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Mauro Bini
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Reg. Tribunale di Genova, n. 11/2004 del 31 maggio 2004 ISSN 1824-3576 Cod. CINECA E187020 p.iva 00754150100
n. 2 - 2007
Mario Molteni
Sommario: 1. Introduzione - 2. Gli stadi di sviluppo della CSR - 2.1 Stadio 1: CSR
informale - 2.2 Stadio 2: CSR corrente - 2.3 Stadio 3: CSR sistematica - 2.4
Stadio 4: CSR innovativa - 2.5 Stadio 5: CSR dominante - 3. Alcune varianti del
modello per stadi proposto - 4. Conclusioni
Abstract
L’articolo propone un modello per stadi che tratteggia il processo tipico con cui la
Corporate Social Responsibility può essere gradualmente integrata nella strategia
aziendale, avendo attenzione in particolare alle imprese di maggiori dimensioni. In una
prima fase – quella della “CSR informale” – si possono registrare talune iniziative a
carattere socio-ambientale specialmente dovute alla cultura dei vertici aziendali, al di
fuori di un disegno unitario. Nello stadio della “CSR corrente” le imprese iniziano a
cimentarsi con alcune azioni che possono dirsi “classiche” del repertorio della CSR; è il
caso del codice etico, del bilancio sociale, delle certificazioni ambientali. A questo punto
possono crearsi le condizioni per il passaggio alla “CSR sistematica”: l'alta direzione –
convinta dell'efficacia gestionale dell’orientamento alla CSR – decide di affrontare la
sostanza dei problemi socio-ambientali, incidendo profondamente sulla configurazione
delle attività aziendali. L’ulteriore fase è caratterizzata da una speciale creatività
nell’assumere decisioni in grado di soddisfare in misura sempre maggiore le attese di uno
o più gruppi di portatori di interessi, perseguendo nel contempo il vantaggio competitivo
per l’impresa: è la fase della “CSR innovativa”. Da ultimo si descrive la situazione della
“CSR dominante”, è il caso – in verità assai raro – dell’impresa che fa della CSR il cuore
stesso della propria identità e, quindi, della strategia aziendale. Per ciascuna fase si ha
attenzione ad esplicitare le forze trainanti e le manifestazioni tipiche.
1. Introduzione
1
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Gli stadi di sviluppo della CSR nella strategia aziendale
Impresa Progetto – Rivista on line del DITEA, n. 2, 2007
1
Tra i primi contributi in tema di CSR si segnalano: Bowen (1953); Davis (1960, pp. 70-
77).
2
La presente definizione ripropone alcuni tratti di quella contenuta nel Libro Verde della
Commissione Europea del luglio 2001, secondo cui la responsabilità sociale consiste
nella «integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni
sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti
interessate» (Commissione delle Comunità Europee, 2001).
3
Le due motivazioni alla CSR qui indicate sono spesso in letteratura denominate
rispettivamente “strumentale” e “normativa”. Si veda, tra gli altri: Donaldson, Preston
(1995). La necessità di fondere le due prospettive è suggerita anche in Smith (2003, pp.
52-76).
2
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Grado di
integrazione Dominante
nella Tensione
SPINTE ideale
strategia
aziendale
DEL VERTICE AZIENDALE
PER PASSARE ALLO
STADIO SUCCESSIVO
? • CSR come tratto dominante
della cultura aziendale
• Azioni collettive per mutare
i comportamenti nel settore
Ricerca del d’appartenenza
Innovativa
vantaggio
competitivo
• Ulteriore arricchimento delle
azioni di CSR
• Ricerca di sintesi socio-
competitive
• Identificazione di gap sociali
Volontà di Sistematica presenti nel contesto a cui
concretezza l’impresa può rispondere
Tempo
4
Un altro modello di sviluppo della CSR per stadi, che presenta alcune analogie con
quello qui proposto, è presentato in: Mirvis, Googins (2006, pp. 104-126).
