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L’amore che crede e discerne

(1Gv 4,1-10)

La prima Enciclica del Papa Benedetto XVI, intitolata Deus Caritas est, si apre
con la celebre citazione della Prima Lettera di Giovanni «Dio è amore»
(1Gv 4,8.16), che, come scrive il Papa, esprime il centro della fede cristiana.1 La
prima parte dell’Enciclica, di indole più speculativa, è dedicata alla presentazione
di dati esenziali dell’amore cristiano, specialmente quelli che emergono dal
confronto con il concetto dell’eros greco. Una delle caratteristiche proprie di
questo amore cristiano, che lo distingue chiaramente dall’eros greco, consiste nel
fatto che è un amore che pensa, che discerne, che non si lascia trascinare in modo
cieco dalla passione, anzi è in grado di guidare le passioni verso la piena unione in
cui l’essere umano diventa pienamente se stesso.
Il presente articolo intende entrare nella riflessione legata a questa dimensione
dell’amore cristiano, l’amore che crede e che discerne, offrendo l’esegesi di una
delle pericopi più significativi della Prima Lettera di Giovanni, in cui appare per
la prima volta nella 1Gv l’espressione «Dio è amore». L’unità testuale presa qui
in considerazione include primi dieci versetti del quarto capitolo della Lettera,2 in
cui il tema della fede è unito a quello dell’amore tramite il discernimento «degli
spiriti» (1Gv 4,1). Il metodo adoperato in questo studio, l’analisi retorica biblica,
rappresenta uno degli approcci sincronici dell’esegesi moderna, la quale sempre
più seriamente prende in considerazione la composizione del testo, prescindendo
dai suoi problemi storici. L’analisi retorica biblica, rivelatasi strumento efficace
per scoprire la composizione dell’insieme della 1Gv, offre il vantaggio di cogliere
il significato generale del testo, che emerge dall’intreccio di molteplici rapporti
testuali. La lettura lineare, versetto per versetto, tipica dell’esegesi tradizionale,
risulta spesso inadeguata a un tale scopo. L’analisi retorica biblica, applicata qui

1
Vedi Benedetto XVI Deus Caritas est, Città del Vaticano 2006.
2
La delimitazione delle unità testuali nella 1Gv, tanto rilevante nel caso dell’esegesi
sincronica, è uno dei problemi più disperati della Lettera. Il metodo dell’analisi retorica
biblica, sviluppato recentemente da R. MEYNET (vedi Traité de rhétorique biblique, RhSem 4,
Paris 2007), e applicato al testo della 1Gv dall’autore del presente articolo, offre però uno
strumento rigoroso e molto efficace sia per delimitare con esattezza le unità testuali sia per
presentare il loro insieme, che rivela un’architettura ben ordinata, rilevante per la giusta
comprensione del testo.
al testo della 1Gv per la prima volta3, rivela che 1Gv 4,1-10 forma un insieme
significativo, di cui il senso non si comprende bene se non si rispetta la sua unità.4
Il presente studio sul testo giovanneo si svolge seguendo le quattro operazioni
esegetiche chiamate: Testo, Contesto biblico, Composizione e Interpretazione.
L’accento viene posto sulle ultime due, in quanto l’organizzazione del testo
diventa qui cruciale per la sua interpretazione. Le stesse ultime due operazioni
verranno realizzate su due diversi livelli, sul livello delle unità minori, chiamate
passi, e sul livello del loro insieme, chiamato sequenza.
Il testo in considerazione forma un’unità testuale ben delimitata chiamata
sequenza. Essa è formata da tre brevi passi ordinati in modo concentrico:

Riconoscere LO SPIRITO DI DIO


nella confessione di Gesù Cristo venuto nella carne 4,1-3

Riconoscere chi appartiene a Dio e chi al mondo 4,4-6

Riconoscere L’AMORE DI DIO


nel dono del Suo Figlio mandato al mondo 4,7-10

1. RICONOSCERE LO SPIRITO DI DIO NELLA CONFESSIONE DI GESÙ CRISTO


VENUTO NELLA CARNE (4,1-3)

Il primo passo contiene due parti di diversa lunghezza:


L’esortazione ad esaminare gli spiriti (1)
La regola per distinguere lo Spirito di Dio da quello dell’anticristo (2-3)

1.1 Testo
4,1
Amatissimi, non ad ogni spirito crediate, ma esaminate gli spiriti, se da
Dio sono, perché molti falsi profeti sono usciti al mondo. 2 In questo
conoscete lo spirito di Dio: ogni spirito il quale confessa Gesù Cristo nella
carne venuto, è da Dio, 3 e ogni spirito il quale non confessa Gesù, non è da
Dio; e questo è quello dell’anticristo di cui avete ascoltato che viene e ora è
già nel mondo.
Il più importante problema testuale di questi versetti è legato alla seconda
ricorrenza del verbo «confessare» (3). Il sintagma mh. o`mologei/ («non confessa»)

3
Vedi JACEK ONISZCZUK, La Prima Lettera di Giovanni. La giustizia dei figli, di prossima
pubblicazione.
4
Gli studiosi di solito trattano 1-6 e 7-10 come due unità indipendenti, scorgendosi dei
rapporti formali che le uniscono; vedi ad es. R. BROWN, Le Lettere di Giovanni, Assisi 20002.

2
sostenuto dalla stragrande maggioranza dei testimoni più autorevoli, 5 viene
sostituito con lu,ei («scoglie» o «annulla», lat. solvit) in un manoscritto greco (in
1739 come annotazione sul margine), nella tradizione latina (vg) e in alcuni
Padri (Ir1739mg Cl1739mg Or1739mg Lcf). Dal punto di vista della critica esterna la
lettura con lu,ei senz’altro è da scartare come secondaria.6 Tuttavia non pochi
studiosi7, facendo ricorso alla critica interna, sostengono che proprio questa
lettura sia originale. Secondo loro il testo originale suonerebbe: «ogni spirito che
annulla Gesù non è da Dio». B.D. Ehrman nella sua esaustiva argomentazione8
ha mostrato che la lettura con lu,ei è una corruzione del testo, nata
presumibilmente nel contesto delle polemiche cristologiche dei primi secoli del
cristianesimo. Intanto a proposito del sintagma mh. o`mologei/ bisogna notare che
grammaticalmente la costruzione mh. con l’indicativo nelle relative ipotetiche è
anomala,9 perciò questa lettura potrebbe essere ritenuta lectio difficilior.
L’espressione «da Dio sono», in 1b, traduce il greco evk tou/ qeou/ evstin in cui
il verbo eivmi, («essere») è alla terza persona singolare, anche se il suo soggetto
«gli spiriti» (ta. pneu,mata) è al plurale. Il mancato accordo grammaticale è un
esempio di constructio ad sensum, che riguarda i soggetti di genere neutro, ed è
abbastanza frequente nel NT.10 Il sostantivo «spirito/spiriti» (pneu/ma/pneu,mata)11
in 4,1-3 viene compreso dagli studiosi generalmente in due diversi modi. Alcuni
sostengono che esso designi le persone umane in quanto ispirate dagli esseri
spirituali come Dio o diavolo,12 altri invece vedono qui piuttosto gli esseri

5
Tra cui A B K L Ψ e molti minuscoli.
6
Vedi B.M. METZGER, A Textual Commentary on the Greek New Testament, D–Stuttgart
1971, 19942, 644-645.
7
Tra quelli: Brown, Brooke, Bultmann, Harnack, Schnackenburg. L’elenco più completo
dei sostenitori di questa lettura, come pure gli argomenti pro e contro, in I.H. MARSHALL, The
Epistles of John, NICNT, Grand Rapids – Michigan 1978, 207-208.
8
Vedi B.D. EHRMAN, «1Joh 4,3 and the Orthodox Corruption of Scripture», ZNW 7 (1988)
221-243.
9
Nel NT, oltre 1Gv 4,3, occorre soltanto in 2Pt 1,9 (e At 15,29, ma nell’aggiunta di D); di
regola le proposizioni relative con l’indicativo hanno ouv; vedi F. BLASS – A. DEBRUNNER,
Grammatica del greco del Nuovo Testamento, ISB Supplementi 2, Brescia 19972, § 428.4.
10
Vedi D.B. WALLACE, Greek Grammar Beyond the Basics. An Exegetical Syntax of the
New Testament, Grand Rapids, Michigan 1996, 399; F. BLASS – A. DEBRUNNER, Grammatica
del greco del NT, § 134. Altri es. Mc 4,4; Gv 9,3; 1Cor 10,7, ecc. Per rispettare questa
particolarità nella tavola il verbo è al singolare (2d).
11
T. FRIBERG – B. FRIBERG – N.F. MILLER, Analytical Lexicon of Greek the New Testament,
Grand Rapids 1994, 20002, «pneu/ma», distingue i seguenti tipi di significato di pneu/ma nel NT:
1) movimento dell’aria: «soffio», «vento»; 2) principio di vita: «soffio di vita»; 3) immateriale
parte della personalità umana: «spirito»; 4) sede della vita interiore dell’uomo: «spirito»; 5)
disposizione o modo di pensare: «attitudine», «atteggiamento»; 6) un essere incorporeo
indipendente: «spirito» (ad es. Dio, Spirito Santo, diavolo, angeli, o fantasmi umani).
12
Così pensano p. es.: I.H. MARSHALL, The Epistles of John, 204; G. STRECKER, The
Johannine Letters, Hermeneia, Minneapolis 1996, 132; R. SCHNACKENBURG, Die

3
spirituali, buoni o cattivi, che possono ispirare gli uomini.13 Quest’ultima
opinione sembra più attendibile, dato che, come giustamente osserva Brown,
l’autore della Lettera «è interessato in ciò che sta alla radice dell’azione di una
persona».14 Così il testo suggerirebbe che nel discernimento non si tratti di
valutare tanto le persone stesse, quanto ciò che le anima, cioè gli spiriti che
esercitano un influsso sulle azioni umane e in particolare fanno «uscire al
mondo»15 i falsi profeti.
Gesù Cristo nella carne venuto – VIhsou/n Cristo.n evn sarki. evlhluqo,ta (2)
Il sintagma crea un problema a causa dell’ambiguità sintattica. Gli studiosi
distinguono tre possibili traduzioni. 1) Nella prima il verbo «confessa»
(o`mologei/) ha un solo oggetto diretto costituito dall’intera espressione: «Gesù
Cristo venuto nella carne». 2) Nella seconda l’oggetto diretto è «Gesù Cristo»
(come nome proprio), e «venuto nella carne» funge da espansione dell’oggetto;
la traduzione suonerebbe quindi: «confessa Gesù Cristo come venuto nella
carne», che sottolinea l’idea dell’Incarnazione in quanto indispensabile oggetto
della confessione. 3) Nella terza possibilità l’oggetto diretto è solo il termine
«Gesù», mentre la sua espansione è «Cristo venuto nella carne», quindi
«confessa Gesù come il Cristo venuto nella carne». Quest’ultima traduzione
metterebbe in rilievo il messianismo di Gesù in quanto necessariamente legato
all’Incarnazione.16 Si noti però che nel caso di 2) e 3) normalmente si
aspetterebbe l’articolo to,n come indicazione dell’espansione dell’oggetto
(rispettivamente dopo «Cristo» o dopo «Gesù»).
Tra le tre traduzioni la migliore sembra la prima che tratta l’oggetto del verbo
«confessa» come un insieme, in cui non c’è separazione né tra «Gesù» e «Cristo»,
né fra «Gesù Cristo» e «nella carne venuto». Compresa in questo modo
l’espressione ribadisce l’unità della persona di Gesù, ugualmente uomo e Dio, e la
necessità di credere nell’unicità e totalità dell’evento di Cristo, dove la «carnalità»
gioca un ruolo indispensabile per sua missione.17 Questa interpretazione è favorita

