicoltura; Francia regredisce il terreno destinato all’allevamento). La Sicilia diventa il vero e proprio granaio d’Europa. Ma nel 1590 una nuova carestia, causata da un peggioramento del clima, si abbatte sull’Europa. Anche la produzione manifatturiera si espande sia nel settore tessile, Castiglia a Segovia e Toledo, sia nella metallurgia per la produzione del ferro (Inghilterra, Svezia e a Liegi maggiori produttori di ferro) - e dell’allume usato per tingere li tessuti – viene scoperta una importante miniera a Tolfa nello Stato della Chiesa, il pontefice Pio II affida l’appalto a compagnie di fiorentini (la maggiore miniera in precedenza era quella in Asia Minore, controllata dai genovesi). In Italia centro-settentrionale si ha un notevole sviluppo nel settore laniero, a Bergamo, Venezia, Firenze; e nel settore serico, la produzione nello Stato di Milano, e nelle manifatture seriche di Genova, Bologna, Mantova, ma anche nei centri del Mezzogiorno, Napoli, Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza. I tessuti di produzione italiana sono di alta qualità e non temono la concorrenza di quelli di lana. Il mediterraneo resta il cuore dei commerci cinquecenteschi; grano, materie prime, manufatti tessili e metallici, spezie, transitano dai porti di Venezia e Genova. Venezia rimane lo snodo più importante nord/sud. Tuttavia crescono di importanza anche i porti della Castiglia e dei Paesi Bassi (Anversa in particolare diventa la principale piazza finanziaria e commerciale del continente europeo fino agli anni Settanta del Cinquecento). In Europa centrale e orientale, l’aumento della popolazione comporta una crescita della domanda di manufatti tessili e metallici e di derrate alimentari provenienti dal Mediterraneo. Incomincia a farsi sentire l’importanza delle colonie americane per esportazione/importazioni. Purtroppo la rivolta dei Paesi Bassi contro la corona spagnola finirà col danneggiare Anversa (1576). In tutta Europa, dalla metà del XV secolo si registra un aumento della pressione fiscale dovuta: -sia alla crescita dei prezzi, la quale spinge alla necessità di adeguare le entrate all’inflazione; - sia alla voce principale della spesa pubblica: la guerra; nuovi armamenti, introduzioni delle armi da fuoco, aumento del numero degli eserciti con conseguente necessità di pagare, armare ed equipaggiare molti mercenari. Dal momento che le entrate ordinarie sono troppo esigue, i governi incrementano la tassazione straordinaria pur incontrando notevoli resistenza da parte della popolazione e dei ceti privilegiati, vi sono difficoltà anche nel riuscire ad accertare la vera ricchezza. I governi -monarchici o repubblicani- appaltano la riscossione delle imposte a compagnie bancarie. Contemporaneamente i sovrani ricorrono all’indebitamento a breve; i banchieri senesi e fiorentini sono specializzati nel trasferire il denaro nelle regioni scelte dai clienti. Gli interessi sono elevati. In Germania e nelle Fiandre nasce il debito consolidato: emissione di titoli pubblici con rendita fissa – 7/10%- sottoscritto da mercanti, imprenditori, enti ecclesiastici, aristocratici; gli interessi provengono da tasse le quali gravano sulle spalle dei ceti umili che vivono di salari. In Italia, Genova, Venezia, Firenze sono i primi comuni ad istituzionalizzare questo debito pubblico. Il debito è connesso alle vicende politiche e militari. La corona di Castiglia, Carlo V e suo figlio Filippo II, ricorrono massicciamente a gruppi bancari tedeschi/genovesi/portoghesi- che forniscono denaro ai suoi eserciti nei luoghi desiderati. Vista l’enorme somma raggiunta -8 milioni di ducati- dal debito della sua corona, nel 1557, Filippo II converte in modo forzoso il debito in titoli pubblici al 5%; a causa della crescita continua del debito questa operazione verrà più volte ripetuta sino ad arrivare alla sospensione dei pagamenti Anche in Francia l’indebitamento della corona è in continuo aumento e viene finanziato con titoli pubblici i cui interessi gravano sul gettito delle imposte sui consumi. Ma anche in Francia si finisce col consolidare il debito, sospendere i pagamenti (nel 1558) e Enrico IV, nel 1599, cancella d’autorità i debiti senza rimborsi o interessi, alla stregua della corona castigliana. Solo lo Stato della Chiesa, caso atipico, pur consolidando il suo debito, riesce a mantenere la fiducia degli investitori continuando a pagare regolarmente gli interessi. Altro modo per finanziare le loro esigenze usato dai sovrani è la vendita di incarichi militari, amministrativi e finanziari al miglior offerente; l’acquirente ottiene la remunerazione e i diritti legati a quell’incarico. Un’altra importante forma di indebitamento è la venalità degli uffici: molti incarichi militari, amministrativi e finanziari sono infatti venduti dalla corona al miglior offerente. In Francia, nel 1604, sotto Enrico IV, queste vendite crescono sempre più e nel caso di uffici tradizionalmente appannaggio di nobili, l’acquisto conferisce anche titolo di nobiltà. Questo tipo di nobiltà –noblesse de robe- rimane distinta dalla nobiltà militare o di spada. La venalità degli uffici, l’attività creditizie con prestiti ai monarchi, e gli appalti delle imposte ottenuti in cambio, consentono a molti finanzieri di acquistare feudi e titoli nobiliari. I finanzieri, grazie alla credibilità e capacità, raccolgono denaro liquido da molti soggetti, e poi lo trasferiscono laddove sia richiesto. Con un accordo, chi versa una determinata somma di denaro ad un banchiere ottiene l’impegno (lettera di cambio accordo privato in cui il traente ottiene la promessa di pagamento a farsi pagare tale somma nella moneta della località straniera da lui indicata da parte di un altro banchiere. In questo modo si evita il trasporto materiale del denaro contante lungo itinerari allora assai pericolosi in tutta Europa. Sin dal Quattrocento grandi compagnie bancarie – i Medici a Firenze, i Fugger ad Augusta – hanno creato una rete di agenzie in tutt’Europa. Grazie a Fugger, Carlo d’Asburgo riesce a «comprarsi» il titolo di Sacro Romano Imperatore - 1519-. Le lettere di cambio dei vari banchieri vengono scambiate in apposite fiere quali quella di Lione prima la fiera di Lione è la maggiore del tempo, grazie alla sua collocazione geografica al crocevia fra il polo finanziario della Castiglia, quello della penisola italiana Europa settentrionale; poi di Genova –dove operano i banchieri Centurione, Pallavicino, Grimaldi – che danno vita anche la fiera di Besançon in Francia. Successivamente però il ruolo dei banchieri genovesi diminuisce per la loro esposizione nei confronti delle corone sempre più indebitate ed a rischio di insolvenza. L’afflusso di metalli preziosi americani nella seconda metà del Cinquecento è un fatto rilevante per la storia dell’economia europea. Dapprima si tratta di oro, poi a partire dal 1570, soprattutto di argento che viene estratto in ricchi giacimenti del Perù e del Messico. Fino al 1660, dalla Castiglia l’oro e l’argento americano defluiscono verso altre aree dell’europea per poter importare manufatti da inviare nelle colonie e per finanziare la politica e gli eserciti di Carlo V e dei suoi successori. Alla grande diffusione dell’argento americano in Europa viene attribuito il deprezzamento della moneta e l’aumento dei prezzi soprattutto del grano e altri cereali; una «rivoluzione dei prezzi». Il tasso di inflazione cinquecentesco, in realtà, non è affatto drammatico, anzi si tratta di un dato più moderato in confronto ai tassi dei secoli successivi; inoltre si deve tenere presente che l’economia cinquecentesca è meno legata all’uso della moneta di quanto si è ritenuto alcuni decenni fa. Una più attenta analisi mette in evidenza che la tendenza inflazionistica in Europa era già in atto prima della scoperta dell’America ed era da ricondurre alla crescita demografica che aumentava la richiesta di derrate agricole. L’afflusso di metalli preziosi accentuò solo la crescita dell’inflazione. Sono soprattutto i salariati a subire gli effetti più pesanti degli aumenti dei prezzi; braccianti agricoli, operai manifatturieri ed edili. Sono colpiti anche i proprietari fondiari che hanno stipulato contratti di enfiteusi, affitto perpetuo o a lunghissima scadenza, non potendo rinegoziare i canoni. Ad essere avvantaggiati sono i commercianti e gli imprenditori manifatturieri i quali posso contare su una notevole disponibilità di manodopera a basso costo, e contemporaneamente possono aumentare i prezzi di merci e prodotti che essi vendono. Anche i proprietari fondiari che hanno affittato le loro terre con contratti a breve scadenza possono aumentare gli affitti ad ogni scadenza.
11-L’affermazione del barocco.
L’etimologia della parola «barocco» è controversa; secondo alcuni definisce una figura atipica del sillogismo aristotelico, secondo altri deriva dalla parola portoghese barroco, che indica una perla difettosa, dalla forma irregolare. In entrambi i casi col termine barocco si può intendere una strutturale infrazione a regole date. L’irregolarità, la ricerca dell’insolito, la volontà di stupire sono i tratti che definiscono il gusto barocco che si diffonde in Europa fra il 1580 e il 1680. Il barocco non investe solo le arti visive, la letteratura e la musica, ma anche la religiosità, la politica, il costume. Quasi per reazione alle forme di controllo e coercizione che la Chiesa contro-riformista e gli Stati esercitano sugli individui, gli artisti cercano l’originalità. La loro ricerca di quanto è trasgressivo, capriccioso, strano, alternativo, è tollerato e a volte incoraggiato, in ambito artistico e letterario, sia dai sovrani e dall’aristocrazia, sia dalla Chiesa cattolica, soggetti che sono soliti combattere ogni tentativo di eversione in campo religioso, politico, filosofico e scientifico. Grazie al suo ingegno l’artista deve avvicinare oggetti fra loro distanti ed inconciliabili, creando nessi inediti che li apparentino. L’obbiettivo dell’artista è quello di stupire chi fruisce della sua opera. Gianbattista Marino (1569/1625) «… è del poeta il fin la meraviglia…». Il dovere dell’artista è di proporre, utilizzando materiali rari/pregiati, è creando paragoni inconsueti recepiti solo da chi ha una cultura raffinata ed esclusiva, di creare l’effetto della meraviglia nello spettatore. Gli artisti elaborano un linguaggio iniziatico e misterioso, costellato di simboli ed emblemi. La Chiesa controriformista cerca di operare un controllo sulla produzione artistica con la censura. Paradossalmente, mentre si sviluppa un movimento culturale che sembra rifiutate ogni regola, cresce il tentativo di arginare e ricondurre entro certi limiti le libertà artistiche che si diffondono. Questo governo delle arti evidenzia come in un’epoca in cui vengono messi in discussioni valori religiosi/politici/scientifici/filosofici ritenuti intangibili via sia bisogno di nuovi punti di riferimento. L’intervento del potere politico nella sfera della cultura è finalizzato ad ottenere il consenso dei sudditi. Per questo, pontefici e sovrani, quando si tratta di arricchire le proprie collezioni personali si mostrano estremamente raffinati; mentre, quando l’opera è destinata alla fruizione pubblica, prediligono oggetti artistici che impressionino per la loro magnificenza. Il teatro, in particolare è il frutto dell’armonica sinergia fra molteplici arti: pittura, scultura, letteratura, musica. La spettacolarità del teatro diviene un elemento anche della vita pubblica. Nel Rinascimento lo spettacolo teatrale era una festa riservata alle corti signorili, nell’epoca barocca festeggiamenti e celebrazioni si svolgono nelle strade e nelle piazze coinvolgendo l’intera società. Diventano momenti spettacolari non solo rappresentazioni teatrali, ma processioni, cortei, giostre, tornei, persino gli autos da fé (atti di fede, ovvero cerimonie pubbliche in cui le persone giudicate colpevoli di eresia dall’Inquisizione fanno pubblica abiura delle loro opinioni). L’intera città diviene teatro dove si svolge l’azione spettacolare. In questo periodo molte città vedono modificata la loro struttura ai fini di modellare lo spazio in modo da migliorare la resa visiva delle feste, che acquistano sontuosità. Roma è la città dove l’intervento strutturale/decorativo di gusto barocco è maggiormente deciso. La Chiesa controriformistica cerca di affascinare quanti vi giungono per attuare la propria propaganda e contrastare la diffusione di idee protestanti. Fra i Cinquecento e Seicento anche le monarchie europee organizzano in maniera pubblica e rituale i distinti momenti della vita del sovrano, non solo l’incoronazione, le nozze, i battesimi, i funerali, ma anche i momenti della vita privata e quotidiana, vengono solennizzate con cerimonie pubbliche, cui assistono folle di sudditi. Il cosiddetto «cerimoniale borgognone» introdotto da Carlo V, si diffonde nelle regge europee e fissa i ruoli e le mansioni dell’aristocrazia che vive a corte, il tutto finalizzato a sottolineare la sacralità del sovrano. L’esistenza del monarca diviene spettacolo, la figura del sovrano per diritto e per volontà divina appare rarefatta e preziosa. La propaganda controriformista non si esaurisce nel tentativo di affascinare i fedeli con il fasto delle cerimonie e degli spazi in cui esse si svolgono. La Chiesa cattolica, che svolge un ruolo pedagogico, cerca anche di plasmare le coscienze tanto degli analfabeti, o quanto meno la maggioranza, con linguaggi artistici e arti visive; quanto degli alfabetizzati, attraverso collegi ed istituti di istruzione in cui opera con l’arma della censura. L’ultima sessione del Concilio di Trento (1562-1563), aveva riaffermato la legittimità del culto delle immagini sacre pur vietano ogni abuso, tuttavia l’interpretazione del relativo decreto conciliare dà avvio alla discussione sul ruolo dell’arte sacra. Nel 1577, Carlo Borromeo, cardinale di Milano, pubblica un trattato in cui sostiene che l’arte deve essere al servizio di Dio e che questo principio deve essere trasmesso ai fedeli. Giovanni Molano dedica un’opera alla storia delle immagini sacre. Nel 1594 il cardinale Gabriele Paleotti rimprovera gli errori di rappresentazione degli episodi sacri da parte dei pittori che ignorano le Sacre Scritture ed esalta la funzione didattica della pittura i cui prodotti però devono nascere da una stretta collaborazione tra artisti ed ecclesiastici. Sempre per contrastare la diffusione delle idee protestanti, la Chiesa dà vita anche a numerosi istituzioni educative, scuole di villaggio gestite dai parroci o da ordini religiosi. La Compagnia di Gesù –gesuiti- spicca per l’opera pedagogica rivolta ai ceti dirigenti. I collegi dei gesuiti, a cui vengono ammessi gli appartenenti alle più alte fasce sociali, ottengono un enorme successo e si distinguono per la pianificazione di orari e programmi, la progressione degli studi. L’ordinamento dell’insegnamento si basa sulla divisione degli alunni in classi di apprendimento, sulla progressione degli studi, sulla pianificazione di orari e programmi; sollecitano la competizione tra gli allievi mediante premi e castighi. Il numero di questi collegi cresce rapidamente (dai 150 del 1580 ai 444 del 1626) anche perché da essi escono i giovani educati e seriamente preparati, che andranno a servire i vari sovrani in mansioni civili e militari. Conseguenza di questo successo è l’enorme crescita del patrimonio della Compagnia dovuto a lasciti testamentari e a donazioni raccoglie un enorme patrimonio; accanto alle scuole sorgono convitti per i rampolli aristocratici. Grande è anche l’influenza della Compagnia sulle università di cui a volte assumono il controllo. Nel corso dei Seicento la riflessione politica non insiste più sull’autorità e sovranità del principe, bensì sulla macchina del potere, sui segreti dello Stato. Con la Controriforma si fa strada un’idea politica cristiana che tenga conto del ruolo centrale dei sovrani per il mantenimento dell’ordine sociale e politico. Nel 1589, Giovanni Botero nell’opera Della ragion di Stato, in contrasto con Machiavelli, afferma che ragione di Stato è la conoscenza «dei mezzi atti a fondare, conservare ed amministrare un dominio.». Per lui il principe deve guadagnarsi il consenso dei sudditi ed è fondamentale il rapporto fra il potere del sovrano e la Chiesa; cerca di proporre ai principi europei un modello di governo sostanzialmente antitetico, di cui “Il Principe” di Machiavelli è considerato il modello. Il re deve essere un buon cristiano e sapere utilizzare l’appoggio della Chiesa per la stabilità del proprio potere. Altro tema trattato è quello della prudenza, non intesa machiavellicamente come cautela nelle azioni di governo, ma come timore di Dio secondo l’ottica cristiana, o alla cautela rispetto alle passioni nocive, nella prospettiva del neostoicismo (neostoicismo scaturisce dalla rilettura delle opere di Tacito e Seneca, da cui discende una visione della realtà basata sui principi di autoconservazione e di equilibrio); un esempio è “I discorsi sopra Cornelio Tacito” di Scipione Ammirato. Rimane comunque la difficoltà di coniugare i principi della religione cattolica con il rigore e la crudeltà indispensabili nell’esercizio del potere; la sincerità con la necessità di dissimulare le proprie recondite intenzioni per poter governare. Machiavelli aveva sostenuto la necessità per il principe di essere un gran simulatore e dissimulatore; ora, sull’onda della Controriforma, l’occultamento delle proprie intenzioni è giustificato solo da una situazione di pericolo, negli altri casi la dissimulazione è da disapprovare. Nel Seicento, l’attenzione dei pensatori si concentra non sulle regole generali della politica, ma su quelle appropriate ad affrontare ogni singola situazione o a raggiungere determinati fini caso degli arbitristas spagnoli, cioè gli autori di arbitrios indirizzati al sorano al fine di suggerire specifici provvedimenti per far fronte ai diversi problemi della monarchia; in Francia la produzione intellettuale assume caratteri propagandistici.,
12-Un mondo di numeri: la nascita della scienza moderna.
All’inizio del XVI secolo la visione del cosmo è quella fondata sulla centralità della terra -geocentrismo- immobile al centro dell’universo. Essa deriva dalle teorie del filosofo greco Aristotele e dal matematico Tolomeo di Alessandria; grazie a Tommaso d’Aquino e dottrina ufficiale della Chiesa ogni cosa ha il proprio luogo naturale in base alla minore/maggiore perfezione della sua essenza. Niccolò Copernico (1463/1543) formulò una nuova ipotesi, ispirata da Pitagora, in cui il sole era al centro dell’universo e la terra ruotava circolarmente attorno. La teoria eliocentrica proposta da Copernico mantiene molti elementi di contatto con la tradizione: da una parte, la centralità del sole richiama la concezione ermetica e neoplatonica del mondo, dall’altra parte Copernico afferma che i movimenti orbitali non seguano traiettorie matematiche, ma avvengano grazi a sfere cristalline reali. Copernico innesca nelle scienze fisiche ed astronomiche un processo rivoluzionario che si concluderà solo con l’opera dello scienziato inglese Isaac Newton. Ma la rivoluzione copernicana, a causa delle sue potenzialità eversive viene osteggiata dalla Chiesa, sia Cattolica, sia Protestante. Le idee di Copernico trovano ulteriore sviluppo nelle teorie di Giovanni Keplero sulle orbite celesti, che giunge alla conclusione che le orbite celesti siano di forma ellittica e che il sole si trovi in uno dei due fuochi; Tycho Brahe invece dubiterà dell’immutabilità e dell’incorruttibilità del cielo, In Italia, Galileo Galilei (1564/1642), matematico dell’università di Pisa, si muove sulle orme di Copernico e Keplero. Egli, convinto che per studiare la natura sia necessario osservarne le caratteristiche primarie e reali, che sono quantificabili, basa il suo metodo di ricerca sulla formulazione di un’ipotesi e nella sua verifica sperimentale, con una costante attenzione alla misurazione numerica e geometrica dei fenomeni osservati esperimenti sul moto dei gravi e la scoperta della legge delle piccole oscillazioni del pendolo (isocronia) sono frutto del suo studio metodico. Per poter verificare le sue ipotesi egli fabbrica anche nuovi strumenti: il più straordinario è il telescopio, con questo strumento può osservare e studiare i satelliti di Giove, le fasi di Venere, l’anello di Saturno e anche i mari della Luna; Galileo, venuto a conoscenza dell’invenzione del cannocchiale da parte di un fabbricante di occhiali olandese. Questi suoi studi consolidano la teoria eliocentrica a scapito di quella geocentrica sostenuta dalla Chiesa. Galileo è molto considerato dagli altri studiosi per le sue scoperte astronomiche che però si scontrano con l’interpretazione ufficiale della Bibbia da parte della Chiesa. Negli anni 1613-15 Galileo scrive una serie di lettere private, che hanno una grande circolazione manoscritta: afferma che natura e scrittura hanno una comune origine in Dio, tuttavia la natura delle verità che esse affermano è distinta; le verità scientifiche assodate devono diventare la base per una corretta interpretazione di pasi biblici. Nel 1616 l’Inquisizione condanna le teorie copernicane in quanto contrarie alla verità bibliche, anche Galileo è ammonito. Egli cerca di convincere gli studiosi della fondatezza delle sue teorie, però senza riuscirci. Nel 1633, viene ammonito dal cardinale Roberto Bellarmino, processato dall’Inquisizione e condannato alla pubblica abiura, ritrattazione dell’eliocentrismo, e alla carcerazione a vita che sconterà presso Firenze; dove peraltro continuerà la sua opera di ricerca e scrittura gettando le fondamenta di una scienza del moto. Nel “Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo, copernicano e tolemaico”, Galileo si sforza di offrire una prova fisica in favore delle teorie copernicane e quindi avvalora la tesi secondo la quale l’eliocentrismo non è una semplice ipotesi, ma la verità fisica. Anche in campo medico, tra Cinque e Seicento, si registrano scoperte che modificano l’idea del corpo umano che si è sviluppata nella cultura europea. Partendo dalla rilettura dei testi del greco Galeno (129/201), Andrea Vesalio (1514/64) docente dell’università di Padova, elabora un testo che attraverso le tavole allegate, dimostra di voler studiare direttamente i corpi, senza pregiudizi filosofici e religiosi. Anche Girolamo Fabrici (1533/1619), che segue il metodo vesaliano, combinando lezioni teoriche con ricerca pratica, crea il primo teatro anatomico nel quale si operano la dissezione dei cadaveri sotto gli occhi degli studenti. Fabrici si concentra sulle valvole venose che fanno affluire il sangue venoso al muscolo cardiaco. Un suo studente inglese, William Harvey si dedica allo studio del cuore giungendo ad illustrare i meccanismi della circolazione, e la centralità del cuore nel sistema circolatorio. Harvey compie una serrata opera di sperimentazione attraverso la dissezione dei cadaveri e la vivisezione di animali; compie una serrata opera di sperimentazione e costruisce una nuova fisiologia circolatoria Le esperienze compiute in campo fisico, astronomico e medico concorrono alla nascita del «meccanicismo»; una concezione del mondo contraria sia all’aristotelismo, sia al naturalismo. Thomas Hobbes, Martin Mersenne, Pierre Gassendi, sono i principali intellettuali secondo i quali la conoscenza delle leggi del moto è sufficiente a spiegare l’intero universo. L’universo è composto da corpi che si muovono continuamente, conoscere le leggi matematiche del moto consente di far comprendere nella sua realtà la struttura cosmologica. Il filosofo Cartesio (1596/1650) afferma “Nei principi di filosofia” che il mondo naturale è composto essenzialmente da materia in movimento, l’universo è uno spazio dove i corpi si urtano in un continuo movimento di traslazione; le sue idee non derivano dall’osservazione delle realtà, ma da una deduzione logica a partire da presupposti filosofici che egli crede indubitabili (esistenza dell’estensione, il movimento, l’immutabilità di Dio). Egli invita lo scienziato a chiedersi come i corpi danno vita agli avvenimenti in natura e non perché. L’universo è un’enorme macchina i cui ingranaggi sono tutti ugualmente importanti e necessari. Una tale visione si contrappone decisamente alle gerarchie che strutturano l’universo aristotelico-tolemaico e comporta una serie di conseguenze di notevole rilievo: la prima, è la svalutazione di delle capacitò conoscitive dell’uomo (l’uomo può conoscere solo ciò di cui ha costruito gli ingranaggi; la seconda conseguenza è il materialismo il pensiero meccanicistico conduce al materialismo di Hobbes per il quale i concetti morali di bene e male non derivano dai comandamenti divini, ma dal movimenti dei corpuscoli materiali che incontrandosi col corpo umano generano le passioni del piacere (bene) e del dolore (male). Il vero punto di svolta nel pensiero filosofico e scientifico europeo è dato dall’opera di Isaac Newton (1642/1727): per lui non è importante studiare la causa ultima del moto, ma analizzare il modo in cui una forza opera e descriverla in termini di legge matematica. Egli giunge ad elaborare e dimostrare la legge di gravitazione universale fisica terrestre e celeste vengono così riunite, cancellando ogni separazione fra cielo e terra. A questo punto l’universo può essere concepito come del tutto indipendente dall’ordine divino; solo la perfezione dell’universo prova l’esistenza di Dio. Sin dal basso Medioevo l’università è il principale luogo di trasmissione dell’alta cultura. Nel cinquecento il loro numero cresce; le principali sono: Bologna/Padova/Parigi/Oxford/Salamanca. Si studia Diritto, Filosofia, Medicina; la lingua di comunicazione del sapere resta il latino. Gli studenti devono apprendere mnemonicamente conoscenze, spesso obsolete, nozionistiche, al fine di superare gli orali, L’università non è un luogo di ricerca, i docenti stessi spesso non lo amano, considerandolo un posto dove ci si guadagna da vivere; anche Galileo, docente all’università di Padova, conduce altrove i suoi studi e le sue ricerche private sull’eliocentrismo. Il luogo del vero confronto intellettuale è l’accademia, una struttura informale dove si incontrano periodicamente appassionati di una determinata disciplina per discutere di singole questioni. In Italia: Accademia dei Lincei, a cui si affilia anche Galileo (fondata nel 1603, dopo essere stata sciolta per eterodossia, viene rifondata nel 1605 con lo scopo di rinnovare il sapere scientifico in opposizione alla dominante tradizione aristotelica); Accademia del Cimento; Accademia degli Investiganti a Napoli. Questi sodalizi però sono a volte minati dagli attacchi dell’Inquisizione, che è contro ogni forma di sapere che potesse apparire eversivo dell’ordine sociale e religioso. In Francia: Académie Royale des Sciences, fondata per volere di Luigi XIV, nel 1666, i cui componenti percepiscono un salario dalla corona per dedicarsi alla sperimentazione delle scienze. In Inghilterra: Royal Society of London, fondata come sodalizio privato nel 1660: non è un luogo di sperimentazione, ma un luogo di confronto e verifica dei risultati scientifici che vengono otenuti altrove.