3
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Nella seconda fase le imprese – a livello di uno o alcuni business oppure, più
spesso, direttamente a livello corporate – iniziano a cimentarsi con alcune azioni
che possono dirsi “classiche” del repertorio della CSR. Si fa riferimento, ad
esempio:
• allo sviluppo del codice etico. Si tratta di un documento ufficiale che può
contenere: l’enunciazione dei valori su cui si fonda la cultura dell’impresa (ad
esempio, la “qualità dei prodotti”, il “servizi al cliente”, il “rispetto e la
valorizzazione dei lavoratori”, ecc.; e/o la dichiarazione delle responsabilità
verso ciascuna categoria di stakeholder (clienti, collaboratori, azionisti,
comunità locale o nazionale) alle quali l’impresa vuole far fronte ritenendosi
moralmente obbligata; e/o la specificazione più o meno dettagliata delle
politiche aziendali in materia di condotta etica degli affari; e/o l’indicazione
delle norme di comportamento alle quali i lavoratori tutti – o, in particolare,
alcune categorie di essi – devono attenersi per tradurre in atto le politiche
etiche dell’impresa5;
• all'elaborazione del bilancio sociale (o di sostenibilità). Esso costituisce un
documento annuale, redatto volontariamente a integrazione del fascicolo di
bilancio, mediante il quale l’impresa comunica i tratti fondamentali della
propria identità (a cominciare dalla missione e dai valori che informano tutta
5
Cfr Coda V., “Codici etici e liberazione dell’economia” (1993).
4
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Per l’approccio denominato triple bottom line si rimanda a: Elkington (1997); Higgins
(2002).
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7
Per un approccio complessivo alle campagne di CRM si rimanda a: Adkins (1999);
Molteni, Devigili (2004).
8
Cfr. Linial (2003) e Pringle, Thompson (1999).
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tipi di transazione, quali la vendita di pacchetti di viaggio. Nel primo mese della
campagna l’uso di carte di credito aumentò del 28% rispetto all’anno precedente e la
sottoscrizione di nuovi contratti del 45%.
Gli strumenti di comunicazione utilizzabili in una campagna di CRM sono molteplici. Tra i
principali si possono menzionare:
- la pubblicità, ossia l’adozione di un messaggio pubblicitario caratterizzato da una forte
valenza sociale. Ciò può avvenire legando l’immagine dell’impresa a una causa
sociale di rilievo generale o al nome di un ente non profit, di norma selezionato tra
quelli più noti;
- la promozione al consumatore: si tende a orientare le preferenze dell’acquirente
comunicando che, al momento dell’acquisto del prodotto/servizio, una determinata
somma di denaro verrà destinato a una causa sociale;
- la raccolta punti, dando al consumatore la possibilità di trasformare i punti collezionati
in un premio destinato a un ente non profit che può essere predefinito dall’impresa o
in vario modo proposto dal cliente stesso;
- il voucher. In questo caso viene inserito nella confezione del prodotto un voucher che
il cliente fa poi pervenire all’ente non profit selezionato tra quelli accreditati; l’ente
consegnerà all’impresa i voucher raccolti, ricevendo i beni o i fondi prestabiliti;
- la licenza. In contropartita di una certa somma di denaro e/o di una royalty, un’impresa
può acquistare la licenza di utilizzo, nella commercializzazione dei propri beni, del
nome e del logo di un ente non profit di norma assai noto e dotato di alta reputazione
(meglio se culturalmente prossimo al segmento di clientela a cui più direttamente
l’offerta aziendale si indirizza) (cfr. Saxton 1998, pp. 393-399);
- la facilitazione delle donazioni del pubblico. In questo caso l’impresa mette a
disposizione del pubblico strumenti per raccogliere piccole donazioni a favore di enti
non profit. Ciò può avvenire, ad esempio, con la presenza di una sorta di salvadanaio
presso le casse di un punto vendita o con la proposta libera di un aumento del prezzo
del bene acquisito da destinarsi all’ente non profit.
