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ROMANI 1,18-3,20

TUTTI SOTTO IL PECCATO

Bibliografia essenziale

Alcuni studi sulla pericope


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69 (1988) 47-62.
Aletti J.-N., «Rétribution et jugement de Dieu en Rm 1-3. Enjeux du problème et proposition
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Jacques Schlosser (Coulot C. ed.) (LD 198; Paris 2004) 311-334.
Aletti J.-N., «Rm 1–3: Quelle fonction? Histoire de l'exégèse et nouveau paradigme»
Biblical Exegesis in Progress. Old and New Testament Essays (Aletti J.-N. - Ska J.-
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Porter C.L., «Romans 1.18-32: Its Role in the Developing Argument» NTS 40 (1994)
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92 (2001) 185-206.

1
La propositio di Rm 1,16-17

È comunemente accettato che i due versetti siano il grande tema della lettera, ovvero la sua
tesi principale, ciò che Paolo vuole svolgere come riflessione nella lettera.
Il testo
Οὐ γὰρ ἐπαισχύνοµαι τὸ εὐαγγέλιον, Io infatti non mi vergogno del Vangelo,
δύναµις γὰρ θεοῦ ἐστιν perché è potenza di Dio
εἰς σωτηρίαν παντὶ τῷ πιστεύοντι, per la salvezza di chiunque crede,
Ἰουδαίῳ τε πρῶτον καὶ Ἕλληνι. per il Giudeo, prima, e per il Greco.
δικαιοσύνη γὰρ θεοῦ ἐν αὐτῷ la giustizia di Dio, infatti, in esso
ἀποκαλύπτεται ἐκ πίστεως εἰς πίστιν, si rivela, da fede a fede,
καθὼς γέγραπται· come sta scritto:
ὁ δὲ δίκαιος ἐκ πίστεως ζήσεται Il giusto per fede vivrà.

Innanzitutto occorre avere presente cosa sia una propositio, cioè l’annuncio di un tema da propsitio deve ser
breve, consisa e
svolgere, per comprendere la frase. È come il titolo di certi libri, di solito saggi su un tema, completa.
come le tesi di dottorato per esempio, che lasciano intendere il contenuto di ciò che si troverà
scritto in seguito ma senza evidentemente poterlo sviluppare compiutamente, ma lo lasciano
presagire, tanto da invitare i lettori a proseguire nella lettura. Un buon titolo deve avere tutti
gli elementi caratterizzanti il libro intero come contenuto[1]. Essa infatti secondo la classica
definizione ha come scopo di proponere... quae sis probaturus necesse est. Deve essere quin-
di chiara, breve e verosimile per catturare l’attenzione dell’uditorio. Tutto il libro sarà allora
la documentazione di quel titolo. Paolo ha un modo particolare di formulare le sue proposi-
tiones, con uno stile ellittico e condensatissimo per il quale lascia aperte numerosissime do-
mande, che è il modo con cui invita a continuare a seguire l’argomentazione. Non dobbiamo
aspettarci dunque una enunciazione che definisca in modo chiaro, ma che sia capace di
generare una riflessione da seguire[2].
Gli autori sono concordi nel fissare i vv. 16-17 come propositio che parla del vangelo. La
prima sorpresa però è che non ne parla in termini di contenuto, non dice qual’è il contenuto
del Vangelo, ma del suo dinamismo costitutivo: esso è potenza di Dio. Questa è una prima
indicazione importante per la lettura della lettera. Non troveremo dunque un trattato cristo-
logico (anche se in moltissimi punti ci saranno sviluppi cristologici) ma piuttosto un trattato
del dinamismo evangelico. Rm in effetti vuole mostrare che l’annuncio del Vangelo è la
forza che ha messo in campo Dio per la salvezza di chiunque vi aderisce, specificando chi-
unque (Ebreo prima e Greco). Più schematicamente abbiamo enunciato in queste poche
righe:

[1]
Cf. Di Marco Liborio. “Le propositiones punti fondamentali di snodo nell’articolazione della Lettera ai
Romani.” Rivista biblica italiana 56 (2008): 307-337, 307-308.
[2]
Cf. Aletti Jean-Noël. “La présence d’un modèle rhétorique en Romains: son rôle et son importance.”
Biblica 71 (1990): 1-24.

