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Collana diretta da
Gian Paolo Caprettini
e Guido Ferraro
2
Copyright © 1998 Meltemi editore srl, Roma
Prima edizione febbraio 1998
Seconda edizione novembre 1998
Meltemi editore
via dell’Olmata, 30 - 00185 Roma
tel. 06 4741063 - fax 06 4741407
E-mail meltemi@alt.it
www.meltemieditore.it
Gianfranco Marrone
MELTEMI
Indice
p. 7 Premessa
9 Prima parte
Presentazione
37 Seconda parte
Analisi
39 1. La narrazione giornalistica
39 1.1. Dalla serie di eventi al racconto giornalistico
43 1.2. Il telegiornale come racconto
73 1.3. Superficie e profondità
74 1.4. I fatti di Africo
83 1.5. Il maltempo come metafora
90 1.6. La politica, guerra con altri mezzi
101 1.7. Dalla struttura a cornice all’unità romanzesca
104 1.8. Altre forme di collegamento delle notizie
115 1.9. Soglie e limiti: il ritmo
125 1.10. Che cos’è una notizia?
6 GIANFRANCO MARRONE
280 Bibliografia
Premessa
Smanie di cambiamento
In questi ultimi anni l’informazione televisiva italiana sta
profondamente cambiando: è in atto un evidente fenomeno di
accelerazione nella trasformazione dei telegiornali, che sem-
bra condurre a un ripensamento del giornalismo televisivo nel
suo complesso. Si è partiti, per esempio, verso la fine del ’95,
con la modificazione di un palinsesto, ossia con il cambio d’o-
rario nella programmazione di un telegiornale. Ma ci si è subi-
to accorti che questo spostamento provocava una profonda
trasformazione dello stile di quel tg e, conseguentemente, del
senso prodotto e trasmesso da quello stesso tg. È così che ci si
è lanciati in una serie di trasformazioni a catena, all’interno di
una rete e progressivamente in tutte le altre, dove cambiamen-
ti apparentemente di dettaglio hanno finito molto spesso per
provocare vistose e profonde ridefinizioni del modo di fare
informazione e, quindi, dell’informazione medesima.
A che cosa è dovuta questa smania di cambiamento? per
quale ragione i telegiornali italiani sembrano aver bisogno di
un complessivo restyling e di una operazione di reciproco ri-
posizionamento?
Dopo la generale risistemazione del 1992, a seguito dell’intro-
duzione dei telegiornali nelle reti private e della conseguente in-
staurazione del regime di concorrenza, c’era stato un periodo di
grande euforia, di elaborazione e di sperimentazione di nuove
formule, alla ricerca di una possibile ridefinizione di un tipo di
testo (il telegiornale), pensato come specie particolare di un tipo
di discorso (quello giornalistico) che utilizza un determinato
mezzo di comunicazione (la televisione). A metà strada, dunque,
tra fare informazione e fare televisione, i tg delle reti private han-
no a poco a poco costruito un proprio stile comunicativo e pro-
prie identità di testata, portando indirettamente anche i tg della
Rai a profonde operazioni di ridefinizione interna ed esterna.
12 GIANFRANCO MARRONE
L’idea di infotainment
Questi problemi pratici riguardanti la gestione quotidiana
dei telegiornali coinvolgono un problema teorico di un certo
rilievo: quello riguardante il cosiddetto infotainment, ossia
quel genere televisivo che mescola al suo interno intenti infor-
mativi e intenti spettacolari.
Si è generalmente convinti che l’informazione televisiva sia
già, e debba in ogni caso essere, spettacolarizzata. Una tale con-
vinzione ha tre fondamentali ordini di ragioni: (i) la struttura e le
capacità stesse del mezzo, che mettono in gioco procedure se-
miotiche, sostanze espressive e ritmi discorsivi profondamente
differenti da quelli della carta stampata o della radio; (ii) la sem-
pre maggiore concorrenza tra diverse reti televisive, che finisce
per esigere un’appetibilità immediata anche delle trasmissioni
d’informazione, la quale si intreccia in modo originale con le pro-
fessionalità eminentemente giornalistiche; (iii) la conseguente esi-
genza di costituire un’identità forte delle trasmissioni (come an-
che della rete che le manda in onda e del gruppo che le produ-
ce), ivi compresi i telegiornali: identità che non sia soltanto legata
a un’eventuale autorevolezza epistemica di chi offre le informazio-
ni, ma che si basi anche e soprattutto sugli stili comunicativi pre-
scelti, ossia sugli effetti di coerenza interna fra il contenuto degli
IL PROBLEMA 13
1
Va ribadito inoltre che l’idea della spettacolarizzazione del giornalismo
televisivo, e la conseguente critica moralistica che tale idea porta con sé,
fanno parte integrante dei contenuti del telegiornalismo stesso. Come si ve-
drà per esempio a proposito del “caso Ramon” [pp. 209-219] , ma in gene-
rale in tutto l’evento dell’operazione al Papa [pp. 177-230], l’accusa di
spettacolarizzazione del giornalismo è una delle tattiche a cui i vari tg talvol-
ta ricorrono per differenziarsi dai tg concorrenti. Il che ribadisce uno dei
principi chiave della semiotica, secondo il quale il metalinguaggio non è
esterno al linguaggio comune ma, al contrario, è una delle sue funzioni.
2
Occorre chiarire che questo lavoro non intende affrontare il proble-
ma di una estetica dei media, quale è stato dibattuto quanto meno da
Benjamin in poi (cfr. soprattutto, in Italia, gli scritti di Abruzzese, Costa,
Perniola, Vattimo e, in particolare, Lattuada-Gili-Natale (a cura) 1992)
né tantomemo quello, più specifico, di una estetica degli audiovisivi (su
cui cfr. i recenti Sorlin 1995, Bettetini 1996).
2. Gli obiettivi: che cosa significa
“estetica del telegiornale”
Un significato da rifiutare
Stile e identità
1
La definizione delle nozioni di identità e di stile segue, distaccando-
sene talvolta, Floch 1995.
2
I due termini in corsivo sono ripresi da Ricoeur 1990.
3
Il fatto che poi gli stili divengano maniera, che vengano cioè imitati
sino all’usura, non è che un effetto di questa doppia operazione di ricono-
scibilità e di presa di distanza dalla norma che è costitutiva di ogni stile.
3. Il metodo:
la semiotica del testo
Rispecchiamento e performatività
degli altri tg, delle altre trasmissioni televisive, della radio etc.,
insomma del mondo. A loro volta, queste prese di parola non
possono non tenere conto dei tg, di ciò che in essi viene detto e
tradotto. Col che non si vuol dir altro che i giornalisti (e i loro
discorsi) non sono entità neutre che si limitano a riportare quel
che succede nel mondo ma fanno parte del mondo stesso, inte-
ragiscono con esso, influenzandolo e venendone influenzati.
Ma se si limitasse a questo, la cosa non avrebbe per noi,
qui e ora, alcuna particolare importanza. Quel che ci importa
è difatti l’insieme di ricadute, teoriche e pratiche, che si pro-
spettano sul piano dell’analisi testuale.
(i) Non ha senso parlare di obiettività, reale o presunta, ef-
fettiva o costruita che sia: così come non esiste una traduzione
fedele o infedele di un testo ma soltanto una buona o una cat-
tiva traduzione a partire dagli scopi comunicativi che ci si è
preliminarmente prefissi, allo stesso modo non esiste un’o-
biettività giornalistica ma semmai una buona o cattiva “mos-
sa” nel mondo a partire dagli scopi comunicativi che ci si è
preliminarmente prefissi, ossia dalle strategie discorsive predi-
sposte e dalle tattiche che, nell’incontro con discorsi altri, si
attivano in corso d’opera. Così, la distinzione tradizionale tra
notizia e commento deve essere intesa, non tanto come un
modo per tenere separata l’informazione dall’opinione, ma
come un effetto di senso che, in modi e per scopi diversi, il di-
scorso del telegiornale può talvolta produrre.
(ii) Non è il caso di distinguere la politicità del telegiornale
(legata alle posizioni ideologiche, più o meno dissimulate, della
testata) dalla sua spettacolarizzazione (legata invece alla ricerca
dell’audience). Il modo di presentarsi e di presentare le notizie,
dunque di darsi a vedere (che è già, a rigore, spettacolo) è un
modo di prendere posizione nel mondo, di assumere un siste-
ma di valori per poi, magari, trasformarlo o negarlo. I valori
entrano a far parte del discorso prima di ogni distinzione in te-
mi o in generi. Così, non ci sono valori politici, da un lato, e
valori televisivi, dall’altro: fare televisione (dunque informazio-
ne in televisione) in un certo modo è già un’assunzione politi-
ca; viceversa, prendere una posizione politica vuol dire pre-
supporre una certa televisione. Cosa che vale per tutte le tv,
tutti i tg e tutte le posizioni politiche.
(iii) Non è possibile isolare il telegiornale dalla rete interte-
stuale nel quale si trova e in particolar modo dalla relazione con
28 GIANFRANCO MARRONE
1
Si elencano nella bibliografia finale, oltre ai testi teorico-metodolo-
gici di riferimento, anche quegli studi sull’informazione televisiva che ab-
biamo via via utilizzato. Per una lista degli scritti sul telegiornale, cfr. in-
vece le bibliografie presenti in Münch 1992 e Mercier 1996 (per quel che
riguarda il panorama internazionale) e in Calabrese e Volli 1995 (soprat-
tutto per il panorama italiano).
2
Il passaggio da una teoria dei codici a una teoria del testo è ben pre-
sente per es. nel percorso teorico di Eco 1975, 1979, 1984, anche per
quel che riguarda una semiotica applicata della televisione (cfr. Marrone
1996). Per una visione testuale dei media cfr. Fabbri 1973.
3
Così, il fatto che empiricamente la parte verbale (giornalistica) e la
parte iconica (televisiva) del testo del telegiornale siano prodotte molto
spesso da persone diverse non ha alcuna importanza in sede di analisi se-
miotica. Quest’ultima infatti, abbandonando immediatamente il livello
superficiale del testo, va alla ricerca di quelle procedure di significazione
che sono comuni tanto al verbale quanto al visivo; tali procedure, dun-
que, non sono in senso stretto state generate né da chi ha prodotto la
parte verbale né da chi ha prodotto la parte visiva, ma semmai da un
astratto Enunciatore che li sintetizza entrambi, e che corrisponde grosso
modo alla testata giornalistica nel suo complesso.