Johannesbriefe, Freiburg – Basel – Wien 1953, 19755, 212.220. Si tratterebbe di metonimia


che sostituisce «persona» con «spirito», approfittando del rapporto di contiguità.
13
In questa linea si colloca ad es. R. BROWN, Le Lettere di Giovanni, 664, secondo il quale
l’autore della Lettera pensa qui «a due spiriti, divino e diabolico, che si manifestano nel
comportamento umano e, in particolare si manifestano in confessioni di fede vere e false».
14
R. BROWN, Le Lettere di Giovanni, 664. Vedi pure la sua argomentazione a p. 666-668.
15
«Il mondo» (ko,smoj ) indica qui l’insieme della creazione e dell’umanità in quanto scena
della storia della salvezza (come chiaramente in 4,9), mentre in 3 è già negativo in quanto
l’insieme delle forze opposte a Dio e al suo piano salvifico.
16
La posizione con cui s’identificano i sostenitori dell’idea che l’autore della 1Gv
combatta qui contro il docetismo gnostico di Cerinto; ad es. R. Law.
17
Il termine «venuto» (evlhluqo,ta) indica la missione di Gesù, il Figlio Unigenito «mandato
da Dio», come lo definisce l’Autore in seguito in 4,9b, nel passo parallelo (7-10; vedi la
composizione della sequenza, p. 22s.). Bisogna pure notare che l’autore della 1Gv scrive «nella

4
dal parallelismo con il versetto seguente, dove tutta l’espressione è sintetizzata nel
nome «Gesù» (3), e dall’espressione analoga in 2Gv 7.18

1.2 Composizione
La prima parte (1) comprende un solo periodo, organizzato in due segmenti: il
primo esprime un’esortazione a discernere gli «spiriti» e il secondo spiega la
ragione per cui il discernimento è necessario. I due segmenti sono legati tramite
l’opposizione tra «Dio» e «falsi profeti» (1cd).

:: 1 Amatissimi, non a OGNI SPIRITO crediate,


 ma esaminate gli SPIRITI,
 se DA DIO È,
: perché molti FALSI-PROFETI SONO-USCITI AL MONDO.

+ 2 In questo conoscete lo SPIRITO di Dio:

+ OGNI SPIRITO
+ nella carne VENUTO,
+ DA DIO È.
---------------------------------------------------------------
3
E OGNI SPIRITO ,
DA DIO non È.
---------------------------------------------------------------
 E questo è quello dell’
 di cui avete-ascoltato
 che VIENE,

: e ora NEL MONDO È già.

La seconda parte (2-3) include tre brani disposti in modo concentrico. I brani
estremi corrispondono a specchio, grazie alla loro costruzione analoga
(unimembro – trimembro). I trimembri oppongono «Cristo» e l’«anticristo»
(2c.3c), e le loro rispettive «venute» (2c.3e). Il legame tra i primi due brani è

(evn) carne venuto» e non «dentro (eivj) la carne venuto», che potrebbe invece indicare più
specificamente l’atto dell’Incarnazione, vedi R. BROWN, Le Lettere di Giovanni, 674.
18
«Poiché molti seduttori sono usciti nel mondo, i quali non confessano Gesù Cristo
venuto nella carne (oi` mh. o`mologou/ntej VIhsou/n Cristo.n evrco,menon evn sarki,). Quello è il
seduttore e l’anticristo» (2Gv 7). Gli argomenti sono di Brown, 673. Sviluppando questa linea
interpretativa M.C. DE BOER, «The Death of Jesus Christ and his Coming in the Flesh», NovT
33/4 (1991) 326-346, riconosce nel termine «carne» non tanto un generale riferimento
all’umanità di Cristo, quanto già precisamente un’allusione alla sua morte come paradigma
dell’amore. Benché una tale precisione (di vedere nel sostantivo «carne» l’allusione alla morte
di Gesù) sembri andare oltre a quello che può dire il testo, l’intuizione dell’autore di legare
4,2-3 con 4,9-10, dove si menziona «il mandato» del Figlio da parte di Dio per salvare il
mondo (vedi de Boer, 341), è giusta, perché può essere appoggiata dalla composizione della
sequenza (4,1-10) in cui i passi 1-3 e 7-10 sono paralleli (vedi p. 22s.).

5
stabilito dalle due coppie di sintagmi: «ogni spirito il quale confessa Gesù Cristo»
con «ogni spirito il quale non confessa Gesù» (2b.3a), e «da Dio è» con «da Dio
non è» (2d.3b). Gli ultimi due brani hanno un riferimento comune allo «spirito»
(implicito in 3c dove avviene il fenomeno di economia – «spirito» è sostituito con
«quello»).
Formalmente le due parti del passo sono unite grazie ai termini finali «al
mondo» o «nel mondo» (1b.3c), e anche dal sintagma «ogni spirito» (1a.2b.3a).
Si noti l’opposizione tra i verbi antitetici «uscire» e «venire» (la stessa radice
greca, 1d.2c.3e), e tra i sintagmi opposti «da Dio è»/«da Dio non è» (1c.2d.3b).
Già a una prima lettura, si vede che le parti formano un’unità tematica; la
prima esorta a «esaminare gli spiriti», mentre la seconda completa l’esortazione,
offrendo un principio guida per poter realizzare questo compito.

1.3 Contesto biblico


«Esaminate gli spiriti!»
Il breve versetto di esortazione, in cui ricorrono due imperativi: «non ad ogni
spirito crediate» (mh. panti. pneu,mati pisteu,ete) e «esaminate gli spiriti»
dokima,zete ta. pneu,mata), evoca le esortazioni conclusive della Prima Lettera ai
Tessalonicesi. Particolarmente affini sono i seguenti versetti:
Non spegnete lo Spirito (to. pneu/ma), non disprezzate le profezie (profhtei,aj),
esaminate (dokima,zete) ogni cosa, tenete ciò che è buono. Tenetevi lontano da ogni
specie di male (1Ts 5,19-22).
Benché il testo non faccia una chiara distinzione tra lo spirito buono e quello
maligno, indica però la necessità di un giusto discernimento che rispetti «le
profezie»19 e sappia «tenersi lontano da ogni specie di male». Un avvertimento
contro il pericolo di essere ingannati dagli spiriti maligni si trova espresso più
chiaramente in un’altra lettera di Paolo:
Lo Spirito (to. pneu/ma) dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si
allontaneranno dalla fede (th/j pi,stewj), dando retta a spiriti ingannevoli (pneu,masin
pla,noij) e a dottrine diaboliche (didaskali,aij daimoni,wn) (1Tm 4,1).
Questo testo invece pone un’evidente distinzione tra «lo Spirito» che è di Dio,
e gli «spiriti ingannevoli» che vengono dal diavolo. Inoltre 1Tm 4,1 associa,
similmente a 1Gv 2,18 l’intensificazione della loro attività agli «ultimi tempi»
della storia umana che anticipano la parusia.

Falsi profeti
L’idea di non fidarsi troppo facilmente di qualcuno che «viene» dal di fuori
della comunità ma di saper «riconoscere» la sua vera motivazione, presente in

19
L’idea di esaminare i profeti, in quanto araldi di Dio o del diavolo, si trova in Dt 13,2-6.

6
1Gv 4,3, si trova pure alla fine del sermone sulla montagna in Mt 7. Anche qui il
contesto è segnato dal pericolo provocato dall’apparizione dei «falsi profeti»:
Guardatevi dai falsi profeti (yeudoprofhtw/n) che vengono (e;rcontai) a voi in veste
di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete (evpignw,sesqe).
[…] Non chiunque (pa/j) mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma
colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel
giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato (evprofhteu,samen) nel tuo nome
e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però
dichiarerò (o`mologh,sw) loro: Non vi ho mai conosciuti (e;gnwn); allontanatevi da me,
voi operatori di iniquità (Mt 7,15.16.21-23).
Benché i criteri per riconoscere i «falsi profeti» siano diversi, tuttavia la
necessità di un discernimento è comune in entrambi i testi. Matteo pone l’accento
sul «fare», sul produrre «buoni frutti», l’autore della 1Gv si concentra sulla giusta
«confessione» di Gesù Cristo. Eppure i testi si avvicinano nell’ammettere che i
«falsi profeti» non sono facilmente riconoscibili, perché agiscono sotto una specie
di travestimento:20 pur credendo nel «Signore», e compiendo grandi cose «nel suo
nome», non «fanno la volontà del Padre». Nella 1Gv questa volontà del Padre è
riconoscere l’evento di Cristo nella sua totalità, non negando cioè il valore della
sua umanità («carne»).

1.4 Interpretazione
L’esortazione e il criterio del discernimento
In 2,18 l’autore della Lettera ha già avvertito i suoi destinatari del pericolo dei
falsi maestri, «anticristi», che cercano di «ingannarli» (2,26), e la cui
apparizione segnala la venuta dei tempi escatologici. Ora l’Autore evoca questo
avvertimento, per esortare i suoi lettori a discernere «gli spiriti» (4,1), che
stanno alla radice delle azioni umane. La necessità di «non credere a ogni
spirito» e a «esaminarlo» (1) è motivata proprio dalla comparsa delle stesse
persone, definite qui come «falsi profeti», che, apparsi sulla scena del «mondo»
(1), danno ascolto allo spirito dell’«anticristo» (3) e diventano, come lui,
ingannatori. Il pericolo suscitato da queste persone è accresciuto dal fatto che
costoro sono degli ingannatori non facilmente riconoscibili. Infatti, come in un
«falso profeta» c’è qualcosa del profeta e in un «anticristo» qualcosa di Cristo,
così anche in queste persone c’è una specie di perversione, simile a quella
conosciuta in altre comunità cristiane che avvertono la venuta dei «lupi rapaci»
nascosti in «veste di pecore» (Mt 7,15). Le loro azioni possono, a prima vista,
sembrare buone, ma bisogna andare più in profondità per scoprire il loro
inganno. Perciò l’Autore parla degli «spiriti» che muovono queste persone, e
offre un criterio semplice per riconoscerli. È il loro atteggiamento nei confronti

20
In Mt «lupi vestiti di pecore», in 1Gv «anticristo» che imita «Cristo» per ingannare. La
contraddizione è pure simile: «lupi» (vestiti di pecore) – «pecore» e «anticristo» – «Cristo».