7
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Si veda in proposito: Coda (1988).
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varie attività che i singoli business hanno posto in essere nei confronti della
comunità; l’articolazione della politica ambientale; l'introduzione di obiettivi socio-
ambientali nei sistemi di valutazione e incentivazione dei manager; l'inserimento
di misure socio-ambientali nella balanced scorecard; l’implementazione di una
politica per monitorare la catena di fornitura trasversale ai vari business; lo
sviluppo di politiche di marketing attente agli impatti sociali (si veda in proposito il
Box 3: “Le politiche di marketing responsabile di Kraft Foods”).
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Giunti a questa fase di sviluppo della CSR, si può affermare che il top
management abbia ormai acquisito familiarità con i temi della responsabilità
sociale. Questa familiarità potrebbe costituire il trampolino di lancio per
un’ulteriore transizione: quella verso una CSR più esplicitamente considerata
come una fonte del vantaggio aziendale.
Nelle azioni di CSR fin qui considerate risulta preminente la volontà del
management di garantire ai vari soggetti implicati con la vita aziendale un livello
di tutela dei diritti più elevato di quello imposto dalle norme vigenti. Ma la CSR
può spingersi al di là non solo degli obblighi di legge, ma anche del livello di
tutela dei diritti degli stakeholder implicato dagli standard di
autoregolamentazione e dalle forme di certificazione volontaria che si stanno
affermando nel contesto internazionale e nazionale. Si può parlare allora di
creatività socio-competitiva, in quanto in questa seconda accezione, la CSR si
caratterizza per la ricerca di soluzioni innovative atte a soddisfare in misura
sempre maggiore le attese di uno o più gruppi di portatori di interessi, tendendo a
fare di tali soluzioni un fattore di sviluppo del vantaggio aziendale. In questo caso
il termine responsabilità sociale perde ogni connotato ‘negativo’10, nel senso di
divieto o di vincolo all’operare, e diventa sinonimo di una creatività posta al
servizio della soddisfazione delle attese di tutti gli stakeholder11.
Le due forme di responsabilità sociale a cui si è accennato – la tutela dei
diritti e la creatività socio-competitiva – sono tra loro complementari. Per quanto il
confine tra le due accezioni non sia tracciabile con nettezza, può essere utile
sintetizzarne le differenze. La tutela dei diritti interpreta la responsabilità
10
In merito alla distinzione tra azione ‘negativa’ e azione ‘affermativa’, si vedano: Nagel
2001, pp. 379-382); Beauchamp, Bowie (2001). Analoghe classificazioni sono proposte
da: De George (1993, cap. 10), che distingue tra il rispetto delle norme oltre il minimo e il
perseguimento degli ideali; Kemp (2001), che distingue tra misure value conserver
(elaborate per limitare i rischi e le esternalità negative) e misure value creator (realizzate
in vista di generare ricavi addizionali e di migliorare l’efficienza).
11
Sull’importanza della creatività volta a ricercare nuove soluzioni capaci di conciliare
attese la cui soddisfazione si pone inizialmente come alternativa, si segnalano tra gli altri:
Coda (1995); Lozano (2001, pp. 330-356).
11
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Si noti che la prospettiva della tutela dei diritti è vissuta principalmente ma non
esclusivamente come vincolo, poiché agli occhi di chi la pone in essere può già
manifestare una volontà positiva di soddisfare le esigenze delle parti interessate,
nell’ottica dunque della sinergia tra socialità ed economicità.
