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Facoltà di Scienze politiche

Cattedra di
Storia del giornalismo e dei media elettronici

VECCHIE REDAZIONI E WEBLOG:


CONVIVENZA POSSIBILE?

RELATORE CANDIDATO
Prof. Giovanni Orsina Alessio Neri
Matr. 601772

CORRELATORE
Prof. Paolo Peverini

ANNO ACCADEMICO 2007/2008


Ai miei esempi di vita:
mamma, papà e Gianpaolo

2
Indice

Introduzione…………………………………………………....pag. 4

1. I giornali on-line, come sta diventando l’informazione dei


quotidiani……………………………………………………....pag. 9
1.1 Spazio e tempo p. 14;
1.2 Il linguaggio p. 19;
1.3 La forma: ipertesto, link e multimedialità p. 24;
1.4 I contenuti: cosa fa notizia online p. 32;
1.5 L’interattività p. 36;
1.6 Mobilità e personalizzazione dell’informazione p. 43;
1.7 Quali modelli economici sostenibili p. 50;

2. I giornalisti on-line, il presente e il futuro della professione………


…………………………………………….pag. 60
2.1 Il nuovo ruolo del giornalista all’interno della società e il suo
rapporto con i lettori p. 62;
2.2 Cambiano gli strumenti ma non il mestiere p. 69;
2.3 La fine del giornalista “ad una dimensione” p. 75;
2.4 Le fonti e il problema della credibilità p. 79;
2.5 Gli “One-man newspaper” p. 86;
2.6 Situazione giuridica e nuovi reati p. 90;
2.7 Questioni etiche e deontologiche p. 100;

3. L’informazione nelle mani del lettore………………..........pag. 113


3.1 Un nuovo soggetto: il lettore utente p. 115;
3.2 Cityzen journalism o “be the media” p. 118;
3.3 Il giornalismo professionale incontra l’informazione dei cittadini
p. 123;

4. La blogosfera, saremo tutti giornalisti?................................pag. 134


4.1 I weblog p. 137;
4.2 Problema della credibilità: il blogging è vero giornalismo? p. 149;
4.3 I cani da guardia dell’informazione p. 161;
4.4 Una crescita esponenziale p. 164;
4.5 Nodi legati alle questioni giuridiche ed etiche p. 166;
4.6 Sostentamento economico p. 177;
Appendice. Un’esperienza di crossmedialità: il caso Nòva100 p. 180;

Considerazioni finali e conclusioni………………………….pag. 193

Bibliografia…………………………………………………..pag. 207

3
Introduzione
“Poiché i new media possono essere interattivi,
su richiesta, personalizzabili;
poiché possono incorporare nuove combinazioni di testi,
immagini fisse e in movimento;
poiché possono creare nuove comunità basate sugli interessi
e le preoccupazioni comuni dei lettori e
poiché dispongono di uno spazio quasi illimitato
per offrire livelli di approfondimento, materiali d’archivio
e un contesto inimmaginabile in qualsiasi altro medium,
essi possono davvero trasformare il giornalismo.”
John V. Pavlik,
direttore del Center for New Media

Ci tengo ad aprire l’introduzione a questo mio lavoro dicendo che


quanto è scritto di seguito, gli aspetti positivi e negativi della questione che
vengono analizzati, valgono per una minoranza della popolazione
mondiale. La rete è globale e può coinvolgere ed essere usata da chiunque,
almeno potenzialmente. Purtroppo, però, questa possibilità è nelle mani di
pochi per cui solo questi possono davvero pensare di potere godere a pieno
di questo strumento di comunicazione così potente e rivoluzionario.

Il campo dell’informazione nel mondo e in Italia sta attraversando un


periodo di radicali cambiamenti, il che ci consente di parlare di una vera e
propria rivoluzione in atto. Le nuove tecnologie informatiche e le
trasformazioni sociali che stanno avvenendo sono i principali motori di
questo cambiamento.
Il mondo dei media mainstream, dopo un primo periodo di
scetticismo, si sta pian piano adeguando alle nuove modalità di
informazione in rete senza però perdere di vista i media tradizionali,
portando avanti un concreto processo di convergenza tecnologica
all’interno delle redazioni giornalistiche. Gli editori, invece, devono

4
conciliare la necessità di utilizzare la rete per fidelizzare il pubblico, e
diversificare l’offerta informativa, con le esigenze commerciali di un’
impresa privata. In parole povere gli investimenti devono avere un rientro
economico per poter essere convenienti e continuare a spingere verso
l’innovazione. Forse questo è uno dei punti più critici che gli editori stanno
cercando di affrontare.
In un periodo molto particolare e turbolento, perché ricco di novità,
si trova anche la categoria dei giornalisti, che deve affrontare nuove sfide
per far sì che la propria professione rimanga un perno per ogni società che
vuole definirsi libera. Le sfide da affrontare sono molte e non sempre
vengono affrontate col giusto piglio e con una visione critica che sia anche
costruttiva. Ancora troppo spesso i professionisti dell’informazione sono
pervasi da un certo scetticismo nei confronti delle innovazioni tecnologiche
dentro le redazioni. Le possibilità che queste offrono, però, sono davvero
molte e una larga parte dei professionisti ne sta divenendo consapevole,
tendendo sempre più verso un loro costante e consapevole utilizzo. Ci vorrà
forse un’altra generazione perché internet e gli strumenti che offre possano
essere percepiti e utilizzati in maniera costruttiva e positiva nel lavoro
redazionale. Le questioni che la loro introduzione pone sul tavolo del
giornalismo sono, però, da affrontare immediatamente, così da recuperare il
tempo perduto e offrire ai giovani giornalisti gli strumenti non solo pratici
ma anche etici e deontologici che sono necessari per svolgere al meglio uno
dei mestieri più importanti in democrazia.
Dal punto di vista delle audience sta avvenendo una rivoluzione che
è ancor più radicale rispetto a quella in atto nel mondo professionale. Il
pubblico su internet è in grado di partecipare attivamente alla produzione di
contenuti e notizie. Lo può fare in collaborazione con editori e giornalisti

5
creando i presupposti per una “collaborazione guidata” o “controllata” alla
formazione e alla scelta delle questioni di cui trattare. Lo vedremo in
profondità nel terzo capitolo quando descriveremo alcuni casi pratici di
giornalismo partecipato in cui redattori, editori e cittadini lavorano fianco a
fianco per garantire la produzione di informazioni complete e credibili. I
cittadini hanno anche la possibilità di smarcarsi completamente dalla guida
dei professionisti aprendo un proprio blog e, se lo desiderano, anche
aggregando il proprio blog insieme ad altri su di un’unica piattaforma.
Questa è una vera e propria rivoluzione in quanto, per la prima volta nella
storia, i cittadini sono davvero co-gestori dei contenuti dell’informazione,
ma anche dei loro processi di formazione. Questo genere di novità apporta
una serie innumerevole di innovazioni nella società, sia dal punto di vista
sociologico che da quello delle relazioni con le istituzioni, l’economia, la
cultura e la politica circa le quali, in questo lavoro, mi limito a qualche
cenno, per concentrarmi sul tema della partecipazione dei cittadini al
mondo dell’informazione.
Sempre più il fenomeno del blogging sta influenzando le scelte
redazionali dei media mainstream. Questo percorso è destinato a proseguire
nella direzione di una sempre maggior collaborazione tra cittadini e
professionisti per perseguire l’interesse collettivo di un pluralismo diffuso
dell’informazione, che sia cardine di una maggior libertà di stampa,
soprattutto in quei paesi dove le democrazie tardano ad affermarsi, ma
anche in quei paesi dove esistono ancora dei freni alla libertà di cronaca e
critica che non siano giustificati dalla protezione di altri diritti sociali e
individuali garantiti (penso, per esempio, alla privacy).
Liberare l’informazione e metterla diffusamente nelle mani dei
cittadini implica una serie di problemi di non poco conto da affrontare e

6
risolvere: la possibilità di commettere reati come la diffamazione e la
violazione della privacy; la necessità di rendere credibili le informazioni
che vengono veicolate laddove venga raccontato un fatto che non riguardi
la propria vita personale ecc. Sono solo due esempi di una serie importante
di questioni di cui tratterò nel corso del mio lavoro.
Nel primo capitolo mi sono occupato di come le testate tradizionali
siano sbarcate sul web, analizzando i vari aspetti che ne caratterizzano la
modalità di informazione in base alle possibilità che la rete offre. Nel
secondo ho allargato il discorso ai professionisti dell’informazione, i
giornalisti, e alle nuove sfide che devono affrontare per governare le spinte
di cambiamento al fine di indirizzarle all’incremento della libertà di
informazione. Il terzo capitolo consiste, invece, in una breve analisi su
alcuni esempi pratici di citizen journalism o citizen media, in cui
professionisti e cittadini collaborano attivamente nella produzione delle
notizie. Il quarto e ultimo capitolo è incentrato sul blog come fenomeno
diffuso nel mondo dell’informazione. Vengono analizzate le sue
caratteristiche specifiche e le conseguenze che la sua diffusione comporta
all’interno del mondo della comunicazione in genere e, nello specifico, in
quello dell’informazione e del giornalismo. In appendice a questo capitolo
vi è anche un case-study sull’esperimento de Il Sole24 Ore con il suo
aggregatore di blog di innovazione Nòva100.
Per portare a termine questo lavoro mi sono servito di ogni genere di
fonte a mia disposizione. Oltre alle biblioteche, i libri, le riviste e i
quotidiani, l’apporto fondamentale è stato dato anche da internet. Tramite la
rete sono venuto a conoscere l’esistenza di numerosi siti e blog tenuti da
giornalisti e non, che si occupano delle tematiche che ho trattato nel mio
lavoro. Seguire molti di essi è stato sì faticoso ma anche molto utile, in

7
quanto mi ha permesso di tenermi costantemente aggiornato sulle ultime
novità e sulle considerazioni che molti esperti hanno condiviso con i loro
lettori al riguardo. Inoltre, l’interazione tramite gli spazi personali mi ha
permesso di esprimere i miei dubbi e i miei pensieri confrontandomi con
chi ne sa molto più di me. Questo non ha potuto che giovare al mio lavoro,
come certamente ha giovato l’utilizzo, a volte anche molto massiccio, di
alcuni siti, tra i più diffusi, di social networking, che mi hanno permesso di
conoscere libri, materiali e idee che tramite le classiche ricerche
bibliografiche non avrei mai conosciuto. In una sua piccola parte questa tesi
è anche frutto della condivisione delle conoscenze di chi ha deciso di
esporle ad un pubblico tramite i numerosi strumenti che il web 2.0 (quello
in cui i contenuti sono generati dagli utenti) ci mette a disposizione.

8
I giornali on-line: come sta diventando
l’informazione dei quotidiani.

“Intere generazioni stanno crescendo e cresceranno


avendo a disposizione tecnologie di comunicazione
e di scambio dati impressionanti e sarà molto difficile
convincerle che c’è qualcosa di buono, interessante
e divertente anche in uno sgualcito insieme di sottili
fogli di carta acquistato all’edicola”
Vittorio Sabadin,
L’ultima copia del New York Times

La considerazione di Vittorio Sabadin mette in chiaro in poche righe


qual è la questione che mi ha portato ad iniziare la tesi con questo
argomento, ovvero come cambia il mondo dell’informazione dei quotidiani
con l’utilizzo diffuso di internet e, di conseguenza, quali sono le
caratteristiche “standard” che si possono notare nel web e nel suo rapporto
con chi produce tradizionalmente l’informazione.
A detta di uno degli inventori del World Wide Web, Tim Berners-
Lee, internet ha cambiato il mondo dell’informazione probabilmente più
dell’invenzione della stampa da parte di Gutenberg.
Nato come una rete di comunicazione interna, il web è diventato una
rete globale grazie ad una decisione storica, presa il 30 aprile del 1993,
quando il Cern di Ginevra annunciò che il nuovo sistema sarebbe stato
disponibile a tutti, senza costi. Secondo un rapporto della World Association
of Newspapers, l’incremento medio degli utenti è del 20% l’anno. La
maggior parte degli utenti ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni ed è
seguita da quarantenni: sono proprio le fasce di utenti che i giornali
tradizionali cercano di attirare a sè. Internet è già il secondo media
consumato in casa dopo la televisione, ma con le nuove connessioni a
banda larga le abitudini domestiche tenderanno a cambiare ulteriormente.

9
L’accesso a linee veloci ridurrà, ancora di più, il tempo trascorso a guardare
la televisione, ad ascoltare la radio o a leggere un giornale.
Quando si parla del rapporto che internet ha instaurato con il
giornalismo ci si trova in un campo che è difficile da analizzare in quanto la
i rapporti tra un medium nuovo (il Web) e un mestiere “antico” come il
giornalismo, sono ancora in via di definizione. Probabilmente non sarà mai
molto facile stabilire una descrizione completa e definitiva del rapporto di
influenza e cambiamento che intercorre tra questi due soggetti, proprio
perché entrambi sono in costante aggiornamento. Le nuove tecnologie
digitali sono in continuo sviluppo e fermento innovativo e il loro utilizzo
nel campo del giornalismo non può che rispecchiare queste caratteristiche di
continuo progresso e di perenne innovazione. Il titolo del film di Totò “Chi
si ferma è perduto” calza a pennello per descrivere la situazione di
mutamento che si trova ad affrontare il giornalismo in tutte le sue forme.
Non è facile descrivere come il giornalismo, specificatamente quello dei
quotidiani, sia cambiato con la diffusione capillare di internet. Due cose
sono però sempre vere: la rete abbassa terribilmente i costi per produrre
informazione e dà voce a quanti prima non ne avevano1.
Storicamente il rapporto “ufficiale” tra il mondo del giornalismo e il
nuovo media nasce nel 1993. L’anno in cui internet fu “aperto al pubblico”
il San Jose Mercury News aprì le porte dell’informazione ad internet
mandando in rete, ospitato all’interno del portale America OnLine, il primo
sito web di un quotidiano. L’accesso al sito era a pagamento, 9.95 dollari al
mese. Anche se la grafica non era molto accattivante e l’accesso non era
gratuito, il sito del quotidiano riuscì comunque a conquistare i favori di
molti lettori perchè offriva essenzialmente due servizi innovativi: la

1
R. Staglianò, Giornalismo 2.0. Fare informazione al tempo di Internet, Carocci, Roma, 2004

10
possibilità di consultare un archivio e quella di creare un filo diretto con i
giornalisti della testata tramite l’utilizzo delle e-mail.
Già nel 1994 molte tra le testate più importanti negli Stati Uniti,
come The New York Times, il Washington Post e Usa Today, sbarcarono nel
mondo virtuale, anche se non era ancora ben chiaro il modo in cui una
testata giornalistica dovesse comportarsi nei confronti della rete. L’ingresso
di molti gruppi editoriali in internet è stato favorito, almeno inizialmente,
dagli “abbagli” sui grandi guadagni che la “new economy” sembrava offrire
senza troppe difficoltà. Ma ben presto chi si era lanciato a capofitto in
questa avventura si dovette ricredere a causa dell’esplosione della bolla
speculativa della “new economy” nel 2000. Questo evento implicò un
ripensamento e un ridimensionamento dell’idea che vedeva come
inarrestabile l’avanzata, sempre più veloce e imponente, verso la rete. La
strada di internet comunque non fu più abbandonata.
Anche in Italia la “febbre da internet” nei gruppi editoriali prese
piede. A metà anni ’90 si registra lo sbarco in rete del sito dell’Unione
Sarda, giornale di proprietà di Nichi Grauso, fondatore del primo provider
internet italiano Video On Line. A seguire l’esempio del quotidiano sardo
fu, inizialmente, L’Unità; ma dopo poco tempo tutte le grandi testate del
nostro paese intrapresero la strada del web senza di fatto abbandonarla più,
pur vivendo momenti di altalenante fortuna. I problemi principali che una
testata incontrava, negli Stati Uniti come in Italia e nel resto dei paesi
economicamente sviluppati, erano fondamentalmente due: il modello
economico che doveva sostenere e finanziare la produzione, e la
trasmissione delle notizie in rete e il modo in cui queste dovevano essere
presentate.

11
In questo stadio iniziale dello sviluppo dell’informazione su internet
i problemi su cui gli addetti ai lavori dovevano ragionare, e ai quali
dovevano trovare delle soluzioni adeguate, erano sostanzialmente tre:
- non era possibile avere lo stesso contenuto su due mezzi diversi tra loro;
- al mezzo diverso doveva corrispondere un diverso modo di trattare
l’informazione;
- la diversità del pubblico e della destinazione d’uso richiedeva un
approccio commerciale specifico2.
Gli editori e i direttori delle testate capirono molto presto che non era
attraente, per i lettori, trovare sul sito web gli stessi identici contenuti del
giornale cartaceo. La cosiddetta tecnica del repurposing3, con la quale, per
esempio, il “Corriere della sera” era sbarcato sul web, fu abbandonata ben
presto. Secondo Carelli, infatti “l’informazione online gode di alcune
peculiarità legate alla specificità del mezzo sul quale viene veicolata
(internet) che la rendono profondamente diversa da quella dei media
tradizionali”4.
Quello che fu più difficile da individuare era il modello economico
che potesse sostenere finanziariamente una struttura nuova e adeguata, che
facesse su internet informazione indipendentemente dal rapporto col
giornale cartaceo. Tuttora un modello che sia efficace nel sostenere le spese
e nel produrre dei guadagni non si è imposto con chiarezza tra gli operatori
del settore, ma vi sono delle strade che sembrano più percorribili delle altre
e di cui si parlerà nell’ultimo paragrafo di questo capitolo.

2
S. Peticca, Il giornale on line e la società della conoscenza, Rubettino, Soveria Mannelli, 2005,
pp. 67 - 68
3
Questa tecnica consiste, come dice il nome stesso, nel riproporre sul web i medesimi contenuti
del prodotto cartaceo.
4
E. Carelli, Giornali e giornalisti nella rete. Internet, blog, vlog, radio, televisione e cellulari: i
canali e le forme della comunicazione giornalistica, Apogeo, Milano, 2004, p. 25

12
Certo è che, mentre molte sperimentazioni sono in atto, il numero
degli utenti della rete cresce a ritmo serrato allargando sempre più la base di
mercato che, oltre a crescere numericamente, migliora i propri standard
tecnologici, di produzione e fruizione, grazie alla rapida diffusione dei
collegamenti a banda larga e Wi-Fi.
Anche per questi motivi, la gerarchia di importanza tra quotidiani
cartacei e corrispettivi web sta cambiando all’interno delle stesse redazioni.
Ormai non si aspetta più di pubblicare gli articoli nella versione su carta, ma
i pezzi scritti dai giornalisti della testata vengono prima pubblicati sul sito
web e poi escono su carta il giorno dopo. Inoltre, molti quotidiani in fondo
agli articoli o alle pagine inseriscono richiami specifici ai lettori perché
visitino il sito web alla ricerca di approfondimenti, multimedia e magari le
fonti dalle quali è stato tratto l’articolo.
Oltre ad una evidente e necessaria integrazione tra redazioni web e
redazioni su carta e una conseguente sinergia nella produzione di contenuti,
si viene a creare un “full-time informativo” tra sito e quotidiano, che non
conosce soste, 24 ore su 245. Molte testate giornalistiche, comunque,
continuano a vedere il proprio sito web come una copia elettronica del
prodotto tradizionale, ma sono sempre di meno. Questo non è certo il modo
migliore per sfruttare le potenzialità offerte dal web. I siti migliori, infatti,
sono quelli dei quotidiani in cui non esiste più l’idea di “conflitto” tra carta
e web: si ritiene, anzi, che la maggior offerta multimediale, di
approfondimenti tramite link e ipertesti e di maggiore partecipazione e
ricerca del contributo informativo da parte dei lettori siano tra le
caratteristiche principali che consentono di attirare l’attenzione di un
numero sempre maggiore di consumatori di informazioni. Il nuovo mezzo
ha permesso ai quotidiani di competere ad armi pari con le radio, le
5
V. Sabadin, op. cit., p. 65

13
televisioni e le agenzie stampa in tutti gli aspetti riguardanti la produzione
di informazioni: il tempismo, gli approfondimenti e gli aggiornamenti
costanti aggiungendo, quando è il caso, accanto al testo la forza del suono e
delle immagini fisse o in movimento.
Addirittura, l’informazione che si sviluppa su internet ha un qualcosa
in più rispetto all’equivalente su altri media. La World Association of
Newspapers ha definito, infatti, l’offerta informativa dei quotidiani
tradizionali come un dare le notizie, mentre sul web si “crea conoscenza”6.

1.1Spazio e tempo
“Chi è grande non sconfiggerà più
chi è piccolo, ma chi è più veloce
batterà quelli che sono lenti”
Rupert Murdoch

Il bisogno di diffondere informazioni ha sempre incontrato dei limiti


fisici quali le distanze di tempo e le distanze di spazio; l’evoluzione
tecnologia nel corso della storia, dai segnali di fumo alle tavolette di argilla,
e poi passando per la radio e il telefono, è progredita cercando di ridurre
queste distanze.
Con internet le categorie di spazio e tempo vengono profondamente
modificate, mutando così non solo i modi di produzione delle informazioni,
ma anche le modalità della loro fruizione, con la conseguenza di modificare
i concetti di spazio e tempo anche nei processi di interazione sociale.
Lo spazio diventa una variabile indipendente perché sul web ce n’è
molto a disposizione e lo si può usare a piene mani per riempirlo di
informazioni che incontrano il loro unico limite proprio nel tempo che il
lettore dedica alla loro lettura. Lo spazio del web è uno spazio che è

6
Ibidem p. 67

14
differente dall’idea che ne abbiamo sviluppato noi esseri umani nel mondo
reale. Dunque, lo spazio come elemento che separa il luogo della notizia da
quello della sua conoscenza si intreccia, con l’utilizzo del nuovo medium,
con l’estensione della “pagina” che viene riempita dalle notizie. Le due
nozioni tradizionalmente sono state considerate separate ed analizzate come
tali, ma nell’era dell’informazione via web queste due nozioni trovano
diversi punti di convergenza.
Weinberger nel suo “Arcipelago Web” definisce lo spazio creato sul
web come uno spazio “interconnesso, dinamico, poco definito, esplosivo”;
le dimensioni di questo spazio aumentano con l’aumentare del numero dei
siti disponibili in rete, ma le “dimensioni spaziali” del “luogo internet”
aumentano effettivamente solo quando questi siti vengono visitati,
altrimenti rimangono solo pagine che nessuno ha mai visto, alla stregua di
un luogo che non esiste7.
In un giornale on line il nuovo media consente al giornalista di non
avere limiti di spazio per trattare una determinata notizia, le pagine a
disposizione sono virtualmente illimitate per cui una notizia può essere
trattata e approfondita in maniera completa e soddisfacente anche per i
lettori più esigenti. Inoltre, questo spazio illimitato consente di collegare la
notizia principale ad altri approfondimenti o ad articoli d’archivio del
giornale o addirittura ad altri siti internet. Insomma, come sostiene Carelli
“su internet la qualità è data anche dalla quantità!”8.
Un altro fattore che non può essere tralasciato riguarda il costo
economico differente che si ha nella gestione degli spazi tra un quotidiano
cartaceo e un quotidiano online. La spesa per l’acquisto della carta è ancora
una delle maggiori voci di uscita dei quotidiani, mentre la spesa per i byte è

7
D. Weinberger, Arcipelago Web, Sperling e Kupfer Editori, Milano, 2002
8
E. Carelli, op. cit., p. 25

15
minuscola rispetto all’investimento totale di una testata online. Questa
variabile economica ha dei risvolti importanti nella fisionomia del prodotto
finale perché, mentre nel giornale stampato l’occupazione degli spazi nelle
pagine è molto rigida e richiede una serie di scelte ed esclusioni delle
notizie da pubblicare, nell’online questa necessità di scelta ed esclusione tra
cosa pubblicare e cosa no si riduce di molto. È chiaro che in un contesto del
genere risulta sempre più importante il ruolo di selezione operato dai
giornalisti. L’online non è una specie di discarica delle notizie dove può
essere pubblicata qualunque cosa solo perché c’è abbondanza di spazi,
anche in rete il giornalista deve filtrare il flusso delle informazioni e
decidere di pubblicare delle notizie solo quando queste meritano un posto in
pagina.
Per quanto riguarda il fattore tempo, internet spazza via la
concezione di periodicità tipica di tutti gli altri mezzi di comunicazione di
massa. In rete il tempo che intercorre tra l’evento e la sua conoscenza
diventa un tutt’uno con la periodicità della testata via web in quanto il
valore aggiunto dell’edizione della testata online è la possibilità di
informare in tempo reale. Il telegiornale e il giornale radio hanno degli orari
predefiniti in cui vanno in onda; per leggere un quotidiano “nuovo” bisogna
aspettare che esca in edicola la mattina. Internet ha rivoluzionato questo
concetto introducendo un flusso continuo, 24 ore su 24, di notizie nuove o
aggiornate in tempo reale in quanto “la rete ha in sé una vocazione
continuativa, in cui del flusso delle notizie si da conto man mano che queste
avvengono”9. La notizia sui siti internet viene messa immediatamente a
disposizione dei lettori, anche se, talvolta, la necessità di pubblicare
immediatamente una data notizia non permette una verifica seria e
definitiva sulla sua veridicità, per cui il ruolo di controllo e mediazione del
9
R. Staglianò, op. cit., 42

16
giornalista viene limitato a tutto vantaggio dell’immediatezza
dell’informazione e del desiderio di superare i diretti concorrenti senza
rischio di prendere un “buco”10(e cercando, anzi, di darlo). Ovviamente
l’aggiornamento continuo non è un obbligo ma una possibilità in più,
rispetto ai mezzi tradizionali, che bisogna usare con decisione ma anche con
tutta la prudenza del caso per evitare di farsi abbagliare dalla fretta.
Inoltre, il sito internet può riportare degli aggiornamenti costanti
anche per avvenimenti che accadono in altre parti del mondo, proprio
perchè non ha degli orari precisi ed è regolato da un processo continuativo
di aggiornamenti: a qualunque ora ci si colleghi, si possono leggere notizie
aggiornatissime che provengono da ogni parte del mondo senza doversi
adattare alle esigenze dei fusi orari. Per quel che riguarda un quotidiano
online, il bisogno di aggiornamenti continui è normale e quasi fisiologico
perché le redazioni tendono a seguire l’andamento delle notizie in diretta;
ma, rispetto a quando internet non esisteva, la redazione oltre a seguire gli
eventi può anche pubblicarne gli aggiornamenti in tempo reale senza
aspettare di elaborare la pagina che verrebbe stampata e letta la mattina
successiva. Così facendo i quotidiani stanno interiorizzando sempre di più i
riflessi tipici delle agenzie stampa, alle quali cominciano ad accomunarli la
velocità di reazione, rispetto all’accadere dell’evento, e la copertura
continua11.
I migliori siti di informazione sono quelli che mantengono aggiornati
costantemente i propri contenuti. Infatti “la rete è ormai considerata dagli
utenti uno dei canali privilegiati quando si richiedono soprattutto
informazioni tempestive”12.
10
Un “buco” si ha quando una testata arriva in ritardo a pubblicare una notizia che dei concorrenti
hanno reso già pubblica.
11
R. Staglianò, op. cit., p. 45
12
M. Pratellesi, New journalism. Teorie e tecniche del giornalismo multimediale, Bruno
Mondadori, Milano, 2004

17
La vera sfida che tutti i giornali del mondo hanno iniziato ad
affrontare non vede il loro campo di battaglia nel mercato dell’editoria, ma
in quello del tempo, del tempo dei consumatori di informazioni. Per questo
motivo il valore che i quotidiani possono vendere ai pubblicitari è il tempo
che il lettore trascorre a sfogliare un giornale.
Dal momento che sul web i concetti di spazio e tempo non hanno più
il valore che fino ad oggi veniva loro assegnato, anche i concetti di locale e
globale si confondono e si intrecciano nell’ormai famoso termine
“glocalizzazione”, ovvero localizzazione globale. “Questo vuol dire” -
sostiene Carelli - “che la rete nonostante sembri avere una vocazione
naturale alla vastità, alla mondializzazione, a essere appunto World Wide
Web, funziona benissimo anche per comunicare eventi in ambito geografico
molto piccolo o per rivolgersi ad un pubblico molto ristretto, a minuscoli
gruppi di pubblico, cosiddetti di nicchia”13. Secondo una ricerca
effettuata nel 2001 da “cPulse, the Internet Satisfaction Monitor” risulta che
il 44% dei consumatori di notizie locali si è detto “molto soddisfatto” della
propria esperienza contro il 37% di quelli che hanno letto, invece, notizie
nazionali. Questi risultati hanno portato molti quotidiani online statunitensi
ad incrementare il settore delle notizie locali14. Questo processo è molto
presente anche nei siti internet dei grandi quotidiani italiani che danno, non
solo sulla carta, molto spazio alle redazioni locali.

1.2Il linguaggio
Un’analisi dei giornali online e delle novità che essi portano con sè
non può prescindere da uno sguardo attento al linguaggio utilizzato nelle
sue diverse sfaccettature. La necessità di porre lo sguardo su come i testi
13
E. Carelli, op. cit., p. 28
14
R. Staglianò, op. cit., pp. 48 - 49

18
vengono scritti, e quindi appaiono agli occhi e agli apparati cognitivi del
lettore, si basa su due tesi facilmente condivisibili. La prima è di carattere
generale e prende le mosse dall’importanza che riveste il linguaggio
utilizzato sul web in quanto “tutte le interazioni in Internet sono
prevalentemente di tipo linguistico”15. La seconda, invece concerne nello
specifico il campo giornalistico e si basa sull’assunto che il giornalismo
online porti con sè una serie di novità di tipo linguistico che lo distinguono
nettamente dal giornalismo della carta stampata e che vanno
necessariamente esaminate, per comprenderne i modi di utilizzo e i
cambiamenti che esse comportano nel flusso informativo.
Per entrare in maniera più specifica nell’analisi del linguaggio del
web e del giornalismo online occorre partire dall’affermazione di Davide
Frattini nel suo saggio La scrittura per il Web: “Creare un sito efficiente
non significa solo avere una grafica e suoni iper-attraenti, ma vuol dire
anche creare testi che siano in grado di attrarre l’attenzione degli impazienti
navigatori, portandoli a leggere quello che c’è scritto”16.
Nel web la comunicazione e lo scambio di informazioni sono
focalizzate sui singoli consumatori (mentre nelle testate tradizionali
l’attenzione è tendenzialmente rivolta a grandi aggregati di pubblici) e
questi a loro volta sono diventati, come vedremo più avanti, produttori di
informazione. Il linguaggio dei giornali online, quindi, deve essere chiaro e
parlare a tutti, arricchendosi grazie alla collaborazione e alle pratiche di
conversazione degli utenti della rete. Il linguaggio di internet è “vivo”
perchè “estremamente creativo, bidirezionale, capace di promuovere nuove
forme di socializzazione”17.

15
S. Peticca, op. cit., p. 108
16
D. Frattini, “La scrittura per il Web” in E. Carelli, op. cit., p. 35
17
S. Peticca, op. cit., p. 108

19
Per la scrittura sul web non esistono vere e proprie regole da
rispettare, per cui molti scrittori online si sono costruiti da soli il loro stile.
Crawford Kilian, docente di scrittura al Capilano Community College della
British Columbia in Canada, ha cercato di rimediare alla penuria di
letteratura in questo campo con il suo Writing for the web, fornendo una
serie di “regole”18 da tenere a mente per scrivere un buon testo sul web.
Alla base di un testo web, secondo Kilian, c’è la sua brevità, che
dovrebbe ovviare alla maggiore difficoltà e lentezza nella lettura di un testo
su uno schermo. I testi che nascono per le pubblicazioni online devono,
quindi, essere legati alle esigenze di fruizione e, cioè, anche alla velocità
della lettura sullo schermo di un computer che è ridotta rispetto alla carta
stampata. Per questo motivo, “si devono dire le cose nella maniera più
densa e compatta possibile, facendo entrare il maggior numero di idee nel
minor numero di parole”19. Il testo deve essere molto scandito e spezzettato
possibilmente in diversi sottoparagrafi. Non bisogna preoccuparsi di
spezzettare le frasi con la punteggiatura perchè scrivere utilizzando periodi
brevi aiuta a semplificare, sintetizzare e rendere più chiaro il discorso.
Inoltre, il discorso può essere anche spezzettato con elementi che rientrano
in altre forme di linguaggio, anche grafiche o visive. Per semplificare il più
possibile un paragrafo lungo, è preferibile scomporlo in liste per punti che
consentono al lettore di individuare immediatamente le singole voci. Kilian,
inoltre, consiglia di non utilizzare giri di parole che possono risultare inutili,
ma ritiene preferibile l’utilizzo di verbi in forma attiva e non passiva
secondo la logica per cui “dove si può dire la stessa cosa con una parola
anziché con tre, il dubbio non sussiste”. Pratellesi aggiunge anche la
necessità di utilizzare parole semplici e di facile comprensione per tutti,
18
Più che di regole sarebbe meglio parlare di accorgimenti in quanto non è detto che non
rispettando i consigli di Kilian non si possa scrivere un buon testo web.
19
R. Staglianò, op cit., p. 65

20
lasciando da parte quei termini che fanno sembrare un testo più colto ma
che possono rischiare di risultare incomprensibili al lettore medio20. Tutti
questi accorgimenti rispondono ad un principio che, ormai da tempo, circola
nella rete e riguarda il modo in cui chi produce un messaggio, o una notizia,
deve rapportarsi al lettore. Il principio è racchiuso nell’acronimo Kiss, Keep
it simple, stupid (Rendilo semplice, stupido). Ovvero, presenta ed esponi le
cose in maniera semplice e chiara, altrimenti il lettore che visiterà il tuo sito
non sarà soddisfatto di quello che troverà e cercherà le stesse notizie in altri
siti. Molte di queste osservazioni valgono da sempre anche per i giornali
stampati. L’unica vera differenza riguarda chi fruisce delle due diverse fonti
di informazione. La reazione di chi è insoddisfatto dell’informazione
ricevuta è completamente differente a seconda che si tratti del sito web di
una testata o della sua versione su carta. Nel primo caso il lettore con un
click dirigerà la sua attenzione altrove se vuole soddisfare il suo bisogno
d’informazione, chi, invece, ha acquistato un giornale in edicola e non è
soddisfatto dell’informazione ricevuta difficilmente ne acquisterà un altro
per cui è più facile che mantenga il suo stato d’insoddisfazione.
Il lettore deve essere sempre al centro delle attenzioni di chi scrive,
per cui bisogna cercare di fornirgli la possibilità di una navigazione facile,
piacevole e che stimoli il suo interesse sia dal punto di vista testuale che dal
punto di vista grafico - visivo.
Nel giornalismo online il titolo della notizia assume un carattere
sempre più importante, dovendo anticipare il contenuto del testo e non
dovendo “choccare” il lettore, come spesso avviene in forme di giornalismo
più tradizionale. A differenza di quanto avviene nei giornali stampati, sui
siti internet “i titoli sono meno a effetto, ma molto più chiari, diretti e mirati

20
M. Pratellesi, op. cit., p. 105

21
a rispecchiare i veri punti salienti dell’informazione”21. L’attenzione che il
lettore “mette a disposizione” di chi offre contenuti sul web va diritta al
sodo della questione che, sulla carta come sul web, dovrebbe essere
annunciata e rappresentata dal titolo del pezzo. Il web rinuncia
tendenzialmente ad utilizzare titoli sensazionalisti perché rischia di spostare
l’attenzione del suo pubblico verso altri siti d’informazione in quanto i
pubblici di riferimento, insieme alle modalità di fruizione, dei due medium
– carta e web – è profondamente diverso.
Il corpo della notizia deve essere possibilmente breve e molto chiaro,
composto da blocchi di testo non molto lunghi nei quali le parole chiave
siano enfatizzate e magari ben visibili grazie all’uso del grassetto, in modo
tale da rendere la lettura non troppo contorta e faticosa22. Possono, poi,
essere utili anche dei piccoli spazi o delle righe vuote, che diminuiscono
l’impatto monotono di una pagina scritta in maniera molto fitta, dando una
boccata d’ossigeno al lettore e favorendo un maggiore ordine visivo del
testo. Il lead, l’attacco del pezzo, conserva online la sua importanza – come
sulla carta stampata – per cui la “regola aurea” delle 5 W vale a maggior
ragione in un mondo in cui le notizie devono essere raccontate nella
maniera più semplice e diretta possibile. Nelle prime righe del pezzo rimane
ancora fondamentale, quindi, rispondere alle 5 domande: chi, cosa, dove,
quando e perchè. Talvolta il titolo dell’articolo può anche contenere tutte le
informazioni richieste nel lead, sostituendolo di fatto.
Anche se non esistono delle vere e proprie regole pratiche, la
direzione verso cui si muove la scrittura sul web è quella di una

21
M. Pratellesi, op. cit., p. 75
22
E. Carelli, op. cit., p. 36.
A questo proposito e’ utile citare una ricerca effettuata da Jakob Nielsen che ha scoperto
che quasi quattro quinti degli utenti di internet non legge, ma si limita a fare una rapida scansione
dei contenuti della pagina. In un contesto di fruizione del genere evidenziare graficamente le
parole chiave del testo aiuta il visitatore della pagine nella sua lettura. (www.html.it)

22
semplificazione sempre crescente, che risponde all’idea secondo cui la
questione essenziale alla quale chi produce il contenuto del testo deve
cercare di fare molta attenzione è la curiosità del navigatore. In ogni sito
web, compresi quelli dei quotidiani online, ogni elemento testuale e ogni
elemento grafico devono essere sempre elaborati e migliorati per rendere
l’esperienza dell’utente la più piacevole e interessante possibile. Per questo
motivo, secondo Jakob Nielsen, è fondamentale iniziare la pagina o
l’articolo con le conclusioni più importanti (il lead di cui sopra che, per
altro, è una delle caratteristiche fondamentali anche dell’informazione su
carta stampata) in modo tale che l’utente possa trovare immediatamente nel
suo percorso di lettura le linee principali del discorso così da poter decidere
se continuare a proseguirlo usando anche gli strumenti di approfondimento
di cui internet consente un uso molto vasto23: i link e la multimedialità, dei
quali si tratterà nel prossimo paragrafo.
Infine, per quanto riguarda l’aspetto puramente grafico e di
visualizzazione sullo schermo, bisogna sottolineare l’importanza che riveste
l’home page di ogni sito internet e in special modo quella di un quotidiano
on line. La home page è la “vetrina delle offerte” in cui la testata mostra i
suoi pezzi più pregiati e che deve apparire sempre aggiornata pur nel
rispetto delle fondamentali gerarchie delle notizie. Tutto questo deve
avvenire all’interno di una pagina la cui struttura è sostanzialmente rigida e
tale da consentire solo poche variazioni nella disposizione delle notizie e
degli spazi, in modo tale da rappresentare una sorta di punto di riferimento
per il lettore che già conosce il sito e quindi si potrà muovere agilmente tra
le varie sezioni e aree della pagina.

23
Ibidem, p. 37

23
1.3La forma: ipertesto, link, multimedialità
“Ts’ui Pen avra’ detto qualche volta:
‘Mi ritiro a scrivere un libro’.
E qualche altra volta:
‘Mi ritiro a costruire un labirinto’.
Tutti pensarono a due opere;
nessuno penso’ che libro e labirinto
fossero una cosa sola”
Jorge Luis Borge,
Il giardino dei sentieri che si biforcano

Il linguaggio di internet non è esclusivamente un linguaggio verbale,


peraltro strutturato su diversi livelli testuali, ma anche audiovisivo.
La struttura di un sito di informazione online è molto flessibile nella
sua fruizione perchè offre al lettore la possibilità di selezionare solo ciò che
rientra nei suoi interessi. La curiosità del navigatore dovrà, quindi, essere
stimolata dall’abilità del giornalista, che nella Home page del sito farà
apparire in maniera “accattivante” le notizie che potrebbero interessare
maggiormente una quantità più vasta possibile di visitatori. Gli strumenti a
disposizione dei giornalisti online per far si che i navigatori usufruiscano
delle notizie offerte da un determinato sito internet sono diversi e
fondamentalmente nuovi rispetto a quelli esistenti per la carta stampata.
Il web mette in crisi il modello testuale con la sua classica logica
sequenziale e anche la sua tecnologia di scrittura. Su internet si è giunti alla
produzione di ipertesti, come rete di testi e multimedialità con immagini
fisse, in movimento e suoni; dunque, il web, nella sua complessità e
generalità, ha bisogno di un modello non lineare di testi e di un modello non
più esclusivamente testuale24.
Per giungere ad una descrizione del testo ipertestuale e multimediale
occorre che il concetto di testo venga scorporato, guardando ai diversi

24
G. Lughi, Parole on line. Dall’ipertesto all’editoria multimediale, Guerini e Associati, Milano,
2001, p. 12

24
aspetti del contenuto e della forma. In quanto contenuto, il testo si richiama
al significato di testis, testimonio, che documenta e garantisce l’esistenza di
qualcosa di esterno al testo stesso; in quanto forma, invece, il testo si
richiama al concetto di textum, tessuto, che è caratterizzato da una struttura
di relazioni interne che lo tengono unito e gli danno coerenza.
Nell’epoca della comunicazione mediata dal computer l’espressione
più moderna del textum è l’ipertesto, che ha giocato un ruolo fondamentale
nel passaggio verso la nuova testualità del web, aprendo la dimensione
lineare verso la molteplicità e la reticolarità seppur sempre di linee. Esso ha
portato a modificare l’approccio al testo dei lettori da una dimensione
lineare ad una reticolare, “dal sentiero, al labirinto”. Questa possibilità di
scrittura e lettura non lineare non è dovuta solo all’accresciuta libertà del
lettore. Essa dipende direttamente dalle caratteristiche specifiche del
supporto su cui avviene la lettura, e cioè la memoria magnetica dei
computer. La sua peculiarità tecnica consiste proprio nel fatto che i dati
possono essere organizzati facilmente in strutture complesse e che per
rappresentare tutte le relazioni che possono collegare i vari elementi
bisogna usare una struttura a rete25. Questa struttura trova nel computer il
suo supporto ideale grazie alle sue grandi capacità di memorizzazione, alla
velocità nel recupero dei dati e alla possibilità di apportare modifiche ai
dati, e quindi ai testi, in ogni momento.
L’ipertesto è, dunque, quella struttura organizzativa del testo che
consente al lettore di usufruire di diversi livelli di approfondimento che si
dispiegano solo se è il lettore a volerlo. Esso consiste in una serie di brani o
testi, autonomi dal punto di vista del significato, collegati tra loro – che
vengono chiamati nodi – tramite link che consentono di modificare i
percorsi di lettura introducendo una serie di bivi o scorciatoie nella
25
Ibidem p. 74

25
visualizzazione del testo che solo il lettore deciderà di intraprendere o
meno. I link non sono necessariamente testuali ma possono essere anche
visivi, grafici, video e audio.
Per comprendere meglio il funzionamento di un ipertesto il paragone
più usato è quello con il dizionario, che è un testo ma non ha un filo
conduttore stabilito, se non l’ordine alfabetico delle iniziali delle parole.
Non ha senso leggere le sue voci una dopo l’altra, nell’ordine in cui ci
vengono presentate; ma, a partire da una voce che ci interessa, si possono
seguire i rimandi ad altre voci ad essa correlate.
Lughi parla di ipertesto come di un “testo di categoria superiore”, in
quanto contiene nella sua struttura a nodi anche i normali testi sequenziali.
In particolare, la superiorità testuale dell’ipertesto si evince in base al fatto
che esso comprende in sè tutti e tre i livelli di organizzazione delle strutture
di dati. Ad un primo livello l’ipertesto può rappresentare i normali testi
sequenziali; al secondo livello, esso è in grado di leggere un testo ad albero
come, ad esempio, la struttura di un menù ad ampliamento progressivo;
infine, al terzo livello, l’ipertesto si presenta nella sua forma peculiare,
come struttura reticolare senza un punto di attacco definito, che offre la
possibilità di muoversi in diverse direzioni26. È necessario, però,
puntualizzare che quest’ultima caratteristica tende a venir meno nei testi
specificatamente giornalistici, in quanto questi necessitano di un inizio e
una fine che siano facilmente riconoscibili al lettore per evitare di creare
confusione nell’argomentare una notizia.
I link aprono il testo e lo predispongono ad approfondimenti e a
digressioni di ogni tipo. I collegamenti ipertestuali possono essere
indirizzati verso un’altra pagina del sito stesso (link interni) oppure possono
condurre il lettore a visionare una pagina di un altro sito (link esterno),
26
Ibidem p. 75 - 76

26
magari la fonte stessa dal quale è stato tratto l’articolo che si legge. I
collegamenti ipertestuali devono “manifestare la loro natura di snodo
narrativo”27, avendo una loro specificità grafica28 che il lettore riconoscerà
già al primo colpo d’occhio e che gli consentirà di allargare gli orizzonti del
testo che sta leggendo. Ma per rendere davvero funzionale un ipertesto, chi
lo elabora deve farlo seguendo un’opera di atomizzazione e organizzazione
che sia basata su una logica precisa ed efficace, che non generi confusione
durante la navigazione, consentendo a chi decide di approfondire un
argomento, tramite l’uso dei link, di non perdersi nelle fitte maglie della
rete. È consigliabile quindi usare link che siano effettivamente di
approfondimento al testo principale e che ne favoriscano la comprensione.
A volte è comunque possibile che i lettori provino un senso di
disorientamento per la mancanza di un percorso principale nello svilupparsi
del testo, oppure perchè i diversi rimandi ipertestuali finiscono per creare
una sorta di percorso circolare, formando una struttura “ad anello” tra un
numero più o meno ampio di nodi. È utile, quindi, oltre che elaborare le
opere intertestuali seguendo una precisa logica, anche utilizzare dei
meccanismi testuali o grafici che facilitino la consultazione di questo genere
di testi, rendendola meno confusa e accessibile anche a chi non è abituato
ad una comunicazione ipertestuale.
Un problema relativo all’utilizzo dei link riguarda l’ambiguità che
alcune volte questi possono presentare nei casi in cui c’è rischio di
confusione con alcuni collegamenti pubblicitari. Chi redige ed edita il testo
per la rete, utilizzando dei collegamenti ipertestuali, deve fare molta
attenzione affinché si eviti quella che Pratellesi chiama “commistione
incestuosa tra informazione e pubblicità”.
27
R. Staglianò, op. cit., p. 69
28
Di solito il colore del testo del link e’ diverso dal resto del testo e dello sfondo in modo da
risultare ben visibile nella pagina.

