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U NIVERSIT À DEGLI S TUDI DI PALERMO

SCUOLA DELLE SCIENZE UMANE E DEL PATRIMONIO CULTURALE


Dipartimento di Scienze Umanistiche
Corso di Laurea Triennale in Studi Filosofici e Storici

T ESI DI LAUREA TRIENNALE

K AUFFMAN LETTORE DI W ITTGENSTEIN

Candidato: Relatore:
Francesco Rizzo Prof. Marco Carapezza
Matricola 0631408

Anno Accademico 2016 - 2017


Alla mercé di un invisibile incantesimo, sempre di nuovo essi ripercorrono
ancora una volta la stessa orbita: continuino pure a sentirsi cosi
indipendenti l’uno dall’altro con la loro volontà critica o sistemica, c’è pur
sempre un qualcosa, in essi, che li conduce, un qualcosa che li incalza, in
un determinato ordine, l’uno dopo l’altro, appunto quella innata
sistematica e affinità dei concetti. Il loro pensare è in realtà molto meno
uno scoprire che un rinnovato conoscere, un rinnovato ricordare, un
procedere a ritroso e un rimpatriare in una lontana, primordiale economia
complessiva dell’anima, da cui quei concetti sono germogliati una volta:
-in questo senso filosofare è una specie d’avatismo di primissimo rango. La
prodigiosa somiglianza, di famiglia, propria di ogni filosofare indiano,
greco, tedesco, si spiega in modo abbastanza semplice. Proprio laddove si
presenta un’affinità di linguaggio è del tutto inevitabile che, grazie alla
comune filosofia della grammatica- grazie, voglio dire, al dominio e alla
guida inconsapevoli, realizzati da analoghe funzioni grammaticali- tutto
sia predisposto, sin dall’inizio, per uno sviluppo ed una successione
omogenea dei sistemi filosofici: così come pare quasi sbarrata la via a certe
diverse possibilità di interpretazione del mondo.

— F. Nietzsche, Al di là del bene e del male

Se la vita era destinata a sorgere, non come un accidente incalcolabilmente


improbabile, ma come l’atteso compimento dell’ordine naturale, allora noi
siamo realmente a casa nell’universo.

— S.A.Kauffman, At home in the Universe


INDICE

Introduzione iv

1 kauffman, l’unità base di una biologia generale 1


1.1 Stuart Kauffman . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.2 Investigations, Esplorazione Evolutive . . . . . . . . . . . . . . 3
1.3 Agenti autonomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.4 Ciò che in vita è . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.5 L’unità base di una biologia generale . . . . . . . . . . . . . . . 9
1.6 L’organizzazione propagante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.7 Storia, vincoli, lavoro e creatività. . . . . . . . . . . . . . . . . 17

2 kauffman legge wittgenstein 22


2.1 Kauffmenstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2.2 Critica all’idea di semplice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.3 Emergentismo e Riorganizzazione semantica . . . . . . . . . . 27
2.4 Agenti autonomi e Giochi linguistici . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.5 Dare i nomi alle cose per capire i nomi delle cose. . . . . . . . 30
2.6 Vita ed Entropia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.7 Un gioco naturalmente linguistico . . . . . . . . . . . . . . . . 35

Conclusione 41

Bibliografia 43

iii
INTRODUZIONE

In filosofia non credo esista un buon motivo per trattare un argomento, se


non quello di mostrare il buono dell’argomento trattato. Credo sia una scel-
ta maturata nel tempo quella di chi decide di dedicare tutto se stesso allo
studio della filosofia; una cosa è certa, non è questa la via o il percorso che
si presta a chi, cauto, preferisce vedere la fine del sentiero prima ancora di
percorrerlo. Non ci sono confini netti, niente bussole universali che rendono
ogni meta ragionevole ed argomentabile, non v’è sguardo preliminare che
può essere gettato sulla vita che spetta al filosofo. Spesso anche la scelta più
semplice sul perché, e sul come fare filosofia non può essere spiegata, se non
attraverso la memoria, che silenziosa ci permette di risalire al primo contatto
con la stessa. Allora lì, nel fondo di questa “scelta”, credo ci sia un atto spon-
taneo, una intuizione estremamente semplice ma abbastanza forte da farci
spingere, in modo che sophía proceda, mostrando il buono di ciò che fa nel
farlo. Il suo andare avanti altro non è che un cercare, un tentativo di tornare
alla purezza del contatto originario da cui tutto è partito. Il presente lavoro
nasce dal desiderio di voler approfondire quel modo di fare filosofia che ho
ritrovato all’interno delle Ricerche Filosofiche di Wittgenstein, ovvero quella
consapevolezza mista al timore di possedere strumenti come la lingua1 , o
più generalmente il linguaggio2 , che meravigliosamente sfruttiamo, ma spes-
so non ci consentono di capire come tale proprietà-possesso sia effettivamente
possibile. La tensione tra la consapevolezza di avere una certa conoscenza
delle cose e del mondo, e l’impossibilità di pervenire ad una comprensio-
ne di come facciamo ad arrivare a ciò (alla conoscenza stessa). Conoscere
come conoscere sarebbe come vedere noi stessi attraverso qualcos’altro, il che
porterebbe non pochi problemi. Ma non è questa la sede opportuna per af-
frontare un simile discorso. L’inesprimibilità gnoseologica dei principi che
giornalmente ed aggiungerei leggermente usiamo, è stata la scintilla che ha
portato in me l’interesse per questo autore e le sue opere.
Credo che dal titolo si intuisca che il presente lavoro non è dedicato esclu-
sivamente al filosofo Viennese, ma ad una lettura della sua filosofia da parte
del biologo e ricercatore statunitense, Stuart Kauffman. La tesi è struttura-
ta in due capitoli, che comprendono sette paragrafi ciascuno. Gli obiettivi
che questo lavoro si propone nel primo capitolo sono i seguenti. Cercare di
delineare, nei suoi tratti essenziali, le linee guida della filosofia/scienza di
Stuart Kauffman, focalizzando l’attenzione su uno dei suoi lavori principali,
ovvero Investigations. Già dal titolo è evidente il forte legame con le Ricerche

1 Intesa come un sistema di comunicazione parlato o segnato proprio di una comunità umana.
2 Inteso come il complesso di suoni, gesti e movimenti attraverso il quale si attiva un processo
di comunicazione. La facoltà di rappresentare mentalmente un significato è presente in molte
specie di animali, tra le quali l’essere umano.

iv
Filosofiche, (Philosophical Investigations nella traduzione inglese) del “padre
spirituale” Ludwig Wittgenstein. Mostrerò come in questo testo Kauffman
si opponga a quelle forme di pensiero che vogliono spiegare il fenomeno
della vita in termini riduzionistici ed atomistici; quelle forme di pensiero
che riconoscono alla vita esclusivamente una semantica da decodificare. Un
pensatore, Kauffman, che è in grado di mostrare semplicemente come il
tutto sia maggiore delle parti. Un autore che mostra come, davanti ai for-
malismi irriducibili, si nasconda una tensione tra cosa significhi e cosa sia
a un tempo conoscere e costruire il nostro mondo. Mi propongo, quindi,
di spulciare (tenendo conto del breve spazio a disposizione) le dinamiche
generali delle sue ricerche, per dedicarmi all’analisi delle strutture dissipati-
ve, (gli agenti autonomi), sistemi autorganizzati che si conservano attraverso
la dissipazione dell’energia e fluttuazioni che si verificano sempre vicino al
bordo dello stato di non equilibrio o, come efficacemente viene definito da
Kauffman, il Bordo del caos. Nel primo capitolo saranno brevemente trattati
i seguenti argomenti.

• Il fenomeno dell’autorganizzazione di tali sistemi, e le modalità che


permettono la ristrutturazione dei loro stati interni in relazione all’am-
biente circostante. Quindi il nostro soggetto per certi aspetti coinciderà
da un punto di vista speculativo con il nostro oggetto, la vita. La vi-
ta, l’unica bolla di resistenza contro il caos, l’unico sistema capace di
mantenere costante il livello di entropia al proprio interno.

• Come Kauffman intenda tale ordine interno dei vari agenti, e come esso
possa emergere anche senza l’esclusivo contributo della “selezione na-
turale” in senso stretto, e come infine lo stesso autore riesca ad arrivare
a questo concetto di ordine, attraverso i suoi ordinatori/agenti.

• Le radici della definizione del vivente cercando di dar vita ad una er-
meneutica dell’evoluzione che spieghi la logica costruttivista del viven-
te, una logica espressa dalla selezione naturale, dall’auto-organizzazione
e da altri principi che restano tutt’ora incomprensibili.

• Le così dette proprietà emergenti, cercando di capire cosa intenda Kauf-


fman con il concetto di organizzazione propagante della Biosfera.

• Come una biosfera costruisca questa sbalorditiva complessità; vedre-


mo che la sua diversità e la sua complessità sono la causa della sua
ulteriore diversificazione, provando a mostrare come i fenomeni emer-
genti e creativi persistenti nell’universo fisico siano reali.

• Come Kauffman intenda formulare il concetto di organizzazione pro-


pagante in opposizione a quello dei fenomeni entropici, cercando di in-
vertire ed addirittura provando a superare lo stesso principio entropi-
co, capendo come la freccia del tempo non vada verso la dissipazio-
ne e l’equilibrio, ma al contrario sia la moltiplicazione delle rotture
dall’equilibrio.

v
• Come la scienza storica sia fondamentale (per l’uomo), affinché sia tan-
gibile l’auto-riconoscimento di un ordine statico, senza il quale (per l’uo-
mo) sarebbe impossibile la comprensione dell’evoluzione delle forme
viventi, nella loro meravigliosa biodiversità.

Il Secondo capitolo sarà invece dedicato alla “lettura”, oserei dire “na-
turale”, che Kauffman dà su Wittgenstein. Come nelle Ricerche Filosofiche
viene infranta la tradizione dell’atomismo logico, così egli vuole tracciare le
linee di una filosofia/scienza della vita, con l’obiettivo di oltrepassare for-
me di pensiero che vogliono spiegare il fenomeno della stessa in termini
riduzionistici ed atomistici. Cercherò di mostrare come Kauffman intenda
l’intera impresa svolta da Wittgenstein nella sua fase matura con la rivo-
luzionaria impresa delle Ricerche Filosofiche. Una rivoluzione che molto ha
contribuito a distruggere, come dice lo studioso americano, il concetto di
livello privilegiato di descrizione, spianando la strada alla comprensione di
come i concetti, a qualunque livello essi si trovino, siano formati di norma
sulla base di circoli codefinizionali. Capire in che senso, per Kauffman, Witt-
genstein ha inventato il concetto di gioco linguistico, un cluster codefinito di
concetti capace di scolpire costantemente il mondo in modo nuovo. Analiz-
zerò inoltre i molti punti di contatto tra il lavoro degli Agenti Autonomi, il
gioco naturale e l’attività linguistica dei parlanti nei Giochi linguistici, sulla scia
di Emiliano La licata. Mostrare dunque come Agenti Autonomi e Giochi
linguistici, realtà e linguaggio, sono congiunti in una forma di costruttivi-
smo radicale e creativo proprio del nostro modo di vivere; vedere come essi
si configurino,allora, come officine sperimentali dove hanno vita fenomeni
costruttivi che, talvolta, diventano innovativi, perché presentano novità che
non erano previste e che non sono teoricamente prevedibili.

vi
1 K A U F F M A N , L’ U N I T À B A S E D I
UNA BIOLOGIA GENERALE

1.1 stuart kauffman


Stuart Alan Kauffman (28 settembre 1939) è un biologo e ricercatore sta-
tunitense impegnato nello studio e nell’analisi dei sistemi complessi e della
loro relazione con l’origine della vita sulla Terra. È conosciuto soprattutto
per aver sostenuto che la complessità dei sistemi biologici e degli organismi
viventi è dovuta sia all’auto-organizzazione propria degli stessi organismi
viventi, quanto alla selezione naturale darwiniana. Una delle proprietà pre-
minenti di tutto il mondo vivente è la tendenza a formare strutture a più
livelli di sistemi dentro altri sistemi. Ognuno di questi forma un tutto ri-
spetto alle sue parti, mentre al tempo stesso è parte di un tutto più ampio.
Così, le cellule si combinano per formare i tessuti, i tessuti per formare gli
organi, e gli organi per formare gli organismi. A loro volta gli organismi
vivono all’interno di sistemi sociali ed ecosistemi; tutto il mondo naturale
insomma è composto da sistemi viventi inseriti all’interno di altri sistemi
viventi. Fin dai giorni che videro la nascita della biologia organismica, ta-
li strutture a più livelli sono state chiamate “gerarchie” (termine piuttosto
fuorviante, poiché richiama le gerarchie umane, che sono strutture rigide
di dominazione e di controllo, assai dissimili dall’ordine a più livelli che
si trova in natura). Ciò di cui i primi sistemici si resero conto è l’esistenza
di livelli differenti di complessità, con leggi di tipo diverso operanti a cia-
scun livello. In effetti il concetto di complessità organizzata divenne proprio
l’oggetto di studio dell’approccio sistemico. A ogni livello di complessità, i
fenomeni osservati mostrano proprietà che non esistono al livello inferiore3 .
Nei primi anni venti del ventesimo secolo il filosofo C. D. Broad coniò la
definizione di proprietà emergenti per indicare quelle proprietà che emer-
gono a un certo livello di complessità ma che non esistono a livelli inferiori4 .
Negli ultimi anni la biologia è divenuta sempre più oggetto di studio ed
analisi da parte dei filosofi, considerando che il tema centrale è la vita con
tutte le prospettive attraverso la quali può essere oggi compresa. Un ampio
dibattito accoglie ad esempio le diverse cause dell’evoluzione biologica, con
un particolare riferimento al modello darwiniano, che si rifà alle tesi di mu-
tazione genetica casuale o di selezione naturale. Kauffman è uno scienziato
che nel panorama internazionale rappresenta senza dubbio una delle voci

3 Ad esempio il concetto di temperatura, che è centrale nella termodinamica, è privo di signifi-


cato al livello dei singoli atomi, dove operano leggi di meccanica quantistica. Il sapore dello
zucchero non è presente negli atomi di carbonio, idrogeno e ossigeno che ne costituiscono i
componenti.
4 Frjtiof Capra, La rete della vita, Rizzoli, Milano, 1996, pp 39.

1
1.1 stuart kauffman 2

più importanti per la discussione e la comprensione dei significati filosofi-


ci associati all’origine e all’evoluzione della vita. Dovendo condensare in
poche parole la sfida generale che pone Kauffman, a partire dalle sue inve-
stigazioni scientifiche e dalle sue esplorazioni metodologiche, essa consiste
nell’ambizioso progetto di elaborare una teoria dell’informazione a caratte-
re semantico capace di interpretare il misterioso linguaggio della vita, in
relazione ai profondi processi di auto-organizzazione (le presunte colonne
d’Ercole della biologia contemporanea). Di grande importanza è la rivaluta-
zione da parte della biologia contemporanea del concetto di “informazione”
come emerge dal lavoro di Kauffman. Infatti tale concetto come quello di
complessità, se pur pertinente al contesto logico e fisico-matematico, pare
sia nella biologia a dare risvolti più ricchi. Il meccanismo Darwiniano non è
più in grado, secondo Kauffman, di interpretare in modo esaustivo le morfo-
logie dei viventi: ha perso, per così dire il suo statuto di “ago della bilancia”
capace di determinare se la vita e le sue forme siano risultato o meno del
caso. L’insufficienza5 delle mutazioni genetiche casuali e della selezione na-
turale emerge con forza. La volontà di Kauffman è quella di giungere ad
un teoria dell’informazione di carattere semantico capace di interpretare il
“linguaggio della vita”, non operando una riduzione della semantica alla
sintassi o peggio iscrivendo la semantica entro un quadro computazionale,
ma intendendo la “ricerca di un linguaggio” non come una “riduzione ad
un linguaggio”, né tantomeno nel riconoscere alla vita una semantica da
decodificare; infatti i tentativi di espressione e comprensione in tal senso
non sono riduzionistici, ma semplice e lecito desiderio di intelligibilità. La
comunità scientifica ha mostrato grande interesse per i modelli proposti che
questo strano ibrido biologico-chimico-matematico era riuscito a implemen-
tare matematicamente: reti organizzate di agenti che interagiscono tra loro e
che hanno la capacità di far sorgere strutture ordinate senza il supporto di un
progetto iniziale. Le proprietà delle reti derivano esclusivamente dalla loro
struttura per una sorta di necessità di ordine superiore; ogni rete che abbia de-
terminate caratteristiche potrà creare ordine dal nulla. Secondo Kauffman,
questi modelli possono spiegare gran parte dei sistemi complessi. Nel suo
lavoro principale del 1993 “The Origins of Order”, ogni livello biologico ve-
niva reinterpretato nei termini di modelli reticolari, fino a creare un quadro
5 Un esempio di insufficienza in tal senso è riportato in Menti Simboliche di Marco Mazzone a pp.
118; una tesi di Michael Tomasello, studioso della cognizione nell’essere umano e nei primati.
Viene messo in luce forse il più noto esempio di auto-organizzazione, quella umana: rendersi
conto che dal momento in cui i destini genetici degli esseri umani e degli altri primati si sono
“separati” (una stima accreditata valuta questo momento intorno a sei milioni di anni fa), la vita
culturale umana ci appare straordinariamente più complessa e differente per molteplici aspetti
rispetto a quella degli altri primati; tutto ciò avrebbe senso infatti in una logica adattativa
da un punto di vista biologico, ma che rende improbabile la tesi di una vasta pluralità di
adattamenti e dunque di moduli specifici della specie umana (ad esempio che vi sia in noi un
modulo/i del linguaggio, di cui i primati sono privi). Dato però il ristretto arco temporale
che ci separa dai progenitori comuni, un’ipotesi che chiami in causa adattamenti genetici è
tanto meno plausibile quanto maggiore è il numero degli adattamenti supposti. È opportuno
chiedersi se non vi sia qualche fattore cognitivo semplice, ma abbastanza potente da avere
effetti vasti e ramificati, così che un unico adattamento potrebbe fornire la spiegazione di tutte
le nostre peculiarità cognitive (organizzative-complesse). Questo dato se pur convincente non
deve essere sopravvalutato, infatti cambiamenti relativamente piccoli nel patrimonio genetico
potrebbero avere conseguenze importanti e possibilmente incalcolabili.
1.2 investigations, esplorazione evolutive 3

quasi onnicomprensivo della realtà della vita sulla Terra dalla sua origine.
Iniziando dall’autorganizzazione degli elementi chimici fino a formare le
prime macromolecole capaci di replicarsi, per arrivare fino all’evoluzione
accoppiata di diversi ecosistemi interconnessi tra loro. Tale interpretazione
si propone come un’aggiunta alla teoria darwiniana, come uno sfondo in cui
l’evoluzione per selezione naturale può avvenire; attirando cosi l’attenzione
degli scienziati e quella dei filosofi della scienza.