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Imprenditorialità
+ socialmente orientata +
Esigenze, Opportunità di:
manifeste o latenti, - sviluppo produttività
di interlocutori sociali - crescita
Sintesi
socio-
competitiva
Soddisfazione degli
Vantaggio
interlocutori
aziendale
Risultati economici
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LA STORIA
Give the Gift of Sight nasce nel 1988 sulla base del principio che “la vista non è un lusso
ma un diritto di ogni essere umano”. Inizialmente attiva solo in alcune città del Nord
America, all’interno della struttura di LensCrafters, ha gradualmente esteso l’attività
all’intero territorio nordamericano e, in seguito, a livello internazionale. L’acquisizione di
LensCrafters da parte di Luxottica Group nel 1995 ha permesso al programma di
ampliarsi sempre più, coinvolgendo progressivamente nuove entità del Gruppo. Nel
2004, in particolare, il programma “Recycle Huts” di Sunglass Hut, altra catena del
Gruppo, ha consentito di raccogliere occhiali da sole che sono stati rimessi a nuovo e poi
donati nelle missioni internazionali, specialmente in zone dove l’esposizione ai raggi
solari è molto dannosa per gli occhi. La Fondazione, che si era prefissata di aiutare un
milione di persone entro il 2003, ha raggiunto questo obiettivo già nel 1999, quando
un’unità mobile in Oregon ha consegnato il suo primo paio di occhiali a Jessica, una
bambina di sei anni. Nel 2001, in Bolivia, Julia è stata la duemilionesima persona a
13
In tema di strategic philantrophy, si segnalano: Smith (1994, 105-116); Porter, Kramer
2002); Porter, Kramer (2006).
14
Tratto da: Gruppo Luxottica, Annual Report 2005.
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I VALORI
L’attività di Give the Gift of Sight ha permesso a molte persone di godere pienamente del
dono della vista, ma ha anche dato a tutti i volontari l’occasione per impegnarsi in
un’esperienza unica, emozionante e ricca di valori positivi. La partecipazione ai
programmi della Fondazione contribuisce a rafforzare valori come senso di appartenenza
al Gruppo, rispetto per la diversità, lavoro di squadra e cultura dell’aiuto al prossimo.
Queste esperienze, attraverso il particolare legame che si crea, contribuiscono ad
aumentare la coesione tra le persone del Gruppo. Nel 2004, per esempio, per la prima
volta addetti italiani hanno partecipato come volontari alle missioni internazionali, mentre
la catena Sunglass Hut è stata coinvolta nella raccolta di migliaia di occhiali da sole.
In un Gruppo così grande e internazionale come Luxottica Group, conoscere persone
diverse, a livello locale ma ancora di più nelle missioni internazionali, e collaborare con
colleghi che spesso non si sono mai incontrati, contribuisce ad aumentare il rispetto
reciproco e insegna ad apprezzare le differenze tra persone e culture.
I programmi di Give the Gift of Sight richiedono un grande impegno di squadra per
ottimizzare risorse e tempo a disposizione, e superare le difficoltà per aiutare il maggior
numero possibile di persone. Quest’esperienza sviluppa, attraverso il lavoro di gruppo, la
capacità di risolvere i problemi con soluzioni creative, facendo emergere le doti
decisionali (…).
IL 2005
Nel 2005 Give the Gift of Sight ha prestato assistenza oculistica gratuita a 667.141
persone nel mondo. In particolare, 345.531 persone in 12 missioni internazionali – in
Messico, Costa Rica, Panama, Romania, Honduras, Paraguay, Cambogia, Cile e
Tailandia – hanno beneficiato di esami della vista e occhiali riciclati negli Stati Uniti. In
Nord America sono state compiuti Vision Screenings nelle scuole e in negozi del Gruppo
durante giornate dedicate, e sono stati riparati occhiali negli ospedali o in case di riposo,
aiutando 199.412 persone. Il grande impegno a favore dei bambini ha portato due unità
mobili attraverso le aree disagiate o remote del Nord America, fornendo occhiali a 24.748
piccoli. Nelle città, durante le giornate dedicate a Give the Gift of Sight “Hometown Day”,
20.010 bambini hanno effettuato gli esami della vista.