4. L’oggetto: un ritaglio relativamente casuale
1
La nozione di enciclopedia è stata introdotta da Eco 1984, per indi-
care il bagaglio di conoscenze e di forme di vita a cui l’interprete di un
testo deve ricorrere per ricostruire il senso di quello stesso testo.
2
La nozione di co-testo viene qui usata in una accezione un po’ diver-
sa da quella della linguistica testuale. Laddove quest’ultima intende il co-
testo come l’insieme testuale entro cui si trova un certo enunciato, dando
dunque per presupposto che l’unità testuale massima è il testo, per noi
può esserci co-testo anche nella relazione fra più testi. Sui problemi ter-
minologici riguardanti la nozione di contesto (e quella correlata di co-te-
sto), cfr. Casetti 1994.
3
Cfr., per esempio, Bourdieu 1996 e Eco 1997a.
Seconda parte
Analisi
1. La narrazione giornalistica
non-s2 non-s1
natura – – – – – – – – – – – – – – – – cultura
non-cultura – – – – – – – – – – – – – – – – non-natura
Congiunzione = S ∩ O
Disgiunzione = S ∪ O
Le trasformazioni, a loro volta, sono il passaggio da una
congiunzione a una disgiunzione o, all’inverso, da una di-
sgiunzione a una congiunzione.
48 GIANFRANCO MARRONE
Trasformazione disgiuntiva = (S ∩ O) → (S ∪ O)
Trasformazione congiuntiva = (S ∪ O) → (S ∩ O)
Così come nella sintassi di una qualsiasi frase di molte lin-
gue S e O sono sempre presenti (anche se talvolta impliciti)
nell’azione espressa dal verbo, allo stesso modo all’interno di
un racconto questi due attanti sono sempre presenti. Il raccon-
to è omologo alla frase: c’è un processo (fare) e dei prota-
gonisti di questo processo (essere), più alcuni elementi acces-
sori (altri processi, altri attanti, alcuni circostanti). Il che com-
porta una serie di precisazioni.
(i) Soggetto e Oggetto non sono individui già dati che tal-
volta intrattengono un qualche rapporto tra loro. Essi sono
termini, e in quanto tali esistono e si definiscono solo nella
loro relazione. Non può esserci l’uno senza l’altro: il Sogget-
to è quell’elemento narrativo che è congiunto o disgiunto
con l’Oggetto (e non necessariamente un “personaggio”
umano); l’Oggetto è quell’altro elemento narrativo che è da-
to nella sua disgiunzione o congiunzione con il Soggetto (e
non una cosa nel senso letterale del termine). Entrambi sono
attanti, ossia elementi sintattici attraverso cui prendono cor-
po le forze semantiche presenti in un determinato racconto.
Così, l’Oggetto in gioco in un telegiornale (considerato co-
me macro-racconto) è soprattutto la notizia, l’informazione,
ossia una forma di sapere. E i Soggetti sono a loro volta dei
“simulacri”, ossia le immagini della testata e del pubblico in-
scritte nella testualità del tg, rappresentati ora dal giornalista
ora dalla “gente”.
(ii) Esistono due tipi di Soggetto: un Soggetto operatore,
che opera le trasformazioni, e un Soggetto di stato, che è
congiunto o disgiunto dall’Oggetto. Non è per nulla detto
che in un racconto le due figure coincidano: a un re (sog-
getto di stato) viene rapita una figlia (oggetto); l’eroe (sog-
getto operatore) si adopera per recuperarla. In un telegior-
nale, dunque, il Soggetto di stato, disgiunto dall’Oggetto-
sapere, sarà il telespettatore; il Soggetto operatore che va al-
la ricerca di questo Oggetto-sapere per darlo al primo Sog-
getto sarà invece il conduttore o, a seconda dei casi, il gior-
nalista.
(iii) L’Oggetto – cosa o persona – non è importante per sé,
ma per il valore che in esso vi è inscritto. Un Soggetto, in altre
parole, può andare alla ricerca di un Oggetto con il quale con-
LA NARRAZIONE GIORNALISTICA 49
dove:
PN = programma narrativo
S1 = Soggetto operatore
S2 = Soggetto di stato
∪ = disgiunzione
∩ = congiunzione
Ov = Oggetto di valore
→ = trasformazione narrativa
→ = passaggio di stato
Dalla nozione di programma narrativo discendono alcune
conseguenze e derivano altre categorie narrative.
(i) Per attuare il programma di ricerca di Ov, S1 deve prelimi-
narmente essere abilitato a farlo. Per fare deve cioè essere prima
competente: deve innanzitutto doverlo o volerlo fare, e poi sa-
perlo o poterlo fare. Ancora una volta in analogia con la lingui-
stica, si dice allora che il processo narrativo viene diversamente
modalizzato, a seconda appunto della modalità con cui il Sogget-
to viene reso competente all’azione. Così, una cosa è un Sogget-
to secondo il volere; cosa ben diversa è un Soggetto secondo il
dovere: in un tg, per esempio, una cosa è dire “vogliamo darvi
questa notizia”, altra cosa è dire “dobbiamo informarvi che”.
Le modalità narrative sono sostanzialmente quattro: dovere
e volere (dette virtualizzanti), potere e sapere (dette attualiz-
zanti). In linea di massima in ogni racconto, per poter passare
all’atto, per operare cioè la trasformazione, S1 deve acquisire
prima un volere (o un dovere) e poi un potere (o un sapere, o
entrambi). A seconda delle modalità acquisite (o non acquisi-
te) la trasformazione avrà più o meno luogo, la congiunzione
di S2 con Ov sarà più o meno realizzata.
(ii) Così, al PN vero e proprio – detto di base – che mira al
congiungimento (o al disgiungimento) del Soggetto di stato
con il valore inserito nell’Oggetto, si accompagnano uno o più
PN – detti d’uso – che servono a S1 per reperire le modalità ne-
cessarie attraverso le quali passare all’atto. Le modalità narrati-
ve si configurano allora come altrettanti valori d’uso, anch’essi
inscritti in Oggetti, e anch’essi raffigurabili in modo vario, più
o meno concreto. La scimmietta che vuol mangiare la banana
(PN di base) deve prima acquisire il poter-fare, per esempio
un bastone, che gli permetta di tirare giù la banana dall’albero
(PN d’uso). Se nella banana è inscritto il valore di base (“nutri-
mento”), nel bastone è inscritto il valore d’uso (“poter-fare”).
LA NARRAZIONE GIORNALISTICA 51
sa, giudica l’operato del Soggetto sulla base dei valori posti in
gioco all’inizio. Il Destinante è dunque sia un mandante sia un
giudice: anche qui ovviamente, intesi come attanti, e dunque
rappresentabili ora con lo stesso ora con un diverso attore.
Appare evidente come la figura del Destinante sia molto
spesso ben più importante di quella del Soggetto, poiché da lui
dipendono interamente quei valori che il Soggetto si incarica di
raggiungere nei suoi programmi d’azione. Avere un buon Desti-
nante è essere già in buona posizione. Lo sanno bene gli uomini
politici, che pongono ora il popolo degli elettori, ora il Paese,
ora la Chiesa, ora la Comunità europea, ora la Nato come loro
Destinanti, trasferendo indirettamente su se stessi l’autorità (o
l’autorevolezza) che da quelle realtà molto spesso proviene. Al-
lo stesso modo, si comportano nei tg i giornalisti, che informa-
no o vanno a caccia di informazioni sempre in nome di un qual-
che Destinante: il pubblico, la testata, l’Ordine dei giornalisti
etc. Essi agiscono spesso come Soggetti secondo il dovere, scari-
candosi così della responsabilità profonda del loro operato.
gran parte della significazione del discorso dei tg: è con essa
infatti che il telegiornale si pone il problema della sua dop-
pia natura – televisiva e giornalistica – tentando di trasfor-
mare una pericolosa forma di schizomorfismo in un virtuo-
sismo testuale.
(i) Per quel che riguarda lo spazio dell’enunciazione, l’op-
posizione generale sarà tra il qui dello studio, dove viene
prefigurato il luogo da cui parla l’Enunciatore, e l’altrove dei
servizi e dei collegamenti, nei quali si sono svolti i fatti-noti-
zia oppure si svolge il loro rinvenimento da parte del giorna-
lista. In generale, è possibile proporre le seguenti omologa-
zioni tra la macro-articolazione spaziale e altre categorie se-
mantiche:
qui vs altrove
studio servizi
tv mondo
rappresentazione esperienza vissuta
Enunciatore Enunciatario
giornalisti pubblico
La proiezione sul quadrato semiotico di tale categoria
(qui/altrove; non-qui/non-altrove etc.) rende inoltre conto
delle possibili operazioni che tendono a negare i termini po-
sitivi e a proporre quelli negativi, mettendo in discussione
dunque la legittimità della macro-articolazione spaziale in-
trinseca al tg. Posta l’opposizione molto generale tra inter-
no dell’enunciazione ed esterno dell’enunciato, infatti, ogni
tg tende ad annullare questa forte discontinuità, attivando i
sub-contrari in due diversi modi: 1) attraverso procedure di
continuizzazione spaziale talvolta molto sofisticate (che uti-
lizzano la categoria aperto/chiuso); 2) attraverso procedure
di complessificazione dei due poli dell’opposizione, di arti-
colazione cioè dello spazio interno dello studio o di molti-
plicazione dei luoghi dei servizi esterni (giocando dunque
sulla categoria continuo/discontinuo).
Le procedure di apertura e chiusura possono essere di
vario tipo: quella, per esempio, di trasportare all’esterno lo
spazio interno (proponendo una sorta di studio nel luogo
del collegamento [cfr. Tmc news del 7 e dell’8 ottobre, pp.