7
di Gesù Cristo che svela se essi «sono da Dio» (2). La verifica è espressa con
precisione: lo spirito che «è da Dio» deve «confessare» che Gesù è «Cristo
venuto nella carne» (2), riconoscere cioè l’umanità di Cristo, senza la quale la
sua missione redentrice sarebbe solo… un inganno, simile a quello dei «falsi
profeti».

L’Uomo e l’anti-uomo
La seconda parte del passo (2-3), che offre il criterio del discernimento, è
composta in modo tale da opporre «Cristo» e l’«anticristo». L’esistenza di
questa opposizione è ovvia e non presenta alcuna novità; ma il modo in cui
l’Autore contrappone i due personaggi costituisce un interessante punto da
approfondire. Per entrambi viene usato lo stesso verbo «venire»; però la venuta
di Cristo è radicata nel passato, è già avvenuta e continua; mentre quella
dell’«anticristo» si svolge solo nel presente.21 Cristo, come pure ogni spirito che
lo confessi, «è da Dio» (2); mentre il suo oppositore «è nel mondo» (3). Il primo
è venuto nella concretezza e nella tangibilità della «carne» (2); mentre del
secondo soltanto si «ascolta» (3) che viene. Si potrebbe concludere, dunque, che
«l’anticristo» è presentato qui come una parodia o una caricatura di «Cristo»,
come un imitatore alla rovescia, che non possiede la propria identità22 ma
l’attinge da Cristo e vuole pervertirla. L’anticristo non si manifesta nella «carne»
della sua concretezza, ma si nasconde nella parola non incarnata delle voci che
annunziano la sua venuta. Imita Cristo, ma deve rimanere nell’ombra del vago,
perché non sia messa a nudo la sua vera natura. Eppure la sua imitazione di
Cristo è solo apparente. Cristo, «venuto nella carne» (2), è pienamente umano e
perciò vicino all’uomo fino al tormento della passione; l’anticristo, alla rovescia,
è privo della «carne» dell’umanità, lontano dall’uomo, ovvero, come si potrebbe
dire, è addirittura disumano. Così l’Autore rivela la vera natura dell’anticristo,
che non è solo il nemico di Cristo e di Dio, ma anche il vero nemico dell’uomo.

Il valore spirituale della carne


Un’altra particolarità lessicale del passo è creata dalla frequente ripetizione del
termine «spirito» (quattro volte al sing. e una al pl.), che contrasta con il termine
«carne», spesso considerato l’antonimo di «spirito», adoperato qui solo una volta.
Già a prima vista, il lettore rimane colpito dal senso decisamente positivo della
«carne», a differenza della prima occorrenza di questo sostantivo in 2,16
(«concupiscenza della carne»), dove facilmente s’intravedeva una sfumatura

21
Nel caso di Cristo, il verbo «venire» è adoperato al participio perfetto, che indica la
continuazione nel presente di un’azione compiuta nel passato; nel caso dell’«anticristo»,
all’indicativo presente.
22
È curioso che grammaticalmente il sostantivo «l’anticristo» (3) funga non da soggetto del
periodo ma da attributo di «spirito», presente, in modo implicito, nel pronome «quello».

8
negativa.23 Anzi, in 4,2 la «carne», designando l’umanità di Cristo, gioca un ruolo
cruciale, non soltanto come inseparabile attributo del Figlio di Dio, ma soprattutto
come parte indispensabile del criterio per discernere «gli spiriti». Riguardo a ciò,
si potrebbe dire che è «la carne» a giudicare «lo spirito» (1). Vale a dire: il valore
positivo o negativo dello «spirito» viene giudicato in base alla sua accettazione o
meno della corporeità di Cristo. In conseguenza, lo «spirito», che riconosce il
valore di questa «carne», manifesta di essere più se stesso (quindi di essere più
spirituale!), in quanto appartenente a Dio che è Spirito (vedi Gv 4,24).
Ovviamente non si tratta qui di una «carne» qualsiasi, ma di quella di «Gesù
Cristo» (2). La sua «carne», che è stata decisiva per la salvezza dell’uomo durante
la sua «venuta», diventa ora mezzo per «esaminare» se «gli spiriti» (1), che
muovono le decisioni umane, stanno dalla parte di Dio o del maligno. Qui, come
pure già all’inizio della Lettera, il «toccarlo» resta un passaggio cruciale per
testimoniare la tangibilità della «Parola della vita» (vedi 1Gv 1,2).
Ma se il valore dell’umanità del Figlio di Dio è tanto grande, non lo sarà
similmente anche il valore dell’umanità degli uomini?

2. RICONOSCERE CHI APPARTIENE A DIO E CHI AL MONDO (4,4-6)

2.1 Testo
4
Voi da Dio siete, figli, e avete vinto loro, perché maggiore è colui in voi
di colui nel mondo. 5 Loro dal mondo sono; perciò dal mondo parlano e il
mondo loro ascolta. 6 Noi da Dio siamo; chi conosce Dio ascolta noi; chi non
è da Dio non ascolta noi. Da questo conosciamo lo spirito della verità e lo
spirito dell’inganno.
L’unico problema testuale rilevante di 4-6 consiste nella lettura alternativa del
sintagma «da questo» (evk tou,tou, in 6b). Pochi testimoni testuali24 attestano la
variante «in questo» (evn tou,tw|). Essa è senz’altro secondaria e può essere
spiegata come assimilazione alla solita espressione analoga «in questo».25
Il termine «perciò» (5) traduce l’espressione greca dia. tou/to, quindi contiene
lo stesso pronome dimostrativo (tou/to( «questo») che si ripete in 6b («da questo
conosciamo»).26 Quest’ultimo sintagma, tanto amato dall’autore della Lettera,27 in

23
Ovviamente negli scritti giovannei sa,rx. non è mai univocamente negativo, come in
alcuni testi di Paolo, specialmente in cui la «carne» si oppone allo «spirito» (es. Rm 8,9.13).
24
A 81 vg syp co.
25
La questione è interessante, perché l’unicità della forma «da questo» può essere spiegata
riferendosi alla composizione della sequenza (vedi in seguito p. 23), in cui «da questo» (6)
occorre nel passo centrale, mentre «in questo» nei passi estremi (2.9.10). Così l’analisi
retorica fornisce un altro argomento per la critica testuale.
26
Il fatto è rilevante per la composizione; vedi sotto p. 10.
27
Alcuni studiosi (come ad es. E. MALATESTA, Lettere di S. Giovanni. Testo originale
greco disposto in forma schematica, Fano 1967, 284), cercano di scoprire una differenza di

9
quanto introduce una conclusione, deve riferirsi a ciò che precede; tuttavia tra gli
studiosi non c’è accordo se si tratti di 4,1-6, o di 4,4-6 o magari solamente di
4,6a.28 La composizione della sequenza, in cui 4-6 formano un passo ben
delimitato, aiuta a scegliere piuttosto la seconda possibilità (vedi p. 22). La
conclusione «da questo conosciamo» (6b) fa probabilmente riferimento a tutto il
passo (4-6).
Il testo sorprende il lettore con una particolare apertura costituita dai pronomi
personali «voi» (4a), «loro» (5a) e «noi» (6a), adoperati in modo decisamente
enfatico. Gli studiosi discutono se «voi» e «noi» designano lo stesso gruppo di
persone (cioè «noi» che include «voi»), oppure segnalano una differenza tra i
latori del vangelo («noi») e gli altri membri della comunità («voi»).29 Il «noi»
inclusivo è più probabile, giacché sia «noi» che «voi» appartengono ugualmente
a coloro che sono «da Dio» (4.6) e non «dal mondo» (5) detto invece di «loro».30
In definitiva, ciò che qui conta per l’Autore è il contrasto tra i due gruppi: i
membri fedeli e gli avversari.

2.2 Composizione
:: 4 VOI DA DIO SIETE, figli,
:e avete-vinto LORO,
= perché maggiore È colui in VOI di colui nel mondo.
---------------------------------------------------------
5
LORO dal mondo SONO,
dal mondo parlano
e il mondo LORO ascolta.
---------------------------------------------------------
:: 6 NOI DA DIO SIAMO;

+ chi-CONOSCE Dio,
+ ascolta NOI,

 chi non È DA DIO,


 non ascolta NOI.

+ CONOSCIAMO lo spirito della verità


e lo spirito dell’inganno.

significato tra «in questo» (quattordici volte in 1Gv) e «da questo» (solo qui in 1Gv), ma una
tale precisione sembra non corrispondere allo stile giovanneo. La variazione probabilmente ha
solamente un valore stilistico.
28
Vedi R. BROWN, Le Lettere di Giovanni, 683; egli stesso allarga il referente addirittura
fino a 3,24b (che comprende l’analogo sintagma «in questo conosciamo»).
29
Per i dettagli vedi ad es. G. STRECKER, The Johannine Letters, 139 (nota 57); questo
autore sostiene il «noi» inclusivo.
30
La composizione del passo (vedi p. 10) fornisce un altro argomento in favore di «noi»
inclusivo, visto che 4 e 6a-e come brani sono paralleli e la conclusione di 6fg riassume un
dualismo al livello degli «spiriti» introdotto già in 4c («colui in voi» e «colui nel mondo»).