1.2 investigations, esplorazione evolutive


Nel dicembre del 1994 Kauffman dà vita ad un taccuino in divenire pen-
sando al Wittgenstein delle Ricerche Filosofiche (Philosophical Investigations nel-
la traduzione inglese, rimarcando nel titolo il legame con le ricerche) e alla
sua dirompente rottura con l’atomismo logico, percependo che qualcosa di
vasto e di inespresso attendeva di essere svelato; intitolò quel taccuino Inve-
stigations. Nell’edizione italiana viene tradotto sotto il nome di Esplorazioni
Evolutive (per qualche strano motivo il titolo italiano ha perso il rimando).
L’autore, nella stesura del libro, cosi come il Wittgenstein delle Philosophi-
cal Investigations rompe la tradizione filosofica dell’atomismo logico che
aveva praticato in giovinezza, cerca di tracciare un filosofia/scienza della
vita capace di superare le forme di pensiero che vogliono spiegare la stessa
in termini riduzionistici ed atomistici. Kauffman muove una spiegazione
del fenomeno vita dalla produzione circolare di lavoro degli esseri viven-
ti, nei termini di una produzione e riproduzione di sé stessa. Il lavoro di
questi esseri viventi (che scopriremo essere gli “agenti autonomi”), consiste
nel cercare, misurare e registrare qualsiasi fonte energetica che possa essere
utile a sviluppare e propagare la propria organizzazione di vita. Tale circolo
creativo favorisce la possibilità di nuovi sviluppi e di nuove differenziazio-
ni delle forme di vita, proprio perché le fonti energetiche hanno bisogno,
attraverso la costruzione di vincoli, di essere incanalate in un lavoro che si
espande e si propaga verso orizzonti di per sé imprevedibili. Kauffman si
è reso conto che Newton Einstein e Bohr possibilmente “ci hanno insegna-
to” a fare scienza secondo una logica che potrebbe rivelarsi incompleta. Il
loro modus operandi attraverso esempi magistrali in fisica, ci ha insegnato
a prefissare le forze, particelle, leggi, condizioni iniziali e al contorno, e poi
a calcolarne le conseguenze. Sostanzialmente possiamo stabilire prima del
tempo qual è l’intero spazio delle possibilità del sistema oggetto di studio.
Kauffman crede che non sia possibile ad esempio prestabilire lo spazio del-
le configurazioni possibili di una biosfera, ricollegandosi alla questione dei
preadattamenti6 (come li aveva definiti Darwin), ovvero modifiche causali di

6 La capacità di un organismo di affrontare vantaggiosamente condizioni ambientali modificate,


avendo il possesso di particolari caratteri. Nell’exattamento (dall’espressione inglese exaptation
introdotta da Stephen Jay Gould, per approfondire è consigliato Introduzione alla filosofia
della biologia di Telmo Pievani) un carattere evoluto per una particolare funzione ne assume
una nuova, indipendente dalla primitiva: un classico esempio è costituito dalle piume degli
1.2 investigations, esplorazione evolutive 4

parti di organismi prive di significato adattativo in un ambiente nuovo, fissa-


te poi nella selezione naturale. Il gioco delle forze tra adattamenti funzionali
e vincoli strutturali è infatti uno dei campi di ricerca e discussione più ac-
cesa ai fini applicativi delle tecniche cladistiche7 . Non è possibile predire
tutte le bizzarre conseguenze causali, dipendenti dal contesto di frammenti
e parti di organismi, che potrebbero assumere un significato selettivo in un
ambiente anomalo. Sembra allora che la biosfera stia compiendo qualco-
sa di letteralmente incalcolabile, qualcosa di non-algoritmico, qualcosa che
trascende la nostra capacità di previsione; secondo il nostro autore la tra-
scende per ragioni differenti ed altrettanto profonde, perché l’emergenza e
la creatività persistenti nell’universo fisico sono reali (di questo se ne parlerà in
seguito).
Gli obiettivi dunque sono molto ambiziosi: andare alle radici della defini-
zione del vivente cercando di dar vita ad una ermeneutica dell’evoluzione
che spieghi la logica costruttivista del vivente, una logica espressa dalla
selezione naturale dall’auto-organizzazione e da altri principi che restano
tutt’ora incomprensibili. Per far ciò Kauffman invoca e si rifà spesso a Witt-
genstein ed E. Schrödinger, in particolar modo al capolavoro di quest’ultimo
“Che cos’è la vita?” dove il fisico (come spiega bene Di Bernardo nel suo li-
bro8 ) suggerì di non ridurre la vita alla fisica, ma di pensare ad una nuova
fisica capace di spiegare (parafrasando Kauffman) l’organizzazione propagante
della biosfera e dell’universo, l’incessante produzione co-evolutiva di nuova
diversità e nuova complessità di cui solo la vita è capace. Nei due libri pre-
cedenti9 lo studioso americano aveva messo in luce alcune ragioni crescenti
per ritenere che l’evoluzione fosse più ricca di quanto avesse immaginato
Darwin, ovvero che l’ordine può emergere anche senza il contributo della
“selezione” in senso stretto (selezione intesa più come possibilità conservati-
va che esito di sviluppo). Brevemente, ritenere che buona parte dell’ordine
negli organismi10 non sia il riflesso della sola selezione, ma sia anche auto-
organizzato e “spontaneo”. Come sostiene Claudia Rosciglione nel suo ar-
ticolo11 , l’ordine strutturale suggerito da Kauffman non è un’alternativa al-

uccelli, evolute dai dinosauri presumibilmente per scopi di isolamento termico e poi rivelatesi
utilissime per il volo, oppure il primitivo polmone che si è evoluto dalla vescica natatoria
dei pesci. Nella specie umana, le pieghe laringee, comparse per impedire che, in occasione
del vomito il rigurgito del cibo entrasse nei polmoni, sono state successivamente cooptate
per produrre suoni e si sono trasformate nelle corde vocali, pur mantenendo la loro funzione
originaria.
7 In base al metodo di classificazione cladistica animali e piante vengono disposti in gruppi
tassonomici monofiletici - i cladi - comprendenti ciascuno un antenato comune e tutti i suoi
discendenti. Le relazioni evolutive sono stabilite a partire dai caratteri condivisi, le omologie,
presumendo che esse stiano ad indicare un antenato comune. Le strutture omologhe sono
quelle che, in diversi organismi, hanno un’origine comune, anche se non necessariamente la
stessa funzione.
8 Mirko di Bernardo, I sentieri evolutivi della complessità biologica di S.A.Kauffman, 2011 Mimesis
Edizioni, Milano-Udine, 2011
9 At Home in the Universe (1996), The Origins of Order (1993).
10 In “The Origin of Order” aveva ipotizzato che le cellule dell’embrione fossero strutturate come
una rete coesiva. Il sistema evolvendosi si autorganizza e produce una serie di configurazioni
ordinate. La tesi di kauffman è che questo ordine prodotto per “autocatalisi” è gratuito, cioè
spontaneo –order for free- inscritto nella struttura del sistema e nelle sue proprietà innate
autorganizzatrici. Una sorta di creatività interna al sistema.
11 Claudia Rosciglione, “Living and not-living matter: Complexity and Selforganisation in Kauffman”,
1.3 agenti autonomi 5

l’ordine funzionale costruito dalla selezione naturale. La selezione naturale


gioca, infatti, un doppio ruolo a due livelli diversi per l’origine della com-
plessità organica. Sul piano individuale, da un lato, filtra, mantiene e perfe-
ziona le varianti differenti che derivano dai processi di auto-organizzazione.
Sul piano di specie, dall’altro, è diretto alla formazione di sistemi che hanno
la flessibilità, la diversità interiore e la connettività che li rendono altamente
creativi e adattivi. Così da capire che l’autorganizzazione si mescola con
la selezione naturale secondo modalità poco chiare producendo la nostra
biosfera in tutto il suo splendore.

1.3 agenti autonomi


La filosofia/scienza di Kauffman ruota attorno al concetto di organizza-
zione propagante che si declina e si dipana attraverso la definizione delle
categorie di agente autonomo, lavoro, vincolo, liberazione vincolata di energia e
creatività. Nel tentativo di gettare le basi di una nuova biologia generale,
Kauffman elabora una teoria sugli agenti autonomi che per l’autore sono
l’elemento fondamentale attraverso il quale si costruisce la vita sulla terra.
Nella loro formulazione primaria vengono identificati con le cellule, che in
relazione all’ambiente producono lavoro per riprodurre ciclicamente se stes-
se. Un agente autonomo è un sistema autoriproduttivo capace di eseguire
almeno un ciclo di lavoro termodinamico12 . Possiamo definire gli Agenti au-
tonomi egoisti nella misura in cui devono agire a proprio vantaggio in un
ambiente per riprodurre il loro essere:

l’umile Escherichia coli che nuota controcorrente in un gradiente di glu-


cosio è un sistema autocatalitico capace di riprodursi. Nuotando, essa
effettua uno o più cicli di lavoro termodinamico13

Così, secondo Kauffman considerando un batterio che nuota controcorren-


te in un gradiente di glucosio, pur non attribuendogli una finalità cosciente,
risulta possibile concepire il batterio come un agente a proprio vantaggio
in un ambiente che sta “andando a procurarsi da mangiare”; infatti sta
nuotando controcorrente per ottenere glucosio, senza il quale difficilmente
potrebbe sopravvivere e conseguentemente riprodursi.

Un agente autonomo è un sistema fisico come lo è il batterio, che può


agire a proprio vantaggio in un ambiente. Tutte le cellule dotate di vita
autonoma e gli organismi sono chiamati agenti autonomi. Il carattere
quasi familiare, ma del tutto straordinario degli agenti autonomi - Esche-
richia coli, e parameci, cellule da lievito e alghe, spugne e platelminti,
anellidi e ognuno di noi – è la capacità che abbiamo di manipolare ogni

Nodi, Palermo, 2016


12 In fisica, si definisce ciclo termodinamico una successione finita di trasformazioni termodina-
miche (ad esempio isoterme, isocore, isobare o adiabatiche) al termine delle quali il sistema
torna al suo stato iniziale.
13 Stuart Kauffman, Esplorazioni Evolutive, (Investigations), Einaudi, Torino, 2005, pp. 126
1.4 ciò che in vita è 6

giorno il mondo circostante: noi nuotiamo, strisciamo, ci attorcigliamo,


costruiamo, ci nascondiamo, annuiamo e ghermiamo14

Gli agenti autonomi compiono cicli di lavoro con lo scopo sia di mante-
nersi in vita, sia di prosperare traendo vantaggio dall’ambiente. In questo
processo abbiamo una fase di esposizione all’energia esterna ed una di chiu-
sura che metabolizza l’acquisizione di tale energia: durante queste due fasi
il sistema produce lavoro. Il batterio che nuota controcorrente alla ricerca
di glucosio è la forma di vita che, per Kauffman, esemplifica in maniera
minimale il concetto in questione. Come conseguenza di questo modo di
vedere le cose, l’agente autonomo compie lavoro in un ambiente allontanan-
dosi dall’equilibrio termodinamico che, come si sa, è sinonimo di inattività,
di morte termica e di cristallizzazione improduttiva: non si produce lavoro
in uno stato di equilibrio, ma discostandosi da esso. Soltanto lontani dall’e-
quilibrio termodinamico è possibile infatti estrarre lavoro. Cosa deve essere
qualcosa per essere se stesso (nella vita) e quindi agire? Un Agente autono-
mo? Che cos’è un (Agente15 Autonomo16 )17 ? Cosa deve essere qualcosa per
definirsi un agente autonomo? Ha senso parlare dell’autonomia di qualco-
sa previa di un’analisi circa la libertà-possibilità di scelta? Forse è meglio
evitare una considerazione di questo tipo; la fatica del pensare ci porta alla
necessità dell’immagine della cosa per poterne parlare. Cosa, dunque, deve
essere qualcosa per essere e continuare ad essere sé stesso? Per Kauffman, o
più in generale nella prassi scientifica, le strutture auto-organizzate produ-
cono ordine ciclicamente nel generare parti di sé per auto-prodursi; proces-
so contestuale che organizza e riorganizza se stesso a spese dell’ambiente,
aggiustando e ri-aggiustando se stesso. I sistemi auto-organizzativi creano
una organizzazione in relazione all’ambiente secondo formazioni ecologi-
che, configurandosi così come sistemi che producono da sé la loro forma
di vita in relazione all’ambiente. Il punto chiave è che tale nicchia non si
configura come un habitat pronto ad essere occupato da un sistema vivente,
piuttosto è esso stesso in co-costruzione nella continua realizzazione di sé.
Quindi cosa deve essere qualcosa per poter mantenere e riprodurre la pro-
pria forma ordinata? Cosa deve essere qualcosa per riprodurre la propria
forma ordinata in un ambiente?

1.4 ciò che in vita è


Generalmente un essere vivente è definito come un aggregato di materia
organizzata limitato nello spazio e nel tempo, capace di metabolizzare, ri-
14 Ibid., p.13.
15 Che agisce, che provoca un determinato effetto; chi, la cosa che causa a, la causa efficiente.
16 In assoluta libertà; senza restrizioni o pressioni di sorta: reggersi autonomamente. Che ha
anche il potere di non fare, e in virtù della quale sceglie di poter fare o meno. Chi dunque
governa un fatto.
17 In qualche modo non è possibile separare i due termini, la stessa consapevolezza del poter fare
implica semanticamente l’ipotesi del poter-anche-non-far-ciò. Il tutto ci porta in una situazione
di vincoli ad autonomia incompleta.
1.4 ciò che in vita è 7

prodursi ed evolvere. Un essere vivente è oggetto di un flusso continuo di


materia, energia ed informazione: le tre grandezze che controllano tutto il
mondo o comunque ci permettono di apprezzarlo come tale. Siamo attra-
versati ed attraversiamo ogni istante un flusso di queste tre entità. L’ordine
dinamico tipico del vivente prevede la continua sostituzione delle sue parti.
Oggi possiamo etichettare gli esseri viventi come composti di materia orga-
nica, cosa poco banale, considerando che solo due secoli fa si pensava che la
vita fosse una realtà a parte nei confronti del mondo inorganico, ed essa, la
vita, fosse costituita da un altro tipo di materia, da una materia potremmo
dire altra da sé, in qualche modo separata. Che la vita sia ordine è abbastan-
za evidente! Ma non sempre l’ordine è vita: un cristallo ad esempio è una
struttura perfettamente ordinata ma con ciò non può essere collocata tra la
materia organica. È in vita ciò che cerca e ricerca il proprio vantaggio inteso
in termini di conservazione e mantenimento della propria forma ordinata,
nella dimensione dell’ordine della vita. Nel mantenere quindi la propria
organizzazione durante i continui scambi con l’ambiente, i sistemi viventi
producono il loro essere, la loro struttura; proprio in questo consiste una
forma di vita, un modo di stare nel mondo. Come dobbiamo pesare le parole
di Kauffman quando dice: “ognuno di noi agisce a proprio vantaggio in un
ambiente?” Cosa deve essere qualcosa per agire a proprio vantaggio? Per
agire a proprio vantaggio deve essere qualcosa in vita; l’essere in vita deve
riprodursi per definizione. Deve essere concesso l’assunto e la sostanziale
differenza ontologica tra la vita (intesa come concetto limite della biomassa)
e l’essere in vita; se verrà meno tale distinzione nulla potrà allora essere
chiarito in questi termini. Per quanto ci interessa ai fini della nostra analisi
dire che la vita “è” non ci porta a nulla. La vita in questi termini non ha
statuti ontologici definiti in se stessa, ma occorre ai fini del nostro discorso
distinguere la vita come processo organizzativo che conserva il suo ordine,
e gli agenti autonomi, gli esseri viventi che si fanno carico della “vita” per
un determinato lasso di tempo. Prima di tuffarci nell’analisi dell’articolata
proposta di Kauffman esporrò alcuni punti chiave sui quali potremmo ritor-
nare per trovare chiarezza. Cosa intendiamo generalmente quando diciamo
“essere vivente”? Quando possiamo giudicare qualcosa “in vita”? È prati-
camente impossibile racchiudere il significato della vita in una definizione
univoca e definitiva, è forse più coerente indicare una serie di caratteristiche,
proprietà, e funzioni, che concorrono a distinguere ciò che è vivente da ciò
che non lo è. Difficilmente si può controbattere sul fatto che un essere vi-
vente sia un entità di materia organizzata, limitata nel tempo e nello spazio,
i cui criteri ordinativi sono definiti e controllati dal suo patrimonio genetico;
tale essere è capace di conservare questa organizzazione metabolizzando
materia ed energia, e riproducendo se stesso con la capacità di evolvere. Il
flusso di materia ed energia che consente all’essere vivente di conservarsi
come struttura organizzata è quindi il metabolismo (inteso nel senso più am-
pio del termine, non soltanto quello digestivo del singolo essere vivente, ma
quello relativo a tutti i processi vitali), che assicura a tutti gli esseri viventi
1.4 ciò che in vita è 8