2
- i destinatari: chiunque, a mezzo della fede, indistintamente. Il tema della destinazione uni-
versale, e delle condizioni necessarie a questa percorre tutta la lettera (da subito con 1,18–
3.20).
- il “mittente”, ovvero Dio, o meglio ancora la Sua giustizia in quanto è all’opera. Proprio
perché rivolto a tutti indistintamente il vangelo mostra, nel suo dinamismo, la giustizia di
Dio
- la fede come unica modalità e condizione richiesta, che esclude altre modalità, perchè non
necessarie (vedo opere)
- gli effetti di questo dinamismo che è all’opera, ovvero la giustizia di Dio in Cristo, sono ef-
fetti salvifici, in termini di vita e salvezza.
Detto questo la propositio lascia forse più interrogativi che chiarimenti. Perché Paolo inizia
dicendo che non si vergogna? Perché l’insistenza sul giudeo per primo? Non basta l’univer-
salità? C’è una priorità nell’annuncio del Vangelo ai giudei, e perché? L’espressione “di fede
in fede” (oppure “da fede in fede”) a cosa fa riferimento, a un processo di fede del credente,
oppure a due diversi fedi (giudaica e cristiana, di Cristo e del credente)? La citazione di
Abacuc cosa apporta e perché è importante? Evidentemente non si possono chiarire tutte
queste questioni se non leggendo attentamente la lettera. Ora sono così ellittiche e Paolo of-
fre ancora pochi elementi di riflessione per rispondervi, ma questo è il proprio di una
propositio.
Per alcuni autori i versetti in questione sarebbero non solo l’annuncio del tema, ma anche
della ripartizione dei vari argomenti della lettera. In pratica si ritiene che i due versetti in-
dichino in qualche modo le diverse parti della lettera, ciò che in termini tecnici si chiamere-
bbe una partitio. Ora, le soluzioni proposte sono talmente varie a riguardo e poco convin-
centi da far ritenere che non sia così. (es.)
Più giustamente, invece, alcuni ritengono che i due versetti in effetti siano una propositio con
la sua ratio, meccanismo retorico abbastanza classico ed efficace. Si tratta in effetti di pro-
porre il tema (propositio), ma anche come sarà svolto (ratio[3]). La ratio è il primo argomento
messo in campo che giustifica brevemente la propositio. Potremmo, per utilizzare l’immag-
ine iniziale che la ratio è come un sottotitolo di un libro che lascia intendere come sarà svolto
il tema.
La giustizia di Dio si rivela in esso (nel Vangelo) di fede in fede, come è scritto:il giusto per
la fede vivrà.
Possiamo notare alcune cose:
■ Alcuni concetti sono comuni al v.16: Vangelo e la fede. L’essenziale della fede è
accogliere la potenza di Dio che si manifesta nel vangelo, cioè in Gesù morto e risorto.
■ Altri concetti espressi sono invece analoghi. Al posto della potenza di Dio si parla di

[3]
«Ratio est quae causam demonstrat, verum esse id, quod intendimus, brevi subiectione»: [Cicerone] Rhet.
Her., II, 28.

3
giustizia di Dio, e al posto della salvezza, attraverso le Scritture, Paolo parla di vita
(vivrà).
Ci sono invece due new entries se si vuole:
Il verbo rivelare
La figura del giusto
Questi due elementi sono il «come» Paolo svolge la sua riflessione sulla giustizia di Dio. E
in effetti se si legge subito come Paolo svolge il suo discorso al v. 18 ritroviamo esattamente
lo stesso verbo e nella stessa forma: si rivela, solo che il soggetto non è più la giustizia di
Dio, ma la sua collera, e al posto del giusto (uomo) si parla di empietà ed ingiustizia degli
uomini. Nonostante queste differenze, è chiaro che Paolo intende parlare di come si rivela la
giustizia di Dio e che questo riguarda la giustizia e/o l’ingiustizia degli uomini.

4
Introduzione a 1,18–3,20
Cominciamo le nostre letture con un testo poco conosciuto e anche poco compreso delle let-
tere paoline: Rm 1,18-3,20. Esso pone alcuni problemi di interpretazione che cercheremo di
risolvere.
La conclusione di questo brano è alquanto disastrosa per ciò che riguarda il nostro tema:
«tutti sono sotto il dominio del peccato» (Rm 3,9), o come sintetizzerà appena dopo «tutti
hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,23). Quando Paolo dice «tutti», signi-
fica davvero tutti gli uomini, senza eccezione di status, in particolare di status religioso etni-
co (giudei e greci).
Questo trascina con sè tante questioni di vario ordine, ma noi dobbiamo domandarci due
cose almeno:
■ perché Paolo inizia in questo modo la sua lettera? Non aveva annunciato che avrebbe
parlato del «Vangelo», diremmo, in modo «positivo»? (cf. l'annuncio del tema della let-
tera in Rm 1,16-17: Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per
la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. E' in esso che si rivela
la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede). In-
vece si mette a parlare di «ira», di «giudizio», di «ingiustizia», di «peccato», ecc.
■ La conclusione a cui giunge riguardo la situazione dell'uomo, di ogni uomo indistinta-
mente, quale scopo ha?
Rispondendo a queste domande dovremmo essere in grado di comprendere qualcosa del pen-
siero di Paolo sull'uomo, e di come imposti la sua riflessione, e perché.