27
Un altro aspetto che determina la specificità dell’informazione online
è la multimedialità. Questo termine ha a che fare con l’esistenza di nuovi
tipi di testi molteplici e compositi ed è anche il termine che caratterizza
nella maniera più chiara il processo di convergenza tra media diversi che sta
avvenendo grazie alla comunicazione mediata dal computer. Inoltre, la
parola “media” permette di espandere la concezione di questo termine al di
fuori dei parametri puramente tecnici, facendogli acquisire una dimensione
più sociale29.
Il testo multimediale riassume in sè le caratteristiche del testo scritto
e del testo visivo. Prima dell’avvento della comunicazione mediata dal
computer, questi due tipi di testo si sviluppavano su supporti
completamente diversi: il testo scritto sulla carta, dove l’immagine non ha
mai avuto grande forza di espansione, rimanendo confinata alle illustrazioni
o alla pubblicità; il testo audiovisivo sulla pellicola o nelle trasmissioni via
etere, dove il testo scritto ha sempre avuto una funzione accessoria.
Considerando nello specifico l’informazione online, si può vedere
come la notizia sul web si compone non solo da testo e fotografie che sono
elementi tipici dei giornali cartacei, ma anche, e sempre di più con la
diffusione delle connessioni ad alta velocità, di file audio e video.
“Immagini, suoni e video non sono elementi secondari, ma parte integrante
del modo di fare informazione. Il testo funge da filo conduttore che lega gli
elementi”30. Il testo è ancora la porzione di notizia considerata fondamentale
perchè fornisce i legami e le argomentazioni per comprendere al meglio ciò
di cui si parla. Le immagini, invece, oltre a corredare l’articolo in maniera
molto simile a come avviene nei quotidiani cartacei, possono essere

29
G. Lughi, op. cit., p. 21
30
E. Carelli, op. cit., p. 28

28
raggruppate per creare delle intere fotogallery31 che sembrano essere molto
gradite dai lettori.
La più grande innovazione introdotta dalla multimedialità è la
possibilità di accompagnare le informazioni e le notizie del quotidiano
online con file audio e video. I primi, componente tipica della radio, stanno
diventando un elemento caratteristico della rete, non solo per quanto
riguarda l’aspetto musicale, ma anche nel campo delle news. Il podcasting è
sempre più praticato dai siti dei quotidiani online e consiste nel mettere a
disposizione dei file audio in cui è contenuta, per esempio, la rassegna
stampa quotidiana o il testo completo di un articolo magari troppo lungo
che renderebbe la lettura tramite lo schermo troppo faticosa. Inoltre, per un
sito di informazione la possibilità di rendere disponibili dei file audio
consente di offrire all’utente interviste integrali, magari realizzate
telefonicamente per ridurre i costi di produzione. L’utilizzo dei file audio
potrebbe dare un’immagine della testata online di sempre maggiore
veridicità e quindi affidabilità, nel raccontare i fatti. L’utilizzo di file sonori
originali potrebbe ridurre di molto il “teatrino delle smentite”. Sarà molto
più difficile per una personalità pubblica smentire le proprie dichiarazioni
che hanno suscitato delle polemiche se queste stesse dichiarazioni sono
disponibili integralmente e alla portata di chiunque32. Questi file possono
essere anche scaricati dal lettore che può decidere quando e come ascoltarli

31
Galleria fotografica, ovvero pagine web contenenti esclusivamente immagini riguardanti un
determinato evento, argomento o personaggio, a volte accompagnate da didascalie.
32
R. Staglianò, op. cit., p. 39.
Un esempio pratico di questa possibilità si è avuto proprio nei primi giorni di luglio
quando il ministro Sacconi parlando durante l’assemblea di un’associazione di imprenditori ha
apostrofato in maniera offensiva un gruppo di presenti che lo contestavano. Il ministro ha
successivamente dichiarato ai giornali di avere solo pensato certe parole che, però, grazie a dei
documenti audio e video della conferenza è stato possibile sentire chiaramente e leggerne il labiale
laddove poteva essere messa in dubbio la veridicità del suono dei file.

29
grazie alla portabilità consentita dai moderni lettori audio di file mp3 che ne
rendono possibile l’ascolto anche quando non si è vicini al computer.
I file video, la più grande innovazione portata dalle capacità
multimediali della rete, hanno faticato un po’ di più ad imporsi nei moduli
dell’informazione quotidiana online. I problemi principali scaturivano da
fattori tecnici, tecnologici ed economici. Il caricamento e la visualizzazione
dei documenti video era molto lento e difficoltoso e, inoltre, la realizzazione
di questi prodotti richiedeva, oltre ad una certa abilità nell’usare gli
strumenti in maniera appropriata, anche un importante impegno di risorse
economiche e umane che solo poche strutture potevano permettersi. In
pochi anni, però, le tecnologie digitali sono diventate economicamente alla
portata di molte più persone e quindi anche dei professionisti, che hanno
imparato ad utilizzarle anche se non sempre in maniera molto professionale.
Sono state proprio delle realtà più snelle, che non hanno il bisogno di offrire
un prodotto di qualità professionalmente impeccabile, a realizzare i
contenuti più interessanti dal punto di vista giornalistico – multimediale,
come il caso Indymedia dimostra bene33.
Grazie anche alla rapidissima espansione delle connessioni a banda
larga, o wireless ad alta velocità, le difficoltà di visualizzazione dei video
sono state quasi completamente risolte per cui è sempre più frequente la
presenza di questi strumenti informativi che vengono molto apprezzati dai
lettori.
Nelle redazioni giornalistiche persiste ancora qualche dubbio sulle
modalità con cui mettere a disposizione i file video. La scelta è tra l’offrire
all’utente il video integrale, non lavorato, magari non perfetto dal punto di
vista grafico ma molto realistico e con l’audio originale, oppure montare
questi video come fossero veri e propri servizi telegiornalistici, eliminando
33
Ibidem p. 41

30
l’audio originale e accompagnando il video con un commento o con un
racconto più espressamente giornalistico. Molte redazioni importanti sul
web come quella di “Repubblica.it” o del “Corriere.it” hanno optato per
un’integrazione dei due modelli. Sono state create delle vere e proprie
redazioni video che realizzano servizi, inchieste e interviste esclusive, in
veri e propri studi televisivi, che poi vengono messi a disposizione online34.
Allo stesso tempo, sulle pagine web dei giornali vengono pubblicati molti
video non lavorati o ritoccati, con l’audio originale che documentano, senza
mediazione alcuna, eventi (soprattutto curiosità) che si esplicano tramite la
visione di immagini senza bisogno di spiegazioni o commenti.
“Internet consente inoltre”, spiega Carelli, “una maggiore
discrezionalità nelle scelte del giornalista per quanto riguarda la
problematica dell’eventuale crudezza delle immagini”35, quando esse
potrebbero risultare lesive della sensibilità di chi si trova ad osservarle. E’
noto che questa è una problematica molto sentita, per esempio, da chi
“confeziona” un telegiornale, che deve fare moltissima attenzione alle
immagini di particolare violenza o scabrosità, che rischiano di essere viste
anche da utenti di giovane età, minori compresi. “In rete, invece, il
navigatore può scegliere se vedere o non vedere un documento. Inoltre è
possibile introdurre un avviso, warning, che metta in guardia l’utente sul
contenuto delle immagini disponibili” 36. In verità lo stesso identico processo
di messa in guardia può essere praticato durante la visione di un telegiornale
avvertendo il pubblico della possibilità che le immagini che verranno
mandate in onda potrebbero urtare la sensibilità di chi le guarda.
Infine, non bisogna mai dimenticare che lo spettatore può cambiare
canale o spegnere del tutto il televisore se non apprezza certi contenuti.
34
Chiari esempi sono sia “Repubblica TV” o “Corriere TV”
35
E. Carelli, op. cit., p. 31
36
Ibidem p. 31

31
1.4I contenuti: che cosa fa notizia online?
Le considerazioni sui contenuti di un sito di informazione non
possono prescindere da alcuni aspetti riguardanti l’identità del pubblico che
si rivolge al web per mantenersi informato. I consumatori di notizie online
sono in aumento e si tratta soprattutto di un pubblico più giovane e
scolarizzato di quello degli altri media. Secondo Pratellesi, il lettore di
notizie sul web tende ad interessarsi di più a notizie che sono in
svolgimento o che si prevede possano portare a degli sviluppi, per cui è
fondamentale un costante aggiornamento. Inoltre, questo pubblico ricerca
anche un certo tipo di contenuti, che nei media tradizionali non trovano
molto spazio, mentre non sembra attratto dai contenuti privilegiati dalla
carta stampata. Ad esempio, il cosiddetto “teatrino della politica”, il fiume
di dichiarazioni, contro-dichiarazioni e chiacchiericci che riempie le prime
pagine dei quotidiani cartacei è molto spesso poco ricercato da chi si vuole
informare online e di conseguenza questo genere di contenuti sarà poco
apprezzato dai visitatori dei siti web. I giornali online, in effetti, hanno
cercato di distaccarsi da questo modello di cronaca politica, concentrando i
propri sforzi più su fatti ed eventi reali che sul semplice chiacchiericcio. Un
aiuto in questa direzione viene dalla possibilità di linkare le fonti originali
su cui è basato l’articolo. Ad esempio, per quanto riguarda la politica, la
possibilità di consultare il testo di un disegno di legge licenziato dal
governo e consegnato all’esame delle camere, consente di comprendere le
intenzioni del potere esecutivo in maniera molto più chiara rispetto alle
eventuali dichiarazioni preconfezionate (e poi magari smentite) mandate
alle agenzie di stampa, che riempiono le pagine di cronaca politica dei
quotidiani cartacei. È possibile affermare, per lo meno con riferimento alle

32
testate online di maggiore qualità, che la spettacolarizzazione della politica
che ha ormai conquistato il modello informativo dei media tradizionali37,
nell’online viene tenuta, con esiti alterni, abbastanza lontana, a tutto
vantaggio dell’informazione sui contenuti.
Una tendenza ormai abbastanza chiara del giornalismo online è
quella che vede agli ultimi posti della lista di popolarità dei lettori i settori
degli interni e degli esteri, a meno che non si tratti di situazioni
straordinarie. L’acronimo “Penc” è eloquente da questo punto di vista in
quanto vuol dire “Politica ed esteri, nessun clic”. Dall’esperienza di
“repubblica.it” si evince che nei primi anni del 2000 le sezioni più
accattivanti per i lettori sono state quelle della cronaca e dello sport, alle
quali si sono aggiunte anche la scienza, il mondo di Internet e il costume.
Inoltre, si è registrata la valorizzazione di notizie curiose, del tipo “strano
ma vero”. In generale tuttavia anche online vale la regoletta secondo la
quale per fare una buona prima pagina (homepage sul web) gli ingredienti
di sicuro successo sono quelli che ricadono nel campo delle cosiddette tre
“S”, ovvero: sangue, sesso e soldi.
Ad attrarre i lettori del web sono sicuramente le catastrofi, le
disgrazie e i grandi eventi, specialmente se sono luttuosi. Il secondo
“ingrediente” è il sesso, anche se è un argomento più delicato da
maneggiare per una testata, poiché ci può essere il serio rischio di attirare
sul nome del giornale che fa troppo disinvoltamente uso di argomenti
piccanti, un alone di negatività da parte di un certo moralismo. Per quanto
riguarda la terza “S”, i soldi, non è importante solo il contenuto delle
notizie. Online non si va solo per informarsi, ma anche per “fare”; per molti
utenti internet non è solo il luogo dove informarsi sulle vicende finanziarie,

37
Questo processo è in atto non solo in Italia ma, in misura diversa, in tutti i modelli informativi
del mondo occidentale.

33
ma è anche il luogo e lo strumento con il quale gestire il proprio denaro.
Sono stati infatti molti i siti che nel mondo hanno cercato di rispondere il
più possibile ad entrambe le esigenze dei lettori-utenti, ibridando in molti
casi la propria vocazione originale. Un esempio su tutti è l’esperienza del
“Wall Street Journal” che, appena sbarcato in rete, fu l’unico grande
quotidiano a riscuotere un certo successo pur richiedendo un abbonamento
per poter accedere alle notizie. Le motivazioni che stanno alla base del
successo di questa “eccezione”38 risiedono nella sua natura di giornale
finanziario, le cui notizie hanno valore economico intrinseco legato alla
tempestività della comunicazione39.
Per il sostentamento economico di ogni testata è sicuramente
fondamentale conoscere i gusti del proprio pubblico, capire quali argomenti
interessano di più e quali meno, quali suscitano maggiori reazioni di
curiosità e quali invece vengono esclusi dalla lettura, in modo tale da offrire
agli inserzionisti una serie di dati che possano consentire loro di concepire
al meglio le azioni di promozione che mettono in atto. L’informazione non
dovrebbe però cedere alle sentinelle dell’auditel40 e non dovrebbe basarsi
esclusivamente su fattori commerciali: il primo soggetto a beneficiare delle
maggiori conoscenze sui gusti del pubblico dovrebbe essere il giornalista.
Nel mondo online evitare di cadere in logiche puramente commerciali è più
facile rispetto ad un quotidiano cartaceo, perché grazie allo spazio virtuale
possono essere prodotti contenuti di alta qualità informativa e contenuti che
vadano incontro a pubblici più di massa e che soddisfino le aspettative degli

38
Si tratta di un’eccezione perché raramente delle testate online hanno riscosso un certo successo,
anche economico, richiedendo una forma di pagamento a fronte del servizio informativo che
offrivano.
39
R. Staglianò, op. cit., pp. 85 - 92
40
Nel 2003 e’ nata anche Audiweb che svolge per il web la stessa funzione che Auditel svolge per
le televisioni, ovvero monitorare le quantità di pubblico che si dedicano alla ricezione di un
determinato messaggio o informazione.

34
inserzionisti che investono su quel determinato sito. Per dirla in maniera più
chiara, un’accurata analisi, punto per punto, dell’ultima legge finanziaria
approvata dal Parlamento, accompagnata da un link al testo integrale del
documento e corredata magari da interviste video ad una serie di esperti,
può “convivere” in homepage accanto alle foto del calendario della modella
di turno senza per questo rinunciare al buon giornalismo né ad un folto
gruppo di inserzionisti. In conclusione, “si deve procedere ad un
contemperamento di interessi fra le ragioni configgenti, quelle del servizio
pubblico, implicitamente iscritte nello statuto di ogni giornale, e quelle della
partita doppia, che riguardano l’impresa editoriale che lo stampa e lo
distribuisce la quale, alla fine dell’anno, deve far quadrare i conti”41.
Una storia pubblicata su internet acquista un significato solo se io
lettore la ritengo utile per me stesso e quindi acquisto nel rapporto col
mittente un ruolo attivo. La sfida principale che i giornali online dovranno
affrontare non sarà quella della personalizzazione individuale intesa come
filtro dei contenuti, bensì quella di attivare il più possibile la partecipazione
mentale del lettore, dandogli maggiore possibilità di riflette e discutere.
Questo obbiettivo che i giornali online devono proporsi di raggiungere è
frutto dell’interattività intrinseca del web, che richiede un’attitudine mentale
diversa rispetto ai media broadcast che contengono un contenuto scelto e
lavorato da loro nella speranza che incontri il gusto di un’audience passiva.

1.5L’interattività
“I miei lettori ne sanno più di me”
Dan Gillmor

La pratica della fruizione dei testi multimediali è caratterizzata


dall’aspetto peculiare dell’interattività, che non è “riconducibile alle
41
R. Staglianò, op. cit., p. 84

35
modalità di interazione precedenti, e certamente modifica il quadro delle
pratiche negoziali tra testo e lettore”42.
Per iniziare un discorso sul concetto di “interattività” non si può non
partire dal descrivere quali siano i modelli comunicativi che caratterizzano
l’avvento delle tecnologie digitali e delle reti telematiche nel rapporto con i
modelli caratteristici dei media tradizionali. Il modello comunicativo dei
media “tradizionali” quali Tv, stampa, radio e cinema è un modello
direzionale, che implica una comunicazione che ha un preciso punto di
partenza e una direzione orientata ad un destinatario. Lughi chiama questo
modello comunicativo di presentazione. La sua trasposizione sul web
consiste nell’usare la rete, da parte del mittente, per rendere pubblici dei
contenuti che l’utente consulterà praticando una semplice attività di lettura.
Il secondo modello da prendere in considerazione è di tipo circolare e
prevede un continuo scambio comunicativo tra i partecipanti. In rete questo
modello si esplica nella pratica degli utenti che stabiliscono dei contatti con
altri soggetti instaurando una situazione comunicativa di tipo dialogico, ad
esempio tramite chat line, forum, e-mail e programmi di messaggistica
istantanea. Lughi chiama questo modello comunicativo di partecipazione
proprio perché consente all’utente del media e del web di partecipare alla
produzione della comunicazione, dei contenuti e alla formazione della
socialità. Le due forme spesso si mescolano secondo modalità sempre
diverse, per cui presentazione e partecipazione tendono a convergere43.
Il lettore che viene coinvolto in questo processo di convergenza tra i
due modelli comunicativi assume la figura di

42
G. Lughi, op. cit., p. 168
43
Ibidem pp. 26 - 27

36
“interattore multimediale”, ovvero “di colui che è in grado di interagire con
il mezzo di comunicazione e di condizionarlo usando,
contemporaneamente, tutte le forme di comunicazione disponibili”44.
Nella comunicazione su internet occorre comunque distinguere tra
interazione e interattività: la prima si realizza quando sono diverse persone
ad usare la rete per comunicare tra loro, mentre la seconda si riferisce al
fatto che la fonte d’informazione offre presentazioni diverse a seconda dei
comportamenti dell’utente. Condizione dell’interazione è la presenza
temporale tra i protagonisti della comunicazione (come in chat), mentre
nell’interattività questa caratteristica non c’è. Al contrario, anzi,
l’interattività si basa su architetture trasmissive bidirezionali, in cui “lo
scambio di informazioni non avviene tra i due soggetti della comunicazione
(autore e utente), ma tra l’utente e il prodotto dell’attività dell’autore”45,
quindi solo indirettamente con l’autore stesso. In questo caso, pertanto, il
dialogo avviene sempre dopo che è avvenuta la prima metà della
comunicazione, ovvero dopo che l’autore ha elaborato il suo testo. D’ora in
poi, nel parlare di giornalismo online mi riferirò esclusivamente all’aspetto
interattivo del mezzo di comunicazione e di come esso venga usato nel
campo della produzione di informazioni.
Un testo interattivo non può essere considerato come un’opera
conclusa, come quello che viene offerto dalla carta o dai media elettronici
tradizionali. Il modello di fruizione di questo genere di testo può essere
collegato alla nozione di stand by, nel senso che il testo rimane fisso per
quello che è fin quando al suo interno non avviene un evento che ne
modifica una parte. L’evento in questione viene avviato dal lettore anche
solo tramite un click sul mouse o sulla tastiera del suo computer.

44
S. Peticca, op. cit., p. 93
45
G. Lughi, op. cit., p. 169

37
Su internet al lettore è offerta la possibilità di giocare un ruolo attivo,
di scambio, di dialogo. Per dirla con le parole di Lughi, nel web “pur di
fronte alla direzionalità della comunicazione editoriale, il soggetto diventa a
tutti gli effetti uno dei protagonisti dello scambio, la sua presenza sul canale
gli garantisce diritto di azione e parola”46. La base minima di questa libertà
di azione del lettore sta nella discrezionalità che questi ha nell’usufruire del
meccanismo dell’ipertesto, proprio perchè è egli stesso a decidere il
percorso di lettura che vuole effettuare, nei tempi e nei modi che preferisce,
approfondendo ciò che più lo interessa o lo attira.
In realtà, i livelli su cui un lettore può esercitare una effettiva attività
nel rapporto con il prodotto informativo sono più di uno. Dalla semplice
scelta del medium e della testata cui rivolgersi per informarsi, che
rappresenta il livello minimo di libertà di scelta del lettore, si passa alla
possibilità di costruirsi un percorso testuale personalizzato offerto, come ho
spiegato prima, dalle caratteristiche peculiari della comunicazione
ipertestuale. Il media internet, però, consente un livello di attività del lettore
ancora maggiore, rendendo possibile una vera e propria comunicazione
biunivoca che rompe gli schemi unidirezionali dei media di comunicazione
di massa come i quotidiani cartacei, le radio e le televisioni. Staglianò
sostiene che nel giornalismo online si deve cercare in tutti i modi di “far
partecipare i visitatori-lettori del sito” chiedendo loro espressamente voti,
opinioni e quant’altro possa stimolare l’attivazione di un feedback da parte
del destinatario del messaggio iniziale. Grazie alle sue caratteristiche
intrinseche, che i giornali online dovrebbero sfruttare il più possibile,
internet offre la possibilità di effettuare una comunicazione tra emittente e
utente, o anche tra soli utenti, che sia in tempo reale ed efficace, attraverso
sondaggi, forum, commenti agli articoli, chat ecc. Queste grandi possibilità
46
Ibidem p. 45

38
che possono essere offerte al lettore-utente non devono tuttavia far sorgere
l’illusione che, nel giornalismo online, questi è diventato il protagonista
principale del flusso delle informazioni.
Il grado di interattività del sito di una determinata testata è stabilito
dai suoi autori e risponde ad un progetto editoriale complessivo che non può
essere “sconvolto” da una eccessiva partecipazione dei lettori. Quindi,
esistono delle “zone” dei siti dove la possibilità di interagire è maggiore e
altri dove è minore, o anche inesistente. Gli spazi e le modalità
dell’interattività del sito internet di un quotidiano online vengono stabiliti
dall’editore della testata in base alle sue convinzioni riguardo alla gestione
organizzativa della redazione. Gli editori dedicano attenzione alle risorse
derivanti dall’esercizio dell’interattività solo quando queste sono a costo
zero. Ancora pochissimi siti online riescono ad essere in attivo con i propri
conti e il fatto che sui temi importanti la gente cerchi ancora le informazioni
sui giornali cartacei induce i proprietari delle testate a non dedicare molte
energie alle potenzialità di internet. Secondo alcuni studiosi, i rapporti tra la
testata e il pubblico possono essere migliorati mettendo a disposizione di
quest’ultimo dei prodotti giornalistici che siano il risultato di una sempre
maggiore sinergia tra carta e online. I due prodotti non sono in concorrenza
tra loro, ma possono essere complementari nelle modalità di fruizione47.
Spetta agli editori trovare il modo di rendere questa sinergia appetibile
anche da un punto di vista economico.
Da un’indagine svolta nel 2005 dalla Fortunati su trentaquattro
giornalisti delle maggiori testate generaliste italiane (Sole24ore, la
Repubblica, Corriere della Sera, La Stampa), risulta che in queste grandi
redazioni non c’è quasi mai nessuno preposto d’ufficio all’attività di lettura

47
L. Fortunati, M. Sarrica, F. De Luca, L’interattività in redazione, in Problemi dell’informazione,
n. 1 marzo 2007

39
dei forum del sito e, quindi, alla “importazione” degli argomenti emersi in
quella sede nel lavoro redazionale. Solo l’8,8% dei giornalisti intervistati
dichiara di conoscere i contenuti che vengono inviati alla redazione tramite i
diversi strumenti di interazione. Il fatto che questa non sia una pratica
organizzata vuol dire che questo campo di interattività si basa ancora
essenzialmente su una certa vaghezza e casualità, legate soprattutto alla
volontà individuale di ogni giornalista. È anche vero, tuttavia, che molti dei
giornalisti che consultano le chat e i forum organizzati dal proprio sito
internet, anche se non vi partecipano molto, possono subire una sorta di
influenza indiretta da parte dei lettori.
Non bisogna dimenticare, poi, che nello scambio interattivo tra
giornalisti e lettori le due parti non hanno eguali diritti sullo spazio
comunicativo, anche perchè non hanno le stesse abilità e competenze
comunicative. I lettori comunicano in maniera molto informale, mentre i
giornalisti lo fanno per mestiere, seguendo regole di scrittura e di
presentazione delle notizie molto precise e peculiari della professione
giornalistica. Se si prendono in considerazione le interazioni tramite e-mail
si può comprendere bene come nel rapporto tra i due soggetti della
comunicazione ci sia una parte più “forte” rispetto all’altra. I giornalisti
decidono in maniera personale e soggettiva a quali messaggi rispondere e
quali lasciar perdere, non solo perchè a volte questa attività può risultare un
appesantimento del lavoro redazionale, ma anche perchè non esistono
regole, e spesso non vengono date dall’editore indicazioni precise su come
accostarsi a questo strumento di relazione col l’audience. Ogni giornalista si
accosterà, quindi, a questo strumento in maniera personale, in base alle sue
convinzioni riguardo all’utilità di perseguire un rapporto più diretto con i
propri lettori e in base alla propria disponibilità di tempo. Ancora molti

40
giornalisti hanno una visione scettica sull’utilità di questo rapporto, di
conseguenza è facile comprendere che non sono molti i professionisti che
dedicano una certa attenzione ai messaggi dei lettori.
Comunque, l’interattività nei rapporti tra emittente e destinatario di
un messaggio è la più grande innovazione introdotta dalla comunicazione
mediata dai computer collegati in rete che, anche se con modalità diverse,
porta il lettore – utente ad essere sempre più protagonista del flusso
informativo. Questa qualità peculiare di internet porta con sè una gran
quantità di innovazioni nella produzione dei testi e dell’informazione e, allo
stesso tempo, nella loro fruizione, non agendo solamente all’interno del
processo cognitivo individuale di ogni lettore-utente che viene
responsabilizzato e reso maggiormente autonomo rispetto al modello dei
mass media. La possibilità di interagire col testo e con gli altri utenti ha
delle implicazioni di forte innovazione anche nel campo collettivo, delle
collettività sociali che si formano tramite lo sfruttamento di questa qualità
“internettiana”. L’interattività va intesa, quindi, non solo come risorsa
operativa nella costruzione dei testi, ma anche come risorsa concettuale
all’interno della quale il soggetto si appropria di un oggetto attraverso le
trasformazioni che il suo intervento produce su di esso. Al di là del rapporto
tra individuo e macchina, si sviluppa dal lato dell’utenza un’intelligenza
distribuita, di tipo collettivo e connettivo, non centrata, che fa anche da
collante della comunità in quanto la partecipazione ai contenuti di un
singolo lettore può essere consultata da altri che decideranno di volta in
volta se dire la propria o partecipare anch’essi arricchendo così il contenuto
complessivo della notizia.
Il rapporto che si viene a creare tra i contenuti del testo e il lettore-
utente che li deve interpretare, e con i quali interagisce, è di tipo

41
collaborativo. La collaborazione avviene tra le “istruzioni” – non vincolanti
– che il testo contiene per la propria lettura, e la componente di libertà e di
arbitrarietà che il lettore porta con sé. Questa interazione, che di per sé è
innovativa nel mondo dell’informazione, consente anche un ulteriore modo
di interagire tra giornalista e lettore. Secondo la teoria tradizionale
dell’agenda setting, il lettore subisce la gerarchizzazione dei contenuti, e
quindi degli argomenti delle notizie, pensata dal giornalista nel proporgli le
informazioni. Nel momento in cui il lettore è in grado di interagire col testo
proposto dal giornalista e, quindi, anche con i suoi contenuti, anche il
concetto di agenda setting si può modificare, in quanto il lettore, con le sue
scelte, contribuisce in parte a formare l’agenda setting del giornalista. Molto
spesso questa attività del lettore viene svolta in maniera inconsapevole ma
può avere degli effetti su tutto il processo di produzione delle informazioni.
Nell’articolo già citato, L. Fortunati definisce l’interattività come il mezzo
per superare la “monodirezionalità del messaggio dalla fonte all’audience e
creare una varietà di forme comunicative dinamiche, in cui il pubblico è
visto come capace d’influenzare le politiche editoriali, di procurare notizie e
anche di co-produrre le notizie assieme alla redazione”48.
È possibile giungere a questo risultato grazie alla possibilità di sapere
con precisione quanti lettori leggono un determinato articolo piuttosto che
un altro, per quanto tempo ci si soffermano e molti altri dati. Poter essere a
conoscenza di questi dati, da parte di un editore o un direttore di quotidiano,
può avere un certo peso sulle scelte della redazione.

1.6Mobilità e personalizzazione dell’informazione


“I giovani dedicano ormai più tempo e più soldi
alla connettività mobile e sempre meno ai giornali.
La battaglia si gioca sul tempo dedicato ai media,
48
L. Fortunati, M. Sarrica, F. DeLuca, p. 92

42
sul luogo in cui uno strumento di informazione viene
utilizzato e per quali contenitori di informazioni
la gente decide di spendere il suo denaro”
Takashi Ishioka
direttore pubblicazioni “Asahi”

Come abbiamo visto nel primo paragrafo, “con le nuove tecnologie i


limiti di tempo e spazio stanno rapidamente cambiando a tutto vantaggio
degli utenti che potranno sempre godere di un servizio informativo presente
in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento”49. Si parla perciò di mobilità
dell’informazione. Essa consiste nel poter ricevere le notizie senza
andarsele a cercare nè in edicola nè sui siti on-line. La mobilità
dell’informazione si ha quando le notizie possono essere recapitate
direttamente nel luogo in cui l’utente si trova.
La mobilità è una delle variabili più importanti e innovative nei
processi di comunicazione mediati dal computer perchè riguarda il contesto
in cui avviene la fruizione, sempre più diffusa ed estesa grazie alla
miniaturizzazione dei terminali. Si tratta di un processo in fieri legato
soprattutto alle novità in campo tecnologico. È proprio questo processo
tecnologico che ha consentito all’idea di mobilità dell’informazione di
conquistare l’importanza, soprattutto commerciale, cui è giunta. Ormai
praticamente tutte le testate giornalistiche sfruttano la possibilità di offrire a
pagamento un servizio di informazioni che raggiunga l’utente direttamente
sul suo telefono cellulare a fronte di un pagamento. Questo genere di
servizio potrebbe – e lo sta diventando rapidamente – essere un
moltiplicatore delle entrate per un’azienda editoriale, che viene ad avere
uno strumento in più per una più facile ottimizzazione del rapporto tra costi
e ricavi dell’impresa editoriale, anche se esistono ancora numerose
incognite in merito legate soprattutto ai comportamenti dei consumatori.
49
E. Carelli, op. cit., p. 61

43
Da un punto di vista più tecnico, già nel 2001 Lughi sosteneva che
uno dei campi di maggiore interesse per lo sviluppo del web riguardava “la
possibilità di produrre pagine che potessero essere lette su diverse
periferiche, come computer, periferiche vocali, telefoni cellulari,
televisione, pocket computer, elettrodomestici, ecc”. Insomma, “aumenterà
sempre di più il numero di persone che accedono al web da postazioni e
periferiche diverse dal computer collocato a casa o in ufficio” ma, questi
nuovi strumenti, “dispongono di solito di display ridotti, per i quali sarà
opportuno offrire comunque la possibilità di visualizzazione ottimale”50.
Un esempio pratico di come una testata giornalistica online può
effettivamente applicare il concetto della mobilità al lavoro redazionale e
alla soddisfazione delle richieste degli utenti, con un occhio rivolto anche
alla riduzione dei costi di produzione, è quello rappresentato da Mediaset
col suo portale di news online TgCom. A descriverla è Emanuele Carelli, il
suo fondatore e primo direttore, nel suo Giornali e giornalisti nella rete
(2004), dove ricorda che “la piattaforma Polymedia, sistema di edizione e
pubblicazione che permette ai giornalisti di veicolare in modo molto
semplice i propri articoli sul web, sui cellulari, sul teletext e, quando sarà
attiva la tecnologia digitale terrestre, anche in televisione […], ha permesso
alla redazione di realizzare oltre ai contenuti per il web anche i testi per
Mediavideo e di poter offrire i propri prodotti a realtà esterne, come le
compagnie di telefonia mobile”51.
Se nei modelli di informazione tradizionale era il lettore-utente a
cercare, e raggiungere, l’informazione che desiderava, oggi, grazie dalla
digitalizzazione dell’informazione, sono le notizie a giungere direttamente e
senza fatica (ma solo con una piccola spesa) al computer o al telefono

50
G. Lughi, op. cit., p. 85 - 86
51
E. Carelli, op. cit., p. 100

44
cellulare di ognuno di noi. Ci aveva visto lungo Roger Chartier quando il 18
ottobre del 2000, in un’intervista rilasciata a “la Repubblica”, affermava che
“Il testo elettronico non sarà più legato a un oggetto specializzato, si tratti di
computer o di libro elettronico. I testi varcheranno lo spazio e
raggiungeranno il lettore su qualunque superficie adatta: il muro della
stanza dove ci troviamo o la manica della mia giacca”. È proprio quello che
sta succedendo ai nostri giorni con la diffusione dei computer palmari e
della tecnologia Wap prima, Umts poi, nei telefoni cellulari.
I giornali dovranno adattarsi, e lo stanno facendo in maniera sempre
più decisa, alla nuova generazione dei consumatori dei media che
richiedono le informazioni su una gran varietà di piattaforme nel tempo, nel
luogo e nel modo che verrà ritenuto da questi di volta in volta il più
appropriato.
La mobilità non si esplica esclusivamente tramite l’invio delle
notizie al nostro telefono, ma si sta realizzando anche grazie alla diffusione
delle tecnologie Wi-Fi, ovvero gli strumenti tecnologici che ci consentono
di collegare il nostro computer alla rete, senza bisogno di collegamenti via
cavo alla rete telefonica52, in qualunque posto ci troviamo.
Complementare al concetto di mobilità è quello di personalizzazione
dell’informazione. Se l’utente può decidere come e quando ricevere le
informazioni, può anche decidere quali informazioni ricevere, o per lo meno
quali siano i campi che lo interessano maggiormente. L’utente si trova di
fronte ad “un prodotto flessibile, adattabile e modificabile a seconda dei
propri gusti ed esigenze”53. Mobilità e personalizzazione danno all’audience
dell’informazione la possibilità di “portarsi dietro” l’informazione. Questo è

52
Proprio nei mesi in cui sto scrivendo questa tesi di laurea si sta svolgendo la gara d’appalto,
bandita dal Ministero per le Telecomunicazioni, per la realizzazione di una rete nazionale detta Wi
Max che consentirebbe di coprire le connessioni ad internet senza fili in tutto il territorio italiano.
53
M. Pratellesi, op. cit., p. 17

45
un fattore che favorisce la fidelizzazione tra l’utente e la testata
giornalistica. Personalizzando l’informazione, l’utente costruisce all’interno
dell’offerta informativa un proprio percorso personale. Nel giornale online
ogni utente traccia una propria rotta, soddisfacendo le proprie aspettative e
così fa saltare la griglia proposta dalla redazione.
Il pubblico di un quotidiano o di un sito web non è solo localizzato
geograficamente. Esistono dei pubblici di nicchia che sono molto
concentrati intorno ad un tema o ambito di conoscenza che è slegato da
ambiti geografici definiti o immobili. Lo stesso argomento può interessare
lettori situati in luoghi lontanissimi tra loro, ma legati dal desiderio di
informazione intorno a un tema comune, a un argomento che li lega.
I primi strumenti informatici in possesso dei siti di informazione
online erano le newsletter tematiche, che consentivano di raggiungere
tramite e-mail i lettori che desideravano avere un certo tipo di notizie 54.
Nella situazione attuale la ricerca di notizie legate ad un tema ben preciso è
stata enormemente facilitata dall’utilizzo delle ricerche per parole chiave o
tags, attraverso le quali è possibile trovare tutte quelle notizie che
riguardino l’argomento di maggiore interesse del lettore. Tanto le newsletter
quanto l’utilizzazione delle ricerche per parole chiave rispondono ad
un’esigenza di personalizzazione dell’informazione che cerca di soddisfare
il fabbisogno informativo specifico di ciascuno. Ci sono stati numerosi
esperimenti in questa direzione che, a dire la verità, non hanno sortito molti
successi55. Secondo Staglianò l’equilibrio ottimale tra i giornalisti e le

54
R. Staglianò, op. cit., p. 50
55
Per esempio l’esperimento del “Daily me” portato avanti da Nicholas Negroponte che
consisteva in uno strumento elettronico nel quale venivano messe a disposizione dell’utente-lettore
solo le notizie sugli argomenti che questi richiedeva. L’obbiettivo voleva essere quello di rendere
individuale l’informazione.

46
esigenze dei lettori risiede “nell’intersezione tra l’offerta tradizionale (gli
argomenti scelti per noi dai giornalisti) e daily me”56.
La mobilità rende l’informazione nomade in quanto si cerca di
arrivare a piazzare l’informazione “sulle traiettorie sempre più aleatorie del
lettore. E, soprattutto, di imbarcare la maggior densità di valore possibile
(informazioni, marchi, pubblicità, ecc.) su questi micro-contenuti […]. In
un altro senso, la nomadizzazione avvicina tutto. Nella temporalità come in
rapporto alla fabbricazione dell’informazione: il “cannone di informazioni”
può raggiungere chiunque dovunque, a casa, al lavoro […]. Il problema non
è più sapere se la carta o la tv sono morte, ma di essere connessi col
lettore.”57.
Le critiche che vengono mosse più frequentemente contro l’eccessiva
personalizzazione dell’informazione riguardano, da un lato, la scomparsa
del cosiddetto fattore serendipity58; e, dall’altro, il rischio di una eccessiva
segmentazione della società in nicchie incomunicanti. I mass media
elettronici, come Tv e Radio hanno avviato questo processo di
segmentazione della società, ma hanno anche contribuito a produrre e ad
alimentare un immaginario collettivo comune che in rete viene a mancare59.
Il sociologo Manuel Castels sostiene infatti che “dai network informatici
sono spuntati valori e interessi di ogni genere” e che quindi “da un punto di
vista empirico, non vi è traccia di una cultura comune unificata su
internet”60.
Parlando di mobilità e personalizzazione delle informazioni, non si
può non accennare a uno strumento che è già presente negli USA e che

56
R. Staglianò, op. cit., p. 54
57
Benoit Raphael sul suo blog: http://benoit-raphael.blogspot.com/2008/03/mdias-aprs-le-portail-
dinfos-le-canon.html
58
Ovvero la possibilità di imbattersi, per caso, in notizie che ci possono interessare.
59
R. Staglianò, op. cit., p. 57
60
M. Castels, Galassia Internet, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 61

47
potrebbe avere un ruolo nel futuro dei nostri media. Noi sappiamo che la
possibilità di ricevere le informazioni che desideriamo via sms sul nostro
cellulare è un servizio utile ed economicamente conveniente per chi
produce i contenuti che vengono inviati. Ma, come abbiamo visto nei
paragrafi precedenti e come vedremo anche più avanti in questo lavoro,
internet si caratterizza come media per la sua interattività, ovvero per la
possibilità che offre ai suoi utenti di produrre, loro stessi, dei contenuti.
Essendo sempre più vicino alla notizia “il lettore può anche contribuire
sempre più facilmente all’ informazione” per cui “l’avvenire del
giornalismo partecipativo sarà determinato dalla capacità dei media di
restare in contatto permanente con i loro lettori. Un po’ come oggi fa già la
radio”61.
In questo ambito si inserisce Twitter, sito di micro-blogging nato a
San Francisco e lanciato sul mercato nell’ottobre 2006.
Twitter consiste in un social network in cui i partecipanti inviano
messaggi non più lunghi di 140 caratteri, tramite diversi strumenti di
messaggistica come e-mail o programmi di messaggistica istantanea, ma
soprattutto tramite sms via telefono cellulare62. Twitter può avere una serie
di usi tra i più diversi e, senza dubbio, una delle possibile applicazioni
riguarderà il campo dell’informazione online. Non è un caso che nel corso
della campagna elettorale per le elezioni presidenziali del 2008, non hanno
esitato a diventare utenti di Twitter molti dei candidati a Presidente degli
Stati Uniti come Barack Obama, Hillary Clinton e John Edwards.
Agli occhi dei meno attenti, Twitter potrebbe essere considerato
inizialmente una tecnologia per utilizzi ludici, un po’ come i blog della

61
http://www.lsdi.it/2008/03/09/se-l%e2%80%99-informazione-diventa-nomade-dopo-i-portali-i-
%e2%80%9ccannoni%e2%80%9d-per-raggiungere-dovunque-i-lettori/
62
Il sito web di Twitter e’ www.twitter.com. Per farsi una breve idea su questo nuovo strumento di
web 2.0 si può consultare wikipedia al link http://en.wikipedia.org/wiki/Twitter.

48
prima ora, ma negli Stati Uniti ha già cominciato ad avere usi molto più seri
e importanti. Una delle applicazioni più interessanti di questo sistema
innovativo è stata quella che ha visto protagonista il “Los Angeles fire
department” durante la grave crisi degli incendi che, nell’ottobre 2007,
hanno devastato molte aree intorno alla grande città californiana. I vigili del
fuoco di Los Angeles hanno adottato questo strumento di comunicazione
proprio per fronteggiare i problemi legati allo sviluppo di focolai a macchia
d’olio. Twitter è stato utilissimo nel convogliare le informazioni sulla
posizione dei nuovi focolai che si sviluppavano intorno alla città, fornite
dagli utenti che si trovavano sul posto. Qui la mobilità non riguarda solo il
ricevere, ma anche il fornire informazioni.
In conclusione, internet consente di sviluppare la mobilità delle
informazioni in senso bidirezionale e non solamente in modo unidirezionale
come per ora sta avvenendo nel mondo dell’informazione italiana. Twitter è
una di quelle novità che potranno contribuire a stravolgere e innovare
ulteriormente il mondo dell’informazione, anche se è difficile per ora capire
quale possa essere il modo migliore per utilizzarlo all’interno del mondo
giornalistico.

1.7Quali modelli economici sostenibili?