10
Il passo si divide in due sottoparti, di cui la prima inizia con il vocativo «figli»
(4a) e tratta delle persone («voi», «loro», «noi», 4a.5a.6a); mentre la seconda
conclude il tema del discernimento degli spiriti che animano queste persone.
La prima sottoparte (4-6e) è formata da tre brani ordinati in modo concentrico.
Ciascun brano comincia con un riferimento a un gruppo diverso di persone:
«voi», «loro» e «noi» (termini iniziali, 4a.5a.6a), ed è delimitato dagli stessi
pronomi personali, che fungono pure da termini estremi, («voi» in 4a.4c, «loro»
in 5a.5c, e «noi» in 6a.6e). Per di più, il terzo brano è delimitato tramite
l’opposizione: «da Dio siamo» e «chi non è da Dio» (termini estremi, 6a.6d).
Tutti e tre i brani ripetono un simile sintagma: «da Dio siete», «dal mondo sono»,
«da Dio siamo» (termini iniziali, 4a.5a.6a). Il primo e l’ultimo brano sono
paralleli, perché nel loro caso il sintagma iniziale è pressoché identico, e si
oppongono al brano centrale, giacché esso parla dell’origine: non da Dio, ma «dal
mondo» (5a).
La seconda sottoparte (6gf) contiene un solo segmento con due membri opposti
(«lo spirito della verità» e «lo spirito dell’inganno»)31. È legata all’unità
precedente con il verbo «conoscere» (6b.6f) e le espressioni simili: «perciò» e «da
questo» (dia. tou/to, 5b e evk tou,tou, 6f).

2.3 Contesto biblico


Alcune formulazioni del testo evocano le parole di Gesù pronunciate
nell’ottavo capitolo di Gv. Gesù accusa «i Giudei» di non essere capaci di
ascoltare (avkou,ein) la sua parola (vedi Gv 8,43), perché sono dal diavolo:
Voi siete dal padre vostro il diavolo (u`mei/j evk tou/ patro.j tou/ diabo,lou evste,), e
volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e
non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui (ouvk e;stin avlh,qeia evn
auvtw/)| . Quando dice il falso, parla dal suo (evk tw/n ivdi,wn lalei/), perché è
menzognero e padre della menzogna. […] Chi è da Dio (o` w'n evk tou/ qeou/) ascolta

31
Vale la pena notare il parallelismo semantico tra «colui in voi»/«colui nel mondo» (4c) e
«lo spirito di verità»/«lo spirito dell’inganno» (6fg). «Colui nel mondo» senz’altro fa
riferimento alla figura del maligno (vedi 1Gv 2,12.14; Gv 12,31; 14,30; 16,11); però l’identità
di «colui in voi» resta ignota. Si tratta del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, oppure di tutti e
tre? Ammettendo che comunque la determinata scelta non provoca un rilevante cambiamento al
livello semantico, bisogna notare che la composizione del passo favorisce piuttosto il
riferimento allo Spirito. Infatti, la conclusione in 6fg, che contrappone lo «spirito della verità»
allo «spirito dell’inganno», evoca un simile contrasto in 4c tra «colui in voi» e «colui nel
mondo». In più nel contesto immediato di 1-6 si nominano frequentemente gli «spiriti», come
forze, che, all’interno dell’uomo, influiscono sulle sue decisioni e devono perciò essere vagliate.
Intanto, poco prima (3,24), l’Autore ha menzionato il dono dello Spirito ricevuto da Dio, che
può essere riconosciuto come lo Spirito Santo. Sembra quindi che il termine «colui in voi»
possa indicare lo Spirito Santo come «lo spirito della verità» (vedi I. de la POTTERIE, La Vérité
dans saint Jean, II, AnBib 73-74, Roma 1977, 286-289), che si oppone a «lo spirito
dell’inganno» proprio dell’«anticristo».

11
le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate (u`mei/j ouvk avkou,ete), perché non
siete da Dio (evk tou/ qeou/ ouvk evste) (Gv 8,44.47).
Oltre al dualismo dell’origine delle forze opposte («da Dio» o «dal diavolo»), il
testo somiglia a 1Gv 4,4-6 nel descrivere la forza maligna, mettendo in risalto la
sua opposizione alla verità, e soprattutto affermando l’idea di «parlare dal suo».
Nella Lettera, questi concetti sono riferiti al «mondo» e alle persone che «sono» e
«parlano» «dal mondo». In più, entrambi i testi convergono nell’unire l’idea di
«essere da Dio» con quella di «ascoltare» la parola del testimone.32
Un altro testo di Gv, che viene in mente leggendo 1Gv 4,4-6, tratta della
promessa dello Spirito, quando Gesù descrive il Consolatore come:
lo Spirito della verità (o. pneu/ma th/j avlhqei,aj) che il mondo (o` ko,smoj) non può
ricevere, perché non lo vede e non lo conosce (ginw,skei). Voi lo conoscete, perché
egli rimane presso di voi e sarà in voi (evn u`mi/n e;stai) (Gv 14,17).
Si noti la stessa espressione «lo Spirito della verità», presente pure in 1Gv 4,6,
riferita qui allo Spirito Santo, e anche il concetto d’inabitazione («essere in») di
questo Spirito nei credenti (in 1Gv 4,4: «maggiore è colui in voi»). I testi mettono
similmente in opposizione il «voi» dei discepoli che «conoscono» lo Spirito
divino, e «il mondo» che «non lo conosce». Nel Vangelo «il mondo» non è in
grado di «ricevere» lo Spirito, «non lo vede» e «non lo conosce». Nella Lettera
invece, colui che «non è da Dio» (essendo dal «mondo»), «non ascolta» i credenti
(«noi») che «sono da Dio» e lo testimoniano; quindi neppure li conosce.

2.4 Interpretazione
I figli di Dio e i figli del mondo
L’Autore apre il passo con il vocativo «figli» (4), rivolgendosi direttamente ai
sui lettori («voi») e introducendo il tema dell’origine, messo poi in rilievo, grazie
a una particolare scelta di vocaboli. In appena tre versetti, la preposizione «da»
(evk) compare ben sei volte,33 rendendo evidente l’intenzione dell’Autore di
insistere sull’importanza della distinzione tra due origini opposte: «Dio» e «il
mondo». Questi due termini, che ricorrono nel testo ugualmente quattro volte
ciascuno, designano due forze contrastanti che agiscono nel cuore umano. La
composizione del passo, che nella prima sottoparte distingue chiaramente tre
brani costruiti intorno a «noi» (4), «loro» (5) e «voi» (6a-e), potrebbe suggerire
che l’Autore voglia contrastare tre gruppi di persone invece di due. Tuttavia la
conclusione della seconda sottoparte (6fg), che contrappone «lo spirito della
verità» e «lo spirito dell’inganno», evocando la distinzione iniziale tra «colui in

32
In Gv questo testimone è Gesù, nella 1Gv il «noi» dei membri ortodossi della comunità.
33
Si noti che perfino il solito sintagma «in questo» (evn tou,tw| , quattordici volte nella 1Gv)
viene mutato (benché il significato rimanga lo stesso), in «da questo» (evn tou,tou, solo qui nella
1Gv). È probabile che l’Autore lo faccia per rafforzare il riferimento al tema dell’origine.

12
voi» e «colui nel mondo» (4), mostra che, anche all’interno di quella triplice
distinzione («voi», «loro», «noi»), c’è piuttosto un dualismo. Infatti, sia «voi» che
«noi» appartengono al medesimo gruppo di persone, di cui si afferma che «sono
da Dio» (4a.6a), ed è contrapposto a un altro gruppo, «loro» che «sono dal
mondo» (5). Il «noi» include dunque il «voi», opponendosi a «loro».34 Tenendo
conto di questa origine, i «noi» e i «voi» potrebbero essere chiamati figli di Dio,
mentre «loro» indica i figli del mondo.

Gli ingannatori ingannati


Ora la composizione tripartita che mette al centro i figli del mondo non è uno
sbaglio. Al contrario, è significativa, in quanto segnala un problema all’interno
della comunità giovannea, consentendo all’Autore di ammonire contro la
minaccia creata dai figli del mondo che cercano d’inserirsi dentro la comunità dei
figli di Dio, distruggendone l’integra omogeneità. Il pericolo è reale, in quanto
«loro» non si limitano soltanto a «essere dal mondo», ma sono attivi nella loro
malvagità, perché «dal mondo parlano» (5). È significativo che, in modo simile, il
Gesù giovanneo descriva l’atteggiamento del «padre della menzogna», il diavolo
«che parla dal suo» (Gv 8,44), nel contesto della discussione con «i Giudei» che
«non avevano creduto in lui» (Gv 8,31). Come questi «Giudei» del Vangelo,
accusati da Gesù di «essere dal diavolo», compivano i desideri del loro padre
(Gv 8,44), così pure i «loro» della Lettera, che «sono dal mondo» (5), agiscono
sotto l’influsso dello «spirito dell’inganno» (6). I figli del mondo, ingannati da
questo spirito, diventano loro stessi ingannatori degli altri. Sono diventati
prigionieri dell’inganno e tutta la loro esistenza ora ruota attorno al maligno: la
loro identità («dal mondo sono»), la loro azione («dal mondo parlano») e perfino
l’effetto della loro missione («il mondo li ascolta») sono inficiati dall’inganno di
«colui nel mondo» (4). Essendo quindi collusi col maligno, non sono ovviamente
in grado di conoscere Dio. Al contrario, i figli di Dio conoscono Dio, perché abita
in loro «lo Spirito della verità» (6), lo Spirito divino, che «il mondo non può
ricevere» (Gv 14,17), promesso da Gesù ai suoi discepoli.

3. RICONOSCERE L’AMORE DI DIO NEL DONO DEL SUO FIGLIO MANDATO


AL MONDO (4,7-10)

L’ultimo passo della sequenza è composto di due parti:


L’esortazione ad amare gli uni gli altri (7-8)
Il modello dell’amore divino manifestato nel Figlio (9-10)

34
È interessante che il numero delle ricorrenze di «Dio», nel brano che parla di «noi» (tre
volte in 6a-e), sia uguale a quello di «mondo», nel brano che parla di «loro» (tre volte in 5).

