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L'ECCIDIO DELLE FOSSE ARDEATINE

Prof. Alessandra Ghinelli - classe III C – a.s. 2018/2019

L’ATTENTATO
Il 23 Marzo 1944 (giorno del 25° anniversario della fondazione del Partito Fascista)
un gruppo di partigiani fece esplodere un ordigno in Via Rasella, a Roma, proprio
mentre passava una colonna di militari tedeschi.
I partigiani riuscirono ad evitare la cattura disperdendosi tra la folla, che si era
radunata sul luogo dell’attentato, in cui morirono 32 soldati tedeschi (altri dieci
morirono nei giorni successivi).

LA RAPPRESAGLIA
La sera del 23 marzo Herbert Kappler (tenente colonnello delle SS) e Kurt Mälzer
Kurt Mälzer (comandante Generale), proposero la fucilazione per rappresaglia di
dieci italiani per ogni militare ucciso nell’attentato partigiano.
Si racconta che in un primo momento Hitler, appena gli venne comunicata la notizia
dell’uccisione dei militari, reagì ordinando la distruzione di interi quartieri di Roma.
Successivamente manifestò il suo appoggio alla rappresaglia proposta.

IL LUOGO DELLA RAPPRESAGLIA


Il luogo scelto per l'esecuzione fu una cava di tufo dismessa, sulla via Ardeatina,
nei pressi delle catacombe cristiane.
La cava fu ritenuta idonea per poter eseguire la rappresaglia in segreto ed essere
poi utilizzata come fossa comune, dove occultare i cadaveri.

LA SELEZIONE DELLE VITTIME DELLE FOSSE ARDEATINE


Il giorno seguente, 24 marzo 1944, i militari della Polizia di Sicurezza, al comando
dei Capitani delle SS Erich Priebke e Karl Hass, radunarono sulla via Ardeatina. i
civili italiani destinati all'esecuzione.

Priebke e Hass avevano ricevuto l’ordine di selezionare le vittime tra i prigionieri


che erano già stati condannati a morte, ma il numero di prigionieri di quella
categoria non arrivava al numero stabilito per la rappresaglia.
Per questa ragione, gli ufficiali della Polizia di Sicurezza selezionarono altri
detenuti, molti dei quali arrestati per motivi politici, insieme ad altri che o avevano
preso parte ad azioni della Resistenza o erano semplicemente sospettati di averlo
fatto.

I Tedeschi aggiunsero al gruppo già selezionato per il massacro anche 57


prigionieri ebrei, molti dei quali erano detenuti nel carcere romano di Regina Coeli.

Per raggiungere la quota necessaria, essi rastrellarono anche alcuni civili, che
passavano per caso nelle vie di Roma. Il più anziano tra gli uomini uccisi aveva
poco più di settant’anni, il più giovane quindici.
Quando le vittime vennero radunate all’interno delle cave, Priebke e Hass si
accorsero che ne erano state selezionate erroneamente 335 invece delle 330
previste dall’ordine di rappresaglia. Le SS però decisero che rilasciare quei 5
prigionieri in più avrebbe potuto compromettere la segretezza dell’azione e quindi
decisero di ucciderli insieme agli altri.

L’ECCIDIO ALL’INTERNO DELLE FOSSE ARDEATINE


I prigionieri selezionati furono condotti, con le mani legate dietro la schiena,
all’interno delle grotte, dove Priebke e Hass decisero di sparare alle vittime sulla
nuca da distanza ravvicinata, in modo da risparmiare tempo e munizioni.

Mentre il massacro continuava, i militari tedeschi obbligarono le vittime ad


inginocchiarsi sopra i cadaveri di quelli che erano già stati uccisi per non sprecare
spazio.
Quando l'eccidio ebbe termine, Priebke e Hass ordinarono ai militari di chiudere
l’entrata delle fosse, facendole saltare con l’esplosivo, uccidendo così chiunque
fosse riuscito per caso a sopravvivere e seppellendo allo stesso tempo i cadaveri.

I PROCESSI DEL DOPOGUERRA


Dopo la fine della guerra le autorità alleate processarono i responsabili dell’Eccidio
delle Fosse Ardeatine.
Erich Priebke riuscì a fuggire e a rifugiarsi in Argentina, dove visse per quasi
cinquant’anni da uomo libero.
Nel 1994, durante un’intervista con un giornalista, Priebke parlò apertamente del
proprio coinvolgimento nell’eccidio delle Fosse Ardeatine, dimostrando scarso
rimorso per le proprie azioni.
Il caso contro di lui venne riaperto, così le autorità giudiziarie italiane e tedesche
collaborarono per facilitare l’estradizione di Priebke in Italia, dove nel 1998 venne
condannato all’ergastolo. Quindici anni più tardi, nell'ottobre del 2013, mentre stava
scontando la pena agli arresti domiciliari, Priebke morì.

IL MONUMENTO COMMEMORATIVO
Il 24 marzo 1949, nel luogo dell’eccidio, fu costruito un grande monumento, dove
sono custodite le spoglie delle vittime della strage. Ogni anno, il 24 marzo, le
massime autorità italiane e del comune di Roma si recano in questo luogo a
ricordare l’eccidio.
UN PARMIGIANO VITTIMA DELLE FOSSE ARDEATINE: PILO ALBERTELLI
Nacque a Parma nel 1907 il 30 settembre 1907.
Durante il ventennio fascista, il padre, politicamente in opposizione al regime di
Mussolini, riuscì a stento a sfuggire con la famiglia ad un attentato, tesogli dagli
squadristi parmensi, che distrussero la sua casa e il suo studio (di ingegneria) in via
Saffi, nel centro della città.Tutta la famiglia fu così costretta a trasferirsi a Roma,
dove Pilo svolse la professione di docente di Storia e Filosofia.

Anch'egli convinto antifascista come il padre, fu arrestato per le sue attività


nell'ambito della Resistenza e trasferito nel carcere di Regina Coeli.
Il 24 marzo 1944 fu ucciso insieme alle altre vittime delle Fosse Ardeatine,
meritandosi nel 1974 la Medaglia d'oro al valore militare.

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