“La notizia è gratis,
ma l’informazione si paga!”
Hans Nijemhuis,
direttore dell'olandese Nrc Nextt

Una cosa di cui si può essere certi è che chi naviga su internet è
abituato ad un “mondo” in cui tutti i contenuti, o quasi tutti, sono free,
letteralmente gratis, liberi. Il navigatore non è abituato a pagare per ricevere
e usufruire dei contenuti della rete e non ha intenzione di abituarsi a questo

49
scambio economico anche perché già paga per usufruire della connessione
alle linee telefoniche. Di esempi concreti ce ne sono innumerevoli, basti
pensare allo scambio peer-to-peer63 di file musicali, video, documenti e
interi film senza dover spendere neanche un centesimo per averli, col
semplice scambio tra utenti che mettono a disposizione degli altri ciò che la
memoria del computer contiene.
Questo discorso vale a pieno titolo anche nel campo
dell’informazione. Le uniche motivazioni capaci di far cambiare le abitudini
dei visitatori della “terra del gratis” devono riguardare qualcosa che possa
essere percepito dall’utente come qualcosa di realmente utile e prezioso 64.
Nella stragrande maggioranza dei casi, chi cerca informazioni su internet
non vuole pagarle; piuttosto che pagare un abbonamento si fa molto prima
ad abbandonare il sito che richiede il pagamento per cercarne un altro che
non lo richiede, ma che offre più o meno gli stessi contenuti.
Gli editori che hanno portato le loro attività sul web hanno dovuto
affrontare questo nuovo modo di pensare e agire dei lettori quasi da subito,
quando le richieste di pagamento per accedere alle proprie notizie non
venivano accettate se non da un ristretto gruppo di utenti, certo non
sufficiente a sostenere economicamente un’impresa che aveva dei costi
abbastanza importanti. Riccardo Staglianò, riferendosi a quelle testate che
negli anni ’90 sbarcavano online, parla di una vera e propria corsa all’oro…
ma senza oro65. Qualunque giornale ha come prima e fondamentale finalità

63
Per peer-to-peer si intende un collegamento individuale di due nodi della rete che mettono in
comune i propri file, contenuti, ecc. Questa tecnologia e’ avversata dalle istituzioni economiche e
non che difendono il diritto di proprietà intellettuale dei produttori di questi prodotti culturali e
musicali.
64
Mi riferisco per esempio ai siti di informazione economica e finanziaria come quello del Wall
Street Journal. La sua particolarità era quella di non essere semplicemente un quotidiano
d’informazione specializzata; per molte persone che lavorano nel mondo della finanza, il WSJ è
un indispensabile strumento di lavoro.
65
R. Staglianò, op. cit., p. 26

50
quella di informare, ma per poter sopravvivere deve inevitabilmente far
fronte a vincoli di carattere economico.
I vari editori hanno sperimentato diverse strategie di business, ma
non sono riusciti a trovare ancora una formula vincente anche se, oramai, la
diversificazione delle fonti di profitto sembra essere la via da percorrere e
che offre le garanzie di sostentamento maggiori. Emilio Carelli ha
analizzato le principali strategie economiche per sostenere le testate online,
portate avanti dagli editori, e le ha raggruppate nei quattro seguenti
modelli.
A) Consultazione a pagamento.
Viene richiesto un abbonamento a chi vuole usufruire dei contenuti della
testata, ma questa strategia ha avuto scarso successo proprio per la scarsa
propensione a pagare per ricevere delle notizie da parte degli utenti della
rete66;
B) Consultazione gratuita con pubblicità.
Prendendo esempio dal modello di business delle televisioni commerciali,
è stata una delle strategie più usate dai gruppi editoriali fino allo scoppio
della bolla speculativa della new economy alla fine del 2000. Consiste nel
consentire all’utente di fruire di tutti i contenuti prodotti dalla testata
appositamente per il web in maniera completamente gratuita, ma nel
contesto della pubblicità. Il concetto di base di questo modello è che “la
gratuità produce traffico, il traffico rende preziosi gli spazi pubblicitari”67,
per cui il costo di produzione dei contenuti e delle informazioni non viene

66
Un esempio del fallimento di questo modello può riconoscersi nella storia del settimanale
elettronico, promosso dalla Microsoft, “Slate” (www.slate.com); la testata dopo un anno e mezzo
di gratuità ha ritenuto possibile incominciare ad esigere un prezzo per la lettura dei propri articoli.
Dopo un anno esatto dall’introduzione dell’abbonamento da 19,95 dollari, il settimanale, visto il
calo vertiginoso degli utenti, che aveva portato alla drastica riduzione degli introiti pubblicitari,
decide di ritornare ad offrire i propri contenuti in forma gratuita.
67
R. Staglianò, op. cit., p. 100

51
addossato all’utente, ma viene finanziato da soggetti terzi che pagano per
poter usufruire di questi preziosi spazi pubblicitari. È stato grazie a questo
sistema che la presenza dei banner68 in rete si è diffusa in maniera
massiccia. In seguito al rallentamento della new economy e ai fatti legati
all’11 settembre, gli investimenti pubblicitari in rete hanno subito una
brusca frenata, ma non sono scomparsi e tutt’ora continuano ad sorreggere
moltissimi siti. È però possibile sostenere che un modello che si basi
esclusivamente sui finanziamenti pubblicitari in rete non può avere lo stesso
successo che registra nell’ambito televisivo, per il semplice fatto che su
internet è comunque l’utente che decide se vedere o meno una determinata
pubblicità, e quindi se clickare sul banner o no. Ultimamente nei siti dei
maggiori quotidiani italiani si stanno sviluppando delle forme pubblicitarie
che sono molto invasive e che a volte coprono completamente la home page
risultando poco piacevoli e poco attraenti per un navigatore che vorrebbe
semplicemente dare un’occhiata alle ultime notizie. L’invasività cerca di
ovviare a quello che, per un pubblicitario, è sicuramente un problema,
ovvero il fatto che è l’utente a decidere se usufruire del messaggio
promozionale o meno. “Invadendo” la schermata iniziale della home page
del sito visitato, si cerca di “costringere” il navigatore a dare attenzione al
messaggio pubblicitario che altrimenti verrebbe, probabilmente, ignorato a
favore dei contenuti giornalistici;
C) Multirevenues business model o pay-per-use.
L’idea è quella di mantenere gratuita la consultazione delle notizie, ma di
differenziare l’offerta del sito tramite la proposizione di una serie di servizi
“a valore aggiunto” a pagamento. Insomma, “dar via gratis il contenuto di
base per far pagare tutto quello che vi sta intorno”69. Alcuni esempi sono il
68
Sono spazi pubblicitari all’interno dei siti web che indirizzano l’utente che vi clicca lungo un
percorso di conoscenza del prodotto che viene promosso.
69
R. Staglianò, op. cit., p. 106

52
pagamento per la consultazione degli archivi, i servizi di informazione via
sms o mms o anche servizi di e-commerce in collaborazione con società
specializzare nel campo. Questo modello di business è attualmente molto
usato dai siti di informazione online, che lo hanno declinato in maniere
diverse a secondo delle proprie esigenze e di quelle dei loro lettori. Le
prime testate ad applicarlo furono, dopo il 1997, alcuni prestigiosi
quotidiani americani come il “New York Times”, “Usa Today” e il
“Washington Post”, che richiedevano delle forme di pagamento soprattutto
per la consultazione dei propri articoli di archivio. I servizi che è possibile
vendere non sono diretti solo agli utenti finali del prodotto ma anche agli
inserzionisti. Questi ultimi hanno bisogno di informazioni sugli utenti che
ricevono i messaggi pubblicitari, al fine di conoscerli, capire chi sono, che
interessi hanno, i motivi che li spingono a visitare un determinato sito ecc.
Tutte queste informazioni possono essere raccolte dal sito del giornale
attraverso registrazioni, formulari da riempire online per avere gratis dei
servizi che normalmente dovrebbero pagare. Le informazioni personali date
dall’utente in cambio di un servizio che, altrimenti, sarebbe stato a
pagamento consentono all’editore del sito di rivendere questi dati specifici
agli inserzionisti permettendo loro di elaborare dei messaggi pubblicitari
sempre più specifici e mirati a pubblici sempre meglio definiti. Attualmente
queste informazioni vengono richieste dai maggiori siti italiani di
informazione non solo nei campi riguardanti i servizi a pagamento, ma
anche per accedere ai servizi di interattività del sito: per partecipare ai
forum, per commentare e votare le notizie e gli articoli bisogna compilare
dei moduli con le proprie informazioni personali. Questo meccanismo
produce due risultati principali: il primo è quello di restringere la possibilità
di interagire con i contenuti prodotti dalla testate e il secondo è quello di

53
alimentare sospetti e paure, magari anche non fondati, sull’effettivo rispetto
dei propri dati personali e delle leggi sulla difesa della privacy, che possono
indurre il lettore-utente a rinunciare a dire la propria per paura che i propri
dati possano essere utilizzati in maniera non consona al rispetto della
propria identità e delle leggi vigenti che la tutelano.
D) Content provider.
Questo modello rientra sempre nell’ottica della vendita di servizi, ma
prevede anche la vendita di contenuti realizzati per il proprio sito ad altre
realtà su internet o esterne alla rete70. E’ un modello reso possibile dalla
grande espansione del mercato delle informazioni, ed è legato
essenzialmente alla sua mobilità e alla sempre maggior richiesta di notizie
preconfezionate da parte di soggetti che non hanno come prima finalità
quella dell’informazione e che quindi non rientrano nel campo del
giornalismo71.
Un ulteriore modello di finanziamento di un sito di informazione
online potrebbe consistere in un’offerta mista tra la completa gratuità o il
pagamento di un abbonamento. I giornali potrebbero offrire due versioni
online: una gratis con la pubblicità, l’altra a pagamento ma senza banner e
altre forme di promozione pubblicitaria72.
Secondo Carelli, fino al 2003, nessuno di questi modelli ha avuto un
effettiva supremazia rispetto agli altri, anche se gli ultimi due risultano
essere i più praticati.
La pubblicità su internet, comunque, dopo il crollo del 2000 è in
forte ripresa e coinvolge ogni genere di siti puntando ad accrescere
significativamente la propria quota nel mercato pubblicitario. A rilevarlo
sono delle ricerche svolte da WR Hambrecht sul mercato pubblicitario
70
Questa attività si chiama syndication.
71
E. Carelli, op. cit., pp. 93 - 98
72
M. Pratellesi, op. cit., p. 126

54
internettiano negli Stati Uniti che, è cresciuto in tre anni, dal 2005 al 2008
di circa sei miliardi di dollari73. Allo stesso tempo negli Usa si sta
registrando un netto calo nelle vendite di spazi pubblicitari sui giornali
stampati che, secondo la Newspaper Association of America, dal 2006 al
2007 ha registrato il 9,4 % di minori introiti, pari a circa 42 miliardi di
dollari. È anche vero che ci vorranno diversi anni ancora affinché la
pubblicità sui quotidiani stampati venga raggiunta da quella sulle edizioni
online: sempre negli Stati Uniti, quest’ultima è cresciuta di quasi il 19% ma
rappresenta solo il 7,5% del complesso dei ricavi pubblicitari dei giornali
74
. La tendenza , tuttavia, va in questa direzione.
In Italia, anche se lentamente, la direzione del mercato pubblicitario
rispecchia sicuramente un andamento sostenuto verso il mercato digitale
della rete. Roberto Binaghi, Presidente del Centro Studi
AssoComunicazione durante lo Iab (Interactive Advertising Bureau – Italia)
Forum del 2007 a Milano ha dichiarato che il comparto digitale acquisirà
nel 2008 una quota intorno all’8% sul totale degli investimenti pubblicitari,
contro il 6,3% alla fine del 2007 e il 4,6% a chiusura del 2006. Sarà quindi
in linea con un prospettico 10% nel 201075.
Una contromossa al lento esodo della pubblicità dalla carta verso
altre forme e altri media arriva ancora una volta dagli Stati Uniti, in cui la
crisi del giornalismo su carta è molto avvertita. È stata inventata, da poco
tempo, una nuova formula del mercato pubblicitario, elaborata per reagire
alla crisi economica che attraversano gli editori a causa del diminuire degli
introiti pubblicitari della carta stampata, che introduce un nuovo metodo di

73
Per i dati completi si guardi: http://www.sfnblog.com/index.php/2008/03/28/1462-us-internet-
ad-reached-18-billion-in-2007
74
http://www.lsdi.it/2008/03/31/pubblicita-crollati-nel-2007-meno-94-i-ricavi-dei-giornali-usa/
75
Da “la stampa.it”:
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articol
o=3439&ID_sezione=&sezione=

55
calcolo dell’audience delle testate. Questo nuovo metodo si chiama “Total
audience” e tiene conto non solo delle copie vendute in edicola ma anche
dei visitatori del sito internet. A fianco di questa nuova modalità di
conteggio quantitativo delle audience è nato un nuovo modo di vendere gli
spazi pubblicitari: gli editori offrono pacchetti che comprendono spazi sia
sulla carta che sul sito76. Ancora è troppo presto per poter sostenere che
questo modello nuovo possa portare dei risultati economici soddisfacenti
per un editore in crisi, ma sicuramente è una spinta in più che accelera quel
processo di complementarietà, e non di divisione, che dovrebbe
caratterizzare il lavoro interno delle varie redazioni di una stessa testata che,
oltre ad intersecarsi nel lavoro, diventano complementari anche nel
“produrre” ricchezza spendibile da parte dell’editore nei confronti degli
inserzionisti.
In un momento di crisi come quello che sta attraversando
ultimamente il giornalismo su carta, il dibattito sugli strumenti di
salvaguardia economica del prodotto è molto acceso e comprende una serie
di opinioni anche molto diverse tra loro. Uno degli aspetti più dibattuti
riguarda un eventuale aumento delle sovvenzioni governative. Come
sappiamo, in Italia questa pratica è ben presente e costituisce anzi una delle
fonti principali di finanziamento di giornali che, se fossero lasciati liberi di
competere sul mercato, non avrebbero speranze di sopravvivenza. Fa più
scalpore, tuttavia, sapere che negli Stati Uniti - dove la tutela della stampa,
anche da un punto di vista economico e legale è sempre esistita, ma si
caratterizzava per una serie di interventi legislativi prevalentemente indiretti
(protezione del copyright, esenzione dal pagamento delle tasse statali sulla
vendita, sconti sulle spedizioni postali, ecc) - ci sia qualcuno che pensi ad
una serie di sovvenzioni statali dirette a sollevare la stampa dalla crisi che
76
C. Cazzola, Arriva dagli USA la Total audience, in Prima Comunicazione n. 380 gennaio 2008

56
sta vivendo. E’ difficile, però, pensare che gli stessi giornalisti americani
accettino maggiori sovvenzioni statali, visto che uno dei loro vanti è
l’indipendenza dal potere, di cui devono essere “i cani da guardia”. Eppure,
Dean Baker ha addirittura proposto un “otto per mille” a favore delle
attività creative, tra cui rientrerebbe anche il giornalismo.
Ma le ipotesi che alimentano il dibattito sono le più disparate e
qualcuno ha già messo in pratica, ad esempio, il ritorno della prima pagina
all’uso solo per la pubblicità. Diversi quotidiani “avvolgono” il giornale
con una copertina di quattro pagine che comprende la testata del quotidiano
e il resto dello spazio coperto dalla pubblicità77.
In questo contesto in perenne evoluzione esistono comunque alcuni
punti fermi su cui ci si può basare per comprendere i cambiamenti che si
susseguono nel sostentamento economico del giornalismo online.
Uno di questi punti fermi consiste nel fatto che le esigenze su cui ci
si deve basare sono quelle dei lettori-utenti, che sono sempre più esigenti e
richiedono di essere soddisfatti sempre di più. Carelli sostiene, infatti, che
“il futuro dei giornali online forse risiede proprio nella capacità di intessere
uno stretto rapporto con i propri utenti, un rapporto interattivo grazie al
quale i lettori possano esercitare i propri desideri e i giornalisti offrire
un’informazione ricca e costantemente aggiornata”78.
Da un punto di vista più strettamente economico, un secondo punto è
che i costi di produzione delle notizie, grazie all’avvento dei computer e di
internet, si stanno riducendo a vista d’occhio. Due esempi su tutti possono
consentire di comprendere in pieno questa situazione. Prima di tutto, l’uso
delle e-mail nel lavoro redazionale consente le comunicazioni tra redazione,
inviati e collaboratori – che si trovano in giro per l’Italia e per il mondo – in
77
Queste ipotesi sono state tratte dall’articolo “Giornali: quale business model per il futuro
leggibile al link: http://www.lsdi.it/2008/04/05/giornali-quale-business-model-per-il-futuro/
78
E. Carelli, op. cit., p. 99

57
tempi brevissimi e a costo zero. Il secondo esempio è quello che riguarda le
ricerche di archivio. Prima dell’utilizzo diffuso del computer, mantenere un
archivio di redazione ricco e fornito costituiva una spesa notevole, anche se
per il giornalista che doveva svolgere una ricerca i tempi risultavano
comunque essere lunghi e, a volte, anche faticosi. Non vi è nessun dubbio
che grazie agli archivi elettronici dei giornali, ai motori di ricerca, ai
database e ai contenuti presenti su internet i tempi e i costi per effettuare
una ricerca siano stati abbattuti in maniera decisiva.

58
I giornalisti on-line. Il presente e il futuro della
professione
“La stampa, piccola mia è
il cane da guardia della civiltà,
e si da il caso che il cane da guardia
sia – non ci si può fare niente – in
un cronico stato di rabbia.
Si fa presto a parlare di museruola;
non si può far altro che continuare
a far correre l’animale”
Howard Bight,
In The Paper di Henry James

Se si vuole conoscere e capire fino in fondo il mestiere del


giornalista bisogna osservare le condizioni in cui viene esercitato. Queste
sono il riflesso dei concreti comportamenti empirici attraverso cui i
giornalisti governano i due fondamentali processi del newsmaking
(produzione di notizie) e del newsgathering (selezione delle notizie) che
rappresentano le fondamenta della professione. E’, dunque, fondamentale
capire come gli approcci teorico e pratico alla produzione della notizia
cambino con l’utilizzo dei media digitali e della rete internet nel lavoro dei
professionisti dell’informazione79, in quanto il concetto di notizia si sta
sviluppando in parallelo con lo sviluppo dell’industria dei media, delle
comunicazioni tecnologiche con l’evoluzione delle tecniche di
rappresentazione della notizia.
Ai suoi albori, nelle redazioni tradizionali, il web veniva considerato
come un videogioco per ragazzini che sarebbe passato di moda dopo
pochissimo tempo.

79
A. Papuzzi, Professione giornalista, Donzelli, Roma, 2003 p. XII

59
Ma il corso della storia ha dimostrato che questa nuova tecnologia
non era un semplice passatempo ludico. L’avvento delle tecnologie digitali
e l’uso sistematico di internet nelle redazioni hanno di fatto scardinato
l’immagine tradizionale del giornalista e l’organizzazione del suo lavoro in
redazione.
L’online ha riacceso il dibattito sul significato della professione
giornalistica sotto tutti gli aspetti: tecnici, etici, contrattuali ed editoriali.
Secondo Papuzzi questa è la prova “di quanto profondamente le
caratteristiche del mezzo incidano sul modello di giornalismo e la
professionalità dei giornalisti”80.
Molte delle funzioni intermedie che esistevano tra l’esercizio della
professione e la realizzazione del prodotto finale, sono state eliminate
dall’estendersi delle tecnologie digitali. Adesso è il giornalista che
attraverso il suo Pc e i suoi strumenti può farsi carico di tutto il processo di
acquisizione, trattamento, confezionamento e pubblicazione delle
informazioni. I suoi compiti si moltiplicano e le sue competenze devono,
per forza, espandersi nel campo delle nuove tecnologie81. Allo stesso tempo
è vero, come risulta da una ricerca del Poynter Institute for Media Studies
in collaborazione con la Stanford University, che internet torna a
valorizzare il testo che, nell’informazione online, ha l’importante funzione
di collante per tenere insieme e organizzare l’ipertestualità e la
multimedialità82.
Dal punto di vista dell’organizzazione editoriale, questi nuovi
strumenti del mestiere consentono anche una maggiore sinergia tra le
diverse redazioni all’interno di uno stesso gruppo 83.
80
Ibidem, p. 164
81
E. Carelli, Giornali e giornalisti nella rete. Internet, blog, vlog, radio, televisione e cellulari: i
canali e le forme della comunicazione giornalistica, Apogeo, Milano, 2004
82
A. Papuzzi, op. cit., p. 164
83
Per esempio con la creazione di archivi comuni di notizie, interviste, immagini, video.

60
Oggi molti giornalisti, soprattutto i più giovani, sanno cavarsela con
telecamere e registratori digitali che consentono loro di sviluppare
informazioni con linguaggi diversi. I giornalisti hanno la possibilità e le
capacità di realizzare contenuti informativi per supporti tecnologici e media
diversi: dalla Tv alla radio, dal giornale su carta al sito web.
Un periodo di cambiamento così radicale, per una professione dalle
radici molto forti e solide, è facile immaginare come possa essere
caratterizzato da sentimenti e visioni alterne. Così, “i colleghi della carta (e
degli altri old media) snobbavano – e continuano a snobbare, sulla base di
pregiudizi castali e anagrafici – i “ragazzi” dell’online. Figli di un Dio
minore, anche quando militano sotto le insegne della stessa testata e sono
equiparati in tutto e per tutto, i redattori di internet vengono sovente
guardati con sufficienza”84.
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, internet consente anche
una comunicazione diretta tra giornalista e utente che può certo limitarsi ad
un semplice scambio di opinioni, ma può anche svilupparsi in una forma di
vera e propria collaborazione tra i due soggetti protagonisti dei flussi
informativi.

2.1 Il nuovo ruolo del giornalista all’interno della società e il


suo rapporto con i lettori
“Il buon giornalismo…
è rimasto ancora la principale garanzia
disponibile ai cittadini
di una società civile e democratica”
V. Sabadin,
L’ultima copia del “New York Times”

Dal momento che, con Internet, l’informazione abbonda ed è a


disposizione di tutti, c’è ancora bisogno dei giornalisti?
84
Ibidem, p. 166

61
Secondo Vittorio Sabadin nel suo L’ultima copia del “New York
Times”, siamo di fronte al “paradosso del giornalismo”: mentre cresce il
numero di luoghi nei quali si fa e si riceve informazione, l’audience tende a
comprimersi e a parcellizzarsi, diminuisce la quantità di eventi seguiti e il
numero dei giornalisti che lavorano in ogni organizzazione editoriale si
riduce85.
Carelli afferma, invece, che “internet sta cambiando il ruolo stesso
del giornalista all’interno della società”86 ed è quindi legittimo chiedersi se
il ruolo del giornalista abbia ancora ragione di esistere. Questo ruolo, di
grande importanza sociale, è insidiato dalla diffusione sempre più capillare
delle nuove tecnologie digitali. Quegli stessi strumenti tecnologici che i
giornalisti stanno imparando ad usare, con sempre maggiore perizia, sono
in possesso anche della gente comune. Le persone che casualmente si
trovano a vivere e a partecipare a degli eventi, a volte anche di straordinaria
importanza per la storia dell’umanità87, hanno la possibilità di catturare
queste situazioni in video o in fotografia. Spesso si tratta di documenti
unici, perchè la copertura mediatica del mondo, anche del più grande e
diffuso dei media di massa, non potrà mai essere capillare come la presenza
fisica delle persone che, pur non essendo giornalisti, si trovano a vivere il
mondo con gli eventi che in esso accadono. La facilità per un cittadino non
giornalista, di rendere pubblico ciò che ha catturato tramite l’uso di un
oggetto privato consente ragionevolmente di parlare di reporter diffuso88 o
di personal journalism.

85
V. Sabadin, L’ultima copia del New York Times. Il futuro dei giornali di carta, p. 16
86
E. Carelli, op. cit., p. 43
87
Un esempio su tutti è l’evento dell’attacco alle torri gemelle di New York le cui immagini più
eloquenti sono state catturate in maniera assolutamente amatoriale e casuale ma che, ugualmente,
hanno riempito gli spazi di tutti i media e si sono impresse indelebilmente nelle nostre memorie.
88
E. Carelli, op. cit., pp. 43 - 44

62
E’ abbastanza evidente come lo sviluppo tecnologico digitale della
nostra società abbia portato ad un forte ridimensionamento del ruolo della
professione giornalistica all’interno della nostra civiltà. Questo non implica
che il ruolo dei professionisti dell’informazione sia diventato meno
rilevante nella società, ma solo che deve essere ridefinito in modo tale da
difendere e affermare quella importanza fondamentale che ha rivestito nello
sviluppo delle moderne società democratiche.
Carelli ridefinisce il ruolo, anche professionale, del giornalista
moderno basandosi sulle sue più antiche radici. Innanzitutto i giornali, e i
giornalisti che li producono, svolgono la funzione basilare di gatekeeper,
ovvero di selezionatore delle notizie che, causa spazi e tempi troppo
ristretti, non possono essere tutte pubblicate. Il professionista
dell’informazione, quindi, ha come primo compito quello di filtrare le
notizie che poi verranno pubblicate sulla testata per cui lavora. La funzione
di gatekeeper ha ragione di esistere più che mai in un mondo dove si parla
addirittura di overload89 di informazione. Se le notizie non venissero
selezionate, analizzate, valutate, verificate e decifrate da un professionista,
si avrebbe uno scadimento di qualità dell’informazione. Al centro della
nuova attività del giornalista, quindi, acquistano ancora maggior forza i
valori dell’analisi, della selezione e del controllo dell’informazione che
hanno sempre permesso di considerare il giornalista come il gate primario
dei flussi informativi90.
La necessità di migliorare la qualità del lavoro deriva anche da
un’ulteriore caratteristica intrinseca della rete internet: l’interattività91. Il
giornalista, potendo interagire con i lettori, viene a conoscenza dei loro
gusti, delle tendenze e delle loro impressioni; i lettori, da parte loro, oltre a
89
Si intende l’abbondanza delle notizie che circolano nei flussi informativi.
90
E. Carelli, op. cit., p. 45
91
Vedi cap. 1, par. 1.4

63
esprimere le proprie opinioni e condividere i propri gusti, svolgono un
effettivo ruolo di controllo quotidiano sui contenuti degli articoli che
vengono pubblicati, non solo grazie alle proprie conoscenze personali, ma
soprattutto grazie alla possibilità di avere accesso a molte delle stesse fonti
a cui attinge il giornalista.
Va da sè, inoltre, che la credibilità di chi svolge la delicata
professione di scrivere notizie viene messa sempre più in discussione dalle
capacità di verifica dei lettori. Ciò innesca un meccanismo per cui il
giornalista ha sempre maggiore bisogno di essere credibile e di dimostrarlo.
Anche per questo diventa importante non cadere nella trappola della
velocità che impone al giornalista di pubblicare delle notizie, tralasciando
le dovute verifiche, solo per battere sul tempo i propri concorrenti dando
loro un “buco”. Si potrebbero avere degli effetti controproducenti in una
società in cui la verifica delle notizie è sempre più semplice da parte dei
destinatari del loro flusso.
Il controllo dell’informazione è passato, silenziosamente, dal
quotidiano ai suoi consumatori. A tal proposito, Staglianò parla di un
quality check che non ha precedenti nella storia della professione
giornalistica e che non tutti i professionisti del settore hanno preso bene.
L’ostilità maggiore nei confronti di questo nuovo rapporto col lettore arriva
dalle generazioni più vecchie di giornalisti per diversi motivi. Alla base di
tutti i dubbi c’è il sospetto, preconcetto, nei confronti di un mezzo che non
si conosce, che non si sa dominare e che spesso viene sottovalutato, anche
se sta influendo sempre più sull’agenda politica sia a livello locale che
nazionale92. Questi dubbi si concretizzano in un senso di superiorità dei
92
Basti pensare al clamore suscitato dai video di atti di bullismo nelle scuole o del grandissimo
seguito di opinione pubblica di cui alcuni siti internet possono godere, come ad esempio il blog
dell’ex comico Beppe Grillo; ancora, l’importanza sempre crescente che il mezzo internet sta
acquistando tra i politici nazionali che sempre di più aprono siti e blog personali per relazionarsi
non solo con il pubblico, ma anche per superare la mediazione dei mass media che non sempre

64
giornalisti “tradizionali” riguardo ai colleghi, quasi sempre più giovani, che
lavorano sul supporto web e si alimentano col timore che queste nuove
modalità di esercitare la professione giornalistica contribuiscano a
minacciare lo status di “detentori monopolistici della selezione e
distribuzione delle notizie”93, tendendo a quello che Lawrence Grossman
sostiene essere un giornalismo più egualitario94.
D’altro canto, agli occhi dei “custodi dell’ortodossia giornalistica”,
come Staglianò definisce i detrattori della rete, l’informazione su internet e
l’estrema pluralità delle fonti a disposizione di chiunque inducono a parlare
di un grande “bazar” dove l’unica legge vigente è il “caos”.
Una delle critiche principali mosse al giornalismo online riguarda la
scarsa attendibilità legata alla rete. Di questo specifico e fondamentale
problema tratterò in maniera più accurata nei prossimi paragrafi, per adesso
mi limito a sostenere che, sia in rete che sulla carta, una testata rispettabile
garantirà nello stesso modo la qualità dei propri contenuti.
L’eccessiva intensità delle critiche che vengono rivolte alla rete da
parte di un folto gruppo di giornalisti rischiano di causare uno stallo
effettivo nello sviluppo delle redazioni giornalistiche. Il problema è
presente in tutta Europa e Benoit Raphael, sul suo blog “Demain tous
journalistes?”95, fa il punto della situazione di vera e propria paralisi che si è
creata in molte redazioni francesi rispetto alle opportunità offerte dalla rete.
Anche se alcune componenti possono essere diverse, il quadro che
ne viene fuori ha vari punti di contatto con quello che succede in Italia. Mi
limiterò ad elencarne solo alcune:
• prima di tutto, la mancata conoscenza di internet;

concede loro lo spazio mediatico per garantire una certa visibilità alle loro istanze.
93
R. Staglianò, op. cit., pp. 118 - 120
94
Cit. in ibidem, p. 120
95
E’ un importante giornalista francese.

65
• l’ età di alcuni quadri che, passati i 50-55 anni, frenano al massimo;
• i modelli economici non ancora completamente a punto;
• le questioni di diritti d’autore ancora in sospeso96.
Le questioni critiche che vengono sollevate dai detrattori della rete
sono destinate a spegnersi con il rinnovarsi delle generazioni. Il ricambio
generazionale porterà nelle redazioni giovani sempre più legati alle nuove
tecnologie, anche se sarà importante non perdere quello spirito critico di
osservazione che è tipico del mestiere del giornalista e che si acquista
soprattutto con l’esperienza sul campo.
Come ho accennato in precedenza, un problema pratico e reale
dell’informazione online riguarda il delicato rapporto tra la velocità di
redazione e pubblicazione delle notizie e l’accuratezza della loro verifica.
La velocità rappresenta una delle più grandi doti del media internet, ma allo
stesso tempo ne è il maggior difetto. L’obbiettivo che i giornalisti
dovrebbero porsi è quello di raggiungere l’equilibrio tra il desiderio
legittimo dei lettori di ricevere informazioni minuto per minuto e i
fondamentali requisiti del giornalismo di qualità che sono l’equità, la
completezza e l’accuratezza dell’informazione.
Un altro aspetto critico, imputabile al giornalismo online, è quello
della necessità di tracciare una demarcazione evidente tra contenuti
informativi e contenuti pubblicitari, che rischia di risultare sempre meno
chiara. La questione rientra, però, in un campo che non ha a che fare
esclusivamente con l’aspetto tecnico del nuovo veicolo di comunicazione,
ma rientra soprattutto nell’ambito del rispetto della deontologia della
professione di cui si tratterà più avanti. Infine, è facile notare come lo
strumento internet consenta una facile produzione di bufale e notizie false.
96
L’articolo si può trovare per esteso all’indirizzo: http://www.lsdi.it/2008/03/30/internet-perche-
molte-redazioni-sono-ancora-paralizzate/#more-1185

66
Di certo, però, le cosiddette leggende metropolitane non sono nate
con la diffusione di internet, sono sempre esistite anche se in rete hanno
trovato un ambiente in cui svilupparsi in maniera feconda. E’ anche vero
che internet stesso fornisce la “cura” a questa “malattia”. Se è vero che in
rete trovano spazio una grande quantità di “bufale”, è anche vero che vi
trovano ospitalità anche molte organizzazioni in cui mestiere è proprio
quello di smontare, il più in fretta possibile, tali invenzioni. Riccardo
Staglianò nel suo Giornalismo 2.0 cita come esempio la Urban Legend
Reference Pages97. Non bisogna neanche dimenticare il già citato ruolo dei
lettori che, grazie alle possibilità interattive della rete, possono contribuire a
svelare la falsità di certe macchinazioni.
Critiche ed elogi ad internet arrivano da due categorie di analisti che
limitano le loro posizioni alla difesa di una delle due parti in causa, o i
media tradizionali o internet. Tuttavia storicamente non è mai accaduto che
l’avvento di un nuovo media abbia cancellato quelli che esistevano in
precedenza. Quasi sempre, invece, il risultato è stato quello di una sempre
maggiore specificità dei compiti e, spesso, una naturale sinergia tra i diversi
media.
Nel dibattito che è sorto dopo lo sviluppo esponenziale di internet e
di tutte le attività che esso consente, compresa l’informazione, una
posizione molto convincente è quella che guarda ad una vera e propria
sinergia tra i media “vecchi” e nuovi, abbandonando l’idea di una
concorrenza inutile. Negli ultimi anni questa concezione collaborativa ha
portato i grandi editori e, quindi, le grandi testate ad una sempre maggior
compenetrazione tra supporti cartacei, catodici e digitali.
In questo nuovo ambito il giornalista deve sapersi districare con
abilità tra la carta e il web, padroneggiare tutti i linguaggi per poter trattare
97
R. Staglianò, op. cit., p. 123

67
le notizie adattandole a media diversi. Inoltre, la necessità di aggiornamenti
continui delle homepage e delle notizie stesse obbliga le redazioni a
mantenere un collegamento permanente tra le diverse redazioni, in modo
tale da poterne sfruttare al massimo le competenze e il lavoro, riducendo il
più possibile i costi di produzione.
Il giornalista, in definitiva, deve avere una “nuova forma mentis che
rifiuta attitudini autoritarie, gerarchiche e semplicistiche nei confronti del
proprio pubblico”98.

2.2 Cambiano gli strumenti ma non il mestiere


“Le tecnologie non sono semplici aiuti esterni,
ma comportano trasformazioni delle strutture
mentali, e in special modo quando hanno a che
fare con la parola […]. Le tecnologie sono artificiali,
ma […] l’artificialità è naturale per gli esseri
umani. La tecnologia, se propriamente interiorizzata,
non degrada la vita umana, ma al contrario
la migliora”
Walter J. Ong,
Oralità e scrittura. La tecnologia della parola

“Il riflesso condizionato di un adulto, quando pensa ad un giornalista


professionista, non contempla subito anche il supporto elettronico”99. I
lettori giovani, invece, hanno un bagaglio di memoria e di tradizioni che è
sempre meno legato alla vecchia figura del reporter con penna e taccuino
che annotava ogni dichiarazione, fatto o evento al quale assisteva. I giovani
non hanno difficoltà ad attribuire ai giornali online piena rispettabilità;
quello che conta di più per questi lettori è la praticità di usufruire delle
notizie tramite l’utilizzo degli stessi strumenti che usano per organizzare la
propria vita: i programmi di messaggistica istantanea, le e-mail, il telefono
cellulare. Il giornalista, nell’era di internet, per svolgere il suo mestiere usa
98
L. Pryor, Insegnare il futuro del giornalismo, in Problemi dell’informazione n. 3 settembre 2007
99
R. Staglianò, op. cit., p. 134

68
gli stessi strumenti che usano i suoi lettori per informarsi e per comunicare
tra loro senza però abbandonare quelli più tradizionali.
Marco Pratellesi, direttore di Corriere.it, parla a ragione di new
journalism, non solo perchè ormai i giornali online sono una realtà
consolidata, ma anche perchè gli strumenti che consentono di svolgere il
mestiere del giornalista, su qualunque supporto, sono molto cambiati.
Secondo una ricerca del 2005, citata nel precedente capitolo 100, circa ¾ dei
trentaquattro giornalisti intervistati pensano che, per il futuro della loro
professione, l’aspetto tecnico sarà sempre più rilevante. Questo dato di fatto
del giornalismo moderno consente di non dover discutere più sulla dignità
professionale dei giornalisti online, che ormai è stata acquisita, anche se ha
faticato ad essere riconosciuta da tutto il mondo professionale. Tuttavia
esistono ancora delle “nicchie di scetticismo”, come s’è accennato. Adesso,
è necessario capire come e in che modo questo nuovo giornalismo abbia
contaminato e influenzato i processi produttivi in redazione, imponendo
nuove regole e una nuova organizzazione del lavoro.
Gli assunti principali alla base dell’idea dell’esistenza di un “nuovo
giornalismo” sono due. Il primo riguarda la professione del giornalista e
nega l’esistenza di un suo cambiamento. I giornalisti continuano ad essere
coloro che ricercano, selezionano e gerarchizzano le notizie che vale la
pena dare, estrapolandole da un flusso sempre maggiore di informazioni per
poi presentarle, nella maniera ritenuta di volta in volta più adatta, al proprio
lettore. Secondo Papuzzi, l’aspetto chiave dell’attività dei giornalisti web è
la selezione delle notizie. Nel lavoro di redazione online “selezionare
significa conoscere le tecniche per separare la notizia principale
dall’approfondimento, che sta da un’altra parte, fra le possibilità offerte
dietro un link. Si tratta di una logica produttiva, fra l’altro, che è accentuata
100
Vedi paragrafo 1.5

69
dal bisogno di dare aggiornamenti costanti, garantendo la copertura
dell’avvenimento istante per istante”101.
Quello che è cambiato - ecco il secondo assunto - è il modo di
lavorare del giornalista. Secondo Pratellesi “le trasformazioni introdotte dai
nuovi media stanno avendo sul giornalismo un impatto tale da averne già
modificato molte pratiche e regole. L’accesso all’informazione globale, la
convergenza tra telecomunicazioni, computer e media tradizionali avviata
da internet, la velocizzazione del ciclo della notizia, oggi sempre più
fruibile in tempo reale, l’interattività, la possibilità di disporre di contenuti
multimediali su uno stesso supporto, la personalizzazione e l’ubiquità
dell’informazione, che ormai ci accompagna sempre e ovunque grazie ai
dispositivi wireless, hanno avviato un processo di trasformazione che per
trovarne uno altrettanto radicale bisogna risalire alla rivoluzione introdotta
dalla penny press nel 1830”102.
Il mestiere del giornalista è profondamente legato allo sviluppo delle
tecnologie. Queste cambiano e si evolvono e lo stesso accade al lavoro del
giornalista che è già cambiato e continuerà a cambiare sotto la spinta
dell’innovazione.
All’inizio di tutte le trasformazioni che hanno contribuito al
cambiamento, e che caratterizzeranno ancora il futuro della professione, c’è
stato il computer. L’introduzione di questo strumento all’interno delle
redazioni giornalistiche fu il primo passo del profondo mutamento che
stiamo vivendo anche ai giorni nostri. Anche se con qualche resistenza, il
computer occupò il posto che da decenni era proprio delle macchine per
scrivere e inizialmente fu usato soprattutto come una modernizzazione di
esse.

101
A. Papuzzi, op. cit., p. 169
102
M. Pratellesi, op. cit., p. IX

70
In merito all’introduzione del computer negli ambiti lavorativi dei
giornalisti non posso non considerare, in quanto giovane aspirante
giornalista cresciuto digitando parole su una tastiera, la svolta che si è
registrata in Italia il 9 gennaio 2008 con l’approvazione del Decreto di
Legge n. 1939, sostenuto da tutte le forze politiche parlamentari che
introduce, finalmente, anche se con un ritardo più che imbarazzante sulla
realtà sociale, l’uso del computer all’esame professionale dei giornalisti in
sostituzione della ormai più che obsoleta macchina per scrivere. Questo
evento forse incomincerà a favorire una maggior fiducia della professione
giornalistica nel nuovo media.
Nel mondo del giornalismo, comunque, il ricambio generazionale ha
permesso di aumentare il contributo digitale alla professione.
In un primo momento, l’utilizzo di internet ha reso più difficile
l’esercizio della professione perchè sono stati introdotti nel lavoro
redazionale degli strumenti di ricerca e di verifica completamente nuovi.
L’innovazione introdotta nelle redazioni con l’utilizzo dei computer non
può essere più scissa dall’uso della rete come strumento di lavoro in
redazione in quanto la navigazione è ormai l’uso più diffuso che viene
attuato tramite il computer nell’ottica della semplificazione dei vari ambiti
del lavoro in redazione. L’avvento del computer e della video –
impaginazione ha consentito al giornalista di acquisire il controllo di tutto il
processo produttivo della notizia. Non era mai successo prima che i
redattori potessero scrivere il pezzo direttamente in pagina, titolarlo,
inserire una o più foto e infine inviarlo in tipografia praticamente già pronto
per la stampa.
Questa semplificazione intrinseca introdotta dai computer e dalla
rete, se unita all’utilizzo di strumenti digitali come piccole e leggere

71
telecamere, computer portatili, videotelefonini satellitari, consente di
trasmettere in tempo reale le informazioni e le immagini che gli inviati
delle redazioni catturano sul campo. Le dimensioni e i costi, relativamente
bassi, di questi strumenti consentono un forte risparmio e una maggiore
facilità di trasmissione dei servizi e dei pezzi giornalistici, garantendo la
produzione di “reportage istantanei”. Ma il computer ha rivoluzionato la
produzione giornalistica in tutti gli ambiti del linguaggio giornalistico,
modificando i principi che vi stavano alla base. Papuzzi, per esempio,
parlando dello stile giornalistico dell’inchiesta (l’attività forse più
affascinante e più “nobile” del giornalismo), sostiene l’esistenza di un
nuovo principio deontologico che sta alla base del fare inchiesta e che è
stato introdotto dall’avvento del computer in redazione. Alla base del lavoro
di inchiesta non c’è solo the principle of truth telling (il principio di
raccontare la verità) ma anche il telling the whole story (raccontare tutta la
storia) dal momento che il computer permette di “sondare e radiografare la
realtà nella sua articolata complessità”103 espandendo gli ambiti di ricerca e
consentendo spesso di approfondire gli argomenti trattai da diversi punti di
vista.
Inoltre, come vedremo in maniera approfondita successivamente, la
diffusione degli strumenti digitali consente una maggiore facilità nella
produzione delle informazioni e della loro pubblicazione. Questo vale sia
per i semplici cittadini, sia per tutti quei giornalisti indipendenti o free lance
che si trovano nei luoghi dove avvengono gli eventi e che li raccontano in
maniera indipendente rispetto ai colleghi dei media mainstream.
Un esempio chiaro riguarda gli scenari di guerra nei quali l’esercito
americano ha letteralmente reclutato dei giornalisti che seguono giorno e
notte i militari dell’esercito statunitense raccontando la cronaca di quello
103
A. Papuzzi, op. cit., p. 56

72
che accade, ma con l’obbligo di rispondere a delle regole precise stabilite
dall’esercito americano che, di fatto, ne limitano la libertà di cronaca e di
critica con la pretesa di difendere la sicurezza nazionale. Questi sono i
cosiddetti giornalisti embedded. La necessità, sempre più importante, di
vedere e raccontare i fatti da punti di vista diversi viene quindi soddisfatta
dall’utilizzo da parte di giornalisti, non “integrati”con una delle parti in
campo, di tutte le tecnologie digitali che consento loro di raccontare i fatti
anche in situazioni poco agevoli104. Infatti, “con pochi uomini e mezzi
anche un piccolo giornale online, o un singolo freelance sono nelle
condizioni di poter offrire una copertura mediatica degli avvenimenti
rilevanti per il proprio target”105.
Con l’utilizzo delle nuove tecnologie e l’avvento del villaggio
globale, a mutare non è stato solo il lavoro degli inviati, embedded o free
lance, ma anche il ruolo del desk che ha avuto un nuovo riconoscimento
professionale fino a diventare il “cuore riconosciuto, pulsante, vivo del
giornale”106. Il desk si è rivelato ancora una volta fondamentale per
controllare, confrontare, collezionare fonti, ufficiali e non, all’interno di un
flusso imponente e continuo di notizie e informazioni che non sempre
risulta essere chiaro e trasparente. Il ruolo di controllore della veridicità
delle informazioni acquista, quindi, una importanza sempre maggiore.
Nel lavoro di redazione, quindi, internet accresce la quantità e
l’accessibilità delle fonti tra le quali il giornalista deve sapersi muovere con
agilità e sicurezza, dal reale al virtuale, trasformandosi così in un cronista
globale che è in grado, grazie soprattutto alla rete, di attingere informazioni
da tutto il mondo e di renderle pubbliche, tramite le redazioni online, con

104
M. Pratellesi, op. cit., pp. 29 - 32
105
C. Baldi, R. Zarriello, Penne digitali. Dalle agenzie ai blog: fare informazione nell’era di
internet, Centro Documentazione Giornalistica, Roma, 2005, p. 67
106
M. Pratellesi, op. cit., p. 37

73
ritmi temporali che sono ancora più ristretti rispetto a quelli delle redazioni
tradizionali.
La facilità di attingere ad una quantità sterminata di fonti e
informazioni e l’abilità nel saperle verificare, gestire e mettere insieme, ha
aperto nuovi e sterminati “campi di caccia” per le inchieste giornalistiche,
che hanno dato forma ad un nuovo stile di giornalismo investigativo e di
ricerca via computer che ha anche trovato, negli Stati Uniti, un nome: pc
assisted reporting.
Si può ragionevolmente sostenere che le novità nel mondo della
professione giornalistica non finiscono qui. La relazione sempre più stretta
tra internet e giornalismo ha sicuramente in serbo delle novità che si
svilupperanno nel tempo e che non è dato ipotizzare oggi perché entrambi i
campi sono in veloce evoluzione.

2.3 La fine del giornalista “ad una dimensione”


Il processo di convergenza tra diversi media, generato con la
diffusione della rete, ha comportato nelle redazioni dei grandi gruppi
editoriali lo sviluppo di sinergie produttive tra diversi media. Per i
giornalisti questo ha comportato la necessità di avere competenze nel
campo dell’online, della produzione radiofonica e televisiva, senza
abbandonare molte delle prerogative della carta stampata. Tuttavia, secondo
Papuzzi, la convergenza non significherà “mescolanza di profili
professionali che, al contrario, dovranno mantenere nitidamente le loro
specificità per poter essere complementari”107. Lo stesso Papuzzi, però, non
nega che i giornalisti debbano confrontarsi con nuove strumentazioni
tecniche e nuovi processi produttivi.

107
A. Papuzzi, op. cit., p. 175

74
Enrico Pulcini nel suo Giornalismo su internet ritiene che lo sforzo
del giornalista che produce informazione su supporti elettronici sia doppio
perché “colui che scrive non solo deve pensare ai concetti che vuole
mettere in pagina, ma anche a come essi dovranno apparire”108. Anche
Carlini nel suo Lo stile del web prende in considerazione il nuovo aspetto
creativo di un autore di testi web, e quindi anche del giornalista che “ora sa
di avere delle possibilità in più rispetto alla semplice successione di righe
dattiloscritte. E così non solo gli tocca pensare per blocchi il suo testo, ma
deve anche immaginarlo in forma pittorica”109. Leopoldina Fortunati,
pensando al futuro (sempre più prossimo) del giornalismo, ritiene che “il
giornalista del futuro sarà in grado di usare parole, suoni e immagini, cioè
sarà un giornalista multimediale”110.
Si parla quindi di una nuova figura professionale, nel mondo del
giornalismo, che Sara Peticca definisce multimedia reporter, ovvero “un
reporter che si dedica anche alla raccolta di audio e video da ‘mandare’
sulla rete contemporaneamente all’articolo”111.
Nel momento in cui il giornalista diventa “multimediale”, deve
essere in grado di scattare o cercare fotografie, di effettuare riprese e
conoscere i meccanismi del montaggio o registrare in audio voci, commenti
o interviste per poi riportarle, in parte o integralmente, sul sito della propria
testata sotto forma di file audio ascoltabili o anche scaricabili in
podcasting112. Se altri soggetti professionali dovessero svolgere questi

108
E. Pulcini cit. in E. Carelli, op. cit., p. 119
109
Cit. in G. Lughi, op. cit., p. 56
110
L. Fortunati, M. Sarrica, F. De Luca, L’interattività in redazione, in Problemi
dell’informazione, n. 1 marzo 2007
111
S. Peticca, Il giornale on line e la società della conoscenza, Rubettino, Soveria Mannelli, 2005,
p. 91
112
Da http://it.wikipedia.org/wiki/Podcast: Il podcasting è un sistema che permette di scaricare in
modo automatico documenti (generalmente audio) chiamati podcast, utilizzando un programma
generalmente gratuito chiamato aggregatore o feeder.

75
compiti al posto del reporter, come avveniva fino a qualche tempo fa con i
media tradizionali, i costi di realizzazione del prodotto sarebbero più
elevati.
Il ruolo del giornalista nella redazione non si limita al pur gravoso
sforzo di produrre interamente una notizia multimediale con tutto quello
che comporta, dalla verifica delle fonti alla produzione del testo e del
materiale multimediale da affiancarvi. Sono molto diffusi ormai molti
strumenti di interazione con i lettori online per cui è sempre più frequente la
creazione di forum di discussione tra il giornalista e i suoi lettori riguardo ai
temi più disparati, ma che spesso riguardano gli argomenti trattati in un
pezzo di cui il giornalista è sempre più tenuto a darne conto. E’ il reporter
che apre la discussione e la gestisce acquisendo, così, anche un nuovo
compito, che è quello di moderatore del dibattito che si viene a creare in
seguito alla pubblicazione del suo prodotto informativo.
Inizialmente nel mondo degli autori/scrittori e anche, quindi, nel
mondo dei giornalisti queste innovazioni testuali sono state vissute come
momenti di crisi. Ma, come in ogni situazione di crisi, i risultati possono
essere due: o si blocca l’attività creativa oppure possono nascere delle
forme espressive nuove, anche se a prezzo di un nuovo sforzo cognitivo, di
aggiornamento e di comprensione della portata della novità. Essere autore,
quindi, significa anche controllare la nuova tecnologia e non solo applicare
le nuove forme alle vecchie strutture comunicative113.
In conclusione, il giornalista nell’era della società dell’informazione
non deve sapere solo raccontare e descrivere i fatti, ma deve approfondirli e
“decorarli” con tutti gli strumenti che le nuove tecnologie digitali e internet
gli mettono a disposizione. Questo comporta che per produrre dei testi
giornalistici moderni, ipertestuali, multimediali e interattivi, l’autore deve
113
G. Lughi, op. cit., p. 57

76
essere padrone di tutte quelle tecnologie che gli possono permettere di
mantenere sempre attuali i suoi articoli. Tutto questo richiede una estrema
flessibilità, rapidità di pensiero e velocità d’azione e una preparazione
molto approfondita nei diversi media che si hanno a disposizione.
Secondo Pratellesi, “i giornalisti che avranno più mercato nel futuro
saranno quelli in grado di gestire le notizie muovendosi con disinvoltura fra
i vari media”114.
Negli Stati Uniti, l’entusiasmo nei confronti della convergenza tra
media e redazioni di supporti diversi è stata smorzata da una ricerca
condotta da John Russial, ricercatore e professore di giornalismo
dell’Università dell’Oregon e per molti anni giornalista del Philadelphia
Inquirer. Lo studio ha coinvolto 210 testate statunitensi con una tiratura
superiore alle trentamila copie, e ne è risultato che è vero che le redazioni
sono sempre più “integrate”, ma la tradizionale organizzazione del lavoro al
loro interno è rimasta immutata. Emerge infatti che la maggior parte dei
giornalisti tradizionali non dedica alla cronaca online più del 10% del
proprio orario di lavoro. E, spesso, anche i videoclip messi in rete non sono
girati dai giornalisti stessi, ma dai fotografi di redazione. Secondo il
ricercatore questi risultati non sono dovuti solamente all’inerzia che
caratterizza tipicamente le grandi testate ma anche a valutazioni di tipo
economico, in quanto non sembra che l’utilizzo di prodotti multimediali da
parte delle testate online abbia significativamente aumentato il numero di
lettori-utenti. Russial non solo è scettico sulla possibilità di formare dei
giornalisti tuttofare, ma dubita che siano veramente richiesti o addirittura
utili nel mercato dell’informazione. Secondo Russial, infatti,
“presumibilmente anche in futuro uno specialista continuerà ad avere
migliori possibilità di lavoro rispetto a un giornalista multimediale”. Il nodo
114
M. Pratellesi, op. cit., p. 41

77
vero della questione è, però, che il giornalista multimediale sta diventando
una figura professionale specializzata.
Il cammino in questa direzione è ancora lungo e non privo di
incertezze e di sorprese. E’, però, difficile negare il vantaggio che un
professionista che sappia utilizzare, a seconda delle proprie esigenze,
diversi supporti tecnici ha nei confronti di chi ne sa utilizzare al meglio solo
uno in un mondo dove l’informazione multimediale si sta diffondendo
sempre di più.