13-Tra guerre e rivolte: la crisi politica di metà Seicento.
Durante gli anni Quaranta del XVII secolo un terremoto politico investe le grandi monarchie europee. In Spagna, Filippo IV mentre torna alla guerra contro le Province Unite, per la mai risolta crisi nei Paesi Bassi; scoppia la ribellione della Catalogna e Portogallo che vogliono la secessione; nel 1647 esplodono ribellioni a Palermo, Sicilia e poi a Napoli dove viene proclamata la repubblica. In Francia, Anna d’Austria, reggente per conto del futuro Luigi XIV, si trova a fronteggiare una rivolta, chiamata Fronda, cappeggiata dal parlamento di Parigi che vuole allontanare il primo ministro il cardinale Giulio Mazzarino. Ne deriverà una lunga e pericolosa guerra civile. In Inghilterra, Carlo I che governa dispoticamente introducendo nuove tasse si scontra con il Parlamento, una rivolta che porterà alla decapitazione del sovrano a alla repubblica inglese. Tutte queste crisi, che si risolveranno con esiti diversi, presentano però tratti comuni. A partire dagli anni Settanta, il Sacro Romano impero è attraversato da profondi conflitti religiosi. La controffensiva del cattolicesimo, è guidata dalla Compagnia di Gesù nella formazione spirituale e nella formazione di élites. Mentre nella Germania centro-settentrionale la nobiltà è in maggioranza luterana, nella parte meridionale rimane/ritorna cattolica - Baviera, Austria. Anche il calvinismo crea nuova instabilità. L’imperatore Massimiliano II d’Asburgo aveva rispettato le diversità confessionali e anche il suo successore Rodolfo II. All’iniziale libertà di confessione religiosa, vista l’aggressiva intransigenza dei gesuiti, i principi e le città luterano/calviniste costituiscono la lega Unione evangelica, sotto Federico IV del Palatinato. Anche i principi cattolici danno vita alla Lega cattolica, sotto la guida di Massimiliano di Baviera. La tensione è alimentata anche dal fatto che l’imperatore Mattia d’Asburgo, privo di eredi, designa successore Ferdinando di Stiria, cattolico intransigente. Il 23 maggio 1618 la città di Praga insorge di fronte al tentativo di Mattia di imporre limitazioni al culto calvinista. Alla morte di Mattia d’Asburgo, i boemi rifiutano di riconosce Ferdinando come loro sovrano ed eleggono Federico V, capo dell’Unione evangelica. Però, nel 1620, le truppe imperiali e quelle della Lega cattolica sconfiggono i boemi, impongono il cattolicesimo con saccheggi, confische, rieducazione forzata invadendo il Palatinato. La minaccia militare degli Asburgo, che preoccupa le potenze europee protestanti, di distruggere chiunque si opponga all’egemonia cattolica si ha sia in Germania, sia in Italia settentrionale. Ma l’affermazione delle truppe asburgiche porta ad un mutamento degli equilibri religiosi nell’impero; Ferdinando II con l’editto di restituzione (1619/37) ordina ai principi protestanti di restituire i beni ecclesiastici confiscati cercando di accrescere il suo potere. Battuta anche la Svezia, sebbene l’imperatore rinunci poi alla restituzione dei beni da parte dei principi protestanti, sembra che gli Asburgo abbiano di fatto vinto la partita dell’egemonia politica europea. A questo punto è la Francia che decide di intervenire con le armi a sostegno dei rivali dell’impero. Con l’intervento della Francia, in un conflitto che dura dal 1618, gli equilibri militari mutano a sfavore degli Asburgo fino alla sconfitta dell’esercito spagnolo da parte dell’esercito francese a Rocroi nel 1643. Si giunge alla pace di Vestfalia - 1648- che sancisce il tramonto del disegno egemonico degli Asburgo. La Spagna è costretta a firmare la pace con le Province Unite. Inoltre vengono riconosciute come Stati regionale la Confederazione svizzera e la Svezia. Successivamente la pace con la Francia, - Pirenei 1659- ridimensiona ulteriormente il ruolo di Madrid nella competizione per l’egemonia europea. Inizia il periodo del predominio continentale francese a cui si sottraggono sole le potenze navali e commerciali: Inghilterra e Province Unite. La crisi politica di metà Seicento è conseguenza della lunga guerra e della divisione religiosa. Il lungo conflitto costringe le finanze statali a una disperata ricerca di denaro necessario ad armare gli eserciti, spinge le corone ad imporre nuove tasse ed a ricorrere ai finanziamenti dei banchieri; anche la lotta tra cattolici e protestanti è importante, rispetto al quale si orientano i comportamenti politico-diplomatici e le conseguenti azioni militari. Va però sottolineato che non è tanto la fiscalità in quanto tale che dà vita alle ribellioni, quanto piuttosto la sua legittimità, i motivi per cui vi si ricorre, l’uso che si fa dei soldi raccolti; anche i vari conflitti non sono tutti da imputare alla rivalità cattolici/protestanti - es. rivolte di Napoli e Catalogna o Francia- quanto piuttosto una condanna dei metodi assolutistici dei governi, condanna presente anche i tutte i le guerre cattolici/protestanti. La figura del favorito, un amico del sovrano che riceve, in cambio dei suoi consigli, speciali onori, esisteva già nel medioevo, ma nella prima metà Cinquecento viene a perdere peso perché i sovrani cercano di garantire stabilità alla loro corona assegnando a ciascuna delle varie fazioni cortigiane un qualche riconoscimento. Questa prassi viene per la prima volta modificata da Filippo III (1598/1621) che concede al suo favorito Francisco Gomez, duca di Lerma, un enorme potere, in pratica governa al suo posto. L’esempio spagnolo viene imitato in Inghilterra a fianco di Giacomo I si installa un membro della piccola nobiltà, George Villiers; in Francia Maria dei Medici, vedova di Enrico IV, reggente per il figlio Luigi XIII / Concino Concini. Il potere autocratico dei sovrani va diminuendo, contemporaneamente il controllo delle decisioni politiche da parte di una sola persona che non è il re polarizza il sistema politico in due fronti. Gli esclusi tendo a coalizzarsi per dimostrare di essere in grado di sostituire validamente il favorito, l’opposizione attua una resistenza o renitenza che rende problematica l’attuazione di certe politiche. Per il sovrano diventa necessaria una mutazione di governo. All’ascesa al trono di Filippo IV -critico nei confronti del padre- vi è un nuovo cambiamento nella corte spagnola; il nuovo sovrano si circonda di uomini intenzionati a difendere la monarchia cattolica dal declino. Nella nuova classe dirigente emerge il conte di Olivares, detto poi conte-duca (si propone di ripristinare in punta di spada la monarchia spagnola rinvigorendo l’attitudine bellica). La Spagna riprende la guerra nei Paesi Bassi e interviene militarmente a sostegno degli Asburgo d’Austria nella guerra dei Trent’anni. Olivares “il valido” nel 1624 lancia un piano volto a rendere la monarchia spagnola più efficiente nella raccolta dei tributi questo piano si chiama Union de Armas (unione degli eserciti con lo scopo di imporre tributi anche fuori dalla Castiglia, agli altri territori). Ma sono gli stessi aristocratici della Castiglia che ostacolano questo progetto, temendo di perdere potere; una condivisione degli oneri avrebbe portato anche quella degli onori. Il Conte - Duca, per evitare che l’opposizione della classe dirigente esistente, ricorre a mezzi straordinari cercando di creare nuovi luoghi decisionali: giunte speciali di ministri, e per assicurare la concreta esecuzione di quanto deciso, colloca suoi uomini di fiducia nei punti strategici dell’amministrazione. Non si tratta più della tradizionale fedeltà al sovrano, ma di una fedeltà al suo Valido ed alle sue direttive. Il favorito, alter ego del sovrano di cui ha plagiato la volontà, dispone, di un potere dispotico. Questo stile di governo straordinario e di guerra: un favorito dotato di tutti i poteri, pur essendo bollato dai contemporanei come arbitrario e illegittimo, diventa comune alle grandi monarchie. In Inghilterra, il duca di Buckingham, il favorito di Carlo I, viene accusato di essere un usurpatore. In Francia, Maria dei Medici si affida al duca e cardinale Richelieu (già consigliere della reggente e segretario di Stato nel 1616 e ottiene nel 1622 il cappello cardinalizio e in questo modo può coniugare il primato derivante dalla supremazia religiosa alla delega di potere derivata dalla fiducia di Luigi XIII) che contemporaneamente combatte gli ugonotti in Francia e all’estero, finanzia i protestanti nella guerra dei Trent’anni, pur mantenendo la libertà di culto; sul piano della politica interna Richelieu manda gli intendenti, a sorvegliare l’azione dei governatori; crea anche una potente rete di legami personali e familiari che gli consente di governare con efficacia; si giova della teorizzazione del potere assoluto del re, quindi in circostanza speciali può violare i normali vincoli. Le profonde innovazioni nel rapporto tra il sovrano e i sui sudditi e nella distribuzione del potere provocano resistenze da chi non approva i nuovi metodi, e non di rado la ribellione popolare. Nei territori iberici della monarchia cattolica, l’ostilità nei confronti di Olivares induce l’aristocrazia a progettare congiure; nel 1640, Catalogna e Portogallo si ribellano, accusando Olivares di continue violazioni delle proprie libertà e privilegi; i catalani dichiarano rotto il vincolo di fedeltà agli Asburgo cercando aiuto presso il sovrano francese. Solo dopo una lunga guerra Filippo IV pone fine alla ribellione. I ribelli portoghesi si richiamano alla tradizione dinastica autoctona, prima della conquista del Portogallo da parte di Filippo II; la nobiltà decide di affidare il trono a Giovanni IV di Braganza e a favore di questa scelta si schiera un forte movimento popolare, caratterizzato da una forma di rimpianto. A seguito di queste ribellioni, Filippo II allontana Olivares ed allarga la cerchia del governo alle famiglie aristocratiche contrarie al Duca - Conte. Ma la pressione fiscale continua a crescere e causa la rivolta popolare di Palermo nel 1647; inizialmente a Napoli il popolo si scaglia contro la nobiltà accusata di essere filo francese; poi il popolo, dapprima guidato dal pescivendolo Masaniello, accusa i ministri spagnoli di aver violato un contratto implicito tra governati e governati garantito da Carlo V. Quando Masaniello viene ucciso dai suoi stessi compagni, la rivolta si estende alle campagne. La flotta spagnola bombarda Napoli che, rotta la fedeltà alla corona, proclama la repubblica che; però cade nei mesi successivi, a causa di rivalità interne alla repubblica, e di azioni militari spagnole. In Francia: il nuovo ministro-favorito della regina madre Anna d’Austria è il cardinale Mazzarino che incontra la resistenza dalle corti riunite del Parlamento di Parigi appoggiato dal popolo cittadino. Il Parlamento decide l’abolizione di norme che consentono l’arresto arbitrario, aumento del prelievo fiscale, invio di commissari straordinari, creazione di giunte speciali di governo. I rivoltosi vengono definiti con disprezzo frondeurs, quelli che scagliano pietre con la fionda; essi però vanno orgogliosi di questo epiteto perché richiama l’immagine biblica di Davide che uccide Golia. Mazzarino, fuggito da Parigi con la reggente nel 1648, invia l’esercito contro i rivoltosi della capitale; ne deriva una lunga e sanguinosa guerra civile che si complica con l’ingresso nel fronte antimazziniano del principe di Condé; tutti coloro che hanno subito il regime straordinario si oppongono. Alla fine, la maggior potenza finanziaria di Mazzarino, unita all’incapacità dei rivoluzionari di ottenere la convocazione degli Stati Generali, portano alla conclusione della rivolta (1653). Resta, in un paese devastato, la lezione che l’uso del potere arbitrario esercitato da una autorità ritenuta illegittima ha un preciso limite, oltre il quale provoca inevitabilmente la rivolta dei sudditi.
14-La rivoluzione inglese.
Nel 1603, alla morte di Elisabetta I, si estingue la dinastia dei Tudor; la corona passa al nipote Giacomo Stuart (1566/1625) re di Scozia. Giacomo - IV di Scozia e I d’Inghilterra - era figlio di Maria Stuart - la regina cattolica di Scozia fatta imprigionare e poi giustiziare da Elisabetta I. Giacomo si trova a governare sia sulla Scozia, - paese convertito al calvinismo, dedito all’allevamento e governato dal una forte nobiltà, da un Parlamento e dalla chiesa calvinista - ; sia sull’Inghilterra, - paese con una ricca agricoltura, un artigianato attivo e un commercio marittimo in espansione, governato da un Parlamento in cui la camera dei Lord rappresenta la nobiltà e l’alto clero; la camera dei Comuni il resto della popolazione; la religione è anglicana. - la situazione religiosa ed ecclesiastica è particolarmente complessa: Elisabetta I aveva cercato di non radicalizzare la differenza tra anglicani e cattolici ancora molto presenti in Irlanda, in cui nella regioni del nord -Ulster - si erano insidiate comunità presbiteriane; come in Scozia il calvinisti. Introdurre un’uniformità religiosa appare un dovere imprescindibile perché la compresenza di diverse fedi potrebbe condurre alla sedizione ed alla distruzione dei regni - Inghilterra e Scozia. -. Di fatto Giacomo I, pur cercando di aumentare il suo controllo nel campo religioso, evita di aprire gravi contenziosi su questo terreno tollerando la coesistenza di religioni diverse, anche la cattolica. Anche il progetto di fondere la due corone, unendone le istituzioni, viene respinto dal Parlamento. Innegabile la profonda differenza tra il mondo scozzese e la grande metropoli di Londra; il re stesso e la sua corte di giovani dediti alla caccia ed ai bagordi suscita diffidenza nell’aristocrazia inglese; solo la riconferma di Robert Cecil, ministro prediletto di Elisabetta, è una garanzia per l’aristocrazia Pure in Inghilterra si impone lo stile suntuoso e economicamente caro delle altre corti europee. Le entrate finanziare della corona sono: rendite di terre regie, tariffe doganali, proventi feudali. Solo in caso di guerra il Parlamento può autorizzare nuove tasse. Ma sia l’inflazione, sia la propensione alle spese di Giacomo rendono le entrate statali insufficienti. Si ricorre alla vendita di uffici e di titoli nobiliari, riuscendo però a sanare solo parzialmente la grave situazione finanziaria. Il sovrano è obbligato chiede nuove tasse al Parlamento, sempre molto restio a concederle. Sotto Elisabetta, l’Inghilterra era stata il principale alfiere della lotta antiasburgica e il sostenitore della resistenza anticattolica in tutt’Europa. Giacomo I preferisce il ruolo di mediatore e pacificatore La Francia, pur rimanendo in paese cattolico, uscita dalle guerre di religione appariva più tollerante. Contemporaneamente in Francia con la stabilizzazione politica, risorge lo spirito di rivalità nei confronti con la Spagna; questo atteggiamento e ben visto da Giacomo che spera di sfruttarlo- Il Parlamento inglese è però più propenso ad un netto impegno anticattolico in politica estera. La posizione attendista del sovrano inglese nella guerra dei Trent’anni in cui i protestanti, guidati da Federico V del Palatinato, vengono sconfitti dall’imperatore Ferdinando II e dalla Lega cattolica, risulta incomprensibile; proprio mentre la Spagna riprende la guerra contro le Provincie Unite. I calvinisti inglesi - i puritani - tornano ad intensificare la loro campagna anticattolica in seguito alla prospettiva di un matrimonio con una principessa spagnola. Anche il matrimonio dell’erede Carlo con Enrichetta Maria, sorella del re di Francia, e la conseguente concessione della libertà di culto cattolico a Londra per la corte della regina, introduce un elemento di scarsa sintonia con gli umori della Nazione espressi dal Parlamento inglese. La fulminea scesa a corte dei George Villiers (1592/1628), - nobile minore e uno dei più ricchi signori d’Inghilterra, divenuto duca di Buckingham suscitò diffusa avversione fra gli aristocratici. Dotato di indubbie qualità, Villiers era riuscito, grazie alla sua posizione privilegiata nell’entourage del sovrano, a raggiungere una posizione di primato sul piano politico. L’emergere anche in Inghilterra di un sistema cortigiano dominato da un’unica fazione dominante, come già succedeva nelle altre corti europee, deve tener conto di una particolarità inglese: il controllo della corte non garantisce automaticamente quello del Parlamento. Alla morte di Giacomo I, e con la successione di Carlo sul trono inglese, (1625) cade anche la speranza di un’alleanza con la Francia in funzione antispagnola con la pace firmata da francesi. La prospettiva di un trionfo cattolico si sovrappone all’avvezione per lo strapotere di Buckingham. Il Parlamento è favorevole ad una guerra navale che colpisca la Spagna nelle sue ricche colonie. Carlo I scioglie il parlamento che era entrato in aperto contrasto con Buckingham il quale impone un prestito ai sudditi abbienti; la Camera dei Comuni richiede al re -in cambio dei sussidi richiesti - di firmare una Petition of right, che proibisca per il futuro nuove tassazioni da essa non autorizzate. Il successivo assassinio di Buckingham, accolto con manifestazioni di gioia, aggrava la situazione. Il sovrano decide di prendere in mano la situazione e torna a sciogliere il Parlamento (1629). Durante gli undici anni di governo diretto da parte di Carlo I (1629/40), si verifica un progressivo scollamento fra la corte (the Court) e il paese (the Country). Il re, non volendo convocare il Parlamento, ricorre a banchieri/mercanti per finanziarsi concedendo privilegi e monopoli commerciali, e imponendo anche ai sudditi imposte e dazi e reprimendo duramente ogni dissenso. In campo religioso, il sovrano appoggia l’arminianesimo, giunto in Inghilterra dall’Olanda e rappresenta una versione moderata del protestantesimo; William Laud, arminiano, viene nominato dal sovrano Arcivescovo di Canterbury; l’arminianesimo in versione inglese appare come un criptocattolicesimo e si deduce anche dalle scelte di Carlo I in politica estera. Carlo I tenta la via della mediazione nel complicato puzzle religioso dei suoi regni; ma questo provoca una reazione da parte dei gruppi puritani che porta alcune sette ad emigrare in America del Nord. In politica estera -guerra dei Trent’anni -, la posizione defilata se non filo spagnola di Carlo I, che rovescia il tradizionale appoggio alle Province Unite ed ai principi protestanti tedeschi crea disorientamento e timori nella corte inglese, rimarcati dall’arrivo di Maria de Medici -regina madre-. Anche le Chiese d’Irlanda e di Scozia si ribellano al tentativo del re di uniformarle all’anglicanesimo (in Scozia Carlo I vuole fare adottare una forma rivista del Common Prayer Book;). Di fronte all’aperta ribellione della Chiesa presbiteriana Scozzese, Carlo I arriva ad inviare una spedizione militare che viene però sconfitta, il re è obbligato a recedere. Nel 1640, Carlo I è, suo malgrado, obbligato a convocare il Parlamento per finanziare la guerra. Appena convocato il Parlamento chiede di discutere prima sulle proprie rimostranze alla corona e solo dopo delle richieste finanziare per la guerra agli scozzesi. E così, dopo appena tre settimane, il sovrano decide di licenziare il Parlamento (Short Parlament) e far arrestare alcuni componenti. Le trattative con gli scozzesi si complicano poiché essi pretendono un elevato risarcimento finanziario per i loro costi di guerra. Carlo I è costretto a riconvocare il Parlamento che di fatto non si sarebbe più fatto sciogliere (Long Parlament). L’azione del Parlamento ha il sostegno popolare. Viene chiesto al re di firmare un decreto di colpevolezza per tradimento contro il conte di Strafford suo primo ministro; sotto la pressione dell’opinione pubblica londinese Carlo I cede, finendo col firmare la condanna a morte di Strafford che verrà decapitato nel 1641. Successivamente il Parlamento ribadisce l’incostituzionalità ed illegalità di ogni tassazione senza consenso parlamentare ed ordina lo smantellamento di tutto l’apparato di governo volto alla repressione. A questo punto però il Parlamento incomincia a dividersi su come affrontare altri provvedimenti, mentre vi è accordo sul limitare il potere del sovrano, sorgono disaccordi su come procedere nel governare il Paese. Vi è chi sostiene che il Parlamento deve tornare a svolgere solo una funzione di controllo sull’operato di governo esercitato dal sovrano e dai suoi consiglieri; altri propendono per una più stretta tutela da parte del Parlamento sul sovrano che ha mostrato ripetutamente di voler accrescere la sua autorità sottraendosi ai controlli previsti e assumendo posizioni filocattoliche. Nel 1641, un’improvvisa rivolta cattolica nell’Irlanda sconvolge gli equilibri politici del paese. L’opposizione parlamentare, guidata da John Pym e forte di un sostegno extraparlamentare, vota una proposta di sussidio alla spedizione repressiva in Irlanda condizionandola però al controllo sulla scelta del comando militare non fidandosi delle reali intenzioni del re. A questo punto, Carlo I tenta l’azione di forza ordinando l’arresto dei leader dell’opposizione che riescono però a fuggire e a dar vita ad agitazioni popolari e a manifestazioni di protesta. Il re si ritira a York, coi suoi fedeli. Nel 1642, con il reclutamento di un esercito di volontari da parte di Carlo I, inizia la guerra civile. Il Paese si spacca in due: le regioni del Nord e del Sud-Ovest con il sovrano; Londra, l’Est ed il Sud- Est con il Parlamento. Da un punto di vista sociale, la maggioranza dei Lord e della piccola nobiltà rurale rimane fedele al re; gli artigiani e i ceti professionali sostengono il Parlamento. Gli scontri militari tra le forze realiste e quelle parlamentari, alleate con gli scozzesi, hanno un esito incerto: le seconde, a nord, grazie all’aiuto scozzese, controllano le province settentrionali; mentre le truppe regie guadagnano terreno a Sud- Ovest. Nel 1645, l’esercito regio viene sbaragliato a Naseby, dall’esercito avversario che nel frattempo è stato riorganizzato e messo sotto il comando di Oliver Cromwell (1599/1658); l’esercito di Cromwell è costituito sulla base di una partecipazione volontaria, dunque esso è attraverso da un forte senso di corresponsabilità e di impegno in una missione che molti credono voluta da Dio; il re si arrende alle truppe scozzesi che, nel 1647, lo consegnano al vittorioso schieramento parlamentare. Il panorama politico appare ora ben diverso dall’inizio della guerra civile. Vi è una partecipazione alla vita politica da parte di forze e soggetti che ne erano tradizionalmente esclusi. Anche l’esercito, attraversato da forti correnti radicali, è uno di questi nuovi soggetti politici con cui confrontarsi. Tra i soldati, come tra gli artigiani, si discute liberamente della forma di governo e dei rapporti Stato/Chiesa; delle radici e della legittimità dell’autorità. Per quanto riguarda la Chiesa si confrontano tre posizioni: - la prima, propone una purificazione da riti cattolici; -la seconda, presbiteriana, sostiene l’omologazione della chiesa inglese a quella scozzese; - la terza, propone di lasciare spazio alle autonomie delle libere assemblee, pur nel quadro di una Chiesa nazionalista. Nascono gruppi religiosi antitetici come quaccheri o battisti, un variegato universo di idee anticonformiste capaci di mettere il mondo alla rovescia.; i ranters, caratterizzati da atteggiamenti eccentrici; seekers, propugnatori di una ricerca individuale e critica della verità. Il dibattito religioso arriva ai limiti della tolleranza religiosa. A Londra, gruppi radicali, come i livellatori, non solo propongono tolleranza religiosa, ma anche l’elezione di un nuovo Parlamento a suffragio generale maschile, sull’esempio olandese, con una evoluzione in senso democratico ed antiautoritario, propugnano radicali riforme economiche/sociali. Un movimento radicale, detto degli indipendenti, chiede lo scioglimento del Parlamento, la sua totale riforma ed il mantenimento della linea di fermezza nelle trattative con il re. La maggioranza parlamentare è invece favorevole a una conciliazione con Carlo I, che intanto cerca di prendere tempo nel tentativo di riorganizzarsi militarmente anche alleandosi con gli scozzesi. Nel 1647, la decisione parlamentare di sciogliere l’esercito suscita l’ammutinamento delle truppe; la protesta è guidata da Oliver Cromwell; nell’infuocato dibattito che ne segue vengono avanzate idee che ancor oggi sorprendono per la loro modernità: tutti i cittadini hanno uguali diritti politici e la conseguente facoltà di eleggere i loro rappresentanti, la sovranità risiede nel popolo, il potere della corona va molto limitato e la Camera dei Lord addirittura abolita. Nel 1647, Carlo I riesce a fuggire; mentre il parlamento soffoca le insubordinazioni nell’esercito e limita molto il potere dei livellatori. Nel 1648, un esercito scozzese invade l’Inghilterra, ma viene sconfitto dalle forze parlamentare che hanno ritrovato una temporanea unità di intenti. Però subito dopo questa vittoria, lo schieramento inglese torna a dividersi: l’esercito vuole processare il sovrano, mentre il Parlamento cerca nuovamente una possibile mediazione. Un reggimento dell’esercito «purga» il Parlamento espellendone gli elementi più conservatori; il sovrano viene processato, condannato a morte e decapitato, in nome del popolo il 30 gennaiona1649. Tre mesi dopo, il 13 maggio, la Camera dei Lord è abolita e proclamata la repubblica, il Commonwealth.