di conservare le loro principali peculiarità. Mentre l’aspetto esterno (forma


di un certo essere) per un discreto lasso di tempo rimane apparentemen-
te invariata e costante, la sua struttura molecolare cambia continuamente.
Un’infinita attività di riparazione e rigenerazione che distingue nettamente
un essere vivente da un oggetto inanimato. Sostanzialmente siamo sem-
pre gli stessi anche se cambiamo ogni secondo che passa. Le molecole che
costituiscono il mio corpo non sono di certo quelle di un anno fa, ed un
buon numero di loro nemmeno quelle di due minuti fa. Quindi possiamo
considerare che gli esseri viventi sono sistemi organizzati ma aperti: man-
tengono apparentemente la loro identità attraverso la trasmutazione delle
loro strutture microscopiche, ossia delle loro molecole e degli atomi che la
compongono. Circa i mutamenti subiti nel processo metabolico è comune af-
fermare che le varie componenti (l’organismo) “consumano” energia, anche
se in realtà più che consumo (se è lecito) converrebbe parlare di degradazio-
ne dell’energia in termini di modificazione negativa dei suoi gradi di qualità.
In natura infatti l’energia è classificata secondo gradienti di qualità.
Per intenderci la forma di energia di più alta qualità sulla terra è quel-
la ricevuta dal sole, ed è perciò alla base di quasi tutte le azioni compiute
sul nostro pianeta (tanto negli esseri viventi quanto in macchine inanima-
te). Quindi si passa da un energia purissima dataci dal sole fino ad arrivare
ad un livello minimo ma discreto, osservabile, di escrementi inutilizzabili
da qualsiasi organismo (fonti di calore emesse a basse temperature). Ogni
organismo compie le sue funzioni prendendo dall’ambiente circostante una
certa quantità di energia di buona qualità, e restituendo allo stesso il cor-
rispettivo più basso in termini qualitativi. Il problema è posto quando si
discute sul come si decide il grado di qualità dell’energia. Ogni componen-
te della catena alimentare si nutre di cibo che contiene energia di un certo
livello, restituendo al mondo circostante una serie di composti organici che
contengono un’energia di rango più basso. Edoardo Boncinelli suggerisce di
definire il grado di qualità dell’energia come grado di spendibilità o di utiliz-
zabilità dell’energia assunta; definizione corretta ma certamente tautologica:
l’affermare che si può utilizzare più facilmente un’energia che presenta una
più alta spendibilità è un circolo vizioso; è più sensato dire che la qualità di
un certo tipo di energia è proporzionale alla quantità di informazione a essa
associata. In ultima analisi essere vivi è una questione primariamente di for-
ma, organizzazione e di strutture emergenti; non brutalmente di supporto
materiale perché:

L’energia di buona qualità porta con sé un certa quantità di informazio-


ne potenziale e perde, quando viene degradata, parte di questa infor-
mazione, diventando energia di rango inferiore. Gli esseri viventi, che
qualcuno ha definito proprio per questo “informivori”, si nutrono in so-
stanza dell’informazione associata all’energia che utilizzano. Lasciano
infatti intatta la quantità dell’energia, ma appunto la degradano, cioè la
spogliano da un’aliquota dell’informazione che porta.18

18 Edoardo Boncinelli, Prima lezione di Biologia, Laterza, Bari, 2001, p. 9


1.5 l’unità base di una biologia generale 9

È l’informazione che trasforma e configura la materia come modo d’es-


sere della materia stessa. L’energia sopra citata è intesa come l’energeia ,
l’attualità stessa della materia contrapposta alla dynamis. Gli esseri viven-
ti si nutrono fondamentalmente di informazione facendo in modo che si
mantenga pressoché intatto il grande patrimonio di informazione biologica
in esso contenuto. Il patrimonio in questione è il genoma, l’insieme delle
istruzioni biologiche contenute in un individuo (in ogni cellula di un in-
dividuo). L’identità di un essere vivente risiede infatti nel suo patrimonio
genetico, ed il mantenimento di questa identità si appoggia sulla sua con-
tinua consultazione e sulla messa in pratica delle sue istruzioni grazie a
quell’apporto di materia e di energia di buona qualità di cui si è detto. La
differenza sostanziale fra un essere vivente, ed un oggetto inanimato è che
quest’ultimo permane identico a se stesso anche solo per inerzia, mentre
un essere vivente permane identico (o quasi identico) a se stesso attraver-
so un’incessante attività sostenuta e coordinata delle istruzioni contenute
nel suo patrimonio genetico. Inoltre gli organismi si riproducono, non ri-
producendosi, non avrebbero senso; d’altronde sarebbe difficile parlare di
qualcosa in vita non soggetto alla morte. C’è un esigenza riproduttiva che
guida inevitabilmente come un leitmotiv la vita di un organismo. L’organi-
smo deve arrivare sempre a produrre una copia più o meno somigliante a
se stesso in grado anch’essa di riprodursi; così che ogni generazione eredita
dalla precedente la capacità di riprodursi. Oggi sappiamo che tale capacità
è dovuta alla trasmissione del genoma caratteristico di quella specie, il qua-
le è appunto in grado di dirigere la vita dei nuovi organismi sulla base di
quella precedente. Nel caso delle specie sessuate i nuovi individui ereditano
un patrimonio misto tra madre e padre. Sarà chiaro quindi che il genoma di
una generazione che passa a quella successiva non è affatto identico: il geno-
ma tende spontaneamente a cambiare nel tempo e quindi ad evolvere. Pur
rimanendo sostanzialmente identico a se stesso il genoma di un organismo
accumula continuamente piccole variazioni, comunemente chiamare muta-
zioni. A causa di esse il genoma di un figlio è raramente uguale in tutto a
quello dei genitori. Gran parte di queste variazioni sono irrilevanti nel corso
di una generazione, ma esistono e si accumulano e, dopo un lasso di tem-
po, possibilmente in concomitanza di avvenimenti esterni, alcune di queste
variazioni conducono a un cambiamento evolutivo, ribaltando decisamente
le sembianze rispetto agli individui che li hanno preceduti (per sfumatu-
re o tratti essenziali). Incessantemente quindi le specie si assottigliano e
scompaiono (di tanto in tanto ne compare qualcuna “nuova”).

1.5 l’unità base di una biologia generale


Kauffman azzarda la sua intera costruzione teorica sulla definizione di
agente autonomo, intuitivamente applicabile a qualsiasi forma di vita, se
per forma di vita intendiamo ciò che è stato descritto come essere vivente
1.5 l’unità base di una biologia generale 10

nel precedente paragrafo. Un agente autonomo deve essere un sistema auto-


catalitico19 capace di riprodursi e di effettuare uno o più cicli di lavoro termodi-
namici20 . In altre parole, l’unità base di una biologia generale indipendente,
in relazione alle forme di energia che trova nell’ambiente e lavora al fine di
riprodurre se stesso. Tale interazione agente-ambiente in Kauffman diventa
un iter organizzativo che si espande, una “organizzazione propagante”, che
conduce alla costruzione di dispositivi in grado di percepire, di liberare e
di sfruttare fonti energetiche che estraggono altro lavoro. In tale sistema
si instaura una circolarità fisica propria della vita fra lavoro (definito come
rilascio vincolato di energia), e vincoli ( costruiti a loro volta da altro lavoro).

L’organizzazione propagante di cui discute Kauffman crea trame di rela-


zioni che, a loro volta, si espandono liberando altra energia che produce
altro lavoro, innescando sempre più vincoli virtuosi di creatività21

Un mulino a vento è un esempio semplice di dispositivo che rileva spo-


stamenti dall’equilibrio e che estrae lavoro. La bandieruola sul mulino
misura la direzione del vento e direziona il mulino in modo da dispor-
ne le pale contro il vento. Vento che eseguirà a sua volta lavoro sulle
pale facendo ruotare il mulino. Il sistema complessivo misura una de-
viazione dall’equilibrio (in questo caso, la direzione del vento), orienta
l’intero sistema in modo che il marchingegno estragga lavoro grazie al
vento ed esso estrarrà lavoro: il mulino gira22

In buona sostanza il lavoro del mulino genera e libera altri vincoli ener-
getici utili a produrre organizzazione propagante vitale come macinare il
grano o estrarre l’acqua da un pozzo, lavoro che favorisce il “fitness” degli
uomini, in una spirale creativa che si espande continuamente. Ogni vivente
per soddisfare le condizioni e i processi sopra elencati è costituito da cellule
o esso stesso è osservabile come tale (in quanto cellula).
Non è errato associare la natura cellulare a quella di essere vivente: dai
virus, pro-virus e prioni , al mondo vegetale, animale fino ai suoi cardini “di
complessità”. La natura cellulare è la pietra angolare dell’universo vivente,
ai cardini della vita come la conosciamo oggi, sebbene esistano tantissime
strutture al di sopra e al di sotto del livello cellulare. La cellula è descrivibile
come un sacchetto di materia organica, chiaramente isolata dal resto del
mondo e pur tuttavia in rapporto con questo.

Perché gli esseri viventi sono costituiti da cellule? Questa rappresenta


una delle tante domande biologiche alle quali probabilmente non si può
rispondere - E’ cosi perché è cosi-. Fin tanto che possiamo osservare solo

19 Un insieme autocatalitico è un insieme di entità, ciascuna delle quali può essere formata in mo-
do catalitico da altre entità all’interno dell’insieme, in modo che nel complesso l’insieme sia in
grado di catalizzare la sua propria produzione. In questo modo l’insieme è detto autocatalitico.
L’autocatalisi è un processo catalitico in cui il catalizzatore è rappresentato da uno degli stessi
prodotti o intermedi di reazione in grado di agire sullo stadio lento della reazione chimica.
20 In fisica, si definisce ciclo termodinamico una successione finita di trasformazioni termodina-
miche (ad esempio isoterme, isocore, isobare o adiabatiche) al termine delle quali il sistema
torna al suo stato iniziale.
21 Emiliano La Licata, Giocare sull’orlo del caos, Milano, Mimesis, 2012, p.88
22 Ibid., p.108
1.5 l’unità base di una biologia generale 11

le forme di vita presenti sul nostro pianeta, non ci resta spesso altro da
fare che constatare e prendere atto. Milioni di anni di evoluzione hanno
imposto e tramandato certe scelte biologiche piuttosto che altre. Di mol-
te di queste non comprendiamo il significato e di quasi tutte non siamo
in grado di concludere se le cose sarebbero potute andare in maniere
diversa, oppure si trattava di scelte obbligate. Scelte e soluzioni che non
siano in contrasto con le leggi fisiche e chimiche che governano l’intero
universo (. . . ) non esistono principi generali che si applicano esclusiva-
mente al vivente (. . . ) la vita ha esplorato nella sua storia un’infinità
di soluzioni e ne ha adottate solo alcune, che poi sono quelle che oggi
siamo in grado di osservare. Se un giorno si arriverà ad osservare altre
forme di vita, originatesi in altre parti dell’universo, potremmo allora
porci la domanda di che cosa poteva anche essere diversamente e cosa
no.23

Gli stati di cose di cui e con cui facciamo esperienza ci permettono di


definire ciò che è in vita in virtù della stessa e per la stessa con una certa
previsione fenomenica ed ipostatizzante. Anche non essendo la più eviden-
te, la cellula è la struttura biologica fondamentale. La materia vivente è ca-
ratterizzata da piani e livelli organizzativi: dalle molecole fino ai limiti della
biomassa degli organismi viventi presenti sulla terra. A prima vista questi
fantomatici piani non rappresentano puramente entità materiali caratteriz-
zate da scale dimensionali diverse, (come potrebbero apparire nel mondo
inanimato i pianeti, i mari e le terre emerse, le montagne e le rocce) ma cor-
rispondo a corpi relativamente chiusi e autonomi, anche se legati tra loro
da un rapporto gerarchico di implicazione e necessità. Ecco perché la vita
non è pensabile fuori da una dimensione cellulare. Non possiamo concepire
qualcosa in vita fuori dalla vita, fuori per così dire dalla possibilità del suo
essere in connessione con se stessa; quindi con altra vita da sé, e l’ essere in
vita con sé. Con una formula molto conosciuta e un velo di presunzione, si
potrebbe dire che i limiti della biomassa conosciuta sono i limiti di ciò che
può esser detto sulla vita in quanto tale , ed in quanto fenomeno emergente
(concetto che verrà trattato in seguito). La vita determinata, quindi, come
perpetua conservazione evolvente, è sostanzialmente il mantenersi del suo
stesso ordine, indipendentemente dal percepirlo come tale.
Continuando la nostra analisi, l’esperienza dell’osservazione della-vita-
nella-vita è riconducibile all’osservazione della stessa per la stessa. Per l’e-
sattezza l’essere in vita viene anzitutto preso in considerazione da qualcosa
in vita ; nella fattispecie, direbbe Kauffman, dall’agente autonomo “uomo”.
Cosi, ciò che prima era considerata una proprietà (la vita), viene ad essere
considerata come materia libera. L’Agente Autonomo passa dall’essere uno
all’essere superficie circoscrivente di una Biosfera co-costruita da agenti au-
tonomi in grado di organizzare e riorganizzare l’ambiente a proprio vantag-
gio. Unificare le proprietà dei viventi dovrebbe in qualche modo accadere
fuori dalla vita stessa, ma nella nostra situazione sarebbe un tentativo po-

23 Edoardo Boncinelli, Prima lezione di Biologia, Laterza, Bari, 2001, p. 24


1.6 l’organizzazione propagante 12

co felice, considerando il nostro status di esseri-in-vita. L’agente autonomo


mette in gioco il suo essere in vita, e nel fare ciò mantiene la propria vita
fuori dalle “altre”, rendendo la vita (intesa adesso come concetto limite del-
le biomassa conosciuta), un agente all’interno del quale si trova ad essere
agente co-costruttore.

1.6 l’organizzazione propagante


L’agente autonomo di Kauffman è definibile anche come un sistema cicli-
co che produce e riproduce se stesso, costruendo il suo essere in accoppia-
mento strutturale all’ambiente con il quale interagisce: utilizza l’ambiente
per immagazzinare energia ed informazione, poi si richiude per elaborare
l’informazione appresa al fine di dare una risposta creativa. Tale schema
coincide con la classica definizione di sistema autopoietico24 . In Kauffman
tutto ciò diventa un potente dispositivo ermeneutico per approcciare la com-
plessità della biosfera: agente autonomo come elemento primario a partire
dal quale si sviluppa la vita della biosfera. Infatti il lavoro prodotto da ogni
singolo agente produce dispositivi in grado di percepire, liberare e sfrutta-
re fonti energetiche che estraggono altro lavoro ed altra organizzazione che
si espande continuamente. Il presupposto di Kauffman nei confronti della
scienza è abbastanza chiaro:

Non che ogni cosa sia nascosta e che la scienza debba scovare gli enigmi
portando alla luce fatti ignoti, anche se spesso capita che la scienza pro-
ceda in modo da scoprire fatti nuovi. Piuttosto, può darsi che il mondo
sia brutalmente davanti ai nostri occhi, ma che, di esso, ci manchino le
domande che ci consentirebbero di vedere. (. . . ) Brutalmente davanti a
noi: la chiusura di attività catalitiche e delle attività di lavoro in un agen-
te autonomo, mediante cui esso costruisce una seconda copia grezza di
se stesso da piccoli mattoni, collegando con abilita processi esoergoni-
ci e processi endoergonici. Una cellula, o una colonia di cellule, sta
propagando questa organizzazione di processo25

Mancano le domande che ci consentirebbero di vedere. Risulta difficile


dunque vedere qualcosa di cui non si ha ancora un concetto, un’immagine,
una rappresentazione. Cosa intende Kauffman quindi per organizzazione
propagante? Tutto prende inizio dal demone di Maxwell e dal fatto che la
misurazione di un sistema è remunerativa solo in una condizione di non
equilibrio; infatti solo da spostamenti dell’equilibrio in linea di principio
risulta possibile estrarre lavoro.