13
3.1 Testo
7
Amatissimi, amiamo gli uni gli altri; perché l’amore è da Dio. E ognuno
che ama da Dio è stato generato e conosce Dio. 8 Chi non ama non ha
conosciuto Dio, perché Dio è amore. 9 In questo fu manifestato l’amore di Dio
in noi, che il Figlio suo, l’unigenito, Dio ha mandato al mondo, affinché
vivessimo tramite Lui. 10 In questo è l’amore, non che noi abbiamo amato Dio,
ma che Lui amò noi e mandò il Figlio suo riparazione per i nostri peccati.
Nel secondo periodo del versetto 10 le testimonianze testuali sono equilibrate
nell’attestare due diverse forme del verbo «amare». Alcuni manoscritti leggono
il perfetto «abbiamo amato» (hvgaph,kamen), altri invece l’aoristo (hvgaph,samen).35
La lettura dell’aoristo deve essere secondaria, perché gli altri verbi in 10 sono
all’aoristo ed è più probabile che lo scriba volesse assimilare il perfetto ad essi
che introdurre una forma isolata.36
Riguardo alle questioni grammaticali bisogna notare che «Dio è amore» (o` qeo.j
avga,ph evsti,n, 8) è un esempio di nominativo predicativo con valore qualitativo.37
Il significato dell’espressione non può essere invertito in «l’amore è Dio», perché
il termine «amore» funge da attributo di Dio e non da sua identificazione. «Dio è
amore» indica quindi che l’essenza o la natura di Dio è costituita dall’amore.38
L’uso del termine «in noi» (evn h`mi/n, in 9) è discusso. La maggioranza degli
studiosi concorda nel ritenere che il termine vada riferito al verbo «manifestare»,
e non al sostantivo «amore». Però non c’è accordo se evn h`mi/n sia un semplice
dativo39 («manifestato per/a noi»), oppure indichi letteralmente il luogo della
rivelazione40 («manifestato tra/in noi»). All’interno di questa seconda
possibilità, che è più tipica dello stile giovanneo,41 si possono distinguere ancora
due sfumature: si tratta di una rivelazione compresa nell’Incarnazione del Figlio
(«manifestato tra noi»), oppure di una rivelazione legata all’inabitazione
35
Il perfetto leggono: B Ψ 81vid. 323. 945. 1241, al, mentre l’aoristo: (*) A 048vid. 33. .
36
Vedi B.M. METZGER, A Textual Commentary, 645. In 10 il passato remoto di «amò» e
«mandò» traduce l’aoristo greco.
37
Vedi D.B. WALLACE, Greek Grammar Beyond the Basics, 264 (e 45, 245). L’articolo
davanti a qeo,j (e non avga,ph) indica il soggetto.
38
Contrariamente all’interpretazione di S. Agostino. Per un buon riassunto della sua esegesi
di 1Gv 4,8 e 16 vedi D. DIDEBERG, «Esprit saint et charité», NRT 97 (1975) 97-109; 229-250.
39
Così pensa ad esempio M. ZERWICK – M. GROSVENOR, A Grammatical Analysis of the
New Testament, Roma 1993, 731; vedi anche M. ZERWICK, Biblical Greek Illustrated by
Examples, Scripta Pontificii Instituti Biblici 114, Roma 1994, § 120). F. BLASS –
A. DEBRUNNER, Grammatica del greco del NT, § 220.2, traduce evn h`mi/n con «per noi».
40
Vedi ad es. «unter uns» di R. SCHNACKENBURG, Die Johannesbriefe, 229; e «among us»
di J. PAINTER, 1,2 and 3 John, Sacra Pagina 18, Collegeville, Minnesota 2002, 266.
41
Una formulazione molto simile si trova in Gv 9,3 nelle parole di Gesù che commenta la
guarigione del cieco: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero
in lui le opere di Dio (i[na fanerwqh/| ta. e;rga tou/ qeou/ evn auvtw/|)». Negli scritti giovannei
«rivelare» (fanero,w) con l’oggetto indiretto appare sempre in dativo senza la preposizione
«in» (vedi Gv 1,31; 7,4; 17,6; 21,1.14; 1Gv 1,2; salvo appunto Gv 9,3 e 1Gv 4,9).

14
(«manifestato in noi»)? Il contesto immediato suggerisce che la rivelazione
dell’amore divino, di cui si parla qui, oltrepassi l’Incarnazione per includere
anche l’esperienza interiore dei credenti, che diventano così luogo in cui
l’amore di Dio si fa visibile. Infatti, 9c completa 9a indicando che l’effetto
dell’amore divino è il dono della vita («affinché vivessimo tramite Lui», 9c), la
quale ovviamente risiede nei credenti. Così la manifestazione dell’amore di Dio
è la vita dei (e nei) credenti. Inoltre, in 12 viene affermato esplicitamente il
legame tra l’inabitazione e l’amore divino («se amiamo gli uni gli altri, Dio in
noi rimane e l’amore suo in noi è completato»).42

Amore – avga,ph
Questo importante concetto, che nel NT è adoperato nel senso assoluto
soltanto nella 1Gv (3,18; 4,7ss.; 4,19) e in Lc 7,47,43 viene espresso nel greco
della Lettera soprattutto con il verbo avgapa,w e il sostantivo avga,ph. Sebbene il
verbo sia abbastanza bene attestato nella letteratura greca, il suo contenuto
semantico è molto limitato e vago; significa «essere contento di qualcosa» o
«tenere qualcuno in maggior considerazione di un altro».44
La ricchezza dell’espressione di questo termine, incontrata nel NT, proviene
dal suo uso nel giudaismo. La Bibbia dei LXX quasi sempre traduce con il verbo
avgapa,w la radice ebraica bhea' («amare») che, come concetto universale,
abbraccia tutto il campo dell’affetto umano e divino: l’affetto passionale tra
uomo e donna (Ct 8,6), quello premuroso verso un amico (1Sam 20,17), l’amore
per Dio (Dt 6,5) e per la sua Legge (Sal 118,47) e infine l’amore di Dio per
Israele (Dt 7,13).45 Le caratteristiche principali che lo distinguono dall’Eros
greco sono la sua sottomissione alla ragione, in quanto esso «non è un impulso,
ma un atto di volontà», e il suo esclusivismo: «è un amore che fa distinzioni, che
sceglie, preferisce, non un amore cosmopolitico che abbraccia le moltitudini». 46
Lo sviluppo ulteriore del termine avviene nel pensiero del giudaismo ellenistico
che accentua specialmente l’amore del prossimo indicando le sue radici divine;
tuttavia in genere rimane ancora limitato ai connazionali.
Nel NT l’amore diventa un principio che sintetizza tutti i comandamenti della
Legge.47 Inoltre il NT allarga il concetto dell’amore del prossimo al di là del
cerchio ristretto del popolo eletto. Così l’amore supera la Legge e crea una
nuova realtà dei rapporti sia tra Dio e l’uomo sia fra uomo e uomo. 48
42
Vedi anche R. BROWN, Le Lettere di Giovanni, 704, che sostiene questa interpretazione.
43
E. STAUFFER, «avgapa,w( avga,ph», GLNT, I, 125.
44
Vedi E. STAUFFER, «avgapa,w( avga,ph», GLNT, I, 97.
45
Nel greco pre-biblico per esprimere questa ampiezza semantica si adoperano
principalmente tre verbi: evra/n (passione), filei/n (amicizia), avgapa/n (predilezione e stima);
vedi E. STAUFFER, «avgapa,w( avga,ph», GLNT, I, 92-101.
46
E. STAUFFER, «avgapa,w( avga,ph», GLNT, I, 103.
47
Vedi G. STRECKER, The Johannine Letters, 146.
48
E. STAUFFER, «avgapa,w( avga,ph», GLNT, I, 123.134.

15
Il pensiero giovanneo mette in rilievo specialmente l’amore del Padre verso il
suo Figlio, che diventa così il mediatore dell’amore divino (Gv 17,23; 14,21). È
un «amore discendente» che pur essendo una realtà cosmica «si rivela e si
afferma soltanto nell’azione morale».49 Perciò nella concezione giovannea un
ruolo importantissimo viene dato all’amore fraterno, modellato su Cristo, che
«chiude il cerchio dei rapporti fra il Padre, il Figlio e i suoi seguaci e istituisce
fra di essi una comunione»50 vitale. In questo modo l’amore, che deriva da Dio
stesso (1Gv 4,7), diventa simile all’animante linfa della vite (vedi Gv 15,1-11)
che circolando nei tralci gli dà l’energia della vita (vedi 1Gv 4,9).
L’espressione «Dio è amore» (1Gv 4,8) è logicamente analoga alle altre due
affermazioni della 1Gv che mirano a rivelare qualcosa della profonda natura di
Dio: «Dio è luce» (1,5) e «Dio è spirito» (4,24). Le tre asserzioni, però, non si
dovrebbero trattare come delle astratte definizioni filosofiche o teologiche,51
perché sorgono dal contesto in cui Dio è presentato come colui che agisce.
L’espressione indica che tutte le azioni di Dio nascono dall’amore e mirano a
suscitare l’amore. L’affermazione «Dio è amore» rivela dunque sia il dato
oggettivo e essenziale sulla natura di Dio, che quello soggettivo e funzionale
sull’identità di Dio per noi; e proprio quest’ultimo prevale nella Lettera.52
In questo modo il concetto giovanneo dell’amore cristiano unisce la
dimensione verticale e orizzontale del movimento dell’amore. L’amore che
sorge da Dio nel suo Figlio discende all’uomo e in seguito risale a Lui grazie
alla comunità dei credenti mediante la loro risposta di fede e di amore.

Il Figlio, l’unigenito – o` ui`o,j o` monogenh,j


L’aggettivo monogenh,j in quanto riferito a Gesù appare nel NT cinque volte,
esclusivamente nella letteratura giovannea (Gv 1,14.18; 3,16.18 e 1Gv 4,9).
L’etimologia del termine non è chiara. Normalmente si ritiene che esso si
componga di mono- più il verbo gi,nomai («diventare»), ma alcuni sostengono
che possa derivare dal verbo genna,w («generare»).53 Così il termine designa
«unico discendente» oppure, usato più liberamente, «unico del suo genere»,
«senza pari».54 In ogni caso non si può escludere che il termine alluda anche

49
Le espressioni sono di Stauffer, Ibid., 140.
50
Ibid., 53.
51
Vedi G. STRECKER, The Johannine Letters, 148.
52
A proposito vedi l’articolo di I. de La POTTERIE, «Dio è amore (1Gv 4,8.16)», 187-204.
L’Autore tra l’altro distingue qui due interpretazioni di «Dio è amore» in 1Gv 4,7: la prima
essenziale, dominante nella patristica e nel medioevo, che consisteva nel trattare l’amore
come definizione della natura stessa di Dio; la seconda funzionale, caratteristica dei tempi
moderni, che pone l’accento sull’economia della rivelazione: Dio è amore per noi. Secondo
l’Autore in 1Gv prevale (pur non esclusivamente) la prospettiva funzionale.
53
Vedi ad es. J.H DAHMS, «The Johannine Use of Monogenēs Reconsidered», NTS 29
(1983), 222.
54
Vedi F. BÜCHSEL, «monogenh,j», », GLNT, VII, 468.