2.4 Le fonti e il problema della credibilità


“Le fonti – come scrive Papuzzi in Professione giornalista – sono la
base della notizia e gran parte del valore di una notizia dipende dalla
capacità di individuarle, organizzarle, trattarle, saggiarle, ci troviamo di
fronte a una questione cruciale: sono la quantità e la qualità delle fonti a
fare la differenza tra i giornali e fra i giornalisti”115. Le fonti sono lo
strumento fondamentale attraverso il quale il giornalista può elaborare i
fatti per creare le notizie. L’uso corretto di questi strumenti è necessario a
garantire la veridicità e la correttezza dell’informazione, che sono
fondamentali nel definire la buona pratica della professione giornalistica.
Nel 2002 un’indagine su scala mondiale condotta dalla Hopscotch su
un campione di 418 giornalisti appartenenti alle varie categorie
dell’informazione ha rivelato che il Web è la prima fonte di informazione.
Internet si pone come fonte primaria dell’informazione per il 41,7% dei
giornalisti, prima della rete di conoscenze personali (35,4%) e degli altri
media (22,9%). Vengono privilegiati i siti delle aziende, dei media e delle
newsletter specialistiche, i database informativi ed i portali. Il 50% dei

115
A. Papuzzi, op. cit., p. 28

78
giornalisti usa la chat o servizi di messaggeria istantanea (Icq, Yahoo!, Msn
Messenger) e il 12,4% frequenta abitualmente i forum di discussione. Nel
loro lavoro quotidiano preferiscono comunicare per e-mail (64,4%) rispetto
alla posta ordinaria (22,9%) e al fax (12%). Infine, il 90% dei giornalisti
interpellati ha dichiarato che Internet ha un impatto positivo sul loro
lavoro116.
Da questa indagine si evince che la rete non è solo la fonte delle
informazioni del grande pubblico, ma è il canale principale anche degli
addetti ai lavori che operano indifferentemente sulle fonti tradizionali e su
quelle del web. Per esempio, si sono moltiplicati gli attori sociali
(Pubbliche amministrazioni, associazioni, aziende) che comunicano tramite
internet, favorendo la moltiplicazione delle fonti di primo livello117
disponibili alle quali tutti gli utenti internet possono accedere. La rete
dunque non è solo il palcoscenico dell’informazione, ma ne è anche la
fonte118. Nei giornali americani, le fonti citate in un articolo web sono ormai
superiori alle fonti citate mediamente negli articoli dei giornali cartacei119.
L’utilizzo sempre più massiccio di internet come fonte delle notizie
può far nascere dei dubbi su quella che è la veridicità del prodotto finale del
lavoro quotidiano del giornalista: le notizie. Il tema della credibilità del
giornalismo online è centrale e va al cuore del giornalismo e della pratica
dei professionisti del settore.
Spesso si sente dare, o si legge, da parte di molti giornalisti, un
giudizio severo sulla reale credibilità che internet possiede come mezzo di
diffusione delle informazioni. Troppo spesso si è cercato di sopperire a

116
E. Carelli, op. cit., p. 47
117
Le fonti di primo livello sono quelle che garantiscono credibilità all’informazione o perché
possiedono un’autorevolezza istituzionale o perché viene loro riconosciuta una competenza
specifica.
118
M. Pratellesi, op. cit., p. 78
119
V. Sabadin, op. cit., p. 61

79
delle carenze di professionalità puntando il dito contro un media che sta
stravolgendo molte delle regole classiche dell’esercizio della professione
giornalistica, ma non certo quella di un’accurata verifica delle fonti. Troppo
spesso, ancora, si sente addossare la colpa, per un errore in una notizia, allo
strumento che ha permesso di renderla pubblica.
E’ anche vero che i siti di informazione diventano, a loro volta, fonti
per altri media e la consapevolezza - da parte dei giornalisti - che su
internet non esistono versioni definitive e che tutto può essere cambiato, ha
un effetto liberatorio sui loro freni inibitori, cosicché essi comportano,
come scrive Pratellesi, come pesci che quando nuotano soli si avvicinano
con sospetto all’esca e spesso riescono ad evitarla, mentre quando sono in
branco tendono ad abboccare a qualsiasi cosa per la sola paura di essere
preceduti da un concorrente120. Questa metafora si riferisce non solo
all’aspetto che riguarda l’affidabilità delle fonti utilizzate, e di conseguenza
la loro scrupolosa verifica, ma anche all’affidabilità di chi pubblica degli
articoli ondine che poi diventeranno delle fonti secondarie per altri media.
In entrambi i casi, e a maggior ragione se si usano fonti secondarie, è
necessaria la verifica prima della pubblicazione. La questione non è
esclusiva della ricerca delle fonti online e della pubblicazione degli articoli
sulla rete ma riguarda il mondo del giornalismo in generale, compresi i
giornalisti che lavorano per i media tradizionali. Questi quando attingono
alle notizie elaborate da altri testate dovrebbero sempre verificare alla fonte
primaria ciò che leggono e che, eventualmente, riportano.
I giornalisti che lavorano per delle testate mainstream sembrano
essere più impacciati con il nuovo mezzo rispetto ai giornalisti free lance
che hanno una conoscenza approfondita degli strumenti, delle fonti e dei
metodi di ricerca più efficaci che consentono loro di effettuare anche
120
M. Pratellesi, op. cit., p. 49

80
ricerche molto complesse. Comunque, è plausibile immaginare che, con
l’aumento delle capacità e della padronanza degli strumenti da parte dei
giornalisti, la diffidenza verso il controllo sul web della veridicità delle
notizie pubblicate su carta sia sempre meno diffusa e tenda a scomparire;
anche se, come ha sostenuto Nicola Rabbi in un suo articolo su Problemi
dell’Informazione, “la superficialità con cui a volte i giornalisti si accostano
ad internet, nonostante che la rete sia diffusa nel nostro paese da più di dieci
anni, non tende a diminuire”121. Già una ricerca del 2001, portata avanti
negli Stati Uniti e denominata Digital journalism credibility project,
elaborata dall’Online news association, ha fornito dei dati quantitativi che
consentono di dire che “il sospetto [sulla credibilità delle informazioni su
internet] stia molto di più nella testa di certi colleghi [giornalisti] d’antan
che nel pubblico, dal momento che, mentre il 47,9% del campione
interpellato è convinto che i siti forniscano un’immagine completa delle
notizie, solo il 17% dei colleghi la pensa allo stesso modo”122. Questo
significa che, quando è stata effettuata la ricerca, meno di un giornalista su
cinque riteneva che il giornalismo su internet fosse di buona qualità.
Ma un’entità’ virtuale, quale è un sito internet, per sua stessa
definizione non può produrre dei significati se al suo interno questi non
vengono ideati e realizzati dagli uomini in carne ed ossa. La realtà è che,
online come offline, la credibilità è una conquista quotidiana. Per questo
motivo ritengo che la questione - da qualcuno considerata un vero e proprio
problema - dell’attendibilità e della veridicità delle notizie diffuse su
internet sia un falso problema. Cerco di spiegarmi meglio.
Il concetto di attendibilità di una notizia non può dipendere dal
mezzo con cui essa è veicolata, anche se il medium elettronico sembra aver

121
N. Rabbi, Fonti in rete, in “Problemi dell’informazione” n. 3 settembre 2007
122
R. Staglianò, op. cit., p. 122

81
dovuto subire un onere supplementare di prova nei confronti del pubblico.
Internet è uno strumento nelle mani dell’uomo, che ne fa l’utilizzo che
ritiene migliore. Per dirla con le parole di Manuel Castels nell’introduzione
a Galassia internet: “Internet è espressione di quello che siamo”123 e di
come lo comunichiamo, aggiungo io. Quindi, il bersaglio delle eventuali
critiche dovrebbe essere chi utilizza questo strumento nel campo
dell’informazione, ovvero colui che si fa garante delle notizie stesse, il
giornalista. E’ lui che ha in mano la propria credibilità, quella dei suoi
prodotti, della testata per cui lavora ma soprattutto quella del suo mestiere;
sta a lui utilizzare nella maniera più consona, e utile ai fini del suo lavoro, i
mezzi che ha a disposizione. Se questo non avviene, e il risultato è la
produzione di notizie non veritiere, la colpa non è di internet, ma di chi
queste notizie le ha realizzate senza i necessari accertamenti. In questo
ambito si inserisce l’importanza dell’utilizzo della firma dei redattori di
ogni articolo anche sul web124 (alla quale in un primo momento non si dava
molta importanza, e che spesso veniva omessa), poiché “la credibilità di un
giornale, come degli altri media, è costruita sulla somma delle singole
credibilità dei suoi giornalisti. Il buon nome di una testata è il prodotto
della serietà e professionalità dei giornalisti che si sono succeduti nei vari
ruoli all’interno del giornale”125.
In questo percorso di analisi della credibilità delle notizie diffuse via
internet bisogna rifarsi alla distinzione tra oggettività e obiettività descritta
da Massimo Baldini, secondo cui una proposizione, una notizia o
un’informazione è oggettiva se i lettori hanno la possibilità e i mezzi per
controllarla. L’obiettività, invece, è specifica del giornalista, della sua
123
M. Castels, Galassia Internet, Feltrinelli, Milano, 2001
124
Nei primi anni del giornalismo online l’idea predominante era che i contenuti del sito internet
della testata fossero dei contenuti collettivi per cui non appariva mai il nome dell’autore (tranne in
alcuni casi particolari) in coda o in testa all’articolo.
125
M. Pratellesi, op. cit., p. 87

82
persona. Il giornalista può essere più o meno obiettivo e “quando diciamo
che una persona è obiettiva intendiamo che questa persona è onesta”. Non
c’è dubbio che le opportunità che vengono offerte in via teorica dalla
produzione di informazione online tendono decisamente verso una
crescente oggettività della notizia che è data dalla facilità per il lettore di
consultare direttamente le fonti utilizzate per produrre la notizia letta126.
Baldini sosteneva che “i giornali migliori sono quelli che tendono
all’oggettività”, facendo questo, però, “rinunciano al rapporto fiduciario col
lettore”127. Nell’online, il rapporto fiduciario si rafforza proprio per la
maggior trasparenza che il medium consente di realizzare al produttore di
informazioni, il quale garantisce ai propri lettori la libertà di consultare le
fonti da cui nascono le notizie che produce, conquistandosi una maggiore
fiducia e credibilità.
Questa trasparenza è uno spartiacque importante che distingue
internet dai media tradizionali che, strutturalmente, non possono garantire
un simile livello di trasparenza. Facendo informazione online è possibile
rendere pubblica l’identità delle fonti che vengono utilizzate per la
redazione della notizia tramite semplici link.
“Nessuna fonte è realmente neutra, numerose fonti, in una società
organizzata in funzione dell’informazione sono di parte”128, ma chiarirne la
provenienza consente al lettore di valutarne la partigianeria rendendo più
limpida la notizia e tendendo a quel concetto di oggettività di cui parla
Baldini. Inoltre, la pubblicità delle fonti costituisce un limite alla
discrezionalità del giornalista nella costruzione della notizia, che può essere

126
M. Baldini, Obiettività e oggettività, due realtà distinte, in Giornali, l’informazione dov’e’?, a
cura di D. Antiseri e G. Santambrogio, Rubettino, Soveria Mannelli, 1999, cit. in S. Peticca, op.
cit., p. 102
127
Ivi
128
A. Papuzzi, op. cit., p. 34

83
valutata in maniera più chiara dai lettori che hanno aspettative di
trasparenza sempre maggiori.
La possibilità di rendere pubbliche le fonti di una notizia non deve
far allentare il controllo che il giornalista deve sempre avere su di esse se
non vuole rischiare di diffondere notizie errate. La trasparenza è uno
strumento che consente a chi produce l’informazione di mostrarsi corretto e
obiettivo nei confronti del pubblico ma questo non gli consente, in ogni
caso, di venire meno alle prerogative della professione (in realtà, più
anglosassoni che italiane) che impongono, per correttezza, di verificare
anche le fonti cosiddette primarie. Il giornalista deve offrire le fonti più
credibili e attendibili al lettore che le volesse verificare e non le prime
pescate a caso nel mare magnum della rete. Anche nell’ambito della scelta
delle fonti viene in risalto l’importanza del processo di selezione che è alla
base della funzione giornalistica.
Per vincere la sfida della credibilità dell’informazione online, quindi,
dovrebbe essere sufficiente adottare i metodi consueti di qualità che
accompagnano le varie fasi della nascita e della produzione di una notizia.
Per il giornalista questo consiste, né più né meno, nel fare bene il proprio
mestiere. Anche perchè, online è comunque la qualità, più che la fretta, a
fare la differenza.

2.5 Gli “One - man newspaper”


Sulla rete è possibile creare dei siti-giornali che, a volte, conseguono
anche un certo successo, da parte di individui che non possiedono un
curriculum professionale giornalistico. La stessa cosa può essere fatta da
parte degli stessi giornalisti che pensano di poter fare affidamento su un

84
proprio pubblico che li seguirà in rete e che, si spera, possa accrescersi e
fidelizzarsi nel tempo.
Gli One-man newspaper, quindi, sono dei siti internet di notizie,
curati e diretti dalla stessa persona che, diventando editore di se stesso,
gode anche degli eventuali profitti che riesce a conquistare. Secondo
Staglianò, questo processo di personalizzazione dei siti di informazione è
un’anticipazione di come i blog modificano il rapporto di certi giornalisti
con il proprio pubblico. Un giorno, più o meno vicino, “ogni appassionato
di una certa materia si metterà a fare concorrenza ai giornalisti e ai siti
editoriali che se ne occupano fornendo coperture dettagliatissime e
informatissime di un singolo argomento oppure selezioni di notizie
alternative a quelle dei media istituzionali”129.
Un esempio su tutti di come un individuo non legato alla professione
giornalistica possa esercitare una effettiva concorrenza ai giornalisti è
quello del Drudge Report130, fondato da Matt Drudge nel 1995. Il grande
vantaggio di cui gode un sito come il Drudge sta nel fatto che, non
trattandosi di una testata legata al mondo dei giornali e del giornalismo, non
sono necessari tutti quegli accorgimenti e quelle attenzioni che
caratterizzano la produzione di notizie di una testata giornalistica
tradizionale, sia online che offline come, ad esempio, una linea editoriale da
seguire, un codice deontologico e una specifica etica professionale.
Quando fondò il suo sito internet, Matt Drudge non era un
giornalista ma un giovane commesso in un negozio di merchandising della
CBS131 a Los Angeles. Grazie a questo lavoro Drudge è entrato in contatto
con diversi reporter televisivi e ha iniziato ad orecchiare i retroscena delle
notizie che riguardavano soprattutto il mondo dello spettacolo. Il suo sito,
129
R. Staglianò, op. cit., p. 180
130
L’url del sito è www.drudgereport.com
131
La CBS è un canale televisivo statunitense.

85
infatti, è essenzialmente un sito di gossip sulle celebrità dello spettacolo,
ma anche della politica. E’ proprio in questo campo che drudgereport.com
ha conquistato un suo spazio nel mondo dell’informazione facendo scattare,
involontariamente, un profondo processo di cambiamento al suo interno.
L’evento che ha fatto saltare alla ribalta il sito del giovane commesso
è stata la pubblicazione della notizia che l’allora presidente degli Stati
Uniti, Bill Clinton, avrebbe avuto una relazione sessuale con una stagista
della casa bianca, Monica Lewinsky. Il Drudge Report diede un “buco” a
tutti gli altri media americani che pure erano a conoscenza di “voci” che
però, trattandosi di una notizia molto delicata, dovevano essere verificate
nei minimi dettagli. Fu proprio la libertà da questi vincoli qualitativi e di
accuratezza dell’informazione che permise a Drudge di superare i
professionisti del settore, nello specifico la testata settimanale
“Newsweek”. Le vicende successive hanno dimostrato che la notizia
pubblicata dal Drudge era veritiera, ma questo non ha sgombrato il campo
dalle polemiche riguardanti lo scarso rispetto che un individuo che crea
informazione, grazie alla facilità di operare offerta da internet, ha per le
questioni etiche e deontologiche che sono alla base del corretto svolgimento
della professione giornalistica e che pongono in essere le condizioni
affinché l’informazione possa dirsi di qualità.
Il modello di giornalismo, che ha trovato la definitiva consacrazione
dopo la vicenda del sex gate e le rivelazioni in anteprima del drudgereport,
è quello del cosiddetto “cagnaccio da letamaio”. Il politologo americano
Larry J. Sabato, partendo dalla tradizionale definizione di giornalismo come
cane da guardia, è giunto a definire “cagnaccio da letamaio” quel tipo
giornalismo, sempre più diffuso ai nostri giorni, aggressivo, pettegolo e
pronto a vendere come notizie voci incontrollate, nel quale i giornalisti non

86
distinguono più tra vita pubblica e privata e spacciano per giornalismo
investigativo la costante ricerca di scandali132. Drudge stesso non si
definisce un giornalista ma un “informatore”133; questo, però, non può
bastare ad esentarlo dall’applicazione dei consueti standard della
professione giornalistica.
In Italia un esempio di One-man newspaper è il sito
www.dagospia.com, messo in piedi da Roberto D’Agostino, già
commentatore televisivo e penna di costume per “L’Espresso”, “Il
Messaggero” ed altre autorevoli testate. Questo passato professionale
dell’editore del sito distingue alla base Dagospia dal Drudge report. Quello
di D’Agostino era un “marchio” già prima della rete e, quando egli ha
deciso di intraprendere di internet, egli non aveva più problemi
economici134. Lo stesso D’Agostino dichiara sul suo sito di non essersi
messo in proprio per avere guadagni maggiori ma, con le sue stesse parole,
per togliersi “quelle soddisfazioni che nei giornali non riuscivo più ad
avere”, perché la rete è uno strumento che può permettere una totale
emancipazione da linee editoriali stabilite dai capi delle testate.
Queste sorta di me-zines135, i siti – giornali tenuti da singoli
giornalisti, sono una cosa ben diversa dal daily me di “negropontiana”
memoria. Il daily me elaborato dal direttore del Mit era un supporto
hardware che doveva consentire ai suoi utenti di poter ricevere direttamente
e automaticamente su quel supporto le notizie aggiornate riguardanti quegli
argomenti ai quali l’utente decideva di attingere. Insomma, il lettore –
utente era attivo nella fruizione dell’informazione, scegliendo
esplicitamente i contenuti di cui servirsi.

132
Cit. in M. Pratellesi, op. cit., 48
133
R. Staglianò, op. cit., p. 132
134
Ibidem, p. 133
135
Ibidem, p. 182

87
Quando un giornalista o un cittadino qualunque apre un proprio sito
di informazione non si limita più a scegliere quali contenuti prodotti in rete
utilizzare. La sua libertà va ben oltre la “libertà di scelta” dei contenuti. Lui
i contenuti li produce direttamente ponendosi sullo stesso piano del sito
internet di una testata professionale. Questi siti non rispecchiano altro che il
loro punto di vista sul mondo, e lo esibiscono136 così come, più o meno e
con modalità diverse di caso in caso, fanno le testate giornalistiche
tradizionali.

2.6 Situazione giuridica e nuovi reati


“E’ forse possibile privare un
giornalista del suo naturale
diritto di vedere, annotare,
arrivare a cogliere il senso
di ciò che accade?”
Frida Abromovna Vigdorova,
In Genealogia di Izrail’ Metter

Il quadro normativo dell’informazione giornalistica online attinge


alla disciplina giuridica della stampa tradizionale. Il più delle volte le
norme esistenti sono sufficienti anche per i nuovi strumenti, se interpretate
nella maniera più consona e adeguata ai tempi che corrono.
La libertà di espressione è uno dei fondamenti basilari su cui si fonda
una moderna democrazia e attraverso cui si esercita una fetta importante
della vita civile e sociale dei cittadini di uno stato libero.
In Italia, la libertà di manifestazione del pensiero è contemplata
nell’art. 21 della Costituzione che al suo primo comma recita: “Tutti hanno
il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, con
lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Nello stesso articolo vengono
136
Ivi, p. 182

88
previsti dei limiti all’esercizio di questa libertà, che nel corso della storia
repubblicana sono stati interpretati in maniera diversa, soprattutto per
quanto riguarda l’ambiguità della definizione di “buon costume” che la
libera espressione di ogni individuo non deve violare. Questo concetto può
essere assimilato alla nozione penale di “comune senso del pudore e della
pubblica decenza”, ma sappiamo che col cambiare dei tempi anche molti
costumi della nostra società cambiano, causando mutamenti proprio nei
significati attribuiti ai concetti di pudore e decenza pubblica, i quali si
evolvono e non permettono al legislatore o ai giudici di darne una
definizione univoca, che sia valida sempre e per chiunque. Per questo
motivo, questi limiti costituzionali alla libertà di espressione devono essere
valutati all’interno del contesto temporale in cui ne viene richiesta la
verifica.
Il diritto alla libertà di espressione sancito dall’art. 21 della
Costituzione è venuto ad espandersi nel corso degli anni con l’attività
giurisdizionale che ha permesso di far evolvere il concetto alla base
dell’articolo riconoscendo una serie di ulteriori diritti ad esso collegati. La
Corte Costituzionale con la sentenza n. 105 del 1972 ha, nella pratica,
definito i vari diritti che possono essere riconosciuti sotto la concezione del
più generico diritto di espressione. Così recita una parte della sentenza:
“Dalla libertà di espressione e manifestazione del pensiero si è passati a
configurare una libertà o diritto di cronaca, per arrivare poi, in epoca più
recente, a parlare di diritto di informazione e ad ipotizzare anche, da parte
di alcuni, l’esistenza di un interesse prima e, poi, di un vero e proprio
diritto all’informazione del soggetto passivo, ascoltatore o lettore”.
Quindi, sotto la tutela dell’art. 21 vanno in realtà considerati diversi
diritti direttamente correlati al diritto alla libera espressione e

89
manifestazione del pensiero. Il primo di questi è la libertà d’informare,
ovvero il diritto di cronaca che è legittimo purché rispetti determinati
requisiti stabiliti per legge che sono l’obbligo di verità, dell’utilità sociale e
della civile esposizione dei fatti137.
Altre limitazioni all’esercizio del diritto di cronaca sono stati
introdotti nel 1996 con la legge 675 sulla privacy che ha anche istituito la
figura del Garante per la protezione dei dati personali. Il diritto di accesso,
invece, sancisce la libertà di informarsi da parte di ogni cittadino138. Infine,
la citata sentenza della Corte Costituzionale prevede per la prima volta un
vero e proprio diritto passivo nel campo dell’informazione, ovvero il diritto,
che ogni cittadino può esercitare, di essere informato che dovrebbe essere la
garanzia alla base di un sistema pluralistico dell’informazione che consenta
completezza e obiettività del flusso delle notizie139.
Come recita l’art. 21 la libertà di espressione può essere esercitata
“con la parola, con lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”; nella nostra
epoca, quindi, anche tramite la rete che ha i caratteri necessari per garantire
il pluralismo delle voci: non prevede barriere o ostacoli all’accesso ed
infine è acefala, ovvero è dotata di una struttura priva di gerarchie o di un
centro direzionale, in cui, di conseguenza, i grandi gruppi di potere non
hanno eccessiva influenza sullo sviluppo del flusso delle informazioni140.
Nel 2001, dopo sei anni in cui internet aveva visto un aumento
vertiginoso di accessi, è stata emanata la legge n. 62 sull’editoria che
definisce anche lo status giuridico del giornalismo online. La legge, dal
titolo “Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla

137
Sentenza della Corte di Cassazione n. 5259 del 1984.
138
In questo ambito si inseriscono, per esempio, le molte iniziative di e-government intraprese
dalle istituzioni che vanno nella direzione di rendere pubblici atti e informazioni riguardanti le
proprie attività ed iniziative.
139
E. Carelli, op. cit., pp. 103 - 106
140
Ibidem, p. 114

90
legge 5 agosto 1981, n. 416” definisce, nel suo primo articolo, come
prodotto editoriale: “Il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi
compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione
o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni
mezzo, anche elettronico, o attraverso, la radiodiffusione sonora o
televisiva, con esclusione dei prodotti discografici e cinematografici”. In
questa definizione vi è, quindi, l’equiparazione piena di trattamento tra i
giornali cartacei e le testate online, che quindi devono rispettare gli stessi
obblighi di legge.
I prodotti online devono, cioè, indicare il luogo e la data di
pubblicazione, il nome e il domicilio dello stampatore (online il server che
ospita il sito) e dell’editore. Inoltre, se diffuse con periodicità regolare e se
hanno una testata che le contraddistingue in maniera specifica, devono
registrarsi presso il tribunale e nominare un direttore responsabile iscritto
all’Albo tenuto dal Consiglio dell’Ordine141.
Nel periodo successivo all’entrata in vigore della legge 62 del 2001
ci fu, soprattutto su internet, una polemica molto forte, dovuta al timore che
la legge imponesse degli obblighi anche ai siti, personali e non, che
producevano contenuti di tipo giornalistico senza avere una redazione vera
e propria ma per semplice volontà personale, esercitando di fatto su di essi
un’azione di tipo censorio. L’allora sottosegretario alla Presidenza del
Consiglio con delega per l’Editoria, che seguì tutto l’iter della legge,
Vannino Chiti, sgombrò il campo da ogni ipotesi di tentativo di censura
della libera espressione online. In un comunicato, l’esponente del governo
sostenne che la legge non limitava nessuno, ma avrebbe offerto a tutti delle
opportunità concrete, dato che la registrazione presso i tribunali era
obbligatoria solo se si voleva accedere all’erogazione di sovvenzioni e
141
Ibidem, p. 110

91
contributi statali142. Inoltre, sottolineava il comunicato, “i giornalisti
professionisti online hanno finalmente potuto godere dell’applicazione di
un contratto giornalistico, e quindi del conseguente trattamento
previdenziale, della retribuzione degli straordinari, del diritto di aderire agli
scioperi indetti dalla categoria[…]”143.
Nell’agosto del 2007 il governo Prodi ha elaborato un disegno di
legge per una nuova disciplina dell’editoria che ha scatenato forti
polemiche del mondo online poiché alcuni aspetti del documento
riproponevano una serie di ambiguità riguardo al normale e libero esercizio
della libertà di pensiero in rete. In questo disegno di legge, all’art. 2, si
definisce come prodotto editoriale “qualsiasi prodotto contraddistinto da
finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento,
che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale
esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso”. Non sono
considerati prodotti editoriali “quelli destinati alla sola informazione
aziendale”, mentre la disciplina sui prodotti editoriali non si applica a
prodotti discografici e audiovisivi. Come è evidente, rientrano nella
categoria di prodotti editoriali anche blog, siti personali e altri prodotti che
su internet spesso si sono formati su base volontaria, libera e gratuita e che
hanno permesso di estendere la visibilità dei pensieri di coloro i quali si
siano cimentati, e si cimentano, in attività del genere. La norma di questo
disegno di legge che ha suscitato le veementi polemiche del mondo della
rete è, però, l’art. 6, comma 1, che stabilisce che “ai fini della tutela della
trasparenza, della concorrenza e del pluralismo nel settore editoriale, tutti
i soggetti che esercitano l’attività editoriale sono tenuti all’iscrizione nel
Registro degli Operatori della Comunicazione”. Per chi crea contenuti in
142
Su questo aspetto molto controverso bisognerebbe fare chiarezza, soprattutto sulla reale
necessità di sovvenzioni statali nei confronti di imprese editoriali.
143
In E. Carelli, op. cit., p. 124

92
rete, il rischio sarebbe stato quello di doversi conformare alla normativa
sull’editoria, dovendo quindi rispondere agli stessi obblighi che vincolano
la produzione e la diffusione delle testate giornalistiche. Va da se che molti
“prodotti editoriali” personali e volontari verrebbero meno nel momento in
cui fosse obbligatorio doversi registrare nei R.o.c. e, di conseguenza,
rispondere agli stessi obblighi di legge ai quali devono conformarsi i grandi
gruppi editoriali. Questa norma, invece che garantire la concorrenza e il
pluralismo, rischia di essere un concreto ostacolo a questo principio cardine
della libertà dell’informazione favorendo, di fatto, i gruppi editoriali con le
“spalle larghe” e rendendo difficile la vita di chi vorrebbe esprimere il
proprio pensiero ad un pubblico avendo facilmente a disposizione gli
strumenti per farlo.
Come sappiamo, il governo Prodi è caduto all’inizio della primavera
del 2008 per cui l’iter di approvazione di questo disegno di legge è fermo.
Staremo a vedere se proseguirà il suo cammino istituzionale o se verrà
accantonato, mentre rimane in vigore la legge approvata nel 2001.
In base alla legge in vigore, quindi, l’informazione online è
sottoposta non solo agli stessi diritti dell’informazione tradizionale, ma
subisce anche le stesse limitazioni. Sono vietate, anche su internet, le
manifestazioni del pensiero che siano contrarie al “buon costume”, che
violino l’ordine pubblico (istigazione a delinquere, vilipendi, violazioni di
segreti) e privato (reputazione, onore, privacy, nome, immagine, identità
personale). Per quel che riguarda il concetto di “buon costume” occorre
fare, però, una precisazione. Sulla rete è molto difficile raggiungere siti con
determinati contenuti in maniera accidentale o casuale perché quasi sempre
l’ingresso è vincolato alla volontà dell’utente che deve dichiarare
espressamente di avere raggiunto la maggiore età e qualche volta deve

93
anche effettuare un login144 , per cui è difficile attribuire la responsabilità di
una violazione delle norme sul buon costume solo a chi emette determinati
contenuti senza considerare anche le responsabilità di chi ne usufruisce in
piena coscienza.
Tornando alla necessità di registrare le testate professionali online,
estendiamo il nostro ragionamento alle ragioni di tipo legale che richiedono
la conoscibilità di chi è responsabile per i contenuti pubblicati su un
determinato sito di informazione. Il giornale online, alla stregua dei giornali
su carta, può diventare uno strumento pericoloso in quanto veicolo di
informazioni verso un pubblico potenzialmente molto vasto, se queste
informazioni contengono delle notizie che possano, ad esempio, ledere la
reputazione delle persone.
Per quanto riguarda lo specifico reato della diffamazione a “mezzo
web” ci sono visioni contrastanti nella dottrina. Secondo Eben Moplen,
storico del diritto alla Columbia University, i concetti di reputazione e
onore perderanno forza man mano che i miliardi di abitanti della terra
saranno sempre più interconnessi tra loro tramite la rete. Ma già nel 2001
Mike Godwin, avvocato specializzato in questioni del cyberspazio,
sosteneva che “il concetto stesso di diffamazione non ha più senso in rete”
dal momento che le eventuali vittime di questo reato sulla rete hanno la
possibilità di rispondere velocemente e facilmente, dimostrando il dolo da
parte del diffamatore, se questo esiste realmente. Di contro, Robert M.
O’Neil, professore di diritto costituzionale e cyberdiritto all’Università
della Virginia, sostiene che i giornalisti online hanno sulle loro spalle una
grande responsabilità. Questa deriva dal fatto che la diffamazione via
internet ha un impatto più permanente di quella tradizionale perché le

144
Consiste nell’iscrizione ad un sito internet inserendo un proprio nome utente di riferimento ed
una password personale.

94
notizie circolano in maniera più capillare non solo tramite il sito ma anche
con lo scambio di e-mail, per cui le notizie diffamanti potranno raggiungere
più velocemente un certo pubblico, che potenzialmente è anche più vasto di
quello di un quotidiano cartaceo145.
Su questa linea si è attestata la giurisprudenza italiana tramite la
sentenza della Corte di Cassazione n. 4741 del 27 dicembre del 2000, che
ha ritenuto la diffamazione commessa attraverso internet come aggravata e,
quindi, suscettibile di un più severo trattamento penale rispetto alla
diffamazione commessa attraverso media tradizionali, proprio a causa della
particolare possibilità di circolazione diffusa e capillare della notizia
incriminata146.
Questa è però una materia molto controversa in quanto la
caratteristica peculiare dell’interattività della rete rende “più interpersonale”
la comunicazione via internet e, di conseguenza, anche l’eventuale
diffamazione di un individuo “a mezzo web” può essere smentita
immediatamente, come ricordava Mike Godwin. Seppure il diretto
interessato non è presente durante l’atto della diffamazione (ma sarebbe
molto difficile in quanto lo spazio web è uno spazio virtuale per cui anche il
diffamatore non è presente fisicamente ma sono presenti solo le sue
affermazioni) questi può usufruire di tutti gli strumenti a disposizione per
replicare nella maniera più veloce ed efficace alle affermazioni ritenute
diffamatorie.
Negli ultimi anni del XX° secolo, nel campo del giornalismo online,
erano nati dei reati specifici che non esistevano in precedenza proprio
perché legati intrinsecamente alle caratteristiche tecniche del nuovo

145
Cfr. in R. Staglianò, op. cit., pp. 145 - 146
146
M. Pratellesi, op. cit., p. 61

95
medium. Si tratta nello specifico dei cosiddetti reati di deep linking e dei
rimandi a pagine con contenuti sconvenienti.
Lo strumento dell’ipertesto aveva generato, nei primi anni del suo
utilizzo diffuso, dei malcontenti soprattutto in quegli enti privati che
facevano della difesa dei diritti d’autore e di proprietà intellettuale uno dei
baluardi della propria azione economica.
Quando si crea un link in una pagina web che indirizza il lettore
verso un’altra pagina di un altro sito, questo collegamento può essere di due
tipi. Il primo, cosiddetto surface link, consiste nel creare un link che porti
alla homepage del sito di destinazione. Il secondo tipo, su cui è stato
puntato il “dito inquisitore”, è il cosiddetto deep linking o “link profondo”,
che porta l’attenzione del lettore verso una pagina interna di un altro sito
saltando la visione della homepage dello stesso, dove è più facile che siano
presenti dei banner pubblicitari, oltre al logo dei proprietari e creatori della
pagina web. Secondo molti commentatori, questi rimandi in profondità
tolgono visibilità, invece che darla, al sito di destinazione, anche se i link
possono sempre essere considerati un favore verso il sito di destinazione,
una sorta di pubblicità diretta e gratuita ai suoi contenuti. Molti degli
operatori del settore si sono attrezzati per fare fronte a questa problematica
posizionando dei banner pubblicitari anche nelle pagine interne del proprio
sito, non solo quindi nella homepage. Lo stesso si è fatto per il logo o la
testata. Così facendo, qualunque pagina del sito venga linkata da un altro
gli inserzionisti e i proprietari del sito non perderanno visibilità, anzi la
aumenteranno con un prevedibile maggiore monte di introiti anche grazie
agli aumentati spazi disponibili per i banner pubblicitari. Questi, invece di
essere posizionati esclusivamente nella homepage, possono essere aggiunti

96
anche alle pagine interne risolvendo di fatto il problema di un eventuale
“link profondo” che ne limitasse la visibilità.
Negli ultimi anni, con la diffusione di strumenti di web 2.0147 nel
campo delle testate online, si è effettivamente favorita la pratica del deep
linking. Lo si è fatto mettendo a disposizione di tutti i lettori, che
possiedono un proprio sito personale o un blog, i codici html che, copiati,
consentono di avere nel proprio sito delle specie di finestre con dei
contenuti prodotti direttamente dal sito principale, ma che sono visibili, con
una veste grafica facilmente riconoscibile, nel sito personale di chi ha
copiato quel codice nella programmazione del proprio sito o blog.
Cliccando su questi spazi ben definibili si entra direttamente in una pagina
interna al sito che ha offerto i contenuti in modo da poterli consultare
direttamente al suo interno. Insomma, diversi produttori di contenuti
forniscono gratis la possibilità di usufruire di collegamenti ipertestuali
direttamente a pagine interne dei propri siti148 favorendo, di fatto, quello che
negli anni prima del 2000 era considerato un reato.
Il secondo problema in materia di link, ed eventuali grane legali ad
essi connesse, è quello di capire quale responsabilità possono avere il

147
Su www.masternewmedia.org si definisce il web 2.0 come una serie di nuovi approcci per usare
la rete in modo nuovo ed innovativo: “Web 2.0 si riferisce alle tecnologie che permettono ai dati di
diventare indipendenti dalla persona che li produce o dal sito in cui vengono creati.
L'informazione può essere suddivisa in unità che viaggiano liberamente da un sito all'altro, spesso
in modi che il produttore non aveva previsto o inteso […] permette agli utenti di prendere
informazioni da diversi siti simultaneamente e di distribuirle sui propri siti per nuovi scopi […]
non si tratta di derubare gli altri del loro lavoro per il proprio profitto. Anzi, il Web 2.0 è un
prodotto open-source, che permette di condividere le informazioni sulle quali è stato creato
Internet e rende i dati più diffusi […] il web 2.0 lascia ai dati una loro identità propria, che può
essere cambiata, modificata o remixata da chiunque per uno scopo preciso. Una volta che i dati
hanno un'identità, la rete si sposta da un insieme di siti web ad una vera rete di siti in grado di
interagire ed elaborare le informazioni collettivamente”.
148
Alcuni esempi pratici sono il “New York Times” online negli Stati Uniti ma anche in Italia
alcuni testate concedono questa possibilità. Per esempio il sito internet dell’agenzia di stampa Adn
Kronos o il sito internet dell’organizzazione “Peace Reporters”. Ma anche in ambito non
giornalistico, molti siti di contenuti leggeri o commerciali mettono a disposizione i codici html da
poter copiare liberamente nell’elaborazione di altri siti internet.

97
giornale e il giornalista che in un articolo linkano un sito esterno che abbia
dei contenuti sconvenienti o anche illegali. Per esempio, se in un articolo
che tratta della pirateria informatica, linko ad un sito fuorilegge o che ospita
dei contenuti illegali, commetto un reato? Una risposta chiara ed univoca è
difficile da trovare. La risposta più frequente consiste nel considerare i siti
internet linkati esterni al sito della testata giornalistica che, di conseguenza,
non può avere su di essi nessun tipo di controllo né responsabilità nei
confronti dei loro contenuti149. Anche in questo caso bisogna considerare
quale equilibrio debba mantenersi tra il diritto di cronaca (e, implicitamente
anche la possibilità di mostrare direttamente le fonti di un determinato
articolo) e le norme di legge che non devono essere violate. Molte testate
ritengono possibile risolvere questo problema dichiarando espressamente e
in maniera ben visibile di non essere responsabili dei contenuti del sito
internet che viene linkato.

2.7 Questioni etiche e deontologiche


“Abbiamo bisogno di un sentimento
di classe fra i giornalisti che
sia fondato non sul denaro che si
guadagna, ma su principi morali,
istruzione e personalità”
Joseph Pulitzer

Un problema da sempre presente nell’esercizio della professione


giornalistica, qualunque sia il mezzo attraverso il quale venga svolta, è il
difficile rapporto che intercorre tra il dovere di cronaca e l’etica del
giornalista. Il professionista dell’informazione deve trovare un equilibrio tra
questi due fattori esprimendolo con una serie di regole e comportamenti che
consistono in una catena di norme deontologiche che vengono adottate
dalle varie testate o da singoli giornalisti. Quindi, possiamo definire l’etica
149
R. Staglianò, op. cit., p. 158 - 159

98
del giornalista come l’insieme dei valori che ispira la condotta del
professionista e fa appello alla sua coscienza; la deontologia, invece, è
l’insieme dei doveri che riguardano la categoria dei giornalisti
nell’esercizio della professione. La prima prevede delle sanzioni morali, la
seconda delle sanzioni sociali.
A volte la ricerca di questo equilibrio diventa meno accurata
soprattutto nel campo dell’informazione online a causa della costante
“gara” a chi dà prima la notizia tra le varie testate. La necessità di non
perdere tempo e di essere il più veloci possibile nella pubblicazione della
notizia rischia di far venire meno una serie di controlli che sono
fondamentali per svolgere un servizio di informazione corretta e accurata.
Questa dei tempi ristretti e della velocità non è una problematica che
riguarda solo il giornalismo online ma anche quello televisivo e
radiofonico, soprattutto quando i servizi o le immagini arrivano a pochi
minuti, o durante la messa in onda, per cui bisogna prendere la difficile
decisione se mandarli in onda senza un accurato controllo oppure aspettare
l’edizione successiva del notiziario in modo tale da essere sicuri di quello
che si manda in onda con il serio rischio, però, di prendere un buco da un
diretto concorrente che è stato più lesto o meno professionalmente
scrupoloso.
Il problema della velocità ci riporta alla dimensione commerciale
della produzione di notizie, perché prendere un buco da un concorrente non
solo vuol dire che si è stati “battuti”, ma il rischio vero è lo spostamento
dell’attenzione dei lettori o degli spettatori da una testata all’altra con tutto
quello che comporta nel rapporto che intercorre tra l’editore e gli
inserzionisti che, come abbiamo visto anche nel primo capitolo, sono uno
degli elementi fondamentali per la sopravvivenza dell’informazione

99
mainstream. L’oggettività che spesso il lettore attribuisce all’operato del
giornalista si scontra con la linea editoriale del giornale e con l’intento di
vendere copie o di alzare la quota degli ascoltatori. Dunque “i fini dei due
principali attori dell’attività informativa, l’editore e il giornalista, sono
diversi e in qualche caso discordanti e quasi contrapposti”150.
Anche nel mondo dell’online la pubblicità la fa da padrona, forse
anche più che nelle testate tradizionali, nel bilancio degli editori, ma alcune
caratteristiche specifiche del modello di informazione su internet
consentono ai giornalisti di allentare, anche se non di molto, la morsa delle
logiche commerciali sulla produzione delle notizie. Non ultima tra le
caratteristiche dell’informazione su internet è il ruolo del pubblico che,
come abbiamo accennato e come approfondiremo nel prossimo capitolo, è
diventato di diritto il terzo attore protagonista del mondo dell’informazione,
dato che ha la possibilità concreta di contribuire ad ogni passo del processo
di produzione e pubblicazione dell’informazione.
In Italia, un primo corpus di regole deontologiche ha preso forma
all’interno delle redazioni di alcuni tra i più importanti gruppi editoriali151,
alla fine degli anni ’80, con l’approvazione degli statuti della professione.
Questi documenti riflettono l’inizio di una progressiva coscienza dei doveri
professionali di chi produce informazione152.
Negli ultimi venti anni sono stati elencati obblighi sempre più
puntuali nell’esercizio della professione giornalistica con l’obbiettivo di
garantire il rispetto dei diritti dei cittadini dovuti, anche, alla crescita dei
mezzi di comunicazione di massa153. La redazione del Protocollo sulla

150
V. Roidi, L’etica nella legge professionale in V. Roidi, a cura di, I doveri del giornalista, Centro
Documentazione Giornalistica, Roma, 2003, p. 8
151
Il Codice di autodisciplina del “Sole24ore” (1987) e il Patto sui diritti e doveri dei giornalisti de
“la Repubblica” (1990).
152
A. Papuzzi, op. cit., p. 222
153
E. Carelli, op. cit., p. 109

100
trasparenza pubblicitaria (1988), la Carta di Treviso (1990)154, la Carta dei
doveri (1993) e il Codice deontologico (1998) dimostrano la crescita dello
scrupolo etico nella professione giornalistica le cui radici risalgono alla
legge 69 del 1963 che istituisce in Italia l’Ordine dei giornalisti. Questo,
oltre a tutelare dal punto di vista sindacale i giornalisti e a garantire la
libertà di espressione, diritto riconosciuto dall’art. 21 della Costituzione,
descrive la funzione stessa del libero giornalista. Infatti, nell’art. 2 della
legge che istituisce l’Ordine professionale dei giornalisti si legge che: “E’
diritto insopprimibile e obbligo inderogabile del giornalismo la libertà di
informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme dettate a
tutela della personalità altrui ed è suo obbligo inderogabile il rispetto della
verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri posti dalla lealtà e
buona fede.”

Etica del giornalista


Occuparsi dell’etica giornalistica significa capire quale sia “il senso
morale del lavoro dei giornalisti, della diffusione delle notizie” in un
mondo in cui, con l’introduzione di nuovi media, gli spazi
dell’informazione si sono dilatati “sconvolgendo i rapporti tra realtà e
notizia e fra notizia e pubblico, ponendo interrogativi sulle responsabilità
sociali dei giornalisti”155.
Sebbene il mondo dell’informazione sia sempre più visto con un
alone di scetticismo, dovuto al gigantismo dei media, permane
nell’opinione pubblica l’immagine classica del giornalista come paladino
della verità, interprete unico del principio americano del telling the truth. Il
principio della verità giornalistica è, però, un concetto astratto e relativo.