24 Autopoiesi dei sistemi viventi risiede nella loro capacita costruttiva e creativa di mantenere
la propria organizzazione durante i continui scambi con l’ambiente. Autopoiesi come base
dell’evoluzione non strettamente “umana”: la costruzione di una nicchia che conserva l’orga-
nismo e che gli permette di esprimersi e di prosperare. In questo senso, l’evoluzione sarebbe
il processo di adattamento che si viene a creare tra organismo e ambiente: L’evoluzione non è
sopravvivenza del più adatto, ma sviluppo, crescita e conservazione degli adatti.
25 Stuart Kauffman, Esplorazioni Evolutive, (Investigations), Einaudi, Torino, 2005 p.107
1.6 l’organizzazione propagante 13

In che modo si estrae lavoro? L’autore pone l’esempio di un mulino a


vento: semplice dispositivo che rileva spostamenti dall’equilibrio ed estrae
lavoro. Una banderuola posta sul mulino indica la direzione del vento e
direziona il mulino in modo da condurre le pale controvento; vento che a
suo volta eseguirà lavoro sulle pale facendo ruotare il mulino. Il sistema
complessivo misura una deviazione dell’equilibrio, in tal caso la direzione
del vento; orienta l’intero sistema in modo che il marchingegno estragga
lavoro grazie al vento, ed esso estrarrà lavoro: “Il mulino gira”. L’universo
dice Kauffman nella sua globalità - dalle galassie ai sistemi planetari, le
biosfere, compresa “la nostra” - è pieno di entità che misurano spostamenti
dall’equilibrio - che sono fonti di energia - e vi estraggono lavoro:

Dove ha tratto origine tutto ciò, questa misurazione di utili spostamenti


dall’equilibrio da cui si può estrarre lavoro, i dispositivi che si accoppia-
no a tali misurazioni e l’estrazione di lavoro usato per costruire nuovi
tipi di dispositivi che a loro volta misurano nuovi tipi di spostamento
dall’equilibrio per estrarre lavoro in modo nuovo? Eppure una Biosfera,
che costruisce in sostanza se stessa a partire dalla luce del sole, dall’ac-
qua e da un esigua varietà di composti chimici, ha compiuto tutto ciò
nel tempo evolutivo. La Biosfera attua una misurazione persistente di
spostamenti dall’equilibrio da cui il lavoro può essere estratto e scopre
davvero dispositivi per accoppiarsi a tali fonti di energie tali da estrarre
lavoro.26

Se la biosfera riesce a far quanto appena detto e fa parte dell’universo,


allora anche l’universo è capace di farlo. Il semplice fatto che una biosfe-
ra costruisca questa sbalorditiva complessità manifesta la causa della sua
ulteriore diversificazione. Nel chiederci cosa sia il lavoro, dice Kauffman,
rispondiamo che è la forza che agisce per la distanza, o , più esattamente, la
somma delle forze che agisce per la distanza. È questo il punto, il lavoro è
più del prodotto della forza per lo spostamento, esso è liberazione vincolata
di energia, da piccoli numeri a grandi gradi di libertà. Sostanzialmente l’a-
gente autonomo è molto più di quanto possa mai pensare di diventare. Sono
i vincoli stessi a costruire in buona parte l’organizzazione del processo. Il
problema di fondo è che serve lavoro per costruire gli stessi vincoli.

Siamo dunque all’interno di un circolo di estrema importanza: il lavoro


è la liberazione vincolata di energia, ma spesso è necessario il lavoro per
costruire vincoli27

Come possiamo realmente farci un’idea di cosa sia questo lavoro propa-
gante? Con un po’ di fantasia28

L’esempio riportato da Kauffman è quello di un cannone il quale spara


una palla che colpisce il terreno a una certa distanza, creando un buco, ed
evidenziando il fatto che la palla abbia riscaldato la terra. In un secondo
26 Ibid., p.108
27 Ibid., p.109
28 Ibid., p.129
1.6 l’organizzazione propagante 14

esempio simile al primo la palla colpisce la pala di una resistente ruota a


pale di sua invenzione. La ruota colpita dalla palla nel suo giro permette-
rà attraverso un meccanismo di irrigare un campo di fagioli. La differenza
sostanziale è che l’energia totale è la stessa, la traiettoria identica, ma, nel
secondo caso, invece di dissipare l’energia della palla in movimenti mole-
colari casuali indotti nelle particelle del terreno, viene realizzata una propa-
gazione rudimentale di possibili conseguenze macroscopiche nell’universo.
Kauffman non arriva a concretizzare una definizione formale di lavoro pro-
pagante e sembra quasi arrendersi all’ironica evidenza di ciò che conserva
ordine e ciò che non la fa altrettanto creativamente.
L’autore ammette di non conoscere una definizione di lavoro propagante,
ma è cosciente di aver trovato indizi utili. Infatti abbiamo chiarito che il
lavoro è la liberazione vincolata di energia, ma i vincoli sono essi stessi la
conseguenza di lavoro. Riflettendo sui cicli di lavoro pone esempi simili per
far comprendere l’entità delle “investigazioni” proposte, il tutto ovviamente
con profonde basi empiriche:

La cellula esegue pertanto lavoro sia per costruire vincoli che per modi-
ficarli, elevando o abbassando le barriere di potenziale affinché venga
liberata energia chimica. Inoltre, l’energia liberata può, cosa che spes-
so si verifica, propagarsi per effettuare lavoro che costituisce altri vin-
coli. Allora il prodotto potrà a sua volta diffondersi verso un canale
–transmembrana- e qui legarsi, cedendo parte dell’energia immagazzi-
nata nella sua struttura mediante una rotazione interna a uno stato di
energia inferiore, e perciò sia legarsi al canale sia addizionare energia
a quest’ultimo per aprirlo, in modo tale che gli ioni di calcio entrino
nella cellula. Sono cosi accoppiati un processo spontaneo e uno non
spontaneo. Il lavoro si propaga nelle cellule e spesso lo fa attraverso
la costruzione di vincoli sulla liberazione di energia, che una volta rila-
sciata costituisce lavoro che si propaga per costruire altri vincoli sulla
liberazione di energia, che liberata a sua volta, costruirà lavoro destinato
a propagarsi oltre.29

Sostanzialmente il lavoro propagante in una cellula realizza una “chiusu-


ra” sotto un insieme di compiti di lavoro propagante. La cellula costruirà
una copia approssimativa di se stessa operando registrazioni che identifica-
no le fonti di energia nel sistema misurato, poi sfruttabili per eseguire lavoro.
Possono essere compiuti errori nelle registrazioni alle spese di un carattere
utile in un sistema di non equilibrio; la registrazione può infatti scadere
e pertanto non se ne può più estrarre lavoro. La registrazione può essere
cancellata ed aggiornata, caratteristiche dovute alla natura di una comunità
co-evolvente. Mutazione ricombinazione e selezione sono mezzi per aggior-
nare i dispositivi di registrazione rispetto alle forme mutevoli di energia, di
opportunità e di pericolo. Kauffman è convinto che il legame tra materia
energia ed informazione è elusivo, la triade in questione appare ai suoi oc-
chi insufficiente, manca, a suo avviso, un concetto coerente di organizzazione,
29 Ibid., p.136
1.6 l’organizzazione propagante 15

di come essa emerga e si propaghi auto-costruttivamente. Una chiusura pro-


pagante di eventi, l’organizzazione o un insieme di agenti autonomi non è
solo materia né solo energia né solo entropia, tantomeno entropia negativa.
L’agente autonomo inteso adesso come chiusura propagante sembra essere
un concetto fisico nuovo, che prima non sapevamo come concepire. La tesi
generale di Kauffman è che il concetto di entropia non sia adeguato per de-
scrivere i fenomeni fisici sotto i nostri occhi. Da nessuna parte infatti viene
discussa una tesi circa le chiusure della catalisi e delle attività di lavoro che
creano quella totalità completa che è un agente autonomo, il quale co-evolve
in un biosfera.

La chiusura di attività, di misurazioni, registrazioni e di collegamenti


che propaga il lavoro macroscopico sembra quantomeno costituire per-
lomeno una definizione ostensiva, esemplificata di “organizzazione30

Partire dunque dal concetto di agente autonomo per cercare di riformu-


lare l’organizzazione auto-costruttiva che si è già propagata e continua a
farlo. Si parla solo di come tali agenti tendano a scomparire, non di come
possibilmente stanno continuando ad espandersi creativamente. Il nostro
globo è completamente avvolto da questa organizzazione propagante, cioè
la vita. Appare dunque centrale domandarsi quali condizioni in un univer-
so in “non-equilibrio” consentirebbero a tale organizzazione propagante di
proliferare. È possibile, si chiede il nostro autore, trovare un sistema per
matematizzare il concetto di agente autonomo? Lui crede di sì. I comporta-
menti collettivi degli agenti autonomi che co-evolvono hanno costruito negli
ultimi 4 miliardi di anni una biosfera. Se la vita è comune, l’universo è co-
stellato da elaborazioni di biosfere. Potremmo dire che l’agente autonomo,
determinato come il semplice (cioè come l’unità base di una biologia genera-
le), è un’essenza indifferente al suo essere percepita o meno, ma percepirlo
rende necessario il non poterlo più non percepire, pena venir meno ad ogni
riferimento minimo di senso e di ordine. Agente autonomo come garante
della permanenza potremmo dire dell’ordine in quanto ordine. Agente au-
tonomo come tentativo infinitamente semplice e quindi concetto assoluto è
da considerarsi in questo senso il garante stesso della sussistenza della vita.
Scriveva Hegel nella sua Fenomenologia:

Il sangue universale che, onnipresente, non viene turbato ne interrotto


da differenza alcuna e che è anzi tutte le differenze, nonché il loro esser-
tolto; esso pulsa in se senza muoversi, trema in sé senza essere inquieto.
Questa infinità semplice è uguale a se stessa perché le differenze sono
tautologiche; sono differenze che non sono differenza31

L’estrinsecarsi della possibilità di pensare ad un Agente Autonomo chiede


ed ottiene la necessità dell’interiore vero, garante per opposizione di ogni
forma particolare, tentativo legislatore che garantisce la sua pur parziale

30 Ibid., p. 139
31 Hegel, Fenomenologia dello spirito, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2015, p. 135
1.6 l’organizzazione propagante 16

verità nell’apparenza della conservazione della forma. Gli agenti autonomi


quindi connessi l’uno all’altro da una regola-legge. Tale ipotetica regola non
può essere ricondotta in qualche modo ad una struttura nascosta; infatti tale
struttura dovrebbe dividersi e replicarsi in egual modo in un processo poco
spiegabile da un punto di vista autopoietico. Un tentativo, una scommessa,
una suggestione simile a quella proposta da Jakob Von Uexküll in Biologia
Teoretica:

Tutte le forme che conosciamo, e che sono tali secondo un piano, sono
sempre prodotti da altre forme anch’esse costruite in base a un piano.
Queste forme non sono qui presenti, e noi diventiamo testimoni del
commovente spettacolo in cui un piano naturale emerge come creatore
di forme.32

Sarebbe opportuno ripensare alla luce di tutto ciò, una riqualificazione


biologica della natura; come facciamo a pensare ed operare con fattori natu-
rali immateriali, grandezze autonome, senza attribuire ad esse qualità psi-
chiche che colgano la loro essenza? In che modo l’uomo opererebbe sulle
cose regolate da leggi senza pensarsi a suo tempo ne costruttore ne macchi-
na? Non dare quindi conformità a un piano ai sistemi auto-organizzativi
porta alla nascita di inevitabili confusioni. La vita per essere pensata coe-
rentemente a se stessa la si deve pensare appunto conforme ad un piano.
Come già per ogni singolo agente autonomo, che nella riproduzione assu-
me ad ogni generazione un nuovo piano che non era presente in esso, cosi
“la vita” come somma di prodotti umani e non umani, non può provenire
dalla vita stessa essendone una parte; deve quindi essere conforme ad un
piano per essere appunto viva. Necessita di una fonte per le sue attività
che sia vivente. L’agente autonomo lavora quindi per riprodurre se stesso, e
nel compiere questo lavoro, costruisce vincoli sul rilascio dell’energia che a
sua volta pone le condizioni per altro lavoro. Il vortice della complessità del
vivente è così esemplificato in questo circolo virtuoso: il lavoro costruisce
vincoli, ma sono necessari vincoli alla liberazione di energia per svolgere
lavoro. Questo inarrestabile ciclo vitale conduce alla costruzione impreve-
dibile e co-evolutiva della biosfera; gli agenti autonomi costruiscono e pro-
pagano organizzazioni di lavoro, costruzioni di vincoli che continuano a
propagarsi diversificando sempre più l’organizzazione della biosfera. Gli
esiti di questi processi a detta di Kauffman sono del tutto imprevedibili. In
breve, comunità di agenti autonomi cominciano a manipolare l’ecosistema
a proprio vantaggio, creando così molteplici nicchie di esistenza, forme di
vita e modi di stare al mondo.
Questa manipolazione innesca processi che creano vincoli per il rilascio
di ulteriori forme di energia, che favoriscono la comparsa, la scomparsa o
la trasformazione di forme di vita: pensiamo, per esempio al passaggio nel
neolitico, dal nomadismo all’agricoltura - al lavoro che è servito per compie-
re quel salto - o al passaggio dall’energia prodotta dal carbone all’energia

32 Jakob Von Uexküll , Biologia Teoretica, Quodlibet, Macerata, 2015, p. 238


1.7 storia, vincoli, lavoro e creatività. 17

prodotta dal petrolio, ed a quale sforzo tecnico gli agenti umani sono dovu-
ti andare incontro per costruire vincoli capaci di estrarre lavoro da quelle
fonti di energia. Questi due esempi proposti da Emiliano La Licata in Gio-
care sull’orlo del caos ci fanno riflettere su due grandi spartiacque che hanno
ridefinito le forme di vita umane.

1.7 storia, vincoli, lavoro e creatività.


Torniamo al concetto di un oggetto organizzato che si chiude dopo essersi
esposto ad una fonte di energia. Per Kauffman vuol dire che quell’oggetto
produce in parte lavoro spontaneo ed in parte no, lavoro utilizzato per ri-
costruire ciclicamente il sistema. In questo processo di duplicazione di sé
inoltre, il sistema lavora sia per costruire vincoli opportuni per sfruttare l’e-
nergia acquisita, sia per misurare e registrare altre fonti di energia utili. Si
tratta dunque di Agenti autonomi che costruiscono continuamente lavoro
propagante attraverso un lavoro spontaneo e non spontaneo che incessan-
temente registra e misura variazioni dall’equilibrio. Il lavoro propagante,
in altri termini, nel costruire vincoli per liberare l’energia trovata trasforma
questa in altro lavoro, che genera nuove possibilità evolutive favorendo al-
tra differenziazione, altra organizzazione, altro lavoro, in una girandola di
livelli di complessità evolutiva del tutto imprevedibile.

La chiusura organizzativa degli agenti autonomi favorisce la duplica-


zione di sé e, dunque, la autoconservazione; essa è, soprattutto espan-
sione ed emergenza di lavoro propagante che produce organizzazione
propagante, che concorre a fare emergere altra vita e altre differenzia-
zione, altra organizzazione, altro lavoro, in una girandola di livelli di
complessità evolutiva del tutto imprevedibile33

La scienza, proprio perché non può predire tutte le possibili configurazio-


ni della biosfera, non può far altro che raccontare narrazioni. Storie di Agenti
autonomi, fenomenologie che si fanno strada nella biomassa organizzando
e replicando uno stile di vita, contribuendo all’espansione della biosfera.
L’agente autonomo come fenomeno gettato nel tempo storico, predisposto
ad un futuro di biforcazioni imprevedibili, si lascia raccontare in narrazioni
e trame di senso aperte. Le reti di Agenti Autonomi fanno emergere proprie-
tà collettive che non sono riducibili ad un livello più basso. L’analisi delle
proprietà globali degli agenti autonomi non si presta ad essere ridotta ad
elementi definiti semplici. Non rimane altro da fare che raccontare storie di
adattamenti e possibili evoluzioni circa la biosfera. Se dunque il determini-
smo e i tentativi di previsione o prefigurazione falliscono, occorre prendere
atto della perenne e continua attività creativa della Biosfera, che espande
costantemente la sua organizzazione.

33 Emiliano La Licata, Giocare sull’orlo del caos, Mimesis, Milano, 2012, p.92
1.7 storia, vincoli, lavoro e creatività. 18

Così come per Gould, anche per Kauffman è impossibile prevedere le


linee evolutive della biosfera, anche e soprattutto per la storia dei prea-
dattamenti darwiniani che possono diventare funzioni determinanti in
circostanze del tutto imprevedibili. Caratteri ininfluenti di una specie
in un particolare contesto ecologico possono avere un ruolo fondamen-
tale ed evolutivo in altri contesti. Impossibile prevedere quale funzione
prenderanno i caratteri delle specie in tutti i contesti ecologici dai quali
possono scaturire salti evolutivi e nuovi scenari. Ragione per la quale
non rimane che raccontare storie di adattamenti e di evoluzioni della
biosfera.34

Come ben ci mostra Emiliano La Licata, nel momento in cui determini-


smo e previsione falliscono, non rimane che ammettere che la biosfera è
intrinsecamente e perennemente creativa, in una continua trasformazione
che espande costantemente l’area di lavoro; idea che si fonda su una forte
critica al riduzionismo scientifico. Un’idea secondo la quale sarebbe possi-
bile identificare oggetti semplici (nel nostro caso i vari agenti autonomi, o
sistemi viventi che dir si voglia), finiti, che organizzati-assemblati possano
fare prefigurare in anticipo tutti i risultati finali, di successive configurazio-
ne degli stessi. Kauffman crede che tale concetto non riesca minimamente
a spiegare e cogliere la complessità del reale; il fatto è che le relazioni tra
agenti autonomi fanno emergere proprietà collettive che non sono riducibili
ad un livello più basso.