194-197]; o, viceversa, quella di omologare l’esterno all’in-
terno, figurativizzando il “mondo” al modo di uno spazio
spettacolare televisivo e telegiornalistico in particolare (con
LA NARRAZIONE GIORNALISTICA 59
studio:
• scrivania, che arriva ai bordi del teleschermo, per protendersi al
di là e collegarsi idealmente con lo spettatore a casa
• conduttore che parla con il giornalista
• schermo alle spalle del conduttore
servizio:
• giornalista che parla con il conduttore e indica le finestre del Papa
• finestra alle sue spalle
notizia:
• spazio esterno intermedio fra la prima finestra e l’edificio16
• edificio con le altre finestre
• stanza del Papa
coordinamento conflittualità
prevedibilità stranezza
– +
1 2
normalità imprevedibilità
non-conflittualità non-coordinamento
smisuratezza ( – )
eccesso insufficienza
non-insufficienza non-eccesso
misura (+)
Seconda
Repubblica
Polo vs Ulivo
Prima
Repubblica
Da quanto s’è detto sin qui emerge con chiarezza come uno
degli scopi dei telegiornali sia quello di ricorrere a strutturazio-
ni narrative soggiacenti, non soltanto per raccontare le singole
notizie (che sarebbe ovvio), ma anche per organizzare l’intera
trasmissione e costruire pertanto l’identità di testata. Alla co-
stante ricerca di un flusso televisivo il più possibile continuo (o
quanto meno non-discontinuo), i tg cercano di dotarsi di una
struttura testuale il più possibile unitaria, una struttura che
possa cioè ricondurre la molteplicità, la frammentarietà e la
102 GIANFRANCO MARRONE
non-discontinuità non-continuità
Decameron 2 Don Chisciotte
Stati Uniti via radio propone una taglia per la cattura di un kil-
ler e quella del video scandalo riguardante lady Diana. L’arci-
tema “mass media imputati” deriva dunque dall’espansione e
dall’articolazione interna di una configurazione discorsiva mol-
to vaga. I limiti fra le tre notizie si trasformano così in soglie.
(iii) Il Tg5 fa un grande uso delle procedure di messa in
continuità, lavorando soprattutto – come si dirà alle pp. 163-
173 – sull’appassionamento del discorso, tendendo cioè a col-
legare le notizie sulla base degli effetti passionali che esse pro-
ducono, o dovrebbero produrre, sull’Enunciatario. Il che non
toglie che questo tg faccia anche ricorso alle procedure sin qui
considerate. Nella giornata in questione, per esempio, è pre-
sente il caso già ricordato [pp. 106-107] di una continuizzazio-
ne temporale tra enunciato ed enunciazione. Tra la questione
del Papa e quella del cargo, dice Mentana: “Questa mattina,
mentre si attendeva il bollettino medico successivo all’opera-
zione al Papa, un’altra notizia di tutt’altro versante è giunta dal
Nord Italia: un aereo cargo russo era precipitato...”. Si noti
quell’“era”, in apparenza curioso, che si spiega benissimo se si
pensa che la duratività dell’imperfetto è riferita all’attesa del
bollettino medico, e non all’evento della caduta dell’aereo.
Le forme di continuizzazione passionale non sono del resto
fini a se stesse. Tra la notizia del cargo e quella dei decreti bis,
ecco un lungo preambolo mirante a rendere coesa la trasmis-
sione che si è svolta sino a quel momento: “E c’è un’altra noti-
zia clamorosa, a suo modo. Ne abbiamo vista una che riguar-
da evidentemente l’operazione del Papa. Ne abbiamo vista
un’altra che riguarda questa sciagura. Ma in qualche modo un
terremoto si è abbattuto sul parlamento italiano, sotto forma
di una sentenza...”.
C’è poi un caso di quella che Eco [1972] ha chiamato
“censura additiva”: dovendo parlare delle dichiarazioni di un
pentito circa i presunti collegamenti tra Berlusconi e la mafia,
Mentana lancia insieme due diversi servizi: uno sul fatto che
Tatarella è stato scagionato dall’inchiesta “Phoney money” e
l’altro, appunto, sul caso Berlusconi. Così, nel lancio, dopo la
questione Tatarella, Mentana si limita a mettere in opera una
continuizzazione temporale, dicendo: “Intanto sul versante
giudiziario si riparla delle passate vicende governativa di Ber-
lusconi”. Così, evitando di presentare la notizia, essa viene as-
sorbita nella continuità dei due servizi, separati da una flebile
soglia visiva e da nessun limite verbale.
LA NARRAZIONE GIORNALISTICA 123
1
“Struttura del fatto di cronaca”, del 1962, in Barthes 1964: 290-300
tr. it.
2
Cfr. Eco et al. 1976.
3
Ma significa anche – a essere rigorosi – distinguere, sia all’interno
dei servizi sia all’interno dello studio, il racconto della notizia dal raccon-
to della ricerca dell’informazione.
4
I principali testi a cui faremo riferimento nelle pagine che seguono
sono Greimas 1966, 1970, 1976, 1983; Greimas e Courtés 1979, 1986.
Utili introduzioni all’analisi narrativa di orientamento greimasiano sono
Groupe d’Entrevernes 1979; Marsciani e Zinna 1991.
5
Per un’articolazione completa della categoria timica (con i termini
sub-contrari e i termini complesso e neutro), cfr. pp. 142-143.
6
La performanza, la competenza e la sanzione costituiscono una rein-
terpretazione semiotica della nozione di “prova”: laddove la prima ricor-
da la “prova decisiva” dell’eroe, la seconda sta per la sua “prova qualifi-
cante” e la terza per la “prova glorificante”. Ma quel che qui è importan-
te ricordare – anche a proposito di quel che si dirà del “percorso passio-
nale canonico” [pp. 149-153] – è che la prova, in sé, può essere al suo in-
terno scandita in tre tappe ulteriori: il confronto tra due Soggetti, il do-
minio dell’uno sull’altro, la conseguenza di tale dominio.
7
Casetti (a cura) 1988 ha proposto di sostituire l’espressione greimasia-
na “contratto di veridizione” con quella di “patto comunicativo”: se il ter-
mine “contratto”, argomenta giustamente Casetti, evoca l’idea di una stipu-
la indiscutibile, quello di “patto” connota il principio della reversibilità e
della costante trasformazione dell’accordo tra Enunciatore ed Enunciatario.
Resta il problema dell’altra parte della locuzione (“di veridizione”) che nella
formula proposta da Casetti sembra perdersi in nome di una generica for-
ma di comunicazione. Forse, dovremmo parlare di “patto di veridizione”.
8
Calabrese e Volli 1995: 224.
9
Come si dice alle pp. 68-69, qualche problema nasce al momento
della messa in scena della sanzione operata (o operabile) dal pubblico.
10
Calabrese e Volli 1995: 224- 225.
11
Per una spiegazione del concetto di disforia, cfr. pp. 142-143.
12
L’opposizione tra strategie e tattiche è stata formulata da De Cer-
teau 1980. La nozione di PN di sostituzione, poco sviluppata nella semio-
tica successiva, è stata invece proposta da Greimas 1976. Sulla “raziona-
lità strategica” cfr. Parret 1990.
13
Perché il discorso giornalistico si manifesti del tutto, la “storia” de-
lineata a livello delle strutture discorsive deve ricevere un investimento
espressivo preciso: nel nostro caso, la vicenda narrata nella notizia deve
essere manifestata attraverso sostanze espressive molteplici – le immagi-
ni, il movimento, l’oralità, la scrittura, la musica – costituendo un testo
sincretico complesso.
14
Secondo Pozzato 1992: 18-25, questa tendenza a uniformare spazi
interni e spazi esterni, enfatizzandone l’alternarsi, è tipica di tutta la te-
levisione italiana dalla fine degli anni Settanta in poi. L’idea che i media
elettronici tendano a trasformare il senso dello spazio è di Meyrowitz
1985.
LA NARRAZIONE GIORNALISTICA 129
15
La notizia dell’operazione al Papa verrà analizzata, dal punto di vi-
sta passionale, alle pp. 177-225.
16
Questo spazio viene per un momento valorizzato dal passaggio –
visibile dietro i vetri della prima finestra – di una troupe televisiva che va
verso l’edificio dove riposa il Papa.
17
Laddove la figuratività corrisponde a uno dei possibili strati della
semantica discorsiva atto a “ricoprire” i temi con figure del mondo [pp.
107-111], intendiamo per “categorie plastiche” quelle nozioni semiotiche
necessarie a descrivere il piano dell’espressione dei vari linguaggi visivi;
esse possono essere topologiche (centro/periferia, alto/basso, destra/sini-
stra), cromatiche (chiaro/scuro, bianco-nero/colore, colori vari e loro sfu-
mature) o eidetiche (rettilineo/curvilineo, sfumato/contrastato, tratto
continuo/tratto discontinuo etc.). Tali categorie possono inoltre ritrovar-
si come strato profondo della figuratività sul piano del contenuto di vari
linguaggi, anche di tipo verbale. Su plastico e figurativo cfr. – oltre le vo-
ci relative di Greimas e Courtés 1979, 1986 – Greimas 1984; Floch 1985,
1990. Sul plastico come strato profondo della figuratività cfr. Greimas
1987, Marrone (a cura) 1995, Marrone 1997c.
18
Sullo spazio nei programmi-contenitore cfr. Cavicchioli 1989: 83-88.
19
Calabrese e Volli 1995 hanno insistito molto sull’idea che l’ansia
con cui i tg si sforzano di “essere sul posto”, benché speso non dettata da
reali esigenze informative, sia funzionale al contratto di veridizione: esse-
re sul posto provoca infatti un effetto di presenza, che è una forma dell’ef-
fetto di realtà. Come dire: “se ci sono io, qui, sul luogo della notizia, ciò
di cui parlo non è inventato, dunque è vero”.
20
Secondo l’antropologo Augé 1991, si tratterebbe di non-luoghi.
21
Il primo intervento di Eco sulla diretta tv, poi ripreso in Opera aper-
ta nel 1962, è del 1956. Ma cfr. le recenti osservazioni di Eco 1997b: 325-
329, che sembrano voler ridimensionare la questione.
22
Per Jakobson 1958 la funzione fàtica della comunicazione è quella
che appare quando si insiste sul canale di trasmissione del messaggio.
Es.: “pronto, pronto: non ti sento bene”.
23
Cfr. Dayan e Katz 1992 e, di recente, Giglioli-Cavicchioli-Fele 1997.
24
La quale viene trasmessa in diretta da Rai Uno verso le 11.30 della
mattina al di fuori di ogni telegiornale.
25
Le categorie che si propongono di seguito devono essere pensate
soltanto per quel che riguarda il discorso, non il testo.
26
Sulle anacronie il testo di riferimento è Genette 1972.