16
all’idea di generazione o di nascita.55 La Septuaginta di solito traduce con
monogenh,j l’ebraico dyxiy" indicando il figlio unico (es. Gdc 11,34), ma in alcuni
testi (es. Gen 22,2.12.16) per rendere il medesimo termine ebraico adopera
avgaphto,j («carissimo»); ciò potrebbe significare che pure monogenh,j comprenda
questa sfumatura, designando «un figlio unico amato in modo particolare».56
È significativo che monogenh,j nella letteratura giovannea sia riferito soltanto a
Gesù. Esso funge da termine tecnico per descrivere il rapporto di Gesù con Dio,
acquistando un senso del tutto particolare. Il termine serve non tanto a indicare un
«figlio unico», quanto a esprimere l’unicità di Gesù in quanto il Figlio di Dio, e
diventa «un predicato di maestà».57 Sottolinea un’esclusiva intimità con il Padre,
segnata dall’amore, che permette a Gesù di offrire ai credenti la conoscenza di
Dio e trasmettere loro il suo amore (1Gv 4,9). Data l’etimologia e una probabile
allusione al Figlio di Dio in 1Gv 5,18 si può ritenere che il monogenh,j giovanneo
comprenda nel suo campo semantico anche l’idea della generazione da Dio.58

3.2 Composizione
La prima parte (7-8) comprende tre brani strutturati in modo concentrico. Ogni
brano inizia con il verbo «amare» (7a.7c.8a). I primi due sono legati tramite un
sintagma simile: «da Dio è» e «da Dio è stato generato» (termini medi, 7b.7c);
mentre gli ultimi due brani sono collegati dal verbo «conoscere» (termini medi,
7d.8a). Il parallelismo tra i brani estremi è assicurato da una costruzione sintattica
simile (una causale in 7b.8b), e dalla ripetizione del sostantivo «amore» (cosa che
non compare nel brano centrale).
La seconda parte contiene due perodi (9 e 10), ma dato che il bimembro
iniziale (9ab) e tutto il secondo brano (10) sono paralleli, l’ultimo membro del
primo periodo (9c) può essere considerato il centro della parte. Il parallelismo è

55
Su questo punto gli studiosi non sono d’accordo. La maggioranza ritiene che
originariamente il termine non portava l’idea di «generare» o «nascere», ma essa apparve solo
grazie all’interpretazione di Giustino (monogenh,j come «unicamente-generato»), che ne ebbe
bisogno per la sua cristologia (a proposito vedi p. es. G. PENDRICK, «MONOGENES», NTS 41
(1995) 587-600). Altri invece trovano evidente che il termine, in quanto riferito alle persone,
sempre (ancora prima dell’arianesimo) venisse compreso con la sfumatura di generazione
(vedi J.H DAHMS, «The Johannine Use of Monogenēs Reconsidered», 228).
56
Vedi F. BÜCHSEL, «monogenh,j», GLNT, VII, 469; (l’Autore però indica la differenza tra
avgaphto,j e monogenh,j, perché il secondo «non è un predicato di valore», 470). Si noti pure che
Eb 11,17 ricordando il sacrificio di Isacco, dyxiy" di Abramo (Gen 22,2.12.16), adopera
monogenh,j.
57
L’espressione di F. BÜCHSEL, «monogenh,j», GLNT, VII, 474. L’autore sostiene, inoltre,
che il termine ui`o,j insieme con monogenh,j riferiti a Gesù possono perfino comprendere l’idea
di preesistenza e di generazione del Figlio di Dio (ibid.). Si noti anche che il termine ui`o,j
negli scritti giovannei è limitato solo a Gesù; i credenti invece sono chiamati te,kna Qeou/.
58
Poco prima, in 7, l’autore della Lettera ha affermato: «Ognuno che ama da Dio è stato
generato e conosce Dio»; e questo si realizza per eccellenza nel Figlio di Dio.

17
assicurato dai termini iniziali «in questo fu manifestato l’amore» e «in questo è
l’amore» (9a.10a), e i termini finali «mandare» + «il Figlio di Lui» (9b.10d).
Le due parti del passo (7-8 e 9-10) sono legate mediante i vocaboli comuni: il
verbo «amare» (7ac.8a10bc, e l’aggettivo «amatissimi, 7a), i sostantivi «amore»
(7b.8b.9a.10a) e «Dio» (quasi in ogni membro), e i termini «generato» e
«unigenito» (7c.9b). Si può inoltre notare un legame semantico tra i termini che
esprimono l’idea di generazione o di origine: «è da Dio» (7b), «da Dio è stato
generato» (7c), «il Figlio di Lui» (9b.10d), «l’unigenito» (9b).

:: 7 AMATISSIMI, AMIAMOCI gli-uni-gli-altri;


: perché l’AMORE DA DIO È.
-----------------------------------------------------------------------------------------
E ognuno che-AMA, DA DIO È-STATO-GENERATO,
e Dio.
-----------------------------------------------------------------------------------------
 Chi
8
non-AMA, Dio,
: perché DIO AMORE È.

:9 l’AMORE di Dio in noi:


= IL FIGLIO DI LUI, L’UNIGENITO, ha-mandato Dio al mondo,
---------------------------------------------------------------------
affinché vivessimo tramite Lui.
---------------------------------------------------------------------
: 10 l’AMORE:
 non che noi ABBIAMO-AMATO Dio,
 ma che Lui AMÒ noi,
= e mandò IL FIGLIO DI LUI riparazione per i peccati di noi.

Nel passo si intrecciano due linee tematiche, che uniscono le parti. La prima è
quella dell’amore, per cui vengono usate tutte le forme provenienti dal verbo
«amare» (verbo, sostantivo, aggettivo). Nella prima parte (7-8), il tema è
introdotto con un’esortazione: «amiamoci gli uni gli altri» (7a). L’invito ad
amare viene giustificato mostrando che l’amore è profondamente radicato in
Dio, fino a identificarsi con Lui («Dio è amore», 8). La seconda parte (9-10)
sviluppa il tema dell’amore, presentando concretamente come, nella storia
umana, l’amore di Dio si è «manifestato» nel «mandare il suo Figlio» (9.10).
Così la seconda parte offre quasi una definizione descrittiva dell’amore. La
seconda linea tematica è legata al concetto di «generazione» e di figliolanza. Nel
centro della prima parte (7cd), viene affermato che «ognuno che ama, da Dio è
stato generato e lo conosce»; mentre, nella seconda parte, due volte si parla del
«Figlio», nel contesto dell’amore divino (9a.10d), e si ripete il concetto di
generare (il termine «l’unigenito», 9b). Questo fatto può suggerire che la
persona che ama, ed «è generata da Dio» (7c), diventa, in qualche modo, simile
al «Figlio di Dio», che comunque rimane «l’unigenito» (9b).

18
3.3 Contesto biblico
La vite e i tralci
Il modo in cui il testo parla dell’amore può evocare l’immagine della vite di
Gv 15,1-11. La metafora, che in Gv serve a illustrare la comunione tra Gesù e i
suoi discepoli, spiega benissimo il dinamismo dell’amore, che è il principio
della comunione fraterna, contenuto nell’esortazione di 1Gv 4,7-8. L’amore è
come la linfa che circola nella vite e nutre i tralci: viene da Dio e costituisce una
prova di radicamento in Dio e della sua conoscenza (1Gv 4,7). Anche la finalità
della metafora è analoga a quella di 1Gv 4,7-8: si tratta di un’esortazione
all’amore vicendevole, come lo spiega Gv 15,9-10: «Come il Padre ha amato
me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei
comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti
del Padre mio e rimango nel suo amore».
L’invio del Figlio unigenito al mondo
In 1Gv 4,9, descrivendo l’invio del Figlio di Dio, l’Autore sembra parafrasare
un analogo testo del Quarto Vangelo:
Dio infatti ha tanto amato (hvga,phsen) il mondo da dare il suo Figlio, l’unigenito
(to.n monogenh/), affinché (i[na) chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita
eterna. Dio non ha mandato (avpe,steilen) il Figlio al mondo (eivj to.n ko,smon) per
giudicare il mondo, ma affinché il mondo si salvi tramite di lui (Gv 3,16-17).
Sia il motivo che la finalità del mandare il «Figlio unigenito» in entrambi i testi
è uguale: Dio lo fa per dare la vita ai credenti, spinto dal suo amore. Inoltre i
testi concordano nel presentare il Figlio come mediatore della salvezza (vedi
«tramite di lui»). In pratica l’unico dettaglio che manca in Gv è la precisazione,
presente esplicitamente in Gv, che la vita venga donata a colui che «crede» in
Cristo; eppure questo è implicito nel «noi» di 1Gv 4,9.

Il figlio unigenito e diletto


Meno esplicitamente «il Figlio di Lui, l’unigenito» di 1Gv 4,9-10 fa ricordare
un’altra figura biblica, questa volta dell’AT. Essa altresì è il figlio unigenito e
diletto59 che avrebbe dovuto morire sacrificato dal suo padre. Si tratta di Isacco, il
monogenh,j di Abramo, come lo chiama Eb 11,17 cambiando avgaphto,j con cui i
LXX traducono il termine dyxiy". Il linguaggio di Isacco nel NT viene applicato a
Gesù, come si vede nell’uso del termine avgaphto,j nella tradizione sinottica60 e

59
L’amore del Padre per il suo Figlio è espresso esplicitamente da Gesù in Gv 17,26: «E io
ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai
amato sia in essi e io in loro». Si noti pure l’accenno all’inabitazione (confronta con 1Gv 4,9).
60
Vedi Mc 1,11; 9,7; 12,6 (la parabola degli vignaioli omicidi), e i paralleli in Mt e Lc.

19
nell’uso di monogenh,j nella tradizione giovannea.61 In 1Gv 4,10 al Figlio è
attribuito il ruolo di «riparazione (i`lasmo,j) per i nostri peccati», che porta
un’accezione nettamente sacrificale.62 Gesù, l’unigenito e diletto Figlio, che il
Padre «non ha risparmiato, ma lo ha dato per tutti noi» (vedi Rm 8,31), viene
immolato63 e ucciso come l’ariete sacrificato da Abramo al posto di Isacco.
Grazie all’intervento di Dio Isacco fu risparmiato ma l’ariete morì. Analogamente
grazie al divino «mandare il Figlio», «riparazione per in nostri peccati»
(1Gv 4,10) e la sua morte, «noi» possiamo «vivere» (1Gv 4,9). Il figlio del
patriarca è il figlio della divina promessa attraverso il quale si realizzerà la
discendenza e la benedizione di tutte le nazioni (Gen 22,17-18). Nel Figlio di Dio
questa promessa raggiunge l’apice del suo compimento, inimmaginabile per il
patriarca. Il Figlio, «riparazione per i nostri peccati» (1Gv 4,10), evoca quindi sia
la figura di Isacco (il figlio che non morì), che quella dell’ariete che fu immolato.
Evocando questa storia di Abramo e Isacco l’autore della Lettera rivela anche
qualcosa del misterioso «amore di Dio» (1Gv 4,9), che non è possessivo,64 in
quanto Dio non trattiene il suo unico Figlio (come pure Abramo non ha
trattenuto Isacco, pronto a offrirlo al Signore), ma lo dà a noi uomini, perché
«vivessimo tramite Lui» (1Gv 4,10).