Qualità come la tonalità del colore giallo e la rapidità e la destrezza di


un ghepardo non appartengono alle cellule, alle molecole e agli atomi
di cui l’animale è costituito35

Le proprietà globali di un agente autonomo non sono riducibili all’analisi


degli elementi cosi detti semplici. Tale idea supera la legge dell’entropia
ed in qualche modo la rovescia: la freccia del tempo non va verso la dis-
sipazione e l’equilibrio, ma, al contrario, è la moltiplicazione delle rotture
dall’equilibrio, che generano energia utile, lavoro propagante, strutture e di-
versificazione che si espande. Non un lento e progressivo raggiungimento
dell’equilibrio termico (così come la legge dell’entropia lascia intuire), ma
un progressivo allontanarsi dall’equilibrio attraverso la diversificazione e la
differenziazione, è ciò che guida l’evoluzione della biosfera del cosmo. Ciò
che effettivamente vediamo sono continue rotture dell’equilibrio, non una
brutale dissipazione dei singoli agenti. E’ vero, quindi, come spiega la legge
entropica, che tutti i processi tendono all’equilibrio termodinamico, tuttavia
quest’ultimo è una fase momentanea, fugace, esterna a ciò che permane nel-
la biosfera. L’essere in vita che nella sua storicità coglie la sua desiderabile
fine, estende in qualche modo tale processo a tutto ciò che condivide con
sé la vita, e con essa un modo univoco di darsi nell’ordine, ed il suo univo-
co destino; un giudizio del genere potrebbe essere dato soltanto fuori dalla

34 Ibid., p.93
35 Ibid., p.93
1.7 storia, vincoli, lavoro e creatività. 19

stessa biomassa conosciuta. La Biosfera è il progressivo allontanamento da


questo equilibrio, la continua pretesa organizzante nella ricerca di sposta-
menti dell’equilibrio dai quali estrarre lavoro. La direzione-fine verso cui
tende è intrinsecamente creativa, nella misura in cui è alla continua ricerca
di spostamenti dall’equilibrio dai quali estrarre lavoro. In breve, l’universo,
nel suo continuo divenire è più vasto di tutti i nostri sogni e di tutti quelli
che potremmo mai fare.
Che ruolo ha la storia in tutto questo? Se la biosfera si sta arrangiando
da sola, cioè si sta arrabattando, exattando, sta creando e distruggendo modi
di procurarsi da vivere, è allora necessario, dice Kauffman (come del resto
fa emergere Telmo Pievani nel suo saggio conclusivo all’edizione italiana
di Investigations), che gli Agenti autonomi debbano essere descritti da una
scienza storica capace di rappresentare i modi attraverso i quali la biosfera
si propaga exattativamente, esplorando il possibile adiacente: cioè l’insieme
delle specie molecolari di una biosfera che ancora non esistono, ma a cui si
accede attraverso un singolo cambiamento evolutivo. L’adiacente possibile,
in altri termini, è l’insieme degli stati potenziali di una biosfera che distano
solo un passo da ciò che di volta in volta è reale. Come ben mostra Claudia
Rosciglione nel suo articolo36 , l’evoluzione di sistemi complessi è il risultato
dell’interazione dell’elemento strutturale interno con l’elemento storico.

(. . . )si può sostenere che la visione di Kauffman non è in contrasto con


la teoria di Gould, da cui, piuttosto, raccoglie il concetto di exaptation.
I sistemi complessi sono sistemi auto-organizzativi che si organizzano
attraverso la selezione naturale e la co-evoluzione con il contesto, così
come i sistemi che si riorganizzano attraverso exaptation. Seguendo gli
insegnamenti di Gould, Kauffman distingue i fenomeni di exaptation
dalle costruzioni funzionali che sono la conseguenza della selezione na-
turale. Per questi motivi, egli dà una risposta negativa alla questione
cruciale del fatto che sia possibile prevedere con certezza tutte le conse-
guenze causali che dipendono dal contesto riguardante le componenti
di tutti i possibili organismi, vale a dire le conseguenze che potrebbero
diventare escluse, e introdotto nella biosfera. Perciò Kauffman afferma
che il ruolo delle leggi universali di complessità è attenuato dal ruolo
della contingenza storica, attraverso il fenomeno evolutivo dell’esclusio-
ne. L’evoluzione dei fenomeni di exaptation non è affatto prevedibile
perché non deriva dalle fasi precedenti. L’emergere di una struttura
esposta rappresenta un’esplorazione dello spazio di possibili funzioni
che non sono certe e soprattutto non derivabili dalle fasi precedenti.37

In buona sostanza possiamo descrivere solamente le strutture escluse che


sono già state verificate, ma non quale fenomeno di exaptation non si verifi-
cherà. I racconti non sono solo rilevanti, ma danno e riguardano i modi ed
il senso in cui ci raccontiamo, più o meno autonomamente, che cosa è acca-
duto, per cercare di comprendere la portata semantica della vita. La nostra
36 Claudia Rosciglione, “Living and not-living matter: Complexity and Selforganisation in Kauffman”,
New Digital Frontiers, Palermo, 2016
37 Ibid.
1.7 storia, vincoli, lavoro e creatività. 20

incapacità, dataci dall’essere appunto in-vita e non “la vita”, non ci permet-
te di predefinire lo spazio delle configurazioni di una biosfera. La scienza,
in questo caso, pur restando un luogo di leggi naturali, è un centro di ri-
cerca di racconti e contingenze storiche. La domanda circa la prevedibilità
del processo storico ottiene con Kauffman una risposta diversa rispetto alle
precedenti. L’exaptation potrebbe benissimo rappresentare un aumento del-
la complessità nel sistema, ma l’aumento non sarebbe derivabile dagli stati
precedenti. Come afferma Telmo Pievani nella su appendice alle Esplorazioni
Evolutive:

La difficolta è intrinseca, non è dovuta a un difetto di conoscenza: se


anche conoscessimo perfettamente la configurazione precedente, lo spa-
zio delle possibili configurazioni derivabile non sarebbe dominabile. Le
modalità per Exattare una struttura non sono algoritmicamente compri-
mibili38

Un algoritmo di questo tipo altro non sarebbe che una descrizione lunga
quanto il sistema, null’altro che la storia di quel sistema e dei suoi “exap-
tation” effettivamente realizzati. Gli agenti autonomi devono essere quindi
descritti necessariamente da una scienza storica in grado di rappresentare
i modi exattivi della propagazione della biosfera. La scienza della com-
plessità, quindi, non incontra, ma re-incontra la storia, non soltanto come
contenuti teorici, ma anche come approccio scientifico. Il motore, in un cer-
to senso, che mantiene la vita ai margini del caos potrebbe essere proprio
il meccanismo exattivo, il quale però, proprio nel momento in cui ne garan-
tisce l’evolvibilità39 , ne pregiudica la possibilità di circoscrivere completa-
mente lo spazio delle configurazioni potenziali. Faccio un esempio molto
banale. Dopo aver finito la revisione di un vocabolario prendiamo atto che
un nuovo modo di dire entra prepotentemente in circolo; a me vengono in
mente parole come selfie, screenshot, che uso nei contesti più svariati: “Hey
Enzo fammi uno screenshot degli ultimi quindici minuti di partita”; Screen-
shot (in italiano fermo-immagine) in informatica è un processo che consente
di salvare sotto forma di immagini ciò che viene visualizzato sullo schermo
di un computer e fissato come immagine indipendente. L’immagine gene-
rata da tale processo, diventa, viene ad essere “exattata” come sinonimo di
riassunto-sintesi. A questo punto non ci resta che cercare di capire come tale
forma sia entrata in circolo e come del resto effettivamente può essere usata
nei nostri giochi linguistici. Non potevamo prevedere l’evoluzione del suo
uso, se non dopo averlo acquisito. Credo non sia molto diverso, da un pun-
to di vista metodologico, nei confronti di ciò che accade quando portiamo la
riflessione allo studio della biosfera, e degli agenti autonomi. Infatti come

38 Stuart Kauffman, Esplorazioni Evolutive, (Investigations), Einaudi, Torino, 2005. 353


39 Il concetto di evolvibilità, dove tale termine si riferisce all’abilità di un organismo di evol-
vere attraverso meccanismi il cui fine è creare la variabilità genetica necessaria ad ogni po-
polazione/specie per la sopravvivenza. Il concetto di evolvibilità si basa, quindi, sulla pre-
senza di meccanismi molecolari specificatamente implicati nella creazione di mutazioni e ri-
arrangiamenti molecolari in grado di determinare la comparsa di una variabilità fenotipica
selezionabile dall’ambiente in modo vantaggioso.
1.7 storia, vincoli, lavoro e creatività. 21

spiega Telmo Pievani a pagina 196 di Introduzione alla filosofia della Biologia,
all’interno di tali processi storici contingenti, gli agenti autonomi vengono
assorbiti da un ordine statico riconoscibile; non esisterebbe soltanto l’evo-
luzione delle forme viventi, ma anche un’evoluzione di secondo livello, la
stessa evolvibilità di cui parla Gould, una sorta di evoluzione delle condizio-
ni di evoluzione. Ciò sta a significare che uno strutturalismo dissidente non
porterebbe a nulla, considerando che le leggi di autoriproduzione di ordi-
ne, sono certamente astoriche, ma emergono dentro sistemi complessi non
riducibili a leggi imposte in qualche modo dall’esterno. La storia non può
intaccare la prevedibilità degli schemi “ordini statici” dei vari agenti, che di
deriva in deriva a lungo andare fanno emergere nuove regolarità; tuttavia
non è possibile per motivi spiegati pocanzi, prevedere lo spazio delle possi-
bili configurazioni. Non sarebbe dominabile, proprio perché, noi possiamo
descrivere solamente le strutture escluse che sono già state verificate, ma
non quale fenomeno di exaptation non si verificherà. Storia come attrito di
contingenza al reale, dono che dona intellegibilità e certezza.
2 KAUFFMAN LEGGE
WITTGENSTEIN

2.1 kauffmenstein 40
Stuart Kauffman, come credo sia emerso dal precedente capitolo, è uno
scienziato della complessità che ama citare Wittgenstein. Come nelle Ricer-
che Filosofiche viene infranta la tradizione dell’atomismo logico, così egli
vuole tracciare le linee di una filosofia/scienza della vita con l’obiettivo di ol-
trepassare forme di pensiero che vogliono spiegare il fenomeno della stessa
in termini riduzionistici ed atomistici. Così se da una parte lo sfondo teorico
resta quello della critica al riduzionismo metodologico, incapace di dar con-
to dei comportamenti collettivi, dall’altro il nucleo della nuova proposta di
Kauffman si sviluppa col tentativo di immergere le leggi della complessità
(valide per i processi di auto-organizzazione di ogni biosfera), nella tensione
imprevedibile della storia, e nell’ineliminabile e incomprimibile irreversibi-
lità della storia della biosfera. Kauffman crede che qualcosa di profondo
sia in corso nell’universo, qualcosa che non può essere prestabilito in modo
finito. In questo passo mostra un forte legame spirituale con Wittgenstein.

Il filosofo viennese era pervenuto faticosamente alle sue rivoluzionarie


ricerche rinnegando il trionfo del precedente Tractatus. Tant’è che la
ragione per cui con tale impudenza ho preso a prestito da lui il tito-
lo, senza presumere di possederne la statura intellettuale, è dovuta in
parte all’analogia tra l’abbandono di Wittgenstein del Tractatus e la con-
sapevolezza crescente in me che conoscere significhi vivere un gioco
linguistico. (. . . ) La vita e i giochi linguistici sembrano presistentemen-
te aperti a innovazioni radicali che non possiamo dedurre da categorie
e concetti precedenti.41

L’atomismo logico era alla ricerca di un saldo fondamento epistemologico


di tutta la conoscenza in termini di enunciati atomici, cioè proposizioni sem-
plici non ulteriormente scomponibili utilizzate per descrivere i fatti atomici
che, a giudizio di Russell, costituivano il mondo. In concordanza con la vi-
sione isomorfica per cui esiste una corrispondenza di forma tra realtà logica
e mondo reale, tutti i fatti atomici potevano essere posti in un linguaggio
con equivalenti proposizioni atomiche, che dalla loro potevano essere indi-
viduate come vere o false, attraverso un confronto con gli stessi fatti atomici.
In tal senso Russell proponeva di formalizzare un linguaggio perfetto con il
quale esprimere rigorosamente fatti reali complessi in modo che la verità/-
falsità delle asserzioni non fosse inquinata da imprecisioni linguistiche. Il

40 Termine proposto da Emiliano La Licata, che significa Wittgenstein letto da Kauffman;


41 Stuart Kauffman, Esplorazioni Evolutive, (Investigations), Einaudi, Torino, 2005 p. 69

22
2.1 kauffmenstein 23

Tractatus ha cercato di rendere fruibile quel programma, sfiorandone quasi


la riuscita. Ma fu lo stesso Wittgenstein, vent’anni più tardi, a cambiare
completamente prospettiva di indagine: le Ricerche rappresentarono la ri-
voluzione della fase matura della sua vita. Una rivoluzione che molto ha
contribuito a distruggere, come dice lo studioso americano, il concetto di li-
vello privilegiato di descrizione, spianando la strada alla comprensione di come
i concetti, a qualunque livello, siano formati di norma sulla base di circoli
codefinizionali. Infatti il programma di sostituire enunciati su oggetti fisi-
ci con insiemi di enunciati sui dati sensoriali richiede equivalenza logica;
ciò significa che ovunque sia presente un enunciato su una sedia ad un li-
vello superiore di descrizione, deve essere possibile specificare una lista di
enunciati sui dati sensoriali, la cui verità è congiuntamente necessaria e suf-
ficiente affinché l’enunciato relativo alla sedia sia vero. Il problema è che
sembra impossibile pre-specificare in modo finito un insieme di enunciati
relativi ai dati sensoriali, la cui verità sia logicamente equivalente a enun-
ciati che riguardano le sedie a dondolo. Nelle Ricerche il linguaggio non è
più inteso da Wittgenstein come il protocollo delle proposizioni elementari
logicamente ordinate, bensì diviene un insieme di espressioni che svolgono
funzioni diverse nell’ambito di pratiche e regole discorsive differenti. Così,
all’idea di un linguaggio inteso come specchio del mondo ed immagine del-
la realtà, se ne sostituisce una il cui carattere denotativo è soltanto una delle
tante funzioni, uno degli infiniti giochi linguistici. Creare nuovi linguaggi
è creare nuove forme di vita; è l’uso che si fa del linguaggio a mostrare il
suo significato. Non si può utilizzare il linguaggio prescindendo dagli infi-
niti usi possibili delle parole. Le parole quasi mai funzionano come nomi,
etichette rigide che incolliamo in modo univoco sugli oggetti. Sia nel lin-
guaggio scientifico che in quello ordinario le parole si configurano piuttosto
come mobili costrutti:

come fluidi strumenti il cui significato muta in rapporto alle funzioni


specifiche cui sono destinati42

si pensa che l’apprendere il linguaggio consista nel denominare oggetti.


E cioè: uomini, forme , colori, dolori, stati d’animo, numeri, ecc. Come
s’è detto, il denominare è simile all’attaccare a una cosa un cartellino
con un nome. Si può dire che questa è una preparazione all’uso della
parola. Ma a cosa ci prepara?43

Occorre quindi considerare ed individuare le varie funzioni svolte dall’atti-


vità del linguaggio. Ciò mostra come Wittgenstein dica che con il linguaggio
noi letteralmente “ facciamo le cose più diverse”, differenti e vari “Sprach-
spiele” (Giochi linguistici). Espressione, quest’ultima, tesa ad evidenziare
da un lato il carattere sociale e artificiale dell’agire linguistico e, dall’altro, il
fatto che questo agire, nonostante la sua apparente imprevedibilità, ha deter-

42 Mirko di Bernardo, I sentieri evolutivi della complessità biologica di S.A.Kauffman, 2011 Mimesis
Edizioni, Milano-Udine, 2011, p.268
43 Ludwig Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino, 2015, p.26
2.1 kauffmenstein 24

minati fini ad esso immanenti. Ma soprattutto, come determinati giochi, ri-


spetta determinate regole. Per così dire il linguaggio, secondo Wittgenstein,
genera il significato che dipende dall’uso, conforme quindi ad una diffusa
regolarità, non ad una rigida norma. Allora il significato di una parola non
consiste più, come nel Tractatus, ad un riferimento diretto con l’oggetto, ma
nel suo utilizzo secondo una regola comune. Secondo il Viennese, cogliere un
pensiero significa afferrarlo nell’azione: l’uso dell’enunciato non deve esse-
re legato alle condizioni di verità, ma alle azioni (occorrenze particolari). In
qualche modo abbiamo un delinearsi del concetto di capacità!

le capacità non sono programmi fissi, bensì abilità, vale a dire che
implicano un’imprevedibilità totale poiché sono intrinsecamente legate
all’interazione con l’ambiente e con gli altri44

Ecco come Kauffman delinea il concetto di Gioco linguistico, nella sua lettu-
ra di Wittgenstein.