154
Sulla tutela dei diritti dei minori.
155
A. Papuzzi, op. cit., p. 239

101
Nel giornalismo non esistono verità assolute, esistono le notizie che, come
spiegava Walter Lippman, possono coincidere soltanto per una piccola
parte156 con la realtà, che raccontano dal punto di vista soggettivo del
giornalista che le tratta 157. Questi nella sua condotta professionale intreccia i
valori specifici della professione giornalistica con dei valori estranei ad essa
ma specifici del suo essere individuo e cittadino158.
In definitiva l’etica dei giornalisti non riguarda il campo del giudizio,
del bene e del male come valori assoluti sui quali “modellare” la propria
condotta personale, bensì il significato e la finalità dell’informazione . I
principi morali ed etici specifici del giornalista non coincidono sempre con
gli standard etici generali di una società159, in quanto “esiste un sistema di
principi e valori che si riflette in un’etica specifica del giornalismo,
assumendo come riferimenti morali della condotta dei giornalisti le finalità
dell’informazione, e che si trova a rispecchiare e rispettare norme e criteri
che non appartengono agli standard morali generali e possono anzi entrare
apertamente in conflitto con essi”160.
Il comportamento etico nel giornalismo non può prescindere da una
serie di condizioni che definiscono la libertà di agire del giornalista. La
libertà di stampa, intesa come uno dei fondamenti di una società libera e
democratica, può essere esercitata in maniera chiara solo quando i
giornalisti sono indipendenti dai poteri istituzionali, dai poteri privati, ma
anche dalla direzione e proprietà della testata per cui lavorano, dalle
156
Ibidem, p. 240
157
Nel raccontare i fatti tramite le notizie il giornalista, comunque, non soltanto non dovrebbe
falsificare i fatti ma dovrebbe sforzarsi di stabilirne l’autenticità tramite il controllo accurato delle
informazioni raccolte.
158
Per esempio in tempi di guerra non si può imputare una condotta non etica ad un giornalista che
rinuncia a descrivere la realtà dei fatti se facendo questo rischia di ledere dei principi che ritiene
superiori come la difesa della sicurezza nazionale o della solidarietà umana.
159
Anche se questi , di per se, sono molto difficili da definire in quanto valori soggettivi e relativi
alle opinioni e alle credenze dei singoli individui.
160
A. Papuzzi, op. cit., p. 244

102
pressioni del mercato e dalle fonti delle notizie. Senza queste libertà, che
riguardano l’effettiva condizione di autonomia professionale, è molto
difficile che i giornalisti possano adempiere a dei principi etici liberi da
vincoli esterni alla persona stessa del giornalista, il quale sarà costretto
anche ad agire in maniera diversa da quella che riterrà essere una condotta
responsabile nei confronti delle funzioni e delle responsabilità sociali
peculiari dei professionisti dell’informazione.

Norme deontologiche
Andando più nello specifico delle questioni che riguardano la
deontologia della professione, possiamo partire dal difficile rapporto che
intercorre tra il diritto di cronaca e i diritti della persona, intesi come
rispetto dell’integrità dell’individuo.
L’esercizio del diritto di cronaca è stato storicamente gestito
dall’autocontrollo dei giornalisti, in quanto non vi era nessuna norma
specifica che ne stabiliva i limiti nei confronti dei diritti delle persone.
Questa situazione cessa nel 1997 quando entra in vigore la legge n. 675 del
1996 sulla Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei
dati personali, . quella che comunemente viene chiamata “legge per la
tutela della privacy”. La svolta, introdotta da questa legge, all’esercizio
della professione giornalistica consiste nel fatto che, per la prima volta,
l’esercizio del diritto di cronaca veniva limitato in favore della tutela dei
diritti della persona.
In particolare, l’art. 25 della legge n. 675 affida al Garante per la
tutela dei dati personali il compito di promuovere l’adozione di un codice
deontologico da parte dell’Ordine dei giornalisti. Il Codice di deontologia
sulla privacy è entrato in vigore il 29 luglio 1998 e ha il suo fondamento

103
principale nella distinzione tra sfera privata degli individui e l’interesse
pubblico sul quale si basa l’irrinunciabile diritto di diffondere informazioni.
L’art. 6 del Codice recita “La sfera privata delle persone note o che
esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati
non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”. In
questo modo si stabilisce un nesso tra notorietà e notiziabilità, da cui si
deduce che “la sfera privata delle persone pubbliche possa essere violata
soltanto se le notizie hanno un rilievo sul loro ruolo sociale o sulla loro vita
pubblica”161. Il parametro della notorietà del soggetto protagonista di una
determinata notizia è fondamentale nella ricerca dell’equilibrio tra diritto di
cronaca e la tutela dei dati personali e risponde al principio dell’essenzialità
dell’informazione su fatti di interesse pubblico.
I casi in cui il diritto di cronaca si trova in attrito, e talvolta in
conflitto, con il diritto di tutela dei dati sensibili delle persone sono
innumerevoli e di natura diversa. Non esiste, quindi, una ricetta valida
sempre e comunque da applicare ai singoli casi concreti. “La responsabilità
del giornalista è sempre preminente. E’ il giornalista a dover alla fine
decidere, spesso sotto pressione dell’urgenza della messa in onda o della
chiusura delle pagine del giornale. E deve decidere in base alle norme, al
Codice deontologico e alla propria etica”162. La responsabilità individuale
del giornalista nei confronti della privacy dei cittadini è ancora maggiore
online a causa della maggior pericolosità di diffusione capillare di dati falsi
in rete. Questi dati, anche se rettificati in breve tempo alle loro fonti,
rischiano comunque di diffondersi tra gli utenti in maniera incontrollabile e
capillare. Per questo la responsabilità del giornalista online,
nell’accuratezza delle notizie che produce e nel rispetto dei dati sensibili dei

161
A. Papuzzi, op. cit., p. 228
162
M. Paissan, Il Codice della privacy, in V. Roidi, op. cit., p. 95

104
soggetti protagonisti delle informazioni che veicola, è ancora maggiore
rispetto ai media tradizionali perché “se un giornale o un’agenzia o una
testata telematica diffonde una notizia falsa o imprecisa sul conto di una
persona, l’interessato rischia di portarsi addosso per tutta la vita quel dato
falso. Nessuna successiva smentita cancellerà quel che è stato diffuso nella
rete”163.
Una specifica tutela deontologica è riservata ai diritti dei minori
tramite un documento specifico: la Carta di Treviso del 1990, poi rinnovata
e integrata con nuove disposizioni nel Vademecum del 1995. Questi atti
sono stati stipulati dall’Ordine dei giornalisti in collaborazione con la
Federazione della Stampa Italiana e l’associazione Telefono azzurro. I punti
chiave dei documenti sono la tutela dell’anonimato del minore, coinvolto
in fatti di cronaca, per non incidere sullo sviluppo della sua personalità e
l’impegno ad evitare la presenza di minorenni in trasmissioni televisive che
possano ledere la loro dignità o turbare la loro privacy. In altre parole, “la
libertà d’informazione, di critica e il diritto di cronaca, ancorché stabiliti
dall’art. 2 della legge istitutiva dell’Ordine professionale, si fermano
davanti al diritto alla tutela e alla riservatezza dei minori, che diventa così
un diritto primario, inviolabile”164. Come sostiene Papuzzi, questo impegno
si sarebbe potuto realizzare attraverso “un atteggiamento etico piuttosto che
grazie ad una norma positiva”, anche se troppo spesso la difesa di questi
soggetti è stata disattesa dai giornalisti per cui è stato necessario elaborare
un atto formale per la loro tutela.
Infine, la Carta di Treviso prevede l’istituzione di un Comitato di
garanzia per l’informazione sui minori, che è composto da una trentina di
esponenti della Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali), Frt

163
Ibidem, p. 97
164
F. Elisei, Informazione e minori, in V. Roidi, op. cit., p. 27

105
(Federazione Radio Televisioni), Rai, Consiglio degli utenti, Garante per
l’editoria, sindacati, magistrati del tribunale dei minori e rappresentanti
della pubblicità. Ha il compito di promuovere studi e ricerche sul rapporto
tra informazione e minori, verificare sotto il profilo dell’etica eventuali
violazioni della Carta di Treviso da parte dell’informazione, diffondere la
normativa sui minori e attivare un Osservatorio, il cui direttore viene
nominato dall’ufficio di presidenza del Comitato stesso.
Per quanto riguarda il problema dell’ingerenza della pubblicità
nell’informazione, si tratta di un nodo cruciale del giornalismo italiano e
non solo, sia esso televisivo, radiofonico, cartaceo o online.
Sicuramente, quella di mischiare gli strumenti e i prodotti del
giornalismo con quelli della pubblicità e del marketing non è una novità
introdotta da internet. La natura della rete, però, rischia di rendere più
pericolosa questa antica debolezza della professione giornalistica. Il
pericolo è ancora maggiore rispetto ai quotidiani su carta, perché il modello
di business che sorregge finanziariamente la grande maggioranza delle
testate online è un modello advertising based, per cui senza pubblicità la
testata non esiste. Questa estrema dipendenza dalla pubblicità, come fonte
principale dei propri introiti, rischia di renderle sin troppo sensibili alle
esigenze del marketing degli inserzionisti. Si corre il rischio di abbassare la
soglia di esercizio di un giornalismo che sia di qualità, quindi libero. La
libertà del giornalista e del giornalismo non deve essere misurata
esclusivamente nei confronti delle influenze della politica ma anche rispetto
alle influenze e alle spinte, sempre più forti, portate avanti dal mondo dei
pubblicitari. Il pericolo concreto è quello di un conflitto di interessi nel
momento in cui un giornale online ottiene una parte di introiti dalle
commissioni delle vendite che ha saputo generare. In questo contesto si

106
inserisce la vecchia tradizione cartacea dei cosiddetti “articoli
redazionali”165 che su internet cambiano nome in “transactional content”,
ovvero un “contenuto” editoriale pensato per vendere beni o servizi, “che
ha il corpo del giornalismo e l’anima della pubblicità”166 e che può essere
considerato a tutti gli effetti come una veicolazione impropria di un
messaggio pubblicitario. Questo fenomeno è preoccupante non solo perché
rischia di trarre in inganno coloro i quali vorrebbero informarsi e non hanno
gli “strumenti” per distinguere, ai fini della trasparenza del messaggio, gli
articoli reali da quelli redazionali, “ma anche perché facilità un raccordo
diretto tra giornalisti e committenti pubblicitari che può influire sulla linea
editoriale del mezzo di informazione”167.
Per essere considerato di qualità il giornalismo deve smarcarsi, non
solo dalla “cappa dell’influenza politica” ma anche dalle pressioni degli
inserzionisti che sostengono economicamente la testata, attraverso
l’evidenziazione di una netta e sostanziale differenza tra gli articoli veri e
propri del giornale e quelli che, invece, hanno finalità promozionali di beni
o servizi commerciali. Questa distinzione deve essere evidente e chiara agli
occhi del fruitore dell’informazione, in quanto è fondamentale nella
produzione di un’informazione libera e corretta al fine di non ledere il
rapporto di fiducia che si instaura tra una testata giornalistica e i suoi lettori.
Questa fiducia è uno degli obiettivi dell’esercizio della professione
giornalistica ed è espressamente citato nell’art. 2 della legge 69 del 1963.
La fiducia del lettore nei confronti del giornale va, quindi, alimentata e
consolidata da una netta separazione tra il lavoro giornalistico e quello
pubblicitario. “Tentativi di mescolanza diventano un inganno per il lettore e

165
Sono delle pubblicità che vengono sottoposte al pubblico sotto forma di un articolo di giornale
per sfruttarne la funzione simbolica di informazione sul bene oggetto di vendita.
166
R. Staglianò, op. cit., p. 153
167
G. Morello, Informazione e pubblicità, in V. Roidi, op. cit., p. 165

107
vanno combattuti e respinti perché degenerativi della qualità
dell’informazione”168.
Come abbiamo visto, il lavoro dei giornalisti è segnato da una serie
di norme che insieme costituiscono una sorta di “carattere deontologico”,
capace di colmare alcune lacune derivanti dalla legge sull’ordinamento
professionale. Il documento che raccoglie questo corpus di norme è la
Carta dei doveri dei giornalisti italiani (1993) elaborata dall’Ordine dei
giornalisti e dalla Federazione della Stampa e comprende tutti gli ambiti
dell’attività giornalistica che possono generare conflitti deontologici.
L’approvazione di questo documento è arrivata immediatamente
dopo uno dei periodi di maggior “trambusto istituzionale”, in quanto nel
paese l’onda dei sentimenti giustizialisti generati dalle inchieste di
Tangentopoli e dalla caduta della cosiddetta Prima Repubblica, era molto
forte e non ne era immune neanche il lavoro dei giornalisti che si trovarono
a dover affrontare non poche situazioni che ne fecero scricchiolare la
credibilità, di fronte ad un’opinione pubblica indignata da ciò che stava
accadendo nel paese. Di più, l’elaborazione della Carta dei doveri rispose
ad una necessità di autonomia del mondo professionale del giornalismo
perché in Parlamento erano in discussione delle modifiche al Codice di
Procedura Penale che avevano l’obiettivo di limitare l’accesso alle
informazioni giudiziarie da parte dei giornalisti. Una volta elaborato un
documento che prevedeva una serie di obblighi per la categoria “risultò
inefficacie ogni iniziativa parlamentare intesa a governare
l’informazione”169.
Il documento si articola in quattro sezioni principali:

168
Ibidem, p. 195
169
M. Bellinetti, La Carta dei doveri del giornalista, in V. Roidi, op. cit., p. 54

108
2 Diritti della persona: si vietano le discriminazioni per razza, religione,
sesso, condizioni fisiche o mentali, opinioni politiche;
3 Dovere di rettifica: ogni cittadino ha il diritto inviolabile a vedere
rettificate notizie inesatte o ingiustamente lesive; anche in assenza di
una richiesta specifica, il suo diritto deve essere soddisfatto dai
giornalisti con tempestività ed evidenza;
4 Presunzione di innocenza: è una norma più esortativa che prescrittiva in
quanto si afferma nel documento: “In tutti i casi di indagini o processi il
giornalista deve sempre ricordare che ogni persona accusata di un reato
è sempre innocente fino alla condanna definitiva”;
5 Incompatibilità professionali: si tratta di una serie di regole
inequivocabili che mirano a separare la produzione e la diffusione delle
notizie dagli interessi personali dei giornalisti.
Dal punto di vista pratico si è assistito spesso alla violazione dei
principi sanciti dalla Carta, che non sempre sono di facile attuazione170.
Alla base di tutta l’attività professionale bisognerebbe porre la
considerazione per cui una pratica giornalistica corretta non può
prescindere dal rapporto che il professionista instaura con i propri lettori,
che, in definitiva, sono i primi interlocutori dei giornalisti e i principali
destinatari dell’esercizio della loro professione, prima ancora di ogni potere
politico, istituzionale o economico-finanziario. Tuttavia non sempre si ha la
sensazione che questo assunto sia messo in pratica da chi di dovere.
In definitiva il supporto attraverso il quale i giornalisti veicolano
l’informazione che producono è ininfluente per definire la qualità
professionale e il rispetto delle regole deontologiche. L’eccellenza
professionale e il rispetto della deontologia, verso cui ogni giornalista
dovrebbe tendere, si possono raggiungere, semplicemente, svolgendo al
170
Cfr. A. Papuzzi, op. cit., pp. 232 - 235

109
meglio il proprio lavoro. Vittorio Roidi ribadisce che “tecnica professionale
e deontologia coincidono, nel senso che se una notizia viene diffusa
applicando una buona tecnica essa si rivela anche corretta. Al contrario, se
durante la stesura del mio articolo ho tralasciato un particolare importante,
non solo ho scritto male la notizia, ma non ho rispettato la verità […] Il
buon giornalista è anche quello che rispetta la verità, la lealtà, la buona
fede. La professionalità si accompagna alla correttezza”171.
In conclusione, “la difficoltà di essere obiettivi è questione evidente,
ma lo sforzo nella direzione della completezza, dell’imparzialità e della
verità può essere fatto, a partire dall’uso di precise tecniche
professionali”172. Questo precetto ha lo stesso valore sia se si tratti dei
giornalisti che lavorano per testate tradizionali sia se esercitano la loro
professione per testate online.

171
V. Roidi, op. cit., p. 18
172
Ibidem, p. 19

110
L’informazione nelle mani del lettore
“I grandi cambiamenti storici, quelli che alterano in maniera
radicale il mondo in cui pensiamo ed agiamo, si manifestano
impercettibilmente nella società; fino a quando un bel giorno,
all’improvviso tutto ciò che conosciamo diventa obsoleto e ci
rendiamo conto di vivere in un mondo completamente nuovo”
Jeremy Rifkin,
L’era dell’accesso

Nell’ambito della sociologia della comunicazione le teorie sugli


effetti sociali dei media si distinguono in base alla concezione che queste
teorie hanno delle audience dei media. La maggior parte di queste teorie
sono basate su una concezione esclusivamente passiva degli individui e
delle collettività riceventi i messaggi mediali. Anche quando si è teorizzata
una certa attività e possibilità di scelta nelle mani del pubblico, non si è mai
andati oltre una serie di considerazioni che valutavano delle “reazioni” nei
confronti dell’attività mediale dei mezzi di comunicazione di massa,
reazioni che possono essere anche libere ed autonome, ma che sono pur
sempre soltanto reazioni. Le teorie sociologiche che prendono in
considerazione le mutazioni del pubblico in quanto nuovo produttore di
messaggi, anche di massa, sono praticamente inesistenti, anche se la

111
letteratura su questo argomento è sempre più nutrita. Nella mia tesi di
laurea triennale provai a considerare da un punto di vista sociologico le
peculiarità di un pubblico sempre più attivo grazie alla comunicazione in
rete via computer. Le teorie sulle audience passive, come anche quelle
sulle audience attive, non possono prescindere dalle considerazioni sul
contesto storico, economico e sociale in cui prendono forma: ma non
possono prescindere neanche dalle peculiarità dei mezzi di comunicazione
che l’uomo elabora e si “mette a disposizione” nelle diverse epoche
storiche. Per questo motivo con la diffusione molto ampia di internet è
possibile parlare di audience attive non solo nella scelta dei contenuti di cui
fruire, ma anche nella produzione di questi contenuti. In inglese, user
generated content (contenuti generati dall’utente), in gergo internettiano:
web 2.0. Questo status comunicativo del pubblico dei media è molto
evidente nel campo dell’informazione perché con la produzione dei
messaggi mediali, non più nelle mani dei soli esperti e professionisti, ma
anche in quelle del pubblico, la produzione del flusso informativo passa in
buona parte nelle mani di quello che era considerato, fino a poco più di un
decennio fa, esclusivamente il ricevente delle notizie173.
Marxianamente parlando, si potrebbe sostenere che ciò che sta
avvenendo, tramite l’espansione dei reporter diffusi, sia “una
riappropriazione dei media in quanto mezzi di produzione piuttosto che
mezzi di rappresentazione: mezzi di produzione economica, produzione
dell’immagine del mondo, produzione di bisogni e desideri”174.
Si viene così a creare un flusso circolare e non più verticale
dell’informazione in cui le “posizioni in campo” sono diventate meno
simmetriche del passato tra emittente e destinatario.
173
A. Neri, Audience attiva: il caso indymedia, tesi di laurea triennale Roma Tre, Roma, 2005
174
M. Pasquinelli, a cura di, Media activism. Strategie e pratiche della comunicazione
indipendente, Derive Approdi, Roma, 2002, p. 14

112
Ad esempio, in seguito al terremoto che colpì la città di Los Angeles
nel 1994, venne fuori con tutta la sua potenza innovativa la forza
informativa della rete. Il critico dei media John Katz scrisse, nel suo Online
or Not, newspaper suck: “Quando nel gennaio 1994 un utente Prodigy
utilizzò il suo modem senza fili per diffondere in rete la notizia del
terremoto di Los Angeles ben prima che CNN e l’Associated Press
riuscissero a lanciare i loro dispacci un nuovo medium giornalistico era
nato. Entro pochi minuti sia gli abbonati di Prodigy che quelli di altre BBS
avevano messo in piedi forum e altri gruppi di discussione per fornire
informazioni, localizzare l’epicentro, tranquillizzare familiari lontani e
anche organizzare i soccorsi. Nessuna struttura informativa era stata mai
capace di fare, anche lontanamente, qualcosa del genere”175.
Da allora di progressi in questa direzione ne sono stati fatti molti.

3.1 Un nuovo soggetto: il lettore utente


Internet ha profondamente cambiato il ruolo dei destinatari
dell’informazione. La figura assunta da questi con l’avvento della rete ha
subito cambiamenti radicali, ancor più profondi di quelli subiti dalla
professione giornalistica. “Se una rivoluzione c’è stata è proprio questa:
narrare gli eventi non è più appannaggio dei soli giornalisti […] l’utente
della rete non può essere catalogato entro gli schemi tradizionali
dell’audience, nell’accezione di passivo ricettore di messaggi, massificato
destinatario di informazioni […] su internet il lettore, commenta, replica,
interagisce con una naturalezza e una frequenza sconosciute persino a radio
e Tv”176.

175
R. Staglianò, Giornalismo 2.0. Fare informazione al tempo di internet, Carocci, Roma, 2004, p.
31
176
C. Baldi, R. Zarriello, Penne digitali, Centro Documentazione Giornalistica, Roma, 2005, p. 21

113
Tramite la rete, tutte quelle persone che, pur non praticando il
mestiere di giornalista, ne hanno lo spirito, possono contribuire
all’informazione sviluppando quel fenomeno definito come “l’editoria del
popolo per il popolo”177, in quanto si tratta di un’informazione che proviene
dal basso, si sviluppa ed è destinata ad un pubblico che sia allo stesso
“livello” del mittente.
Internet restituisce un ampio potere al lettore, che si sottrae alla
schiacciante gerarchia del quotidiano stampato, per rivendicare un ruolo
attivo nella co-costruzione del circuito mediatico. E’ per questo che non si
parla quasi più di audience bensì di utenza. Non si tratta, tuttavia, di una
semplice questione terminologica, ma del profondo mutamento del ruolo
del lettore destinatario dell’informazione178.
Nel web sono nate numerose forme di “discussione” e di
“collaborazione” tra giornalista e lettore che qualcuno ha addirittura
paragonato al fenomeno della “logica a sciame”, ovvero l’apparente caos
che fa funzionare alla perfezione gli alveari: sistema, questo, che
consentirebbe l’emergere di quella intelligenza collettiva di cui parla Pierre
Levy, dove l’unione di più teste garantisce un esito migliore di quello che si
otterrebbe procedendo in solitario179.
Uno dei primi progetti in questo ambito che può fungere da esempio
indicativo riguarda l’esperienza di “Plastic” (www.plastic.com). Lo slogan di
questa testata web è indicativo e recita così: “Recycling the web in real
time”, ovvero “Riciclare il web in tempo reale”. In questo sito la
collaborazione tra utenti e giornalisti non è ristretta all’ambito della
pubblicazione di materiale informativo, ma “funge da piazza virtuale dove
giornalisti e utenti si possono incontrare per suggerire e discutere le notizie
177
Ibidem., p. 110
178
E. Carelli, op. cit., p. 54
179
Ibidem., p. 63

114
più interessanti, le opinioni, le indiscrezioni che circolano online”180. Nella
pratica, l’attività di questo sito consiste nella pubblicazione, da parte dei
pochi redattori della testata, di redattori di testate partner o degli utenti
stessi, di brevi riassunti di un caso da discutere, che forniscono il link
all’articolo web che tratta il caso specifico. A questo punto, i lettori senza
alcun filtro editoriale discutono e commentano la questione posta alla loro
attenzione.
Riccardo Staglianò ha definito questa pratica come una sorta di
“metagiornalismo” in rete. Parafrasando il titolo di una famosa opera di
Pirandello, Staglianò descrive così l’attività metagiornalistica: “Nel
giornalismo 2.0 il caposervizio è uno, nessuno e centomila. Sono i lettori
che contano […] loro segnalano i pezzi da commentare e poi assegnano
voti ai commenti altrui. Tutti hanno diritto di parola, ma solo chi dice cose
intelligenti emergerà dal rumore di fondo”181. Nello specifico dell’attività di
Plastic, inizialmente la maggior parte delle idee veniva proposta da
giornalisti professionisti ma, in poco tempo, si è raggiunto il traguardo del
sorpasso nella proposizione di idee e articoli da parte dei semplici lettori.
Chiunque si imbatta in un articolo che gli susciti curiosità, approvazione o
sdegno, può lanciare nello stagno di Plastic il sasso della provocazione e
attendere le risposte di altri lettori. Se la proposta fatta dai lettori passa il
vaglio dei due redattori della testata viene pubblicata. E’ qui l’incontro tra
lettori e giornalisti, un piccolo filtro editoriale che consenta alla testata di
non pubblicare fake182 o dare spazio ad attività di disturbo come quelle dei
troll183.

180
Ibidem, p. 57
181
R. Staglianò, op. cit., p. 174
182
Nel gergo internettiano i fake sono notizie false.
183
I troll sono internauti che si inseriscono negli spazi aperti del web 2.0 per creare disturbi a chi
partecipa alle attività dei vari siti e liste di discussione. Si riconoscono in quanto raramente
argomentano le proprie opinioni ma usano spesso provocazioni, insulti e quant’altro possa rendere

115
Infine, Plastic non prova a nascondere la sua natura, che Staglianò ha
definito come metagiornalistica; lo si comprende anche ricordando
semplicemente il suo slogan citato in precedenza. Secondo l’autore di
Giornalismo 2.0: “Plastic è un’operazione parassita, di metagiornalismo
(perché c’è pur sempre un redattore che decide cosa passa e cosa no)
cannibale, che inizia il suo compito là dove i giornali normali lo hanno
finito (con la messa in linea del pezzo)”184.

3.2 Citizen journalism o “Be the media”


“Chiunque ha qualcosa da dire può farlo,
comportandosi, di fatto, come un giornalista”
Riccardo Staglianò

In rete sempre più cittadini hanno la possibilità di diventare dei veri


e propri reporter amatoriali, per passione o per diletto, hanno la possibilità
di raccontare e commentare in rete i fatti che più li hanno colpiti, senza
subire filtri o sottostare a precise linee editoriali. Questo consente di
ridefinire la rappresentazione della realtà veicolata dai media tradizionali.
La realtà sociale può essere descritta e presentata in maniera soggettiva, con
parole e immagini diverse, da diversi individui, o gruppi di individui, in
funzione del loro trascorso storico e delle loro opinioni. Secondo Furio Jesi
l’obiettivo dei media è la creazione di una visione globalizzata. Per non
essere spinti ai bordi della collettività come entità invisibili, gli individui
devono esporsi e rendersi visibili. Il mostrarsi, quindi, diviene una forma
estrema di difesa nei confronti dell’omologazione dei messaggi mediali. Il
protagonismo è una strategia di resistenza che ha come obiettivo la difesa
degli individui e dei media dalla progressiva omologazione e che difende,

una discussione inutile, pesante e fastidiosa. Sostanzialmente svolgono vere e proprie attività di
boicottaggio.
184
R. Staglianò, op. cit., p. 176

116
rendendole visibili, quelle concezioni della realtà che non vengono esposte
tramite i percorsi mediali tradizionali185.
Il giornalismo dei cittadini (citizen journalism) non è un fenomeno
nuovo, benché nel tempo si sia diversificato e ora sia diventato più potente
che mai. In passato erano i giornali di quartiere, le radio cittadine e i canali
televisivi pubblici che facevano questo tipo di giornalismo, ma si sono a
lungo limitati a riportare notizie locali e temi che si rivolgevano a un
pubblico ben preciso. Non sono mai stati presi in considerazione da un
largo pubblico e non hanno avuto grande risonanza186.
In Italia questo fenomeno non è più un fenomeno raro, ma non è
ancora molto diffuso come lo è oltreoceano e anche in alcuni paesi asiatici,
e come lo sta diventando in certi paesi europei.
Il caso più eclatante di citizen journalism riguarda il sito
d’informazione partecipata della Corea del Sud “Ohmynews”. Questo sito è
nato nel 2000 per mano del giornalista Oh Yeon-ho in reazione al
conservatorismo della stampa coreana. L’informazione dei media principali
del paese è controllata dal potere statale, ecco perché un “giornale on-line”
scritto da 25 mila cittadini-redattori pagati a pezzo è riuscito a guadagnarsi
consensi e credibilità non solo nel pubblico ma anche presso le istituzioni.
Questa esperienza, che prosegue tuttora, mette in risalto anche il
fatto che i cittadini sentono maggiormente il bisogno di prendere in mano le
redini dell’informazione in contesti politici e sociali che limitano
pesantemente l’esercizio di una stampa libera da ogni genere di
condizionamenti.

185
E. Tedeschi, Vita da fan, Roma, Meltemi, 2003, p. 29
186
Marlis Prinzing, Giornalismo partecipativo: al posto giusto nel momento giusto, Die Welt del
10.08.2006, ripreso dallo European Journalism Observatory:
http://www.ejo.ch/index.php?option=com_content&task=view&id=108&Itemid=158

117
Un altro network di cittadini e media “gestiti collettivamente per una
narrazione radicale, obiettiva e appassionata della verità” è il network
indymedia187. L’obiettivo che si pone questo network è quello di
“costringere” i media tradizionali a collaborare con loro tramite la
diffusione dei contenuti prodotti dal network188. Il suo slogan è molto
eloquente: “Don’t hate the media, become the media”, “Non odiare i media,
diventa media”.
Tutti questi esempi di come i cittadini possano produrre
informazione dal basso consentono di parlare effettivamente del reporter
diffuso, ovvero di colui che è testimone di un evento e lo racconta con i
linguaggi più disparati di cui può disporre grazie alle tecnologie digitali “di
massa”. Una delle grandi differenze tra l’informazione tradizionale e le
nuove forme d’informazione correlate ad internet sta proprio in questo. Il
giornalista di professione non partecipa agli eventi, li racconta da un punto
di vista esterno, molto spesso senza conoscere la situazione reale di cui si
tratta, ma facendo una cronaca limitata ai fatti. Molto spesso, se facciamo
riferimento alle teoria base della notizia, quella delle cinque W, le risposte
alla domanda Why? (perché?) vengono disattese o tralasciate mentre si da
molto più risalto a quel How? (come?) che spesso consente di trattare
l’argomento in maniera più sensazionalistica. Il reporter diffuso, colui che
187
www.indymedia.org
188
Il nome Indymedia è l’abbreviazione di Indipendent Media Center che consiste in una rete di
informazione indipendente e globale. L’obiettivo di Indymedia è di creare un sistema esterno alla
cultura socio-politica dominante, dando nuovi poteri ai cittadini, migliorandone le opportunità e
l’accesso all’informazione, creando un modello di comunicazione ed informazione realmente
pluridirezionale e non unidirezionale come i media mainstream. L’informazione di Indymedia è
completamente aperta, ogni dichiarazione o notizia è passibile di commento, discussione e,
eventualmente, correzione, grazie al principio della pubblicazione aperta che consente a chiunque
di poter partecipare ai contenuti del sito. Possiamo considerarla a tutti gli effetti una forma alta di
libertà di espressione e di creazione. Per quanto riguarda la credibilità delle notizie pubblicate sul
sito, essa non si basa sul nome o sull’autorevolezza della testata, bensì sulla qualità e l’attendibilità
delle fonti da cui proviene la notizia che vengono rese pubbliche. In più queste fonti possono
essere integrate dando al lettore il compito importante di giudicarle, correggerle o integrarle,
risolvendo eventuali problemi di incompletezza delle informazioni pubblicate.

118
racconta ciò che vive e vede, ha dichiaratamente un punto di vista interno
alla vicenda, non ambisce ad essere oggettivo nel suo racconto ma, più
semplicemente, contribuisce con la sua verità alla descrizione di un fatto o
di un evento. Nel momento in cui numerosi punti di vista su uno stesso
argomento vengono resi pubblici, il racconto della verità acquista più
sfaccettature che consentono, molto spesso, una narrazione più completa
dei fatti.
Ciò che è importante per i professionisti dell’informazione è non
pensare a questo fenomeno come un rimpiazzo del proprio mestiere e del
proprio ruolo nel mondo della comunicazione, bensì come un valido aiuto,
come un appoggio nel migliorare il racconto dei fatti. In fondo, si tratta
quasi sempre di racconti di testimoni, una delle fonti tipiche da cui ogni
reporter attinge nell’esercizio del suo mestiere.
Lo scontro tra questi due soggetti della comunicazione avviene
soprattutto quando il pezzo elaborato dal giornalista ha delle finalità che
esulano da quelle tipiche della professione e sconfinano negli interessi della
politica, della finanza o nella difesa di una parte in causa della vicenda
trattata, piuttosto che di un’altra. Il giornalista non deve prendere parte alla
disputa, ma raccontarla ascoltando e dando voce alle diverse parti in causa.
Quando questo non avviene, i diretti interessati hanno la possibilità di
trovare visibilità al di fuori delle organizzazioni mediali tradizionali.
L’esistenza della nuova figura del reporter diffuso affonda le sue basi
nelle peculiarità della rete e, come i giornalisti online, si diffonde e sviluppa
tramite, e di conseguenza, con essa. Per spiegare questo fenomeno Franco
Carlini applicava al giornalismo una teoria generale “secondo cui la
caratteristica principale della rete è la disintermediazione, ovvero
l’eliminazione di ogni figura a mezza via tra la domanda e l’offerta, che si

119
tratti delle agenzie di viaggio o di quelle immobiliari, delle banche come
appunto dei giornalisti o, persino, dei politici”189.
Nel campo dell’informazione mediata dal computer il flusso delle
informazioni può andare direttamente dalla fonte al lettore senza passare
dalla mediazione giornalistica. Nel momento in cui ogni cittadino che ne
avesse voglia attinge a delle fonti e ne media il contenuto nei confronti di
altri lettori, svolge il lavoro tipico del giornalista pur non possedendo delle
qualità e dei modi di agire fondamentali nella professione, a partire da un
comportamento legato a delle regole deontologiche. Questo potrebbe
portare a considerare ogni cittadino, che si cimenta in questa attività, non
tanto come giornalista, perché privo di regole deontologiche e professionali,
ma come un medium che filtra i contenuti dalle fonti e li mette a
disposizione di altri lettori. Per questo molti osservatori di questo fenomeno
stanno ridefinendo le loro opinioni a riguardo spostando la concezione
dell’attività del lettore-utente attivo dal considerarla più che un’attività
giornalistica vera e propria al considerarla come un’attività mediale in un
senso più esteso.
E’ questa una delle conclusioni alle quali si è giunti durante il
seminario “Citizen Journalism – I media siamo noi” svoltosi a Perugia
nell’ambito della seconda edizione del Festival Internazionale del
giornalismo. I relatori dell’incontro hanno sottolineato che è sempre più
difficile capire chi ascoltare nell’ambito dell’informazione partecipata, a
quale cittadino-reporter dare maggior credito. Per fare ciò bisogna
comprendere bene cosa intendiamo per “informazione” in modo tale da
poterla distinguere da tutte quelle comunicazioni che le assomigliano, ma
che non rientrano in quel campo specifico. Non è detto che i “citizen” che
decidono di comunicare tramite la rete ambiscano a diventare dei
189
Cit. in C. Baldi, R. Zarriello, op. cit., p. 114

120
giornalisti, anzi. Per questo motivo diversi osservatori preferiscono definire
i cittadini che fanno informazione come citizen media e non citizen
journalist, perché questo termine dà a queste persone un’accezione più
professionale che è ancora gelosamente difesa dai professionisti del settore.
Molti di coloro che partecipano hanno alle spalle una professione e un
lavoro che consente loro di svolgere l’attività di comunicazione personale
in maniera assolutamente autonoma e volontaria, mediando appunto, tra le
loro conoscenze e quelle di un pubblico che, grazie all’interattività, può
contribuire ad arricchirne il contenuto dei discorsi. Il risultato di questa
attività comunicativa è la creazione di informazione che molto spesso,
proprio perché partecipata, risulta essere più completa dell’informazione
creata dai professionisti all’interno del loro lavoro redazionale. I media
mainstream sono sempre più consapevoli di questa situazione e mirano a
consolidare sempre più i rapporti tra i reporter diffusi e l’informazione
professionale con risultati che danno benefici alla completezza e ampiezza
dell’informazione e al suo pluralismo.

3.3 Il giornalismo professionale incontra l’informazione dei


cittadini
In giro per il mondo l’incontro tra il giornalismo professionale e i
cittadini che vogliono produrre informazione può vantare un gran numero
di casi ed esperimenti diversi. Alcuni di essi funzionano, altri stanno
registrando dei problemi, ma le modalità d’incontro tra i due soggetti
principali del flusso informativo differiscono da caso a caso, sia nelle
modalità, sia nei risultati. Vi sono due modalità principali con cui il
giornalismo può entrare in contatto con la partecipazione dei cittadini.

121
La prima si realizza quando sono gli editori degli old media che
decidono di aprire i loro prodotti alla partecipazione dei cittadini, oppure di
creare dei nuovi prodotti che prevedono un certo tipo di apertura nella
produzione dei contenuti. La seconda modalità di relazione è quella che
riguarda direttamente i giornalisti, che creano prodotti informativi cercando
di liberarsi dalle influenze politiche e della proprietà editoriale con
l’obiettivo di democratizzare l’informazione.
Come ho già detto, è impossibile tracciare una linea comune tra i
tanti progetti in atto, se si esclude il tema dell’apertura alla collaborazione
nella creazione delle informazioni. Per comprendere in maniera profonda
questa interrelazione sociale, più o meno paritaria e simmetrica, che si
viene a creare tra informatori d’elite, giornalisti, e informatori diffusi, i
cittadini attivi, è necessario fare riferimento, descrivendoli, ad alcuni di
quei progetti che per ora si stanno dimostrando come buoni esempi. Tra
questi non ho considerato volutamente tutte quelle esperienze che sono
partite da grandi gruppi editoriali che hanno fatto la storia dei media e del
giornalismo in Europa e nel mondo, in quanto hanno fatto partire le loro
esperienze di partecipazione facendo leva su un pubblico molto vasto e
fidelizzato. Tra questi ci sono testate come il New York Times, la BBC,
Mtv, la CNN e molte altri grandi gruppi mediali.
Un lavoro a parte meriterebbe anche l’esperienza di Current TV. Si
tratta di un canale televisivo telematico (ma che viene trasmesso anche via
satellite su una frequenza Sky) innovativo e partecipato. Il 30% dei suoi
contenuti viene prodotto dagli utenti. L’8 maggio 2008 il suo ideatore,
vincitore di un premio Nobel ed ex Vice Presidente degli Stati Uniti, Al
Gore ha presentato l’edizione italiana di Current Tv a Roma durante un

122
incontro con i blogger e tutti coloro che sono interessati ad una Tv i cui
contenuti siano user generated.

Gli editori e i reporter diffusi


I grandi editori, nell’esercizio della loro azione sul mercato, agiscono
tenendo sempre bene in mente che tutto quello che è stato creato di buono
fino a quel momento non può rischiare di essere messo sottosopra a causa
dell’inversione di rotta che internet sta imponendo al mondo
dell’informazione. Tutte le grandi testate fanno solo piccoli passi nella
direzione della partecipazione, perché devono affrontare un problema
fondamentale quale il finanziamento di grandi strutture redazionali e la
soddisfazione delle aspettative di profitto delle grosse proprietà editoriali,
molto spesso quotate in borsa.
La pratica che accomuna questi grandi soggetti economici è quella di
limitare fortemente il contributo dei reporter diffusi ai casi eclatanti, ai casi
in cui la testata non riesce ad avere del materiale di qualità autoprodotto,
soprattutto per quello che riguarda documenti video o fotografici. I video di
particolari eventi, che vengono fatti magari col telefonino cellulare da parte
di chi vi ha assistito, vengono usati dalle testate perché non possono avere
altre testimonianze dirette190. In questi casi la partecipazione è accessoria e
dipende anche dalla capacità del professionista di andare a scovare il
materiale tra i siti di socialnetworking come, per esempio, YouTube o
Flickr. Molti grandi gruppi editoriali, inoltre, come il Gruppo l’Espresso-
Repubblica, hanno creato un vero e proprio portale web191, esterno ai siti
delle proprie testate, in cui si offre una piattaforma gratuita per la creazione
190
Gli esempi che è possibile citare sono ormai numerosissimi. Ad esempio le immagini dello
Tsunami in Indonesia del 2006 o le immagini degli attentanti terroristici di Londra e Madrid.
191
www.kataweb.it

123
di blog192 da parte del pubblico; questi, però, davvero raramente vengono
considerati come basi o fonti da cui partire per collaborare con i contenuti
delle testate principali. Questo servizio è strumentale all’attività economica
dell’editore in questione, non a quella informativa.
Dalla Francia, invece, arriva un esempio positivo che coinvolgerà
anche il nostro paese.
Proprio nei giorni in cui sto scrivendo questo capitolo leggo in
diversi siti internet specializzati193 e blog194 in rete che a giugno dovrebbe
sbarcare in Italia la testata di giornalismo partecipativo francese
Agoravox195 che è attiva già, oltre che in Francia, anche in Belgio e nel
Regno Unito.
Agoravox è la prima testata di giornalismo partecipativo nata, nel
2005, in Francia ed è stata ideata da persone che arrivavano da un
esperienza di imprenditoria editoriale e non di giornalismo. Carlo Ravelli,
uno dei fondatori della testata, ricorda in un’intervista ad una rivista
universitaria del settore, poi riportata su www.lsdi.it, che l’assunto di base
dal quale è partita la creazione di questa testata è che “il giornalista non è
più il solo soggetto qualificato a trattare l’informazione”, perché adesso lo
stesso compito lo svolgono anche i cittadini. Continuare a sostenere che i
giornalisti sono gli unici soggetti a saper fare informazione, secondo
Ravelli, equivale a “sottovalutare la gran parte dei cittadini, che sono
abbastanza intelligenti per rispettare qualche regola di base (verificare,
andare alle fonti, separare le opinioni dai fatti)”. La testata si caratterizza
per una forte impronta partecipativa e di senso civico. Dal punto di vista

192
Del concetto di blog dei suoi usi e delle conseguenze che comporta nel giornalismo ne parlerò
approfonditamente nel prossimo capitolo.
193
http://www.lsdi.it/2008/05/15/a-giugno-parte-agoravox-italia-mentre-nasce-in-belgio-una-
fondazione/
194
http://www.pandemia.info/post/1906214.html
195
http://www.agoravox.fr/

124
economico la strada scelta è stata quella dell’accesso completamente
gratuito, mentre le entrate dovrebbero derivare dalla pubblicità e dalla
nascita di una Fondazione, sul modello americano, che attiri finanziamenti
mantenendo il prodotto editoriale il più lontano possibile da ogni genere di
influenza, rispettando allo stesso tempo la filosofia free del web. La
Fondazione in questione sta per nascere (nei giorni in cui scrivo) in Belgio.
Dal punto di vista più strettamente editoriale e della produzione
redazionale Agoravox prevede l’esistenza di una politica editoriale molto
trasparente e presentata sul sito internet196. Questa linea è portata avanti da
una sorta di Comitato editoriale composto da giornalisti ed esperti di vari
settori, che hanno il compito di selezionare i contenuti che vengono
proposti alla testata e di girovagare sul web alla ricerca di sempre nuovi e
interessanti redattori tra i reporter diffusi. Esistono dei criteri specifici nella
selezione dei contenuti, che fanno riferimento ad una linea editoriale
precisa. I commenti alle notizie pubblicate sono aperti, ma la redazione
effettua un controllo a posteriori su di essi riservandosi il diritto di
verificarli ed eventualmente, in base a delle precise ragioni, cancellarli dal
sito. Il tutto è dichiarato pubblicamente sul sito internet della testata. La
redazione è composta invece da un numero di persone che vanno da un
minimo di 4 ad un massimo di 7. La grande forza di Agoravox, come
sostiene Ravelli, “sono le migliaia di reporter che propongono ogni giorno
migliaia di articoli”. Infatti, uno degli obiettivi futuri dichiarati da Ravelli è
quello di creare una piattaforma, con filosofia open source (quindi a
produzione aperta), in cui ognuno può crearsi il suo spazio, il suo blog.
Un esempio di “grande editore politico” che ha aperto la sua
produzione ai contributi dei cittadini è Radio Radicale il cui progetto di

196
http://www.agoravox.fr/article.php3?id_article=60

125
giornalismo partecipativo si chiama “fai notizia”197. In questo caso,
l’aspetto più critico del progetto riguarda il pubblico di nicchia a cui si
rivolge, in quanto è certamente un progetto aperto e partecipativo, ma
deriva da una testata che è voce di una parte politica molto precisa e
decisamente minoritaria nel paese.

I giornalisti professionisti incontrano i reporter diffusi


Se, invece, a collaborare fossero tutti coloro in grado di produrre
informazioni, giornalisti e cittadini, senza avvalersi di professionalità
imprenditoriali?
Anche in questo caso le numerose esperienze che possono registrarsi
in giro per il mondo stanno sortendo risultati diversi e a volte contraddittori.
Mai come in questo caso il rapporto che si viene a creare tra i due soggetti
principali dell’informazione, giornalista e lettore, è legato a fattori culturali,
sociali, economici e strutturali che caratterizzano il mondo della
professione e la società specifica in cui viene esercitato. Insomma,
l’informazione veicolata dall’incontro tra giornalisti e cittadini dipende
molto di più dalla realtà della vita vissuta, con tutti i suoi aspetti, e molto
meno dalle influenze politiche ed economiche imposte dall’alto. In questi
casi le esigenze economiche, politiche e sociali vengono fuori con forza, ma
lo fanno seguendo un percorso che va dal basso verso l’alto.
Un buon esempio, anche in questo caso, ci giunge dalla Francia e si
chiama Mediapart198. Questo progetto punta in maniera più chiara, rispetto
ad Agoravox, ad un giornalismo di qualità e al valore aggiunto che solo il
giornalista professionista può dare ad un’informazione. Edwy Plenel,
giornalista ed ex caporedattore di Le Monde, tra i fondatori della testata,

197
http://www.fainotizia.it/popular
198
http://www.mediapart.fr/

126
ritiene che la qualità, anche in rete, vada pagata. I pagamenti tramite
abbonamenti contribuiscono a mantenere l’indipendenza della testata da
ogni genere di influenza, creando un circuito in cui giornalisti e lettori
sostengono la loro testata sia tramite la partecipazione ai contenuti, sia sotto
l’aspetto economico. Solo così, secondo Plenel, si può riuscire a mantenere
una reale indipendenza. Questa modalità rischia però di creare una sorta di
circolo chiuso, in cui alcuni giornalisti di grande qualità creano una testata
seguita soprattutto da un pubblico già a loro fedele e che, in più, partecipa
con forme non eccessivamente aperte, alla produzione degli articoli: questi
ultimi, comunque, sottostanno alle modalità della professione giornalistica
che i fondatori della testata hanno preso come base della propria
organizzazione editoriale.
Sul piano economico è ravvisabile la prima grande differenza col
modello editore-lettore descritto nel paragrafo precedente. Nel far pagare
un abbonamento ai propri lettori si esplicita un desiderio di fidelizzazione
tra la testata e il lettore, una sorta di rapporto e di supporto interpersonale
che si viene a creare tra le due “parti deboli” del mondo della
comunicazione che, per essere indipendenti e con la schiena dritta, hanno
bisogno di affrancarsi dal mondo dell’economia e degli investimenti.
Questo desiderio è intimamente legato alla concezione del giornalista come
cittadino, che svolge un ruolo sociale pubblico e che risponde prima di tutto
agli interessi dei propri lettori. Tra questi giornalisti non c’è molta
dimestichezza col mercato, con le sue fonti di finanziamento e neanche con
la visione etica che vi sta alla base, ovvero quella dell’arricchimento
economico individuale, alla quale si risponde con un’altra visione etica che
valuta il giornalismo come una delle basi per la costruzione di una società
più giusta e trasparente.