15-Il Seicento fra crisi e trasformazione.
Sul finire del Cinquecento una serie di cattivi raccolti causa una gravissima carestia che sfocia in un aumento del tasso di mortalità ed una diminuzione del tasso di natalità. Anche le epidemie di peste mietono numerose vittime, soprattutto nelle varie città europee. - Genova, Barcellona, Londra - Nel 1618, lo scoppio della guerra dei Trent’anni, che interessa Germania, Boemia, Danimarca, Francia e Italia, con il suo seguito di devastazioni ed epidemie aggrava la crisi demografica (per esempio in Germania si ha un calo della popolazione che, a seconda delle varie regioni, oscilla dal 10 al 50 %). Per tutto il Seicento vi è un calo demografico in tutto il continente ad eccezione delle isole britanniche, paesi scandinavi e Province Unite. Anche in Italia si registra una notevole diminuzione; l’Italia subisce un calo medio del 13 %. La stagnazione demografica è legata anche all’abbassamento dell’età al matrimonio: questo fenomeno accomuna Inghilterra, Francia e Province Unite. Per analizzare la stagnazione/diminuzione della popolazione nel Seicento bisogna partire dalle vicende dell’agricoltura europea. L’economista inglese Robert Malthus (1766/1834) mette in rilievo i limiti di un’espansione della produzione agricola basata sulla mera estensione dei terreni coltivati: la scarsità dei raccolti è da imputare all’arretratezza delle conoscenze tecniche e alla scarsezza di terra di buone qualità; si estendeva l’estensione dei terreni coltivati, ma si trattava di terre povere; per quanto riguarda le tecniche agrarie, la rotazione continua e la stretta integrazione fra allevamento e agricoltura sono note sin dal tardo Medioevo , ma non si diffondono fino al XVIII e XIX secolo. Secondo altri studiosi bisogna piuttosto guardare ad altri fattori di natura sociale e culturale come la polarizzazione della ricchezza, la sua concentrazione nelle mani di alcuni gruppi sociali. Le popolazioni urbane e rurali costrette a spendere per alimentarsi buona parte del loro reddito a causa dell’inflazione che ha fatto lievitare il prezzo delle derrate agricole. In campagna alla diminuzione dei redditi reali si aggiunge un aumento dei canoni di affitto dei terreni. Ad arricchirsi sono i medi e grandi proprietari terrieri i quali però non investono per aumentare la produzione. I ceti aristocratici, preoccupati di salvaguardare la propria preminenza sociali, cercano di mantenere integri i loro patrimoni; ricorrono al fedecommesso: un istituto giuridico che stabilisce la linea successoria, con divieto di vendita. I nobili sono più impegnati ad edificare palazzi e chiese e a costituire doti per le figlie. La scarsa diversificazione delle colture aumenta i rischi che uno scarso raccolto si trasformi in carestia, la diversità, invece, avrebbe potuto produrre una compensazione tra colture colpite da eventi atmosferici e altre meno colpite; la riduzione dell’allevamento, che diminuisce la disponibilità di concime per i campi, impoverisce il suolo = meno raccolto. Inoltre, il raffreddamento del clima iniziato alla fine del Cinquecento, e che si protrarrà sino a metà dell’Ottocento, - una piccola era glaciale - rende più frequenti le cattive annate agricole. Le rese agricole restano stazionarie o diminuiscono per tutto il Seicento. Si innesca un circolo vizioso: caduta della domanda / diminuzione dei prezzi delle derrate invendute, si torna anche all’allevamento, i pascoli, i boschi ed anche i terreni incolti aumentano. Nel Seicento si verificano mutamenti negli equilibri economici europei: non tutte le regioni reagiscono allo stesso modo alla crisi causata dalla diminuzione di domanda. In alcune regioni vi è un vero e proprio tracollo produttivo: manifatture tessili della Castiglia e della Catalogna a causa della concorrenza inglese e italiana; in Francia entrano in crisi le industrie laniere di Lione e Lilla. Nei Paesi Bassi, specialmente Bruges e Gand, ci si specializza in fabbricazione di tessuti di buona qualità e nella produzione del lino, mentre nel resto del paese si ha un declino demografico e produttivo della città manifatturiere. L’Inghilterra accresce notevolmente le proprie esportazioni di manufatti di lana colpendo notevolmente la produzione tessile dell’Italia. in particolare a Venezia cala da una media di 16.600 panni a 7979; cala anche a Milano e Firenze. La diminuzione del reddito di chi poteva comprare le stoffe di alta qualità italiane restringe la domanda che si sposta verso stoffe di bassa qualità e prezzo contenuto. Anche le manifatture seriche entrano in grave crisi ovunque, a Napoli così come a Lucca; tra le ragioni della crisi vi sono la diminuzione della quota di reddito che le famiglie abbienti possono destinare all’acquisto di panni di alta qualità italiani che causa una contrazione della loro domanda. Si rafforzano i produttori che riescono a diminuire i costi, specie quello della manodopera, -magari a scapito della qualità - Le manifatture italiane, che producevano stoffe di qualità, perdono competitività e diminuiscono. Di conseguenza, i pubblici poteri impongono misure protettive per salvaguardare le produzioni locali. Lo sviluppo delle manifatture inglesi e olandesi, e la crisi di quelle fiamminghe ed italiane ridisegna la gerarchia economia europea, non con un tracollo improvviso, ma con una progressiva perdita di un primato produttivo e commerciale. Elemento importante di questo mutamento è il quadro demografico; nell’Europa nord-occidentale cresce sia la popolazione, sia l’urbanizzazione; mentre nell’area mediterranea calano entrambi questi dati portando ad una contrazione della domanda urbana delle derrate agricole e conseguente a minor commerci. Venezia perde la sua centralità anche nel commercio delle spezie con il Levante; olandesi ed inglesi cominciano a circumnavigare l’Africa, violando il monopolio dei portoghesi, per raggiungere l’India e l’Estremo Oriente ed intensificano così i commerci con l’Asia. La guerra dei Trent’anni, bloccando il flusso di merci, dà il via al lento declino di Venezia. Anche Genova subisce gli effetti della stagnazione dei commerci mediterranei. Solo Livorno, grazie a sgravi fiscali, diventa un centro commerciale di olandesi, inglesi, francesi, che conquistano l’egemonia dei traffici mediterranei. Le esportazioni italiane sono sempre più rappresentate da derrate agricole e da materie prime, non più da manufatti. In questo periodo assume particolare importanza l’esportazione di seta grezza o semilavorata legata al largo sviluppo della gelsibachicoltura (grazie alle condizioni climatiche particolarmente propizie) e di alcuni centri manifatturieri, non più urbani, ma operanti nelle campagne (la materia prima viene dalle stesse zone rurali manodopera basso costo).
16-Divisione dei poteri, libertà, ricchezza: il modello di società
olandese e inglese. Tra il 1566 ed il 1648, la monarchia Asburgo di Spagna viene tenuta in scacco dalla rivolta dei Paesi Bassi; la vittoriosa resistenza delle Province Unite rappresenta una sconfitta delle ambizioni egemoniche europee degli Asburgo, confermando anche l’impossibilità di imporre la restaurazione del cattolicesimo. Nelle Province Unite, l’organizzazione dei poteri pubblici è basata sulla compartecipazione alle decisioni politiche dei vari corpi rappresentativi e delle élites locali degli Stati provinciali. Questo nuova repubblica non si basa sul modello di quelle tradizionali, Genova e Venezia, ma su quello più radicale delle cittadine protestanti e delle confederazioni ad esse legate - Ginevra -. I lunghi decenni di guerra antispagnola, consolida un sentimento anti dispotico, ed il desiderio di libertà di coscienza, a cui si affianca il principio della tolleranza religiosa. In Inghilterra, la nascita della repubblica, seguita alla guerra civile che ha contrapposto la monarchia degli Stuart al Parlamento, è il primo caso in cui il sistema repubblicano si instaura per via violenta - decapitazione di Carlo I in nome della volontà del popolo - in un grande paese europeo. Malgrado l’esperimento repubblicano inglese venga presto interrotto con la restaurazione degli Stuart, produce una consolidata e diffusa opposizione all’incremento dei poteri della corona, sottolineando la necessità di un nuovo equilibrio tra i poteri che salvaguardi i diritti fondamentali. Al contrario, in Francia il modello statuale punta al rafforzamento delle prerogative regie, all’imposizione di un modello religioso cattolico, all’accentramento amministrativo con nuove tasse La «nuova» repubblica inglese - Commonwealth - e la «vecchia» repubblica delle Province Unite, presentano tratti in comune. Entrambe accanto ad un organo rappresentativo - Parlamento / Stati generali -, va emergendo un potere esecutivo fondato sulla forza militare. Nelle Province Unite il legame Stati generali/forza militare ha origine nella lunga guerra contro la corona spagnola e al prestigio che in questo modo hanno saputo conquistare. Lo stadhouder Federico Enrico aveva assunto il ruolo di una sorta di monarca non ufficiale, tendendo a rafforzare il proprio potere a scapito degli Stati Generali; i dissidi nelle società degli Stati Generali sfociano in un conflitto che poi si risolverà con una pace con la corona spagnola e che farà riconoscere l’indipendenza delle Province Unite. La compresenza di questi due poteri esprime tendenze differenti: religiose (protestanti moderati /puritani); geografiche (Olanda/altre province); radicamenti sociali (nobiltà rurale/plebe urbana). Tuttavia è la forza del modello, pur richiamandosi all’esempio monarchico, che sottolinea la vitalità e la capacità della repubblica di garantire una partecipazione politica estrae al sistema monarchico. Una dialettica simile si manifesta, nella seconda metà del Seicento, anche in Inghilterra. Nel 1653, viene eletto un nuovo parlamento, «Parlamento dei Santi», in cui esponenti radicali si stringono attorno a Oliver Cromwell e lo eleggono Lord protettore della repubblica. Però l’equilibrio tra Parlamento e potere esecutivo/militare, del nuovo regime risulta precario. La carica di Lord protettore, legata alla personalità carismatica di Cromwell, mancava di una vera legittimità; alla morte di Cromwell (1658), il tentativo di trasferirla al figlio Richard ebbe breve durata. Nel 1660 viene ripristinato il parlamento sciolto nel 1653 e si apre la trattativa con la corona inglese: Carlo II torna sul trono. Questo compromesso porta alla restaurazione della monarchia, della camera dei Lord, e della Chiesa anglicana, ma garantisce anche la sopravvivenza di molte conquiste repubblicane. Rimane in vigore parte della legislazione del 1641/42; ma soprattutto il Parlamento vede riconosciuto il proprio ruolo di garanzia e di controllo, nonché la competenza in materia fiscale. Sul piano religioso, con l’Atto di uniformità, si cerca di riportare omogeneità di culto entro la Chiesa d’Inghilterra; si approvano leggi contro sette radicali, che restringono la libertà religiosa. L’idea di un ‘unica Chiesa inglese, che raccolga tutti i sudditi, è comunque ormai tramontata. A partire dal 1600 la crescita economica delle Province Unite è notevole. La repubblica diviene la maggior potenza marittima e commerciale, alla borsa di Amsterdam vengono valutati i prodotti che giungono da tutti gli scali mondiali. Il territorio delle Province Unite comprende il delta di tre importanti fiumi dell’Europa nord-occidentale - Schelda –Mosa- Reno - arterie di comunicazioni e di traffici fra territori tedeschi, francesi, fiamminghi ed il Mare del Nord e Mar Baltico. Prende vita una grande cantieristica navale all’avanguardia in Europa. Gli olandesi realizzano una vera egemonia nei commerci nei Mar del Nord e Baltico; esportano verso nord pesce, vino, sale e i prodotti coloniali provenienti dalla penisola iberica, dal baltico importano legname e grano che poi rivendono nell’Europa occidentale e meridionale. La fortuna dei mercanti olandesi sta nella loro capacità di riesportare, dopo aver riconfezionato, quanto avevano importato dagli angoli del globo. Il sistema finanziario e creditizio costituisce, grazie anche ad un elevato livello di monetizzazione, un altro punto di forza del primato economico delle Province Unite. Nella capitale olandese sorge la Banca dei Cambi - monete/banconote -, e la Borsa dove sono quotate merci di ogni genere e luogo. Nel settore manifatturiero si sviluppa la produzione di tessuti di lana e di seta; sorgono saponifici, fabbriche di mattoni, segherie, cartiere tutte alimentate dall’energia eolica fornita da molti mulini. La crescita demografica è alimentata anche dall’immigrazione di protestanti di terre occupate dagli spagnoli, di puritani inglesi e ugonotti francesi; questo grazie al clima di relativa tolleranza che vige nella repubblica olandese e che consente un afflusso di manodopera qualificata ed intraprendente. Dopo aver cominciato spingersi nel Mediterraneo esportando il grano polacco in Italia, gli olandesi diventano protagonisti di una rapita penetrazione economia nel Levante. Ma la vera svolta mercantile è il commercio delle spezie orientali. Nel 1591, Filippo II aveva stipulato un contratto di esclusiva coi mercanti tedeschi, spagnoli e italiani che gli assicurava l’esclusiva sulla commercializzazione del pepe importato a Lisbona. Quindi, gli olandesi cercano contatti diretti con le terre di produzione di questa preziosa spezia, in Asia. Nel 1596, fondano la loro prima base commerciale a Giava in Indonesia; negli anni successivi sorge la Compagnia Unita delle Indie Orientali, - VOC - una struttura di tipo federativo divisa in sei camere che rappresentano i sottoscrittori del capitale inziale e che ottiene dal governo olandese non solo il monopolio dei commerci nell’area fra Africa ed Asia, ma anche una propria autonomia politico/militare per difendere i propri interessi. La VOC stabilisce un saldo controllo non solo sul commercio, ma anche sulla produzione delle spezie imponendo nei suoi vari insediamenti coloniali monocultura specializzate e obbligando le popolazioni indigene a lavorarvi in schiavitù; nel resto dell’Asia, la politica della Compagnia passa per la stipula di accordi con le autorità locali. Dopo aver insediato numerose basi commerciali e militari la VOC stipula accordi con vari Stati - Persia, Giappone - che le assicurano il monopolio. Nel 1621, viene fondata la Compagnia delle Indie Occidentali - WIC - che ha come scopo quello di condurre un’aggressiva politica commerciale e coloniale ai danni della monarchia spagnola in Africa occidentale ed in America. Le navi della WIC danno luogo ad una autentica guerra di corsa contro i galeoni spagnoli che trasportano l’argento americano; poi conquistano buona parte delle colonie portoghesi in Brasile tra il 1630 e 1641. Però con il distacco del Portogallo dalla corona spagnola (1640) i portoghesi riconquistano tutte e le loro colonie e la WIC inizia la sua parabola discendente. Alla base del successo economico delle Province Unite vi è una società con caratteristiche particolari, insolite per quei tempi. Accanto all’aristocrazia locale che non costituisce più il fulcro della vita sociale, crescono ricche borghesie cittadine che cominciano a prosperare. All’interno della società predomina il metodo degli accordi tra soggetti autonomi che si riconoscono reciprocamente di pari livello, non vi sono subordinati o vassalli. La società appare aperta e tollerante, la classe dirigente - i reggenti - integra tra le proprie file gruppi professionali, impiegati pubblici, gruppi di artigiani, ma anche la nobiltà rurale che finisce per aprirsi, con matrimoni, alla ricca borghesia. La classe dirigente ha saputo contemperare particolarismi e privilegi con la necessaria apertura al mercato. In questa repubblica si contestano le pretese spagnole e portoghesi del monopolio della navigazione e si rivendica la libertà di navigazione, di pesca e di commercio gettando le basi di un diritto originario e naturale delle nazioni; lo scrittore Thomas Mun inizia una vera e propria campagna antiolandese, ribadendo le tradizionali tesi del dominio delle nazioni sui propri mari nel Mare clausum. Anche gli inglesi guardano alle Province Unite con un misto di gelosa ammirazione e irritata invidia. Nel campo della cultura e dell’arte, l’attenzione per la vita di tutti i giorni rappresentata dai quadri famosi di Rembrandt o di Vermeer esprime i gusti della ricca borghesia mercantile, mentre l’uso della matematica e della geometria sostiene la diffusione della scienza e delle tecniche. L’evoluzione di telescopi e microscopi consentono all’astronomia ed all’anatomia nuove scoperte, la fiorente industria della stampa contribuisce alla diffusione della cultura e delle notizie. L’industria della stampa è fiorente in Olanda, dove si pubblicano insieme una grande quantità di opuscoli, gazzette. Nella seconda metà del Seicento, le Province Unite cominciano a risentire la presenza di un serio competitore economico: l’Inghilterra che ha accresciuto le proprie capacita commerciali/ industriali A Londra sono nate: la Compagnia del Levante (1581) e la Compagnie inglese delle Indie (1600) a cui la corona ha concesso il monopolio commerciale in determinate aree del globo. Nel 1651, il Parlamento promulga una legge -Navigation Act - allo scopo di favorire e proteggere lo sviluppo della marina e i traffici inglesi che sono ancora deboli a confronto con quelli olandesi. In questo periodo storico si parla di mercantilismo. Le misure volte a proteggere gli spazi interni dalla concorrenza estera e quelle volte a promuovere lo sviluppo economico cercano di coniugare politica di potenza e benessere della comunità. Le politiche mercantilistiche di Francia ed Inghilterra mettono in difficoltà l’economia olandese; tutti i settori economici- finanziario, commerciale e manifatturiero - subiscono una contrazione. Anche la piccola repubblica finisce coll’adeguarsi alla politica protezionistica europea. In ultimo, la politica espansionistica del re di Francia Luigi XIV verso i Paesi Bassi spagnoli, spinge le Provincie Unite ad allearsi con Svezia ed Inghilterra (1668). Quando la Francia invade la Province Unite nel 1672 esplodono rivolte contro il governo, un terremoto politico interno. La struttura sociale inglese si presenta, alla metà del XVII secolo, più complessa di quella olandese. Al vertice una articolata nobiltà - titolati, cavalieri, scudieri - divide una ricchezza che permette loro di dedicare il tempo allo svago o al servizio della comunità; nelle campagne proprietari non nobili e piccoli proprietari terrieri, poi i lavoratori agricoli ed i servi. Nella città esistono, Londra, comunità mercantili, uomini di professione ed un complesso e combattivo universo artigianale. Nel tardo Seicento incomincia a delinearsi una distinzione di interessi terrieri e rurali e quelli commerciali ed urbani. La vendita delle terre della Chiesa anglicana e dei possedimenti della corona aveva dato vita ad una disponibilità fondiaria che finì per favorire il ceto dei possidenti medio - alti, danneggiando invece i piccoli proprietari e affittuari. Inoltre una pesante tassazione sulla terra svolge un ruolo di selezione dell’investimento terriero a favore delle terre ben coltivate. La crescita della ricchezza avviene in contemporanea con l’espansione navale cresce la ricchezza di chi ha interessi commerciali e manifatturieri. Cresce l’importanza dei porti e delle comunità mercantili di Londra, Glasgow, Bristol, Liverpool. I proprietari terrieri chiedono di spostare la tassazione sulle nuove ricchezze mobili. Il ventennio rivoluzionario 1640/60, costituisce per la società inglese uno spartiacque: la rottura degli schemi autoritari e delle rigidità sociali. L’affermarsi della lingua inglese al posto di quella latina, contribuisce all’ampliamento della possibilità di lettura, anche grazie alle gazzette, giornali.Anni di libera sperimentazione creano un clima positivo nei confronti di cambiamenti e novità. Si giunge a rifondare le basi della convivenza civile; con Thomas Hobbes, lo Stato perde il suo fondamento di diritto divino per rivelarsi un prodotto umano, un male necessario. Esso si fonda sul monopolio della forza che i cittadini cedono all’autorità in cambio della difesa delle proprie persone e dei propri beni. L’assolutismo trova così giustificazione razionali, mentre perde il suo fondamento di legittimità sacrale.