Wittgenstein ha inventato il concetto di gioco linguistico, un cluster


codefinito di concetti che scolpiscono il mondo in modo nuovo. Provia-
mo a considerare - egli disse - il linguaggio giuridico e traduciamolo
in enunciati comuni relativi ad agenti umani ma senza usare concetti
giuridici. Consideriamo ad esempio “ la corte ha riconosciuto Hender-
son colpevole di omicidio”. E’ un enunciato che noi comprendiamo, ma
nel contesto del diritto, delle prove delle responsabilità giuridica, dei
dibattimenti, della colpevolezza ed innocenza, dei sistemi giuridici, dei
processi d’appello e così via. (. . . ) Non esiste alcun elenco di enunciati
pre-specificabile in modo finito su azioni umane comuni la cui verità
potrebbe essere necessaria e sufficiente per la verità dell’enunciato che
la giuria ha giudicato Henderson colpevole di omicidio (. . . ) L’idea cen-
trale di Wittgenstein è che, in generale, non è possibile ridurre enunciati
di livello superiore ad un insieme specificato in modo finito di enuncia-
ti necessari e sufficienti di un livello inferiore. Piuttosto i concetti del
livello superiore vengono codefiniti. Noi comprendiamo “colpevole di
omicidio” nell’ambito del gioco linguistico giuridico, nei termini cioè
di un cluster codefinente di concetti relativo ai caratteri rilevati sopra:
legge, responsabilità giuridica, prova, processo, giuria.45

Non è possibile ridurre enunciati di livello superiore a un insieme specifi-


cato in modo finito di enunciati necessari e sufficienti di un livello inferiore.
Piuttosto, i concetti di livello superiore vengono co-definiti. Possiamo con-
siderare Kauffmenstein sulla scia di Emiliano La Licata un filosofo della
semantica emergentista, che mostra come attraverso le dinamiche del gioco
linguistico si dia vita a fenomeni semantici perennemente costruttivi; dove
i parlanti sono impegnati in un lavoro linguistico all’interno del quale le
mosse di sviluppo non sono prevedibili a priori. I parlanti sono impegna-
ti nel costruire trame di senso e nel dover arginare, attraverso revisioni ed
eventuali trasformazioni, le varie tendenze entropiche del gioco.
44 Mirko di Bernardo, I sentieri evolutivi della complessità biologica di S.A.Kauffman, 2011 Mimesis
Edizioni, Milano-Udine, 2011, p. 269
45 Stuart Kauffman, Esplorazioni Evolutive, (Investigations), Einaudi, Torino, 2005 p. 71
2.2 critica all’idea di semplice 25

La collettività del gioco e le tendenze entropiche fanno in modo che i


legami fra i giocatori diventino non lineari: non c’è una causalità rigi-
da tra le interazioni dei giocatori, che si muovono certo secondo regole,
ma che sono pur sempre liberi di deviare e di mutare i loro comporta-
menti(. . . ) Gli attori del gioco linguistico entrano in scena e cominciano
a tessere le trame di una struttura semantica secondo certe regole che
consentono di fare alcune cose e non altre. Naturalmente, le regole del
gioco sono flessibili e possono diventare argomento del gioco stesso.
(. . . ) Il gioco linguistico si configura allora, come quell’officina speri-
mentale dove hanno vita fenomeni costruttivi che, talvolta, diventano
innovativi, perché presentano novità che non erano previste e che non
sono teoricamente prevedibili46

È infatti centrale per Wittgenstein che il seguire una regola è un processo


che soggiace alla volontà dei giocatori, alle relazioni di accettazione e nega-
zione di regole che si instaurano nel gioco. Le regole del gioco obbligano
indirizzano, ma alla fine è una scelta del giocatore accettarla o meno. Con
ben mostra La Licata, attraverso la continua pressione di giocatori recalcitan-
ti, nel tempo, la ritualità del gioco può subire modifiche e cambiamenti che
introducono un nuovo funzionamento del gioco. Nuove regole introducono
o un modo diverso di giocare, o un altro gioco con un nuovo nome. Basta
pensare alla recente introduzione nel mondo del calcio italiano del VAR, (vi-
deo assistant referee); ci si riferisce a un arbitro aggiuntivo che esamina le
decisioni degli altri arbitri in campo tramite l’ausilio di filmati. La pressione
di tifosi, giornalisti, opinionisti, varie lamentele da parte di società e allena-
tori circa il basso livello dell’arbitraggio ed i relativi effetti sul campionato,
hanno portato L’International Football Association Board, (l’organizzazione
che prende decisioni riguardanti le regole del gioco), ad approvare l’utilizzo
del VAR nel giugno 2016..: "In questo modo non solo aiuteremo il direttore
di gara, ma renderemo un po’ di giustizia anche al pubblico". Eccoci di
fronte alla messa in scena di un gioco rituale come il calcio, un gioco con
una struttura semantica che rispetta delle regole (un plot semantico che se-
gue certe vie conosciute), ma che, a differenza delle ripetizioni rituali (che
circoscrivono un mondo chiuso), lascia spazio anche all’innovazione ed alla
sperimentazione che apre al cambiamento! Questo esempio è una dimostra-
zione ostensiva di ciò che viene definita creatività linguistica dei parlanti, un
tipico esempio di riorganizzazione semantica. Il fenomeno VAR, nella fattispe-
cie, è uno degli infiniti ed imprevedibili prodotti di tale riorganizzazione.
Come avremmo mai potuto prevedere la sua comparsa?

2.2 critica all’idea di semplice


L’idea centrale di Wittgenstein ripresa da Kauffman, è che generalmente
non è possibile ridurre enunciati di livello superiore ad un insieme specifi-
46 Emiliano La Licata, Giocare sull’orlo del caos, Mimesis, Milano, 2012, p.135
2.2 critica all’idea di semplice 26

cato in modo finito di enunciati necessari e sufficienti di un livello inferiore.


Piuttosto i concetti del livello superiore vengono codefiniti. Tra gli effetti del
linguaggio nella concezione del Wittgenstein del Tractatus è certamente pre-
sente l’idea secondo cui i nomi veri e propri sono segni semplici che stanno
per oggetti semplici. Questa concezione pone il centro nell’idea secondo cui
“la parola non ha significato se ad essa non corrisponde nulla”. Wittgenstein mette
in discussione il fatto che si possa parlare di oggetti assolutamente semplici.
Infatti, secondo il Viennese, confusioni di questo genere possono verificarsi
quando si utilizza la parola “composto” in una quantità di modi differenti,
imparentati tra loro in varie maniere. E’ inutile chiedersi “questo oggetto
è composto?”, “questo oggetto è semplice?” fuori da un determinato gioco,
non precisando un particolare uso delle parole semplice e composto. Come
dice ironicamente Wittgenstein, ci si comporterebbe come quel ragazzo che,
dovendo indicare se i verbi di certe proposizioni fossero usati nella forma
attiva o passiva, si rompeva il capo se il verbo dormire significasse qualcosa
di attivo o di passivo.
Non ha alcun senso parlare di “elementi semplici”, “semplicemente”. Da-
to per assunto che gli oggetti assolutamente semplici dovrebbero costituire
i significati dei nomi, Wittgenstein riconosce che vi sono casi in cui un og-
getto viene usato in connessione ad un nome, e l’oggetto stesso funge da
“mezzo di rappresentazione”. Infatti ciò che contraddistingue tale “mezzo
di rappresentazione” non è qualche abilità straordinaria, come la semplicità
assoluta o l’indistruttibilità, ma la parte che gli è stata assegnata nel nostro
gioco linguistico. Un caso tipico è quello del metro campione di Parigi. Di
esso non si può affermare o negare che sia lungo un metro.

Naturalmente con ciò non gli abbiamo attribuito nessuna proprietà straor-
dinaria, ma abbiamo soltanto caratterizzato la sua funzione particolare
nel gioco del misurare con il metro47

Nella fattispecie in questo gioco esso è l’unita di misura, non l’oggetto mi-
surato. L’idea di semplice quindi presuppone un idea di composto, dove
entrambe le definizioni dipendono dall’uso che ne vogliamo fare in un de-
terminato gioco linguistico. Anche nel caso in cui avessimo una lista di
nomi cui corrispondo elementi atomici non ulteriormente definibili, questa
lista non potremmo utilizzarla.

Col denominare una cosa non si è fatto ancora nulla (. . . ) Questo tra l’al-
tro, Frege intendeva dicendo: soltanto nel contesto della proposizione
una parola ha significato48

Liste di nomi a cui corrispondono oggetti equivalgono ad attrezzi che at-


tendono di essere usati. I nomi sono materiali preparatori ai nostri gesti
semantici, materiali che ben si prestano ad essere usati sensatamente da
chiunque nei giochi linguistici. Denominando qualcosa si costruisce un og-
getto semantico con il quale conduciamo i nostri diversi tipi di gioco; nel
47 Ludwig Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino, 2015,p. 32
48 Ibid., p.31
2.3 emergentismo e riorganizzazione semantica 27

caso del metro campione conservato a Parigi, siamo posti davanti un ogget-
to artificiale che è entrato a far parte della nostra forma di vita. Dandogli
un nome abbiamo costruito un oggetto con il quale, ad esempio, possiamo
condurre i nostri giochi del misurare. Tale processo secondo Wittgenstein è
costruttivo-creativo, perché un oggetto semantico artificiale conduce i nostri
giochi linguistici che hanno a che fare con la prassi umana della misura-
zione. Wittgenstein si concentra su una idea di gioco che nel suo svolgersi
prevede sviluppi creativi.

2.3 emergentismo e riorganizzazione seman-


tica
Il senso di una frase non è più definibile sulla base di un insieme chiuso
di specificazioni che siano valide in tutte le situazioni. Il concetto di gioco
linguistico riesce a coniugare le esigenze, del contestualismo, con l’idea che
i processi creativi possono emergere all’interno dei contesti di gioco. Esso
ha caratteristiche intrinsecamente dinamiche, è, infatti, uno spazio, regolato
in maniera flessibile, che permette ai giocatori, attraverso le loro azioni, di
lavorare su una semantica che si riceve dalla tradizione. Il gioco è garante
di continuità ed innovazione nella rielaborazione delle forme semantiche,
poiché esso ha sia le caratteristiche di un rito, sia le caratteristiche di una
officina lavorativa, all’interno della quale possono avvenire fenomeni crea-
tivi imprevedibili che portano alla ricombinazione delle forme semantiche
usate.

Esso ha caratteristiche intrinsecamente dinamiche, è, infatti, uno spazio,


regolato in maniera flessibile, che permette ai giocatori, attraverso le
loro azioni, di lavorare su una semantica che si riceve dalla tradizione.
Come visto in precedenza, avevamo l’esigenza di coniugare la stabili-
tà comunitaria dei significati con la possibilità di modificare questi nei
contesti di uso. All’interno del gioco, avvengono quei processi di ri-
combinazione e di riqualificazione del significato, proprio per il fatto
che si tratta di un luogo dinamico dove i giocatori lavorano su una se-
mantica preesistente. Così nel gioco abbiamo un frame che accoglie le
forme semantiche che durante il gioco, più o meno consapevolmente,
vengono elaborate, rielaborate in maniera imprevedibile; non possiamo
sapere, prima che il gioco si svolga, come le forme semantiche verranno
ricombinate.49

Il significato delle parole e delle espressioni non è anteriore al gioco lingui-


stico, ma è materia semantica grezza che permette di essere modellata e
“definita”. All’interno del gioco tale materia semantica viene ricombinata
attraverso il lavoro dei giocatori. Il significato delle espressioni che entrano

49 Emiliano La Licata, Osservazioni sull’emergentismo semantico, Atti del convegno CODISCO, 2011,
p.381
2.3 emergentismo e riorganizzazione semantica 28

nei giochi linguistici è, come ben spiega La Licata, certamente fissato da una
tradizione precedente. Nei giochi linguistici - contenitori dinamici e creativi
- il significato viene lavorato, riorganizzato, alterato, cambiato, rinegoziato
in una maniera del tutto imprevedibile. L’emergentismo semantico è così
un lavoro creativo ed imprevedibile.

L’idea è che ci sono certe forme semantiche cristallizzate e comuni a


tutti noi, ma esse giacciono inerti e si configurano, così, come materiale
semantico da usare nei giochi linguistici; il valore di questo materiale,
però, viene riqualificato, riorganizzato, ricombinato nell’uso che viene
fatto nel gioco e in un maniera non prevedibile apriori.50

Forse si dice: il due può essere definito ostensivamente soltanto così: -


Questo numero si chiama “due” -. Infatti qui la parola “numero” indica
in quale posto del linguaggio, della grammatica, collochiamo la parola.
Ma questo vuol dire che la parola “numero” dev’esser già stata definita
prima che quella definizione ostensiva possa essere compresa. La paro-
la numero, nella definizione, indica proprio questo punto; il posto nel
quale mettiamo la parola “due”. E così possiamo prevenire gli equivo-
ci, dicendo “questo colore si chiama così e così”, “Questa lunghezza si
chiama così e così”, ecc. Ciò vuol dire: talvolta gli equivoci si evitano
in questo modo. Ma allora le parole “colore” o “lunghezza” possono
essere concepite soltanto così? – Ebbene, dobbiamo appunto definirle. –
Dunque definirle con altre parole! E come la mettiamo con l’ultima de-
finizione di questa catena? (Non dire: “Non c’è un definizione ultima”.
Sarebbe come se volessi dire: “In questa strada non c’è un’ultima casa;
se ne può sempre costruire un’altra”.) Se nella definizione ostensiva
del due sia necessaria la parola “numero” dipende dall’eventualità che,
senza questa parola, l’altro concepisca la definizione diversamente da
come desidero. E ciò dipenderà dalle circostanze in cui si da la defini-
zione, e dalla persona a cui la do. E il modo in cui quello “concepisce”
la definizione si vede dal modo in cui usa la parola definita.51

Come viene mostrato in questo passo delle Ricerche il significato di due è


“essere un numero”. Per criticare questa forma di atomismo osserva Witt-
genstein che, a rigor di logica, sarebbe necessario definire la parola ‘numero’
per fissare il significato dell’enunciato. Un ragionamento simile a lungo
termine condurrebbe a processi come la riduzione ad infinito, ed il senso sa-
rebbe, per così dire, ineffabile. Wittgenstein pone un limite al significato di
“due” che viene fissato in forme contestuali del qui ed ora che si trova di
fronte. Il parlante deve inventare una definizione di “due” sulla base del
suo gruppo di conoscenze semantiche, deve essere inoltre comune e collet-
tivo e di facile comprensione per altri uomini. Riformulare il senso delle
parole comunemente usate per darne un nuovo significato a seconda delle
circostanze, questa è la riorganizzazione semantica.

Un gioco linguistico che incontra se stesso e si riconosce, temporalmente


determinato. Così, in Wittgenstein, l’enunciato si pone nel gioco lingui-
50 Ibid., p.381
51 Ludwig Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino, 2015, p.20
2.4 agenti autonomi e giochi linguistici 29

stico tra l’eco del passato e l’apertura ai possibili futuri. Si pone in


mezzo alla linea del tempo, tra quello che già c’è, e quello che potrebbe
esserci.52

2.4 agenti autonomi e giochi linguistici


Come abbiamo visto nel paragrafo 1.6, il concetto di organizzazione propa-
gante, porta ad una forma di contingenza imprevedibile, la creatività degli
agenti autonomi è senza confini; è troppo pressante e produttiva per esse-
re confinata in una o più leggi che possano determinare in anticipo tutte
le configurazioni di una biosfera. Questi concetti, esposti in relazione alla
filosofia di Wittgenstein, mostrano come il lavoro degli agenti sia “in fon-
do”, un processo molto simile alla riorganizzazione semantica trattata nel
precedente paragrafo.
Ci sono molti punti di contatto tra il lavoro degli Agenti Autonomi, il gio-
co naturale e l’attività linguistica dei parlanti nei giochi linguistici. Agenti
Autonomi e giochi linguistici, realtà e linguaggio, sono congiunti in una for-
ma di costruttivismo radicale e creativo proprio del nostro modo di vivere.
Il gioco diventa, così, quello spazio regolato che al suo interno lascia spazio
alla creatività. Esso sviluppa creatività, cioè la possibilità di creare innova-
zione, la possibilità di cucire sempre nuovi ricami semantici all’interno di
una ecologia semantica regolata, dove i parlanti ricevono una formazione
tale da poter partecipare al gioco. Il parlante delle Ricerche Filosofiche non
si pone fuori dai contesti: la mossa linguistica non è slegata dal gioco nel
quale viene fatta, ogni mossa/gesto linguistico operato si fa carico, per ave-
re senso, di tutto il contesto del gioco. La produzione di senso è, per queste
ragioni, contestuale e collettiva, dove le dinamiche possono prendere esiti
imprevisti.
Il significato, infatti, è un lavoro che si compie nel gioco linguistico, una
abitudine socialmente condivisa, una possibile ricombinazione che porta
ad un possibile disfacimento del significato stesso, rendendolo aperto alla
manipolazione. Il gioco linguistico, esattamente come una forma di vita,
non può essere giustificato razionalmente:

non poggia su un terreno di ragioni, ma sul disordine dal quale è nato53

Se il vero è ciò che è fondato, allora il fondamento non è né vero né


falso54

E’ forte l’invito a non creare teorie che cercano di spiegare/giustificare


la loro fondatezza, bensì a descrivere come esse spontaneamente nascono,
si sviluppano e muoiono. L’ordine spontaneo della forma di vita/agente

52 Emiliano La Licata, Osservazioni sull’emergentismo semantico, Atti del convegno CODISCO, 2011,
p.381
53 Emiliano La Licata, Giocare sull’orlo del caos, Mimesis, Milano, 2012, p.147
54 L.Wittgenstein, Della certezza, Einaudi, Torino, 1999, cit., p. n. 205
2.5 dare i nomi alle cose per capire i nomi delle cose. 30

autonomo, che emerge sullo sfondo del disordine con una regolarità dei
comportamenti (corredo di ordini semantici e simbolici), non è fondato da
nessuna razionalità profonda, ma dalla mera sperimentazione degli uomini
che provano a vivere secondo una forma di vita; un ordine simbolico.

Vero e falso è ciò che gli uomini dicono; e nel linguaggio gli concordano.
E questa non è una concordanza delle opinioni, ma della forma di vita55

Non si possono costruire teorie fondanti, poiché, non c’è alcuna ragio-
ne profonda che possa giustificare l’esistenza di un gioco linguistico. Le
regole del gioco non sono giustificate da una regola profonda, ma dall’or-
dine simbolico costruito sul disordine semantico. L’infondatezza del gio-
co linguistico è la sua stessa predisposizione a questa apertura verso la
sperimentazione ed al dinamismo. Infatti lo sfondo semantico conosciuto
(giochi linguisti abitualmente giocati), le regole che distinguono il sensato
dall’insensato, corretto-scorretto e così via, sono le forme semantiche che
costituiscono l’ordine simbolico di una forma di vita.
La creatività dei parlanti sta proprio nell’alterare ciò che viene traman-
dato dall’ordine simbolico e trasformarlo in innovativo. Infatti le forme se-
mantiche valide nel presente devono essere sempre considerate come forme
semantiche entropiche, perché tali forme, se non vengono usate, perdono
via via il loro valore, fino a diventare materiale ad alta entropia inutilizzabi-
le o quasi; tali forme, per vivere, devono essere utilizzate dai parlanti. Come
fa notare La Licata, questa attività lavorativa/creativa non si deve immagi-
nare solo su un piano speculativo: per Wittgenstein l’attività semantica è
inscindibile dalla forma di vita nella quale gli attori parlanti sono inseriti.
Un certo uso di forme semantiche all’interno del gioco linguistico coincide
con un certo stile di vita all’interno di una nicchia di esistenza. Il livello
semantico è incarnato nel modo di esistenza proprio della forma di vita.

