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UN CASO MOLTO PARTICOLARE DI INCONTRO CON UN DEFUNTO

Il dottore in medicina W. C. De Sermyn, nella sua opera “Contribution à l’étude de


certaines facultés cérébrales méconnues”, riferisce il seguente fatto, osservato
personalmente nella sua lunga carriera professionale:

«Giovanni Vitalis era un uomo robusto, tarchiato, sanguigno, ammogliato senza figli, e
dotato di una salute perfetta. Aveva circa trentanove anni quando fu colto da febbre
violenta e da dolori articolari. Io ero il suo medico, e quando lo visitai mi avvidi che
presentava i sintomi di un reumatismo articolare acuto...

... Il mattino del sedicesimo giorno di malattia, fui sorpreso di trovare Giovanni Vitalis
alzato, vestito, seduto sul letto e sorridente, con le mani e i piedi interamente liberi dal
male e senza febbre. La sera precedente lo avevo lasciato assai male, con le articolazioni
delle spalle, del gomito, delle mani, dei ginocchi, dei piedi tumefatte e doloranti, e con una
febbre altissima, dimodoché non avrei mai più immaginato di trovarlo fresco e guarito.

Con espressione calmissima, egli mi raccontò che attribuiva la sua guarigione improvvisa
ad una visione avuta nella notte. Pretendeva che gli fosse apparso suo padre, morto da
parecchi anni. Ed ecco ciò che mi raccontò:

- Mio padre è venuto a visitarmi nella notte. Entrò dalla finestra, ristette un momento a
guardarmi da lontano, poi si avvicinò, mi toccò un po’ dovunque per togliermi i dolori e la
febbre, quindi mi annunciò ch’io morrò questa sera alle ore nove precise. Prima di
andarsene egli mi esortò a prepararmi alla dipartita da buon cattolico. Conformemente io
mandai a chiamare il mio confessore che ben presto sarà qui. Mi confesserò, mi
comunicherò, e mi farò amministrare l’estrema unzione. Io vi ringrazio per le cure che mi
avete prodigate, e la mia morte non sarà certo dovuta a deficienze da parte vostra. È mio
padre che mi chiama, e verrà a prendermi questa sera alle ore nove.”

Tutto ciò egli riferì con l’atteggiamento il più sereno immaginabile, e dal suo volto
sorridente irradiava un’espressione di vera beatitudine.

- Voi sognaste, foste vittima di un’allucinazione - io gli dissi - e mi stupisco che prendiate la
cosa sul serio.
- No, no - egli rispose - tutt’altro che un sogno, ero perfettamente sveglio. Mio padre è
venuto realmente, l’ho visto, gli ho parlato, e mi apparve come quando era vivo.
- Ma quella predizione di morte ad ora fissa? Voi non la prenderete sul serio di sicuro?
Tanto più che siete guarito perfettamente.
- Mio padre non può avermi ingannato, e quindi sono certo di morire questa sera all’ora
indicata.

Il suo polso era pieno, calmo, regolare, e la sua temperatura normale. Nulla indicava ch’io
mi trovassi in presenza di un malato grave. Comunque prevenni la famiglia che negli
attacchi di reumatismi cerebrali si verificavano qualche volta dei casi di morte improvvisa, e
consigliai un consulto col dottor R.

Quando il dottore R. arrivò e apprese di che si trattava, disse in presenza del malato ogni
sorta di facezie a proposito dell’allucinazione occorsa e della predizione di morte, ma
dinnanzi ai familiari riuniti egli annunciò che il male aveva attaccato il cervello e che in casi
simili il pronostico è grave. Egli aggiunse: “La calma del malato è bizzarra ed insolita. La
sua credenza all’obbiettività della visione avuta e alla sua prossima morte è sorprendente.
Ordinariamente si ha paura della morte, ed egli invece non se ne preoccupa affatto, anzi
sembra felice di morire. Con tuttociò io garantisco ch’egli non ha punto l’aria di un uomo
che deve morire questa sera, e quanto al fissare anticipatamente l’ora precisa della morte,
non è che una farsa.”
Io tornai verso mezzogiorno a vedere il malato, a cui m’interessavo grandemente. Lo trovai
alzato, che passeggiava in lungo e in largo nella sua camera, con passo fermo, senza dar
segno di debolezza o di dolore.

- Vi aspettavo - egli disse. - Ora che mi sono confessato e comunicato posso mangiare
qualche cosa? Ho una fame atroce, ma non volevo prendere nulla senza il vostro consenso.