17-La monarchia di Luigi XIV: l’Europa all’epoca della
preponderanza francese. Alla morte del cardinale Mazzarino ( 10 marzo 1661), Luigi XIV - Re Sole - dichiara di voler governare direttamente; finisce il governo tramite un ministro fiduciario dotato di pieni poteri. La decisione del sovrano francese sarà imitata da tutte le principali monarchie perché i regimi a fazione unica, quella che governa in nome del re di cui gode la fiducia, metteva a rischio la monarchia stessa. Nel mezzo secolo in cui regna Luigi XIV, viene forgiato un sistema di governo in cui si evidenzia la potenza assoluta della volontà sovrana, sistema di potere che verrà poi chiamato «assolutismo». Le azioni di Enrico IV e Luigi XIII raggiungono il culmine con Luigi XIV. La scelta di Re Sole di governare direttamente è solo una delle novità introdotte dal sovrano. Al centro della politica di Luigi XIV sta il disegno di sostituire all’egemonia asburgica sull’Europa quella francese ergendosi a difensore della fede cattolica per legittimare questa azione politica. A tale disegno, articolato e complesso, il Re Sole si dedicherà con tenacia per decenni. Primo passo è la creazione, da parte del ministro della guerra François Le Tellier, di un esercito stabile e ben armato da usare sia contro il nemico esterno, sia contro eventuali ribellioni di sudditi francesi. Prospettando la pacificazione interna e l’espansione militare esterna, Luigi XIV riesce ad ottenere il consenso dei ceti dirigenti del paese. Tale politica però causa un sempre più gravoso carico fiscale sulla popolazione francese si verificano fenomeni di renitenza e diserzione. La prima direttrice della politica espansiva francese è quella verso est e verso nord-est. Il sovrano francese rivendica il diritto di successione al trono asburgico sia in quanto figlio di Anna d’Asburgo -sorella di Filippo IV- sia per aver sposato Maria Teresa, - figlia di Filippo IV -. Alla morte di Filippo IV d’Asburgo (1665), la reggenza passa a Marianna d’Austria madre di Carlo II ancora bambino; Luigi XIV cerca di approfittare di questo momento di incertezza e divisione interna alla monarchia spagnola facendo occupare dalle proprie truppe i Paesi Bassi spagnoli e la Franca Contea. Le Province Unite però non accettano l’espansione francese preferendo appoggiare la corona spagnola; nasce un’alleanza con Inghilterra e Svezia che costringe il Re Sole alla pace di Aquisgrana (1668) in cui ottiene solo alcuni territori delle Fiandre. L’espansionismo francese dà vita ad una reazione internazionale: nel 1672, dopo essersi assicurato la neutralità dell’imperatore, il Re Sole fa invadere le Province Unite dalle truppe francesi; a difesa delle Province Unite intervengono l’impero e la corona spagnola. il Alla fine la Francia ottiene la Franca Contea, la l’integrità territoriale delle Province Unite è salvaguardata. Nel 1680/83, Re Sole annette al suo regno Alsazia e Strasburgo. Solo l’assedio delle truppe ottomane a Vienna sospende questa politica di annessione; però nel 1684 la flotta francese bombarda Genova - che sosteneva finanziariamente la corona spagnola - per convincerla ad accettare la protezione francese in funzione anti spagnola. Nel 1685, si forma un’alleanza antifrancese: la Lega di Augusta, a cui aderiscono: l’Impero, la monarchia spagnola, la Svezia, le Province Unite, l’Inghilterra e il ducato di Savoia. Dopo una lunga guerra (1688 al 1697) la Francia deve cedere i territori annessi/ e conquistati, mantenendo solo Strasburgo. Nel 1700, alla morte di Carlo II d’Asburgo Luigi XIV cercherà di imporre al trono spagnolo il nipote Filippo Borbone duca d’Angiò - Filippo V (1700/46) -. La politica di espansione francese con le conseguenti guerre, aggrava la situazione del debito finanziario dello stato a cui si cerca di porre rimedio riorganizzando il sistema di riscossione delle imposte e aumentandole contemporaneamente; tuttavia l’indebitamento statale non diminuisce. Jean-Baptiste Colbert (1619/83), controllore generale delle finanze, ha il compito di razionalizzare e riorganizzare il sistema finanziario e tributario del regno- periodo del colbertismo - sostiene la pratica mercantilistica concedendo monopoli ai privati per rafforzare settori ritenuti strategici per l’economia; nutre fiducia nel commercio internazionale come mezzo per attrarre metalli preziosi in Francia; tassa i costosi prodotti lavorati provenienti dall’estero, nel contempo riduce i dazi doganali sulle materie prime importante per favorire le lavorazioni interne. Con questa sua politica protezionistica egli vuole scoraggiare l’acquisto di prodotti esteri; a tal fine sostiene anche la creazione di numerose manifatture interne che portino al Francia all’autosufficienza; uffici regi appositamente creati sono incaricati di controllare la lavorazione e di denunciare le eventuali contravvenzioni alle norme. Ma spesso queste manifatture hanno vita stentata e non corrispondono alle aspettative di Colbert, le uniche manifatture che prosperano producono armamenti per l’esercito e materiale per la marina. Il settore navale è fortemente sostenuto perché solo la creazione di una marina in grado di competere con quella inglese e olandese può imporre la Francia nei traffici internazionali. Nel 1664, vengono costituite la Compagnia delle Indie Orientali e quella delle Indie Occidentali che ottengono il monopolio dei commerci nelle rispettive zone di competenza ( Capo di Buona Speranza, Canada, Antille, America Meridionale, Africa Occidentale). Queste compagnie sono autorizzate dal sovrano a concludere accordi diplomatici ed azioni militari. A differenza però delle altre simili compagnie europee formate esclusivamente da mercanti, fra gli azionisti di quelle francesi ci sono il sovrano, membri della famiglia reale, ministri, aristocratici, cortigiani. Sono in sostanza sotto il diretto controllo della corona francese. Luigi XIV si propone come un re guerriero circonfuso da un’aura di vittoria; ma Re Sole vuole anche essere un re cattolico la cui azione è volta a restaurare una identificazione tra potere politico e potere religioso, aspirando a diventare, nei fatti, il capo della Chiesa francese. Riscoprire la tradizione sacra dei sovrani di Francia, significa restituire al trono una fonte di legittimazione. Questa sua posizione, ovvero non accettare alcuna subordinazione al papato, provoca durissimi contrasti con la Curia papale. Nel 1681, convoca un sinodo gallico che approva i Quattro articoli con cui viene stabilito: il sovrano e i governanti laici non sono soggetti all’autorità ecclesiastica negli affari temporali; - la superiorità dei concili sui pontefici, - come era stato stabilito del Concilio di Costanza; - il sovrano deve esercitare la sua autorità in conformità delle tradizioni galliche; - le decisioni del Papa possono esser considerate definitive solo se approvata dalla Chiesa tutta. Nel 1688, Luigi XIV viene, in segreto, scomunicato; e solo nel 1692 viene raggiunto ad un compromesso fra il sovrano ed il nuovo papa, Innocenzo XII (1691/1700). Negli anni precedenti, a partire dal 1679, Luigi XIV aveva anche incoraggiato soprusi e danni alle comunità protestanti: espulsione degli ugonotti dagli uffici pubblici, demolizione degli edifici di culto e divieto di cerimonie pubbliche e private degli ugonotti. Tutto ciò causerà l’esilio di circa 200.000 ugonotti verso l’Olanda, la Svizzera, l’Inghilterra e la Germania; però questo priverà la Francia di intelligenze/capacità professionali essendo la maggior parte degli espulsi ottimi artigiani. L’intransigenza del sovrano francese nel riaffermare l’ortodossia cattolica lo porterà anche a cercare di reprimere una corrente interna alla Chiesa cattolica francese: il giansenismo, che prende il nome da Cornelio Giansenio, che predicava il ritorno ad una spiritualità personale ed austera, ad un più puro ritorna al cattolicesimo delle origini. Contro i giansenisti, il Re Sole si mostrerà più intransigente del Papa, il quale comunque scomunicherà poi il movimento giansenista come eretico con la bolla papale Unigenitus nel 1713. Luigi XIV è molto attento a eliminare quei poteri che possono essere concorrenti all’autorità sovrana. Stabilito il ritorno al governo diretto del sovrano, egli cerca di integrare l’aristocrazia offrendole maggiori occasioni di servizio nell’esercito, nella marina e nell’amministrazione. La reggia di Versailles diviene un notevole polo di attrazione per tutti i nobili; -una gabbia dorata -; ma il sovrano più che costringere cerca di convincere la nobiltà ad assecondare la sua politica. Luigi XIV favorisce famiglie dedite da generazioni al servizio della corona valutate più affidabili. Con Bretagna e Linguadoca, territori che conservano ampia autonomia amministrativa, il re mantiene una politica di trattativa mirando ad ottenere il massimo di contributo finanziario. Nei confronti del Parlamento parigino, il sovrano si mostra inflessibile nell’impedire forme di ingerenza nelle sue scelte politiche, su altre questione adotta una strategia duttile, di mediazione e nel 1673 toglie ai Parlamenti del regno diritto di rimostranza. Però di fronte a atti di insubordinazione vengono presi provvedimenti molto severi, esemplari. Il modello di monarchia realizzato in Francia viene presto adottato anche da altri sovrani. Nel ducato Brandeburgo Prussia sorto nel 1525, sotto Federico Guglielmo, la nobiltà terriera viene strettamente coinvolta nella creazione di un esercito permanente e nel rafforzamento degli apparati statali; tale tendenza viene accentrata dal figlio Federico. Anche in Russia, sotto Pietro I Romanov detto il Grande, si assiste al rafforzamento ed ammodernamento dell’esercito e della marina e sul piano interno, lo zar cerca di coinvolgere, seppur con scarso successo, l’aristocrazia sia nel nuovo esercito sia nell’apparato statale per renderlo efficiente. Anche il controllo della monarchia sulla Chiesa ortodossa rimane ferreo arrivando all’allontanamento e persecuzione dei religiosi che non voglio sottomettersi all’autorità dello zar. Infine, grazie all’intervento diretto dello Stato, viene dato un forte impulso all’attività estrattiva e metallurgica nella regione degli Urali.
18-La seconda rivoluzione inglese e l’affermazione della
potenza britannica. In Inghilterra, a partire dagli anni settanta, ritorna una diffidenza, a causa di questioni religiose e politiche, tra Carlo II Stuart e il Parlamento. Il Parlamento sospetta che il sovrano voglia riafferrare una politica filo cattolica; quando Giacomo duca di York, successore al trono, si converte al cattolicesimo, riprende una sorda ostilità. Nel 1673, il Parlamento approva il Test Act, una legge che esclude per150 anni i cattolici da tutte le cariche civili e militari, - Giacomo Stuart deve abbandonare la carica di grande ammiraglio-; poi una seconda legge che esclude i lord cattolici dalla Camera alta. Una presunta congiura papista per assassinare il sovrano accentua le tensioni e viene sfruttata dai whig (termine che indicava originariamente i presbiteriani scozzesi che rifiutavano di sottometterti agli Stuart). In Parlamento l’opposizione Whig - mercanti ed aristocratici che si oppongono a Carlo II - cerca di far approvare una legge per escludere Giacomo dalla successione (atto di esclusione); la legge viene però respinta dai Tory (che significava originariamente “bandito”) - il partito di corte-. Nel 1683, dopo aver scoperto una congiura per assassinarlo da parte di estremisti Whig, Carlo II dà vita ad una dura repressione degli oppositori politici. Con la salita al trono di Giacomo II, che nomina ufficiali dell’esercito di fede cattolica, i contrasti con i lord puritani cresce ulteriormente; contemporaneamente Luigi XIV revoca l’editto di Nantes avviando una nuova fase di conflitto religioso. La rottura definitiva avviene quando la corona abolisce il Test Act, concedendo ai cattolici libertà di culto (Dichiarazione di Indulgenza). Per superare ogni opposizione Giacomo II scioglie il Parlamento. A questo punto sia i whig che i tory chiedono soccorso a Guglielmo III d’Orange d’Olanda che aveva sposato Maria Stuart, figlia di Giacomo II, ma di fede protestante. Giacomo II fugge in Francia, mentre nel frattempo, nel 1689, Guglielmo III sbarca in Inghilterra e raggiunge Londra dove viene proclamato sovrano assieme alla moglie; Sia i Whig che i Tory ritengono che Giacomo II abbia infranto il contratto tra monarchia e popolo. Guglielmo e Maria, accettando il Bill of Rights - Dichiarazione dei diritti - in base al quale il Parlamento diventa l’organo rappresentativo con piena podestà legislativa e facoltà esclusiva di imporre tasse -, rafforzano la stabilità della nuova corona, confermata dalla sua tenuta nel reprime nel sangue sia l’insurrezione in Scozia, dei seguaci di Giacomo II, sia quella dei cattolici in Irlanda. Il cambio di dinastia, caduta degli Stuart / ascesa di Guglielmo e Maria d’Orange, viene definita come «rivoluzione gloriosa e pacifica» , essendo stato relativamente consensuale e non violento. Con la cosiddetta «seconda rivoluzione inglese » si stabilizza l’idea di un potere condiviso tra popolo, rappresentato dal Parlamento, ed il sovrano. Al re non è consentito di sciogliere le Camere; cade l’idea di sovranità per diritto divino e di potere assolutistico, mentre si afferma quella di un patto tra il re e i cittadini inglesi che sancisca la separazione dei poteri legislativo/esecutivo, la libertà di parola, di stampa e di culto. Con il Toleration Act del 1689: - si abrogano le leggi contro conformisti, puritani e quaccheri, -ma non contro i cattolici; - si sancisce l’intangibilità della proprietà privata e l’inammissibilità di un esercito permanente in tempo di pace. Il sovrano mantiene: - il diritto di veto sulle leggi approvate dal Parlamento, controbilanciata dall’approvazione del bilancio di Stato da parte del Parlamento; - la direzione della politica estera e la nomina dei ministri, che sono però soggetti al giudizio politico del Parlamento. Il Parlamento con l’Act of settlement (1701) esclude i cattolici (Giacomo Edoardo) dalla successione dinastica. Alla morte di Guglielmo sale al trono Anna, altra figlia di Giacomo II, poi il trono passa agli Hannover. Guglielmo I di Hannover, (1660/1727) si trova ad affrontare nel 1715, l’insurrezione della Scozia che contesta l’incorporazione/fusione del 1707 con l’Inghilterra (Union Act); l’aristocrazia ha ottenuto solo una rappresentanza minoritaria nel Parlamento di Londra,16 posti fra i lord, 45 nella camera bassa. Inizia un lungo periodo di predominio dei Whig nel Parlamento inglese dove i raggruppamenti politici, antenati dei moderni partiti, si contendono l’egemonia. Giorgio I, tedesco estraneo alla politica inglese, delega largamente il potere esecutivo ai ministri scelti tra i Whig; il più importante è Robert Walpole (1675/1745); egli diventa il solo contatto fra il sovrano e gli altri ministri riscendo così ad influire fortemente sulle decisioni del consiglio; il governo diventa un’istituzione distinta dalla corona, che ne mantiene il diritto di nomina, ma anche di fronte al Parlamento, che deve votargli la fiducia. Nasce in questo modo la figura del primo ministro che non è solo amico personale e fiduciario del sovrano ma anche capo della maggioranza parlamentare da cui deve ottenere la fiducia per poter governare. Ora il re regna, ma non governa: è garante delle istituzioni e simbolo dell’identità nazionale. Durante il XVIII secolo Whigs e Tories cominciano ad alternarsi al governo; i Whig appoggiati dai ceti più dinamici, i Tory dall’aristocrazia fondiaria più tradizionale; tutto questo in un sistema elettorale ancora molto imperfetto -vota solo che ha un reddito, manca proporzionalità elettori/eletti. Comincia a prendere vita la dialettica parlamentare moderna: una maggioranza che governa -in accordo con il sovrano- attraverso il primo ministro ed il suo governo; una minoranza che esercita una funzione di controllo; l’accettazione da parte di tutti delle regole del gioco. I membri del partito contrario non sono più nemici, ma soltanto avversari con cui competere per governare. Contro la giustificazione razionale dell’assolutismo elaborata da Hobbes nel 1688/89, John Locke nel 1690 contrappone uno Stato con poteri limitati, che deve innanzi tutto garantire i diritti fondamentali dell’individuo: libertà di stampa, di parola, di religione; diritto alla proprietà ed eguaglianza di tutti di fronte alla legge. Il compito dello stato è di difendere questi diritti. La ribellione contro l’assolutismo è giustificata e per evitare questo occorre che i poteri siano separati - legislativo, esecutivo, giudiziario - e posti in mani diverse che si contrappongano e si bilancino a vicenda. Anche la religione non sfugge a questa ondata razionalistica e la Bibbia stessa viene sottoposta ad una nuova severa analisi che porta ad accettarne delle parti, a criticarne o rifiutarne delle altre. Nel XVIII secolo, il Regno Unito, unico Stato in cui esista una simile dialettica politica, diventa uno Stato a cui guardare con ammirazione, sia per il suo sistema di poteri divisi, sia per le libertà garantite, sia per la rappresentatività bicamerale. Quando, nel Regno Unito, al particolare sistema politico si unirà anche il fascino della grande potenza commerciale, marittima e militare, l’anglomania dilagherà in Europa. Nel continente sono sempre più in disuso le antiche istituzioni rappresentative dei ceti, la pressione dell’opinione pubblica incomincia a farsi sentire attraverso i libri, le gazzette e la diffusione di pamphlets (fogli a stampa volanti, anonimi); mentre la discussione politica avviene in luoghi informali quali i caffè ed i salotti in cui si confrontano le opinioni di gruppi sociali. Prendono vita anche società segrete tra cui si distingue la Massoneria, - nata a Londra nel 1717 e formalizzata con la promulgazione della “Constitutions of the Freemasons” nel 1723- si richiama alla tradizione delle corporazioni di mestieri del Medioevo. Si tratta di una associazione di eletti dello spirito, che rifiuta discriminazioni di nascita, si ispira ad idee di pace, fratellanza, tolleranza e pratica una mutua solidarietà tra i propri membri. Risulta divisa in varie sette con ideologie diverse, ma accumunate da rituali di stampo religioso. La massoneria si diffonde ampiamente in tutta l’Europa con l’apertura di varie logge; poi raggiunge l’America. Dove non esiste la libertà di stampa e di associazione la sua attività si svolge nascostamente, venendo a volte tollerata, a volte repressa e qualche volta utilizzata dalle autorità per i suoi fini.
19-Il gioco delle dinastie: i nuovi assetti politici europei nella
prima metà del Settecento. Il XVIII secolo si apre con una lunga e quasi interrotta serie di conflitti politici. Lo scopo non era più quello di difendere «la vera fede», ma mantenere l’equilibrio fra i diversi attori politici europei. Queste guerre rispondono all’esigenza di mantenere o stabilire interessi territoriali e dinastici. 1) Nel teatro continentale la presenza della Francia va a sostituire quella della Spagna, che non è più la potenza di riferimento, ma un paese in declino sociale e politico; in seguito alla pace dei Pirenei la Spagna è diventata il grande malato dell’Europa. 2) Appaiono anche altre aggressive potenze: Inghilterra, Province Unite, Russia, Svezia, Prussia. 3) L’instabilità politica di quegli anni è alimentata anche dal conflitto tra il principio di legittimità dinastica, della potenza assoluta, e la resistenza dei poteri territoriali. Da un lato i sovrani tendono ad intervenire maggiormente sui propri complessi dinastici, sulle forme istituzionali; dall’altro i vari territori esigono che vengano rispettate le proprie esigenze e prerogative. L’idea che un sovrano, anche se non nato in quello Stato, deve rispettare le tradizioni, i costumi le tradizioni del territorio. Essendo Carlo II d’Asburgo privo di discendenza vengono siglati accorti per la spartizione del suo regno tra gli Asburgo d’Austria e la Francia di Luigi XIV. Ad Inghilterra e Province Unite interessano i mercati delle colonie americane della Spagna, ma le potenze europee non riescono ad accordarsi nella spartizione dei territori. Quando però, nel 1700, Carlo II designa proprio erede Filippo d’Angiò, - Filippo V di Spagna, nipote di Luigi XIV, si realizza un asse franco-spagnolo; contro questo schieramento Leopoldo I d’Asburgo, che rivendica la corona di Spagna, convince Inghilterra e Province Unite a formare con lui una coalizione, l’Aja contraria all’insediamento sul trono iberico di Filippo V, a cui aderiranno anche Prussia, Portogallo, ducato di Savoia e principi tedeschi. Le operazioni belliche, iniziate nel 1702, volgono a favore dello schieramento antifrancese. In Catalogna scoppia una ribellione contro Filippo V; in Italia gli austriaci sconfiggono le truppe franco-spagnole; la flotta inglese occupa Gibilterra, l’isola di Minorca e consente l’occupazione asburgica della Sardegna. Quando però muore Giuseppe I, -1711- e sale al trono Carlo VI, candidato anche al trono spagnolo, la coalizione che combatte i Borbone si sfalda perché molti sono contrari al ruolo egemone che Carlo VI potrebbe assumere in Europa. Gli alleati abbandonano Carlo VI e concludono con i Borbone e con i trattati di Utrecht e di Rastadt -1713/14- , la Spagna, e le sue colonie americane, vengono assegnate a Filippo V Borbone che si impegna a non riunire i territori spagnoli alla corona francese, l’Inghilterra ottiene Gibilterra, importanti territori nell’America settentrionale – Terranova e Nuova Scozia (Canada Atlantico), oltre al lucroso asiento: appalto del commercio degli schiavi nelle Americhe. All’impero austriaco vanno i Paesi Bassi meridionali, il regno di Napoli, il regno di Sardegna, lo stato di Milano; il ducato di Mantova viene annesso al milanese ed inizia il periodo dell’egemonia austriaca in Italia, finisce quella spagnola. Il duca di Savoia ottiene il regno di Sicilia, e può quindi ora fregiarsi del titolo regio. Ma questa radicale nuova spartizione dell’Europa, viene poco dopo rimessa in discussione; Filippo V tenta la riconquista dell’Italia, cercando di occupare Sardegna e Sicilia. Una violenta reazione internazionale stronca questo tentativo spagnolo e tutto viene riconfermato. L’unica novità, data l’incapacità dei Savoia a difendere la Sicilia, è l’assegnazione della Sicilia all’imperatore, mentre ai Savoia viene ceduta la Sardegna. Il caso della rivolta in Catalogna mostra bene come esistano possibilità di resistenza dei territori; d’altra parte in uno Stato conquistato con la forza, il principe dispone di una maggior libertà di intervento perché il così detto diritto di conquista lo esime dal rispettare i privilegi e i contratti stipulati dai suoi predecessori. Tutto può essere rinegoziato premiando chi lo ha sostenuto. In Spagna, Filippo V decide di avviare un processo di unificazione politico amministrativa delle corone di Castiglia e d’Aragona riducendo il grado di autonomia dei due singoli regni cattolici (Nueva planta); questo favorirà il sorgere di due schieramenti: l’uno che sostiene il modello di Stato centralizzato, - élites castigliane - l’altro - gruppi dirigenti provinciali - che cerca di tutelare le autonomie locali. Anche in Inghilterra, Anna Stuart avvia un processo di integrazione di Scozia e Inghilterra, dall’unione dei due regni nascerà la Gran Bretagna. Tale unificazione comporta l’annessione della Scozia che perderà la propria autonomia giuridico amministrativa -anche il Parlamento, con adesione al quello britannico; per molti scozzesi questa apparirà come un sopruso inaccettabile. La Scozia si ribellerà due volte in trent’anni - 1714 e 1745 - in nome dei propri diritti e di una identità separata. Anche in Irlanda si verificano episodi di ribellione contro il dominio inglese, che getterà le basi necessarie a dar vita al movimento indipendentista irlandese del XIX secolo. Anche per il controllo del Mar Baltico, un’area importante per i traffici commerciali marini dell’Europa nord-orientale, si susseguono guerre. Dal 1655 al 1660 l’egemonia in quest’area era stata assunta dalla Svezia sotto la dinastia Vasa. Ma la nobiltà della Livonia - Estonia/Lettonia - mal sopportava la corona svedese e chiese aiuto allo Zar, Pietro il Grande, il quale, alleandosi con Danimarca e Polonia, attacca la Svezia. A sorpresa, il giovane sovrano svedese Carlo XII, con il sostegno di Gran Bretagna e Province Unite, riesce a sconfiggere la Danimarca ed invade la Polonia. Ma viene sconfitto dalla nascente potenza militare russa; così, mentre la Russia entra a far parte delle grandi potenze europee, la Svezia vede declinare il suo controllo del mar Baltico, ed il suo ruolo politico-militare nell’area. Anche la guerra di successione polacca evidenzia l’instabilità politica di questa zona dell’Europa. La Svezia con la pace di Nystadt si trova costretta a cedere i suoi possedimenti in Germania all’Hannover, alla Prussia e alla Danimarca. La morte di Augusto II (1733), Stanislao Leszczynski, che era già stato sostenuto dalla Svezia, avanza nuovamente pretese di successione al trono appoggiato dalla nobiltà polacca e dalla Francia - Luigi XV ha sposato la figlia di Stanislao (1725) -; contro di lui si pone Augusto III, figlio del defunto sovrano, appoggiato dalla Russia che invade la Polonia. I Borbone di Francia e di Spagna si alleano contro gli Asburgo; i francesi invadono la Lorena e Milano, gli spagnoli la Sicilia, Napoli. La successiva pace di Vienna (1738) stabilisce: - il trono polacco viene attribuito ad Augusto III; - a Stanislao Leszczynski viene riconosciuto, solo a titolo vitalizio - alla morte toccherà alla figlia -, il ducato di Lorena; - a Francesco, marito di Maria Teresa figlia di Carlo VI, in cambio del ducato di Lorena, viene dato il granducato di Firenze, - estintasi la dinastia dei Medici -; - a Carlo Borbone, figlio di Filippo V di Spagna, vengono attribuiti i regni di Napoli e di Sicilia. Nel 1740, alla morte di Carlo VI, l’erede designato al trono degli Asburgo era Francesco di Lorena, marito di Maria Teresa, figlia di Carlo VI; a Maria Teresa sarebbero spettate Austria, Boemia, Ungheria. Ma i sovrani di Sassonia e Baviera avanzavano pretese sui territori austriaci e rifiutano di riconoscere la “Prammatica sanzione” (proclamata da Carlo VI con cui aveva modificato la legge di successione, privilegiando la discendenza diretta), con l’appoggio di Francia, Spagna, Prussia e Sardegna sostenevano al trono Carlo Alberto di Baviera. A questo punto i prussiani occupano la Slesia, i francesi e bavaresi la Boemia. Per dividere la coalizione avversa Maria Teresa concede la Slesia alla Prussia; mentre con abile diplomazia riesce ad ottenere l’appoggio di Inghilterra, Province Unite e regno di Sardegna. Poi ottiene successi militari in Germania e nei Paesi Bassi. In Italia, mentre il regno di Sardegna deve fronteggiare l’offensiva francese, l’Austria occupa la repubblica di Genova, alleata con la Francia; scoppia la rivolta popolare della popolazione genovese. - Il lancio di una pietra da parte di un ragazzo, Gian Battista Perasso detto il Balilla, contro gli invasori austriaci, in seguito sarà considerato come uno dei primi segni di risveglio di una coscienza nazionale italiana. Tutte le principali potenze europee cercano di bilanciare e controbilanciare continuamente le forze dei contendenti per evitare che una singola potenza prenda decisamente il sopravvento sulle altre. Con la pace di Aquisgrana (1748) si conclude la guerra di successione austriaca: - la Prussia conquista la Slesia; vi sono alcuni piccoli vantaggi territoriali per il regno di Sardegna; il ducato di Parma e Piacenza viene affidato al secondogenito di Filippo V di Spagna; Maria Teresa attiene la successione ai domini asburgici e la contemporanea elezione del marito Federico al trono imperiale. Va infine sottolineato che episodi come la rivolta genovese evidenzino come certe logiche dinastiche contrastino con l’identificazione delle popolazioni in istituzioni territoriali. Nasce una sorta di consapevolezza diffusa della diversità territoriale; la base della futura coscienza nazionale.