27
Sulla aspettualizzazione si tornerà più diffusamente alle pp. 147-148.
28
La nozione musicale di tempo è stata utilizzata da Zilberberg 1992,
1993 per studiare le procedure di ritmizzazione del discorso (accelerazio-
ni, rallentamenti etc.). Cfr. pp. 116-118.
29
Va chiarito comunque che le categorie della frequenza sono sta-
te elaborate da Genette a partire dal racconto letterario, da un tipo di
testo cioè sostanzialmente chiuso, dove la ripetizione dello stesso
evento suona particolarmente significativa. Nei telegiornali, testi tele-
visivi costitutivamente aperti, il valore della riproposizione è ben di-
verso.
130 GIANFRANCO MARRONE
30
Sull’abbandono della nozione letteraria di “personaggio” a tutto
vantaggio di quella semiotica di “attore” cfr. Marrone 1986.
31
Ne parla Squadrone 1996: 117, ma in senso sostanzialmente critico.
32
“Sembra” poiché osservazione legata a conoscenze extratestuali: la-
vorando su due sole settimane non è possibile infatti ricostruire delle ri-
correnze.
33
Ho sviluppato questa osservazione sul Tg3 in Marrone e Coglitore
1996.
34
Si tratta, come appare evidente, della conversione sul piano discor-
sivo, rispettivamente, del Soggetto di stato e del Soggetto operatore.
35
Assumiamo dunque che il racconto della notizia sia presente soprat-
tutto all’interno dei servizi e il racconto della ricerca dell’informazione so-
prattutto nel discorso condotto dallo studio. È evidente comunque che ta-
le identificazione è solo tendenziale, e può accadere – come si è già accen-
nato – che all’interno di un servizio si ponga la questione della ricerca del-
l’informazione e che all’interno dello studio si diano delle notizie.
36
Per comodità, riportiamo la trascrizione di due servizi.
Tg5: Conduttore (Mentana): “C’è una vicenda drammatica, tragica,
ma anche per certi versi scandalosa”. Servizio (Brasca): “Poliziotti contro
Carabinieri. Tutti in borghese, tutti impegnati nella stessa zona: Africo,
in provincia di Reggio Calabria. In servizio di pattugliamento per la ri-
cerca di latitanti, entrambi a bordo di auto con targa di copertura. Diffi-
cile riconoscersi nel buio della notte. E per errore, per tragica fatalità, ma
forse anche per mancanza di coordinamento, accade proprio quello che
non doveva accadere: i poliziotti sparano contro i carabinieri, ne ferisco-
no uno in modo non grave, e uccidono un latitante che proprio i carabi-
nieri avevano appena arrestato, un pezzo grosso della ’ndrangheta reggi-
na. Domenico Morabito, 39 anni, figlio del boss Giuseppe Morabito, in-
serito a sua volta nell’elenco dei 30 ricercati più pericolosi d’Italia. Ed ec-
co i fatti, così come li spiega un comunicato congiunto di carabinieri e
polizia. Ore 22.30, ieri sera. I militari fermano Domenico Morabito, alcu-
ne persone si avvicinano, cercano di impedirne l’arresto. E loro, per al-
lontanarsi, sparano in aria a scopo intimidatorio. In zona si trova una
pattuglia della polizia che, sentiti gli spari, predispone un posto di bloc-
co. Arriva un’auto, a tutta velocità. Gli agenti intimano l’alt, la vettura
non si ferma, piove nel buio e i carabinieri non vedono la paletta mostra-
ta dai poliziotti, che sparano dunque contro le ruote della vettura. Ma un
colpo raggiunge il latitante alla testa, seduto sul sedile posteriore, e un al-
tro ferisce un carabiniere. Ancora convinti di trovarsi di fronte a dei mal-
viventi, i militari non si fermano, proseguono la loro corsa verso l’ospe-
dale di Locri. Morabito muore durante il tragitto, finché poi si chiarirà
che a sparare sono stati degli agenti di polizia convinti a loro volta di tro-
varsi di fronte a dei pericolosi malviventi”.
Tg1: Conduttore (Busi): “Un tragico malinteso e una sparatoria a un po-
sto di blocco tra poliziotti e carabinieri che non si sono riconosciuti, tutti in
erano in borghese. E così è morto, ad Africo, in Calabria, un latitante della
’ndrangheta, appena arrestato, che si trovava su un’auto civetta dei carabi-
nieri. È un episodio che ripropone il problema del coordinamento tra le
LA NARRAZIONE GIORNALISTICA 131
mergerla con una lunga serie di stereotipi visivi (lui con lei in braccio, il
carrello verso l’alto delle nuvole, gli stivali anfibi che camminano nel fan-
go, l’impermeabile giallo etc.) che fanno altresì notare anche gli stereotipi
verbali (“fare acqua da tutte le parti”, “cronache da ‘strano ma vero’”, “lo
scirocco, questa insolita aria calda”, “un’invasione degli ultracorpi”).
54
Cfr. Foucault 1977.
55
Sia chiaro: non vogliamo dire che la rappresentazione della politica
fatta dai telegiornali presenta falsamente quella che è un’arte del dialogo
come un’arte della guerra; molto diversamente, pensiamo semmai che il di-
scorso politico condotto dai telegiornali, o dai politici mediante i telegior-
nali, fa sì che la politica cambi le sue caratteristiche di fondo, diventando
cioè – come appunto pensava Foucault – un’arte della guerra più o meno
mascherata da prassi dialogica.
56
Sulla funzione dei faits divers nell’informazione televisiva è tornato
Bourdieu 1996.
57
Che l’attività della magistratura abbia di fatto valenze politiche è ar-
gomento che non sembra possa – da alcuni anni a questa parte – esser
messo in discussione.
58
L’espressione “pastone politico”, coniata da Mazzoleni 1982, è ri-
presa da Calabrese e Volli 1995: 190 come “un insieme di dichiarazioni
di uomini politici, rilasciate durante la giornata parlamentare”. Il senso
in cui la si userà qui è in realtà alquanto più ampio: comprende infatti
quel grosso frammento di telegiornale in cui – attraverso notizie da stu-
dio, servizi, collegamenti in diretta, interviste e montaggi di varie dichia-
razioni di personaggi politici – si raccontano i fatti politici del giorno al-
l’interno di un’unica, grande configurazione discorsiva.
59
Si allaccia qui, con buona probabilità, l’annosa questione della
“spettacolarizzazione della politica”: essa viene costruita dalla stampa a
suo uso e consumo o è la politica stessa a essere (ed essere sempre stata)
intrinsecamente e inevitabilmente spettacolare? Ci aiuta nella risposta
Landowski 1989 che ricostruisce i differenti stili narrativi di due giornali
francesi, Le Monde e Liberation: laddove il primo punta all’ufficialità
(presentando i politici nella loro veste di rappresentanti del popolo, con i
ruoli che impersonano etc.), il secondo punta invece sulla derisione, e
presenta la politica come spettacolo, i politici come attori etc. Per una
pura questione di concorrenza tra testate, Liberation si trova ad adottare
un tono soggettivante (personalizzando le figure politiche) opposto al to-
no oggettivante di Le Monde: ribaltando la disposizione enunciazionale
nei confronti del soggetto dell’enunciato, questo giornale si costruisce
una identità propria contrapposta a quella del suo avversario, modifican-
do di fatto anche la raffigurazione dell’enunciato, ossia della politica.
Ora, quel che oggi è accaduto, e che accade di fatto in alcuni dei no-
stri tg, è che la spettacolarizzazione della politica non serve più a deride-
re i politici ma, proprio al contrario, a glorificarli, a presentarli come
umani, dunque più vicini a noi telespettatori. In altri termini, il giornali-
smo di oggi è la presa sul serio del tono ironico-critico di quello di ieri. E se
questo accade per ragioni di stile e di identità, ha comunque un esito sul
piano della prassi politica: viene cioè svelato il suo carattere intrinseca-
134 GIANFRANCO MARRONE
diaforia
euforia disforia
non-disforia non-euforia
adiaforia
teso
contratto esteso
raccolto rilassato
disteso
del discorso per gli obiettivi del genere discorsivo al quale ap-
partengono (o dovrebbero appartenere): quello della produ-
zione e del mantenimento di un’identità di testata mediante
uno stile comunicativo immediatamente riconoscibile.
Così, più che produrre una lista di passioni-lessemi o di ste-
reotipi visivi ricorrenti nei telegiornali – aperta, potenzialmente
illimitata e dunque del tutto inutile –, sembra invece interessan-
te esaminare il modo in cui i tg lavorano all’appassionamento
del proprio discorso, lungo tutto il flusso della loro messa in on-
da, producendo determinati ritmi patemici. È importante infatti
ricostruire qual è l’uso “collante” della passione fatto dai diversi
tg, al fine di produrre quell’effetto di continuità espressiva e se-
mantica di cui s’è già parlato [pp. 104-115]. Laddove a livello
pragmatico si cerca di creare effetti di continuità ricorrendo agli
stratagemmi più diversi che coinvolgono numerosi aspetti del
discorso, a livello passionale le tattiche messe in opera per rag-
giungere il medesimo scopo sembrano essere, non solo in nume-
ro minore, ma soprattutto molto più coerenti. Quel che non rie-
sce del tutto sul piano dell’organizzazione delle azioni e dei te-
mi, funziona invece su quello dell’insinuazione dell’affetto.
E C
continuità : discontinuità = routine : rilevanza
E C
continuità + differita : discontinuità + diretta = routine : rilevanza
E C
tensione : distensione = Di Pietro : Bongiorno
na, il quale dichiara che il Capo dello Stato sta entrando con la fi-
glia in quel momento al Policlinico. Ecco dunque un nuovo col-
legamento con il Gemelli, dove si intravede l’automobile presi-
denziale fendere la folla. “Tra qualche minuto dunque – sostiene
poi Mentana – Marina [la giornalista in diretta] ci chiederà natu-
ralmente la linea per mostrarci l’arrivo del Papa. Noi andiamo
avanti col giornale”. Nessuna nuova invece, subito prima e subi-
to dopo la pubblicità, se non che “l’auto del Papa ha lasciato da
pochissimi minuti il Vaticano”. Ma, come sappiamo, è già troppo
tardi per poterla vedere: i tempi della tv sono ben più importanti
di quelli del mondo che la tv stessa tende a costruire.