Siccome non aveva febbre ed appariva in perfetta salute, permisi ch’egli mangiasse una
bistecca ed anche un contorno di patate.
Ritornai verso le otto di sera. Volevo trovarmi vicino al malato per l’ora fatale delle nove.
Egli era sempre gaio, e prendeva parte alla conversazione con grande spontaneità e
perfetto raziocinio. Tutti i rappresentanti della famiglia si trovavano con lui nella camera. Si
conversava animatamente e si rideva. Vi si trovava pure il suo confessore, dal quale seppi
che aveva somministrato anche l’estrema unzione al malato. Egli osservò in proposito: “Il
malato insisteva a tal segno, ch’io non credetti doverlo contrariare. Del resto è un
sacramento che si può amministrare parecchie volte.”

Vi era nella camera un orologio a pendolo, e Giovanni Vitalis - ch’io non perdevo mai di
vista - vi gettava d’ogni tanto degli sguardi ansiosi. Quando il pendolo segnò nove ore
meno un minuto, e mentre si continuava a conversare animatamente ed a ridere, egli si
alzò dal sofà e disse tranquillamente: “L’ora è venuta.”

Baciò la moglie, i fratelli e le sorelle, quindi saltò agilmente sul letto, ne accomodò i
guanciali, e alla guisa di un attore quando saluta il pubblico, curvò parecchie volte il capo
dicendo: “Addio! Addio!” Infine si allungò nel letto senza affrettarsi, e non si mosse più.

Io mi avvicinai lentamente, persuaso ch’egli simulasse la morte, ma con mio grande


stupore mi avvidi ch’egli era morto davvero, senza scosse, senza rantolo, senza un sospiro.
Era morto di una morte ch’io non vidi mai l’uguale. Si sperò per qualche tempo che si
trattasse di una sincope prolungata o di catalessi. Conformemente si differì a lungo il
seppellimento, ma ci si dovette alfine arrendere all’evidenza, di fronte alla rigidità
cadaverica ed ai segni palesi dello sfacelo.»

(Citato da Camillo Flammarion ne “Annales des Sciences Psychiques” 1911, pag. 257)

Questo il caso interessante, strano ed eccezionale riferito dal dottore De Sermyn, il quale si
astiene dal commentarlo, per quanto dalla tesi prolungata nel libro che lo contiene si rilevi
che le “facoltà cerebrali sconosciute” di cui parla l’autore escludano l’ipotesi allucinatoria e
corrispondano alle facoltà di senso supernormali indagate dalla metapsichica, con implicita
la possibilità che le medesime valgano talvolta a stabilire rapporti col mondo degli
“invisibili”.

Ma già si comprende che l’urgente dovere di un dottore curante nelle circostanze esposte
era quello di estirpare a qualunque costo dalla mente dell’infermo l’idea pericolosa ch’egli
sarebbe morto in quel medesimo giorno, a un’ora prestabilita, persuadendolo ch’egli era
stato vittima di un brutto sogno allucinante.

Si è visto che il malato negò decisamente che potesse trattarsi di un sogno, affermando
ch’egli era ben certo di trovarsi sveglio, e siccome la conversazione avuta col fantasma del
padre ebbe una certa durata, deve ammettersi che il malato avesse il tempo di discernere
se era o non era sveglio. Inoltre, nello svolgersi dell’evento si rileva una circostanza
altamente suggestiva nel senso dell’intervento reale sul posto di un’entità disincarnata, ed
è che il percipiente, il quale era infermo da diciassette giorni e che in quel momento aveva
tutte le articolazioni del corpo tumefatte con febbre altissima, si trovò guarito da un istante
all’altro e senza febbre, ciò in seguito all’imposizione delle mani dell’entità del defunto da
lui visualizzata.

Ora non è certo naturale che un complesso di tumefazioni artritiche in tutte le articolazioni
del corpo abbia da dissiparsi da un istante all’altro insieme alla febbre che le
accompagnava. Tutto ciò, al contrario, rasenta il prodigio.

Quanto all’altra circostanza, in apparenza sensazionale, del percipiente che venne a morire
all’ora precisa in cui era stato preconizzato che dovesse morire, non riveste valore
scientifico, tenuto conto che il fatto del preciso realizzarsi dei preannunci di morte può
ragionevolmente ascriversi ad azione auto suggestiva. Per quanto ciò non significhi che tale
soluzione sia sempre la vera, e probabilmente non era la vera nel caso in esame.

Tratto dall’opera di Ernesto Bozzano “Le visioni dei morenti”

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