20-L’espansione europea e le nuove gerarchie economiche
internazionali. Negli ultimi due decenni del XVII e per tutto il XVIII secolo sulla sia delle Provincie Unite due nuove potenze Inghilterra e Francia si presentano sullo scenario dei traffici internazionali. Le compagnie commerciali europee tessono una tela d’interessi e scambi su scala mondiale. Comincia una agguerrita concorrenza fra inglesi, francesi e olandesi, tutti impegnati a scardinare il monopolio esercitato da Spagna e Portogallo sulle economie dei rispettivi imperi coloniali. Nella seconda metà del Settecento questa concorrenza in India ed in America settentrionale si trasforma in vera guerra -la guerra dei Sette anni (1756/63) - per il primato commerciale mondiale. A uscire vittoriosa è la Gran Bretagna: dominatrice dei mari grazie alla maggior marina mondiale alla fine del XVIII secolo. Inizia il dominio politico-commerciale delle compagnie commerciali europee; aumentano gli insediamenti coloniali, soprattutto in America settentrionale; si intensificano le relazioni economiche fra paesi europei ed il resto del mondo; non si tratta però di rapporti paritetici perché la gerarchia mondiale dei rapporti commerciali, politici ed umani ha al proprio centro l’Europa. Tutto ciò sfocerà nel colonialismo del XIX secolo. Nella seconda metà del Seicento gli imperi coloniali del Portogallo e della Spagna risentono del declino delle rispettive corone nella scena politica europea. Nel 1662, i portoghesi cedono agli inglesi l’importante basa indiana di Bombay -come dote alla principessa lusitana che sposa Carlo II Stuart -; però riprendono il controllo del Brasile (lì viene fondata la Compagnia generale del commercio del Brasile) cominciando a colonizzarlo ed a sfruttarne gli ampi spazi coltivando la canna da zucchero. Per lavorare queste ampie piantagioni si ricorre all’importazione degli schiavi dall’Africa. Successivamente vengono scoperti grandi giacimenti d’oro (1697) e di diamanti (1729) spostando verso sud - Rio de Janeiro - l’asse economico della colonia e causando un afflusso sempre più numeroso di coloni - alla fine del Settecento risiedono in Brasile 2 milioni di portoghesi, tanti quanti vivono nella madrepatria. L’oro e le derrate agricole brasiliane alimentano i traffici con la Gran Bretagna, - maggior alleato politico, ma anche principale partner commerciale -, da cui giungono tessuti, manufatti, grano. L’impero coloniale della Spagna si concentra in America centrale e meridionale dove continua il monopolio dei traffici con quelle sue terre. Di fatto le grandi distanze con il Nuovo Mondo e gli attacchi corsari dei nemici inglesi corrodono questo monopolio spagnolo. A questo si aggiunge l’incapacità delle manifatture spagnole a soddisfare la domanda di prodotti delle sue colonie. Si sviluppa il contrabbando dei mercanti olandesi, francesi ed inglesi che inviano prodotti europei. Gli inglesi, grazie alla complicità delle colonie portoghesi in Brasile, riecono a penetrare con i loro manufatti in America Meridionale. Per quanto riguarda la tratta degli schiavi africani verso le sue colonie la Spagna ricorre ad una sorta di appalto con monopolio, - «l’asiento de negros» - che nel 1700 viene aggiudicato alla Francia. Il trattato di Utrecht (1713) attribuisce però alla Gran Bretagna l’esclusiva della fornitura degli schiavi africani alle colonie spagnole ed un primo permesso di inviare anche carichi di merci inglesi. A poco a poco l’America spagnola diventa una vera e propria colonia commerciale inglese. Nel corso del XVIII secolo l’Inghilterra diventa la prima potenza commerciale del globo. Grazie allo sviluppo dell’industria navale e al formarsi di una potente marina le compagnie commerciali inglesi tolgono agli olandesi il primato nell’intermediazione e commercio conto terzi. Anche la Francia conosce una notevole crescita dei traffici commerciali, soppiantando gli olandesi nei traffici con le Americhe; ma subisce la supremazia navale e commerciale della Gran Bretagna. Inizialmente, in Gran Bretagna, nel ventennio 1721/42, la classe dirigente dei Whig, guidata da Walpole, ritiene che la politica economia britannica sia meglio tutelata dalla pace e si astiene dai conflitti politici continentali. Successivamente, sotto la guida di William Pitt il governo ritiene di doversi impegnare nella difesa e nell’espansione dei possedimenti coloniali. Nella guerra dei sette anni (1756/63) la Gran Bretagna si allea con la Prussia contro Francia, Austria e Russia. Per gli inglesi si tratta di sconfiggere la concorrenza francese nell’espansione coloniale in America e India. I francesi, alleati con tribù indigene locali, si sono spesso scontrati con gli inglesi per il controllo dei territori canadesi orientali. Dopo una serie di alterne vicende le truppe inglesi conquistano importanti roccaforti francesi - Québec, Montreal -; si giunge alla pace di Parigi (1763) che assegna alla Gran Bretagna sia il Canada e i territori a est del Mississippi, sia la Florida, sottratta alla Spagna. Il continente americano è diventato un importante mercato per le merci europee essendo aumentata la domanda di manufatti da parte di una popolazione in continua crescita - emigrati d’Europa e schiavi d’Africa; si ha un aumento della domanda di manufatti che devono essere importati dall’Europa. Grazie al commercio di tessuti di cotone e lino provenienti dall’India, la Gran Bretagna assume una incontrastata posizione di primo piano nei traffici marittimi fra le varie colonie del mondo. Di fatto, le compagnie commerciali britanniche pagano le merci acquistate con merci provenienti da altri territori; un sistema di scambi multilaterali con ben quattro continenti, ma che ha il proprio cuore finanziario a Londra. I manufatti di cotone provengono dall’India; gli schiavi, l’avorio e l’oro dall’Africa; zucchero, legnami, tabacco e cotone grezzo dalle Americhe; seta, the, caffè e spezie dall’Estremo Oriente, tutte queste merci vengono commercializzate in tutto il mondo da Londra. Va sottolineato il particolare ruolo del commercio degli schiavi dall’Africa orientale alle varie colonie europee nel continente americano: tra il 1701 e il 1800, vengono comprati e commercializzati in America oltre 6 milioni di schiavi per opera di mercanti europei; nel corso del XVIII secolo la tratta degli schiavi verso le colonie americane rappresenta una delle direttrici dei commerci triangolari tra Europa, Africa e America. Le compagnie britanniche occupano il primo posto nella classifica del commercio degli schiavi; solo nel 1808, il Parlamento di Londra decreterà l’abolizione di questa tratta nelle colonie inglesi, aprendo una campagna internazionale a tale scopo. Nel tardo Seicento e nel Settecento i rapporti coi mercati asiatici conoscono significativi cambiamenti. In primo luogo si riduce il valore delle importazioni di spezie ed aumenta quello dei manufatti tessili -cotone indiano / seta cinese; si verifica un’inversione di tendenza nella composizione delle merci vendute sulla piazza di Amsterdam dalla Compagnia olandese delle Indie orientali; il cotone viene scoperto dalla moda europea, anche i piantatori delle colonie del Centro/Sud America richiedono di tessuti leggeri ed economici. Il principale produttore di manufatti di cotone è il Bengala - India nord/orientale- dove sono sorte basi commerciali inglesi e francesi. Nel 1690 viene fondata a Calcutta l’agenzia EIC che di fatto controlla l’esportazione dei tessuti indiani verso l’Europa con accordi coi mediatori locali. L’invasione del mercato britannico di tessuti di cotone a basso prezzo spinge gli industriali lanieri a ottenere dal Parlamento, nel 1701 e nel 1721, leggi che scoraggiano l’importazione dei calicò indiani, e fa sì che vengano adottati provvedimenti a favore delle manifatture inglesi col risultato di aumentare la produzione interna di tessuti di bassa qualità, ma con prezzi competitivi, che vengono riesportati in Europa ed in America. Conseguentemente cresce l’importazione di cotone grezzo da lavorare in Inghilterra. Altro importante prodotto che i mercanti britannici introducono in Europa è il the cinese. Si inizia a pagare questo prodotto con una merce illegale assai richiesta sul mercato cinese: l’oppio. Grazie alla produzione di quest’ultimo in Bengala, regione dove hanno instaurato ottimi rapporti, gli inglesi riescono ad assumere il controllo del redditizio commercio del the dalla Cina. I manufatti tessili e il the favoriscono lo spostamento delle attività della compagnia inglese sulla costa orientale dell’India: sede principale Calcutta da dove inizia una progressiva penetrazione nella vita politica indiana per tutelare i consistenti interessi commerciali. Nel 1744, la rivalità economica tra Francia e Gran Bretagna si trasforma in scontro aperto nel quale sono coinvolti anche i principi indiani; gli accordi finali mirano a rendere neutrali tutti i territori al di là del Capo di Buona Speranza. Di fatto però la supremazia navale inglese rimane incontrastata. Anche nel corso della guerra dei Sette anni, le forze britanniche sconfiggono quelle francesi. Il trattato di pace afferma l’egemonia britannica in India con il controllo dei territori del Bengala. La Compagnia francese delle Indi orientali comincia a declinare; sarà soppressa nel 1790. Gli inglesi assumono il monopolio del salnitro necessario per fabbricare la polvere da sparo che finiscono per pagare con merci europee di cui loro stessi fissano i prezzi con enormi guadagni. Giungono infine a fornire prestiti in denaro ai principi indiani e ad assumere il controllo della riscossione delle imposte e dell’amministrazione delle finanze di territori sempre più vasti. L’intermediazione dei mercanti indiani viene superata con una trattativa diretta coi produttori; inoltre avendo ottenuto il controllo sulle entrate pubbliche del ricco Bengala possono servirsi dell’attivo di bilancio per acquistare the e seta in Cina e coprire le proprie spese amministrative. Dal 1757 al 1780, Londra preleva in Bengala e trasferisce in Inghilterra oltre 38 milioni di sterline: è il primo passo verso la nascita del sistema coloniale britannico in India che solleva forti discussioni in Inghilterra a causa del monopolio esercitato dalla EIC. Nel 1773 il Parlamento inglese, viste le rimostranze contro il monopolio commerciale della EIC, nomina il primo governatore generale del Bengala arrivando poi a porre la compagnia sotto il controllo politico, finanziario e militare delle autorità di Londra abolendo infine il monopolio stesso mediante due leggi l’India Act e il Charter Act. Nel corso del XVIII secolo il Mediterraneo cessa di essere l’area commerciale più intensa e profittevole. I traffici dell’Atlantico sono diventati più importanti e sono comparse nuove mercanzie. Inoltre alcuni paesi come l’Italia e la Spagna, sino ad allora all’avanguardia nella produzione manifatturiera, hanno visto declinare le proprie attività economiche ed hanno perduto il controllo della commercializzazione dei loro prodotti. Ora sono le flotte olandesi, inglesi e francesi che dominano gli scambi nel bacino del mediterraneo: vendita di prodotti coloniali (esempio: zucchero), approvvigionamento di metalli. Solo le correnti di traffici marittimi a breve distanza sono ancora gestite da città di tradizione mercantile come Genova, Marsiglia, Barcellona. Il mezzogiorno d’Italia conosce una notevole penetrazione economica britannica. La Sicilia esporta grano, vino, seta greggia, sale, sodio; ed importa manufatti inglesi, francesi e tedeschi, spezie orientali. Grazie al notevole incremento della coltivazione del gelso nelle campagne italiane la penisola italiana produce ben 75% di tutta la seta greggia e di filato di seta europea che però viene esportata verso le manifatture della Francia, della Germania meridionale e dell’Inghilterra. La parte centro - settentrionale dell’Italia si specializza nella produzione e vendita di filato di seta - ossia un prodotto semilavorato -; mentre il Mezzogiorno si dedica soprattutto all’esportazione di seta greggia.
21-Vita urbana e mondo rurale.
A partire dall’ultimo decennio del Cinquecento le condizioni della maggioranza delle popolazioni europee peggiorano. La crescita demografica si traduce in un aumento dell’offerta di manodopera che porta ad una riduzione dei salari con conseguente aumento dei profitti per i proprietari terrieri. L’ampia domanda di prodotti agricoli destinati alla vendita dei mercati cittadini spinge i proprietari ad aumentare l’estensione delle coltivazioni pagando bassi salari ai braccianti. Nel contempo l’aumento dei prezzi riduce ulteriormente il potere di acquisto dei salari percepiti. Altra ragione di impoverimento delle popolazioni e la progressiva eliminazione della piccola proprietà dovuta all’indebitarsi dei contadini coi grandi proprietari terrieri - per superare il momento di crisi, -, ed al successivo sequestro delle piccole proprietà vista la loro diffusa insolvenza. Molti contadini diventano braccianti salariati. Per molti anni le condizioni economiche delle popolazioni contadine non migliorano, mentre le rendite dei grandi proprietari terrieri sono alte. «Il sistema economico sembra muoversi in una sorta di equilibrio di stagnazione» P. Malanima. Nell’area del Mediterraneo - Spagna ed Italia meridionale -, contrassegnate: - dalla pratica del maggese, (un anno ogni tre un terzo dei campi riposano); - dalle presenza dei latifondi con contratti di affitto di lunghissima durata le esportazioni delle derrate agricole sono possibili per l’estensione delle terre coltivate e con la stagnazione demografica. Però in Catalogna e Italia centro- settentrionale la situazione è diversa perché, grazie all’abbondanza di acqua, si sviluppa lo sfruttamento intensivo della terra. Con l’investimento di capitali si realizzano canali, si impiantano alberi da frutta e vigneti, si introducono nuove colture, come il mais. Un lento, costante progresso. In Germania si diffondono la coltura della patata e delle piante foraggiere per l’allevamento. In Russia le tecniche di coltivazione sono assai arretrate, medievali; nei grandi latifondi la cerealicoltura si basa sullo sfruttamento della manodopera legata alla terra che lavora, -servi gleba - Diversa è la situazione nelle Province Unite; qui le colture si alternano (i campi sono suddivisi in tre parti seguendo cicli di tre o quattro anni): grano/avena/riposo; in questo modo si cerca di limitare l’impoverimento dei campi visto che l’unico concime utilizzato è quello di provenienza animale con la conseguente necessità di sviluppare anche gli allevamenti. Le piante foraggiere, - erba medica, trifoglio, rape, leguminose -, che vengono alternate alla coltivazione dei cereali, permettono di ripristinare la capacità produttiva dei campi. La connessione fra agricoltura e allevamento non solo mantiene i terreni più fertili, ma produce latticini da esportare. Tuttavia le campagne olandesi non raggiungono i tassi di sviluppo delle coltivazioni inglesi i rendimenti non aumentano in maniera significativa. L’Inghilterra adotta le nuove tecniche agricole dei Paesi Bassi sviluppandole ulteriormente: nel corso del XVIII secolo viene abolito il maggese sistema di Norfolk. I terreni vengono divisi in quattro parti in cui si alterna la coltivazione di: grano / rape / orzo / trifoglio; in questo modo. - scompare il maggese; - si ricostruisce la fertilità dei campi con piante - rape, trifoglio, leguminose- capaci di fissare elementi azotati al terreno e che forniscono nutrimento al bestiame dal quale si ricava letame per concimare e latticini da commercializzare. Questa rivoluzione agricola porta ad una crescita dei rendimenti grazie all’integrazione tra allevamento e agricoltura; l’Inghilterra diventa esportatrice di cereali, reinvestendo poi i profitti. Prende il via il processo della recinzione dei terreni (enclosures) che sempre più limita i diritti comunitari - raccolta di legna ed altri prodotti - sui terreni aperti - open fields. coltivati secondo criteri stabiliti dalla comunità I grandi proprietari terrieri per massimizzare i guadagni riescono ad ottenere leggi che permettono l’accorpamento e la recinzione delle proprietà (accorpamento delle terre e distribuzione delle terre comunitarie, ovvero un proprietario che possiede il 10 % delle terre in una comunità ha il diritto di venderle accorpate e riceve un quota dei beni comuni corrispondente all’ammontare delle sue terre) danneggiando sia piccoli proprietari, sia le comunità. Nel nome dell’affermazione dei diritti di proprietà privata della terra, favorito da nuove leggi, il processo di recinzione assume ritmi vertiginosi. Dal punto di vista economico le enclosures portano a condizione ottimali per coltivare grandi estensioni di terreni che produco per la vendita dei prodotti e non più per l’autoconsumo. Gli incrementi della produzione sono in parte dovuti anche all’introduzioni di strumenti agricoli migliorati: - aratro più legger e maneggevole grazie alle ruote e invenzione della seminatrice. - Dal punto di vista sociale la recinzione dei terreni causa gravi sconvolgimenti: - riduzione dei piccoli proprietari terrieri che sono anche coltivatori diretti; - drammatiche condizioni di vita di chi viveva sulle terre delle comunità, queste persone diventano semplici braccianti o migrano verso le città; in ogni caso le loro condizioni di vita peggiorano notevolmente sino alla povertà. L’abbandono della cerealicoltura verso l’introduzione di nuove coltura provenienti dall’America - mais, patata, peperone, fagiolo - avviene in modo lento, ma costante in diverse zone europee. La fortuna del mais parte dalla penisola iberica e si impone come alimento abituale a partire dal 1650 costa la metà del grano. La coltivazione del mais, iniziata in Spagna, si estende in Provenza, Italia, Slovenia, Ungheria; in Italia questa coltivazione ha il vantaggio di adattarsi a condizioni diverse: in alcune regioni viene utilizzato per l’autoconsumo dei produttori permettendo a questi di vendere il grano più ricercato; il mais diventa la base alimentare della popolazione contadina e di quella più povera delle città. Più lenta è l’introduzione della patata, dapprima considera solo una curiosità botanica, poi utilizzata come mangime per l’allevamento degli animali, e solo nell’Ottocento coltivata intensamente. Anche altri alimenti coloniali -cacao, caffè, the, - incominciano ad essere consumati in Europa. Cresce anche il consumo di alimenti europei: burro, olio, carne e pesce: soprattutto arringhe e merluzzo pescati nell’Oceano Atlantico che, -baccalà o stoccafisso-, arriva a nuove regioni europee. Gli studiosi individuano tre forme di produzione manifatturiera presenti sin dal basso Medioevo: - 1) produzione domestica: manufatti destinati all’autoconsumo familiare ed è presente nelle campagne, dove nei momenti liberi dal lavoro nei campi si può dedicare tempo alla fabbricazione dei tessuti 2) produzione artigianale: avviene nelle botteghe ad opera di lavoratori specializzati che producono oggetti destinati alla vendita; questo tipo di produzione che richiede investimenti di capitali per l’acquisto di materi prime, di attrezzi , si svolge nelle città dove esistite la possibilità di commercializzare questi beni. Esistono diversi livelli di questo tipo di produzione: dai piccoli artigiani - fabbri/calzolai - alle grandi officine con salariati. I lavoratori rappresentano la manodopera stipendiata dal maestro artigiano titolare della bottega e le loro condizioni di lavoro sono spesso pesanti. A volte la produzione artigianale evolve in lavorazioni a domicilio: un mercante imprenditore, che ha provveduto ad acquistare la materia prima, gestisce le varie fasi di lavorazione non in una sua struttura, ma nelle case dei lavoratori stipendiati, vendendo alla fine del ciclo produttivo la merce. Inizialmente questo tipo di produzione è urbana, successivamente si sviluppa anche nelle campagne dove i contadini possono dedicarsi a questa attività nei periodi di minor occupazione nel lavoro dei campi, riuscendo così ad integrare i loro magri redditi. In alcune regioni europee, come le fiandre, questo tipo di produzione finisce col divenire l’attività principale delle popolazioni: Alcuni studiosi a proposito di questo evento parlano di un fenomeno di proto industrializzazione che avrebbe preparato la rivoluzione industriale addestrando i lavoratori all’ attività manifatturiera. Un esso tra realtà proto industriale e sviluppo industriale è che l’allargamento della produzione in ambito rurale non può procedere indefinitamente a causa dei costi crescenti che il mercante-imprenditore deve sostenere. Ciò spinge l’imprenditore a seguire la produzione accentrata. - 3) produzione accentrata: la manodopera salariata si concentra in un solo luogo sotto un’unica direzione. Si tratta del settore edilizio, cantieristico, estrattivo o di complessi procedimenti produttivi. Spesso questo tipo di produzione sono promosse dal potere politico per produrre navi o armamenti. 22-Famiglia, genere, individuo. La prima area di socialità di un individuo è costituita dalla famiglia. Con il termine famiglia si può intendere sia: - gruppo di persone che risiedono sotto lo stesso tetto; sia: - gruppo di persone legate da relazioni di parentele, anche se non vivono insieme. La famiglia è il luogo dove si strutturano le prime differenze dell’identità individuale. L’identità sessuale, maschi o femmine, è inserita in un contesto culturale che porta a ruoli diversi e in parte contrapposti. Queste due identità diverse, identità di genere, sono alla base di ruoli sociali distinti. Inoltre la famiglia riproduce i valori gerarchici che fondano le strutture sociali. In essa si trovano insieme individui adulti già formati e bambini/adolescenti da formare alla vita sociale. Attraverso il processo chiamato educativo, ragazze e ragazzi apprendono le regole fondamentali del gioco sociale Contemporaneamente essi imparano le differenze legate al loro esser maschi o femmine. Le varie Chiese hanno svolto un controllo sulle norme fondamentali di comportamento delle famiglie. Le forme di famiglia, intese come forme di co-residenza, sono varie; - nucleare: una copia con figli; - allargata: “ “ “ “ + uno o più famigliari (nipote / zio / ecc.); - multipla: coppia di nonni + famiglia di uno dei figli; oppure nuclei familiari di due fratelli, ( frequente dove un patrimonio indiviso, come un gregge, richiede la collaborazione di entrambi). Nell’Ottocento la famiglia tradizionale europea era quella allargata e patriarcale -figura dominante: maschio adulto anziano -; successivamente la famiglia evolve verso quella di tipo nucleare. Secondo alcune teorie, con l’inizio dell’industrializzazione viene meno la necessità tipica della società contadina di un grande gruppo famigliare convivente disciplinato da regole precise e adibito all’attività agricole. Conseguentemente il modello di famiglia varia col variare dei contesti culturali. Anche le forme di famiglia, intesa come gruppi di parenti, varia passando da una struttura parentale strettamente coesa, ad una struttura più semplificata debolmente legata a reti parentali esterne. Tra le famiglie nobili esisteva la consuetudine di coltivare il mito delle origini famigliari antiche. Questa passione per le origini famigliari - accertate o inventate - spiega la supremazia assegnata a ciò che dura nel tempo (fermezza, stabilità, valore di Dio) rispetto a ciò che muta nel tempo (volubilità, fragilità, deviazione da un ordine stabilito). La centralità del matrimonio, soprattutto per le famiglie nobili, è legato al fatto che con esso si tendeva ad affermare una relazione di alleanza, da rinsaldare o creare, con un’altra famiglia. Il matrimonio, che in epoca precristiana era un semplice contratto privato, nella società europea occidentale d’antico regime diventa un sacramento; per questo la Chiesa ha esercitato per secoli un’influenza decisiva sulla vita famigliare. Ha imposto un modello preciso di matrimonio, monogamico, eterosessuale, indissolubile; ha proibito unioni fra parenti troppo vicini (zio/nipote); ha difeso la libertà di sposarsi liberamente, ma anche senza il consenso della famiglia. La libertà di scelta del coniuge incontrò molte resistenze perché precedentemente si tendeva a matrimoni con amici, vicini conosciuti per tutelare il patrimonio e le alleanze nel tempo. Se sul principio di libertà della scelta del coniuge la Chiesa si urta con le tradizioni precedenti, sull’ordine gerarchico e sui ruoli sociali all’interno della famiglia la Chiesa rinsalda antichi principi. Il ruolo decisivo del padre, il capo di casa; l’ubbidienza dei figli, la subordinazione femminile. Ai maschi le attività lavorative rilevanti; alle donne l’educazione dei figli, la cura della casa e lavori secondari. Il tradizionale dominio maschile è però mitigato dalla possibilità per la donna di ereditare (in mancanza di figli maschi), e di esercitare attraverso le doti di un ruolo patrimoniale. Uno degli elementi che ha mutato, durante il XVIII secolo, gli assetti della famiglia in Europa è la modificazione degli equilibri demografici. La popolazione dell’antico regime era: giovane e segnata da alti livelli di mortalità e natalità.Nel Settecento iniziano a rarefarsi (maggior capacità di difendersi da morbi, sistemi di limitazione dei contagi) le grandi epidemie che periodicamente abbassavano i livelli della popolazione; contemporaneamente si riduce la mortalità infantile. La diminuzione dei livelli di mortalità si traduce in un netto aumento demografico. Successivamente però diminuiscono anche i livelli di natalità e la popolazione tende a stabilizzarsi. Un regime a bassa pressione demografica ( bassi livelli di natalità e di mortalità) si sostituisce al precedente ad altra pressione demografica ( alti livelli di natalità e di mortalità); questo permette alle famiglie di accumulare capitali e di metterli a disposizione dei propri membri. Grazie anche alle nuove conoscenze e tecniche agricole. Nelle aree protestanti la religione tende ad attribuire all’individuo la responsabilità delle proprie scelte accentuando la libertà di scelta del coniuge. Si fa strada un universo femminile autonomi ed al di fuori delle vecchie cerchie cortigiane. Il matrimonio tende ad essere vissuto sempre più come una scelta individuale svincolata da strategie familiari e dalla precettistica ecclesiastica.