Alcune annotazioni al testo di Rm 1,18-3,20


Segnaliamo innanzitutto alcune caratteristiche di questo lungo testo:
■ La prima affermazione del versetto 18: In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro
ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia (1,18) è
determinante e decisiva.
• Essa, come abbiamo accennato, è in chiaro collegamento sintattico (γάρ) con ciò che
la precede. Ora i vv. 16-17 sono la grande tesi della lettera ai Romani, come tutti gli
autori riconoscono[4]. Quindi il v. 18 inizia a «provare» la tesi di Romani, ma appa-
rentemente parlando d'altro. Penna parla di uno «straniamento»[5]. Il collegamento è
tanto più sorprendente e evidente, dato che Paolo utilizza lo stesso verbo nei due ver-
setti 17 e 18 per costruire la frase principale: Ἀποκαλύπτεται. Quindi sembra dire che
la giustizia di Dio si rivela (v. 17), rivelandosi innanzitutto come «collera», ira (v.
18).
• Il vocabolario della frase (rivelare, dal cielo, collera) è chiaramente «escatologico», e
questo è il punto di vista che sceglie Paolo per affrontare il tema della giustizia, mo-
strandone l'esito finale, come i tre capitoli comproveranno.
• Ad essere più precisi, il v. 18 è anch'esso un versetto programmatico, indica cioè lo
[4]
Senza dettagliare, basta aprire un qualsiasi commentario sulla lettera ai Romani per rinvenire facilmente
questo dato.
[5]
R. Penna, Lettera ai Romani. I. Rm 1-5 (Scritti delle origini cristiane 6; Bologna 2004), 163.

5
sviluppo di pensiero che Paolo svolgerà. In termini tecnici, retorici, si tratta della
propositio della sezione di 1,18-3,20. Una buona propositio, è la tesi proposta da di-
mostrare, e si riconosce dal fatto che contiene in nuce tutta l'argomentazione che
segue. Questo si può dire del v. 18 visto che fino al v. 20 del capitolo 3 Paolo parlerà
di come il giudizio di Dio si attua attraverso innanzitutto la collera divina e anche
perché, e verso chi. Le questioni quindi che il versetto mette in moto sono: la collera
di Dio, che è un aspetto particolare del giudizio divino, le modalità della sua manife-
stazione, e chi ne sono i destinatari.
• Notiamo subito che per quello che riguarda i destinatari della collera, Paolo per ora
rimane molto sulle generali, non parla di uomini, ma di «ogni empietà e ogni ingiu-
stizia di uomini», quindi delle loro azioni, e non delle persone per ora. Ma andrà pian
piano precisando. Se nella propositio non si sbilancia è giustamente perché è la que-
stione che deve precisare: su chi si riversa il giudizio di Dio tramite la sua collera?
Ma vedremo anche che la collera divina, è funzionale ad altro, ed è la cosa interes-
sante di questo passaggio.
• Altro elemento interessante, e che illumina tutta l'argomentazione è che ciò che viene
stigmatizzato è innanzitutto l'empietà (ἀσέβεια). L'empietà, tra tutte le ingiustizie de-
gli uomini è quella che riguarda l'aspetto religioso, il rapporto con Dio, in questo
caso stravolto[6]. I vv. 19-32 seguenti sono chiarissimi a riguardo (cf. v. 25:
ἐσεβάσθησαν καὶ ἐλάτρευσαν τῇ κτίσει παρὰ τὸν κτίσαντα, venerano e adorano la
creatura al posto del creatore). È la grande ingiustizia, da cui discendono tutte le in-
giustizie, sembra dire Paolo[7].
■ La composizione della sezione. Essa segue uno schema argomentativo abbastanza
preciso:
1,18 propositio È il tema che Paolo intende svolgere, e ne offre sinteticamente gli
elementi essenziali.
1,19-32 narratio Paolo inizia a constatare dei fatti che sono evidenti per tutti e su cui
tutti possono essere d'accordo: l'idolatria ha le sue conseguenze nefa-
ste. Questo è svolto in tre momenti che seguono un medesimo processo:
- azione umana: conosciuto Dio non glorificano (19-23)
- reazione divina: διὸ παρέδωκεν αὐτοὺς ὁ θεός (24)
- azione umana: scambiano verità di Dio con menzogna (25)
- reazione divina: διὰ τοῦτο παρέδωκεν αὐτοὺς ὁ θεός (26-27)
- azione umana: non stimano saggio conoscere Dio (28a)
- reazione divina: παρέδωκεν αὐτοὺς ὁ θεός (28b-31)
2,1-3,18 probatio Paolo inizia la vera argomentazione, con una discussione serrata con i
vari interlocutori fittizi che gli permettono di avanzare nel discorso.
Essa si svolge in diverse tappe, o prove. Il capitolo 2 innanzitutto è
composto di 4 prove in parallelo:

