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Un giorno la guerra finirà e io tornerò

alla mia poesia


Di redazione
– 15 novembre 2013
(di Eva
Ziedan).
Appena
l’ho visto
ho
pensato:
“Quanto è
bello!”.
Lui si
chiama Abu Attayyeb*, è alto, con un bel fisico, ha i
capelli e gli occhi neri. Per dire la verità, me l’ero
immaginata bello, anche prima di averlo incontrato.
L’unica informazione che avevo su di lui era che è un
attivista proveniente dalla Ghuta di Damasco.
All’inizio mi era sembrato una persona molto seria.
Parlava l’arabo quasi senza inflessione e aveva una
grande conoscenza del Corano. Parlava con altri
giovani e diceva: “Cosa pensi mentre mangi con i tuoi
amici e la gente della Ghuta mette online una foto del
pane scrivendo: ‘il pane è diventato per noi un
tesoro’? Non ditemi che non possiamo fare nulla.
Possiamo andare tutti alle porte della Ghuta orientale
e ognuno di noi porta con sé due o tre sacchi di pane e
e ognuno di noi porta con sé due o tre sacchi di pane e
li distribuisce. Di cosa potrebbe essere accusato? Di
aver portato pane? E cosa ci sarebbe di più bello di
questa accusa?”.
Mentre parlavamo abbiamo scoperto che a tutti e due
piace la poesia. Da noi, nel mondo arabo, c’è l’usanza
di fare un gioco a due, si tratta di una “gara di
poesia”: il primo recita una poesia a memoria, il
secondo ne comincia un’altra partendo dalla lettera
finale della poesia del primo giocatore.
Ci vuole una grande conoscenza della poesia classica.
Abbiamo cominciato la nostra gara, con i poeti classici
al Mutanabbi, Antara, Jarir, e altri ancora. L’ultima
l’ha recitata Abu Attayyeb:
Magari potessi andare contro i giorni
e tornare a dormire bambino tra le braccia di mia
madre.
Dimenticare le lettere, disordinare i numeri
e parlare senza vocali.
Amarti senza poesie e senza ispirazione
e chiamare tutto col tuo nome.
Vorrei chiederti, Sham, com’è l’amore?
Se ogni giorno dentro di te mi vogliono uccidere
tra una barba che non conosce l’Islam
e un dittatore che ha rovinato il popolo.
Ho smesso di amarti, Sham, basta!
Ho cura di te, ma a te non interesso
ho smesso di amarti e nessuno mi biasimerà per
questo.
Vorrei lasciarti finché non troverai…
una soluzione tra il figlio di mio padre e il figlio di mio
zio.
Gli ho chiesto: “Chi l’ha scritta?”. Ha risposto: “Io, ora
tocca a te”.
Gli ho chiesto di recitarne un’altra. Ha cominciato con
una poesia che ha scritto in prigione, quando è stato
arrestato per la terza volta.
Lui la recitava, mentre io guardavo i suoi piedi nella
sabbia. Ho notato un segno di proiettile sopra la
caviglia. Ho chiuso gli occhi, lui stava ancora
parlando. Nel buio dei miei occhi chiusi lo vedevo,
vedevo delle scene parziali, non chiare. Vedevo lui
con il pane, lo porta alla gente sotto assedio. Il
cecchino che gli spara, la caviglia insanguinata, l’altro
che lo arresta. E ora ecco, eccolo qui vicino a me,
vicino al mare.
Apro gli occhi e gli dico: “Ti prego scrivi sempre”.
Lui mi risponde: “Un giorno la guerra finirà e io
tornerò alla mia poesia”.
***
Tutto è uguale a se stesso… tranne tu (**)
Niente è degno di essere ricordato in prigione
perché il tempo è uguale a se stesso,
la luce è uguale a se stessa,
la porta, il carceriere, le pareti, i ratti,
la gioia e la tristezza.
Tutto è uguale a se stesso… tranne tu.
Tranne tu quando torni a comprendere l’universo
e metti in ordine il mondo come in un gioco con le
lettere.
Illumini il sole se vuoi,
o rimetti al loro posto nella notte le stelle.
E tu diventi la realtà del mondo
eQuesto
tutte le cose diventano metafora della tua mente.
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Tutto è uguale a se stesso… tranne tu.
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Tranne tu quando torni a mettere in ordine il luogo,