(vii) È a partire da un’ufficialità posta e negata che si im-
pernia invece l’argomentazione appassionata del Tg1. La no-
stra notizia viene data come primo titolo, ma senza alcuna
particolare patemizzazione e senza alcun accenno al presente
dell’enunciazione e alla relativa attesa: “Il Papa al Gemelli do-
ve sarà operato martedì. Stamani in S. Pietro ha chiesto di
pregare per lui”. Così, quando il conduttore prende la parola,
l’attesa viene attribuita a “tutto il mondo” e verte, in generale,
sull’intervento chirurgico del martedì.
Ma quando scatta il collegamento in diretta con il Ge-
melli, ecco subito l’adeguamento agli altri tg e la trasforma-
zione dell’Oggetto dell’attesa. “È arrivato il Papa?”, chiede
con poca convinzione la Busi. E l’inviato risponde a tono,
lanciandosi – come già negli altri tg – in una sequenza inin-
terrotta di orari, date, giorni della settimana e numeri d’o-
gni sorta, sia per riempire il discorso con un qualche plausi-
bile contenuto sia per caricarlo dei necessari effetti di reale:
“No, non ancora, sconvolgendo ogni previsione. Lo si atten-
deva alle 17, poi alle 18, ma dovremo probabilmente riusci-
re a riprendere il corteo con Giovanni Paolo II che arriverà
nei prossimi minuti. È arrivato, in segno d’affetto e di soli-
darietà, Scalfaro: un’improvvisata che ha ribaltato ogni pro-
tocollo... Impressionante il dispiegamento di mezzi televisivi.
Sono presenti i network più importanti di tutto il mondo. Ed
è la prima volta che si è creato un clima di intense vibrazioni
affettive. L’attesa è palpabile”.
All’esibizione congiunta delle passioni astratte ma collettive
e delle televisioni che le amplificano, si accompagna anche
quella passione del sapere che abbiamo già incontrato nel Tg3:
“L’intervento di martedì dovrebbe chiarire molte cose sulle reali
condizioni di salute del Papa; e inoltre dovremo sapere qualche
TEMI E PATEMI 189
cosa di più sugli altri disturbi di cui soffre Giovanni Paolo II,
come il tremito ormai evidentissimo alla mano sinistra...”.
Il servizio che segue tende a sua volta a presentare le passio-
ni della gente, chiamando in causa senza soluzione di continuità
sia i fedeli presenti la mattina a S. Pietro sia i curiosi radunatisi
nel pomeriggio al Gemelli: speranza, attrazione, curiosità, affet-
to, stupore, le passioni nominate e variamente distribuite tra at-
tori scelti secondo evidenti criteri di tipicità: la giovane ragazza
in jeans, il religioso, l’anziano signore, la ragazza provinciale per
la prima volta nella capitale etc. sono altrettanti ruoli tematici
che rinviano a una serie di storie possibili che non vedranno
mai, in quel preciso testo, la luce, ma che permettono nel loro
insieme la costituzione dell’effetto di senso “totalità”: come si
diceva all’inizio, “tutto il mondo” attende l’intervento.
Anche qui, infine, un nuovo collegamento in chiusura, soltan-
to per sapere che il corteo papale ha appena lasciato il Vaticano.
(viii) Quel che accade al Tg2 delle 20.30 è particolarmente
significativo, poiché getta una luce diversa su quanto s’è visto
sinora, ossia comprova quel che s’è qui ipotizzato circa l’af-
fanno con cui tutti i telegiornali di prima serata hanno atteso
l’arrivo del Papa al Policlinico.
Ma partiamo dal titolo: “A presto”, dice il testo scritto, men-
tre la voce off recita tra l’altro: “Il mondo intero attende con an-
sia il completo ristabilimento del Papa”. Ecco un buon esempio
di come i media consumano gli eventi attraverso i loro discorsi,
prima (o senza) che questi accadano. Ultimo telegiornale della
prima serata, accade spesso al Tg2 di spostare in avanti le lancet-
te del tempo e di proiettare il suo sguardo su situazioni futuribi-
li. Qui – cosa che ci interessa più da vicino – l’evento che viene
spostato nel tempo non è certo l’intervento chirurgico al Papa, e
nemmeno le passioni che tale intervento suscita, ma l’Oggetto
stesso di queste passioni: l’attesa e l’ansia non riguardano più
l’arrivo del Papa in ospedale (che il Tg2 sa di poter mostrare di
lì a pochi minuti), e nemmeno l’esito dell’operazione (su cui
troppo si è già discusso), ma il completo ristabilimento del Pon-
tefice rispetto a un intervento chirurgico di là da venire.
L’asse dell’osservatore sul processo temporale sarà pertanto
del tutto spostato in avanti. Saltano nel Tg2 tutti i servizi sul pas-
sato prossimo o remoto, e soprattutto viene meno la sicumera
con cui gli altri tg dichiaravano di conoscere l’orario dell’arrivo.
Si dice, è vero, che il corteo del Papa ha già lasciato il Vaticano
(come avevano annunciato in chiusura i due tg delle 20), senza
190 GIANFRANCO MARRONE
(i) Studio aperto propone nei titoli “Il calvario del Papa”,
ma la voce off già annuncia che sono “confortanti i primi da-
ti” degli esami medici fatti nella giornata. Allo stesso modo, il
conduttore si limita a un discorso che, se colpisce, è per la sua
assoluta referenzialità: “Domani mattina alle 7 il Pontefice
sarà operato di appendicite da un’équipe di nove medici...”. Il
compito della tranquillizzazione dell’Enunciatario è affidato
al collegamento in diretta, dove l’inviato ripete diverse volte
che l’atmosfera è “di grande serenità”, la giornata di “totale,
assoluta normalità”, l’operazione dell’indomani altrettanto
“normale”. Nel frattempo scorrono le immagini che non s’e-
rano potute vedere il giorno precedente, ossia quelle tanto at-
tese dell’abbraccio tra il Papa e il Capo dello Stato sullo sfon-
do di scroscianti applausi e grida di auguri: immagini del tutto
fuori contesto, se non si ipotizzasse un telespettatore che, ap-
punto, il giorno prima quella scena ha per tanto tempo atteso,
sia in quello sia in tutti gli altri tg.
(ii) Anche il Tg4 titola “Il calvario del Papa”, ma si tratta
più di uno stereotipo della cultura religiosa popolare che di
un’allusione patemica disforica a quello che dovrà succedere.
O, almeno, così sembra, se ciò viene posto in relazione al di-
scorso di Fede e dei suoi giornalisti, che marca una complessi-
va non-disforia. Il conduttore, già dal tono e dal ritmo della
voce, è di un’assoluta tranquillità: accentua il più possibile i
toni rassicuranti del suo discorso, ricordando che il Papa è
stato “ben sistemato in un grande appartamento, dove c’è una
cappella con la statua della Madonna di Czestochowa a cui il
Pontefice è tanto devoto”; nell’appartamento, “ci sono anche
due suore polacche e il segretario particolare del Papa”; il
Pontefice ha potuto celebrare la messa nella Cappella “in
onore – precisa l’inviato – della Madonna di Pompei”.
Anche qui, per il resto, assistiamo a un collegamento in di-
retta dal Gemelli, nel corso del quale si fanno vedere le immagi-
ni dell’arrivo del Papa, l’abbraccio con Scalfaro e le immanca-
bili finestre del decimo piano dove “con le tapparelle abbassate
– spiega Fede – il Papa sta riposando”. L’inviato, dal canto suo,
non farà altro che ribadire la tranquillità generale dell’atmosfe-
ra (si colloca qui, ma anche nel collegamento dell’indomani,
quell’immagine a otto piani spaziali di cui si parla a p. 65).
Il “calvario del Papa” viene ripreso comunque in un secon-
do servizio, in cui l’operazione del Pontefice viene presentata,
dal punto di vista narrativo, come una vera e propria prova glo-
TEMI E PATEMI 193
verità
essere apparire
1
segreto menzogna
4 2
non-apparire 3 non-essere
falsità
TEMI E PATEMI 201
trepidazione
attesa del
felicità ritorno
(speranza)
attesa dell’ commozione
arrivo partecipata
(timore)
sdegno
ansia sospetto
tranquillizzazione
attesa del
ritorno
(speranza)
attesa dell’
arrivo
(timore)
1
Per una ricostruzione della genesi e dello sviluppo della semiotica
delle passioni all’interno della semiotica generativa, cfr. Marsciani e Pez-
zini 1996.
TEMI E PATEMI 231
2
Per una spiegazione di questo termine, cfr. pp. 143-147, dove si illu-
stra la categoria timica (euforia/disforia) e la tensione patemica.
3
Cfr. Greimas e Fontanille 1991.
4
È in fondo l’idea classica di Pascal, secondo cui “il cuore ha delle
ragioni che la ragione non conosce”.
5
L’origine di questa concezione teorica risale senz’altro a Kant, se-
condo il quale la facoltà del Giudizio (che si fonda su attrazioni e repul-
sioni, per così dire, pure) anticipa e fonda sia la Ragion pura (vero/falso)
sia la Ragion pratica (buono/cattivo) sia il giudizio estetico (bello/brut-
to); dove è però evidente come quest’ultimo sia da considerare, per così
dire, più vicino al movimento di base di quanto non lo siano l’intelletto
scientifico e la ragione etica.
6
Sull’articolazione interna al semantismo della collera cfr. Greimas
1983: 217-238 tr.it.
7
Per alcuni esempi di analisi semiotiche di configurazioni passionali,
cfr. Fabbri e Pezzini (a cura) 1987; Pezzini (a cura) 1991.
8
Così, occorre ribadire che la distinzione fra dimensioni della signi-
ficazione – pragmatica e patemica –, che qui abbiamo utilizzato per or-
dinare i dati della nostra analisi, ha soltanto un valore metodologico:
esse infatti – come emerge a ogni momento dell’analisi – si intrecciano
costantemente nell’articolazione complessiva della significazione.
9
Sulla struttura comunicativa e testuale tipica del Kitsch, cfr. Eco
1964: 65-129, e la discussione che ne viene fatta, alla luce dell’attuale si-
tuazione dell’estetica teorica e delle teorie delle comunicazioni di massa,
in Marrone 1995: 83-92.