23- Diradare le tenebre: il mondo al lume della ragione.
Il Settecento europeo appare segnato da un fermento intellettuale nuovo e dirompente a cui viene dato il nome di Illuminismo; dove prima imperavano le tenebre della superstizione, dell’ignoranza, del fanatismo ideologico occorre introdurre il lume della ragione. Si viene imponendo una diversa atmosfera intellettuale; più libera, ostile al sapere concezionale, al dogmatismo clericale; nemica del principio di autorità. Questo mutamento prende il via in Inghilterra e nelle Province Unite dove esiste una relativa tolleranza religiosa, si incoraggiano la ricerca scientifica, il dibattito fra tesi diverse e si promuove la circolazione di libri e giornali. Le esperienze politico-sociali di questi Paesi basate sulla divisione dei poteri, in contrasto con la legittimazione sacrale assolutistica e dispotica della monarchie europee settecentesche, consente di pensare ad una perfettibilità dei sistemi sociali sia sul piano politico, sia su quello economico, con crescita della ricchezza collettiva Due i filoni intellettuali fondamentali su cui basi si è venuta costruendo la stagione illuministica: - il giusnaturalismo olandese di Grozio, Altusio, Spinosa, con la critica del fondamento biblico dell’autorità politica e l’introduzione di un diritto naturale e razionale alla base dei sistemi sociali. Si giungerà, con John Locke, non solo alla critica delle commistione del potere sacrale e di quello statale, all’affermazione del principio della libertà di coscienza, ma anche a considerare lo Stato come quella istituzione sociale che riconosce e garantisce i diritti naturali propri di ogni uomo. - il deismo: si tratta della contestazione del concetto di religione rivelata, e perciò imposta dall’alto, a favore dell’idea di una religione naturale che va scoperta ed analizzata alla luce della ragione. La verità, non più rivelata, va perciò cercata con gli strumenti di cui l’uomo si dota. La ragione deve prendere il posto della rivelazione; i nuovi filosofi devono sostituire i vecchi teologi. «Crisi della coscienza europea» : in questo modo lo studioso francese Paul Hazard, nel 1935, definisce il periodo - ultimo ventennio del XVII secolo/fine regno di Luigi XIV (1715) - in cui identificare la fase di trasformazione della vita intellettuale e sociale europea. Ad una società basata sul principio di autorità e sulla deferenza verso il potere politico e religioso si sostituirà una società basata sul diritto, la tolleranza, l’indipendenza della molare dalla religione, la libertà di ricerca. Nasce un nuovo atteggiamento critico e scettico verso le autorità costituite, accompagnato dalla curiosità per i viaggi, le popolazioni, i cibi e le bevande delle nazioni extraeuropee. Fin dall’Umanesimo e dal Rinascimento il mondo classico aveva rappresentato per la cultura europea una fonte di autorità preziosissima e alternativa alla Bibbia. Non era mai stata posta in discussione la superiorità del mondo antico, una sorta di età dell’oro in cui la cultura e le arti avevano raggiunto livelli di perfezione altissimo. Ora però si incomincia a pensare che le realizzazioni dell’età classica devono cedere il passo a quelle dell’età attuale «moderna». Gli autori moderni anche se inferiori ai grandi pensatori ed artisti classici hanno il vantaggio di conoscerne i testi e le opere; nani sulle spalle di giganti, sono in condizione di vedere più lontano. Grazie alla conoscenza del passato, la società moderna può superare i confini classici precedenti. Fino ad allora la vicenda dell’umanità era stata immaginata e letta sulla base di uno schema ciclico; ora si fa strada una concezione evolutiva di tipo lineare e cumulativo della storia umana, un processo di tipo qualitativo e quantitativo senza fine e senza limiti chiamato progresso. La questione della ricerca morale individuale, svincolata dalla religione tradizionale, caratterizza il filone intellettuale noto come libertinismo. Nato all’interno della Riforma protestante, il libertinismo originariamente identifica un atteggiamento alieno dall’ubbidienza ad ogni Chiesa , soggetto solo alla devozione allo Spirito Santo. Questo libertinismo religioso, combattuto da Calvino, si estingue per dar luogo ad un atteggiamento più complesso degli spiriti liberi - spiriti forti , sostanzialmente atei-, che ritengono la saggezza un cibo prelibato adatto solo a palati raffinati capaci di giovarsene; la disprezzata superstizione rimane il pasto ineluttabile del volgo. Questo atteggiamento di superiorità conduce alla teorizzazione dell’assoluta libertà del pensiero in contrasto con i vincoli intellettuali imposti dalle autorità civili e religiose. Successivamente il libertinismo, inteso come individuale ricerca di libertà interiore, finisce per influenzare i costumi di vita nella ricerca di un piacere svincolato dalle norme religiose e di costume sociale. Per questo il termine «libertino» finisce per identificare un individuo dai comportamenti licenziosi, amorale. Con la morte di Luigi XIV (1715), inizia per la Francia un’epoca di allargamento degli orizzonti culturali. A Parigi si respira una nuova atmosfera resa possibile dagli intensi rapporti con la Gran Bretagna e da una maggior libertà di stampa che consente la diffusione di idee eterodosse. Giungono testi di libertini, a volte provocatori, come quello di Bernard de Mandeville: La favola delle api - un alveare prospera finché i suoi membri mantengono costumi viziosi, mentre va in rovina quando essi assumono comportamenti virtuosi; morale: comportamenti eticamente criticabili, diventano utili al benessere economico collettivo; vizi privati diventano pubbliche virtù - L’attrazione per l’Inghilterra, testimonia l’insoddisfazione degli intellettuali francesi per le condizioni del regno. Nel 1721, Montesquieu nel libro Lettere persiane, evidenzia le condizioni di arretratezza in cui si trova la Francia. Con vena polemica antidispotica si denuncia la superstizione, il dogmatismo religioso, a cui si contrappone la libertà di pensiero e la tolleranza religiosa. Anche nelle successive opere di Montesquieu, ed in particolare nel Lo spirito delle leggi (1748), pietra miliare del pensiero Illuministico europeo, aleggia lo spirito liberale. Tre sono gli universi politico-sociali descritti: la monarchia, la repubblica, il dispotismo. L’autore, pessimista sulla natura profonda delle passioni umane, propone la divisione dei poteri come strumento per la conservazione della libertà. La monarchia parlamentare/costituzionale «all’inglese» viene considerato il miglior sistema politico per la conservazione delle libere istituzioni. Nel 1734, con la pubblicazione delle Lettere inglesi di Voltaire, la Gran Bretagna diviene per i francesi il modello alternativo a quello francese ed al suo dispotismo, intolleranza, arretratezza. Per Voltaire, l’Inghilterra rappresenta ciò che la Francia non è: libera e aperta alle discussioni filosofiche ed alle teorie newtoniane, lontana dalla rigidità dell’antico regime. La pubblicazione delle Lettere inglesi procurò all’autore problemi con la giustizia a causa delle teorie esposte, ma anche un’enorme notorietà in tutt’Europa. Con Voltaire l’Illuminismo diventa un movimento intellettuale, caratterizzato dalla volontà di esercitare un’influenza sulle scelte dei governi , che si batte in ogni parte del continente per il progresso civile. Lo stesso Voltaire diventa per alcuni anni il consigliere di Federico II di Prussia; poi, disilluso da Federico II, si ritira a Ginevra dove, oltre a celebri romanzi, scrive due opere storiche fondamentali: Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni, - ricostruzione della storia europea da Carlo Magno a Carlo V d’Asburgo -, e Il secolo di Luigi XIV - storia della Francia dall’avvento di Luigi XIII alla morte di Re Sole -. In questi testi Voltaire non si sofferma solo sugli avvenimenti bellici e vicende dinastiche, ma cerca di analizzare i fenomeni sociali complessi per coglierne i tratti essenziali. Includendo anche vicende extraeuropee. Vengono illustrati i vizi del fanatismo religioso, dell’intolleranza ideologica per indicare la strada di un futuro migliore. Il secolo di Luigi XIV appare a Voltaire un’epoca di splendore nazionale con realizzazione culturali ed artistiche, progresso economico e civile, stabilizzazione politica. Delineando gli splendori del secolo passato, appaiono più evidenti i mali presenti, e cioè la povertà materiale e morale della nazione. L’Illuminismo appare come un movimento intellettuale coeso grazie al fatto che un gruppo di philosophes riesce nella difficile impresa di raccogliere il nuovo sapere in un’opera a stampa aperta al contributo dei più originali pensatori del tempo. Il filosofo/scrittore Denis Diderot (1713/84), e il matematico Jean-Baptiste Le Rond (1717/83) sono gli ideatori dell’Encyclopédie, progenitrice delle moderne enciclopedie, che raccoglie subito un grande consenso arrivando ad una tiratura per l’epoca elevatissima: oltre 4.000 copie. Un’impresa editoriale senza precedenti:- 60.000 voci distribuite in 17 volumi e 11 tavole illustrate -, che può giovarsi del lavoro di opere antecedenti quali il Dizionario filosofico di Voltaire . La pubblicazione di quest’opera, iniziata nel 1751, subisce interruzioni a causa di attacchi e condanne dal mondo conservatore e clericale; solo nel 1772 la gigantesca impresa è compiuta. Caratteristica saliente dell’Encyclopédieè l’attenzione riservata alla scienza ed alle tecniche; alla luce della ragione il pensiero scientifico-matemat. porta alla scoperta delle leggi che regolano la vita Nel XVIII secolo vi è una veloce crescita delle discipline scientifiche: - classificazioni delle specie vegetali e animali - analisi dei microorganismi - ricerche chimiche e per riconoscere e riprodurre le correnti elettriche - accumulazione dell’elettricità, pila - Franklin / Galvani / Volta - . La fiducia nelle capacità delle ragione si estende anche all’analisi del mondo umano: sensismo - ricondurre la conoscenza umana ai dati dei sensi -; materialismo - visione di tipo meccanicistico della natura e dell’umanità, escludendo i principi dogmatici, come l’esistenza dell’anima o di Dio. Questo nuovo tipo di impostazioni filosofiche sono estese anche alla comprensione dei fenomeni sociali, con conseguenze di enorme rilievo sulla percezione della società. Buona parte dello sforzo intellettuale dei cosiddetti illuministi è diretta a fondare su basi nuove la visione della società. Esclusa l’impostazione di tipo metafisico - l’organizzazione sociale dipende dalla volontà divina. - si cerca di stabilire su presupposti diversi la morale collettiva. Per gli utilitaristi , l’uomo va guardato per quello che è e non per quello che dovrebbe essere, le sue azioni sono mosse dal desiderio di massimizzare il proprio utile e il proprio piacere. Questo desiderio non va demonizzato, ma indirizzato a vantaggio del bene collettivo. La realtà sociale va studiata alla luce di leggi e regole che determinano il comportamento umano. Per François Quesnay (1694/1774) anche l’economia va studiata come una formazione naturale dotata di proprie leggi. Solo dalla natura deriva il valore delle merci e non dalla loro trasformazione e commercializzazione; le derrate agricole devono poter circolare liberamente, deve esserci la maggior libertà d’azione possibile; «laissez faire, laissez passer » lasciare fare, lasciare passare . Così in cosiddetti fisiocratici espongono la prima dottrina economica dichiaratamente liberalista; per loro l’unica leva legittima in mano al governo è quella fiscale: la rendita terriera va tassata. Successivamente per Adam Smith (1723/90) - il padre dell’economia politica moderna - coniuga il pensiero dei fisiocratici con quello utilitaristico che vede nell’egoismo la base del benessere sociale. Secondo Smith, ciò ch rende utile collettivamente le azioni egoistiche degli individui è l’esistenza del mercato, la «mano invisibile» che regola, ordina e distribuisce la ricchezza. Però a differenza dei fisiocratici egli ritiene che il valore delle merci sia frutto del lavoro umano - attività artigianali, industriali, commerciali -. Per lui quanto più si lascia il mercato libero di esprimere l’efficienza del suo meccanismo, tanto più si rende possibile accrescere la ricchezza della nazione. Però, mentre per Smith la divisione sociale del lavoro, la ripartizione di mansioni specifiche nelle nascenti fabbriche, costituisce la chiave di volta del progresso umano; per il pensatore ginevrino Jean-Jacques Rousseau (1728/78) questa divisione è un grave arretramento della condizione di felicità dell’uomo. Da questa degenerazione, iniziata con l’instaurarsi della proprietà privata, era derivata la diseguaglianza sociale. Nel Contratto Sociale (1762) Rousseau tratteggia una repubblica ideale basata su un contratto sociale stretto fra gli individui che ne fanno parte. Questo contratto non si base su presupposti utilitaristici, ma sulla condivisione di uno stesso comune sentire che consente il superamento delle singole volontà individuali, giungendo alla nascita di una unica volontà generale. Merito di Giuseppe Beccaria (1837/94) -Dei delitti e delle pene - l’aver evidenziato il carattere inumano di pratiche giudiziarie quali la tortura e pena di morte. Per lui la pena non deve essere una vendetta sociale, ma deve essere indirizzata tanto all’espiazione, quanto al recupero del reo.
24-Il dispotismo riformatore.
Nella seconda metà del XVIII secolo si registra una tendenza dei sovrani a modificare gli assetti giuridici, economici e politico-sociali dei loro regni. Questa riforma delle regole amministrative ed economiche rappresenta una novità. Per secoli il sovrano è stato il difensore degli equilibri stabiliti, a lui è stata riconosciuta una funzione restaurativa, non riformatrice, intervenendo per ripristinare l’antico ordinamento voluto da Dio che la corruzione della vita sociale ha guastato. La nuova tendenza riformatrice mira a migliorare l’efficienza della macchina statale a fini bellici. Per ingrandire i propri domini a spese delle dinastia concorrenti occorrono forti eserciti che, essendo formati da mercenari, comportano notevoli spese; da qui l’esigenza di nuovi introiti fiscali. Bisogna quindi: vincere la resistenza dei popoli ottenendo l’assenso delle assemblee rappresentative a nuove tassazioni; eliminare esenzioni concesse negli ani precedenti a città e regioni privilegiate. Vista la difficoltà ad ottenere il consenso delle assemblee a nuove tasse i sovrani iniziarono a governare senza convocare i vari tipi di rappresentanza dei sudditi. Essi cercano di aumentare le imposte legittime, di ridurre le esenzioni, e di ottimizzare i redditi dei loro patrimoni personali. In questo periodo prendono il via gli studi di quelle che oggi sono la scienza delle finanze e scienza dell’amministrazione che si connettono con la politica economica, fiscale e monetaria. Nel corso del Seicento cresce la consapevolezza che la potenza politica e militare è legata alla forza economica degli Stati: derrate alimentari sufficienti a sfamare i sudditi, attività manifatturiere e commerciali in crescita capaci di attrarre investimenti anche dall’estero, aumento della popolazione. Le rivoluzioni di metà Seicento danno il via ad un dibattito sulle questioni fondamentali della vita pubblica;- in particolare al ruolo della Chiesa e della religione-, anche in strati sociali diversi dai gruppi dirigenti. Successivamente vi sarà però un ridimensionamento di questa tendenza di apertura. La diffusione delle gazzette - progenitori dei giornali - aumenta; questi fogli raccontano i principali avvenimenti politici/bellici/ carattere sociale, dando il via ad una riflessione sui difetti della società. Anche i sovrani, che sempre più tendono ad usare una podestà straordinaria, si trovano obbligati a spiegare ai propri sudditi come mai utilizzino una prerogativa così speciale. In mancanza di tali chiarimenti essi potrebbero apparire come tiranni. Il loro operare non è solo più giustificato dalla presunzione che sia Dio a volerli sul trono, ma anche dalla necessità di darsi da fare per il bene della comunità, per alleviare le sofferenze degli oppressi e dei poveri. Si apre una contraddizione fra queste nuove dottrine volte a legittimare il fondamento della sovranità e il concetto di diritto divino. Inizia anche un’analisi dei risultati ottenuti dalle politiche dei Paesi stranieri confrontandoli. Nasce anche la figura dell’intellettuale come consigliere del principe. Concorrono a dar forma a questa nuova figura personaggi di diversi ceti: sacerdoti, funzionari, professionisti; persone culturalmente influenti che tendono con le loro proposte a scardinare l’ordinamento esistente. La così detta guerra dei Sette anni, - il primo conflitto bellico planetario - muta i rapporti di forza tra le potenze europee. Nei due secoli precedenti la rivalità era stata tra gli Asburgo titolari della corona imperiale- spagnoli e austriaci -, e i sovrani di Francia - Valois/Borboni -. Con la guerra dei Sette anni la Francia si allea con gli Asburgo per fronteggiare la crescente potenza della Gran Bretagna alleata alla Prussia. All’origine del conflitto vi sono le rivalità fra Francia e Gran Bretagna per i possedimenti coloniali in America e India; e l’occupazione della Slesia da parte della Prussia in contrasto con gli Asburgo. Nel 1756, gli schieramenti sono: Francia, Russia, Svezia e impero asburgico, contro Prussia e Gran Bretagna. Dopo alterne vicende la preponderanza dello schieramento Francese/Asburgico finisce per prevalere. Però nel 1762, Russia e Svezia si ritirano e la Prussia sconfigge l’esercito imperiale. Anche nei territori coloniali, dopo gli iniziali insuccessi, la Gran Bretagna riesce a vincere. Con la pace di Parigi del 1763, la Gran Bretagna ottiene consistenti territori in India e America settentrionale - Canada/Florida -; la Slesia rimane alla Prussia. Si affermano così due modelli politici diversi: da una parte la Gran Bretagna, - retta da una monarchia/parlamentare - prima potenza navale e coloniale europea in cui la preponderanza militare si unisce al successo commerciale; dall’altra la Prussia - sistema di governo assolutistico/ dispotico - prima potenza militare continentale grazie alla forza del suo esercito terrestre. Federico II di Prussia, il Grande, rappresenta il modello di sovrano assolutistico sensibile alla cultura illuministica, ha propensione per le lettere e la musica, si circonda di intellettuali illuminato, (sarà amico personale di Voltaire); però continua le tradizioni assolutistiche e la politica di potenza. Il suo esercito, rafforzato e migliorato, diverrà uno dei più potenti d’Europa anche perché riuscirà a coinvolgere la nobiltà sostituendo al vecchio concetto di fedeltà personale al sovrano, una nuova devozione nei confronti dello Stato di cui lui stesso si dice «il primo servitore». Abile propagandista di se stesso, Federico II costruisce la sua leggenda di sovrano tollerante e permissivo; contemporaneamente con misure protezionistiche migliora la vita economica proteggendo la produzione agricola. Rafforza inoltre gli apparati statali, strumenti di ordini centrali. La sua politica di allargamento lo prima porta a concordare con la Russia il nuovo sovrano polacco , poi alla spartizione della Polonia: Bielorussia e Lituania alla Russia, Prussia occid. alla Prussia. Federico II verrà ricordato per la sua azione tendente a costruire il senso di appartenenza nazionale. Anche Caterina II, zarina di Russia, verrà detta la Grande. Di origini tedesche ella sposa l’erede al trono russo , Pietro III, e poi grazie ad un colpo di stato assume il potere. La zarina guarda alle esperienze dei paesi sviluppati dell’occidente per copiarne le riforme economiche e sociali. Caterina II si impossessa di buona parte del potere e della ricchezza della Chiesa ortodossa, - sopprime 500 dei 900 conventi esistenti - trasformando i sacerdoti in stipendiati dallo Stato. Tuttavia le condizioni delle popolazioni contadine rimangono miserevoli. Il malcontento causato dallo sfruttamento senza scrupoli dei proprietari terrieri causa, nel 1773, una ribellione contadina guidata dal mitico Pugacev; inviando il proprio esercito Caterina stroncherà del sangue la rivolta. Negli anni successivi la zarina introduce l’istruzione elementare statale gratuita, solo nelle città; una relativa libertà di stampa e regole di autogoverno locale. Ma contemporaneamente con la Carta della nobiltà vengono stabilite esenzioni fiscali e garanzie a favore del privilegiato ceto nobiliare. Questa politica di riforme ha però vita breve perché, col sopravvenire della rivoluzione francese, la zarina torna ad una politica culturale di segno tradizionalistico. Nel contempo prende vita il progetto imperiale diplomatico-militare con la spartizione della Polonia e le guerre contro l’impero ottomano; il tutto cercando di restaurate l’impero romano d’Oriente con Mosca nuova capitale. Maria Teresa d’Austria, moglie dell’Imperatore Francesco I, si serve della spinta all’efficienza del prelievo fiscale e del miglioramento della macchina statale per stimolare la crescita economica. Tenta di uniformare gli ordinamenti dei domini diretti della corona asburgica - Austria e Boemia - per assoggettare la nobiltà al pagamento delle tasse. Rende obbligatoria l’istruzione e pone sotto il controllo statale scuole superiori ed università. Fondamentale è lo smantellamento dell’universo ecclesiastico tradizionale: vengono soppressi ordini religiosi, incamerati i beni ecclesiastici per ripianare l’enorme debito statale, stipendiati sacerdoti e vescovi come è avvenuto in Russia. Con l’associazione al trono del figlio Giuseppe II, (1741/90), agli ebrei viene concesso il godimento di tutti i diritti civili concessi agli altri cittadini, accordata anche la libertà di culto delle professioni cristiane non cattoliche; abolita la tortura. La libertà di stampa rimane però assai limitata. Il sovrano decide di limitare la propria autorità assoluta, ma la corona tende a definire e regolamentare in modo autocratico dei propri diritti intangibili, senza alcun controllo della società. Peraltro Giuseppe II è affascinato dal modello statale prussiano, ma non riesce ad imitarlo perché il suo potere in parte dipende dai principi su cui governa e che egli cerca di assoggettare di più. In campo economico vengono adottati provvedimenti protezionistici per l’agricoltura e la manifattura; nelle campagne viene abolita la servitù della gleba e l’obbligo per i contadini di fornire prestazioni lavorative gratuite; inoltre si da vita alla mappatura delle proprietà terriere: il catasto. Viene istituita un’imposta fondiaria unica valida per tutti i sudditi, ma questo provvedimento scatena l’opposizione dei ceti aristocratici per cui Leopoldo II, successore di Giuseppe II, annulla tali riforme e ripristina la situazione precedente. Uno dei terreni sui quali si misura la capacità dei sovrani di attuare decisi interventi di riforma è quello dei rapporti con la Chiesa cattolica. Acquistano peso gli interventi del potere politico: gestione dei beni ecclesiastici, nomina ai vescovadi, formazione e controllo degli ordini religiosi. Di grande rilievo è la vicenda della Compagnia di Gesù - argine della Chiesa cattolica contro le idee protestanti; - i gesuiti - diventati ricchissimi grazie a lasciti testamentari - erano divenuti strumento dell’intromissione del papato negli affari di Stato sia perché culturalmente influenti, sia per la benevolenza di sovrani di cui erano diventati consiglieri spirituali. I gesuiti, alle strette dipendenza del pontefice, divengono il bersaglio delle polemiche illuministiche e delle politiche riformatrici. La prima espulsione dei gesuiti si verifica in Portogallo nel 1759, dove il sovrano punta sia alle ricchezza fondiarie di quest’ordine religioso, sia a ridimensionare il ruolo di clero e di nobili. Il provvedimento portoghese viene imitato in Francia (1764), in Spagna, a Napoli, Sicilia, Parma. L’accusa principale indirizzata alla Compagnia, e che può essere estesa a qualunque componente del clero, è quella di essere portatrice di un a doppia fedeltà politica: al papa ed al sovrano. Nel 1773, papa Clemente XIV decide lo scioglimento della Compagnia di Gesù; solo in alcune città della Svizzera, e in Prussia i gesuiti ottengono la protezione di Federico I, I sovrano illuminista. Sotto Maria Teresa e Giuseppe II, la Lombardia austriaca diventa un laboratorio per la sperimentazione delle nuove politiche pubbliche. Nel 1760, prende il via il catasto geometrico che mette a disposizione del governo non sola una mappatura della proprietà fondiaria - presupposto per una equa distribuzione del carico fiscale -, ma anche uno strumento conoscitivo del territorio indispensabile per attuare interventi di riqualificazione agraria, costruzione e regolazione di canali. Nel 1765, viene istituita la «giunta economale» per le materie ecclesiastiche che produce limitazioni e smantellamento delle esenzioni fiscali dei beni della Chiesa. Anche in Toscana, sotto la guida del granduca Pietro Leopoldo, fratello minore di Giuseppe II, si avviano riforme economiche e giuridiche. Per primo in Europa viene abbandonata la politica protezionistica e si da avvio al libero scambio mercantile, viene liberalizzato il commercio di grani. Poi si sopprimono le corporazioni delle arti e dei mestieri; si incentiva la diffusione della piccola proprietà terriera per favorire lo sviluppo agricolo della Toscana ( questa riforma fallirà perché i grandi proprietari terrieri si accaparrano gli appezzamenti messi all’asta). Importante anche la riforma del codice penale ispirate alla idee di Cesare Beccaria, abolizione della pena di morte e tortura. Si giunge sino a promuovere la redazione di un progetto di una Costituzione che prevede l’istituzione di una assemblea legislativa - formata su base rappresentativa - senza il cui consenso il sovrano non è in grado di governare. Tale Costituzione non verrà attuata. Per altri Stati italiani le cose si sviluppano diversamente: - nel regno di Sardegna si attuano politiche di stampo mercantilistico; nel regni di Napoli e Sicilia, gli interventi riformatori al fine di limitare il potere nobiliare ed ecclesiastico, incontrano enormi resistenze e producono quindi scarsi risultati. 