127
Plenel, in un’intervista ripresa anche da www.lsdi.it, ci tiene a
definire la propria testata come un “giornale indipendente”, quindi un
prodotto giornalistico e, nell’accezione più romantica del termine, puro. In
questo modello, egli ritiene che “non bisogna far fare ad altri il lavoro dei
giornalisti”: partecipazione vuol dire “collaborazione attiva tra redazione
e lettori”199.
Dal punto di vista dell’organizzazione editoriale, la partecipazione
dei lettori avviene tramite la creazione, all’interno della piattaforma del
sito, di blog personali in cui ognuno decide la propria linea editoriale. Ma la
gerarchia delle informazioni che vengono pubblicate viene scelta e adottata
dai giornalisti professionisti che lavorano nella redazione.
Qui si può notare la seconda grande differenza tra i due modelli. I
giornalisti sono legati alla propria professione con un profondo sentimento
di attaccamento e quindi non riescono ad immaginare che persone che non
abbiamo alle spalle la professione possano riuscire a fare comunque della
buona informazione. L’editore del caso precedente si era proprio “liberato”
di questo sentimento professionale offrendo legittimità ai contenuti prodotti
da non professionisti, considerandoli alla stessa altezza.

Si può vivere di giornalismo partecipativo?


Come abbiamo visto nei due esempi citati in precedenza, esistono
numerosi modelli di applicazione redazionale della partecipazione dei
cittadini alla co-produzione dei contenuti informativi di una testata, le cui
differenze si riflettono in ciò che attiene il sostentamento economico di tali
testate. Ma c’è anche chi critica il modello del giornalismo partecipativo dal
punto di vista del lettore che partecipa. Ovvero, alcuni osservatori ritengono

199
http://www.lsdi.it/2008/03/24/giornalismo-partecipativo-quello-reale-non-e-perfetto-ma-non-si-
puo-non-crederci/

128
che pubblicare contenuti prodotti dai lettori che poi, tramite la pubblicità o
un abbonamento, pagheranno per leggere ciò che essi stessi hanno scritto, si
configura come una sorta di sfruttamento del lettore che serve ad arricchire
chi ha ideato la testata. Questa critica non tiene però conto della
consapevolezza e della volontarietà con la quale il cittadino – lettore –
utente decide di prendere parte alla produzione di informazioni.
Comunque, qualche cosa comincia a muoversi anche sotto questo
punto di vista. Nel 2006 in Germania il Bild, giornale specializzato in
scandali e gossip, ha incominciato ad attirare la partecipazione dei suoi
lettori proponendo una somma di 500 euro per ogni foto che gli fosse stata
inviata e poi pubblicata. Il rischio di questo caso specifico è quello di
sviluppare una rete di paparazzi diffusi e non di reporter.
Una grossa testata che ha deciso di dividere i propri profitti con i
suoi “collaboratori” è digitaljournal.com (www.digitaljournal.com), che
nasce come giornale online specializzato sul mondo digitale nel 1998, ma
dal 2006 ha aperto i suoi meccanismi di produzione di notizie ai suoi lettori.
I temi trattati sono di attualità e sempre aggiornati, oltre a diverse rubriche
su svariati argomenti. Gli utenti contribuiscono tramite l’invio di articoli
alla redazione, tramite blog personali e con l’invio di foto e video. Ogni
articolo, ogni foto e ogni video possono essere votati e commentati.
La grande novità di cui si può vantare questa testata è quella di
condividere i propri incassi derivati dalla pubblicità con gli utenti che
collaborano nella produzione delle informazioni. Il pagamento viene
calcolato solo sul numero degli articoli di informazione che ciascun
cittadino-giornalista consegnerà piuttosto che semplicemente sulla
popolarità dei singoli articoli200. In questo calcolo non rientra l’attività
legata ai blog, né alla messa in rete di foto o video. Chi ritiene di poter
200
http://www.digitaljournal.com/corporate/about_us.php

129
essere pagato per il suo contributo, comunque, deve prima sottoporre, per
l’approvazione, il proprio lavoro alla direzione del Digital Journal, che si
accerterà delle capacità degli aspiranti collaboratori. Seppur ancora in
minuscola parte, digitaljournalism.com può vantare di essere una delle
prime comunità di informazione a condividere i propri ricavi con i propri
lettori. La somma che l’azienda ha dichiarato di aver versato ai propri
cittadini-giornalisti è di circa 38.000 dollari201.
Questo è, però, un caso molto isolato, per adesso sostanzialmente
tutti gli esperimenti e i progetti innovativi che prevedono la partecipazione
dei cittadini alla creazione delle informazioni si basano esclusivamente
sull’apporto volontario di questi e sul loro forte desiderio di prendere parte
alle dispute pubbliche e alla realizzazione di un’informazione più
pluralistica, democratica e completa.

In conclusione, in entrambi i modelli di cui ho parlato si possono


registrare delle incongruenze o degli aspetti critici dovuti, anche, alla novità
nel campo dell’informazione che rappresentano. In Italia siamo molto
indietro nel campo dell’informazione partecipata, anche se esistono alcuni
esperimenti di tipo generalista come www.comincialitalia.it e
www.lamianotizia.com. Il nome di quest’ultimo riprende il nome della
testata coreana Ohmynews di cui ho scritto in precedenza. Esiste anche
un’esperienza chiamata Youreporter.it (www.youreporter.it) in cui si chiede
agli utenti di mettere a disposizione video e fotografie che sono
apertamente destinate ad essere utilizzate dai media mainstream purchè
citino la fonte di provenienza.

201
La cifra è aggiornata al 26 aprile 2008 ed è stata presa da http://www.lsdi.it/2008/04/26/un-sito-
di-cj-comincia-a-pagare-i-suoi-cittadini-giornalisti/

130
Questi esperimenti, diversi tra loro, attraversano ancora una fase in
cui registrano un pubblico relativamente piccolo rispetto ad Agoravox, che
può vantare circa un milione di lettori unici al mese, 35.000 reporter diffusi
e circa 700 articoli pubblicati ogni mese prodotti dagli utenti.
In Italia c’è ancora molta strada da fare in direzione del giornalismo
2.0 (user generated). Questo soprattutto per quanto riguarda l’incontro tra i
professionisti dell’informazione e i lettori perché, nel nostro paese, sembra
svilupparsi con maggiore forza e velocità il fenomeno dei blog non legati a
testate giornalistiche, partecipative o meno.
Dal punto di vista dell’etica e della deontologia professionale la
necessità di un rigoroso rispetto delle norme morali e professionali che
stanno alla base del giornalismo “mainstream” valgono anche per queste
nuove forme di giornalismo partecipativo in tutte le loro sfaccettature di cui
ha scritto nel capitolo precedente.

131
La blogosfera. Saremo tutti giornalisti?
“Il mio lavoro è anche questo:
fare quello che non tutti possono.
Non per gioco, ma perché vuoi esserci,
se sei un giornalista. Io non vedo altro modo
di raccontare la realtà se non
attraverso la mia esperienza.”
Rysard Kapuściński

Il termine blogosfera è un neologismo inventato nel 1999 da Brad L.


Graham. Secondo Wikipedia, l’enciclopedia online i cui contenuti sono
interamente prodotti dai suoi utenti, la blogosfera è “nell'ambito di internet,
l'insieme dei blog. I blog (o diari in rete) sono fortemente interconnessi: i
bloggers (o blogghisti o blogonauti) leggono blog altrui, li linkano (creano
dei collegamenti), e li citano nei propri post (messaggi). A causa di ciò i
blog fra loro interconnessi hanno sviluppato una propria cultura. Si può
notare una certa assonanza con il termine biosfera”202. Il significato della
parola blogosfera, però, non può essere ridotto ad una semplice descrizione
didascalica, in quanto il mondo dei blog sta rivoluzionando numerosi
aspetti della vita sociale di ogni individuo e di ogni formazione sociale
collettiva che decida di cimentarsi con questa nuovo strumento di
comunicazione. I contesti sociali che stanno subendo l’influenza della
blogosfera sono tutti quelli che hanno un certo tipo di rapporto con le nuove
tecnologie della comunicazione.

Per incominciare ad allontanare la nostra attenzione dagli aspetti


tecnologici della blogosfera, per approfondirne gli usi e gli effetti, è utile

202
http://it.wikipedia.org/wiki/Blogosfera

132
partire da come Derrik de Kerckhove definisce la blogosfera. Egli la
considera come il punto d’incontro tra network sociali e network
tecnologici: “Consiste in una rete di interazioni culturali dirette e navigabili,
risultato dell’apporto gratuito, aperto e verificabile delle conoscenze e delle
opinioni di molte persone su argomenti di interesse generale e in tempo
pressoché reale”203.

Anche il sistema dei media di massa consiste in una serie di


collegamenti e connessioni con altri macro-sistemi della vita sociale di un
paese, quali quello economico, politico e culturale. Questi quattro macro-
sistemi interagiscono costantemente e si influenzano a vicenda. I media
spesso vengono manipolati ma molto spesso sono anche i media che
riescono a manipolare i propri interlocutori. La comunicazione nel web è,
però, molto diversa.

La blogosfera è un macro-sistema, quello dei singoli cittadini


connessi che - anche se si stanno scoprendo poco alla volta l’insieme degli
aspetti culturali, psicologici e sociali su cui si basa - non ha una struttura
unitaria e riconoscibile per tutti e da tutti come i media di massa. Essa
consiste in un insieme di individui che comunicano secondo le proprie
convinzioni ed esigenze personali. Di conseguenza anche il mondo sociale
di riferimento, le attenzioni, i bisogni e i desideri che vengono trasmessi da
questo tipo di comunicazione trovano le loro radici nella vita sociale
dell’individuo in questione. Questo non vuol dire che le grandi
problematiche di interesse globale o comunque di larga scala non
interessino al cittadino che partecipa alla blogosfera, bensì che la sua
attività di comunicazione ne porta all’attenzione del pubblico molte altre, di

203
Dalla prefazione a G. Granieri, Blog generation, Laterza, Roma – Bari, 2005

133
interesse meno generale, forse, ma sicuramente meno basate su concetti
astratti di cui pochi possono comprendere il significato e che caratterizzano
le dispute politiche ed economiche di alto livello. Si tratta, insomma, di
un’informazione più personalizzata.

I media da sempre sono stati il veicolo principale attraverso cui le


persone hanno conosciuto il mondo e gli eventi che vi si sono svolti. Il
mondo dell’informazione è sempre stato considerato come quella branca
della comunicazione che ha il compito di controllare quello che “i potenti”
fanno del mondo, il famoso concetto di watch dog, il cane da guardia del
potere.

Negli ultimi decenni molti addetti del mondo dell’informazione si


sono piegati a, o sono stati piegati da, interessi che non erano espressione
diretta del popolo, di cui dovrebbero essere gli occhi attenti, ma di nicchie
di potere politico ed economico che hanno inquinato il sistema delle
informazioni causando un distacco molto forte con la comunità dei suoi
consumatori. Nel momento in cui ogni cittadino ha a sua disposizione la
possibilità di comunicare e informare un certo pubblico, assume – se decide
di esercitarlo realmente - un effettivo potere di controllo, in primo luogo nei
confronti di coloro i quali continuano a fare informazione “di massa” e, in
secondo luogo, nei confronti di quei poteri che influenzano le informazioni
maistream.

Sempre di più, quindi, le nuove istanze sociali non vengono


rappresentate da chi si trova a colloquiare con i vertici della piramide
sociale ma da chi ne compone la base. Il metodo principale con cui una
moltitudine di individui può portare alla ribalta di un vasto pubblico
un’istanza sociale, una denuncia, ma anche una “buona notizia”, è tramite il

134
passaparola tra persone, tra blogger: nel quartiere, all’università come tra i
lettori (pochi o tanti non importa) del proprio blog.

Nel mondo dei blog ci si sceglie e si viene scelti, ma ci si può


incontrare su temi occasionali in base a criteri di affinità e interessi comuni.
Questa caratteristica contribuisce ad infondere in chi partecipa l’idea di una
comunità intellettuale di cui fa parte e che si basa su un'unica regola: il
confronto.

La blogosfera è, quindi, una grande conversazione alla quale tutti


hanno eguale diritto di accesso, ma dalla quale solo le voci che sono
ritenute meritevoli (dalla blogosfera stessa) arrivano alla ribalta del
pubblico dei mass media. In Italia ne abbiamo un ottimo esempio
nell’esperienza dell’ex comico e blogger Beppe Grillo204. Senza entrare nel
merito delle questioni che pone all’attenzione del suo pubblico, non c’è
dubbio che il successo della sua attività di blogger sia dovuto, oltre che al
suo nome molto conosciuto e apprezzato per l’attività di comico, al
passaparola di tanti piccoli blogger che ne hanno diffuso le idee e i
contenuti.

Ma i blog cosa sono?

4.1 I weblog
“I weblog rappresentano, a oggi,
la creatura più matura del web.
Non credo sia un’esibizione dell’io,
ma piuttosto del rapporto con gli altri.”
Derrick de Kerckhove
204
http://www.beppegrillo.it

135
Nel 2004 la parola “weblog” era la più ricercata sulla versione online
del dizionario Merriam Webster205, che la definiva come “sito web che
contiene un diario personale online con riflessioni, commenti e spesso
link”. Letteralmente “blog” è la contrazione delle parole “web” e “log”, che
significano “tenere traccia di qualcosa sul web”, una sorta di diario di
navigazione. I blogger sono tutti coloro i quali hanno aperto e curano con
una certa frequenza una propria pagina personale sul web, il proprio blog.
Ma darne una definizione precisa e legata agli usi che se ne possono fare è
praticamente impossibile, in quanto non esistono delle modalità univoche
riguardo il loro utilizzo.
Granieri sostiene che la definizione classica di blog come diario
possa essere accettata solo se il concetto di diario esce fuori dai confini
della sua dimensione web, comprendendo anche tutta la cultura del blogger
per giungere alla definizione di “diario intellettuale”206. Insomma, il blog è
una proiezione delle elaborazioni mentali di colui che lo tiene che,
inevitabilmente, si formano non solo all’interno della rete, ma scaturiscono
da tutti gli aspetti della vita del diretto interessato.
Recentemente tra i maggiori blogger italiani è partita una sorta di
“gara”, promossa dal giornalista del Il Sole24ore e blogger Luca De Biase,
a chi riuscisse a definire in un massimo di duemila battute il significato
della parola blog. I risultati sono stati i più vari. La definizione più
eloquente, secondo me, l’ha data Luca Sofri nel suo blog “Wittgenstein”207,
una definizione semplice, ma che racchiude tutta l’essenza di questo
fenomeno: “un blog è un blog è un blog”. Tutto e niente. Nello spazio di un

205
Dal 2005 la parola blog è entrata a far parte della versione stampata del dizionario della più
grande azienda editoriale americana del settore dizionari.
206
G. Granieri, op. cit., p. 28
207
www.ilfoglio.it/wittgenstein

136
blog si può pubblicare di tutto: pensieri, idee, opinioni, studi, ricerche,
informazioni, notizie, curiosità, link di ogni genere, storie, articoli,
interventi di altre persone, fatti quotidiani pubblici e/o privati, immagini,
video, file audio. Quel che è certo è che i blog sono degli spazi
estremamente personali nei quali ognuno è libero di esprimere le proprie
idee o semplicemente dare un cenno della propria esistenza dando vita ad
una sorta di personalizzazione dell’informazione.
Non è possibile neanche definirli in base al loro contenuto in quanto
è davvero raro che ci sia una linea editoriale da seguire fedelmente, anche
se esistono alcuni blog che sono dedicati quasi interamente ad argomenti
specifici.
Il fenomeno weblog o blog è nato negli Stati Uniti alla fine del
secolo scorso nel disinteresse generale degli altri media e dei cittadini, ma
oggi sta conquistando sempre più spazio nella società perché sta
sviluppando un modo alternativo e nuovo di fare informazione, in ogni
campo: dall’economia alla politica passando per il mondo della cultura. La
diffusione di questi “diari intellettuali”, grazie all’estrema facilità di
creazione, è sintomo di una sempre maggiore voglia di esprimersi,
confrontarsi e comunicare da parte di coloro i quali fino a questo momento
erano considerati soggetti passivi dei flussi informativi.
Nella comunicazione tramite blog sono le persone il motore
principale del flusso, e non la tecnologia che è ormai uno strumento
acquisito in ampi settori della società occidentale. Con i blog, le singole
persone, individualmente o in maniera collettiva, “si prendono i propri
spazi sulla rete e dimostrano ogni giorno che per farsi leggere e ascoltare,

137
entrare in comunicazione con gli altri, bastano un browser, delle idee, il
desiderio di raccontare in parole quello che succede intorno a sé”208.
La pratica del blogging, inoltre, può essere considerata come un vero
e proprio atto di generosità tra blogger, in quanto il sistema di attrazione
dell’attenzione del lettore è esattamente opposto a quello dei media
tradizionali. Mentre l’obiettivo di un quotidiano e del suo sito è quello di
trattenere il più possibile il lettore tra le sue pagine, i blog, invece, linkano e
dirigono i propri lettori verso pagine esterne. Questi link possono
riguardare altri blog o altri siti, anche di informazione mainstream.
Indirizzare il lettore verso altri lidi, citando le fonti da cui partono i propri
post, è la prassi del “sistema blog”: “In questo modo ci guadagnano tutti:
l’autore del primo post perché riceve nuova attenzione, l’autore della
citazione perché ha fornito un input qualitativo al suo lettore e, infine, il
lettore stesso che vede incrementare le possibilità di incontrare contenuti
interessanti”209. E’ come una sorta di grande conversazione in cui, se ce n’è
il bisogno, ci si riferisce alle opinioni e ai dati elaborati da altri soggetti per
motivare le proprie idee. Chi non partecipa a questa grande conversazione è
destinato a rimanerne ai margini.
Non bisogna, però, pensare che i blog siano un mondo a parte, una
nicchia chiusa nel grande mondo della comunicazione. Essi non sono
alternativi al mondo della comunicazione ufficiale, molto spesso ne sono
complementari210 e possono avere dei ruoli collaborativi nell’analisi dei
fatti, nella ricerca delle fonti e per la completezza delle descrizioni e delle
cronache.

208
C. Baldi, R. Zarriello, Penne digitali, Centro Documentazione Giornalistica, Roma, 2005, p.
104
209
G. Granieri, op. cit., p. 39
210
C. Baldi, R. Zarriello, op. cit., p. 103

138
Come “funzionano” i blog
Creare un blog è un operazione molto facile per chi ha un minimo di
dimestichezza con lo schermo di un computer e internet. In rete esistono
numerose piattaforme che offrono la possibilità, davvero con pochi
semplici passi, di poter aprire un proprio blog a titolo completamente
gratuito211. Questa è una delle sue principali fortune in quanto anche un
neofita può mettere in piedi il suo blog. La caratteristica che distingue un
blog da un altro è, in realtà, il gradimento e il successo che riscuote tra i
navigatori, non la sua struttura. Chiunque può creare un blog, ma non tutti
saranno seguiti da molte persone. A dire la verità, i blog che hanno un
successo molto grande (oltre i 10.000 accessi unici giornalieri) sono
davvero pochi contro una platea sterminata di blog che registrano una
media inferiore alle 1000 visite giornaliere di singoli utenti.
Uno degli elementi base dell’esistenza stessa dei blog è
l’ipertestualità: i collegamenti che si vengono a creare tra blog e bloggers
tramite link di rimando ad altri siti e blog. Le comunità che i blog riescono
a creare tessono tra loro legami proprio tramite link che portano da un blog
all’altro contatti, visite e spesso contributi e commenti. Un blog che,
creando il suo blogroll212, linka un altro blog dimostra consenso e
approvazione, aumentandone la visibilità e la reputazione all’interno della
rete: “i bloggers visitano altri ‘diari’ segnalandoli, o meglio linkandoli,
all’interno del proprio; un metodo convenzionale per esprimere interesse e
solidarietà verso le idee e le vicissitudini raccontate da un’altra persona,
come a dire ‘ti ho letto e mi sei piaciuta’”213.

211
Tra le piattaforme più utilizzate in Italia si possono ricordare www.splinder.com oppure
www.blogspot.com.
212
Lista dei blog amici o che vengono seguiti più di frequente.
213
C. Baldi, R. Zarriello, op. cit., p. 105

139
Questo sistema di riferimenti non è mai costruito da un singolo né
coordinato da un centro. Si realizza in maniera incontrollata ed auto-
organizzata, con il risultato che si viene a formare un ordine spontaneo di
interconnessioni che è più denso e dinamico di tutto il resto del web.
Il blog si presenta, quindi, come uno spazio privato ma anche
pubblico, in quanto l’interazione tra blogger e lettori è molto alta poiché è
quasi sempre possibile commentare i “pezzi” (in gergo internettiano
chiamati post) pubblicati dal blogger. Tramite i commenti si misura anche
la popolarità, il seguito e la capacità di coinvolgimento dei lettori che ha un
determinato blog. Inoltre, una conseguenza diretta dell’interattività è
l’arricchimento dei contenuti e l’avvio di discussioni, talvolta molto
costruttive, intorno ai più disparati argomenti. Infine, i commenti, come i
link ad altri blog, aumentano la visibilità dei blog in questione, sia
all’interno della comunità dei blogger, sia per quanto riguarda le più
generali ricerche su internet tramite i motori di ricerca. Più un sito blog è
visitato e linkato da altri siti e blog più sarà in alto nei risultati delle
ricerche dei motori di ricerca, Google e Technorati su tutti.

Differenze visuali tra i blog e i classici siti d’informazione


I siti internet delle testate giornalistiche tradizionali tendono a
riportare sul web la struttura visiva del giornale cartaceo. Gli articoli
vengono visualizzati soprattutto secondo l’ordine di importanza che la
redazione assegna loro e non in ordine cronologico. La struttura visiva dei
blog è profondamente diversa.
Come sostengono Baldi e Zarriello, nel loro Penne digitali, un blog
lo riconosci subito quando lo vedi apparire sullo schermo. Di solito hanno
“una grafica povera e priva di effetti speciali: i diari più semplici sono

140
costituiti da una sola pagina web dove i testi vengono archiviati e
visualizzati in successione secondo un ordine cronologico che posiziona in
alto i contenuti più recenti. La pagina è in genere formata da due o tre
campi verticali. Lo spazio centrale, quello più largo, contiene i testi
pubblicati, come si dice in gergo, postati”214. Nei post possono essere
inoltre inseriti, a corredo del testo o anche da soli, audiovisivi, immagini e
file audio, mentre molte volte gli articoli web di una testata tradizionale
prevedono la presenza di un’immagine di lato al testo e poi una serie di link
ad altri multimedia che, quindi, non vengono visualizzati direttamente
insieme all’articolo.
Anche nel linguaggio utilizzato si notano profonde differenze. Le
testate giornalistiche online continuano a preferire un tono formale e
“ufficiale” nella redazione degli articoli e davvero raramente propongono
link esterni al proprio sito, mentre i blog raccontano fatti e opinioni molto
spesso in modo caotico, fortemente personale e informale, riempiendoli di
collegamenti ad altri siti.
Secondo molti osservatori questo è uno dei vantaggi dei blog rispetto
alle testate tradizionali, in quanto i lettori del web sembrano fidarsi molto di
più delle persone che delle istituzioni. Il linguaggio utilizzato da questi
soggetti è uno degli spartiacque che consente di distinguerli nel loro modo
di veicolare le informazioni rispetto ai giornalisti.
Un ulteriore vantaggio a favore dei blog è che spesso i post vengono
proposti come articoli “work in progress”, ovvero sembrano sollecitare il
contributo del lettore; dunque, i commenti hanno un’importanza
fondamentale per creare la conversazione informale e schietta, tipica della
blogosfera, che ne arricchisce i contenuti. I giornalisti sul web, invece,
scrivono ancora chiudendo gli articoli come se fossero completi di ogni
214
C. Baldi. R. Zarriello, op. cit., p. 106

141
informazione e, quando si dà spazio ai commenti dei lettori, lo si fa
stimolando solo le opinioni, senza richiedere (anche indirettamente)
contributi effettivi al completamento della notizia.

La democrazia nella blogosfera, tra grandi “hub” e micro blog


Non è possibile supporre che ogni nuovo nodo del web, ogni nuovo
blog, abbia da subito la stessa visibilità di tutti gli altri. A meno che non
possa godere della “spinta” di un grande media o di un grande marchio,
ogni blog deve conquistarsi la sua visibilità all’interno della “grande
conversazione”.
Non tutti i nodi hanno la stessa grandezza e la stessa importanza
all’interno della rete. Esistono dei veri e propri hub ricchi di connessioni
che mantengono le posizioni di vetta di tutti i motori di ricerca e ogni
piccolo blog che entrerà a far parte della blogosfera difficilmente deciderà
di non appoggiarsi, per iniziare e svolgere la sua attività, ad uno di questi
nodi più ricchi di buona reputazione e collegamenti. Per descrivere questo
modello si usa l’espressione rich get richer (chi è ricco diventa più ricco),
poiché i nodi con molte connessioni continueranno ad averne sempre di più
con l’espandersi dei piccoli nodi. La distribuzione dei link, dalla quale
dipende molto la diffusione e la visibilità sul web, non è uno stato di fatto,
ma un processo in continuo mutamento. I nuovi entrati si accodano alle
preferenze già espresse da altri, ma hanno la possibilità di conquistare
anch’essi le proprie preferenze all’interno della blogosfera.
La democraticità della blogosfera consiste nella possibilità di
accesso che, grazie alla sua semplicità, è a disposizione di tutti. Una volta
entrati in questo sistema, però, per conquistare visibilità bisogna partecipare

142
e conquistarsela tramite merito, originalità e tanta buona volontà. Come ho
già scritto in precedenza, tutti possono partecipare, ma solo le voci
considerate migliori emergeranno dal coro. E’, però, certo che chiunque
desideri avere una platea più vasta è almeno nelle condizioni di
“combattere” per procurarsela.
Insomma, la popolarità di un blog è data dal giudizio dei blogger.
Questa popolarità deriva da una profonda interazione sociale tra i cittadini
connessi al web, perché la popolarità cresce (o diminuisce) in base a ciò che
il blogger dice, e in base a come stabilisce le sue relazioni. Il “capitale”
spendibile del blogger è il suo capitale culturale ed espressivo, che viene
condiviso e valutato sotto forma di opinione. Ogni giorno il mondo dei
cittadini connessi lo giudica e gli assegna una certa rilevanza, in termini di
link, commenti e visite in base al proprio giudizio. Questo meccanismo può
essere considerato come l’applicazione di un criterio squisitamente
meritocratico, in quanto la comunità di blogger funge da filtro collettivo per
la segnalazione dei contenuti migliori.
Questo concetto di popolarità viene però applicato relativamente a
singoli aspetti dell’attività del blogger e quasi mai alla sua totalità. Così, un
blog può essere considerato il migliore riguardo un determinato argomento,
ma assolutamente inattendibile riguardo altri argomenti. La blogosfera,
quindi, si configura come un insieme di “cluster” (gruppi di blog di uno
stesso tipo, letteralmente “grappoli”) comunicanti tra loro che definiscono
piccoli mondi interconnessi, comunità nate e sviluppate sulla base di un
interesse comune. Questi cluster, tuttavia, non hanno una struttura stabile e
di conseguenza si formano e si sciolgono di volta in volta in maniera fluida
e non definibile in termini assoluti.

143
Il pericolo maggiore che questo sistema porta al suo interno è quello
di realizzare connessioni tra blogger che hanno gusti e conoscenze simili,
per cui si finisce per “cantare tutti nello stesso coro”. Questo però non è
sempre vero, anzi. I blogger sono individui in carne, ossa e intelligenza e,
come nella realtà, è raro trovare individui che in tutto e per tutto abbiano gli
stessi interessi, per cui ogni blogger sarà connesso con alcuni gruppi diversi
da quelli degli altri blogger, mediando così tra diversi piccoli mondi.
Questa mediazione è un capitale sociale molto forte, in quanto i singoli
individui possono mediare tra le diverse maniere di pensare e di
comportarsi con cui si trovano a contatto nella loro esperienza mediatica. I
blogger si muovono disinvoltamente tra un cluster e l’altro e, di volta in
volta, muta anche la loro posizione all’interno del network al quale
partecipano. All’interno di un gruppo possono essere considerati degli
esperti da leggere con attenzione, mentre in altri gruppi possono essere dei
“principianti”.
In questa grande conversazione non esistono delle vere e proprie
regole scritte, ma nel corso del tempo si sono venuti a creare una serie di
comportamenti convenzionali che consentono la sopravvivenza del sistema:
seguire la politica di linking, rispettare il tema della discussione, non essere
offensivi. Non sempre queste convenzioni di corretto comportamento
vengono rispettate, ma il sistema dei blog ha anche una sua capacità di
moderazione e regolazione collaborativa. E’ molto frequente che un
comportamento considerato sbagliato venga rilevato e marcato da altri,
esposto al pubblico giudizio e quindi discusso. Come sostiene Granieri, si
può tranquillamente affermare che nella blogosfera “ci sono cellule malate,
ma il sistema immunitario funziona benissimo”215.

215
G. Granieri, op. cit., p. 53

144
Questo continuo discutere e partecipare consente di arricchire,
approfondire, sviluppare e completare informazioni che di nodo in nodo
possono essere ripubblicate, associate ad altre ed arricchite, divenendo così
nuove informazioni che producono nuovo sapere e nuova conoscenza nei
destinatari.

Blog personali o tematici


Molti blog sono dei veri e propri diari autobiografici che possono
avere un interesse per il loro valore umano o anche letterario, ma
difficilmente possono riscuotere un certo interesse nel mondo
dell’informazione. Si tratta comunque di diari autobiografici non più
privati, ma pubblici. Sono degli esempi di vita e di esperienze che possono
essere commentate e seguite da un pubblico e, perché no, usate come
esempi o come base di partenza per una inchiesta di giornalismo sociale.
Molti blogger, invece, soprattutto se professionisti, sono diventati dei
veri e propri punti di riferimento nell’ambito di un determinato settore.
Questo genere di blog, detti tematici, non sono uno spazio generalista di
chiacchiere di vita vissuta e sentimenti, ma sono uno spazio deputato
all’approfondimento su argomenti specifici legati ad una tematica di base.
Sia i blog personali che quelli tematici possono essere tenuti non
solo da un singolo individuo ma anche da più di uno. Si tratta dei blog
collettivi, in cui ogni blogger può postare quando e quanto vuole e gli
argomenti, se non sono blog specializzati, possono spaziare nei più vasti
campi della conoscenza umana, possono essere stabiliti prima dai vari
blogger o anche decisi in corso d’opera, oppure può non esserci nessuna
indicazione216.
216
Un blog collettivo che mi è capitato di scoprire e visitare ultimamente è “civico42”
(http://www.civico42.splinder.com/). Formato da una ventina di donne scrittrici e appassionate di
letteratura che si presenta così ai suoi lettori: “Blog che nasce su aNobii.com [aNobii è un social

145
Blog giornalistici
“Mentre i lettori sembrano attratti soprattutto dalla possibilità di
interazione diretta, il blogger è interessato alla possibilità di fare opinione al
di fuori del circuito e del controllo dei media tradizionali” 217 anche
attraverso l’uso di un linguaggio (testuale e audiovisivo) meno formale.
Sempre più di frequente sono, infatti, anche i giornalisti
professionisti che decidono di aprire uno spazio in cui sono editori di se
stessi e in cui possono usare un linguaggio meno formale rispetto al loro
mestiere, svolgendo il proprio lavoro liberi da vincoli editoriali. Questi blog
possono nascere per volontà della redazione, che affida ad alcune firme del
giornale uno spazio personale, oppure per la libera e volontaria iniziativa
dei singoli giornalisti. E’ evidente che la realizzazione di un blog in maniera
totalmente volontaria rende chi lo scrive più libero, in quanto il blogger è
editore di se stesso e non deve rispondere a nessuno di quello che scrive, se
non ai suoi lettori.
Esistono altri due vantaggi per un giornalista che crea un proprio
blog personale. Il primo è quello di rendersi più visibile rispetto al suo
lavoro redazionale: molte volte il blog può funzionare da strumento di auto-
promozione se si desidera essere notati da grandi media o se si vuole
allargare e fidelizzare il proprio pubblico di riferimento. Il secondo
vantaggio è che la fidelizzazione del pubblico si viene a creare grazie al

network sui libri], dalla passione di quasi una ventina di ragazze che amano leggere e scrivere. Qui
troverete pezzi di noi: recensioni, racconti, poesie, impressioni sull'attualità, scritti sui nostri
interessi, tutto rigorosamente al femminile. Ognuna di noi è libera di scrivere quello che crede,
soffermandosi sugli argomenti più disparati, ma se pensate di trovare resoconti di tragedie da
unghie spezzate, buchi nelle calze o vite rosashocking non è il posto per voi. Questo è il nostro
condominio letterario, benvenuti”.
217
A. Papuzzi, Professione giornalista, Donzelli, Roma, 2003, p. 171

146
dialogo, tra giornalista e lettori, che si sviluppa grazie all’interattività dei
blog. Si viene a creare un dialogo interattivo pubblico e immediato che
accresce il senso comunitario tra un gruppo di lettori e il giornalista, che dal
canto suo può anche capire quali sono i temi più stimolanti per il pubblico
che lo segue con maggiore frequenza.
4.2 Problema della credibilità: il blogging è vero giornalismo?
“Quando un blogger intervista un autore
a proposito del suo libro, questo è giornalismo.
Quando un opinionista manipola i fatti per
costruire una falsa impressione, non lo è.
Quando un blogger fa una ricerca negli archivi pubblici
e scopre che l’affermazione di un personaggio
pubblico non è vera, questo è giornalismo.
Quando un reporter ripete le dichiarazioni di un
politico senza prima verificare se corrispondono
alla realtà, non lo è.”
Rebecca Blood

Il mondo del giornalismo nei paesi sviluppati, ormai da un paio di


anni, si trova in un momento della sua storia in cui la propria egemonia nel
mondo dell’informazione è minacciata non solo dalla concorrenza e dalle
nuove tecnologie, ma dal suo stesso pubblico. Quello che sta avvenendo è
un cambiamento enorme nell’equilibrio di forze tra i fornitori di contenuti e
consumatori di contenuti. Questo non deve spaventare o preoccupare i
professionisti dell’informazione, perché è indiscutibile la loro essenzialità
nelle società democratiche: devono rendersi conto che l’informazione non è
più quella di una volta, ed è necessario aprirsi all’innovazione e al pubblico
attivo, se si vuole continuare ad esercitare quel ruolo fondamentale che
l’informazione ricopre nella società odierna.
I blog sono una nuova avventura per il giornalismo. In rete, e tra
molti osservatori attenti del fenomeno blog, circola l’idea secondo cui

147
l’attività di blogging abbatte le barriere d’accesso all’informazione
aumentandone la quantità e, di conseguenza, il tasso di pluralismo e libertà.
I giornalisti, come è successo anche di fronte al fenomeno internet,
nel giudicare i blog e le loro funzioni si sono divisi tra “apocalittici” ed
“integrati”, ovvero tra coloro che, vedendo minacciato il loro monopolio
nel mondo dell’informazione li criticano e coloro che pensano sia giusto
cercare di comprendere ed utilizzare questi nuovi strumenti
dell’informazione e farli collaborare, creando una stretta sinergia, con le
risorse giornalistiche tradizionali. Tra i critici la maggior parte sono i
giornalisti con qualche anno di esperienza in più o quelli che hanno ancora
una visione “nostalgica” del mestiere e guardano ai blog come a dei
prodotti autoreferenziali, frutto “di lavoro amatoriale di persone prive di
competenza”218.
Quello che è certo è che i blog stanno cambiando il nostro rapporto
con l’informazione. Eppure, di fronte ad una straordinaria occasione per il
loro lavoro, molti professionisti del settore sembrano riluttanti. Anche se
all’interno di diverse testate sono stati creati dei blog delle firme più
importanti, il modo in cui i media mainstream sembrano approcciarsi al
fenomeno blog è molto discutibile poiché non ne sfrutta le potenzialità. In
molte testate questo strumento sembra essere usato più per aumentare la
visibilità e gli spazi pubblicitari della testata piuttosto che per fare
informazione. E’ altresì vero che diversi giornalisti comprendono il valore
di questo nuovo strumento, il suo potere e le sue capacità. Ma anche in
questi casi il lavoro di informazione che il professionista fa tramite il suo
blog rimane al di fuori delle redazioni ufficiali, anche se il blog è ospitato in
una piattaforma per blogging creata dall’editore del giornale per cui lavora.

218
C. Baldi, R. Zarriello, op. cit., p. 116

148
Ragionando sull’eventualità che il blogging sia o no una forma di
giornalismo, non è consigliabile valutare i contenuti dei singoli blog in
quanto si rischia di entrare in un labirinto da cui diventa difficile uscire. La
causa di ciò è che, non essendo catalogabili secondo i contenuti, è anche
difficile giudicare a priori la qualità di ciò che contengono. E’ vero che i
giornalisti professionisti hanno un più facile accesso (anche se si sta
riducendo) alle fonti primarie dell’informazione rispetto ad un non
professionista. E’ anche vero, però, che un esperto di una determinata
materia ne saprà sicuramente di più di un giornalista che cerca del materiale
per scrivere un pezzo, magari su un argomento che non conosce neanche. A
questo punto, quello che conta davvero sono le pratiche dei blogger e dei
giornalisti. Lo suggerisce il testo di Rebecca Blood che apre questo
paragrafo: le regole che deve osservare un giornalista nell’esercizio della
sua professione possono essere messe in pratica anche da un non
professionista. A questo punto, è il risultato che conta. Se un blogger ha
fatto bene il lavoro del giornalista, pur non essendo quello il suo mestiere, il
risultato ultimo è un prodotto giornalistico, una notizia: buona
informazione. I blogger fanno informazione ed opinione ma, molti di loro,
non sono giornalisti. I due mondi tendono naturalmente a mescolarsi
sempre più. Capita sempre più spesso che molti giornalisti professionisti
aprano dei blog personali, ma capita anche che sempre più spesso diversi
blogger di qualità diventino dei giornalisti professionisti chiamati a lavorare
per grandi redazioni. Jay Rosen, professore di giornalismo della New York
University e autore, nel 2001, del libro “A cosa servono i giornalisti?”
sostiene che i blog stanno confluendo nel giornalismo. Dopo aver passato
una fase di critica radicale nei confronti dei blog, adesso i professionisti
dell’informazione iniziano ad adattarsi molto bene a questo nuovo “modello

149
di giornalismo”. La ragione che sta alla base di questo processo, secondo
Rosen, è che “il blogger ideale è chi ha competenze giornalistiche”219.
Questi due mondi che si intersecano sempre più non lasciano
immutati i propri mondi di appartenenza. Blogosfera e informazione
tradizionale si influenzano a vicenda, seppur non creando un genere di
scrittura vero e proprio. Il mondo dell’informazione che si sta formando in
questa epoca storica è troppo eterogeneo perché se ne possa dare una
definizione chiara e univoca, almeno per ora. Secondo Granieri, infatti, i
blog “non sono giornalismo. Informano, ma non sono giornalismo come lo
conosciamo noi, anche quando a tenere un weblog è un professionista
riconosciuto dall’ordine. Così come, pur raccontandoci storie, i weblog non
sono un genere letterario”220. Certamente, però, il blog è uno strumento
ulteriore che permette la circolazione delle informazioni. Ciò non toglie che
i giornalisti abbiano un grande interesse nel consultare la blogosfera, non
solo perché possono scoprire storie e nozioni che non conoscevano, ma
anche perché possono tastare gli umori di un folto gruppo di persone ed
esperti in determinati settori e anche capire cosa cattura l’attenzione e le
discussioni dei grandi hub e del popolo che vi si connette. Il risultato di
questo processo è l’ingresso della blogosfera nel circolo in cui si formano le
rappresentazioni del mondo. Il Italia questa è ancora una prospettiva
abbastanza lontana, ma la strada è stata ormai intrapresa e, viste le
dimensioni del fenomeno, sarà impossibile tornare indietro.
Uno dei pilastri delle critiche al blogging riguarda la credibilità e la
veridicità dei contenuti che i singoli blog veicolano, in particolare per
quanto riguarda l’aspetto informativo. Fin quando si tratta di racconti
personali, infatti, importa poco quanto siano veritieri, a meno che non
219
In D. Kline, D. Burstein, Blog! La rivoluzione dell’informazione in politica, economia e
cultura, Sperling & Kupfer, Milano, 2005, p. 277
220
G. Granieri, op. cit., p. 28

150
ledano i diritti di altri individui. La questione dell’attendibilità è invece
cruciale nell’ambito specifico dell’informazione.
Come può un non professionista dell’informazione pretendere di
essere credibile alla stessa maniera di un professionista, che ha compiuto
studi ed esperienze specifiche e che, quando esercita al meglio il suo
mestiere, segue delle regole deontologiche e ha dei precisi fondamenti etici
da rispettare? Questa argomento verrà trattato più in profondità in seguito.
Per adesso basti dire che, anche riguardo a questo aspetto critico della
blogosfera, internet stesso sembra fornire i rimedi al suo stesso interno. Dan
Gillmor, giornalista statunitense, blogger e autore di We the media sostiene
che “l’autorevolezza di una notizia aumenta con i link al miglior materiale
originale cui ci siamo ispirati”; inoltre, “possiamo anche aumentare la
nostra credibilità prestando attenzione alle critiche online”221. Arricchire un
articolo di link a fonti e documenti che possano sostenere il contenuto
dell’articolo stesso rende trasparenti le motivazioni e i procedimenti che
hanno portato all’elaborazione di quel post. Gillmor sottopone ai lettori del
suo blog le bozze dei suoi articoli e molto spesso rileva che questi possono
essere migliorati grazie ai feedback che riceve da parte dei suoi lettori. La
grande lezione che arriva da questo metodo è la capacità di costruire
l’autorevolezza delle proprie informazioni grazie all’umiltà necessaria per
ascoltare e condividere che è tipica della blogosfera.
I blog hanno il vantaggio, nei confronti dei media tradizionali,
quotidiani e Tv su tutti, di poter sfruttare l’immediatezza della
pubblicazione. Questo consente ad un blogger che ha uno scoop per le mani
di anticipare sul tempo le redazioni tradizionali. Di solito le notizie passano
prima dai canali tradizionali d’informazione per poi essere commentate e
discusse dalla e nella blogosfera. Sempre più spesso, però, i blog riescono
221
Cit. in G. Granieri, op. cit., p. 118

151
ad attrarre un grande pubblico nello spazio di tempo che va dalla
pubblicazione sul blog della notizia fin quando questa non venga trattata da
un notiziario televisivo o da un quotidiano nazionale. Un esempio pratico è
l’incredibile (neanche troppo, se pensiamo alle potenzialità del mezzo)
vicenda che ha visto protagonista il blogger Alberto Falossi, che in meno di
24 ore ha visto aumentare il numero di lettori unici del suo blog da un
centinaio a più di 60.000. Questo imprevisto successo del suo blog
www.albertofalossi.com è dovuto alla tempestività con la quale ha segnalato
la notizia della pubblicazione online, da parte dell’Agenzia delle Entrate,
dei redditi dichiarati dagli italiani nel 2005 prima ancora dei giornali online.
La vicenda è diventata di pubblico dominio dopo che Alberto, accortosi di
aver pubblicato una notizia non ripresa da nessun notiziario online, ha fatto
partire un passaparola online tra amici e siti di social networking222. Il
risultato è stato un’impennata vertiginosa di visite al suo blog che gli hanno
permesso di acquisire, seppur momentaneamente, una certa visibilità non
solo in rete ma anche tra i media mainstream in quanto è stato invitato, per
esempio, a partecipare ad una trasmissione serale di una rete Mediaset, che
si occupa di approfondimenti su temi di attualità e politica, dedicata proprio
sulla sua vicenda223. Senza contare che la notizia della pubblicazione online
dei redditi ha occupato per diversi giorni le prime pagine di tutti i giornali i
quali, è evidente, hanno preso un buco da un singolo individuo che non è
neanche un giornalista professionista. Gli ipercritici della blogosfera
potrebbero obiettare che potrebbe essere stata solo una questione di fortuna
legata al fatto che il blogger ha preso visione dell’accaduto prima dei
giornalisti, per cui ha avuto tutto il tempo per batterli in velocità sapendosi
222
Tutta la vicenda nei suoi particolari è stata ricostruita dal blogger stesso sul suo blog
all’indirizzo: http://www.albertofalossi.com/post/Famoso-Passparola-Buzz-Marketing-
Traffico.aspx
223
La trasmissione in questione è Matrix, che va in onda su Canale 5 in seconda serata ed è
condotta da Enrico Mentana.

152
muovere bene nel passaparola del web.
A smentire questo genere di critiche sulla capacità della blogosfera
di fare il lavoro del giornalista, a volte anche meglio, è il caso Calipari, lo
007 italiano ucciso dai soldati americani durante la liberazione della
giornalista de il Manifesto Giuliana Sgrena. I blog hanno portato alla luce
un aspetto della vicenda che i media tradizionali non erano stati in grado di
evidenziare. Uno dei documenti rilasciati dalle autorità americane sui fatti
legati alla morte dello 007 era costituito da un file di cui erano stati oscurati
alcuni passaggi. E’ stato possibile, grazie ad una semplice operazione
informatica, rivelarne il testo nascosto. Il ruolo dei blog è stato
determinante: la notizia, inizialmente pubblicata su un blog poco
conosciuto, è stata poi ripresa da un noto blog politico italiano,
Macchianera224. Da lì è passata sui media tradizionali ed è arrivata al
grande pubblico. A fronte di questo esempio, l’unica critica che può essere
avanzata non è tanto se i blog possono fare informazione o meno, quanto
che il messaggio, per approdare al grande pubblico, deve necessariamente
passare per un blog il cui numero di frequentatori è molto alto. Anche di
fronte a questa critica, però, si può dimostrare che non è sempre così. Basti
pensare al primo esempio riportato, quello di Alberto Falossi, al quale, per
balzare “agli onori della cronaca” dal suo piccolo blog, è bastato sapersi
cimentare nell’attività del passaparola sul web.
In conclusione, casi di questo genere sono destinati a moltiplicarsi
soprattutto in Italia, dove la rete non gode ancora a pieno dell’interesse dei

224
http://www.macchianera.net

153
professionisti dell’informazione225, ma ha la forza per imporsi
all’attenzione del grande pubblico.
Resta comunque importante non prendere per oro colato tutto ciò che
esce dalla blogosfera. In quanto medium aperto alla partecipazione di
chiunque, il blog può essere usato ad arte per screditare in maniera subdola
e anonima avversari politici o aziende concorrenti o personaggi pubblici. In
questo i lettori devono fare molta attenzione alle motivazioni e alle fonti
che vengono utilizzate per argomentare certe notizie. D’altronde qui entra
in campo uno dei precetti fondamentali della professione giornalistica,
ovvero l’accurata verifica delle fonti, in assenza della quale una notizia non
può essere data come vera. Si tratta, peraltro, della stessa scrupolosa
attenzione che dovrebbe essere rivolta ai media tradizionali.
In definitiva i due mondi tendono ad intersecarsi e, sempre più
spesso, a collaborare per diffondere maggiori informazioni e per garantirne
la veridicità.