10
Nel corso dell’analisi dei servizi dedicati all’operazione del Papa
[cfr. pp. 217-218] si incontrerà giusto il caso di un’inquadratura Kitsch
che provoca un ribaltamento del senso del servizio in cui è inserita.
11
Calabrese e Volli 1995: 241-242.
12
Sulle “modalizzazioni dell’essere” e la loro relazione con la dimen-
sione passionale cfr. Greimas 1983: 89-99 tr. it.
13
Sulle “passioni ignave” (prive di volere) e la relazione tra “tumulto
modale” e passionalità cfr. Fabbri 1991.
14
Lo schema è ripreso da Fabbri e Sbisà 1985.
15
Cfr. alle pp. 177-225 l’analisi dei vari discorsi sull’operazione al
Papa, dove emerge molto chiaramente che, a un certo punto della set-
timana, la notizia vera e propria diviene appunto la tranquillizzazione
rispetto a precedenti preoccupazioni circa la “reale” salute del Ponte-
fice.
16
Il che si collega al fatto, sopra accennato, che la passione non è l’es-
sere passivo che subisce l’azione altrui, e non va dunque intesa in modo
semplicistico – cosa che inizialmente la semiotica aveva pensato – come
la competenza del Soggetto di stato da mettere in parallelo alla compe-
tenza del Soggetto del fare.
17
Anch’esso tratto da Fabbri e Sbisà 1985.
18
Operazione difficile, non foss’altro perché le prime notizie da dare
sono spesso disforiche, dunque in disgiunzione timica con quiz, sceneg-
giati, cartoni etc. che per loro natura sono invece euforici.
232 GIANFRANCO MARRONE
19
Questo schema viene a più riprese abbozzato in Greimas e Fonta-
nille 1991, e poi sviluppato, generalizzato e spiegato da Fontanille 1993.
20
Greimas e Fontanille 1991: 144-145 tr.it.
21
Cfr. comunque le cautele di Fontanille 1993, che fa derivare sia lo
schema narrativo sia lo schema patemico da quattro “modi di esistenza
semiotica” (potenziale, virtuale, attuale, realizzato), che si collocherebbe-
ro a un livello più profondo del percorso generativo del senso.
22
Secondo quella classica operazione della linguistica che ha nome di
“catalisi”.
23
Cfr. l’analisi patemica di Beautiful condotta da Mattioli 1994: 67-84.
24
Sul legame tra le passioni e l’economia, cfr. Fabbri 1990.
25
Sulla differenza tra soglie e limiti, definita da Zilberberg 1993, cfr.
p. 115-118.
26
Volendo, potremmo qui ricorrere a un quadrato semiotico che arti-
coli l’opposizione normalità/eccezionalità, per mostrare come tendenzial-
mente i tg pongano in essere nel loro discorso il termine complesso: quello
di una “eccezionalità normale” (o “normalità eccezionale”). Ora, l’assun-
zione del termine complesso – tipico, come sappiamo, del discorso mitico
(cfr. tutte le figure di semidèi, animali-uomini, ermafroditi etc.) – costitui-
sce una posizione vincente per un qualsiasi discorso se e solo se viene con-
siderata come una tappa intermedia, una situazione momentanea, e non
una condizione durativa. Avere a che fare nello stesso momento con due
termini contrari non è infatti, com’è intuibile, per nulla facile, in quanto
comporta grossi rischi per l’immagine complessiva dell’Enunciatore che
deve gestirne la compresenza. Detto in altre parole, una situazione di que-
sto genere, provocando una prevedibile immediata saturazione dell’atten-
zione del pubblico (portato ben presto a stancarsi della perenne ecceziona-
lità), finisce per produrre una continua oscillazione tra i due termini della
categoria (normalità o eccezionalità): è così che i tg si trovano a cambiare
di continuo i valori di fondo del loro discorso, tendendo verso i due termi-
ni di categoria, senza però mai tornarci completamente. Il tutto – come ve-
dremo nelle conclusioni di questo capitolo – a scapito della coerenza stili-
stica complessiva e del mantenimento dell’identità della testata.
27
Sullo stile patemico, dal punto di vista diacronico, cfr. pp. 198-199.
28
Nel post scriptum Di Pietro chiede a Prodi, destinatario della lettera,
di non respingere le dimissioni, ché sarebbe inutile, poiché sono definitive.
29
Nella analisi del caso del Papa, si insisterà invece sulle procedure di
appassionamento che si instaurano nelle relazioni sincroniche tra tutti i tg
del campione e su quelle diacroniche dei vari tg nel corso della settimana.
30
Diciamo subito, e una volta per tutte, che sebbene sia possibile ri-
trovare al di sotto di questa volontà “giornalistica” un intento “politico”
(poiché Forza Italia avversa Di Pietro), quel che ci interessa in questa sede
è la ricaduta comunicativa che tale scelta giornalistica ha sulla testata all’in-
terno della quale questa scelta è stata operata. In una prospettiva semioti-
ca, insomma, le scelte comunicative non sono lette in funzione politica; vi-
ceversa, sono le opzioni politiche a comportare delle conseguenze sul pia-
no dell’immagine comunicativa di chi le compie – telegiornali compresi.
31
Cfr. Todorov 1970 e, di recente, Ceserani 1996. Cfr. pp. 218-219,
TEMI E PATEMI 233
simulacro di un contratto con il Soggetto del fare, tale per cui quest’ultimo
deve operare per congiungerlo con l’Oggetto di valore da lui voluto.
40
Ci si riferisce qui alla classica distinzione proposta dai formalisti
russi tra l’intreccio (il modo in cui una serie di eventi vengono presentati
in un determinato testo) e la fabula (il modo in cui quegli stessi eventi
possono essere ordinati, a posteriori e idealmente, secondo regole di cau-
salità e di temporalità).
41
Tra gli innumerevoli interventi sulla neo-tv cfr. Eco 1981; Casetti (a
cura) 1988; Casetti e Odin 1990; Caprettini 1992; Caprettini (a cura)
1996.
42
Sulle funzioni e le tipologie del Grande Evento nei tg, cfr. Calabre-
se e Volli 1995: 116-132. Cfr. anche la nozione di “fattoide” in Volli
1992: 98-101.
43
Compresa la papera dell’inviato, che confonde “ieri” con “domani”,
salvo poi correggersi, amplificando ancora di più l’effetto di indetermina-
zione cronologica dato per saturazione di riferimenti temporali e aspettuali.
44
Sulla “figurativizzazione dell’interiorità” (in quel caso cognitiva), cfr.
l’esempio dato da Greimas 1976: 31-36 tr.it. a proposito di “Deux amis” di
Maupassant: il débrayage spazio-temporale operato all’inizio della novella,
mostra il semiologo, ha la funzione di riempire quello spazio mentale mini-
mo in cui i due attori si riconoscono. Così, se sul piano pragmatico c’è
un’analessi, sul piano cognitivo dei due personaggi c’è invece una prolessi.
Qualcosa di analogo è all’opera nel nostro esempio telegiornalistico.
45
Incidentalmente, si noterà come questo secondo servizio rappre-
senti uno dei tanti possibili esempi di quanto i telegiornali si preoccupi-
no di foraggiare la memoria del telespettatore, proponendogli di conti-
nuo flash-back sul passato, ossia frammenti di sapere enciclopedico ne-
cessari all’esatta comprensione del testo. Così, il luogo comune che vuo-
le, in generale, i media privi di memoria e, in particolare, i telegiornali
impossibilitati (per struttura del mezzo) a fornire il classico why giornali-
stico dovrebbe quanto meno esser discusso.
46
Secondo Barthes 1968 l’inserimento di dettagli descrittivi del tutto
inutili dal punto di vista narrativo è uno dei modi più usati dagli scrittori
realisti per produrre la verosimiglianza narrativa o, appunto, l’effetto di
reale. Su questo concetto cfr. anche Hamon 1985.
47
Un altro esempio televisivo di costruzione dell’attesa si trova in Co-
glitore 1995.
48
Su questo “abisso enunciativo” di Studio aperto, e per una conse-
guente comparazione con i ritmi enunciativi di altre testate, si rinvia a
Marrone 1997a.
49
Il che ribadisce ancora una volta l’uso generalmente ancillare che i
telegiornali fanno del loro piano visivo, preferendogli di gran lunga il li-
vello figurativo della verbalità.
50
Solo Tmc news si distingue, facendo vedere l’interno di una stanza
dell’ospedale con il panorama su S. Pietro: un filmato di una precedente
degenza di Wojtyla al Gemelli.
51
L’unica notizia in più, riguardante il giorno dell’operazione, sembra
connotare una maggiore intenzione informativa del Tg3 rispetto ad altri tg,
TEMI E PATEMI 235
per la maggior parte dei quali il martedì come data dell’intervento viene con-
siderato solo probabile. D’altra parte, però, l’inserimento di questa informa-
zione nel titolo sembra avere la funzione di legare a livello lessicale la zona
dei titoli a quella della trasmissione: tra le prime parole di Mannoni, infatti,
c’è infatti proprio il termine “operazione”.
52
E che costituirebbe, dal punto di vista giornalistico, una notizia ci-
nicamente appetibile. E di questo cinismo parlerà, con registro meta-di-
scorsivo, Sposini al Tg5 qualche giorno dopo.
53
Una relazione costitutiva tra attesa, paura e segreto viene segnalata
anche da Pezzini 1985b.
54
Per Mentana, non appena possibile, ogni giorno è “il giorno di”
qualcuno.
55
Il Tg2 fa seguire a questo collegamento abortito un servizio che
prende spunto dagli eventi della mattinata in piazza S. Pietro, per pro-
durre quello che potremmo chiamare un effetto “united colors”: viene
chiesto a una serie di giovani di tutte le razze e culture di fare nella loro
lingua gli auguri al Papa; trovata spettacolare ed esotica che, dando mo-
stra di voler sfidare il tabù linguistico della televisione italiana (ma indi-
rettamente confermandolo), costruisce una classica totalità per collezio-
ne [pp. 112-113].
56
Sul quadrato della veridizione e il suo uso, cfr. pp. 200-202.
57
Si ricordi che il giorno precedente accadeva pressoché l’inverso: il
collegamento con il Gemelli era privo di giornalista, e a parlare in voce
off era direttamente il conduttore.
58
Cfr. n. 55.
59
Sullo stile patemico dal punto di vista sincronico cfr. pp. 165-167.