3.4 Interpretazione
L’amore non è dall’uomo…
Non vi è dubbio che il tema principale di questo passo è l’amore. Il verbo
«amare» e i suoi derivati ricorrono dieci volte in quattro versetti e già l’apostrofe
iniziale («amatissimi») lo annuncia. L’«amare» è un mare tematico, ma l’Autore
ben presto definisce le acque in cui vuole navigare. L’ambito del tema è
delimitato dall’idea che ne sintetizza il contenuto e lo comprende a mo’ di
inclusione: l’amore non proviene dall’uomo. Infatti fin dall’inizio l’Autore
afferma: «L’amore è da Dio» e poi lo ripete in modo meno astratto e più
descrittivo: «Non che noi abbiamo amato Dio, ma che Lui amò noi». L’amore
fraterno, a cui i destinatari della Lettera sono esortati nella prima parte (7-8), non
è che un riflesso e una continuazione di ciò che Dio ha fatto per primo, come
mostra chiaramente la seconda parte (9-10). Dio non esige che l’uomo osservi il
comandamento dell’amore senza prima mostrargli che cosa concretamente
significhi amare. Già l’indirizzo che apre il passo è significativo: «amatissimi»
allude all’amore di Dio per l’uomo, ancor prima di richiedere di «amarsi gli uni

61
Vedi R. BROWN, Le Lettere di Giovanni, 705. È interessante notare che, poco prima in
1Gv 4,7, l’Autore si rivolge ai lettori usando il termine «amatissimi» (avgaphtoi,).
62
Si noti la passività del Figlio, che in 1Gv 4,9-10 non compie nessuna azione, simile a
quella di Isacco in Gen 22,9-10.
63
È significativo che nella versione giovannea della Passione, la morte di Gesù in croce
coincide con il momento del sacrificio dell’agnello pasquale, diversamente dai sinottici.
64
Vedi R. MEYNET, Morto e risorto secondo le Scritture, Bologna 2003, 46.

20
gli altri» (7). È Dio che ama per primo. L’Autore chiama qui «amatissimi» i
destinatari della Lettera, ma potrebbe ugualmente usare l’altro vocativo, non
meno frequente nella Lettera, «figli», perché proprio i figli sono (o dovrebbero
essere!) amati ancora prima di essere generati. Così l’idea attorno alla quale
l’Autore sviluppa il suo tema concorda benissimo con il dato psicologico, che
cioè non possiamo amare veramente senza prima ricevere l’amore dell’altro.
Il modo di trattare il tema dell’amore non è dunque astratto, come potrebbe
sembrare dall’affermazione che suona come una definizione: «Dio è amore» (8).
Se «l’amore è da Dio» e noi dobbiamo «amarci gli uni gli altri» (7), allora questo
amore è un dono. Ma non è un dono estraneo a Dio, perché «Dio è amore»; cioè
tutte le sue azioni, tramite le quali Egli si rivela all’uomo, nascono dall’amore e
all’amore tendono. Questa espressione è spiegata in modo eccellente in 9-10
dove, attraverso l’inclusione che ricorda l’invio del Figlio, l’Autore mostra che il
dono dell’amore si rivela nel dono di una persona, nel «dare» il Figlio di Dio
(Gv 3,16). Nel «mandare» il Figlio unigenito (9) Dio «manda» in qualche modo
se stesso! Similmente Abramo, decidendo di sacrificare il suo figlio unigenito e
diletto, in un certo senso sacrifica se stesso, perché in Isacco risiede la promessa
della sua discendenza. L’amore di Dio non è quindi un amore possessivo, ma
sacrificale, che cioè non risparmia il proprio Figlio unigenito, ma lo dà per
risparmiare coloro che diventeranno figli grazie alla sua morte.
È pure significativo che la seconda parte (9-10) sia incentrata sul «vivere
tramite il Figlio» (9). Neppure questa realtà proviene dall’uomo, ma è un dono
divino, che nasce dal suo amore. Così pure i figli che possono «vivere tramite il
Figlio», oltre l’incarnazione e la passione del Figlio (9), diventano loro stessi il
luogo della «manifestazione» dell’amore di Dio (vedi «in noi», 9). L’amore non è
dall’uomo, ma si manifesta nella vita dei credenti che si «amano gli uni gli altri».

L’amore circolante
La dinamica dell’amore di cui parla la Lettera potrebbe essere spiegata
benissimo attraverso l’immagine giovannea della vite e dei tralci (vedi Gv 15,1-
11). Questo simbolismo ha il vantaggio di unire i quattro importanti concetti che
si intrecciano all’interno del passo: amore, generazione, conoscenza di Dio e
vita. L’amore, come la linfa che nutre la vite dal tronco fino ai tralci, è il
principio di comunicazione che assicura la vita (9); ma per questo deve circolare
in tutto l’organismo. Certo l’amore proviene da Dio e ritorna a Lui nella risposta
dell’uomo, ma deve passare attraverso la comunità dei credenti che si «amano
gli uni gli altri» (7). Il dono di amare, che non viene dall’uomo ma da Dio,
diventa prova del legame con Dio e della sua conoscenza («ognuno che ama è
stato generato da Dio e conosce Dio», 7). La mancanza dell’amore prova invece
il contrario. Chi «non ama» arresta la circolazione dell’amore e, con questo
atteggiamento, rivela che «non ha conosciuto Dio» (8); cioè, in pratica, non ha
ac-colto il suo amore. Così costui rinnega le sue radici e si condanna alla morte
spirituale, perché non può essere nutrito dalla forza vitale dell’amore divino.

21
La discendenza di Isacco ossia i figli risparmiati
Sebbene nel passo emergano grandi affermazioni ricche di contenuto
teologico («Dio è amore», «l’amore è da Dio»), e venga presentato il modello
pratico dell’amore di Dio, alludendo all’incarnazione e alla passione del Figlio,
tuttavia lo scopo principale dell’Autore è quello d’incoraggiare i destinatari a
imitare l’amore divino, praticando l’amore fraterno (7). La sua attenzione è
rivolta innanzitutto ai destinatari della Lettera; ciò viene confermato dall’ampio
uso del pronome personale «noi» e dei verbi alla prima persona plurale. Il passo
non solo rivela i misteri di Dio e dell’amore, ma anche esprime, tra le righe, la
situazione dei destinatari. Essi sono chiamati «amatissimi» (7), in quanto amati
da Dio; ma sono pure figli, perché, nello stesso versetto, l’Autore afferma:
«Chiunque ama da Dio è stato generato». La seconda parte mostra poi che il
«vivere» di costoro (9), come effetto del sacrificio del Figlio, diventa pure la
manifestazione dell’amore di Dio. La loro situazione è dunque simile a quella di
Isacco, il figlio che sarebbe dovuto morire, ma fu risparmiato da Dio. Essi sono
davvero «amatissimi», se, al loro posto, fu sacrificato il Figlio unigenito e diletto
di Dio. Ma, paradossalmente, benché non sia stato risparmiato, anche Egli vive,
poiché, altrimenti, loro non potrebbero «vivere tramite» (9) un morto!65 Così
l’amore di Dio, manifestato nella missione del Figlio, non è solo il modello
pratico, che spiega in che cosa consiste l’amore, ma diventa pure la ragione per
cui bisogna «amare gli uni gli altri», proprio come figli di un unico Padre.

4. L’INSIEME DELLA SEQUENZA (4,1-10)


4.1 Composizione della sequenza
I passi estremi (4,1-3 e 4,7-10)
Questi passi sono simili per la composizione interna e per il lessico comune.
Entrambi iniziano col vocativo «amatissimi» (1.7). Si distinguono per una
regolare ripetizione del termine «in questo» (un volta senza «in»), le cui
occorrenze fungono da termini estremi per le seconde parti (2.3 e 9.10). Si noti
pure il parallelismo tra i verbi del campo semantico di movimento:
«uscire»/«venire» e «mandare» (1.2.3.9.10, assenti nel passo centrale), che
esprimono rispettivamente la venuta nel mondo di «falsi profeti», di «Gesù
Cristo» e dell’«anticristo», e l’invio del «Figlio». La persona di «Gesù Cristo», «il
Figlio di Lui», costituisce il centro tematico e strutturale delle parti finali (2-3 e 9-
10) nei rispettivi passi. È curioso notare infine una certa corrispondenza tra le
ricorrenze del sostantivo «spirito» (cinque volte in 1-3), e del sostantivo «amore»
(quattro volte in 7-10).

65
Interpretati in questo modo, i versetti 9-10 possono alludere non solo all’incarnazione
(9b) e alla passione (10d), ma anche alla risurrezione (9c) del Figlio.

22
L’insieme della sequenza (4,1-10)
Tutti i passi hanno una composizione bipartita: ciascuno è formato da due
parti. In più tutte le parti iniziali cominciano con un vocativo («amatissimi» o
«voi […] figli»), mentre le parti finali si aprono con gli stessi termini iniziali:
«in questo» (parti estreme) e «da questo» (parte centrale). I termini iniziali
hanno la medesima funzione nelle parti estreme, giacché indicano il passaggio
da una esortazione (le parti iniziali) a un’illustrazione (le parti finali). Nel passo
centrale il termine «da questo» denota invece l’inizio di una conclusione.
1
AMATISSIMI, non a ogni spirito crediate, ma esaminate gli spiriti, se SONO DA DIO,
perché molti falsi profeti sono usciti al mondo.
2
IN QUESTO CONOSCETE LO SPIRITO DI DIO:
ogni spirito il quale confessa Gesù Cristo nella carne venuto, È DA DIO,
3
e ogni spirito il quale non confessa Gesù, NON È DA DIO;
e QUESTO è quello dell’anticristo di cui avete ascoltato che viene e ora è già nel mondo.

4
VOI DA DIO SIETE, FIGLI, e avete vinto loro, perché maggiore è colui in voi
di colui nel mondo.
5
Loro dal mondo sono; PERCIÒ dal mondo parlano e il mondo loro ascolta.
6
Noi DA DIO SIAMO; chi CONOSCE DIO ascolta noi; chi NON È DA DIO
non ascolta noi.

DA QUESTO CONOSCIAMO LO SPIRITO DELLA VERITÀ, e LO SPIRITO DELL’INGANNO.

7
AMATISSIMI, amiamoci gli uni gli altri; perché l’amore È DA DIO.
E ognuno che ama DA DIO È STATO GENERATO e CONOSCE DIO.
8
Chi non ama, non ha CONOSCIUTO DIO, perché Dio è amore.
9
IN QUESTO fu manifestato l’amore di Dio in noi,
che IL FIGLIO DI LUI, l’unigenito, Dio ha mandato al mondo,
affinché vivessimo tramite Lui.
10
IN QUESTO è l’amore, non che noi abbiamo amato Dio, ma che Lui amò noi,
e mandò IL FIGLIO DI LUI riparazione per i nostri peccati.