25-Niente tasse senza rappresentanza: la nascita degli Stati Uniti d’America. La rivolta delle colonie americane contro il dominio britannico (1775/83), da cui nacquero gli Stati Uniti d’America, è un evento centrale della storia mondiale. Come già era successo nei Paesi Bassi che si ribellarono alla corona spagnola dando vita alle Province Unite, una popolazione conduce una guerra vincente per l’autodeterminazione scegliendo poi il proprio sistema di governo. Questa rivolta si basa su principi repubblicani, sull’idea che l’origine della sovranità risieda nel popolo. L’assetto politico/istituzionale che deriva dal questa rivoluzione è di stampo liberal-democratico. Una Costituzione scritta (1787/89) riconosce una serie di diritti individuali ed afferma il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, regolando anche l’equilibrio fra i vari Stati nati dalle ex colonie in un nuovo governo federale di tipo presidenziale. Questo assetto socio-politico è molto diverso da quelli degli Stati settecenteschi europei dove primeggiano monarchie, ceti e privilegi, retaggi feudali, assenza di libertà. Agli osservatori europei in questa nuova società la ricchezza è molto più livellata, la giustizia meglio distribuita, le libertà individuali garantite. Da questa rivoluzione nascerà una nazione che assumerà un ruolo di primo piano sulla scena mondiale. In America settentrionale la penetrazione inglese comporta la creazione di una serie di basi commerciali lungo la costa atlantica per scambi con le popolazioni indigene. Questi insediamenti sono formati da artigiani e commercianti a cui si aggiungono deportati ed indesiderati in madrepatria. Una popolazione giovane in costante crescita spinta dal desiderio di benessere. Le colonie americane sono una società meno portata ad attribuire valore alle tradizioni e gerarchie. Gli abitanti sono accomunati dal professare un credo riformista di tipo calvinista che ritiene inadeguata la Chiesa anglicana considerata troppo vicina all’aborrito papato romano. Nelle città prevalgono comportamenti più liberi, nelle campagne le comunità religiose controllano la vita. Le colonie godono di ampi margini di autonomia amministrativa, incentrati sulle assemblee rappresentative elettive; il controllo del governo inglese è di natura economica. Le colonie sono obbligate a commerciare con la madrepatria la quale assoggetta le diverse merci a tassazione varie. I governatori, inviati dalla corona, nelle varie colonie adottando una pragmatica politica di compromesso con le assemblee rappresentative degli abitanti , evitando scontri. All’origine dei dissidi fra le colonie e la Gran Bretagna vi sono contrastanti interessi economici e fiscali. Oltre a tassare le merci il governo di Londra pone dei vincoli allo sviluppo economico delle colonie; la disparità di trattamento fra le imprese della madrepatria e quelle coloniali alimenta il malcontento dei coloni. Un altro punto di contrasto è di natura politica: la partecipazione popolare alle scelte governative e i limiti del potere sovrano. Mentre nella madrepatria chi paga le tasse può eleggere proprie rappresentati in Parlamento, questo diritto e negato ai coloni americani; inoltre nelle colonie possono essere imposte misura di natura giuridica/ fiscale senza contattare l’assemblee Vittoriosa nella guerra dei Sette anni, la Gran Bretagna si trova a governare su territori molto estesi, ma le colonie sono consapevoli di avere interessi propri, a volte distinti da quelli della madrepatria. Il governo di Londra, volendosi rifare degli enormi costi della guerra appena vinta, vara una serie di provvedimenti miranti ad esercitare un maggior controllo economico su quei vasti territori. Oltre ad un accresciuto prelievo fiscale, Londra introduce un’apposita tassa - Stamp Act - per finanziare i costi amministrativi in America. Il fatto che questa tassa - votata dal Parlamento inglese in cui i coloni non sono rappresentati - sia stata imposta senza approvazione delle assemblee locali viene considerato un atto di dispotismo che attacca la libertà e la proprietà dei sudditi. Alcune assemblee coloniali dichiarano illegali le tasse imposte senza il loro consenso. Si reclama un netto legame tra cittadinanza e pagamento delle imposte: - no taxation without rapresentation -; niente tassazione senza rappresentanza. Negli anni 1760/70, esplodono tensioni per nuove imposizioni fiscali nelle colonie. Inoltre nel 1773, il governo britannico assegna il monopolio del commercio del tè nelle colonie americane alla Compagnia inglese delle indie orientali. Contro questa nuova imposizione scoppia la protesta nel porto di Boston che viene ricordata come Boston Tea Party , un gruppo di coloni gettano in mare il carico di tè di una nave della Compagnia. La reazione di Londra è durissima; il porto di Boston viene chiuso e un governatore assume ampi poteri. Nel 1774, una nuova legge - Quebec Act - istituisce nell’ex colonia francese un governo senza rappresentanza legale, procedure giudiziarie senza la giuria e libertà di culto ai cattolici. La risposta dei coloni fu la convocazione di un congresso dei rappresentati delle tredici colonie a Philadelphia che assunse una linea moderata e di conciliazione cercando un compromesso. Re Giorgio III decide però di reagire con la forza a quella che considera una ribellione. Nel 1775, inizia la guerra di indipendenza. Le colonie organizzano un esercito comune sotto il comando di George Washington. Inizialmente il più esperto esercito inglese ha la meglio sulle mal equipaggiate milizie coloniali. In Europa Benjamin Franklin sensibilizza l’opinione pubblica che si schiera a fianco degli insorti americani; partono anche numerosi volontari. Nel 1776, il Congresso americano approva la Dichiarazione d’indipendenza di Thomas Jefferson in cui sono definite le ragioni della ribellione: diritto naturale dei popoli alla vita, alla libertà ed alla ricerca della felicità. Questi diritti sono inalienabili; un governo che li ostacoli deve essere abbattuto Nel 1777 l’esercito americano consegue la prima vittoria a Saratoga. Negli anni successivi, aiuti militari e rifornimenti arrivano dalla Francia e Spagna che sono entrati in guerra contro Londra. Dopo tre anni (1781) l’esercito britannico viene sconfitto definitivamente a Yorktown. Con il trattato di Versailles (1783), la Gran Bretagna riconosce l’indipendenza delle sue ex colonie. Sotto la spinta delle esigenze belliche nel 1781. le ex colonie britanniche avevano ceduto parte della loro sovranità ad un governo centrale di tipo confederale. Gli Articoli di confederazione costituiscono la prima Costituzione degli Stati Uniti e si configura come un trattato fra Stati sovrani ognuno dei quali è rappresentato da un delegato al Congresso federale, in pratica si tratta di un coordinamento fra i vari Stati senza alcuna autonomia in materia finanziaria. Successivamente si afferma l’idea di dotare gli Stati Uniti di una vera e propria costituzione scritta che regoli il costituendo potere centrale. Nel 1787, si redige la costituzione che delinea una repubblica di tipo federale, con un forte potere federale dotato di una propria sovranità, parallela a quella dei singolo Stati. Si da vita ad un Congresso formato da due Camere: Camera dei Rappresentati eletti direttamente dai cittadini americani sulla base di una ripartizione proporzionale; Senato composto da due rappresentati nominati dai singoli Stati. L’equilibrio e la separazione dei poteri - secondo la lezione di Montesquieu - sono parte fondante del nuovo sistema istituzionale. Potere legislativo: Congresso. Potere esecutivo: Presidente. Potere giudiziario indipendente: Corti di giustizia dei singoli Stati e quelle Federali. Viene anche istruita una apposita Corte Suprema incaricata di interpretare il testo costituzionale, proteggere i diritti dei cittadini e dirimere i conflitti fra le diverse istituzioni federali e statali. Nel 1791, a completamento della costituzione viene approvato il Bill of Rights, atto che ribadisce i diritti individuali alla vita, alla libertà di pensiero, parola e culto,alla proprietà, alla ricerca della felicità. Purtroppo indigeni/pellerossa, schiavi/ africani e donne restano esclusi dai diritti di cittadinanza del nuovo Stato.
26-La rivoluzione francese.
Nel decennio 1789/1799 la Francia conosce la più straordinaria trasformazione politica mai realizzata nella storia dell’Europa occidentale. L’universo politico tradizionale -«antico regime» - viene spazzato via creando una nuova cultura politica che è ancora oggi la base della società contemporanea. La società di ordini e ceti viene sostituita da una società democratica e egualitaria. Il potere monarchico viene sostituito da un potere repubblicano esercitato dai rappresentati eletti dal nuovo potere sovrano: il popolo come nazione. Questa enorme trasformazione costituisce uno dei pilastri su cui è stata costruita la società dei secoli XIX e XX. Il sistema politico assolutistico creato da Luigi XIV presentava due limiti: 1) - la decisone di non convocare più gli Stati generali privava la monarchia di una camera di compensazione e della possibilità di cogliere gli umori dei gruppi sociali più dinamici del paese. Questa mancanza di un canale di collegamento tra la corte e la società, finisce per consentire al Parlamento di Parigi (suprema corte di giustizia civile e penale) di assumere un ruolo di supplenza nel rappresentare gli interessi del paese. Ma il Parlamento parigino finisce col non essere capace di far voce all’intera società francese; 2) - la volontà di Luigi XIV di incrementare ulteriormente il prelievo fiscale, senza il consenso dei ceti del regno, incontra evidenti ostacoli sia nella nobiltà che da tempo gode di un’ampia immunità fiscale, sia da parte della Chiesa, anch’essa esentata dal pagamento di imposte sui suoi beni. Una parte della nobiltà accetta l’ipotesi di una condivisione del carico fiscale chiedendo in cambio la partecipazione al processo decisionale, prospettiva che Re Sole esclude fermamente. In quegli stessi anni il finanziere scozzese John Law, tenta di risanare le disastrate finanze della corona emettendo cartamoneta. La banca reale emette un’enorme quantità banconote; contemporaneamente i titoli di Stato vengono cambiati in azioni della Compagnia delle Indie occidentali; dapprima questa operazione gonfia il valore della azioni della Compagnia, ma poi visto il basso dividendo offerto da queste azioni il loro prezzo crolla, la Compagnia viene sciolta, la corona ritira la banconote e le obbligazioni cartacee, il debito è di 4 miliardi di lire: è la bancarotta. Sotto Luigi XV (1726/74) vi è un ritorno all’autocrazia monarchica, senza una ricerca di soluzioni per un allargamento della partecipazione politica. Per risolvere la penuria dei mezzi finanziari nelle casse dello stato si cerca di imporre misure straordinarie che però incontrano l’opposizione del Parlamento parigino. Anche il tentativo di istituire il catasto fondiario, strumento necessario per tassare tutte le proprietà terriere, viene ostacolato. A questo punto il ministro della giustizia, propone una riforma giudiziaria che prevede la riduzione del ruolo dei Parlamenti, promettendo di ritornare a convocare gli Stati generali. Questa proposta non viene accettata. Con l’ascesa al trono di Luigi XVI (1754/93), vengono ripristinati e tradizionali poteri dei Parlamenti; la ricerca di soluzioni al difficile problema del disavanzo del bilancio stata viene affidata a intellettuali riformatori - Jacques Turgot / Jacques Necker - che coltivano le teorie di Montesquieu della necessità di una divisione dei poteri e guardano con ammirazione alla monarchia parlamentare inglese e alle nuove idee dei coloni nord-americani. All’indomani della crisi del 1774/75 - una carestia produce una serie di rivolte popolari «guerra delle farine» -, si ripresento il problema del debito pubblico aggravato dalle spese dovuto all’appoggio alle colonie americane nella guerra contro la Gran Bretagna. Per cercare di ottenere consenso alla sua politica di risanamento il responsabile delle finanze Jacques Necker rende pubblico il disastrato bilancio statale con l’unico risultato di essere costretto a dimettersi. Il Paese si divide: da un lato vi è chi punta ad una trasformazione delle monarchia in senso costituzionale; dall’altro i conservatori della nobiltà e del clero cercano di avvantaggiarsi dall’indebolimento della monarchia. Per superare questa situazione di stallo il sovrano nel 1788 decide di convocare gli Stati Generali, unica istituzione in grado di autorizzare nuove tasse. Gli Stati generali francesi sono divisi in tre ordini o Stati: la nobiltà; il clero; il cosiddetto Terzo Stato, che rappresenta la stragrande maggioranza della popolazione. La nomina dei vari rappresentati avviene tra difficoltà e discussioni anche perché erano 175 anni che non avveniva. Altro motivo di forte discussione e la modalità di voto degli Stati generali: ciascun ordine, dopo una votazione interna, esprime un solo voto (voto per ordine); oppure ciascun deputato degli Stati generali, prescindendo dall’ordine di appartenenza, esprime un singolo voto (voto per testa) ? Adottando il voto per testa, avrebbe prevalso l’opinione della maggioranza del Terzo Stato a cui si sarebbero aggiunte le minoranze delle nobiltà e del clero; accettando il voto per ordine avrebbero vinto gli orientamenti filo assolutistici dei conservatori prevalenti nei primi due Stati. L’atteggiamento ondivago del debole e inetto Luigi XVI che concede il raddoppio dei rappresentati del Terzo stato ma non il voto per testa - atto che vanifica il precedente, quasi una beffa - aggravano una situazione già potenzialmente esplosiva. Riunitisi a Versailles nel maggio 1789, gli Stati generali non riescono a risolvere il problema delle modalità di votazione; nel mese di giugno il Terzo stato si proclama Assemblea nazionale, ossia rappresentanza della nazione. Luigi XVI risponde ordinando di sbarrare le sale dove si tengono le seduta; i deputati del Terzo Stato si riuniscono allora nell’attiguo salone della pallacorda e giurano di non sciogliersi sino a quando non saranno riusciti a dare alla Francia una Costituzione. Il ricongiungimento delle minoranze della nobiltà e del clero all’Assemblea costringe Luigi XVI a riconoscere la trasformazione degli Stati generali in Assemblea nazionale costituente. Lo scontro tra i due schieramenti pare evitato. Nei giorni successivi alla nascita dell’Assemblea nazionale truppe militari furono ammassate dal sovrano attorno a Parigi nel tentativo di stroncare il nascente regime rappresentativo. Il 14 luglio 1789, il popolo della capitale insorse attaccando la Bastiglia, odiato carcere, simbolo del dispotismo. Si manifesta così quello che sarà uno degli aspetti più caratteristici della rivoluzione: il protagonismo popolare. Le discussioni dell’Assemblea vengono rese pubbliche e ampie quote delle popolazione prendono, per la prima volta, parte alle vicende politiche. Il confronto si radicalizza, gli esponenti della nobiltà reazionaria fuggono da Parigi -conte Artois -; il sovrano, tentennante ed incerto, è accusato di voler stroncare il nascente regime costituzionale. A Parigi si insedia un nuovo governo municipale, espressione del movimento rivoluzionario, dotato di una milizia armata, - la guardia nazionale - guidata dal marchese La Fayette , eroe riv. Americana Nelle campagne i contadini per sventare la reazione aristocratica, assaltano castelli bruciando archivi e documentazione relativi ai diritti signorili, distruggono tutti i simboli del potere feudale. L’Assemblea nazionale, sotto la spinta degli avvenimenti, proclama l’abolizione del potere feudale. Le decisioni dell’Assemblea nazionale sono condizionate da ciò che succede nel paese e viceversa, l’azione delle masse popolari, spesso violenta, diventa il terzo soggetto politico - sempre più autonomo - che si affianca all’assemblea ed alla corte. A Parigi questo movimento popolare è rappresentato dai sanculotti (sans-culottes). Mentre l’Assemblea, a livello legislativo, smonta le fondamenta dell’antico regime cercando di dar vita ad un nuovo regime costituzionale, la corte rimane tentata di dar vita ad un colpo di Stato militare per ritornare all’antico regime. Il 29 agosto 1789, viene proclamata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino che - analogamente alla dichiarazione dei diritti della rivoluzione americana- riconosce come naturali e imprescrittibili i diritti individuali - libertà/proprietà/sicurezza/ uguaglianza di tutti i cittadini e diritto alla resistenza all’oppressione -. Nell’ottobre del 1789, la piazza interviene duramente, più volte, per difendere la rivoluzione e accelerare il mutamento istituzionale; il popolo marcia si Versailles costringendo poi il sovrano e l’Assemblea nazionale a trasferirsi a Parigi. Successivamente l’Assemblea, che aveva sin a quel momento operato in un clima di sostanziale concordia, comincia a dividersi su proposte di più drastiche riforme riguardanti il ruolo del sovrano nella nuova costituzione e il provvedimento della confisca dei beni del clero per risanare la grave situazione finanziaria dello Stato; si vorrebbe anche dar vita ad una Chiesa nazionale francese. Altri aristocratici e religiosi che decidono di non prestare il giuramento richiesto dal nuovo regime vanno ad ingrossare le file degli oppositori all’estero. Anche Luigi XVI, sentendosi sotto scacco, decide di abbandonare la Francia per ritornarvi in armi. Nel giugno 1791 fugge da Parigi, ma viene intercettato e ricondotto nella capitale con la sua famiglia. Nonostante questo l’Assemblea nazionale decide il mantenimento della forma di governo monarchico-costituzionale. Il 17 luglio una manifestazione repubblicana presso Campo di Marte viene brutalmente repressa nel sangue. Nel mese di settembre viene proclamata la Costituzione; la Francia diventa una monarchia costituzionale: al sovrano spetta il potere esecutivo attraverso la nomina dei ministri, il potere legislativo tocca a una Camera eletta con sistema elettorale a doppia livello: gli aventi diritto al voto -maschi adulti che pagano le tasse- eleggono dei rappresentati ai quali spetta di designare i deputati. I primi due anni della rivoluzione videro importanti mutamenti del sistema politico segnati da eventi tumultuosi. Il sovrano si vede sempre più isolato e spera in un intervento delle potenze straniere; il fratello del re, conte di Artois, cerca di convincere l’imperatore Leopoldo II ed il re di Prussia, Federico Guglielmo II, ad intervenire per soffocare la rivoluzione e ripristinare l’antico regime. In Francia l’Assemblea legislativa è dominata dal gruppo politico delle nobiltà liberale detto dai «giacobini» -così chiamati perché si riuniscono in un ex convento dei frati giacobini - . I giacobini assumono via via posizioni più rigide arrivando all’emarginazione dei più moderati guidati da La Fayette i quali danno vita al gruppo dei foglianti - si riuniscono in un ex monastero dei foglianti . Accade così che in una Assemblea in cui vi è una maggiorana di orientamento moderato, sono le componenti repubblicane guidate dai deputati girondini, provenienti dalla Gironda, ad emergere. Nell’aprile del 1792, l’assemblea dichiara guerra la nuovo imperatore Francesco II d’Asburgo sperando di rafforzare il nuovo regime. Ma gli eserciti imperiale e prussiano invadono la Francia, la rivoluzione sembra sul punto di essere spazzata via. A questo punto ancora una volta è la piazza a determinare una accelerazione al processo rivoluzionario; la folla assale il palazzo reale costringendo l’Assemblea ad ordinare la deposizione e l’arreso di Luigi XVI accusato di tradimento Un Comitato esecutivo guidato da Danton, chiede una nuova assemblea - chiamata Convenzione - con il compito di dare alla Francia una nuova costituzione repubblicana. Vengono emarginati i componenti originari del gruppo che ha dato vita alla rivoluzione ed emergono Robespierre, leader dei giacobini e Brissot capo dei girondini. Questo nuovo gruppo dirigente riesce a galvanizzare il paese riorganizzando l’esercito, fronteggiando la penuria alimentare, confiscando i beni degli emigrati. Contemporaneamente. in un clima di enormi tensioni, vengono istituiti dei tribunali straordinari per processare quelli che si crede abbiano tramato o tramino contro la rivoluzione. Anche grazie alla leva obbligatoria di massa l’esercito francese sconfigge gli imperiali/prussiani. La Convenzione proclama la prima Repubblica Francese, settembre 1792; poi condanna Luigi XVI a morte. Il sovrano verrà giustiziato il 21 gennaio 1793. La morte di Luigi XVI spinge le potenze europee a formare una vasta coalizione antifrancese A Parigi le masse popolari dominano la Convenzione tramite i sanculotti; nella regione della Vandea sotto la guida della nobiltà locale e del clero prende vita una rivolta di stampo monarchico cattolico. Nella Convenzione la maggioranza girondina viene pressata dai gruppi più radicali, la fazione detta della Montagna e dalle agitazioni di piazza dei sanculotti;- deputati girondini arrestati- Il sopravvento dei montagnardi porta all’approvazione della Costituzione detta dell’anno I, assai avanzata in senso democratico - divisione dei poteri, suffragio universale maschile, riconoscimento del diritto al lavoro e all’assistenza -; però questa costituzione non entrerà mai in vigore. A questo punto mentre le forze della coalizione antifrancese invadono il paese, in diverse province esplodono sollevazioni girondine contro il soffocante potere dei giacobini e di Parigi. Il potere viene assunto dal Comitato di salute pubblica, organo straordinario di 12 membri fra i quali emergono Robespierre e Saint-Just; questo Comitato, dichiarando di voler arginare la guerra civile che sta minando la repubblica, decide l’eliminazione fisica e sistematica di tutti gli avversari politici Inizia la fase del Terrore: dopo processi sommari cadono sotto i colpi della ghigliottina magliaia di veri o presunti avversari del nuovo regime; fra i tanti la regina Maria Antonietta, il duca d’Orleans, intellettuali e studiosi,e anche famosi leader della rivoluzione stessa come Brissot, Danton, Hebert. Il nuovo regime rivoluzionario adotta un nuovo calendario, lancia campagne di scristianizzazione, con la creazione del culto della Ragione, cerca di fronteggiare la pesante situazione economica calmierando i prezzi e controllando la produzione dei beni. Però lo strapotere arbitrario e repressivo del Comitato di salute pubblica finisce per causare una reazione da parte dei sopravvissuti della Convenzione che, appoggiata da un’opinione pubblica scandalizzata e terrorizzata dagli eccidi, organizza un colpo di Stato. Nella notte tra il 26 e 27 luglio 1794 vengono arrestati Robespierre e Saint-Just che vengono subito ghigliottinati. Vengono poi abrogate le leggi speciali e aboliti i tribunali rivoluzionari. L’eliminazione della classe politica radicale riporta sulla scena i filo monarchici che si abbandonano a vendette cruente contro gli esponenti giacobini e sanculotti; questo periodo è ricordato come «Terrore bianco» . Successivamente lo smantellamento di norme di protezione sociale, come il calmiere dei prezzi, accompagnate da un inverno assai rigido aumentano le difficoltà economiche della popolazione facendo esplodere una rivolta a Parigi nel maggio 1795 che però viene repressa nel sangue. La Convenzione vara una nuova Costituzione, detta dell’anno III, improntata all’esigenza sia di sottrarre l’attività legislativa alle pressioni delle masse popolari, sia una restaurazione realista. Questa Costituzione è di orientamento assai moderato: limita la libertà di stampa e di associazione, prevede l’istituzione di un Parlamento bicamerale, tende a restituire sicurezza al potere legislativo. Due terzi dei componenti del nuovo Parlamento devono però essere già stati membri della Convenzione al fine di assicurare la continuità repubblicana della rappresentanza, evitando la possibilità di una vittoria elettorale dei filo monarchici. La Costituzione assegna poi il potere esecutivo a un Direttorio, composto da cinque membri.