60
Sappiamo già che in un universo comunicativo qual è quello televi-
sivo – e telegiornalistico –, dove ogni cosa è “straordinaria”, “incredibi-
le”, “sorprendente” etc., a far notizia è in certi casi proprio l’andazzo
quotidiano.
61
Cfr. Casetti e di Chio 1990: 97.
62
Da rilevare soltanto che l’associazione tra il cuore in senso letterale
(organo del corpo) e il cuore in senso metaforico (affettività), più volte
accennata nei giorni precedenti (es.: “il cuore del Papa è forte”), viene
adesso esplicitata da Fede, che alla fine dell’intervista a Masera gli dice:
“Chissà che lei, vedendo il Papa non possa, anche da cardiologo, ma in
questo caso parlando di cuore, dirgli che gli siamo vicini e gli auguriamo
che possa tornare...”.
63
Quest’idea della comunicazione pornografica è stata proposta da
Baudrillard 1983.
64
Siamo molto vicini a quelle che Bertrand 1995 ha chiamato “stereo-
tipie del sensibile”.
65
Secondo Barthes 1975: 77-78 tr.it. la bathmologia è l’“arte degli sca-
glionamenti del linguaggio”, la capacità di arretrare il discorso per intender-
lo attraverso altri valori. Sul senso di questa proposta di Barthes cfr. Marro-
ne 1990: 59-69, dove si discute l’idea di un “terzo grado” del discorso, non
più influenzato né dallo stereotipo né dalla sua messa in evidenza critica.
66
Che tra servizio e commento ci sia una sfasatura è altresì dimostra-
236 GIANFRANCO MARRONE
dei telespettatori sia dai criteri empirici messi in opera dai gior-
nalisti televisivi. Al momento di tirare le conclusioni è necessario
invece chiarire alcuni problemi di fondo, necessari alla definizio-
ne degli stili e delle conseguenti identità delle diverse testate.
Delle innumerevoli discussioni sul genere tratteniamo comun-
que soltanto due indicazioni, facendole interagire fra loro.
Una prima definizione del genere è di tipo eminentemente
testuale. Il genere non sta né soltanto in elementi del contenu-
to (per es.: temi tragici, eventi politici, vicende sentimentali
degli uomini di spettacolo) né soltanto in elementi dell’espres-
sione (per es.: quantità di versi in una poesia, numeri di atti in
uno spettacolo teatrale, inserimento delle immagini in un ser-
vizio di tg, presenza della diretta etc.). Esso sta semmai nel
particolare modo – divenuto abituale e dunque riconoscibile
– di mettere in relazione certi temi e certe maniere di espri-
merli. Così, per fare un esempio, possiamo inserire nel genere
“tragico” quello spettacolo teatrale (di un certo periodo stori-
co) in cui sono presenti almeno due caratteristiche: dal lato
del contenuto, una narrazione dove interagiscono dèi ed eroi,
la quale è destinata a concludersi in modo negativo per l’eroe
umano che ne è protagonista; dal lato dell’espressione, una
narrazione svolta in cinque atti, con un proemio, degli inter-
venti del coro, un deus ex machina etc. Allo stesso modo, una
notizia verrà definita di cronaca politica quando il racconto
delle azioni degli uomini politici che hanno avuto luogo in un
determinato giorno (contenuto) viene svolto attraverso una
serie di lanci in studio e di servizi esterni miranti all’enfatizza-
zione di un fatto clou e allo sviluppo del “pastone” (espressio-
ne). Un genere, pertanto, è da questo punto di vista un feno-
meno semiotico variabile nello spazio e nel tempo, che si de-
termina in una dialettica fra tradizione e innovazione, norme e
scarti, prescrizioni e trasgressioni.
Una seconda definizione del genere, che ne accentua il carat-
tere storico-culturale variabile, è di tipo comunicativo. Sulla base
di questa definizione un genere non sta né soltanto in una serie
di norme produttive seguite dall’emittente (poniamo, dare la
cronaca politica all’inizio del tg e lo spettacolo alla fine), né sol-
tanto nelle aspettative del pubblico (poniamo: andare alla ricer-
ca della cronaca bianca all’incirca al centro del tg). Anche qui, il
genere è relazionale, viene dato cioè dall’incontro fra determina-
ti modi di produrre i testi (lato dell’emittente) e determinati si-
stemi di attese del pubblico (lato del pubblico). Così, nel caso
TRA QUOTIDIANI E TELEVISIONE 241
tipi di testo: agenzie, giornali scrittura, oralità annuncio, spot disputa, libro
gr, tg... sceneggiato tv... cartellone... lezione... ...
sotto-tipi
di testo: Tg1, Tg2, Tg5... Dallas, Beautiful... Sanna, Seguéla... idealismo... ...
1.3. Il tele/giornale
Il modello generico sin qui proposto ci consente di discutere
il problema del telegiornale come genere, e di metterlo a raf-
fronto ora con i quotidiani a stampa ora con la televisione.
TRA QUOTIDIANI E TELEVISIONE 247
1
Per una ricognizione sulla nozione di genere, soprattutto in riferimento
ai generi letterari, cfr. Segre 1979; sui generi televisivi nei mass-media cfr.
Bettetini et al. 1977 (in particolare Bettetini-Fabbri-Wolf 1977), Casetti e
Villa (a cura) 1992; Basso 1994; Jost (a cura) 1997.
2
Intendiamo infatti con “giornale”, come appena detto, il termine ipe-
ronimo della classe d’appartenenza: il discorso giornalistico. Si tratta dun-
que di un termine che, nel senso comune, indica alcune volte i quotidiani a
stampa e altre volte il discorso giornalistico in generale. Ed è proprio questa
ambiguità semantica che finisce per essere costitutiva dei telegiornali, i qua-
li, da un lato, imitano forme e terminologia dei quotidiani e, dall’altro, ten-
dono a porsi essi stessi come informazione per antonomasia, termini ipero-
nimi del discorso giornalistico (in concorrenza con i quotidiani).
3
Su queste funzioni ancillari dell’immagine nei tg si è già soffermato
Münch 1992.
2. L’identità di testata
non-giornale non-tele
non-lettore non-telespettatore
Analfabeta Intellettuale
tele/giornale
Tg5
S.a., Tmc, Tg2 Tg1
tele giornale
non-giornale non-tele
Tg4 Tg3
(Tg5)
né tele né giornale
L’IDENTITÀ DI TESTATA 255
pirà più di tanto: così come c’è una letteratura che fa ottima let-
teratura negando l’istituzione letteraria, un teatro che fa teatro
negando se stesso, una pittura che fa ottima pittura squarciando
le tele, allo stesso modo possiamo dire che l’obiettivo comunica-
tivo del Tg3 è quello di fare informazione televisiva negando il
proprio lato televisivo. E lo fa, non tanto come quel pittore che
squarcia la tela (ossia mettendo a nudo il procedimento tecnico
di cui fa uso), ma al modo di quello scrittore che è tanto più rea-
lista quanto più nasconde il lavoro letterario necessario per pro-
durre i suoi racconti. L’occultamento dello stile, sappiamo, è il
realismo supremo6; così, lo stile del Tg3 ha come esito semantico
finale la cancellazione di se stesso. Ecco dunque la negazione
della televisione attraverso la televisione7.
Allo stesso modo, quando si dice che il Tg1 sta del lato del
“giornale”, non si vuole affatto asserire che esso è empiricamente
una sorta di gazzettino che si limita a fornire una dopo l’altra le
notizie del giorno. Si vuol dire semmai che, sfruttando le abitu-
dini ricettive del proprio pubblico, il Tg1 pone se stesso come
naturale, dunque come “giornale”. Se il Tg3 deve nascondere i
mezzi impiegati per farsi, il Tg1 non ne ha bisogno perché quei
mezzi sono i mezzi tradizionali, quelli che nel sistema di attese
del pubblico ci sono sempre stati e che appaiono allora come
ovvi, normali, “naturali”. Capitalizzando la storia della tv (che è
la sua storia8), il Tg1 produce così l’effetto di senso “giornale”.
Ancora, quando si dice che il Tg4 sta del lato del “non-gior-
nale”, non si intende dire che esso non si preoccupa di dare le
notizie, ma che lo fa, in primo luogo, trasgredendo sistematica-
mente le regole “naturali” del telegiornale come giornale (ne-
gando il Tg1 = contraddizione); in secondo luogo, mettendo in
mostra i mezzi che impiega per farlo (contrastando il Tg3 =
contrarietà); in terzo luogo, dirigendosi virtualmente verso
quella “televisione” che fa parte del suo spazio semantico (im-
plicando Studio aperto, Tg2 e Tmc news = complementarità).
(iv) L’ultimo schema riportato introduce quel termine com-
plesso che lo schema di p. 251 sembrava richiedere. Il che si
rende necessario per collocare il Tg5: sulla base delle analisi sin
qui svolte esso sembra infatti tendere verso il tele/giornale. As-
sumendo dal Tg1 il modello tradizionale (“naturale”) del fare
giornalistico e rilevando dal proprio gruppo di appartenenza la
competenza sul fare televisivo, questo tg si orienta verso il ter-
mine complesso della nostra categoria. Il che per certi versi rap-
presenta un vantaggio: questa testata potrebbe sintetizzare in-
L’IDENTITÀ DI TESTATA 257
fatti sia i pregi del fare giornalistico sia quelli del fare televisivo.
Per altri versi, però, come sempre a proposito dei termini com-
plessi9, il fatto di occupare questo posto è un forte rischio: quel-
lo di oscillare costantemente ora verso uno ora verso l’altro ter-
mine della categoria, negandoli progressivamente entrambi e
trasformandosi infine in termine neutro. Per questa ragione, dal
posto del termine complesso (“tele/giornale”), il Tg5 finisce tal-
volta per spostarsi sino al termine neutro (“né tele né giornale”).
Si comprende così perché nessuno dei quattro tipi di spetta-
tore dei tg poteva essere interessato al Tg5: data la sua posizio-
ne di meta-termine (ora complesso ora neutro), esso è destinato
a interessare ora l’uno ora l’altro e a disinteressare sia l’uno sia
l’altro. Ma con una particolarità: se certamente il Tg5 non vuole
fare riferimento né agli Apocalittici né agli Analfabeti, esso
sembra essere orientato sia verso i Teledipendenti, sia verso gli
Intellettuali. In quanto testata Mediaset, la televisione è per
questo tg un valore supremo; in quanto concorrente del Tg1,
esso cerca di carpirgli una fetta di pubblico: sbagliando, in
realtà, perché si orienta verso il pubblico modello del Tg310.