Oltre alla soprammenzionata somiglianza di natura strutturale, tutti i passi


sono legati da un vocabolario comune o sinonimico:
 il verbo «conoscere» (2.6.7.8), che ha quasi sempre lo stesso oggetto – «Dio»
(tranne: «lo spirito di Dio», in 2a; «lo spirito della verità/dell’inganno» in 6c);
 il sostantivo «mondo», con le preposizioni: «a», «in», «da» (1.3.4.5.9);
 la congiunzione «perché» (o[ti), che introduce una causale (1.4.7.8);
 il sintagma «da Dio» + il verbo «essere» (1.2.3.4.6.7) o «generare» (7), che
poi si associa, dal punto di vista semantico, a «figli» (4) e «il Figlio di Lui»
(9.10), per esprimere la stessa idea di un’origine divina.

23
Viste le somiglianze tra i passi, bisogna accennare a ciò che li rende diversi.
Una notevole caratteristica del primo passo è l’accento posto sul tema della fede,
espresso innanzitutto tramite i verbi «credere» (1) e «confessare» (2.3), che non
ritorna più nella sequenza. L’ultimo passo si distingue grazie al tema dell’amore
(i termini «amare»/«amore» ricorrono nove volte in quattro versetti!), pure non
menzionato altrove (salvo il vocativo «amatissimi» in 1). Il passo centrale,
invece, non parla né di fede né di amore. Ciò diventa ancora più interessante, in
quanto coincide con le ricorrenze dei nomi di Cristo. Infatti «Gesù» (2) e «Gesù
Cristo» (3) appaiono solo nel primo passo, mentre «il Figlio di Lui» (9.10) solo
nell’ultimo. Il passo centrale non fa invece alcuna menzione di Gesù Cristo.

4.2 Contesto biblico


Questa differenza tra i passi, in cui il primo tratta della fede e menziona
«Gesù»/«Gesù Cristo», mentre l’ultimo si occupa dell’amore e parla del «Figlio
di Lui», evoca 1Gv 3,23 dove sia i due temi che i due nomi di Cristo sono uniti:
E questo è il comandamento di Lui: affinché crediamo nel nome del Figlio di Lui,
Gesù Cristo, e ci amiamo gli uni gli altri, come ha dato comandamento a noi.
Si potrebbe dunque dedurre che 1Gv 4,1-10 serva a sviluppare, in modo
coerente e armonico, questi due importantissimi temi giovannei, mantenendo il
loro legame con i rispettivi nomi divini.

4.3 Interpretazione
La composizione della sequenza aiuta a scoprire il senso profondo del testo,
considerato nella sua prospettiva più ampia. I passi estremi, che si aprono
ugualmente con il vocativo «amatissimi», esortano i destinatari della Lettera a
«credere» e ad «amare» (1,7). La fede e l’amore sono già stati abbinati come
contenuto del «comandamento» in 3,23; e ora l’Autore li riprende, per spiegare
la loro importanza e il modo di realizzarli. Infatti, oltre all’esortazione, i passi
estremi contengono ugualmente le parti illustrative: 2-3 descrivono che cosa
significhi «credere»; mentre 9-10 mostrano in che cosa consista «amare». Le
parti illustrative sono precedute similmente da «perché» (1.7.8), allo scopo di
dare una motivazione a questo duplice comandamento, rivelando cioè
l’importanza della fede e dell’amore.
Quale significato trasmette in questo quadro il passo centrale? Anch’esso è
informativo. Non comprende alcuna esortazione, benché tutto sia indirizzato ai
destinatari (chiamati «figli» in 4), ma fa risaltare una netta separazione tra «noi»,
«loro» e «voi». I «noi», insieme con i «voi», che ugualmente «sono da Dio» (4.6),
sono opposti a «loro», a coloro cioè che provengono «dal mondo» (5). Così, nel
cuore della sequenza, l’Autore colloca un testo che indica una profonda scissione,

24
che divide dolorosamente la comunità giovannea.66 La composizione concentrica
fa intravedere il perché di questo contrasto. La questione contenuta nel centro
della sequenza si spiega grazie al riferimento ai suoi estremi.67 Il nocciolo della
divisione sta nella mancata osservanza del duplice comandamento di «credere» e
di «amare», da parte delle persone indicate dal pronome «loro».

Unità del credere e amare nel Figlio


Il «credere» e l’«amare», uniti in 2,23 come contenuto del «comandamento»,
là sono legati al «nome del Figlio di Dio, Gesù Cristo». Ora, nei passi estremi
della presente sequenza, sia «credere» che «amare» sono separati, come lo sono
pure i due nomi di Cristo. Nasce quindi la domanda: perché la fede è collegata a
«Gesù Cristo» (2), mentre l’amore è collegato al «Figlio di Dio» (9.10)?
Il primo passo afferma la necessità di «confessare Gesù Cristo nella carne
venuto» (2), mettendo in rilievo l’umanità di Cristo come oggetto della fede
cristiana. Il verbo «venire» indica qui che l’Autore descrive l’evento di Cristo
dal basso, cioè dalla prospettiva dell’uomo. L’ultimo passo presenta invece il
«mandare» il «Figlio di Dio, l’Unigenito» come «manifestazione» dell’amore
divino per gli uomini. Analogamente, il verbo «mandare» svela che l’Autore
descrive lo stesso evento di Cristo, questa volta però dall’alto, cioè dalla
prospettiva divina. I due modi per descrivere lo stesso movimento e i due nomi
per descrivere la medesima Persona possono alludere, dunque, alle due nature,
umana e divina, unite nel Figlio. Così la fede e l’amore sono uniti nell’«unico
Figlio» (9), perché entrambi passano attraverso di Lui: l’amore, come dono
divino nella direzione discendente; la fede, come risposta dell’uomo in quella
ascendente. Di conseguenza, «amarsi gli uni gli altri» non è nient’altro che
imitare l’amore di Dio per l’uomo.

La lotta degli spiriti e la vittoria dei figli


L’esortazione a «esaminare gli spiriti» (1), fornita del criterio per discernerli
(2-3), e la scissione tra «noi»/«voi» e «loro» (4-6), relativa all’origine «da Dio»
(4.6) o «dal mondo» (5), rivelano la presenza di un conflitto tra le forze del bene e
le forze del male. La lotta ha una triplice dimensione: si svolge nel mondo
esteriore, all’interno della comunità dei credenti, e anche nei loro cuori. Un segno
della prima dimensione sono i «molti falsi profeti usciti al mondo» (1), sotto la
spinta «dello spirito dell’anticristo» (3), che contrastano con «l’unico Figlio
mandato al mondo» da parte di Dio (9). Una prova, e conseguenza, della seconda
66
Il termine «loro» indica, con tutta probabilità, le persone altrove chiamate «anticristi»
(2,18), di cui in 2,19 si afferma che «da noi sono usciti».
67
Si noti che il passo centrale costituisce una specie di svolta all’interno della sequenza, in
quanto costituisce la fase di transizione tra la seconda persona plurale (predominante nel primo
passo), e la prima persona plurale (prevalente nell’ultimo passo). Un tale fenomeno si applica
alla seconda legge delle strutture chiastiche di Lund; vedi R. MEYNET, L’analisi retorica,
Biblioteca biblica 8, Brescia 1992, 119.

25
dimensione è la scissione della comunità fra «noi»/«voi» e «loro» (4-6). Tuttavia
la dimensione fondamentale e più profonda della lotta tra il bene e il male è quella
che divide il cuore dei credenti. Il centro della sequenza (4), infatti, oppone «colui
in voi» a «colui nel mondo». È nel cuore dei credenti che, in fin dei conti, si
svolge lo scontro tra «lo spirito di Dio» (2), chiamato anche «lo spirito di verità»
(6), e «quello dell’anticristo» (3) cioè «lo spirito dell’inganno» (6). L’Autore
rassicura i «figli» che la vittoria in questo conflitto68 è stata già conseguita «in»
loro, grazie alla «maggiore» forza di «colui» che assicura loro la figliolanza (4):
«lo spirito di Dio» (2). Ma essi devono «conoscere» (6), o meglio riconoscere,
questo Spirito che si rivela nell’opera di Cristo.
Di conseguenza, l’esortazione a «credere» e ad «amare» (1.7) nasce dal
riconoscimento dell’amorosa opera di Dio, compiuta nel Figlio «mandato al
mondo» (9) e «venuto nella carne» (2) della sua umanità, grazie alla quale la
«generazione da Dio» (7) è stata resa possibile. Anche l’esortazione a discernere
gli spiriti è finalizzata a quel riconoscimento nella fede e nell’amore dei «figli».

Conclusione

L’analisi retorica biblica applicata per la prima volta a 1Gv 4,1-10, ha rivelato
che il testo forma un’unità coerente e ben articolata. La sua composizione
mostra una profonda unione tra la fede, il discernimento spirituale e l’amore.
L’amore cristiano che sorge dall’appassionato amore di Dio, manifestatosi nella
missione redentrice del suo Figlio unigenito e prediletto, è intrinsecamente
legato alla fede nell’Incarnazione quale fondamento e prima espressione
dell’amore divino. In più l’amore cristiano, per crescere e maturare, richiede un
continuo sforzo di discernimento degli spiriti. Il cristiano è invitato ad amare gli
altri con un amore che crede e che discerne per non lasciarsi ingannare dai «falsi
profeti» che non smettono di agire nel mondo.
* * *
La Prima Lettera di Giovanni è ben conosciuta per le sue celebri sentenze sull’amore
cristiano. Il presente articolo, grazie all’applicazione del metodo dell’analisi retorica
biblica, cerca di approfondire il tema dell’amore offrendo l’esegesi di 1Gv 1-10, in cui
per la prima volta nella Lettera appare l’espressione «Dio è amore». L’analisi del testo
rivela che i dieci versetti, spesso divisi dai commentatori, formano invece un’unità
testuale non solo dal punto di vista composizionale, ma anche dal punto di vista del
significato che trasmettono. L’amore cristiano, che trova le sue radici, il suo modello e
perfino la sua ragione nell’amore di Dio rivelatosi nel Figlio, è un amore intimamente
legato alla fede e al discernimento spirituale, per non lasciarsi ingannare dai «falsi
profeti», specie quelli che negano la «carnalità» di Gesù Cristo.

68
Questa vittoria è stata già annunciata in 2,12.14: «avete vinto il maligno».

26

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