[6]
Molto significativamente il termine άσέβεια compare nella lettera ai Romani qui al v. 18 del primo
capitolo e in 11,26, in una sorta di inclusione di tutta la parte dottrinale della lettera. In Rm 1,18 Dio
rivela la sua collera contro ogni empietà (anche dei Giudei), in Rm 11,26 invece, a mezzo delle
Scritture, Paolo rivela che Dio si incarica di togliere «le empietà da Giacobbe».
[7]
Questo, come vedremo, è confermato dalla parte finale della sezione, in Rm 3,10-18 che è la prova
scritturistica che termina appunto con «Non c'è timore di Dio davanti ai loro occhi».

6
A 2,1-8: giudizio su coloro che giudicano e fanno lo stesso
B 2,9-16: giudei e greci sullo stesso piano retribuiti secondo le opere
A' 2,17-24: giudizio su giudei che predicano e fanno il contrario
B' 2,25-29: la circoncisione del cuore come criterio del vero giudeo
Il capitolo 3 è l'affondo finale, con la prova scritturistica:
3,1-8 risposta ad alcune obiezioni che preparano il terreno
3,9 sintesi delle prove precedenti
3,10-18 la conferma autorevole delle Scritture:
10-12 tutti indistintamente
13-17 dalla testa ai piedi, in parole (13-14) e azioni (15-17)
18 sintesi
3,19-20 peroratioÈ la conseguenza a cui Paolo voleva arrivare: anche i giudei sono «sotto
il peccato», non sono giusti davanti a Dio, quindi si può affermare che
«tutti» sono sotto il peccato.
■ Lo svolgimento della riflessione è in crescendo. Diversi indizi lo confermano, c'è una
reale progressione. Questo significa che le singole affermazioni che ritroviamo in questi
capitoli, sono da comprendere nella loro funzione in base allo svolgimento[8].
◆ Il ricorso alle Scritture. Lungo tutta l'argomentazione c'è una significativa progres-
sione dell'uso delle Scritture, fino ad arrivare alla imponente citazione concatenata di
3,10-18.
• Rm 1,18-32 è intessuto di vocabolario e immaginario biblico.
• Rm 2, se si può, è ancor più debitore di tutta la tradizione biblica, i principi se-
condo i quali Dio giudica sono quelli che si possono facilmente ricavare da nu-
merosi testi biblici, in particolare profetici[9]. Al v. 24 iniziamo a vedere una pri-
ma citazione.
• Rm 3,1-20 è tutto svolto attraverso le scritture. Dopo alcune versetti di prepara-
zione, abbiamo la citazione di 3,4 , e poi, ben preparata anch'essa, la lunga cita-
zione di 3,10-18 tratta da diversi passi delle Scritture in particolare dai Salmi.
La riflessione si svolge quindi per tappe, dove il punto di arrivo è la parola autore-
vole delle Scritture. Paolo innanzitutto prepara il terreno mettendosi nella linea della
tradizione biblica, per poi utilizzarla «pesantemente» a suo favore. Con i riferimenti
concettuali tratti dalle Scritture si guadagna la fiducia e l'accordo dei destinatari e de-
gli interlocutori fittizi, per poi vincerli sullo stesso loro terreno, quello delle
Scritture.