(vi) Lo schema cui siamo giunti non rende ragione delle (pur
evidenti) differenze tra Studio aperto, Tmc news e Tg2. Tutti e
tre questi telegiornali trovano posto infatti sul versante televisivo,
poiché l’effetto di senso che creano rispetto alla loro collocazione
generica è quello di mostrare più attenzione al fare e all’essere te-
levisivi che non al fare e all’essere giornalistici. Non a caso, del re-
sto, si tratta dei tre telegiornali che vanno in onda in orari in cui
non ci sono altri tg in onda. Essi pertanto, entrando in competi-
zione non con altri tg ma con altre trasmissioni televisive, sono
portati ad accentuare il versante della televisione sacrificando
quello dell’informazione; o meglio: a piegare le esigenze del gior-
nalismo a quelle del palinsesto. È evidente però che il modo in
cui queste tre testate costruiscono questo effetto di senso è abba-
stanza differente. Così, laddove per esempio il Tg2, a causa della
sua collocazione oraria, si trova a far concorrenza ai programmi
di prima serata e deve pertanto tendere verso la famigerata spet-
tacolarità, Studio aperto fa concorrenza ai programmi del tardo
pomeriggio, che hanno tutt’altro tipo di stile e di pubblico. Se
questi tre tg hanno presentano un’identità meno forte degli altri
quattro è in principal modo per il fatto che, non avendo un “al-
tro” interno al genere da cui differenziarsi, si rivelano privi di ca-
rattere. Ma è evidente che le differenze tra queste tre testate non
si esauriscono in una questione di collocazione oraria.
258 GIANFRANCO MARRONE
etc.), il Tg3 decide di essere, non solo una finestra sul mondo, ma
il mondo al di fuori della tv11. Da qui i tratti fondamentali del suo
stile, dove dimensione narrativa e dimensione passionale si inne-
stano l’una nell’altra con una buona tenuta d’insieme.
Dal punto di vista narrativo enunciazionale, occorre rilevare
innanzitutto il fatto che, in questo tg, l’Enunciatore assume
molto spesso il ruolo del Destinante manipolatore, mentre l’E-
nunciatario è un attante sincretico che ingloba sia il Soggetto
operatore (che va alla ricerca della notizia) sia il Soggetto di sta-
to (che è disgiunto e poi congiunto con la notizia stessa). Ne
viene fuori un patto di veridizione dove entrambi i Soggetti del-
l’Enunciazione hanno un ruolo attivo e paritetico, sulla base del
quale non tanto entrano in congiunzione con una notizia tratta
dal mondo esterno, ma si adoperano essi stessi per trasformare
i dati esterni in notizia vera e propria. Così, è come se l’E-
nunciatario, identificandosi totalmente con il proprio Enuncia-
tore, diventasse Enunciatore di se stesso. Ne deriva, ovviamen-
te, una forte adesione dell’Enunciatario al set comunicativo,
fondata su una profonda fiducia ai valori di verità proposti dal-
l’Enunciatore e inscritti nell’enunciato. Il fare sanzionatore del
pubblico viene pertanto presentato, in modo preventivo all’in-
terno del testo, come entusiasticamente positivo.
Da qui, sempre sul piano enunciazionale, una serie di mosse
fondamentali, come la pariteticità tra il conduttore e gli altri gior-
nalisti, la produzione di un attante collettivo dell’enunciazione
(fatto di uomini e non di tecniche), la dinamizzazione dello spa-
zio dello studio, l’organizzazione delle sequenze delle notizie per
grandi aree tematiche e la conseguente produzione di arci-temi.
Il che, dal punto di vista della narrazione enunciata, com-
porta la messa in opera di una fondamentale problematizzazio-
ne del mondo e dei suoi valori, valori che anche all’interno
delle notizie sono molto spesso di carattere modale. Piuttosto
che i grandi programmi di base, tendenti al congiungimento
del Soggetto con l’Oggetto di valore, si preferisce raccontare
pertanto i piccoli programmi d’uso, tendenti all’acquisizione
delle varie possibili competenze. Al punto che la messa tra pa-
rentesi dei valori di base fa sì che le modalità finiscano per di-
ventare esse stesse i fini ultimi delle mire narrative.
Dal punto di vista passionale, infine, alla generale tendenza
alla problematizzazione corrisponde la messa in gioco di gran-
di passioni della ragione, non solo relative al voler-sapere (cu-
riosità, voglia di capire etc.) ma anche riguardanti un più
260 GIANFRANCO MARRONE
vizi (tipica di tutti i tg) che i pur frequenti dialoghi tra condut-
tore e inviati non riescono a eliminare del tutto.
A proposito di dialoghi, sembra di poter rilevare l’importanza
(e insieme i problemi) dei quotidiani collegamenti conclusivi tra
Tg5 e Striscia la notizia. Questi collegamenti hanno infatti molte-
plici significazioni. Innanzitutto hanno un’evidente funzione “tec-
nica” di traino: ponendo una soglia al posto di un limite, il pub-
blico della trasmissione successiva viene in parte acquisito da
quella precedente (e viceversa). In secondo luogo, l’intreccio tra
le due trasmissioni fa risaltare l’opposizione dei generi (serio/face-
to), finendo per rafforzare – secondo il principio tipico del Carne-
vale20 – l’identità di entrambe le trasmissioni. Il Tg5 sarà cioè tan-
to più serio e credibile (ossia tanto più “giornale”) quanto più
Striscia saprà farne la caricatura. Così, in conclusione al Tg5 del
10 ottobre, Mentana dice letteralmente a Greggio e Iacchetti:
“guardate che questa è una trasmissione seria, siamo al telegiorna-
le”. In terzo luogo, però, la parodia del serio fatta dal faceto non
avviene (come sempre nel Carnevale) in un luogo e in un tempo
rituali, separati, ben definiti e per questo deputati all’irrisione e al
rovesciamento dei ruoli; essa si presenta invece come una vera e
propria intrusione del faceto nel serio, una sorta di invasione di
campo che ridà al Tg5 quella proprietà “televisiva” a cui s’era
contrapposto. Così, per esempio, l’8 ottobre accade che nel corso
del collegamento con Striscia i due comici annuncino che durante
la loro trasmissione si vedrà Mentana cantare insieme alla Venier
(quel giorno raggiunta da un avviso di garanzia). Ancora una vol-
ta, dunque, si riafferma il carattere ambiguo del termine comples-
so, che da un lato vuole affermare il suo essere “giornale” senza
per questo rinunciare al suo essere anche “tele”.
Per concludere (rimandando ai dati e alle osservazioni spar-
se nel corso delle analisi), possiamo comunque dire che, se uno
dei problemi del Tg5 è quello di essere talvolta costretto ad
imitare il suo diretto avversario (assumendone certi tratti carat-
teristici), una sua fortuna è che esso ha a sua volta degli imita-
tori (Tg2 e Tmc news), i quali indirettamente fanno di esso il
termine iperonimo di un paradigma semantico, ossia, molto
semplicemente, un Modello di telegiornale alternativo al Tg1.
degli altri tg, però, il Tg2 va come di consueto un po’ più in là,
spostando l’attenzione sulle possibili nuove malattie del Pontefi-
ce; e, a proposito dei giornalisti, alla fine del servizio si dice:
Nessuna resa ma solo una ritirata strategica [nelle immagini gior-
nalisti di spalle che si allontanano], aspettando il Parkinson, nuova
frontiera per gli irriducibili del grande spettacolo del Papa malato.
1
Cfr. Calabrese e Volli 1995: 161-164; Squadrone 1996: 117-118.
2
Così, per esempio, quando Mentana parla della decisione della Cor-
te Costituzionale sulla non reiterabilità dei decreti legge (8 ottobre), dice,
cambiando tono di voce: “Pensate, c’è qualcosa che riguarda anche la te-
levisione”. Lo stesso giorno, dopo aver dato la notizia dell’avviso di ga-
ranzia a Venier e Lambertucci, Mentana si lancia in una difesa dei due
personaggi in quanto, appunto, personaggi televisivi (anche se apparte-
nenti al gruppo editoriale avversario: la Rai).
3
Da qui l’atteggiamento tipico di Fede, il quale, quando presenta un
personaggio solo relativamente noto, lo fa dicendo: “è quel signore che
vedete alle mie spalle”, e indica lo schermo.
4
La nozione di paratesto è stata coniata in ambito letterario da Ge-
nette 1987 per definire tutti quei testi che stanno nei dintorni del testo e
che contribuiscono alla diffusione pragmatica del suo senso: titoli, retri
di copertina, introduzioni, interviste rilasciate dall’autore, comunicati
stampa delle case editrici etc.
5
Queste opposizioni, rilevate da Calabrese e Volli 1995: 56, sono già
in parte cambiate. In Grasso (a cura) 1996 esse per esempio assumono
altri aspetti, e sparisce del tutto la terza.
6
Cfr. Barthes 1953; Hamon 1973, 1977.
7
Quel che semmai colpisce è il fatto che questo esito è ottenuto ne-
gando l’autoriflessività tipica della neo-televisione, a cui la televisione ita-
liana sembrava essere condannata.
8
Cfr. per es. Veltroni 1992; Grasso 1992; Calabrese e Volli 1995: cap.
2; Grasso (a cura) 1996: voce “Tg1”.
9
Il termine complesso è il posto generalmente occupato da figure mi-
tiche le quali, mediando tra termini contrari, sono presto destinate a soc-
combere (o ad annullarsi nel termine neutro): si pensi all’Ermafrodita
(nel nostro esempio: uomo + donna), al Minotauro (uomo + toro), al Se-
midio (uomo + dio), alla Sfinge (donna + leone) etc. Cfr. p. 232 n. 26.
10
Si pensi al modo in cui questo tg usa il “noi”, indicando talvolta la
L’IDENTITÀ DI TESTATA 275
1
Giuseppe Pontiggia, “La storia non si ripete. Si assomiglia”, in Do-
menica Il Sole-24 ore, 29 dicembre 1996, p. 17.
2
Lévi-Strauss 1962. Sul bricolage come possibile procedura di costru-
zione dell’identità comunicativa cfr. Floch 1995.
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