2.5 dare i nomi alle cose per capire i nomi


delle cose.
Sostanzialmente dare un nome a qualcosa significa creare un oggetto
semantico che serve per portare avanti la prassi dei giochi linguistici, -
nominare significa fare emergere sullo sfondo dell’entropia semantica qual-
cosa che è utile per i giochi- costruendo giochi come ad esempio il metro
campione di Parigi che servono per giocare i nostri giochi della misurazione.
Scrive Kauffman:

Il gioco naturale che secondo la mia definizione è un modo per gua-


dagnarsi da vivere in un ambiente. Significa che gli agenti autonomi
sono capaci di agire a proprio vantaggio, cosa che fanno con regolarità,

55 Ludwig Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Trento, Einaudi, 2015, p. 104


2.5 dare i nomi alle cose per capire i nomi delle cose. 31

per guadagnarsi da vivere in un ambiente. Il batterio che nuota contro-


corrente in un gradiente di glucosio si guadagna da vivere nel proprio
ambiente, ma a ben vedere, è ciò che fanno tutte le entità viventi della
biosfera (. . . ) Quando la vita - e, sostengo io, gli agenti autonomi- ebbe
inizio, la loro diversità era scarsa. Adesso invece, esistono qualcosa co-
me cento milioni di specie, che rappresentano forse un millesimo delle
diversità totale che ha vagolato sul nostro pianeta. Il resto si è estinto. I
giochi naturali, i modi di guadagnarsi da vivere sono co-evoluti con gli
agenti autonomi, con le specie creando le modalità stesse di guadagnar-
si da vivere (. . . ) ho immaginato nel primo capitolo che Darwin dicesse
“i giochi naturali vincenti sono i giochi giocati dalle specie viventi” (. . . )
Nella biosfera, modi di guadagnarsi da vivere ben esplorati dalla muta-
zione e dalla ricombinazione saranno popolati da molte specie sorelle,
che si guadagneranno da vivere giocando giochi naturali leggermente
differenti. Giochi naturali che prolifereranno (. . . ) Noi creature viventi
stiamo letteralmente costruendo il nostro mondo tutte insieme.56

Il parallelismo appare adesso più evidente. Gli agenti autonomi nel lo-
ro ruotare attorno ai cicli termodinamici producono lavoro che si propaga,
manipolano la realtà a loro vantaggio, costruiscono vincoli per utilizzare
l’energia, assicurandosi la riproduzione; misurano, cercano nuove fonti di
energia, costruiscono vincoli per incanalarla e per renderla utile alla propa-
gazione di altro lavoro. Essi producono ordine utilizzando fonti di energia a
bassa entropia (materia grezza), trasformandola in lavoro che genera altro la-
voro ed organizzazione, che poi si dissipa irreversibilmente trasformandosi
in materiale ad alta entropia, dopo essere stata usata nel lavoro svolto.
Nel pensiero del filosofo Austriaco ogni gioco linguistico, ogni singolo
enunciato, ogni atto semantico è un atto creativo proprio per il fatto di
creare forme, mettere insieme parti e produrre qualcosa di “nuovo” che si
propaga all’interno del gioco.

Il gioco è pieno di gesti semantici creativi che si connettono gli uni agli
altri, creando così, un ricamo semantico, una struttura semantica che si
sviluppa il quel cluster codefinitorio e manipolativo dell’ambiente che
prende il nome si Sprachspiel57

(. . . ) Ma se l’insegnamento ostensivo produce quest’effetto - devo di-


re che ha per effetto la comprensione delle parole? Non comprende il
grido “Lastra” chi, uscendo, agisce in questo modo così e così? - Cer-
to, a ciò ha contribuito l’insegnamento ostensivo; però solo in quanto
associato a un determinato tipo di istruzione. Connesso con un tipo
di funzione diverso, lo stesso insegnamento ostensivo di questa parola
avrebbe avuto come effetto una comprensione del tutto diversa. “Ag-
giusto un freno collegando una sbarra a una leva” - Certo, se è dato
tutto il resto del meccanismo. Solo in connessione con questo, la leva

56 Stuart Kauffman, Esplorazioni Evolutive, (Investigations), Einaudi, Torino, 2005 p.71


57 Emiliano la Licata, La mente che si propaga. Kauffman legge Wittgenstein, “Reti, Saperi, Linguaggi”,
2012
2.5 dare i nomi alle cose per capire i nomi delle cose. 32

è la leva di un freno; isolata dal suo sostegno non è neppure leva; può
essere qualsiasi cosa possibile e anche nulla58

Dunque, a diverse tipologie di connessione abbiamo effetti di comprensio-


ne totalmente diversi, anche -nichts- nulla; siamo in presenza di materiale
a bassa entropia che deve essere usato creativamente nei giochi linguistici.
Fa scuola il felice esempio del chiedere “quest’oggetto è composto?” – Può
voler dire qualsiasi cosa! – Dobbiamo già necessariamente conoscere un uso
regolato della parola composto per esprimere qualcosa di sensato, oppure
inventare sul momento un uso della parola per un utilizzo migliore. Non
vi è criterio di classificazione dei giochi. I giochi linguistici non coincidono
con atti linguistici-verbali, ma con atti pragmatici.
Per Kauffman, parlando occorre costruire sul momento una forma seman-
tica, ed esibire, attraverso un lavoro linguistico, una forma semantica già co-
nosciuta, al fine di ricollegarmi al mio interlocutore, evitando così che tale
lavoro scivoli verso l’entropia semantica. Nella fattispecie insensatezze, in-
comprensioni e smarrimenti comunicativi. Ora nel gioco linguistico, ora nel
gioco naturale, gli agenti autonomi costruiscono, organizzano e propagano
trame di senso, attraverso lavori semantici; violando regole, modificandole,
o limitandosi a seguire quelle già tracciate.

La termodinamica dei parlanti delle Philosophische Untersuchungen è


presto chiara: c’è un gioco linguistico regolato con flessibilità, si prende
parte a questo. Prendere parte ad un gioco significa cominciare a lavo-
rare semanticamente, cominciare a produrre creatività linguistica collet-
tiva. Si producano frasi che provano a raccordarsi al contesto. Così, si
fa uso del materiale linguistico a bassa entropia, forme semantiche già
conosciute, usi regolati, o ci si avventura verso la costruzione radicale
di nuove forme, definendo e ridefinendo i concetti e gli usi linguistici.59

Il significato altro non è che una trama relazionale emergente e collettiva ed


alchemica che gli agenti autonomi costruiscono e ricostruiscono nei giochi
linguistici.

Allora che cosa significa dire che agli elementi non si può attribuire né
l’essere né il non essere? –Si potrebbe dire: Se tutto quello che chia-
miamo essere e non essere consiste nel sussistere e nel non sussistere di
connessioni tra gli elementi, non ha alcun senso parlare dell’essere ( o
del non essere) di un elemento; così come non ha senso parlare di un
elemento; così come non ha senso parlare di distruzione di un elemento
se tutto ciò che chiamiamo distruggere consiste nella separazione degli
elementi.(. . . ) Di una cosa non si può affermare e nemmeno negare che
sia lunga un metro: (. . . ) Definiamo perciò “seppia” vuol dire il colore
del campione si seppia depositato a Parigi. Allora non avrà alcun sen-
so dire, di questo campione che ha questo colore o non ce l’ha. (. . . )

58 Ludwig Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino 2015, p.9


59 Emiliano la Licata, La mente che si propaga. Kauffman legge Wittgenstein, “Reti, Saperi, Linguaggi”,
2012
2.6 vita ed entropia 33

questo campione è uno strumento del linguaggio col quale facciamo as-
serzioni relative ai colori. (. . . )In questo gioco non è il rappresentato,
ma il mezzo di rappresentazione. (. . . ) E il dire “Se non lo fosse non
potrebbe avere un nome” significa tanto, e tanto poco, quanto il dire: se
questa cosa non esistesse non potremmo usarla nel nostro giuoco. Ciò
che, a quanto pare, deve esserci, fa parte del linguaggio. E’ un paradig-
ma del nostro giuoco; qualcosa con cui si fanno confronti. E constatare
ciò può voler dire fare una constatazione importante; ma tuttavia è una
constatazione che riguarda il nostro gioco linguistico: il nostro modo di
rappresentazione (Darstellung).60

Parlare, in breve, è compiere atti creativi in una prassi collettiva. Estraiamo


dall’entropia semantica un oggetto virtuale e reale a cui diamo un nome, ed
usiamo l’oggetto reale per giocare, mettendolo in relazione con altri oggetti
che altri agenti autonomi portano nel gioco linguistico. Infine all’interno del
gioco emergono strutture di senso prodotte dal lavoro collettivo, ciclicamen-
te definito; dando luogo ad un organizzazione semantica che si propaga in
una dinamica perennemente creativa e soggetta ad entropia.

2.6 vita ed entropia


Come credo sia emerso nel primo capitolo, Kauffman mostra di essere
molto interessato al concetto di organizzazione che prende le forme di la-
voro propagante, inteso come costruzione e ricostruzione ciclica e sistemica
di forme di vita che creano diversità ecologica. Gli studiosi dell’evoluzione
sempre più si convincono che la vita sulla terra si sia sviluppata per fatti
contingenti e non più ripetibili, e che l’espansione della biosfera sia un fatto
radicalmente imprevedibile. Sulla scia di La Licata tutto ciò apre le porte
ad un ridefinizione concettuale del rapporto Vita/Entropia. Kauffman so-
stiene che la creatività degli agenti autonomi è di gran lunga superiore al
processo entropico (di ogni singolo agente). Lo studioso americano sostie-
ne che c’è una ricchezza infinitamente maggiore di organizzazione e crea-
tività di quanto l’entropia possa gradatamente erodere. La vita, in questi
termini, non è più vista come un continua negazione o frenata naturale ed
inesorabile entropia, quanto piuttosto l’infinita ed imprevedibile espansione
della biosfera sotto la spinta immensa della ricchezza e della creatività degli
agenti autonomi.
Kauffman crede che gli agenti autonomi non si trovano mai in un contesto
totalmente entropico, ma sempre inseriti in una rete organizzativa che vie-
ne ricombinata ed espansa sempre più; processo quest’ultimo più potente
della totale entropia, di quell’equilibrio termodinamico che è assenza di or-
ganizzazione che si propaga. Il lavoro degli agenti autonomi, l’organizzazione
propagante, ci portano ad un forma di contingenza imprevedibile. La creati-
vità degli agenti autonomi è senza confini, non può essere ingabbiata in una
60 Ludwig Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino, 2015, p.32
2.6 vita ed entropia 34

o più leggi che possono anticipatamente prevedere le possibili configurazio-


ni di una biosfera. Che immagine abbiamo infatti nel sentire l’enunciato
assenza di organizzazione che si propaga? Nulla, (dobbiamo avere relazioni tra
forme per avere impianti semantici) non si può proferire giudizio alcuno,
non se ne può parlare. Il volto della scienza proposta da Kauffman in que-
sto caso si allontana dal paradigma Newtoniano che faceva della previsione
la sua forza. L’idea di scienza portata avanti dallo statunitense per lo studio
di fenomeni radicalmente costruttivi come “la vita”, poggia le basi in una
narrazione della storia naturale delle forme di vita. Parafrasando La Licata:
una raccolta di storie che narrano le evoluzioni delle forme di vita, di come
esse si sono organizzate, di come si sarebbero potute organizzare, di come
e perché non lo hanno fatto e di come sono scomparse. Solo così è possibile
riuscire a descrivere le proprietà collettive degli agenti e dei giochi che non
sono riducibili ad un livello più basso di descrizione. Personalmente tro-
vo molte consonanze con le considerazioni del secondo Wittgenstein nelle
Ricerche Filosofiche:

Non lasciarti confondere dal fatto che i linguaggi (2) e (8) consistono
esclusivamente di ordini. Se vuoi dire che per questo, non sono comple-
ti, chiediti se sia completo il nostro linguaggio; - se lo fosse prima che
venissero incorporati in esso il simbolismo della chimica e la notazione
del calcolo infinitesimale; questi infatti sono, per così dire, i sobborghi
del nostro linguaggio. ( E quante case o strade ci vogliono perché una
citta cominci ad essere città?) Il nostro linguaggio può essere conside-
rato come un vecchia città: Un dedalo di stradine e di piazze, di case
vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto
circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade diritte e regolari,
e case uniformi.61

Non possiamo classificare i diversi Giochi linguistici come completi o incom-


pleti in virtù di un certo “ordine di completezza”, men che mai in virtù di un
Gioco linguistico per così dire “completissimo” tale da essere metro campio-
ne della completezza/esattezza dei giochi, o peggio ancora dell’ordine e del
senso delle cose. Le cose all’interno dei giochi linguistici hanno come collan-
te naturale il continuo lavoro semantico dei parlati, non sono indipendenti
l’una dall’altra. Analogamente le proprietà globali di un agente autonomo
non sono riducibili all’analisi degli elementi così detti semplici. Noi non
osserviamo brutalmente la freccia del tempo che va verso la dissipazione e
l’equilibrio, ma al contrario, ciò che abbiamo costantemente sotto i nostri oc-
chi , è la moltiplicazione delle rotture dall’equilibrio. La direzione verso cui
tende la biosfera è infatti la moltiplicazione delle rotture dell’equilibrio, che
generano energia utile, lavoro propagante, strutture e diversificazione che si
espande (come nel gioco linguistico il significato si sviluppa tra le relazioni
dei giocatori). I significati sono le mosse linguistiche che vengono pratica-
te dai giocatori nella negoziazione dell’uso; il significato in tale dinamica
è aperto a connettere, legare, o dividere emarginare ed escludere tra loro
61 Ludwig Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino, 2015,p. 14
2.7 un gioco naturalmente linguistico 35

le cose (gli oggetti). Questa è la lettura che Kauffman dà di Wittgenstein;


parlare è compiere una prassi collettiva:

• Il lavoro dei parlanti estrae dall’entropia semantica un oggetto virtuale


reale a cui diamo un nome (irriducibile ad un insieme di enunciati che
si pongono fuori dal gioco)

• Utilizziamo l’oggetto per giocare, e lo mettiamo in relazione ad altri


oggetti che altri agenti autonomi introducono nei giochi linguistici,
producendo qualcosa di potenzialmente nuovo ed imprevedibile che
si propaga all’interno del gioco

• Creiamo gesti semantici contestuali che armonizzano e propagano or-


ganizzazione semantica, sviluppando cosi quel “cluster” codefinito e
manipolativo dell’ambiente che prende il nome di Gioco linguistico

Nelle Ricerche Filosofiche l’ordine della proposizione non rispecchia l’or-


dine del mondo, ma come sappiamo a fondamento del linguaggio c’è il
gioco linguistico e le sue infinite possibilità. Non v’è punto di vista privi-
legiato dal quale guardare alla semantica. Il soggetto non è più, come nel
Tractatus, limite del mondo, ma attore del gioco co-costruttore del mondo,
dove entra in relazione ad una organizzazione preesistente. Prende parte al
mondo in quanto prodotto del mondo. E’ proprio questa possibilità di rottu-
ra dei significati e dei continui slittamenti semantici a permettere la creativa
dinamica lavorativa dei parlanti. Il tutto è possibile grazie a questa emergen-
za semantica che performa le nicchie linguistiche; tale emergenza altro non è
che l’espressione della creatività delle forme di vita: la possibilità del conti-
nuo rimaneggiamento dei nomi delle cose (intesi come significati), con altri
nomi, che vanno a scolpire il mondo in modo nuovo. Nel gioco linguistico e
nel gioco naturale gli agenti autonomi costruiscono organizzazione seman-
tica propagante, trame di senso costruite attraverso il lavoro semantico; così
facendo essi eseguono regole del gioco, posso violarle, cambiarle, crearne di
nuove, o limitarsi a seguire quelle già tracciate. C’è dunque una struttura
di senso che gli agenti automi creativamente formano nel gioco linguistico,
ogni volta con esiti nuovi e del tutto imprevedibili.

2.7 un gioco naturalmente linguistico


Nella sua fase matura, come è già emerso nei paragrafi precedenti, Witt-
genstein è arrivato ad una considerazione del linguaggio diversa rispetto
a quella del Tractatus: il linguaggio ci dà in qualche modo un quadro del
mondo, ma non può darci un quadro di come arriva a fare ciò. Come possa
il linguaggio raffigurare il mondo è inesprimibile. Il linguaggio non è affat-
to un quadro, non c’è un solo quadro nel mondo, ma molti e di differenti
giochi linguistici, differenti forme di vita e di modi di fare cose con parole,
non tutti sono legati insieme. Wittgenstein non vede più il linguaggio come
2.7 un gioco naturalmente linguistico 36

un’immagine (metafora sviante); sarebbe infatti come vedere l’uomo attra-


verso qualcos’altro che non sia lui. Noi vita vedremmo la stessa attraverso
qualcosa che non è vita. Noi arriviamo alla comprensione della forma vita in
virtù del fatto che siamo una forma di vita.