Negli Stati Uniti, è stato determinante l’impegno a favore delle vittime dell’uragano
Katrina che ha colpito la Louisiana e altri Stati limitrofi in settembre: i Vision Van Clinics,
speciali mezzi attrezzati, hanno aiutato 5.324 persone alloggiate in strutture provvisorie a
San Antonio e Houston (Texas) e Monroe (Louisiana).
I dipendenti della rete Retail, inoltre, hanno distribuito occhiali a 9.352 persone, la
maggior parte delle quali colpite dall’uragano. Nel corso del 2005, almeno 400 tra
dipendenti e ottici hanno viaggiato in missioni interne e internazionali. In totale, Give the
Gift of Sight ha distribuito nuovi occhiali a 121.561 persone in Nord America.
IL FUTURO
Gli importanti risultati conseguiti da Give the Gift of Sight sono il frutto della passione e
della dedizione di volontari del Gruppo, oculisti, fornitori e altri partner, nonché di
Luxottica Group. La gioia e l’entusiasmo nel raggiungere questi obiettivi sono le basi
migliori per continuare a porsi mete molto ambiziose per il futuro. I progetti 2006 si
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Con il raggiungimento dello stadio della CSR innovativa può dirsi, in un certo
senso, ultimato il percorso di integrazione della CSR nella strategia aziendale.
Ma la quinta fase identificata nel modello proposto sta a indicare un’ulteriore
livello di impegno: è il caso dell’impresa che fa della CSR il cuore stesso della
propria identità e, quindi, della strategia aziendale, rendendola il criterio
informatore di tutte le decisioni aziendali. La “CSR dominante” è il portato di una
leadership dotata di una profonda sensibilità socio-ambientale ed anche del
carisma necessario per fare di essa il perno della cultura aziendale. Questo può
essere osservato in particolari situazioni: quando è lo stesso fondatore (o il team
imprenditoriale iniziale) a imprimere questo orientamento fin dalle origini
dell’impresa (si veda Ben & Jerry’s negli Stati Uniti, cfr. Bollier 1996); quando a
un certo punto della storia aziendale, un avvicendamento al vertice porta al
comando un uomo in grado di imprimere una profonda idealità nell’identità
17
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dell’impresa (si pensi alla Olivetti di Adriano Olivetti in Italia15); quando l’impresa
è incardinata in un fenomeno culturale ed economico portatore di istanze sociali
(si pensi ad alcune imprese, anche di grandi dimensioni, sorte nell’ambito del
movimento cooperativo).
Simili aziende assumono una funzione di traino dell’intero contesto
imprenditoriale: spesso le azioni di CSR messe a punto per la prima volta da tali
imprese diventano termini di emulazione da parte di numerose aziende
intenzionate a integrare la CSR nella propria strategia aziendale.
Si noti che in presenza di un “CSR dominante” difficilmente l’impegno socio-
ambientale degli esponenti dei vertici aziendali si limita entro i confini
dell’impresa. Esso tende, piuttosto, anche a investire il contesto in cui l’impresa
opera (che spesso ha un raggio d’azione a livello mondiale). Talora infatti il
management si rende conto che una determinata azione tesa a soddisfare le
attese di un gruppo di interlocutori sociali comporterebbe costi aggiuntivi,
collocando l’impresa in condizioni di svantaggio rispetto ai concorrenti più
spregiudicati. Conseguentemente il management si pone il seguente
interrogativo: è possibile mutare le regole del gioco imponendo nuovi
comportamenti a tutto il settore, così che il soddisfare le attese degli stakeholder
non determini per l’impresa una perdita di competitività? L’alta direzione è allora
sollecitata ad attuare una politica volta a modificare il contesto di riferimento
(locale, settoriale, nazionale o internazionale) proprio per difendere la strategia di
sviluppo desiderata16.