27-L’erede imperfetto: Napoleone Bonaparte.
La figura di Napoleone Bonaparte (1769/1821) occupa un posto di assoluto rilievo nella storia e nell’immaginario europeo tra il XVIII e XIX secolo. Grande condottiero, abile politico, eccellete stratega egli inaugura un periodo di preponderanza francese sulla scena politico/militare del continente europeo, fatta salva la Gran Bretagna, in virtù del proprio primato economico e navale. Napoleone nasce in una famiglia della classe media, in Corsica, dopo essere stato un generale di modeste origini acquista un potere monocratico che si trasforma poi in potere monarchico. Come per Oliver Cromwell, nella rivoluzione inglese, deve la sua ascesa a sconvolgimenti politici di vasta scala: le uniche due rivoluzioni europee che hanno visto la condanna a morte di due sovrani - Carlo I Stuart e Luigi XVI Borbone. - . Napoleone si proclamerà prima re e poi imperatore dei francesi e non della Francia per indicare che la sua legittimità discendeva dal consenso popolare, non da una presunta volontà divina. Da una parte egli sa di essere l’erede della rivoluzione e contro le potenze europee legittimiste afferma il diritto dei francesi scegliersi il proprio governo, diritto che è frutto della rivoluzione. D’altra parte, Napoleone sa di rappresentare la forza di un principio monarchico che, dopo la rivoluzione, va riacquistando influenza e prestigio. Molti francesi, stanchi di faide e violenze della guerra civile, desiderano affidare le redini del governo ad un uomo forte che sappia imporsi opponendosi alle due posizioni estreme esistenti nel paese: - i filo monarchici, che desiderano la restaurazione dei Borbone ed il ritorno all’antico regime; - i cosi detti «giacobini» - in ricordo della famosa fazione di rivoluzionari - che vogliono costituire una salda repubblica ispirata ai principi della rivoluzione. Napoleone riesce nella difficile impresa di farsi accettare dalla maggioranza di questi due opposti schieramenti; è capace di presentarsi come erede della monarchia assoluta e, nel contempo, della rivoluzione. Un erede straordinario, ma ambiguo, imperfetto. Nel 1795, l’entrata in vigore della costituzione dell’anno III a causa della clausola per la quale i due terzi dei membri delle nuove Camere tra i membri della precedente Convenzione suscita la protesta dei monarchici che danno vita ad una insurrezione repressa nel sangue da un oscuro generale di sicura fede repubblicana: Napoleone Bonaparte. Viene poi nominato un Direttorio formato dagli ex membri repubblicani della Convenzione, quelli che avevano votato per la condanna a morte del re. Il Direttorio deve affrontare una situazione assai difficile: - sul piano interno assume misure repressevi sia nei confronti dei monarchici, sia dei repubblicani radicali (giacobini) che non accettano la normalizzazione moderata che sta prendendo vita; - congiura degli eguali -; - sul piano internazionale, le truppe francesi, dopo la pace separata con Prussia e Spagna, rimangono in guerra con Gran Bretagna, Impero e regno di Sardegna. Si decide un attacco a nord contro le forze dell’impero e di invadere il Piemonte per minacciare la Lombardia. Mentre l’armata che muove su Reno viene costretta a ripiegare, la spedizione inviata in Italia, sotto la guida di Napoleone Bonaparte, ottiene una serie di successi straordinari (1796). Lo stato di Sardegna si arrende, viene invasa la Lombardia e alcuni territori dello Stato della Chiesa. Con la pace di Campoformio (1797), i francesi ottengono la sovranità sui Paesi Bassi, la Lombardia, Nizza e Savoia; l’impero austriaco ottiene la repubblica di Venezia, che perde la sua indipendenza. Buona parte degli italiani appoggia gli ideali repubblicani francesi. Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia danno vita alla repubblica Cispadana - primo tricolore italiano -, poi con la Lombardia nasce la repubblica Cisalpina; in Liguria nasce la repubblica ligure. Nel 1798, sotto i colpi dell’invasione francese, nasce la repubblica romana e poi la repubblica partenopea; Ferdinando IV di Borbone si rifugia in Sicilia protetto dalla flotta britannica. Solo più la Gran Bretagna si oppone alla Francia repubblicana e il Direttorio decide di inviare in Egitto le armate di napoleone nel tentativo di ostacolare gli inglesi nei loro commerci. Bonaparte sconfigge gli egiziani nella battaglia delle Piramidi (1798), ma la flotta francese viene annientata dall’ammiraglio inglese Horatio Nelson. Napoleone decide di ritornare in Francia (1799). Sul piano interno il Direttorio, sconfitto dai monarchici nelle elezioni del 1797, con un colpo di Stato annulla i risultati delle elezioni ed epurando i filo monarchici. Mentre nelle campagne il banditismo è ormai fuori controllo, il quadro politico rimane instabile perché nelle nuove elezioni del 1798 vincono i giacobini. Il Direttorio annulla le elezioni con un nuovo colpo di Stato. A questo punto, l’abate Sieyes, famoso protagonista della prima Assemblea nazionale, in accorto Bonaparte organizza un nuovo colpo di Stato; dopo aver sciolto il Direttorio, Sieyes, Bonaparte e Ducos si autoproclamano consoli della repubblica cercando di dare stabilità alla Francia garantendo l’ordine pubblico. Di fatto però il potere esecutivo è nelle mani di Bonaparte che controllando l’esercito ha la forza delle armi. Una nuova costituzione, detta dell’anno VIII, assegna il controllo delle due assemblee legislative al triunvirato dei consoli. Napoleone, con la carica di primo console, ossia di capo dello Stato, si assicura un sostanziale predominio. La decisone di affidare le sorti della repubblica ad «un uomo forte» è dovuta: - all’incapacità del Direttorio a «terminare la rivoluzione» e ad assicurare la stabilità politica; - all’emergenza bellica creatasi con la formazione della seconda coalizione antifrancese - Gran Bretagna/Russia/Prussia/ecc Tra il 1788/89, in Italia vengono abbattute le varie repubbliche costitute sul modello francese. Napoleone decide di varcare nuovamente le Alpi; a Marengo (1800) infligge una dura sconfitta alle forze sarde ed imperiali. La Russia abbandona ala coalizione; si firma la pace con le altre nazioni. Sul piano interno il nuovo regime sigla un concordato con la Santa Sete che riconosce la repubblica francese in cambio dell’affermazione del cattolicesimo come religione della maggioranza dei francesi; il papato ristabilisce il controllo sulla Chiesa francese con autorità finanziare/amministrat. Avendo consolidato la propria posizione, nel 1802 Napoleone si fa proclamare primo console a vita, primo passo per la trasformazione del consolato in monarchia. Nel maggio 1804, viene approvata la costituzione dell’anno XII, che trasforma la carica di primo console in quella, ereditaria, di imperatore dei francesi, il tutto sancito da un plebiscito. Il 2 dicembre 1804, Pio VII, nella cattedrale di Notre Dame di Parigi, consacra Napoleone imperatore porgendogli la corona che egli stesso si pone sul capo. Per legittimare la nuova situazione vengono creati nuovi titoli nobiliari assegnati a militari e funzionari fedeli all’imperatore. Napoleone procede anche al riordino: - della finanza pubblica coniando una nuova moneta, il franco d’argento, garantita dalla Banca di Francia; - del sistema giudiziario ( controllo da parte del governo sui giudici, reazione dei tribunali d’appello Nel 1804 viene promulgato il Codice civile, che riassume molte delle conquiste della rivoluzione (libertà individuale, laicità dello Stato, uguaglianza di fronte alla legge, abolizione del feudalismo). Rassicurati i gruppi dirigenti del paese sul rispetto assoluto del diritto di proprietà, Napoleone rafforza gli apparati di sicurezza creando una potente polizia che si dedica sia alla tutela dell’ordine pubblico per dare sicurezza alle attività economiche e commerciali, sia alla repressione di ogni forma di dissenso, anche grazie ad un’efficace censura. Napoleone realizza per la prima volta nella storia europea il regime di un uomo che fonda il proprio potere sul controllo dell’esercito preoccupandosi nel contempo di legittimare il proprio ruolo tramite il consenso, espresso con il plebiscito, della maggioranza della popolazione. Gli storici hanno chiamato questo periodo cesarismo con riferimento alla dittatura imposta a Roma da Giulio Cesare che aveva imposto anch’egli fine all’esperienza di un regime repubblicano. Napoleone rappresenta per i francesi una normalizzazione che promette di conservare parte delle conquiste della rivoluzione. Si realizza una rottura dei diritti e privilegi dell’antico regime. Il perno del mutamento introdotto da Napoleone è la riforma amministrativa, la macchina statale viene impostata in modo strettamente gerarchico e piramidale. L’intero territorio francese, diviso in dipartimenti, viene controllato attraverso la nomina governativa di amministratori, prefetti, sotto prefetti con funzioni di controllo e direzione di tutti gli aspetti della vita collettiva. Lo Stato tende ad avere un ruolo sempre più incisivo producendo in questo modo un miglioramento nelle condizioni sanitarie, istruzione, efficienza amministrativa e finanze statali; contemporaneamente la società e sottoposto ad un potere centrale che ricorre ad un serrato controllo poliziesco militare. Prende il via la formazione di personale addestrato a lavorare nelle nuove strutture pubbliche, personale in cui cresce la consapevolezza del proprio ruolo al servizio delle Stato. Si afferma il principio di fedeltà al ruolo ed agli obblighi che comporta il far parte delle strutture pubbliche. Queste nuove regole di organizzazione dello Stato verrà chiamata «monarchia amministrativa». La quantità delle direttive emanate è notevole perché si ritiene che una legge scritta e pubblica possa impedire la rinascita di poteri particolari e di privilegi; in realtà essendo troppe le norme da rispettare i burocrati hanno un notevole spazio di manovra nell’eseguire prima una o un’altra norma Sono i burocrati i veri protagonisti della monarchia amministrativa, che verrà esportata dai francesi come modello di gestione della cosa pubblica, a conferma dei principi egualitari della rivoluzione. A questo fine Napoleone riforma il sistema dell’istruzione superiore; le grandi scuole pubbliche d’eccellenza diverranno vere fucine di quadri per l’amministrazione pubblica, militare e civile. Nel 1805, la Gran Bretagna, preoccupata per la forza del nuovo regime napoleonico, promuove una terza coalizione antifrancese: Impero austriaco, Russia, Svezia, Regno di Napoli. L’ammiraglio britannico Nelson, a Trafalgar, sgomina la flotta francese, ma l’armata napoleonica, a Austerlitz, sconfigge l’esercito austro- russo. Con il successivo trattato di pace l’Austria cede Veneto, Dalmazia e Istria al neonato regno d’Italia il cui sovrano è Napoleone. Bonaparte ridisegna la cartina europea creando una serie di Stati satellite della Francia sui quali insedia propri congiunti: Regno d’Olanda al fratello Luigi Bonaparte; Regno di Napoli al fratello Giuseppe; in Germania viene istituita la confederazione del Regno che riunisce Stati satelliti della Francia. In un nuovo scontro, gli eserciti prussiano e russo sono ancora una volta sconfitti da Napoleone che crea il Regno di Vestfalia affidandolo al fratello Girolamo. Solo l’Inghilterra resiste e Napoleone, impossibilitato ad invaderla, decide di isolarla economicamente per distruggere la sua principale fonte di potenza economica: i commerci. Francia ed i suoi Stati satellite decretano un blocco commerciale, ma questo isolamento mercantile non risulta efficace sia perché è difficilmente applicabile visto il grande contrabbando di merci inglesi, sia perché l’economia francese non è in grado di sostituire la produzione britannica. Nel 1809, Napoleone occupa lo Stato Pontificio e deporta Pio VII - che lo scomunica - a Savona, dopo un tentativo di invadere la Spagna, viene spodesto il re di Spagna e sul trono sale Giuseppe Bonaparte, sostituito nel regno di Napoli da Gioacchino Murat, marito di Carolina Bonaparte. Dopo la sconfitta di una quinta coalizione antifrancese, Napoleone impone all’Austria la perdita di numerosi territori che verrà sancita con il matrimonio tra Napoleone e Maria Luisa d’Asburgo, figlia dell’imperatore d’Austria. Nel 1811 nasce Napoleone Francesco, l’erede al trono francese. Con l’affermazione dell’egemonia francese si diffondono in Europa dei nuovi principi politici, modelli amministrativi e giuridici, modelli culturali, tutti diversi da quelli tradizionali. Ma proprio questi nuovi modelli culturali più liberi ed innovativi vengono usati da chi nei vari Stati occupati considerano l’influenza francese un sopruso ed una violazione delle loro tradizioni. Prima in Tirolo, poi in Spagna scoppiano rivolte nazionalistiche che soprattutto in Spagna dimostrano una violenza ed una determinazione straordinaria. Gli spagnoli attuano un tipo di resistenza nuova basata su scontri sporadici, ma con continue, logoranti azioni di sabotaggio; tale inedita forma di «piccolo guerra» , che evita battaglie in campo aperto e preferisce le imboscate e che coinvolge anche le popolazioni le quali appoggiano i ribelli, viene chiamata «guerrilla». La decisione russa di riprendere i commerci con la Gran Bretagna rompe l’alleanza tra Francia e Russia; nel giugno 1812, Napoleone invade la Russia con un esercito di 700.000 uomini, sconfigge le truppe zariste a Borodino e riesce ad occupare Mosca. I russi abbandonano la città dandola alle fiamme; privo di rifornimenti e vedendo che lo zar non chiede la pace, Napoleone ordina la ritirata. La sua armata, ripetutamente attaccata ai fianchi, stremata dal gelo e dalla fame, colpita da epidemie giunge in Francia con meno di 50.000 uomini. Le potenze europee tornano ad organizzare una coalizione antifrancese; a Lipsia (16/19 ott.1813) le forze antifrancesi sconfiggono Napoleone, poi invadono la Francia e occupano Parigi. Bonaparte viene costretto ad abdicare, viene restaurata la monarchia dei Borbone, Napoleone viene esiliato all’isola d’Elba , datagli come possedimento. La restaurazione dei Borbone in Francia non è affatto facile, cozza contro i grandi cambiamenti avvenuti in seno alla società francese creando una miscela di scontento e insofferenza. A febb. 1815, Napoleone fugge dall’Elba e sbarca in Francia, accolto entusiasticamente raggiunge Parigi. Le potenze europee danno vita alla settima (e ultima) coalizione antifrancese; il 18 giugno 1815, nella battaglia di Waterloo, in Belgio, gli eserciti britannico e prussiano sconfiggono Napoleone. Finisce così la nuova breve stagione napoleonica - i cento giorni - ; Luigi XVIII rientra a Parigi, Napoleone viene mandato in esilio nell’isola di Sant’Elena, sperduto possedimento britannico in pieno oceano Pacifico, dove, controllato a vista, morirà il 5 maggio 1821. - Ei fu. - .
28-La prima rivoluzione industria.
L’espressione «rivoluzione industriale» definisce una trasformazione epocale e irreversibile che subiscono le strutture produttive europee a partire dalla seconda metà del Settecento. Il primo paese europeo a sperimentare questa trasformazione e l’Inghilterra, dal 1760 al 1830; si parla di «prima rivoluzione industriale» per distinguerla dalla trasformazione industriale che avvenne in Europa occidentale nel terzo decennio del XIX secolo. Recentemente si è messo in discussione che si sia trattato di una vera «rivoluzione», una «frattura» con i sistemi produttivi precedenti; alcuni studiosi ritengono che sarebbe più esatto parlare di una lenta evoluzione nel segno della continuità rispetto al passato. Questa nuova interpretazione è legata alle ricerche e allo studio relativi agli incrementi produttivi, modesti e certo non rivoluzionari, verificatisi in Inghilterra in questo periodo. Peraltro se la crescita economica britannica non sembra essere rilevante, rimane il fatto che è caratterizzata da una costante accelerazione rispetto al passato. Il primo settore in cui vengono apportate significative innovazioni produttive è quello tessile ed in particolare quello dei cotonifici. Questo settore è stimolato dalla rapida espansione di questi tessuti sul mercato europeo dei manufatti provenienti dall’India; nel XIX secolo le nuove tecniche produttive porteranno la Gran Bretagna a diventare esportatici di manufatti in cotone verso l’India. Per incrementare la produzione si doveva adottare tecniche in grado di velocizzare la produzione, riducendo contemporaneamente i costi. La maggior resistenza del cotone, fibra vegetale, rispetto alla lana, fibra animale, permette l’introduzione di nuovi macchinari nella vari fasi della produzione: - preparazione/filatura/tessitura/finitura – ; filatoi e telai meccanici capaci di aumentare sempre più la produzione si susseguono; ogni progresso in una determinata fase della produzione stimola l’introduzione di nuove macchine nelle altre fasi che diversamente resterebbero indietro, incapaci di adeguarsi alle accresciute capacità produttive. Un «botta e risposta» nelle varie fasi. L’industria cotoniera assume un ruolo primario nel processo di industrializzazione in Inghilterra. La meccanizzazione non solo consente un miglioramento della produttività, ma anche una migliore qualità dei filati realizzati che riescono così a competere e a sostituire anche la seta e il lino. Seppur con maggior lentezza le innovazioni entrano anche in altre attività di produzione; nel settore siderurgico in seguito a diverse innovazioni delle fasi produttive si riesce a conseguire dapprima leghe di ghisa e poi di ferro sempre più pure e malleabili che si prestano a realizzare nuove strutture L’aumento della richiesta di carbone legata allo sviluppo della siderurgia, comporta uno sfruttamento in profondità delle miniere di carbone. Anche in questo settore vengono sperimentate nuove macchine in grado di ottimizzare la produzione e di diminuire la quantità di energia utilizzata La diffusione delle macchine in tutte le industrie diventa il simbolo stesso della rivoluzione industriale consentendo un risparmio di lavoro e di combustibile ed un aumento della produttività. L’impiego del vapore quale principale fonte di energia e l’adozione delle innovazioni tecniche nella produzione cambiano profondamente il paesaggio e la società inglese. Concentrare le macchine e i lavoratori sconvolge la geografia ed i costumi di vita. In precedenza le unità produttive avevano carattere familiare e eseguivano tutte le fasi di lavorazione, dalla materia prima al prodotto finito. Ora le macchine a vapore possono essere impiantate ovunque si voglia e chi investe i capitali impone che la produzione sia concentrata dove vi è maggior convenienza economica. Anche le vie di comunicazione sono migliorate; inizia il trasporto su rotaie che si rafforza man mano che vengono perfezionate le varie applicazioni del motore a vapore; contemporaneamente i canali che collegano i diversi fiumi navigabili vengono ampliati e moltiplicati arrivando a costituire una fitta ragnatela che permette di raggiungere località prima isolate e difficilmente raggiungibili. La trasformazione nella struttura della produzione industriale determina un importante cambiamento nel paesaggio e nelle gerarchie urbane. Sorgono nuove popolose città laddove vi erano solo piccoli villaggi (Birmingham, Liverpool, Manchester), una struttura urbana caratterizzata dall’assenza di continuità rispetto al passato. Le città industriali sfuggono al controllo politico e sociale dell’aristocrazia terriera, nascono contrasti fra aristocratici e borghesi relativamente al mutato peso elettorale delle varie regioni: zone rurali semi spopolate, città sempre più popolose. Nelle periferie delle città industriali fabbriche a capannoni si affiancano a caseggiati fatiscenti, - gli slum -, dove alloggiano le famiglie degli operai; i quartieri centrali, abitati dalla nuova ricca borghesia industriale, si abbelliscono proprio grazie alle industrie circostanti. I mutamenti delle strutture produttive in Inghilterra del primo Ottocento coinvolgono anche l’insieme delle gerarchie dei valori e dei rapporti sociali. I nuovi centri manifatturieri nascono e si dilatano grazie alla forte migrazione interna dalle aree rurali del paese. L’elevata concentrazione della forza lavoro in correlazione ai nuovi ritmi produttivi, cambiano le abitudini, la mentalità e gli stessi modi di vita della nuova popolazione urbana. Si tratta di un fenomeno che si accentuerà nella seconda metà dell’Ottocento. Accanto ad un personale qualificato - proveniente dall’artigianato - e dotato di stabilità sociale e lavorativa, vi sono operai privi di preparazione -ex contadini - ed infine donne e bambini sfruttati. Più si scendono i gradini di questa gerarchia interna della classe operaia peggiori diventano le condizioni di lavoro. I lavoratori privi di qualifica, le donne e i bambini non hanno alcuna forza contrattuale, passano fino a quindici/sedici ore al giorno nelle fabbriche. Soltanto nel 1831 una legislazione statale vieta di impiegare nelle fabbriche ragazzi di età inferiore ai 9 anni ed introduce il tetto di dodici ore di lavoro giornaliero per i minori di 18 anni. Anche la manodopera qualificata è minacciata dall’introduzione di macchinari sempre più efficienti che determinano un risparmio di forza lavoro con conseguente disoccupazione. I sempre più numerosi disoccupati vedono nella meccanizzazione il loro nemico; da qui divampano azioni terroristiche e sommosse popolari volte alla distruzione di macchine e fabbriche. Questo fenomeno noto come luddismo - si dice sia stato Ned Ludd il primo operaio a distruggere un telaio meccanico- è però privo di caratteristiche unitarie. In alcune regione si protesta per la disoccupazione, in altre per le dure condizioni di lavoro. In ogni caso le autorità non esitano ad utilizzare l’esercito per reprimere a schiacciare ogni tipo di protesta. Si giunge a vietare qualunque forma di organizzazione e rivendicazione operaia; lo sciopero è rigorosamente vietato. Nell’agosto 1819 un raduno di operai presso Manchester viene disperso dalla cavalleria che uccide 11 operai e ne ferisce 500. Ad ogni modo, in questi anni, sorgono le prime associazioni di mutuo soccorso per far fronte alla durezza ed ai rischi delle condizioni di vita dei lavoratori e delle loro famiglie. Nel 1824 viene autorizzata dalle autorità la creazione delle Trade Unions, le prime associazioni operaie, organizzazioni metà strada fra associazioni di mutuo soccorso e i futuri sindacati moderati.