getti la testa sopra l’ombra di un giardino,
un fiume scorre veloce alla tua destra,
un uccello cinguetta una canzone
e con la poesia manda l’aria in confusione.
Tutto è uguale a se stesso… tranne tu.
Se vuoi richiamare gli spettri di tutte le persone
amate,
reciti le tue vecchie poesie tra di loro
senza codici, enigmi o fatica,
il cuore corteggia l’amata in segreto.
Tutto è uguale a se stesso… tranne tu.
Tranne tu quando dici al mondo e al carceriere che
sei ancora vivo
che le sbarre della prigione si sono ritratte,
che la tua pazienza è diventata… malattia
e che una musica di rabbia bella suona adesso negli
angoli.
Ascolta…
Il sangue riesce a distribuire la musica,
dà il ritmo rivoluzionario
e trasforma la tristezza… in acqua.
Tutto è uguale a se stesso… tranne tu.
Tranne tu… quando le sbarre della prigione
confondono
tra carceriere e te,
chi di voi si trova davvero davanti
e chi si trova davvero dietro.
Questo è un disordine di tempo e di luogo
tu sei libero da entrambi… e dalla realtà.
Tieniti stretti i ricordi.
Niente è degno di essere ricordato nella vita,
perché tutto è uguale a se stesso… tranne tu.
(*) Il vero nome di Abu Attayyeb è Mahmud M. al
Tawil.
(**) Traduzione dall’arabo di Caterina Pinto.
***
‫ﻳﺎﺭﻳﺖ ﻓﻴﻲ ﻋﺎﻛﺲ ﺍﻷﻳﺎﻡ‬
‫ﻭﺃﺭﺟﻊ ﻃﻔﻞ ﻧﺎﻡ ﺑﺤﻀﻦ ﺃﻣﻲ‬
‫ﻭﺃﻧﺴﻰ ﺍﻟﺤﺮﻭﻑ ﻭﺧﺮﺑﻂ ﺍﻷﺭﻗﺎﻡ‬
‫ﻭﺃﺣﻜﻲ ﺑﻼ ﻓﺘﺤﺔ ﻭﺑﻼ ﺿﻤﺔ‬
‫ﻭﺣﺒﻚ ﺑﻼ ﺷﻌﺮ ﻭﺑﻼ ﺇﻟﻬﺎﻡ‬
‫ﻭﺳﻤﻲ ﺑﺈﺳﻤﻚ ﻛﻞ ﻣﺎ ﺳﻤﻲ‬

‫ﺭﺡ ﺇﺳﺈﻟﻚ ﻛﻴﻒ ﺍﻟﻌﺸﻖ ﻳﺎﺷﺎﻡ‬


‫ﻭﻛﻞ ﻳﻮﻡ ﻓﻴﻜﻲ ﺑﻴﻨﻬﺪﺭ ﺩﻣﻲ‬
‫ﻣﺎﺑﻴﻦ ﻟﺤﻴﺔ ﺑﺘﺠﻬﻞ ﺍﻹﺳﻼﻡ‬
‫ﻭﻣﺎﺑﻴﻦ ﺣﺎﻛﻢ ﺿﻴﻊ ﺍﻷﻣﺔ‬
‫ﺑﻄﻠﺖ ﺣﺒﻚ ﺣﺎﺟﺘﻚ ﺃﻭﻫﺎﻡ‬
‫ﻣﻬﺘﻢ ﻓﻴﻜﻲ ﻭﻣﺶ ﻣﻬﺘﻤﺔ‬
‫ﺑﻄﻠﺖ ﺣﺒﻚ ﻭﻣﺎ ﺑﻘﻰ ﺃﻧﻼﻡ‬
‫ﺭﺡ ﺃﺗﺮﻛﻚ ﺣﺘﻰ ﺗﻼﻗﻲ ﺣﻞ‬
‫ﻣﺎ ﺑﻴﻦ ﺍﺑﻦ ﺑﻴﻲ ﻭﺍﺑﻦ ﻋﻤﻲ‬

‫***‬
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‫ﺇﻻ‬ ‫ُﻪَﻧ‬
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‫ﺍﻟﺴﺠﻮﻥ‬
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‫ﻭﺍﻟﺠﺮﺫﺍﻥ‬
‫ْ‬ ‫ﻭﺍﻟﺠﺪﺭﺍﻥ‬
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‫ﻭﺍﻷﺣﺰﺍﻥ‬
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‫ﺬﻛﺮ ﻓﻲ ﺍﻟﺤﻴﺎﺓ‬
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‫ﻧﻔﺴﻪ …ّﺇﻻ‬
‫ْﻙ‬ ‫ﻳﺸﺒﻪ ُ‬‫ﻓﺎﻟﻜﻞ ُ‬

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