Si rifletta sul seguente esempio. Il vertice di un’impresa, sensibile alle
problematiche ambientali, è orientato a effettuare investimenti di natura ecologica
al di là degli obblighi di legge; l’intervento genera un differenziale di costo
sfavorevole rispetto ai concorrenti. Ove tale differenziale fosse insostenibile, la
scelta si porrebbe sotto la forma di un dilemma: privilegiare la sostenibilità
ambientale o le performance competitive? Una via di uscita può essere quella di
intraprendere un’azione nel contesto, che possibilmente coinvolga i principali
concorrenti e/o l’associazione di categoria, in vista di promuovere una forma di
autoregolazione collettiva o una norma di legge che renda obbligatoria per tutti il
tipo di investimenti pianificati per se stessa. Il contesto modificato riconcilierebbe
i due obiettivi che in precedenza si ponevano come trade-off.
Significativamente, i CEO più sensibili alle istanze sociali tendono a non
limitare la propria azione all’interno dei confini aziendali, ma a prendere parte
attiva nella vita delle associazioni di rappresentanza delle imprese e nella più
vasta realtà sociale e politica17. Essi sono orientati a intessere relazioni aperte
15
Tra i numerosi testi dedicati all’esperienza della Olivetti nel secondo dopoguerra si
veda: Soavi (2001).
16
Scrive De George: «le aziende che operano con integrità non nuocciono, non sfruttano
e non approfittano ingiustamente degli altri. Al contrario, aiutano a sviluppare istituzioni di
supporto adeguate per rendere equa la concorrenza. Hanno un motivo legato al proprio
interesse, così come un motivo più altruistico, etico» (1993, pp. 192-193).
17
Sull’importanza di una politica attiva nei confronti dei pubblici poteri anche in vista di
sostenere il vantaggio aziendale si veda: Hillman, Hitt (1999, pp. 67-81); Schuler 2002,
pp. 659-672).
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Cfr. Molteni (1990, cap. 4).
19
Tratto da: “Il bilancio di sostenibilità del Gruppo Granarolo 2005”.
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successi inizialmente registrati nell’attuare una simile strategia non fanno che
istituzionalizzare e radicale nella cultura tale sensibilità. Ovviamente
l’ampiezza, l’organicità e la qualità delle pratiche di CSR subirà un’evoluzione
nel tempo;
• focus sulla sostanza. Esistono imprese in cui si effettua un passaggio diretto
dalla fase “informale” a quella “sistematica”, senza transitare per l'adozione
delle forme canoniche di CSR. Si tratta, spesso, di imprese a cultura
ingegneristica, in cui l'attenzione alle implicazioni socio-ambientali dei processi
produttivi prevale nettamente rispetto a quella dedicata ad attività riconducibili
alla sfera della comunicazione. Si noti, inoltre, che il passaggio in parola
suppone una leadership molto motivata nei confronti delle tematiche sociali e
ambientali;
• reazione alla crisi. Imprese oggi all’avanguardia in alcune pratiche di CSR
hanno alle spalle eventi catastrofici di origine sociale o ambientale, a cui
hanno risposto avviando un processo di sviluppo della CSR a tappe forzate. Si
pensi, a titolo esemplificativo, alla reazione di Shell alle vicende connesse alla
piattaforma petrolifera Brent Spar nel Mare del Nord (metà degli anni ’90) e a
quella di Nike, coinvolta nella seconda metà del decennio scorso nello
scandalo dell’impiego del lavoro minorile nella produzione di palloni da calcio.
In simili casi viene meno una gradualità di evoluzione e si assiste a uno
sviluppo accelerato dell’integrazione della CSR nella strategia aziendale,
bruciando così gli stadi modello proposto;
• accelerazione da nuova leadership. Per certi versi simile alla situazione
precedente è il caso in cui l’orientamento alla CSR è il portato di una nuova
leadership che intende creare una discontinuità con la gestione precedente
per quanto riguarda le politiche socio-ambientali. Si pensi ad esempio a
Jeffrey Immelt, succeduto alla guida di General Electric a Jack Welch, che per
vent’anni aveva condotto il colosso statunitense lungo un sentiero di crescita
che aveva avuto nella massimizzazione del valore il criterio fondamentale; il
nuovo leader si è impegnato a instillare nella nuova strategia aziendale del
gruppo un forte orientamento ambientale (anche coniando il termine
Ecomagination) e sociale (si veda il Box 7: “GE: Solving Big Needs”).