Aggregatori di blog
Una modalità particolare di fare informazione nella blogosfera
consiste nell’aggregare un certo numero di blog all’interno di un unico
contenitore web, i cui contenuti si aggiornano automaticamente in base
all’aggiornamento dei singoli blog che ne fanno parte. Il funzionamento di
questi strumenti differisce caso per caso, anche se si può riscontrare quasi
sempre il principio della volontarietà nel farne parte. Ovvero, è il blogger

225
A tal proposito ricordo una puntata di un anno fa circa del programma, condotto da Bruno
Vespa, Porta a Porta sui pericoli della blogosfera in cui si è giunti a sostenere, con l’aiuto di
facoltosi ospiti in studio, che tramite i blog si diventa pericolosi maniaci sessuali con tendenze alla
pedofilia o, in alternativa, pericolosi sovversivi e terroristi. Questo caso è unanimemente
riconosciuto e citato nella blogosfera come esempio di ignoranza sui nuovi media e di pessima
informazione. Basta andare su internet e leggere dei blog a caso per rendersi conto della falsità
delle conclusioni a cui si giunse in quel programma televisivo.

154
che decide di iscrivere il proprio blog in un aggregatore. Ogni volta che il
blog personale verrà aggiornato, sulla home page dell’aggregatore apparirà
l’aggiornamento nel settore di competenza e cliccando sul titolo del post si
potrà leggere tutto l’articolo. Giuseppe Granieri, autore di Blog generation,
ha realizzato un progetto in tal senso che si chiama, appunto, Blog
Aggregator226. Non bisogna essere giornalisti-blogger per accedere a questo
aggregatore di contenuti. Bisogna esserlo, invece, per far parte di un altro
progetto tutto italiano di microeditoria che si chiama Social Network
Portal227, che aggrega contenuti di pagine personali e blog di giornalisti i
cui contenuti sono suddivisi in base agli argomenti specialistici trattati da
ogni giornalista. Il meccanismo è semplice: sulla home page di Ecomatrix
(così si chiama la testata) figurano le ultime notizie, aggregate a mano a
mano che vengono pubblicate sui rispettivi siti o di News locali (per ora
Milano, Roma e Torino), oppure sui vari canali tematici (arte, ambiente,
agroalimentare, auto e motori, e così via) che confluiscono nel network.
“Non ci sono costi per il giornalista-editore né per lo sviluppo del portale,
né per la registrazione del nome di dominio”, spiegano i responsabili del
Network, che “autofinanzia la nascita di nuovi canali con il 50% dei
proventi pubblicitari. I ricavi pubblicitari sono percepiti dal giornalista per
il restante 50%”228. L’iniziativa fa capo a Eagemedia S.r.l., che funziona da
concessionaria pubblicitaria esclusiva e fornitore della piattaforma
tecnologica.
Questo genere di aggregatori di contenuti di blog e pagine personali
assomiglia molto (se non lo è in maniera effettiva) ad un micro-network
sociale in rete, dove la produzione e l’arricchimento dei contenuti veicolati

226
http://www.bookcafe.net/blog/filter/default.cfm
227
http://www.ecomatrix.it/
228
http://www.lsdi.it/2008/05/31/social-network-portal-un-esperimento-di-icroeditoria-online/

155
si sviluppa sulla base dei principi di cooperazione tipici delle società con
struttura a rete.
Molti aggregatori non prevedono l’iscrizione volontaria da parte di
blogger o giornalisti, bensì sono strutturati in base a delle scelte operate
sulla base di linee editoriali precise. L’esperimento più importante in questo
senso nel mondo è, senza dubbio, quello di Global Voices 229. Si tratta di un
aggregatore internazionale di blog fondato dal Bergman Center for Internet
& Society dell’università di Harvard, negli Stati Uniti, per iniziativa di
alcuni ricercatori, tra cui Rebecca MacKinnon ed Ethan Zuckerman. Il
progetto mette insieme i migliori blog di informazione del pianeta,
suddivisi per aree geografiche e paese. Gli articoli e i post aggregati
vengono tradotti in diverse lingue230. Il lavoro di chi cura questi siti e ne
traduce i contenuti è basato sull’assoluta volontarietà di chi vi partecipa,
con l’obiettivo di evitare che alcune storie provenienti dalle parti più
disparate del mondo vengano perse tra gli enormi flussi di informazione che
caratterizzano la nostra epoca storica. In genere, i giornalisti conoscono le
realtà dei paesi di cui parlano nei loro articoli in base a ciò che leggono sui
giornali, libri o riviste o dai colleghi che sono inviati sul posto. Con Global
Voices, invece, la conoscenza dei luoghi in questione si forma in base alle
voci di chi in questi posti ci vive e ne mantiene viva l’informazione. E’
quasi superfluo affermare che questo progetto è tanto più utile quando si
tratta di fatti e argomenti che riguardano paesi dove i governi praticano la
censura e la libertà d’informazione è ancora un’utopia. Ricevere voci
direttamente da chi vive in questi luoghi contribuisce a chiarirsi le idee al
riguardo, che spesso sono offuscate da una pratica giornalistica non sempre

229
http://globalvoicesonline.org/
230
Tra gli ultimi giorni del mese di maggio e i primi di giugno prenderà il via anche la pagina in
lingua italiana del progetto, curata da Bernardo Parrella: http://it.globalvoicesonline.org/

156
completa e corretta nella ricerca e verifica delle fonti231 anche nei paesi
democratici.
Un ulteriore esempio di aggregatore di blog è l’esperimento
Nova100232 dell’inserto Nova24 del quotidiano economico Sole24Ore. Di
questo esperimento tratterò più dettagliatamente nel prossimo capitolo, qui
mi limito ad accennare ad alcune sue peculiarità. Prima di tutto è un
progetto partito da una redazione di un quotidiano cartaceo e di un suo
inserto settimanale, sempre cartaceo. Inoltre non prevede l’adesione
volontaria dei blogger, bensì questi vengono chiamati a tenere un blog
all’interno della piattaforma, per cui non rispondono ad uno stimolo
volontario di partecipazione e questo si può notare nella scarsa
pubblicazione di contenuti da parte di alcuni di essi. Più avanti avrò modo
di scendere nei particolari.
Risulta abbastanza evidente che gli aggregatori di blog e spazi web
personali, siano essi giornalisti professionisti o citizen journalists,
costituiscono una modalità di informazione che davvero può competere ed
essere all’altezza di una testata giornalistica tradizionale. Questo perché
vengono aggregati contenuti, opinioni, sensibilità e conoscenze multiple e
diverse che concorrono, se messe insieme, a definire un prodotto
informativo completo233 ed efficiente nel trattare le diverse tematiche di cui
si occupa chi vi partecipa. In fondo, le redazioni giornalistiche possono
essere considerate come degli “aggregatori di giornalisti professionisti” che
seguono una linea editoriale predefinita.

231
Il progetto Global Voices può essere equiparato, con tutte le dovute distinzioni, alla rivista
Internazionale (http://www.internazionale.it/home/) che raccoglie i contenuti della stampa estera in
un settimanale su carta. La differenza principale è il supporto informativo diverso che usano i due
soggetti, Global Voices internet e i blog; Internazionale la carta stampata e le testate tradizionali.
232
http://www.nova100.ilsole24ore.com/
233
Sia per quanto riguarda la molteplicità degli argomenti e delle tematiche trattate, sia per quel
che riguarda lo spettro delle opinioni possibili su un determinato argomento.

157
Se assumiamo che l’attività di blogging consiste nel fare
informazione ed opinione e riteniamo che un buon esercizio di questa
pratica possa essere equiparato al buon esercizio della pratica giornalistica
professionale, allora va da sé che i due soggetti informativi sono molto
simili, pur se permangono un certo numero di differenze sostanziali. In
primo luogo, le redazioni tradizionali hanno anche l’obbligo di riuscire a
mantenersi economicamente, mentre gli aggregatori di blog possono
usufruire di diverse forme di finanziamento, ma questo non è strettamente
necessario in quanto essi si basano sul lavoro volontario di chi vi partecipa.
In secondo luogo, una redazione deve sempre rispondere ad una linea
editoriale che non sempre consente al giornalista di esercitare in pieno le
sue capacità e rischia di opprimerne la libertà in alcuni casi. Non è un caso
se sempre più giornalisti si spostano sul web volontariamente per esercitare
la parte più libera del proprio lavoro.
Se i blog, singolarmente intesi, possono considerarsi come delle
buone occasioni per il mondo del giornalismo professionistico di
implementare la collaborazione con i lettori senza porsi in maniera
concorrenziale nei loro confronti, lo stesso non può dirsi per gli
aggregatori. Certamente, questi possono essere consultati dai giornalisti
nell’esercizio della loro professione, che possono anche parteciparvi. Se,
però, paragoniamo il prodotto editoriale in rete di una redazione
tradizionale al prodotto ultimo che risulta da un aggregatore di blog,
possiamo notare che il risultato è davvero simile. I contenuti prodotti dai
cittadini e aggregati in siti unici possono davvero creare effettiva
concorrenza alle grandi redazioni. Il vantaggio primario degli aggregatori è
che non hanno bisogno di trattenere il più possibile i lettori per “offrirli”

158
agli inserzionisti, al contrario delle testate tradizionali che basano la loro
esistenza proprio su questa priorità.

4.3 I cani da guardia dell’informazione


“E’ cosa buona e giusta che i mass media
possano essere criticati. E’ una delle grandi
prerogative del blogging, e penso che possa
essere solo un bene per la democrazia
in generale.”
Roger L. Simon

Se i mass media per definizione hanno il compito di decodificare,


selezionare e diffondere le notizie, “nella blogosfera la redazione collettiva
ne rielabora l’input, lo socializza, lo approfondisce, a volte lo fa a pezzi,
altre volte lo rimanda indietro arricchito”234.
La blogosfera in molti paesi industrializzati, e anche in quelli in via
di sviluppo, sta cominciando ad imporre le proprie priorità nell’attenzione
da assegnare agli eventi raccontati dai media mainstream, grazie ad una
forte interrelazione che sempre di più si sta venendo a creare tra blogosfera
e mediasfera.
Quando questa relazione non sortisce buoni risultati, la blogosfera
riesce sempre più ad imporre e coinvolgere l’opinione pubblica, senza
usufruire di passaggi mediatici mainstream. I blogger stanno ponendo in
essere un vero e proprio giornalismo civico dal basso (grassroots)
raccogliendo, divulgando, analizzando e raccontando storie e notizie che
non sempre sono trattate dalle testate tradizionali. Il risultato di questa
attività è che la blogosfera sta acquisendo la forza di influire sull’agenda

234
G. Granieri, op. cit., p. 116

159
setting235 dei cittadini. Secondo Nick Denton, fondatore di Gawker Media236
i blog “non potranno sostituire il New York Times nella sua funzione […] I
weblog non hanno le risorse per un lavoro del genere […] non credo che i
blog cambieranno la struttura del giornalismo così com’è oggi, in qualche
modo soppianteranno sicuramente la funzione editoriale e cioè il ruolo che
ha il New York Times nella scelta di ciò che va in prima pagina […] i blog
finiranno per influenzare più la selezione delle notizie che la gestione degli
articoli”237.
Anche in questo caso, con riferimento specifico all’Italia, è possibile
citare l’esempio di Beppe Grillo che, con le sue iniziative, riesce a
mobilitare centinaia di migliaia di persone in maniera non strutturata, ma
intorno a singoli argomenti di interesse nazionale che trovano davvero poco
spazio nel mondo dell’informazione mainstream (soprattutto quando
assume posizioni critiche nei confronti del mondo della stampa). La sua
capacità di mobilitazione e il suo successo non scaturiscono solo dalla sua
forza comunicativa, ma, soprattutto, dal passaparola dei suoi lettori e
blogger che partecipano, diffondono e amplificano, arricchendoli, i
contenuti proposti da www.beppegrillo.it, per poi giungere all’attenzione dei
mass media solo durante il culmine del “fenomeno”.
L’informazione diffusa da TV, radio e giornali viene utilizzata spesso
come base delle discussioni in molti blog. Le informazioni vengono
dibattute, vagliate e analizzate con un approccio che è sempre critico, ma
costruttivo: lo stesso approccio che dovrebbe caratterizzare l’azione dei
giornalisti nei confronti dei poteri forti, anche se questa è una pratica che
avviene sempre più raramente nei media mainstream.
235
Agenda setting è un concetto sociologico che indica la capacità dei media di influire sulla
selezione e, quindi, sulla scelta dei temi di interesse pubblico su cui l’opinione pubblica dirige le
proprie attenzioni.
236
http://gawker.com/
237
D. Kline, D. Burstein, op. cit., p. 131

160
L’opinionista o il cronista di una testata sono sempre più “costretti”
ad osservare e seguire nella blogosfera le discussioni riguardanti le loro
notizie. Questa pratica si chiama watchblogging. Ci sono redazioni come la
Online Journalism Review238 che hanno inserito la pratica di consultazione
dei blog nella procedura standard del lavoro giornalistico in redazione.
Bisogna però sottolineare che l’O.J.R. è una rivista specializzata sul
giornalismo e i media digitali.
Secondo un’indagine, svolta nel 2005 negli Stati Uniti e rivolta a
1200 giornalisti professionisti, l’uso dei blog come fonte di informazione è
piuttosto diffusa, ma la loro credibilità viene considerata molto bassa. La
ragione principale per cui più della metà dei giornalisti americani legge dei
blog è perché ha la necessità di trovare storie originali, di cercare
riferimenti e di trovare nuove fonti. In generale, sembra che i giornalisti
americani siano coscienti del momento di trasformazione in cui si trovano e
considerino i blog come parte, ormai consolidata, del mondo dei media239.
Molta gente negli ultimi anni, soprattutto nei paesi occidentali, ha
perso fiducia nell’informazione tradizionale e quindi la commenta e la
ridiscute secondo i propri punti di vista. Per un giornalista seguire le
critiche al proprio lavoro non può che essere una pratica che ne accresce la
consapevolezza ed inoltre è strategica nella produzione di informazioni
future.
Il futuro dei rapporti tra mass media e blogosfera è senza dubbio
nella collaborazione attiva tra questi due mondi. I blogger contano ancora
moltissimo sui media mainstream per tenersi informati sugli eventi cruciali
del mondo, confrontandone i resoconti con le voci di protagonisti o
osservatori non professionisti. I blogger continuano a riportare le notizie
238
www.ojr.org
239
M. Farè, Blog e giornalismo, l’era della complementarietà, European journalism observatory,
Facoltà Scienze della comunicazione dell’Università della Svizzera Italiana, 2006

161
che leggono in siti e blog di informazioni, ma arricchiscono il lavoro del
cronista con idee, opinioni, ironia e collegamenti al contesto. Così facendo
si viene a creare una sorta di simbiosi tra questi due mondi
dell’informazione. Il primo esercita il lavoro di cronaca originale, mentre il
secondo costruisce il contesto sociale e culturale nel quale calare
l’avvenimento di cronaca240. A volte i blog possono essere anche utili per
dare una visione più completa di un evento, arricchendola di punti di vista o
di racconti in prima persona.

4.4Una crescita esponenziale


Una ricerca del Pew Internet and American Life Project del 2004,
citata da Granieri nel suo Blog generation, indica in una cinquantina di
milioni i lettori regolari di blog. Sempre secondo questa ricerca, ogni
giorno vengono creati circa 15.000 blog e ogni ora ne vengono aggiornati
circa 10.800 tra quelli già esistenti; ogni sei mesi il numero di blog nel
mondo tende a raddoppiare.
Questi numeri probabilmente sono approssimati per difetto, vista
l’estrema difficoltà di misurazione e di conteggio effettivo di tutti i blog
della rete, ma i trend di crescita sono decisamente eloquenti. Anche
considerando che non tutti i blog sono aggiornati con la stessa frequenza e
che diversi vengono aperti ma mai “iniziati”, oppure abbandonati dopo
poco tempo, la loro crescita numerica non può che evidenziare una
diffusione sempre più capillare di questi strumenti in tutto il mondo. Molte
volte coloro che abbandonano all’inizio un blog hanno solo rimandato il
loro ingresso nella blogosfera.

240
D. Kline, D. Burstein, op. cit., p. 195

162
Secondo Technorati, il motore di ricerca specializzato in blog,
nell’aprile 2007 i blog presenti sulla rete erano più di 70 milioni (le stime
possono essere valutate per difetto in quanto per essere conteggiati dal
motore di ricerca bisogna iscriversi e non tutti i blogger lo fanno) con la
nascita di circa 120.000 nuovi blog ogni giorno. Nel 2007 si è registrato
però un rallentamento dell’espansione del loro numero: se nel periodo che
va dal 2003 fino al 2006 il numero di blog raddoppiava ogni sei mesi circa,
nell’ultimo anno (risulta dall’indagine) il loro numero per raddoppiare ha
avuto bisogno di 320 giorni. Questo dal punto di vista statistico, ma dal
punto di vista dei numeri in valore assoluto è chiaro che più grande è il
numero di partenza più tempo ci vuole perché raddoppi. Continuando a
leggere i dati del rapporto si evince che vengono pubblicati circa 58.000
post ogni ora per un totale di circa 1,4 milioni di nuovi post al giorno.
All’interno di questa marea in costante crescita di blog va, però, anche
segnalata l’onda anomala dei cosiddetti splog, blog falsi o di spam, che
hanno una “natalità” che si aggira dai 3000 ai 7000 creati ogni giorno.
Per quanto riguarda la popolarità dei blog e degli aggregatori di blog,
nell’aprile 2007, tra i 50 siti internet dedicati all’informazione più visitati in
assoluto nel mondo, ben 9 erano blog. In Italia, l’indirizzo internet più
visitato in assoluto nel campo dell’informazione è stato, ed è tuttora, il blog
di Beppe Grillo, seguito dal sito de “laRepubblica.it”. Il blog dell’ex
comico rientra anche nella graduatoria mondiale dei 100 siti d’informazione
più visitati, collocandosi, nel 2007, al centesimo posto, posizione più alta
rispetto a qualunque altro media italiano.
La lingua più parlata nella blogosfera è il giapponese, che
caratterizza il 37% dei blog mondiali, la seconda lingua è l’inglese con il
33%, mentre al terzo posto troviamo i blog di lingua cinese che sono l’8%

163
del totale. La lingua Italiana è utilizzata per il 3% del numero totale di blog,
un valore più alto dello spagnolo e di un punto percentuale più alto rispetto
al francese. Questo a dimostrazione che nel nostro paese il fenomeno
dell’espansione dei blog è davvero importante. L’italiano è di fatto la quarta
lingua in assoluto parlata nella blogosfera, secondo Technorati, a fronte di
una popolazione decisamente minore rispetto ad altri ceppi linguistici, quali
lo spagnolo e il francese che sono molto più diffusi tra la popolazione
mondiale241.
La blogosfera è un mondo di informazioni e contenuti che è
inesorabilmente destinato a crescere nei prossimi anni sempre di più, anche
grazie all’espansione dei paesi in via di sviluppo come la Cina e l’India.
Per quanto riguarda le società occidentali, secondo Dan Burstein: “Il
numero dei blogger continuerà a crescere poiché, nelle società in cui
viviamo, sono numericamente in espansione i lavoratori intellettuali. Le
nostre società complesse, sofisticate e post moderne producono vaste
schiere di individui colti, versati al pensiero critico e interessati a sviluppare
nuove idee e a partecipare alla loro discussione”242.

4.5Nodi legati alle questioni giuridiche ed etiche


Siano essi singoli o aggregati, nemici o collaboratori dei giornali,
ormai è chiaro che i blog di informazione possono essere introdotti nel
novero delle fonti informative della nostra epoca. La blogosfera, quindi, è
uno strumento d’informazione in più che l’individuo ha a disposizione per
esercitare il diritto alla libertà di parola e per vedere soddisfatto un altro dei
diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino qual è quello della libertà

241
L’intero rapporto in lingua inglese è consultabile al seguente link:
http://www.sifry.com/alerts/archives/000493.html
242
D. Kline, D. Burstein, op. cit., p. XXVII

164
d’informazione. In Italia la Costituzione repubblicana difende questo
diritto nel suo art. 21: “Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero
con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Possiamo ben
dire che con i blog viene data effettiva realizzazione a questo diritto (salvo
le eccezioni derivanti dal digital divide e da gap culturali243) nella maniera
più ampia che la società abbia mai conosciuto. Se fino a pochi anni fa la
libertà di espressione era nelle mani dei mass media adesso può
concretamente essere nella mani dei singoli cittadini. Anche se, come
abbiamo visto, non tutti i blog saranno seguiti da grandi pubblici, per lo
meno vi è la concreta possibilità che questo succeda: una eventualità che
fino a qualche anno fa era praticamente impossibile da ipotizzare.
In Italia esiste una legge che regolamenta la libertà di stampa su
internet, ma è riferita esclusivamente a quelle voci che rappresentano una
testata giornalistica a tutti gli effetti e che vogliono attingere ai
finanziamenti pubblici per esercitare il proprio lavoro. La legge in
questione è stata già citata nel secondo capitolo ed è la legge n. 62 del 2001
sulle “nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali”.
I blog non possono essere considerati dei prodotti editoriali in base
alla definizione che ne dà la legge in vigore, per cui è un dato di fatto che la
blogosfera non è regolata da nessun dispositivo di legge. Secondo quasi
tutti gli esperti e gli analisti del settore, la blogosfera sa autoregolamentarsi
per cui non è necessario che la politica crei delle norme ad hoc, anche
perché, e lo sostengono in molti, i detentori del potere politico, salvo rare
eccezioni, pagano anch’essi una sorta di digital divide nei confronti del
mondo online di cui non conoscono né le peculiarità né le potenzialità.
I blogger, essendo liberi cittadini che esprimono la propria opinione
tramite un medium digitale, sottostanno alle norme che regolano la condotta
243
Tratterò di questi argomenti nella conclusione.

165
di tutti i cittadini, senza che vi sia bisogno di considerarli degli organi di
informazione. Quindi, se un blogger commette un reato tramite il suo blog,
ne pagherà le conseguenze di fronte alla legge in quanto cittadino, senza
godere delle tutele giuridiche riservate ai giornalisti e senza dover subire
eventuali aggravanti “a mezzo stampa” o “a mezzo blog”, come nel caso
del reato di diffamazione, che risulta essere il pericolo legale maggiore per i
blogger.
Un discorso molto più complesso, invece, riguarda l’individuazione
della responsabilità, sempre rimanendo nel caso del reato di diffamazione,
nei casi in cui il blogger nel suo post non commetta il reato, ma qualcuno
possa farlo nei commenti aperti ai post. In questo caso è molto difficile
stabilire di chi sia la responsabilità diretta e oggettiva. Il blogger potrebbe
cancellare il prima possibile il commento incriminato, ma potrebbe
rischiare, altresì, di commettere un reato come “l’occultamento di prove” se
il caso viene ritenuto particolarmente grave244.
Il secondo vero problema legale che può impensierire la blogosfera
riguarda la delicata questione della tutela della privacy. Non essendo tutelati
come giornalisti, i blogger non possono difendere le loro posizioni dietro il
“diritto di cronaca” quando per noncuranza, o volontariamente, rendono
pubblici dei dati o delle immagini che possano essere lesive della privacy
dei diretti interessati. In questo caso è sicuramente la protezione dei dati
sensibili ad essere considerata come diritto primario rispetto al diritto alla
libertà di espressione.
Bisogna però ricordare che i blogger si guadagnano la stima della
blogosfera tramite la correttezza delle proprie azioni. Non c’è dubbio che in

244
E’ il caso, per esempio, di un blogger di Forlì che rischiò di essere denunciato, nel febbraio del
2008, in quanto aveva rimosso un commento molto offensivo (pare che contenesse delle minacce
di morte nei confronti di alcuni esponenti locali della Lega Nord) senza darne comunicazione alle
autorità competenti.

166
spazi così sterminati di contenuti ci sia spazio anche per criminali,
diffamatori e violatori della privacy: ma questi casi possono essere
considerati delle violazioni di norme che ricadono sulla responsabilità
individuale di chi commette il reato e non possono essere in alcun modo
collegate al mezzo tramite il quale il reato viene commesso. Insomma, se si
vuole essere rispettati e considerati dei buoni blogger, bisogna anche
adottare un comportamento non scritto in nessun codice deontologico, ma
che si basa sulla sensibilità sia individuale del blogger che su quella
collettiva della società di appartenenza.

Le fonti sono l’arma in più dei blogger


Trattando delle capacità informative dei blog ho finora sostenuto che
c’è una forte similitudine tra i risultati informativi dell’attività giornalistica,
intesa in senso tradizionale, e l’attività di blogging. Entrambi questi modelli
di comunicazione contribuiscono a fare informazione. Il primo in maniera
professionale, seguendo delle regole deontologiche ed etiche, il secondo
seguendo delle convenzioni che gli consentono di guadagnare credibilità e
buona reputazione agli occhi dei propri lettori. L’obiettivo delle due
pratiche è il medesimo: rendersi credibili agli occhi del proprio pubblico
facendo buona informazione, possibilmente raggiungendo un buon livello
di fidelizzazione del pubblico.
Esiste, però, una grande distinzione di fondo tra queste due modalità,
che affonda le sue radici nella pratica e nell’etica dei due differenti soggetti
in questione, i giornalisti e i blogger. Questa distinzione è tanto semplice da
osservare quanto incisiva nel distinguere radicalmente i due modi di fare
informazione in questione e riguarda l’uso delle fonti utilizzate nella
costruzione della notizia.

167
Ho accennato più volte, in precedenza, alla necessità per un blogger
che vuole conquistare credibilità in rete, di arricchire i propri articoli con le
fonti dirette consultate. Senza questi link, autorevoli e immediatamente
consultabili, sarà molto facile per i lettori dubitare delle informazioni
veicolate e screditarle agli occhi del resto della blogosfera. Per un blogger
che vuole conquistare credibilità agli occhi dei propri lettori (consuetudinari
o casuali) corredare i propri post con link alle fonti è quasi una pratica di
vita o di morte, nel senso che l’unico modo di mantenere e accrescere la
propria reputazione è quello di dimostrare che ciò che si è scritto ha dei
fondamenti concreti. Anche personaggi pubblici che aprono dei blog non
possono basare la loro credibilità sul proprio nome senza ricorrere a serie
fonti. In rete la reputazione non è mai acquisita, la si guadagna e accresce
col lavoro costante e trasparente e i link alle fonti sono lo strumento
principale di questa trasparenza. La capacità di un blogger di provare
l’attendibilità delle proprie opinioni o la veridicità delle notizie che veicola
risulta essere anche più incisiva rispetto a quanto avviene nelle grandi
organizzazioni economiche, aziendali e politiche, in quanto si basa sui fatti
e non sulla costruzione mediatica della realtà tipica dei media mainstream.
Nel 2004, ad esempio, la Kryptonite, azienda statunitense produttrice
di lucchetti per biciclette dal fatturato di circa 25 milioni di dollari annui,
uscì con le ossa rotte da 10 giorni di confronti con la comunità dei blogger
americani. Tutto cominciò il 12 settembre, quando il blogger Unaesthetic
postò un commento in un blog di discussione per appassionati di biciclette,
informandoli di una sua scoperta: con una semplice penna a sfera Bic era
possibile forzare i popolari lucchetti prodotti dalla Kryptonite utilizzati da
tantissimi appassionati. Questa notizia fu ripresa due giorni dopo da un blog
molto frequentato, dedicato alle tematiche del consumo (Engadget), il che

168
le consentì di raggiungere un pubblico abbastanza vasto da indurre
l’azienda ad emanare un classico comunicato stampa in cui si affermava
tutto e il contrario di tutto, sostenendo che i lucchetti costituivano ancora un
deterrente concreto ai furti di biciclette. Questo comunicato stampa non
fece cambiare idea a nessun lettore: anzi, un blogger, in risposta a questo
comunicato, realizzò un breve video amatoriale in cui mostrava nella
pratica come fosse facile forzare i famosi lucchetti con una penna Bic. In
poco tempo le critiche alla Kryptonite e il video amatoriale fecero il giro
della blogosfera propagandosi, tramite il passaparola, fino a raggiungere
una platea di centinaia di migliaia di lettori. Questa crescente protesta attirò
l’attenzione del New York Times e della Associated Press – arrivati, come
accade sempre più spesso ai media mainstream, in abbondante ritardo sulla
notizia – che il 17 settembre pubblicarono degli articoli sulla vicenda. Il 22
settembre l’azienda decise di dichiarare che avrebbe sostituito
gratuitamente tutti i lucchetti che avessero presentato il problema
denunciato dalla blogosfera. Ciò significò circa 100.000 lucchetti nuovi che
costarono all’impresa circa 10 milioni di dollari, ovvero il 40% del suo
fatturato totale annuo. Per l’azienda, dalle parole del suo direttore
marketing “fu un problema commerciale serio245.
Di questi esempi se ne potrebbero citare diversi, ma quello che serve
comprendere è l’importanza che viene data nella blogosfera alla necessità
di costruire i propri resoconti e le proprie opinioni su basi che siano solide e
provate. Più solide sono queste basi, più credibile sarà il blogger e
maggiore reputazione si guadagnerà all’interno della “grande
conversazione”.
La reputazione dei giornalisti, invece, non si basa sulla
pubblicazione delle fonti cui attingono per realizzare le notizie. Di solito un
245
D. Kline, D. Burstein, op. cit., p. 73

169
giornalista considerato di buon livello è una “firma autorevole” può dire e
scrivere di tutto e verrà sempre preso in alta considerazione dai colleghi e
dal pubblico della testata per cui lavora. Molto spesso questa reputazione è
stata costruita con l’esperienza e la dedizione al proprio lavoro, per cui
dopo una vita passata a lavorare sodo, un “grande giornalista” può
permettersi di scrivere e sostenere opinioni che spesso vengono prese per
vere e attendibili solo in base al nome che le ha veicolate. Lo stesso accade
se si considerano le testate giornalistiche e non la singola firma. Ogni
testata si è guadagnata e continua a guadagnarsi la propria credibilità e una
buona reputazione con il lavoro quotidiano e l’accuratezza nel raccontare i
fatti o nell’esprimere opinioni che siano il più autorevole possibile.
Certamente non sempre le notizie riportate o le opinioni espresse sono
basate su fatti “reali”, che non siano stati manipolati o concordati con la
proprietà editoriale della testata (sia essa politica o finanziaria). In un
mondo in cui sempre più documenti ufficiali e fonti di notizie pubbliche o
private vengono poste, tramite internet, all’attenzione di un pubblico
potenzialmente vastissimo, le storture e l’incompletezza del mondo
dell’informazione mainstream diventano sempre più evidenti e
riconoscibili. E’ chiaro che si tratta di casi singoli (anche se, a volte, molto
frequenti) e non della prassi del lavoro giornalistico: ma la regola
deontologica per cui i giornalisti hanno il diritto di tenere segreta la propria
fonte di informazione, se lo ritengono necessario, sta diventando
controproducente in relazione al mantenimento della reputazione di cui le
testate giornalistiche godono da parte del proprio pubblico. Tutti i dati
elaborati negli ultimi anni dimostrano come i lettori tendano sempre più a
distaccarsi dalla lettura dei quotidiani che ritengono sempre meno credibili,
e lo stesso vale per l’informazione veicolata dagli altri mass media. Questa

170
tendenza non riguarda solo i giovani sotto i 35 anni, che ormai preferiscono
di gran lunga informarsi in rete sia dalle testate tradizionali che dai blog più
importanti, ma anche i lettori tradizionali di giornali che sempre meno
riconoscono la bontà del loro operato.
In conclusione, è evidente come la sempre crescente attenzione dei
consumatori di informazioni verso la blogosfera prenda le mosse proprio da
questa differenza radicale nel modo di porsi nei confronti dei lettori. I
giornali, molto spesso, non citano le proprie fonti, circondando le notizie da
loro prodotte di un alone di insicurezza che viene percepita dal lettore,
soprattutto quando questi è in grado di confrontare le parole stampate con la
realtà dei fatti che si presenta ai suoi occhi. I blog, all’opposto, guadagnano
credibilità proprio perché i loro contenuti sono espressione diretta
dell’esperienza quotidiana di cittadini comuni i quali, per motivare le
proprie idee devono, pena il non essere creduti, dimostrarle nella maniera
più efficace possibile, non basandosi su un fantomatico prestigio
individuale, ma misurandosi costantemente con la prova dei fatti e del
confronto aperto con altri lettori.
E’ chiaro che non bisogna credere a priori a tutto ciò che si trova
scritto sui blog d’informazione, bisogna sempre esercitare uno spirito
critico nei confronti dei messaggi veicolati e bisogna cercare di
comprendere quali fonti sono da considerare più autorevoli e complete
rispetto alle altre. Certo è che il lettore che affronta questa pratica
comunicativa si carica di una responsabilità che gli consente di valutare in
maniera più autonoma ciò che legge, proprio perché nessun blogger può
avere l’arroganza di ritenere di possedere la verità assoluta, anche se deve
sempre dimostrare di volervisi avvicinare il più possibile. Infine, è possibile

171
sostenere che questa pratica mette in moto un meccanismo virtuoso che
sfocia in una maggiore trasparenza dell’informazione.

I blog non sono obiettivi ma garantiscono trasparenza


Il blogging è una delle tante forme di comunicazione che gli uomini
hanno a disposizione. La vera novità di questo strumento è che rende più
trasparente al mondo l’oggetto della comunicazione. Se il blogger non
rende pubbliche le sue motivazioni e le sue fonti, rendendole, se necessario,
direttamente consultabili tramite link esterni o interni, rischia di perdere
credibilità, oltre a correre il rischio, molto probabile, di essere smentito
pubblicamente o di ricevere forti critiche per aver provato a nascondere
degli aspetti della questione che ha trattato. Per questo motivo ogni blogger
deve non solo essere responsabile di quello che dice, ma anche veritiero e
credibile, pena l’allontanamento del pubblico che dirotterà le sue attenzioni
verso qualche altro blogger più chiaro e credibile.
Da questa necessità di trasparenza dei blogger nei confronti dei
propri lettori scaturisce una delle caratteristiche fondamentali dell’attività
di blogging, che la distingue nettamente dalle pratiche del giornalismo
tradizionale. Mentre le testate dei media mainstream fanno, quasi sempre, a
gara per apparire il più possibile “obiettivi” nelle loro descrizioni della
realtà e degli eventi, il blogger deve fare l’esatto contrario, ovvero deve
rendersi “trasparente” dichiarando esplicitamente i propri orientamenti e le
proprie motivazioni: in caso contrario, viene guardato con sospetto e molto
spesso smentito e smascherato nei commenti al suo stesso blog o in qualche
altro spazio. Esistono molti esempi a riguardo.
Nel tentativo di attrarre il pubblico giovane delle auto, Madza creò
un blog fittizio, gestito da un falso blogger di 22 anni di nome Kid

172
Halloween, per reclamizzare i propri modelli. Nel sito c’erano tre link a
relativi video che, secondo il blogger, erano stati registrati da una TV di
quartiere e in cui si vedeva un modello di automobile Madza alle prese con
evoluzioni azzardate. Alcuni blogger si accorsero che i video avevano una
produzione troppo costosa per provenire da una rete televisiva autogestita e
cominciarono a far circolare la voce. “In quel blog tutto è offensivo” scrisse
uno di loro su un blog specializzato in automobilismo, e la sua opinione
venne letta e condivisa da centinaia di migliaia di altri. Nel giro di poco
tempo la Madza dovette ritornare sui suoi passi e ritirare e “spegnere” il
blog fittizio246.
Questo è un piccolo esempio di come anche una grande azienda
multinazionale non abbia vita facile nel cercare di guidare o influenzare la
“grande conversazione” che si sviluppa in rete tramite blog. La necessità di
essere trasparenti sui blog è totale, in quanto si rischiano serie conseguenze,
soprattutto se si è una grande azienda. Come sostiene Beppe Grillo: “La
rete non è un ballo delle debuttanti. E’ feroce, non fa sconti a nessuno.
Neppure a me. Tutta la mia vita è passata nei commenti ai miei post. Sono
stato sezionato pezzo per pezzo. Senza corazza, spada, elmo non si
sopravvive alla Rete. Armi che sono traducibili in correttezza, reputazione,
credibilità”247.
La trasparenza necessaria per rendersi credibili nella blogosfera non
riguarda solo l’uso di link diretti alle fonti, che pure sono uno strumento
fondamentale per essere considerati credibili, ma anche il coming out, la
dichiarazione più o meno chiara delle proprie opinioni e delle proprie
motivazioni, in quanto nella blogosfera il mito giornalistico dell’obiettività

246
D. Kline, D. Burstein, op. cit., p. 73
247
Dalla prefazione a D. Kline, D. Burstein, op. cit., p. XII

173
non esiste. Di più, la presunta obiettività di un blog è vista sovente con
occhi sospettosi e critici.
Nel 2005 Geneva Overholsen, docente di giornalismo, premio
Pulitzer e garante dei lettori del Washington Post ammetteva che
l’obiettività non era più la pietra di paragone per l’etica del giornalista.
I blog, anche quando fanno informazione, non pretendono di essere
obiettivi, anzi fanno della loro faziosità e della partigianeria politica un
pilastro dei loro contenuti. Quasi sempre l’ideologia seguita dall’autore del
blog viene espressa e dichiarata in modo chiaro. Il blogger dichiara
apertamente di essere parziale. Questo non sembra disturbare i loro lettori
che, conoscendo le idee su cui si basa il pensiero del blogger, riescono a
valutare meglio ciò che questi scrive. Al contrario, i media tradizionali si
dichiarano indipendenti oppure annunciano di seguire una linea generica,
ma non caso per caso. Spesso le influenze politiche e finanziarie sono
evidenti nei contenuti degli articoli, anche se ufficialmente le testate si
dichiarano libere e dichiarano di tendere all’obiettività, risultando così agli
occhi dei lettori come poco credibili.
La riscoperta della faziosità dell’informazione crea un ambiente
mediale diversificato e apertamente partigiano che ricorda, e forse ricreerà,
quella che negli Stati Uniti è stata l’epoca della penny press. In Italia, in
realtà, siamo più abituati a questo genere di modello informativo che Hallin
e Mancini definiscono “pluralista polarizzato”248, in cui ogni voce politica
ha un suo “megafono”. Nella blogosfera, però, le voci politiche sono quelle
di singoli individui e non quelle di grosse organizzazioni partitiche o
sociali.

248
D.C. Hallin, P. Mancini, Modelli di giornalismo, Laterza, Roma – Bari, 2004

174
4.6Sostentamento economico
Quando si tratta del rapporto tra economia e blog gli aspetti di cui è
possibile trattare sono numerosi e rientrano in campi di analisi molto
diversi tra loro.
I blog stanno rimodellando da cima a fondo il mondo del business,
creando nuovi margini competitivi per le aziende che sapranno utilizzare
questo medium. Il nocciolo della questione che tratterò in questo paragrafo
non è quanti soldi il business riuscirà a ricavare con i blog, né le modalità
con cui il mondo degli affari utilizza questo medium per riformarsi al suo
interno: il punto che interessa è capire se ci sono i margini affinché un
blog possa sostenere economicamente la vita del, o dei, blogger che lo
curano.
Ci sono degli esempi pratici di autosufficienza economica, negli
Stati Uniti, ma sono ancora davvero troppo pochi per poter parlare di
indipendenza economica dei blogger.
Il sistema economico che caratterizza la blogosfera è basato sull’idea
di condivisione e di dono249. Si condividono idee e contenuti e si dona del
tempo per la loro creazione e per la loro ricezione. Così come impieghiamo
tempo a guardare degli spot pubblicitari su uno schermo televisivo,
possiamo anche impiegare il nostro tempo a condividere con gli altri ciò
che pensiamo del mondo. La domanda che mi pongo in questo paragrafo è
se sia possibile per un blogger (soprattutto quelli che fanno informazione)
sostenersi e auto-finanziarsi in modo tale da essere davvero editore di se
stesso, non solo per la scelta dei contenuti ma per la creazione di ricchezza
monetaria.

249
L. De Biase, Economia della felicità. Dalla blogosfera al valore del dono e oltre, Feltrinelli,
Milano, 2007

175
Certamente la monetarizzazione del tempo che i blogger dedicano al
mantenimento del proprio medium non è l’unico aspetto economico della
questione, in quanto la blogosfera è un sistema che affonda i suoi pilastri di
efficienza, felicità e ricchezza anche sugli aspetti che riguardano la
soddisfazione personale e lo sviluppo delle proprie relazioni interpersonali.
Non c’è dubbio, però, che per adesso, e per molto tempo ancora, per vivere
bisognerà avere delle somme di denaro da spendere. I blog sono in grado di
fornire queste risorse ai blogger? Osservando la realtà attuale, soprattutto in
Italia, la risposta è: attualmente no. Non è possibile auto-sostenersi tramite
l’attività di blogging.
Senza dubbio il modo più diffuso e semplice che un blog ha per
avere dei guadagni è quello di essere appetibile ad una platea di
inserzionisti. Insomma, la pubblicità. Le inserzioni sui blog rappresentano
ancora una quantità irrisoria del mercato pubblicitario online. Come ho
detto prima, esistono dei casi in cui i blog si riescono ad attirare somme
importanti da inserzioni pubblicitarie, ma il numero di questi blog o
contenitori di blog è davvero troppo esiguo per ora. Posso ricordare
brevemente il DailyKos250, il blog politico più letto negli Stati Uniti
secondo Technorati (il motore di ricerca dei blog), che nel 2005 ha potuto
vantare un incasso, da proventi pubblicitari, di circa 48.000 dollari251. Un
esempio di aggregatore di blog che può vantare lauti guadagni derivanti da
sponsorizzazioni e pubblicità online è il sito di “gossip politico del District
of Columbia” Wonkette252. Ideato e gestito da Nick Denton, è costituito da
vari siti e blog tematici aggregati in un’unica pagina web. La società

250
http://www.dailykos.com/
251
La fonte è la rivista americana Newsday citata in D. Kline, D. Burstein, op. cit., p. 46
252
http://wonkette.com/

176
proprietaria di questo sito è la Gawker Media che pare possa vantare un
guadagno mensile di circa 5.000 dollari per ogni sito tematico253.
Certo, questi appena citati sono casi rari e particolari e inoltre sono
stati tutti sviluppati negli USA che da sempre sono all’avanguardia per
quanto riguarda l’utilizzo e lo sfruttamento, anche economico, delle nuove
tecnologie. Non vi è dubbio, però, che i blog consentono di raggiungere un
pubblico giovane, che ha fame di novità e di sperimentazioni, e ciò
consente alle aziende di marketing di provare nuove tecniche di
comunicazione commerciale. Correndo qualche rischio economico si
possono cominciare a tracciare le linee dell’advertising del futuro.
Seppur in costante aumento, attualmente sono pochi i blog che
possono permettersi di attrarre banner pubblicitari sullo stile tradizionale,
ovvero pagati per essere esposti. Gli strumenti per rendere il sito o il blog
una fonte di reddito esistono, ma non permettono grosse cifre. La forma più
diffusa è ospitare sul proprio blog forme pubblicitarie del modello pay per
click254. Questa forma pubblicitaria, però, fornisce grosse somme solo in
presenza di grossi numeri255.
Tra blog e aggregatori di blog molto frequentati non mancano
esperimenti pubblicitari di passaparola (il cosiddetto BuzzBusiness) o di
vendita dei migliori contenuti prodotti ai media tradizionali. Un esempio in
questo senso è BlogBurst256 che, aggregando blog, fornisce i suoi contenuti
a grandi media e testate giornalistiche tramite abbonamenti (ma non sono
disponibili dati sui suoi ricavi).

253
D. Kline, D. Burstein, op. cit., p. 126
254
Ovvero si viene pagati non in base all’esposizione della pubblicità, secondo il classico modello
delle CPM (costo per migliaia: l’inserzione viene pagata in base alle migliaia di visitatori che
visitano il sito o il blog) ma in base ai click che questa riesce ad attrarre su di essa. L’esempio più
diffuso è quello di Google AdSense.
255
M. Farè, op. cit., p. 24
256
www.blogburst.com

177
Comunque, l’esperienza americana induce a considerare la
possibilità che, in futuro, nasca una figura professionale completamente
nuova, che si affianchi a quella dei giornalisti nel mondo dell’informazione:
il blogger professionista, che riceve un reddito per la sua attività di
blogging. Questo processo in fieri è solo al suo inizio, ma c’è da credere
che nel prossimo futuro si incominceranno a leggere annunci di offerte di
lavoro per blogger. La situazione è in piena evoluzione.

Appendice
Una esperienza di crossmedialità:
il caso di Nòva100

Dopo aver descritto i vari aspetti che caratterizzano il mondo


dell’informazione nella società attuale, è giunto il momento di trarre alcune
conclusioni. Nel mondo in fieri dell’informazione del terzo millennio
certezze ce ne sono poche, in quanto ci troviamo in un periodo in cui il
cambiamento sta avvenendo in maniera molto veloce seguendo diverse
linee direttrici, non esistendo ancora un modello standard di evoluzione in
relazione ai nuovi strumenti tecnologici e informativi a disposizione.
Quello che sta avvenendo in questi anni con la diffusione delle tecnologie
digitali, della rete e dei blog è qualcosa di assolutamente nuovo e ancora in
via di definizione, che rivoluziona tutti gli ambiti legati a questo mondo. In
ogni capitolo di questa tesi ho cercato di approfondire i cambiamenti già
avvenuti e le tendenze a breve e medio termine che le informazioni, e chi le
veicola, hanno già affrontato o si apprestano ad affrontare.
Per comprendere al meglio quanto scritto in maniera teorica nei
capitoli precedenti analizzerò un caso specifico, italiano, di interrelazione
tra una redazione giornalistica e la blogosfera.