«Bene; dunque per te il concetto di numero si definisce come la somma


logica di quei singoli concetti, tra loro imparentati: numero cardinale,
numero razionale, numero reale, ecc; e analogamente il concetto di giuo-
co si definisce come somma logica dei corrispondenti concetti parziali».
Le cose non stanno necessariamente cosi. E’ vero che posso imporre
rigidi confini al concetto di “numero” per designare un concetto rigida-
mente delimitato; ma posso anche usarla in modo che l’estensione del
concetto non sia racchiusa da alcun confine, E proprio cosi usiamo la
parola giuoco. In che modo si delimita il concetto di giuoco? Puoi in-
dicarne i confini? No. Puoi tracciarne qualcuno, perché non ce ne sono
di già tracciati ( Ma quando applicavi la parola “giuoco” ciò non ti ha
mai preoccupato). Ma allora l’applicazione della parola non è regolata;
e non è regolato il giuoco, che giochiamo con essa. - Non è limitato do-
vunque da regole; ma non esiste neppure nessuna regola che fissa, per
esempio, quanto in alto o con quale forza si possa lanciare la palla da
tennis, e tuttavia il tennis è un giuoco e ha anche regole. (. . . ) non siamo
in grado di dire esattamente cos’è un gioco? - Ma questa non è ignoran-
za. Non conosciamo i confini perché non sono tracciati. Come s’è detto,
possiamo - per uno scopo particolare- tracciare un confine. (. . . ) Allo
stesso modo, per rendere utilizzabile la misura di lunghezza un passo
non è affatto necessario dare la definizione: 1 passo = 75 cm. E se tu
vuoi dire “ Ma prima non era affatto una misura esatta”, io ti rispondo:
bene, allora era una misura inesatta. - Benché tu mi sia ancora debitore
della definizione di esattezza.62

Non conosciamo i confini perché non sono tracciati. Non conosciamo i


confini della Biosfera perché non sono tracciati. Non conosciamo i confini
dei giochi linguisti perché non sono tracciati. Giochi linguistici ed Agenti
autonomi sono legati dall’idea di fondo che lavorare sia una ricombinazione
creativa di forme entropiche.
Ogni atto linguistico, ogni enunciato, ogni atto denominativo, ogni atto
semantico è un atto creativo perché crea forme, mette insieme parti e pro-
duce qualcosa di potenzialmente nuovo che si propaga all’interno del gioco.
C’è da tener ben fermo in mente che il significato (inteso come una unità di
senso che si propaga) è un lavoro che si compie nel gioco linguistico. “Si-
gnificato” come abitudine socialmente condivisa, sulla quale si ripone una
fiducia fino a quando la si desidera mantenere. Infatti la mancata condi-
visione sociale del significato, lo rende fluido, e aperto alla manipolazione.
Un’altra analogia tra Gioco linguistico e Agente Autonomo è l’essere co-
munemente “organizzazioni dissipative”, strutture che si formano dissipando
l’entropia. Così come le forme di vita i giochi linguistici non possono es-
sere giustificati razionalmente: l’unico modo di “giustificare” i vari giochi
62 Ibid., p. 41-42
2.7 un gioco naturalmente linguistico 37

linguistici non è quello di creare teorie cercando la fondatezza, ma piuttosto


descrivere e raccontare come essi spontaneamente nascano, si sviluppino e
muoiano. L’ordine spontaneo della forma di vita che emerge dal disordine
con una regolarità nei comportamenti, viene in qualche modo a coincide-
re con l’ordine spontaneo (un ordine gratuito direbbe Kauffman) del gioco
linguistico, un ordine semantico e simbolico fondato dall’interazione degli
uomini che provano a vivere secondo un ordine simbolico, esattamente come
gli agenti autonomi provano a vivere secondo il loro panorama di fitness o
ambiente. Per concludere credo non ci sia paragrafo migliore delle ricerche:

contenuto...Cosi dunque, tu dici che è la conoscenza fra gli uomini a


decidere cosa è vero e cosa è falso!” – Vero e falso è ciò che gli uomini
dicono; e nel linguaggio gli uomini concordano. E questa non è una
concordanza delle opinioni, ma della forma di vita.63

Il concordare, il comandare, fanno parte della nostra storia naturale co-


me il camminare, il mangiare il bere ed il giocare. I fenomeni linguistici
vengono spesso etichettati come facente parti di una “seconda natura”, quei
fenomeni che solo sotto determinati aspetti sarebbero considerati parte del-
la forma di vita “uomo”. Troppo spesso, infatti, nel suo comportamento
linguistico l’uomo tende ad appropriarsi di facoltà speciali, qualitativamen-
te distinte da quelle appartenenti ad esempio al resto del regno animale. A
causa di un determinato modo di classificazione delle cose tendiamo a consi-
derare la lingua o la facoltà di linguaggio una seconda natura, da aggiungere
in qualche modo ad una prima natura alinguistica.

L’uomo è naturalmente linguistico. E come non diremmo di un cuccio-


lo di leone che la capacità predatoria che sviluppa durante il suo primo
periodo diventa una seconda natura, allo stesso tempo, non pare witt-
gensteiniano sostenere che attraverso la lingua modifichiamo la nostra
natura

Spesso si usa la nozione di seconda natura per indicare quei fenomeni


che solo in certe condizioni farebbero parte della forma di vita

Non si tratta, infatti, di una seconda natura che si organizza sulla pri-
ma, ma della natura propria dell’uomo, che ha bisogno di tempo ed
addestramento e socialità per darsi compiutamente64

Come afferma Lo Piparo in “Aristotele e il linguaggio”, la specie umana


non nasce come Minerva dalla testa di Giove già armata, ma necessita di
addestramento per le sue attività: così il linguaggio, o meglio la lingua65 va
a connotarsi sempre più come una facoltà naturale biologicamente intesa,
alla stregua del camminare , del mangiare, del bere e del giocare. Quan-
do crediamo di condurre un’ indagine ontologica guardando attraverso i
63 Ludwig Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino, 2015, p.104
64 Marco Carapezza, La lingua traveste il pensiero, Mimesis, Milano, 2013, pp. 41-43
65 “(. . . ) se con linguaggio intendiamo una sorta di facoltà di linguaggio biologicamente intesta,
il passo è contradditorio perché essa non potrebbe albergare in ognuno di noi ed essere perciò
stessa privata. Non si tratta di possedere un linguaggio, un sistema comunicativo o una facoltà
di linguaggio ma proprio di possedere una lingua.” Ibid.
2.7 un gioco naturalmente linguistico 38

fenomeni, pensiamo di poter vedere il “fondo” delle cose, anche se fonda-


mentalmente stiamo osservando, nella migliore delle ipotesi, il fondo del
nostro linguaggio (inteso come suo primitivo contatto con il mondo), il mo-
do d’essere della nostra forma di vita. Le fondamenta ontologiche della
nostra immagine del mondo vanno cercate nelle pratiche più primitive a cui
siamo stati addestrati. L’essenza delle “cose” o dei concetti va cercata nel-
la “posizione” della nostra rete concettuale, e quindi nelle nostre pratiche
linguistiche. Ogni atto linguistico, come la precedente “essenza delle cose”,
presuppone sullo sfondo un intero linguaggio, un intero sfondo di una cer-
ta forma di vita; solo lì possono essere compresi i singoli atti all’interno del
gioco. Quando iniziamo a conoscere operiamo un continuo riferimento al
mondo, agiamo in esso, colleghiamo l’uso di certi segni a certi atti. Con
l’accumularsi di concetti utilizzabili, tali concetti si emancipano sempre più,
assumendo maggiore importanza nella nostra forma di vita: diventano ma-
teriale su cui lavorare. Tutto questo ci porta ad un continuo allontanamento
dal “mondo”, poiché finiamo col vivere costantemente immersi nei giochi
che prevedono un quasi ininterrotto coinvolgimento con “l’altro”, con una
sempre maggiore subordinazione alle regole della società. E’ il linguaggio
(inteso come tradizione linguistica) che induce a vedere nelle cose la propria
forma di rappresentazione. Le connessioni tra concetti finiscono con l’esse-
re reificate. Ciò è abbastanza accecante e ci porta a confrontarci con una
moltiplicazione degli spazi ontologici, quando in realtà ad incrementarsi ed
a raffinarsi è la nostra concettualità, senza con ciò rispecchiare in modo più
fedele il mondo: un certa tendenza a con-fondere linguaggio e mondo. Infatti a
dare la forma logica al mondo di cui parliamo abitualmente sono le nostre
abitudini sociali, si fa così potremmo dire, perché così siamo stati addestrati.
Il linguaggio ed i suoi concetti non assumono il loro significato grazie ad
un rimando immediato al mondo dei fatti. Il significato di una parola è un
modo del suo impiego, perché è ciò che impariamo quando la parola viene
incorporata per la prima volta nel nostro linguaggio. Ecco dunque l’intrin-
seca natura normativa-sociale del significato . La condizione necessaria del
signficato di un concetto è appunto l’addestramento sociale, che introduce
direttamente alla tecnica del suo uso.
Ergo per l’uomo la normatività, alla stregua dell’animalità, appartiene alla
sua storia naturale; prescinderne sarebbe un grave errore. Tuttavia l’uomo
tende spesso a proiettare la normatività oltre la propria forma di vita, gene-
rando non sensi. L’uomo, cosciente di tale distorsione nella percezione del
mondo, comprende che il piegare sotto la plasticità del proprio dominio la
fluidità del reale altro non è che il modo di vivere della propria forma di
vita. La concettualità assume la propria normatività solo all’interno della
forma di vita che la pratica. L’uomo, nel fraintendere la propria forma di
vita, fraintende anche le forme linguistiche della stessa. Di per se l’uomo
prima ancora di fraintendere il linguaggio, fraintende se stesso.
In tal senso, almeno per quanto riguarda i fondamenti della sua ricerca,
l’approccio di Wittgenstein può essere definito naturalistico. Nonostante
2.7 un gioco naturalmente linguistico 39

egli sembri parlare solo di parole, in realtà, concentrandosi sui vari usi che se
ne fanno all’interno della nostra forma di vita (la quale a sua volta è tale solo
all’interno di un mondo), il suo discorso è teso ad evidenziare l’intrinseco
carattere della naturalità linguistica umana, e quindi del suo primordiale
contatto con ciò che è realmente mondo. Del resto noi impariamo ad usare
le parole perché apparteniamo ad un cultura, una forma di vita, un modo
pratico per fare le cose. Alla fine parliamo come parliamo a causa di ciò
che facciamo. La cultura non è un espediente in qualche modo a-naturale
per l’uomo, ma ciò che massimamente lo caratterizza e lo pone come tale,
ciò che massimamente esprime e caratterizza la sua propria forma di vita;
il suo essere vita nella vita. Come del resto viene proposto da Emiliano La
Licata nel suo articolo:

La proposta di Kauffman sull’origine e sullo sviluppo della vita è una


proposta collettiva, dinamica, alchemica e letteraria. Collettiva perché
un qualsiasi agente autonomo è una totalità collettivamente autoripro-
duttiva; è solo attraverso la mutua relazione lavorativa degli agenti au-
tonomi e delle parti che formano gli agenti autonomi in un contesto
spazio-temporale che si produce organizzazione che crea forme: c’è un
lavoro collettivo che vede impegnati progressivamente e a vari livelli
più agenti autonomi nella costruzione di organizzazione in un contesto
storico. Dinamica perché implica una produzione e una riproduzione
di forme che sono inserite in un tempo irreversibile: la mutua relazione
collettiva degli agenti autonomi, continuamente reiterata, ad un cento
punto, raggiunge una soglia che prepara una transizione di fase che sfo-
cia in un comportamento emergente globale, imprevisto e totalmente
irreversibile. Alchemica perché è solo attraverso la fusione di elementi
che provengono da più agenti che si può dare vita a nuove organizza-
zioni e nuove forme: la relazione unificante degli agenti autonomi con-
divide e mette insieme parti che a lungo andare sfociano in qualcosa di
nuovo, di imprevisto. Letteraria perché «se (...) non possiamo predefi-
nire lo spazio delle configurazioni, le variabili, le leggi e le condizioni
iniziali e al contorno di una biosfera; se non possiamo prefigurare una
biosfera, possiamo pur tuttavia raccontare le storie mentre essa si dispie-
ga. Le biosfere esigono i loro Shakespeare non meno dei loro Newton»
(Kauffman 2000, p. 33). Con la sua intrinseca e alchemica creatività, la
biosfera produce realtà che devono essere narrate; oppure, proprio per-
ché essa è intrinsecamente imprevedibile, può sollecitare la produzione
di narrazioni sui possibili scenari futuri.66

Non si possono in alcun modo separare gli aspetti appena descritti, se


si vuole tentare un discorso che abbracci nel modo più coerente possibile
l’origine e lo sviluppo della vita. Vanno tenuti tutti in considerazione; pena
il venir meno del tanto amato concetto di Natura e tutti i suoi derivati. Ogni
forma particolare deve essere ricondotta a quell’unico fenomeno trattato nel
discorso: la vita non ammette limitazioni di sorta.

66 La Licata Emiliano, “La mente che si propaga, Kauffman legge Wittgenstein”, “Reti, Saperi,
Linguaggi”, 2012
2.7 un gioco naturalmente linguistico 40

Questa proposta della vita collettiva, dinamica, alchemica e letteraria, rima-


ne spesso sullo sfondo quando si parla della filosofia di Wittgenstein, ma
come ben dice Pietro Perconti nella prefazione di Giocare sull’orlo del caos,
tale prospettiva rappresenta uno dei modi più comuni in cui le osservazioni
del Wittgenstein più maturo trovano oggi accoglienza nella scienza contem-
poranea. Senza tale sfondo, l’intero discorso Wittgensteiniano, o meglio,
in questo caso Kauffmenstaniano, perderebbe il suo episteme, oserei dire il
suo principio, ossia la forma di vita biologico-sociale le cui pratiche intende
descrivere.
CONCLUSIONE

Spero sia abbastanza chiaro in che modo gli Agenti Autonomi e i Giochi
linguistici si configurino come officine sperimentali dove hanno vita fenome-
ni costruttivi, ma soprattutto come vadano adesso interpretate le parole di
Kauffmenstein nel dire che conoscere significhi vivere un gioco linguistico. Vita
e giochi linguistici sembrano persistentemente aperti a innovazioni radicali
che non possiamo dedurre da categorie e concetti precedenti. In questa tesi
si è cercato di mostrare come la realtà sociale entro cui ci troviamo eviden-
zia, in parte, il nostro ruolo di costruttori e distruttori del senso, delle cose e
del mondo, al tempo stesso autori e spettatori delle rappresentazioni sociali.
Spero sia emerso come, meravigliosamente, i diversi livelli ontologici dei va-
ri agenti autonomi e quelli, per così dire, culturalmente connotati dell’uomo
(i vari giochi linguistici), in fondo, condividano la stessa natura poiché essi
stessi sono natura. E’ infatti la vita nella sua totalità che ha sviluppato la
nostra ’specie’ ed i relativi ambiti in cui pensieri parole e cose, anche molto
diversi tra loro, si inseriscono e si ascoltano reciprocamente.
E’ grazie al continuo lavoro di tali Agenti impegnati nei loro “giochi” che
si arricchisce la nostra conoscenza del fenomeno vita. L’ordine spontaneo
della forma di vita che emerge dal disordine con una regolarità nei comporta-
menti viene in qualche modo a coincidere con l’ordine spontaneo, (un “ordine
gratuito” direbbe Kauffman) del Gioco linguistico, un ordine semantico fon-
dato dall’interazione degli uomini che provano a vivere secondo un ordine
simbolico, esattamente come gli agenti autonomi provano a vivere secondo
il loro panorama di fitness o ambiente. L’uomo, in tal senso, può essere con-
siderato come l’esito di un processo creativo naturale, non distinto in modo
assoluto dal resto del regno animale, anzi, parte integrante di un percorso
di complessificazione che accomuna tutte le forme naturali.
La biosfera sta compiendo qualcosa di letteralmente incalcolabile, qualco-
sa di non-algoritmico, qualcosa che trascende la nostra capacità di previsio-
ne; ogni atto linguistico, ogni enunciato, ogni atto denominativo, ogni atto
semantico è un atto creativo perché crea forme, mette insieme parti e pro-
duce qualcosa di potenzialmente nuovo che si propaga all’interno del gioco.
Ecco cosa emerge dalla questa lettura: “Kauffmenstein” prende le distanze
da coloro che pensano che dei nostri giochi linguistici si possano dare spie-
gazioni esclusivamente pragmatiche. Le sue indagini sulla biosfera e quindi
sulla vita, esprimono l’abbandono senza riserve di ogni prospettiva antro-
pocentrica nelle scienze della vita; una radicale de-umanizzazione dell’in-
dagine sulla natura. Per l’uomo la normatività, alla stregua dell’animalità,
appartiene alla sua storia naturale, è ciò che lo caratterizza massimamente
in quanto forma di vita uomo. Egli comprende che il piegare parzialmen-

41
2.7 un gioco naturalmente linguistico 42

te sotto la plasticità del proprio dominio la fluidità del reale, attraverso i


giochi linguistici, altro non è che il modo di vivere della propria forma di
vita. È il suo modo di fare/lavorare, con lo scopo sia di mantenersi in vita sia
di prosperare traendo vantaggio dall’ambiente, e di riprodurre il suo esse-
re. Kauffmenstein è orientato infatti verso una concezione dello mondo che
intenda la prassi non come applicazione della teoria scientifica, ma piuttosto
vuole recuperare il significato della teoria come il modo più concreto/vitale di
darsi della prassi. È da ricercare nella prassi la profonda dimensione vitale del
mondo e dell’universo. La prassi indica la vitalità dell’essere in generale il quale
ha ’vita’, ogni singolo agente, un modus vivendi, il vivere in un certo modo
nell’universo. Sono i giochi che gli uomini giocano a mostrare, tra le altre
cose, che cosa sia utile e vantaggioso per il loro essere, ciò che va a distin-
guere cosa sia essenziale da ciò che non lo è; ciò che naturalmente l’uomo si
trova ad essere. La forma vivente mostra, ciò che primariamente, la vita è.
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RINGRAZIAMENTI

Le persone da ringraziare sono talmente tante, ed altrettanto grandi, da


non curarsi del fatto che il loro nome non spunti alla fine di questa tesi.
Tuttavia, voglio dedicare questo lavoro a mio cugino, Giuseppe Curaba,
che da lassù mi guarda, e spero un giorno di poter riabbracciare.

Pi tia, cuscinu Pè

Palermo, Ottobre 2017 F. R.

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