20
Dalla Lettera di Brackett B. Denniston III (Senior Vice President e General Counsel) e
Robert L. Corcoran (Vice President, Corporate Citizenship e Chief Learning Officer)
contenuta in “GE 2006 Citizenship Report, Solving Big Needs”.
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siamo imposti obiettivi ambiziosi per ridurre le emissioni dei gas serra e aumentare
l'efficienza energetica delle nostre attività.
Ambiente, salute e sicurezza (EHS). Il nostro sistema di gestione EHS è stato concepito
per definire standard globali, promuovere la business leadership, la responsabilità e
l’accountability dei risultati. GE riesce ad ottenere tutto ciò fornendo ai dipendenti le
informazioni e il training necessari a consentire loro di soddisfare le grandi aspettative a
livello di EHS di GE e a gestire i sistemi di monitoraggio che garantiscono che tali
impegni vengano assolti in tutti gli ambiti operativi, inclusi i mercati emergenti a non.
Abbiamo selezionato questi quattro ambiti in base all'importanza che oggi rivestono per il
nostro business; e li consideriamo vitali per la sopravvivenza del nostro business e per
rafforzare le nostre performance in termini di cittadinanza d'impresa. Inoltre, essi riflettono
la nostra convinzione che GE, proprio grazie alle sue dimensioni, sia ottimamente
posizionata per risolvere grandi problemi. Nel tempo, identificheremo nuove aree nelle
quali speriamo di assumere un ruolo di leader”.
4. Conclusioni
Il modello degli stadi di sviluppo della CSR nella strategia aziendale qui
proposto ha immediatamente una valenza di ordine descrittivo. Ciò nondimeno
esso può assumere una valenza prescrittiva laddove il vertice aziendale lo utilizzi
per identificare i passi da compiere lungo il sentiero di una crescente
soddisfazione delle attese degli stakeholder.
Il modello proposto, infatti, consente all’alta direzione di porsi interrogativi
rilevanti. Innanzitutto, in quale stadio si colloca attualmente la mia impresa?
Perché siamo in questa situazione? Ci sono le condizioni per passare allo stadio
successivo? Quale evoluzione – nella cultura aziendale e nelle azioni – è
necessario promuovere per procedere lungo la direttrice di una sempre più alta
integrazione della CSR nella strategia? Quali leve aziendali è opportuno azionare
per favorire il processo di transizione?
La sfida insita in queste domande può far emergere la necessità di riformulare
la stessa vision dell’impresa, di dotare l’impresa di nuovi organi a cui attribuire
specifiche responsabilità in tema di CSR, di modificare i sistemi aziendali (di
gestione del personale, di controllo, di rendicontazione, di comunicazione, ecc.)
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in vista diffondere a tutti i livelli una più viva sensibilità alle problematiche sociale
ed ambientali. E altro ancora.
Per quanto sia preziosa la consapevolezza che un sistema organico di
iniziative di CSR possa risultare funzionale al miglioramento delle performance
economiche e competitive dell’impresa, alla luce delle esperienze osservate
perché sia abbracciata una simile direzione di marcia non è sufficiente nell’alta
direzione una pur realistica considerazione di tipo utilitaristico. È piuttosto
necessaria una tensione morale che sia attratta dalla prospettiva che l’operare
della propria impresa risulti con sempre maggiore intensità fattore di promozione
umana e sociale.
Bibliografia
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Gli stadi di sviluppo della CSR nella strategia aziendale
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Mario Molteni
Professore Ordinario di Economia aziendale
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Via San Vittore, 18
20123 MILANO
E-mail: mario.molteni @ unicatt.it
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