178
Nel corso di questo studio ho citato spesso esempi pratici che mi
sono stati molto utili per chiarire e spiegare delle situazioni per le quali non
esiste una letteratura esplicativa. E’ tutto un work in progress. Non esistono
certezze granitiche in questo momento di grandi cambiamenti. Di
conseguenza, la valutazione di disfunzioni e particolari criticità riguardo un
determinato progetto consente di valutare al meglio le conseguenze pratiche
di una serie di teorie che hanno bisogno di essere messe in atto e di essere
consolidate per dimostrare la loro plausibilità e validità. In questo caso, le
critiche che possono essere mosse sono inevitabilmente delle critiche
costruttive, che hanno l’obiettivo di comprendere in quale direzione è
possibile migliorare la pratica, e grazie alle quali è possibile verificare le
crepe delle teorie elaborate fino ad ora per cercare di migliorarle. Il tutto,
ovviamente, senza perdere di vista la velocità con cui il mondo
dell’informazione sta cambiando. Infine, bisogna considerare che ogni
pratica ha una sua soggettività che si basa, inevitabilmente, sul contesto nel
quale si cala, sugli attori che ne sono protagonisti e sugli obiettivi che si
pone.

Il caso a cui mi riferisco in questo paragrafo è quello del quotidiano


economico Il Sole24Ore, del suo inserto su innovazione e tecnologie
Nòva24 e del progetto online Nòva100. Considero questo caso specifico un
buon esempio da analizzare sia per quanto riguarda alcuni aspetti positivi e
innovativi della tematica dei rapporti tra testate giornalistiche e blog, sia
invece per alcune situazioni critiche
“Nòva è di carta, Nòva è online”257
Le parole del titolo di questo paragrafo sono le parole usate da Luca
De Biase, responsabile dei progetti Nova24 e Nova100, durante un panel
257
http://it.youtube.com/watch?v=OivZzAvA0g0

179
all’interno dell’edizione 2008 del Festival Internazionale del giornalismo
tenutosi a Perugia, per spiegare alla platea il progetto di cui è responsabile.
Nòva100258 è una piattaforma per blogging organizzata da Nòva24259
per favorire la crescita degli spazi di condivisione di pensieri, idee, video,
audio e foto nel campo della ricerca, dell’innovazione e della creatività.
Luca De Biase, blogger, caporedattore del Sole24ore e responsabile della
rivista cartacea, supplemento del giovedì in edicola insieme al quotidiano
economico, descrive questo progetto legato al Sole24ore nel suo blog,
Crossroads260, ospitato all’interno della nuova piattaforma, in questi
termini: “Nòva100 è un insieme di autori, che forse nel tempo arriveranno
appunto a 100261, riuniti da un comune sentire sull'urgenza di innovare e
sperimentare, nella ricerca, nella tecnologia, nella creatività. Ogni autore è
naturalmente indipendente e responsabile di quanto scrive”. L’idea di fondo
di Nòva100 è quella di aggregare e dare spazio a quel grande numero di
innovatori che vivono in Italia, ma che per molti versi non trovano spazi
mediatici dove potersi esprimere liberamente e rendere le proprie
conoscenze e idee visibili ad un grande pubblico.
Una delle particolarità più interessanti e innovative di questo
progetto è la sua natura “crossmediale”. Nòva è allo stesso tempo un
settimanale, un quaderno bimestrale, un blog e una piattaforma per
aggregare blog. Nòva è, quindi, un marchio, un logo che si sviluppa tramite
diversi media mantenendo il minimo comun denominatore, dei contenuti
veicolati da ogni mezzo, nel campo dell’innovazione. Ognuna di queste
facce del progetto si basa sulle caratteristiche e le peculiarità del medium
che viene usato. Molto spesso i contenuti possono passare da un medium

258
http://www.nova100.ilsole24ore.com/
259
http://nova.ilsole24ore.com/
260
http://lucadebiase.nova100.ilsole24ore.com
261
Ai primi giorni del maggio 2008 i blogger ospitati da Nòva100 erano 86.

180
all’altro in modo tale da creare una effettiva collaborazione di contenuti tra
le diverse piattaforme mediali.
Sempre da Crossroads: “Certamente, la grande conversazione nata
da qualche anno in rete ha insegnato anche ai giornali che è tempo di
migliorare. Il pubblico attivo chiede ai giornalisti di imparare ad ascoltare
attivamente. E strutturalmente porta i giornali a proporsi anche come forme
di accesso, editorialmente pensato, all'opera di chi fa ricerca in modo serio
sui diversi soggetti che possono diventare informazione. Nòva100 è un
luogo nel quale questo avviene senza distinzione professionale: giornalisti e
designer, musicisti e attori, studiosi e comunicatori, artisti e fotografi,
disegnatori e manager, scienziati e informatici, autori tv e organizzatori...
Qui sono tutti blogger, per come sono capaci di esserlo. E, soprattutto, qui
niente è definitivo salvo la piena e condivisa volontà di migliorare
sempre”262.
Il gruppo editoriale “Il Sole 24 ORE” sembra essere lanciato in
maniera convinta e decisa nel campo della blogosfera e della produzione di
contenuti generati dagli utenti in quanto, oltre al progetto Nòva100, il
gruppo aveva già acquistato il 30% della proprietà del network
Blogosfere263, messo in piedi da Marco Montemagno e Marco Masieri,
specializzato nei blog professionali d’informazione. Ad oggi questo
network è formato da circa 150 blogger indipendenti e da una redazione
fissa.
Per quel che riguarda l’aspetto strutturale e visivo, Nòva100 si
presenta agli occhi dei visitatori come un aggregatore di blog che “dà conto
del panorama dei loro contributi. In una pagina li propone classificandoli in
base all'argomento, in un'altra in ordine cronologico inverso e in una terza

262
http://lucadebiase.nova100.ilsole24ore.com/2007/06/libert_sperimen.html
263
http://blogosfere.it/

181
nella forma di "nuvola di parole chiave". E da qui, i miglioramenti
andranno nella direzione di sviluppare ogni possibile forma di condivisione
di pensieri, notizie e ricerche con il pubblico attivo al quale innanzitutto
questa iniziativa è rivolta”. I blog hanno una struttura264 rigida, che non può
essere modificata dai singoli blogger, come invece avviene nelle
piattaforme di blogging tradizionali. Si vuole preservare una certa
uniformità visiva tra le diverse pagine in modo da collegarle visivamente ad
un’unica piattaforma.
L’aggregatore si presenta agli occhi del visitatore con la Home page
interamente dedicata ai post dei blog aggiornati più di recente, più alcune
finestre che raccolgono post meno recenti in base ad una tematica specifica
(ad esempio economia, dal mondo, tecnologia, ecc.). Sulla sinistra invece
vi è una stretta colonna in cui appare l’elenco delle immagini del viso che
ogni blogger ha dato di sè. Questo indica il desiderio di trasparenza e
chiarezza da parte di chi non vuole nascondersi nell’anonimato del web, e
intende invece dare maggiore forza e identità alle proprie idee. E’
necessario sottolineare il fatto innovativo che una testata che affonda le sue
basi su una redazione di tipo tradizionale conceda ai blogger di formare
interamente i contenuti che vanno nella Home page, quella che sulla carta
sarebbe la Prima pagina e che è di importanza cruciale e strategica per ogni
testata in quanto presenta i propri “prodotti” migliori. Bisogna dare atto a
Nòva di aver apportato una piccola rivoluzione da questo punto di vista, in
quanto la redazione rinuncia apertamente al controllo sulla sua “vetrina”
lasciandolo nelle mani dei blogger.
I banner pubblicitari in home page sono due: uno lungo, orizzontale
e posizionato in alto e l’altro di forma quadrata a metà pagina, sulla destra.
La stessa posizione è riservata ai due banner all’interno di ogni singolo
264
Template, in gergo.

182
blog, dove si trova anche una finestra di annunci di Google AdSense
(annunci pubblicitari pay per click).
Il sito che aggrega i contenuti di tutti i blog è appoggiato al server
della testata principale, quella de Il sole 24 ORE, che, però, non rende
molto visibili i link alla pagina di Nòva in quanto uno è presente nella barra
orizzontale in alto, all’ultimo posto sulla destra, mentre una piccola sezione
è dedicata a Nòva quasi in fondo alla pagina, prima dei servizi a pagamento
con link ai quattro blog aggiornati più di recente. Lo spazio dedicato a
Nòva si trova immediatamente sotto ad una sezione più grande chiamata
“Agorà”, proprio perché dedicata alle opinioni, e non alle notizie, nella
quale si trovano sei blog delle firme più prestigiose del giornale. La
visibilità che il sito concede a Nòva non è molto elevata, ma bisogna
considerare che viene dato maggiore risalto ai blog delle firme interne alla
redazione del quotidiano, anche se molti dei blogger di Nòva hanno quasi
tutti scritto per il quotidiano o per l’inserto del giovedì, Nòva24 appunto.
La forza della conversazione via blog risulta subito evidente
scorrendo i commenti al post nel blog di Luca De Biase nel quale descrive
il progetto e dal quale ho tratto alcune parti in precedenza. Vengono posti
dubbi e perplessità, ma anche domande da chi ne vuole capire di più e
incoraggiamenti da chi crede che il progetto di Nòva sia una buona idea.
Scorrendo e leggendo questi commenti si possono scoprire molte cose che
De Biase non aveva comunicato nel post iniziale. Per esempio, che oltre
alla piattaforma per bloggare e al massimo dell’autonomia possibile,
l’editore “condivide anche una parte di fatturato pubblicitario” con i
blogger, ma non viene specificato in che percentuale. I banner pubblicitari
sono presenti, ma non vi è un contatore di presenze che pubblicamente
esponga il numero dei visitatori per ogni blog. Non è dato, quindi, sapere

183
quanto un blog è effettivamente frequentato, cosa che invece avviene
pressoché in tutti i blog. In più, molti dei blogger (come d’altronde accade
in tutta la blogosfera) hanno abbandonato per strada il proprio blog,
addirittura alcuni quasi subito. C’è stato anche chi ha ripreso a curarlo dopo
diversi mesi.
Per esempio, nel mese di aprile 2008, 23 blogger su 86 non hanno
pubblicato neanche un post, e questo rende evidente che il numero di
visitatori è stato molto basso. Inoltre, a fronte di questo dato, occorre anche
chiedersi che percentuale di ricavi dalla pubblicità spetta agli autori. E, se
non scrivono per molto tempo, non è il caso di affidare la gestione del blog
a qualcun altro che si impegni maggiormente, visto che gli autori sono
selezionati dall’alto e non vi accedono mossi dalla loro volontà? Forse i
guadagni derivanti dalla condivisione dei profitti pubblicitari sono troppo
bassi, o forse gli autori chiamati a bloggare per Nòva non sono spinti e
motivati da questo genere di guadagni? O semplicemente sono troppo
impegnati per tenere anche un blog?
Queste sono questioni fondamentali in quanto, come ho avuto modo
di scrivere in precedenza, nella “grande conversazione” “chi non partecipa
non si rende visibile”. Questo per una testata con una proprietà editoriale
commerciale dovrebbe essere una priorità, anche perché i banner
pubblicitari e gli annunci AdSense di Google (che sono presenti in ogni
blog della piattaforma) funzionano meglio e portano maggiori ricavi in base
al numero di visitatori e di click sugli annunci. Invece, per molti dei blogger
di Nòva questa non sembra essere una priorità. Risulta così abbastanza
difficile conciliare le esigenze di una testata commerciale con la normale
propensione delle persone ad aggiornare, secondo la propria volontà e le
proprie esigenze, il proprio blog e a partecipare alle discussioni in rete.

184
Questa problematica risulta ancora più evidente quando i blogger in
questione non hanno deciso di entrare a far parte di una piattaforma di
propria spontanea volontà, ma sono stati chiamati, in quanto esperti
innovatori di settori specifici della società, a condividere le proprie idee.
Nel mese di aprile 2008 sono stati pubblicati complessivamente in
tutta la piattaforma 652 post con una media di circa 7,5 post mensili per
blogger. A fronte di questa attività i blog hanno ricevuto, sempre nel mese
di aprile, un totale di 1010 commenti, con una media di circa 1,5 commenti
a post265, 11,7 commenti mensili per ogni blogger. Inoltre, non posso non
sottolineare il fatto che solo 3 blogger hanno superato quota 100 commenti
ricevuti e questi sono anche i blogger che più hanno mantenuto attivo il loro
spazio. Questo vuol dire che molti altri hanno pubblicato post e ricevuto
commenti davvero raramente. Sono 37 i blog che non hanno ricevuto
nessun feedback da parte dei lettori ad aprile. Ma, d’altronde, non essendo a
disposizione dei lettori un contatore di presenze (che è presente
praticamente in ogni blog della blogosfera) potrebbe anche essere che quel
blog o quel post non sia mai stato letto da nessuno. In linea di massima i
blog che ricevono il maggior numero di commenti sono anche quelli curati
con maggiore costanza e che hanno una maggiore ricchezza di contenuti in
termini multimediali, ovvero dove l’uso di immagini e video è abbastanza
frequente e avviene con disinvoltura. Ben 45 blog non presentano alcun
contenuto di tipo multimediale, mentre più o meno tutti usano con
disinvoltura l’ipertesto e lo strumento dei link sia interni che esterni. Certo
la quantità di multimedia usata non indica nulla in termini di qualità dei
contenuti, ma forse conferma il fatto che è ancora il testo scritto ad essere lo
strumento linguistico principale della comunicazione via computer. E’ così
per le testate online dei mass media e lo è anche nella blogosfera.
265
Tutti i dati riferiti al mese di Aprile 2008 sono stati da me conteggiati e verificati.

185
Una delle grandi innovazioni del progetto Nòva è la sua
crossmedialità, ovvero la produzione di contenuti che vengono utilizzati da
medium diversi: nel caso specifico tra internet e una serie di blog, la
homepage della testata tradizionale e la carta stampata con Nòva24.
Ho analizzato più nel dettaglio anche questo aspetto, certamente
particolare e molto innovativo del progetto Nòva. Il presupposto dal quale
sono partito nella mia osservazione è consistito nel chiedermi se la
blogosfera, per definizione strumento legato ai nuovi media, sia in grado di
occupare spazi importanti anche negli old media. Non solo svilupparsi e
difendere le proprie peculiarità nella piattaforma di origine, quindi, ma
sconfinare sulla carta.
Nel mondo si può citare l’esempio della testata coreana OhMyNews,
di cui ho avuto modo di parlare in precedenza, che ha deciso di essere
presente anche sul supporto cartaceo con periodicità settimanale: i migliori
interventi degli oltre 700 cittadini reporter che alimentano i contenuti web
della testata vengono selezionati e pubblicati su carta e venduti come un
comune settimanale.
In Italia, qualcosa del genere ma in misura molto minore, la porta
avanti Beppe Grillo che ogni settimana raccoglie e impagina, in maniera
molto semplice, su un documento .pdf gli interventi che pubblica sul blog e
li mette a disposizione di tutti i visitatori che possono scaricare, stampare ed
eventualmente diffondere questo particolare settimanale che si chiama, per
l’appunto, “la settimana”.
Si tratta, però, di un caso molto particolare, in quanto prevede che
l’attività dei lettori si realizzi nella diffusione delle idee del blogger nella
realtà sociale che questi vivono e non comprende l’elaborazione dei
contenuti effettuata da parte delle decine di migliaia di lettori del blog.

186
Un’ulteriore dimostrazione di come il blogger genovese riesce a
raggiungere il successo grazie allo strumento del passaparola sia sul web
che nella realtà di tutti i giorni.
Comunque, si tratta di contenuti di un blog che vengono diffusi
anche tramite il supporto cartaceo, ma questo non viene venduto in edicola
ed è espressione dei contenuti elaborati da un solo individuo. Se sul web
Grillo sfrutta davvero al meglio gli strumenti del blog e del web 2.0, nella
sua riproposizione su carta il modello utilizzato ricorda molto il vecchio
modello del quotidiano politico di partito, e cioè un modello di
comunicazione strettamente verticistico. In questo modello i militanti di un
determinato partito si mobilitavano per diffondere, anche individualmente,
il quotidiano di riferimento in quanto voce ed espressione del proprio
partito politico. Non c’era bisogno della partecipazione attiva del pubblico
ai contenuti veicolati, in quanto i lettori non potevano che essere d’accordo
col giornale a causa della comune visione ideologica.
In definitiva, è molto più difficile per i contenuti che nascono e si
sviluppano online sbarcare su carta, piuttosto che mettere in rete i contenuti
che nascono per la carta, e Nòva raramente ha fatto eccezione a questo
assunto.
Nel mese di aprile, a fronte dei 652 post pubblicati sulla piattaforma
in rete e dei 1010 commenti ricevuti, sul settimanale cartaceo sono stati
pubblicati in totale (considerando anche il numero uscito il primo maggio)
46 articoli presi dai blog, circa il 7% del totale dei post pubblicati, una
media di circa 9 articoli tratti da blog per numero pubblicato, che conta 16
pagine. Tutto sommato, questi numeri potrebbero non apparire negativi in
quanto si tratta pur sempre di una testata che ha delle modalità di lavoro e
pubblicazione molto più rigide rispetto al corrispettivo web. Le perplessità

187
nascono, però, quando si vanno ad analizzare da quali blog provengono gli
articoli pubblicati su Nòva24.
Il responsabile del progetto, De Biase, è presente in ogni numero con
almeno un articolo pubblicato anche sul blog. In tutto, nel mese di aprile
sono 8 le sue partecipazioni firmate sull’inserto. Su 86 blogger in
piattaforma, ad aprile sono stati pubblicati su carta interventi di 14 di essi.
Oltre a De Biase, i sempre presenti sono L. Savioli, A. Larizza (rubrica:
facoltà creative), A. Dini e Cristina Tagliabue alla quale è affidata la pagina
14 su “creatività e innovazione”. Tutti i redattori citati hanno visto
pubblicato su carta almeno uno degli interventi postati sui rispettivi blog.
Ma queste persone sono parte integrante della redazione della rivista, per
cui non portano un contributo esterno alla produzione dei suoi contenuti.
Considerato ciò, sarebbe interessante capire se i post dei blog che poi
vengono ripresi su carta siano preparati appositamente per quella
destinazione ultima o vengano scelti, tra i diversi post autonomamente
pubblicati, in base ad altri criteri.
Come ricordava De Biase, nel post citato in precedenza, di Nòva100
fanno parte molti di coloro che collaborano e scrivono, o hanno collaborato,
per Nòva24. Su 46 articoli pubblicati dai blog solo 12 provengono da
blogger esterni alla redazione di Nòva24, mentre 4 articoli sono presi da
fonti web (sia blog che siti internet) totalmente esterne al progetto Nòva.
Questi numeri non dimostrano una grande apertura della carta ai
contenuti prodotti dagli utenti web.
Dai dati riportati sembra che la collaborazione tra testate
giornalistiche professionali e blogosfera possa avvenire in maniera
costruttiva sulla piattaforma web, ma non sulla carta. Probabilmente i

188
giornalisti sono ancora troppo gelosi del loro medium di origine per lasciare
effettivamente un certo spazio alle persone competenti che hanno un blog.

Uno specchio della realtà attuale


Da questa analisi, seppure superficiale, del progetto Nòva si possono
trarre delle conclusioni che possono essere indicative per descrivere la
situazione attuale che caratterizza i rapporti tra il mondo dell’informazione
professionale e la blogosfera.
Una testata molto autorevole come Il Sole24 Ore è presente in rete e
cerca di sviluppare i propri interessi nella blogosfera acquisendo un
network di blog d’informazione (Blogosfere), creando una piattaforma di
blogger dedicati all’innovazione (Nòva100) e offrendo alle sue firme degli
spazi per la loro attività indipendente di blogging. Fin qui si potrebbe dire
che Il sole24 Ore sta attuando una politica tra le più avanzate da questo
punto di vista nel panorama italiano.
Il difetto attuale di questo sistema consiste nella difficoltà con la
quale i contenuti prodotti dagli utenti trovano spazio nella redazione del
quotidiano sia su carta che sul web. Questo fatto probabilmente rispecchia
l’approccio soprattutto economicistico che un grande editore intraprende
nei confronti del mondo degli user generated content e dei blog. Sarebbe
molto interessante sapere e capire se in questa attività si stanno registrando
dei margini di profitto che possano consentire di parlare di sostentamento
economico dell’attività di blogging e di attrazione di inserzionisti
pubblicitari che, come abbiamo visto nei capitoli precedenti di questa tesi, è
senza dubbio una delle questioni cruciali che riguardano non solo il
presente, ma anche gli sviluppi futuri dei rapporti tra giornalismo e
blogosfera.

189
Insomma, esiste una propensione verso il mondo dei blog, ma per
adesso risulta essere per lo più un’operazione commerciale di cui non si
conoscono né gli effetti né i risultati né, tanto meno, le cifre attuali. L’alone
generale di incertezza che avvolge queste tematiche, in continuo
mutamento e sviluppo, non esclude neanche l’attività di grandi
professionisti quali sono quelli de Il sole24 Ore. Una certezza, però, c’è:
l’attenzione sempre maggiore degli editori e del mondo del giornalismo
professionale di qualità verso il fenomeno blog. Il mondo professionale sta
cercando di capire come affrontare questo fenomeno in maniera costruttiva
così da poterne sfruttare le qualità, piuttosto che ponendosi sulla difensiva.
Il futuro del sistema dell’informazione italiana, ma non solo italiana,
dipende molto dagli strumenti e dalle modalità che questi protagonisti del
mondo dell’informazione, redazioni e blogger, troveranno per intersecare le
proprie attività e collaborare per la realizzazione di un’informazione
realmente pluralistica, libera e di qualità. E’ una sfida che tutti devono
raccogliere, che ha avuto appena inizio e di cui non si conosce ancora la
meta finale. Quel che è certo è che giornalisti, editori e blogger non devono
lasciarsi sfuggire questa opportunità di cambiamento arroccandosi ognuno
nel proprio mondo di riferimento, dovrebbero invece cercare il modo per
collaborare in maniera costruttiva per raggiungere il fine comune di una
migliore informazione, che porti ad un conseguente miglioramento degli
aspetti democratici della vita sociale di ogni gruppo o individuo.

Considerazioni finali e conclusioni

Alla fine di maggio il TG1266 è sbarcato online con un nuovo sito


internet, innovato e ricco di contenuti diversificati che non sono limitati alla

266
http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/

190
semplice riproduzione delle edizioni del telegiornale che va in onda sul
supporto analogico. Il nuovo sito ospita, oltre alle edizioni dei telegiornali,
anche degli spazi dedicati ai contenuti generati dagli utenti che di volta in
volta verranno chiamati ad esprimersi su argomenti proposti dalla
redazione. Si possono trovare anche diversi strumenti per interagire con la
redazione, tramite i blog (sono quattro al momento in cui scrivo, tra cui uno
tenuto dal direttore della testata) attivati o tramite gli indirizzi e-mail dei
singoli giornalisti. Il Tg1 è il telegiornale di punta delle reti televisive
pubbliche ed è senza dubbio un’istituzione nell’ambito dell’informazione
italiana. Il fatto che sia sbarcato, finalmente, con decisione sul web è un
evento storico.
Se anche il Tg più istituzionalizzato della televisione ha deciso di
entrare con forza nel web è davvero segno che i tempi per l’informazione
stanno definitivamente cambiando. E’ troppo presto per dire che i media
tradizionali scompariranno. Quello che è certo è che il loro lavoro si sta
spostando su piattaforme nuove, digitali, anche se, ovviamente, ci vorrà
molto tempo ancora per abbandonare le vecchie piattaforme mediali. In
realtà, non è detto che questo accada, ma la strada intrapresa va nella
direzione di una loro netta riduzione. Per adesso stiamo assistendo ad un
processo di convergenza tecnologica verso il digitale con tutte le
implicazioni pratiche che questo comporta, prima tra tutte la
complementarietà tra nuovi media e vecchi media nel campo
dell’informazione. Questo processo non cancella per ora i contenuti in
analogico o gli altri old media, più che altro li integra, fornendo al pubblico
ulteriori strumenti di informazione.
Le redazioni giornalistiche si stanno tutte adattando alle nuove
condizioni tecnologiche che impongono una presenza importante e

191
strutturata all’interno del web. Rimanerne fuori potrebbe essere un rischio
troppo grande dal punto di vista sia commerciale sia di prestigio.
I consumatori di informazioni, a loro volta, non stanno più con le
mani in mano, passivi di fronte ai messaggi mediali. Grazie alla diffusione
delle tecnologie digitali e alla convergenza dei media tradizionali verso le
nuove piattaforme tecnologiche, il pubblico ha la possibilità, che non ha
precedenti nella storia, di partecipare attivamente alla produzione di
contenuti e di informazioni. Il pubblico ha preso possesso dei media, dei
nuovi media, per poter esprimersi e comunicare se non alla pari con i mass
media, almeno quasi.
Le modalità con le quali il pubblico partecipa attivamente alla
produzione dei contenuti informativi sono svariate. Dai commenti agli
articoli delle testate tradizionali sui loro siti, ai forum, ai sondaggi e così
via.
I cittadini connessi al web possono anche collaborare attivamente
alla produzione delle informazioni e delle notizie collaborando sia con
l’attività dei giornalisti che con gli editori. Le forme in cui questa
collaborazione può svilupparsi sono delle più varie, ma ciò che è
importante è che il numero di queste collaborazioni attive è in crescente
aumento in ogni parte del mondo.
Di fronte alla partecipazione sempre più massiccia e di qualità del
proprio pubblico, anche i professionisti dell’informazione non possono
stare fermi ed arroccarsi sulle posizioni tradizionaliste. Non è così e ciò è
sempre più evidente anche agli scettici.
I giornalisti svolgono un ruolo cruciale nel mantenimento degli
standard democratici di ogni paese libero e democratico ma, per assolvere
al meglio il proprio compito, occorre che il mondo del giornalismo si

192
adegui ai cambiamenti tecnologici e sociali che le società occidentali stanno
vivendo. Molti giornalisti lo stanno facendo consultando i blog, accettando
confronti schietti e diretti con i propri lettori e, sempre più spesso, aprendo
un proprio blog per esercitare liberamente il proprio mestiere e condividere
la propria conoscenza, le proprie scoperte e le proprie opinioni, che spesso
sono nascoste sotto la coperta dell’obiettività con cui le testate tradizionali
amano coprirsi.
Il giornalista, come il cittadino, ha a disposizione degli strumenti che
gli consentono di interagire con un pubblico senza dover subire un
controllo redazionale riguardo la compatibilità di quanto scrive con le linee
editoriali disegnate dalla proprietà della testata per cui lavora. Cittadini e
giornalisti si trovano così a fare informazione sullo stesso campo,
trovandosi molto spesso a collaborare per perseguire l’obiettivo di offrire
un’informazione più completa e plurale, che consenta davvero di aumentare
gli standard della conoscenza comune. Un giornalista può scoprire delle
storie osservando e leggendo dei blog di non professionisti, trattarle sul suo
spazio, approfondirle e, grazie alle sue abilità professionali, rendere
completa e contestualizzata un’istanza, una denuncia o una buona notizia
riportata da un blogger. Questi, allo stesso modo, può riconoscere il buon
lavoro fatto da un giornalista – blogger, riportandolo e linkandolo al proprio
blog, aumentandone così la visibilità e la reputazione presso il proprio
pubblico. Si viene a creare così una effettiva collaborazione nella creazione
e nella promozione di contenuti e informazioni che spesso non trovano
spazio sui giornali di carta, nel tubo catodico o tra le frequenze radio. Un
mondo che fino a pochi anni fa non aveva voce sta venendo alla ribalta e sta
guadagnando spazi importanti nel tempo che i cittadini dedicano ad
informarsi. I professionisti dei grandi media devono tenere conto di questa

193
possibilità che è nelle mani del pubblico e devono imparare ad ascoltarlo
sempre di più ed imparare ad usare il buon senso collettivo dei pubblici
dell’informazione per migliorare le notizie.
Anche nel mondo degli editori c’è chi è ancora scettico nei confronti
dell’informazione prodotta dagli utenti, in quanto non riesce a vedervi una
fonte di profitto. C’è anche, però, chi è più audace e, intravedendo delle
possibilità di sviluppo, si sta lanciando in un’avventura editoriale senza
precedenti, ovvero quella di non chiedere più esclusivamente ai giornalisti
di fare informazione per la propria testata, ma di aprirla al contributo di
tutti, siano essi giornalisti o meno. Ancora non vi sono certezze sul
successo e sulla riuscita di questi progetti, ma non vi è dubbio che se non si
inizia a sperimentare non si riusciranno mai a comprendere quali sono le
giuste modalità per far sì che progetti di questo tipo abbiano successo.
Queste sperimentazioni si diffonderanno sempre di più conquistando
certezze passo dopo passo, soprattutto alla luce del fatto che i media
tradizionali sono in crisi. Perdono utenti e, di conseguenza, inserzionisti
pubblicitari che si stanno spostando, se pur lentamente, ma inesorabilmente,
verso il web e le sue forme innovative di advertising commerciale.
Il settimo rapporto del Censis sulla comunicazione (“L’evoluzione
delle diete mediatiche giovanili in Italia e in Europa”267), pubblicato il 7
giugno 2008 fotografa il movimento dei consumi mediali dei giovani
italiani ed europei, in una fascia d’età che va dai 14 ai 29 anni. Dai dati
emersi risulta evidente come negli ultimi 4 anni il consumo mediale delle
giovani generazioni si sia spostato massicciamente verso gli strumenti
digitali, anche se il consumo è in generale aumentato per tutti gli strumenti
mediali (new e old) con la sola eccezione della televisione generalista che
ha registrato una significativa diminuzione di utilizzo. L’uso di internet da
267
http://www.censis.it/

194
parte dei giovani è aumentato dal 2003 al 2007 del 22%, passando dal 61%
all’83%. Mentre anche gli altri media, compresi quelli cartacei come
quotidiani, libri e periodici, registrano un aumento di consumo da parte dei
giovani, il medium televisivo è passato, invece, da una percentuale del
94,9% di utenti giovani del 2003 all’87,9% del 2007. Negli ultimi 4 anni la
Tv ha perso il 7% di utenti in un contesto in cui il consumo mediale totale
sta aumentando. La televisione sembra stia pagando la disaffezione del
pubblico giovanile non solo nel campo dell’informazione ma anche nel
campo dell’intrattenimento in quanto, sempre in base ai dati Censis,
l’utenza televisiva nel tempo libero dei giovani è diminuita del 5% circa,
mentre l’utilizzo di internet è aumentato del 30,7% (dal 20,0% del 2003 al
50,7% del 2007). In realtà, il medium che in questo campo sembra pagare
di più l’avanzata di internet è la radio, che perde circa il 14% di utenti. La
causa di questo è che i giovani preferiscono sempre più ascoltare, musica
essenzialmente, sempre più in base alle proprie esigenze, tramite podcast e
file mp3, grazie anche alla diffusione di maneggevoli strumenti che
consentono l’ascolto di questi file ovunque. La lettura di un quotidiano nel
tempo libero è diminuita leggermente, però sono aumentati il consumo
delle riviste e, soprattutto, dei libri, con una crescita del 12,6% negli ultimi
4 anni.
Provando a commentare brevemente questi dati, si potrebbe dire che
i giovani italiani si stanno disaffezionando soprattutto a quei contenuti
informativi e di intrattenimento che negli ultimi anni si sono spostati
sempre più verso un certo tipo di sensazionalismo ed esagerazione,
causando un allontanamento dei loro messaggi dalla realtà e dalla vita
vissuta. Incrementando l’uso di internet, dei libri e delle riviste, i giovani
dimostrano di preferire più contenuti approfonditi e strutturati in maniera da

195
favorire la conoscenza. Questo vale anche nel campo dell’informazione,
come nell’intrattenimento, in cui i cittadini, e i giovani in prima fila,
preferiscono crearsi in maniera autonoma le proprie diete mediali in base
alla fiducia e alla reputazione che essi stessi danno ai medium dai quali
attingono le loro conoscenze e le loro fonti di intrattenimento. Abbiamo
visto quanto il fenomeno del blogging incida nella costruzione di
un’informazione personalizzata da parte dei singoli individui.
Infatti, Adam Curry, imprenditore nel campo delle tecnologie,
nonché blogger268, intervistato da D. Burstein, sostiene che il blogging “ha
completamente liberato le notizie e le informazioni che leggiamo,
guardiamo e ascoltiamo dalle costrizioni del controllo dei Grandi media
[…] Stiamo prendendo il controllo delle nostre televisioni. Non sarà più
importante come la televisione verrà trasmessa, se in modo tradizionale, via
cavo o via internet. La televisione sta diventando monocanale, il nostro
canale personale che trasmette la nostra programmazione libera da inserti
pubblicitari […] Poi c’è la radio, quella passata totalmente su tecnologie
wireless che arriva ovunque […] ha iniziato ad essere personalizzata
attraverso il satellite e i blog […] Infine, grazie alla potenza dei computer e
di internet, e in particolare dei blog, stiamo guadagnando il controllo anche
dei nostri media cartacei. Ora si possono trovare centinaia di differenti fonti
d’informazione e si possono anche creare proprie notizie. Ciò offre la
possibilità di ‘triangolare’ l’informazione: mentre si legge la versione del
New York Times sui bombardamenti di Bagdad, per esempio, si possono
contemporaneamente consultare i resoconti dei blogger che hanno assistito
di persona alle esplosioni”269.

268
http://live.curry.com
269
D. Kline, D. Burstein, Blog!, Sperling & Kupfer, Milano, 2005, pp. 226 - 227

196
La lettura dei dati del Censis può contribuire ad avvalorare
l’opinione di Adam Curry soprattutto per quel che riguarda il rapporto tra
internet, blog e media cartacei. Se è vero che questi due mondi si stanno
muovendo verso una collaborazione sempre più stretta – sotto la spinta del
pubblico che è diventato un vero protagonista del mondo dell’informazione
– è possibile comprendere perché nella dieta mediale dei giovani italiani
(ma questo vale anche per i giovani di tutta Europa) non stia aumentando
solo il consumo di internet, ma anche quello dei media cartacei a discapito
delle “vecchie” radio e Tv. Se il mondo dell’informazione e della cultura
riesce ad ascoltare di più le voci e le esigenze del proprio pubblico, questi
tende a riavvicinarsi a questi media di cui non ha mai negato l’importanza,
ma di cui non sempre ha apprezzato i contenuti e lo ha dimostrato
creandone di propri. I grandi media non possono più far finta che questo
non stia succedendo.
Tornando all’esempio di Curry sui bombardamenti sulla capitale
irachena, è possibile consultare i blog dei cronisti delle testate e dei
numerosi free lance che si trovano o si trovavano da quelle parti, ma è
anche possibile leggere alcuni blog tenuti dagli iracheni e allo stesso tempo
consultare i blog dei soldati americani, ma non solo americani, di stanza nel
paese mediorientale. Il tutto confrontando i resoconti dei media mainstream
che sempre più spesso sono il megafono dei comunicati e delle conferenze
stampa tenute dai comandi militari di stanza nel paese. Non c’è dubbio che
avere tutti questi punti di vista a disposizione di fronte ad un evento così
tragico e difficile da raccontare dia all’informazione un senso di
completezza che è impossibile raggiungere quando a raccontare gli eventi è
una voce sola.

197
La diffusione così estesa della pratica di raccontare fatti, eventi ed
opinioni dai più svariati punti di vista, individuali o collettivi, consente di
parlare seriamente di una pratica sociale che si sta consolidando e che nel
futuro probabilmente sarà sempre più al servizio del pubblico: il
giornalismo. Fare informazione ha sempre avuto un risvolto sociale e di
interesse pubblico, in quanto consente alla popolazione di seguire i fatti del
mondo e di comportarsi di conseguenza ed è per questo che l’accezione più
nobile del mestiere del giornalista è quella del cane da guardia del potere,
del “mastino” che in nome del pubblico interesse controlla e visiona da
vicino coloro i quali decidono le sorti dei cittadini. Ultimamente in Italia,
ma non solo, questo compito sembra essere venuto sempre meno, o, per
meglio dire, l’informazione mainstream viene percepita dai cittadini sempre
più al servizio dei grandi potentati economici e politici270 e le poche voci
realmente critiche vengono costantemente attaccate da questi potentati. Per
continuare ad essere visibile, l’informazione mainstream è costretta a
sbarcare in rete e a fare tesoro di tutti quei nuovi strumenti messi a
disposizione dei cittadini, che non si fanno pregare per utilizzarli e che,
anzi, volontariamente decidono di fare la propria parte esprimendo le
proprie idee e condividendo le proprie conoscenze.
In questo mondo in cui le informazioni viaggiano da uno spazio
personale ad un altro e di passo in passo vengono completate, migliorate e,
se è il caso, criticate e corrette, le voci libere del giornalismo si incontrano
concretamente con il pubblico, che è stufo dell’informazione mainstream,
contribuendo alla nascita di nuove, autorevoli e credibili, voci nel mondo
dell’informazione. Questo meccanismo è tanto più utile e necessario nei
270
In base ai dati forniti dal Censis nel rapporto sulla comunicazione del 2008 l’82% dei cittadini
ritiene che i telegiornali siano troppo influenzati dal potere politico:
http://www.asca.it/moddettnews.php?idnews=761374&canale=ORA&articolo=TV:%20CENSIS,
%20TG%20TROPPO%20LEGATI%20AL%20POTERE%20POLITICO%20PER%2082%25%20
ITALIANI

198
paesi in cui le voci dell’informazione libera sono effettivamente minacciate
da chi detiene il potere. Secondo Pino Scaccia271, giornalista e blogger, nel
mondo ci sono 211 tra giornalisti e blogger in prigione. Questo vuol dire
che raccontare i fatti sul web crea preoccupazione in chi ha interesse a
mantenere regimi limitati di libertà di stampa, di cronaca e di critica.
Raccontare fatti, descrivere la realtà e dare spazio ad opinioni diverse, nel
rispetto reciproco, è una pratica di libertà, che è al servizio dell’interesse
pubblico in ogni campo della vita sociale. Quando questa attività viene
svolta di concerto tra professionisti e cittadini assume una forza che non ha
precedenti nella storia dell’informazione, in quanto si svincola da direttive
verticistiche e risponde all’esclusivo interesse del pubblico e dei cittadini.

A questo punto ritengo necessario fare una breve digressione


riguardo la diffusione effettiva degli strumenti dei quali ho scritto molto
bene e con grande ottimismo durante tutto il mio lavoro, perché questo
ottimismo vale solo per una piccola parte delle società globali.
Non è possibile ignorare il fatto che queste pratiche sociali di
liberazione dell’informazione possono essere esercitate da, e sono dirette a,
una sezione molto limitata della popolazione mondiale. Il divario
tecnologico e digitale (digital divide) tra paesi tecnologicamente avanzati e
paesi del terzo mondo è sempre più profondo e, nonostante gli sforzi per
ridurlo, non sembra accennare a diminuire. I paesi ricchi continuano la loro
corsa verso nuovi lidi di libertà di informazione basati sulla disponibilità di
tecnologie diffuse, mentre i poveri rimangono nella stessa posizione di
indigenza e di impossibilità di accesso alle informazioni che è un
fondamento imprescindibile per la libertà di ogni popolo.

271
http://reporterscaccia.splinder.com/

199
Il digital divide, comunque, non si evidenzia solo nel confronto tra
paesi dall’economia opulenta e paesi poveri. Lo si può trovare anche
all’interno dei paesi più sviluppati, laddove molte tecnologie non sono
diffuse tra ampie porzioni di popolazione. L’Italia è un esempio calzante in
quanto registra una forte arretratezza soprattutto nella diffusione della
tecnologia delle reti a banda larga che, a causa del velocissimo sviluppo
tecnologico digitale, risulta sempre più necessaria per accedere ai servizi in
rete delle pubbliche amministrazioni e del mondo dell’informazione e di
moltissimi operatori privati e del terzo settore.
Oltre al divario strettamente tecnologico, occorre anche evidenziare
un forte divario culturale esistente tra diverse aree della popolazione del
pianeta, ma anche all’interno di ogni singolo paese. Questo divario non
riguarda solo la classe politica, come ho avuto modo di accennare in un
capitolo precedente, ma anche quelle ampie parti di popolazioni che sono
legate ai tradizionali metodi di informazione e di relazioni con gli enti che
erogano servizi pubblici.
Se è vero - come sostengono molti osservatori dei nuovi processi
sociali legati alla diffusione delle tecnologie digitali - che la comunicazione
in rete favorisce la libertà di stampa, di opinione e di critica e, di
conseguenza, una maggiore partecipazione politica, grazie ad un maggiore
livello di consapevolezza delle vicende sociali, è purtroppo altrettanto vero
che ampie parti della popolazione globale ne rimangono fuori. Se non
vengono diffuse in maniera capillare, le nuove tecnologie rischiano di
soddisfare i bisogni di pochi e di portare alla ribalta le esigenze di un’elite
tecnologicamente e culturalmente avanzata, lasciando sempre più indietro
coloro i quali non riescono a stare al passo con questi processi di sviluppo.
L’accesso negato alle nuove forme di informazione si tramuta

200
concretamente in un distacco ancora più acuto della popolazione dai poteri
degli stati e dai nascenti potentati globali. Non vi è quindi dubbio che per
diffondere gli aspetti positivi della comunicazione e dell’informazione in
rete, sul piano sociale, occorre che questa sia accessibile a tutti. Solo in
questo modo i miglioramenti sulla base della partecipazione sociale alla
formazione dell’opinione pubblica, e dei suoi bisogni, saranno effettivi e
realmente democratici.
Purtroppo, se questo è un bisogno avvertito da tutti, è anche vero
che la realizzazione di questa “eguaglianza tecnologica e informativa” è
nelle mani di pochi soggetti economici e politici che contano nel campo
dello sviluppo economico e tecnologico globale.
La questione del digital divide è una questione cruciale per lo
sviluppo dell’umanità nell’ottica della formazione di una società globale
dell’informazione, in cui la conoscenza individuale e sociale diventa uno
strumento essenziale per vivere meglio nel mondo. Chi resterà tagliato fuori
dalla diffusione di queste conoscenze rischia concretamente di essere
tagliato fuori da ogni movimento di sviluppo sociale e civile. Il digital
divide dovrebbe quindi essere una priorità tra i problemi da risolvere che
affliggono il mondo, di importanza inferiore solo alla necessità
dell’autodeterminazione alimentare e dell’autosufficienza medica e
farmaceutica dei popoli che ancora non l’hanno raggiunta.

Tornando ora all’argomento principale di questo lavoro: alla luce di


quanto scritto fino ad ora, la convivenza tra vecchie redazioni giornalistiche
e weblog è, dunque, possibile?
Granieri sostiene che “weblog e giornalismo tradizionale sono
complementari, sono due aree diverse dell’ecosistema dei media,

201
fortemente interconnesse ma con regole ed equilibri differenti”272. Sono
d’accordo con questa visione per cui la risposta alla domanda, che mi
pongo nel titolo di questa tesi, è che questa convivenza non solo è possibile,
ma anche auspicabile, quasi necessaria, e lo è sotto molteplici aspetti.
Prima di tutto perché contribuisce ad arricchire il mondo
dell’informazione in termini quantitativi ma anche qualitativi. Il pluralismo
dell’informazione contribuisce, inoltre, ad aumentare la democraticità di
ogni sistema, in quanto sappiamo bene che la libera informazione è un
cardine di tutte le società che vogliono essere libere. Il fatto che i lettori,
finalmente, possano partecipare al processo di produzione delle notizie è
una forte spinta nella direzione di garantire maggiori diritti democratici alle
popolazioni che possono usufruire di questi strumenti..
La maggiore completezza e pluralità delle informazioni, inoltre, può
avere effetti benefici in termini di conoscenza collettiva. La conoscenza
della gran parte del pubblico dei mass media difficilmente va oltre i
contenuti proposti da questi. La possibilità di sviluppare a livello di massa
una collaborazione che porti a moltiplicare i contenuti interessanti e
credibili non può che arricchire tutto il sistema dell’informazione, della
cultura e la conoscenza.
In termini economici questa convivenza è alla portata sia delle
grandi organizzazioni editoriali sia dei singoli blogger. La convenienza per
le prime consiste nella possibilità di raggiungere un pubblico sempre più
vasto che legge sempre meno i giornali e riduce sempre di più il tempo
passato a consumare gli altri media di massa. Questo pubblico si informa su
internet dai siti di informazione mainstream ma, spesso e volentieri, anche
dai blog, sia da quelli più autorevoli e riconosciuti, sia da quelli tenuti da
amici e conoscenti che ne hanno aperto uno. Data questa situazione la
272
G. Granieri, Blog generation, Laterza, Roma – Bari, 2007, p 116

202
possibilità per un editore di poter raggiungere un pubblico nuovo consente
di aprire ampi spazi per l’attrazione di inserzionisti che sempre più stanno
spostando le loro attività sul web inventandosi numerose forme di
marketing e advertising più mirate e personalizzate. Dal punto di vista
economico dei blogger, questa sorta di “convivenza” può portare, a chi lo
ritiene utile e positivo (non bisogna dimenticare la natura volontaristica ed
economicamente disinteressata di chi fa blogging) delle fonti alternative di
guadagno rispetto a quelle tradizionali o addirittura di appropriarsi del
controllo sulla propria vita professionale, inventandosi (o reinventandosi)
nuove professionalità e nuove carriere che si prospettano all’orizzonte e
che, negli Usa, si stanno già diffondendo, come quella del blogger per
aziende o di consulente freelance sui temi delle nuove tecnologie, della
comunicazione interpersonale e nel passaparola del web 2.0. Un esempio
concreto italiano è Luca Conti, blogger trentaduenne che parla proprio di
questa sua esperienza nel suo blog www.pandemia.info che è, peraltro, uno
dei più seguiti nel nostro paese. Certo è un caso ancora raro in Italia, ma
negli Stati Uniti sono sempre di più i giovani intraprendenti che decidono di
avviarsi in carriere individuali e autonome nel campo dei nuovi media273.
Con ogni probabilità quello è il futuro che ci aspetta e che vedrà
sempre più protagoniste le nuove generazioni che saranno immerse nelle
informazioni a rete e nei network sociali. Chi, darwinianamente parlando,
non vuol rimanere indietro, e non vuole essere escluso da una gran quantità
di nuove possibilità di sviluppo delle conoscenze e delle responsabilità
individuali e collettive, deve farsi trovare pronto al cambiamento, in
maniera tale da poterlo gestire in maniera consapevole e conveniente.
Questa necessità vale sia per i cittadini che non vogliono farsi sommergere
273
Ne parla un articolo del Wall Street Journal online, citato dallo stesso Conti nel suo blog, che si
trova al link:
http://online.wsj.com/article/SB121115437321202233.html?mod=opinion_main_commentaries

203
dal mare magnum delle informazioni, ma che desiderano governarle, sia per
i professionisti dell’informazione, che possono concretamente adoperarsi
per rendere il mondo più trasparente e aperto alle necessità e alle istanze dei
cittadini, tornando a svolgere concretamente quell’attività di servizio
pubblico (al servizio del pubblico) che troppo spesso nei media di massa è
stata trascurata per accaparrarsi le simpatie dei potentati politici e finanziari
di turno.

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