[8]
Un esempio fra tutti. Se compariamo Rm 2,13 che afferma: «Perché non coloro che ascoltano la legge
sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati» con
l'affermazione finale di Rm 3,20: «Infatti in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato
davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato» siamo in presenza di
una evidente contraddizione. Paolo non è coerente (consistent!) come affermano alcuni? È il caso ad
esempio di E.P. Sanders, Paul, the Law, and the Jewish People (Philadelphia 1983), 123-135; H.
Räisänen, Paul and the Law (Göttingen 1983) 97-109; e F. RᴇFᴏᴜᴌÉ, «L'unité de l'épître aux Romains et
l'histoire du salut» RSPT 71 (1987) 219-242. Se invece si leggono le varie affermazioni nella linea della
progressione che Paolo impone, la contraddizione non ha luogo. In Rm 2,13 Paolo riprende uno dei
sacrosanti principi della retribuzione secondo il giudaismo, per farlo valere fino in fondo e mostrarne la
parzialità in quella enunciazione.
[9]
Cf. a proposito J.-N. Aletti, «Romans» The International Bible Commentary. A Catholic and Ecumenical
Commentary for the Twenty-First Century (W.R. Farmer ed.) (Collegeville 1998) 1553-1600, 1562-1563.

7
◆ L'uso dell'aggettivo πᾶς tutti, ognuno[10]. È interessante notare la progressione.
• In Rm 1,18-32 Paolo ha di mira «ogni empietà e ingiustizia di uomini» (1,18.29).
Per il momento l'aggettivo è applicato alle azioni e non ai loro «attori». Questo
criterio si può applicare, secondo le opere, ad ognuno. I pagani sembrano (dalla
lista dei vizi conseguenza dell'empietà) quelli presi di mira, ma è da notare per
esempio la lieve allusione all'idolatria di Israele nel deserto al v. 23[11], o almeno
si può applicare al quel caso. Alla fine del capitolo 1 sappiamo che la collera di-
vina si riversa su «coloro che...» fanno il male e lo approvano.
• In Rm 2 Paolo inizia subito con un «chiunque tu sia» (2,1) e il seguito conferma
che questo «chiunque» può essere giudeo o greco (il giudeo prima e il greco poi,
anzi). Tutto il capitolo prosegue sul registro di «chiunque», «coloro che», stabi-
lendo una sorta di casistica nella quale diversi soggetti possono entrare, ma so-
prattutto che mira a far saltare le categorie etniche. Ma l'aggettivo «tutti» non è
attribuito indistintamente a tutti gli uomini. Addirittura nella sezione di 2,17-29
che riguarda più propriamente i giudei, l'aggettivo scompare. Vedremo più avanti
perché.
• In Rm 3 il discorso cambia radicalmente e raggiunge il suo culmine. Ora si tratta
di tutti, indistintamente, giudei o greci che siano. Le affermazioni sono chiare:
«ogni uomo è mentitore» (3,4); «giudei o greci, tutti». La citazione di 3,10-18 ne
è la conferma autorevole: «nessuno (=tutti)» (3,10) «non c'è alcuno (=tutti)» «tut-
ti» (3,12), per concludere alla fine come commento alla citazione: «ogni bocca»
(3,19) «tutto il mondo» (3,19) «ogni carne» (3,20). La progressione non poteva
essere più incisiva.
◆ La questione dei destinatari dell'ira divina. Già il punto precedente ci ha fornito degli
elementi: Paolo inizia dalle «azioni empie degli uomini» per arrivare «tutti gli uomi-
ni». Nel mezzo troviamo tante categorie di persone: coloro che compiono il male sa-
pendo che è male; coloro che giudicano i malvagi ma fanno lo stesso; coloro che pre-
dicano il bene, ma fanno il male; coloro che sono sotto la Legge e coloro che non lo
sono; i circoncisi o no nella carne; i circoncisi nel cuore; giudei e greci distinti e assi-
milati per arrivare ad «ogni carne». Vedremo più in dettaglio il valore di questa pro-
gressione nel specificare, ma già ora occorre dire che essa è funzionale a stabilire un
punto di arrivo, quello cioè della universale e indistinta situazione umana quanto al
peccato, che è ciò che occorre a Paolo. Tuttavia questa affermazione di universalità è
anch'essa funzionale ad altro, a stabilire come Dio giudica (Rm 1,18-3,20) e giustifi-
ca (Rm 3,21-4,25); a mostrare, quindi, come si manifesta la sua giustizia, il suo van-
gelo (cf. Rm 1,16-17).

Lettura
Proviamo quindi, avendo presente queste annotazioni, a seguire il pensiero di Paolo, così
come si svolge.

[10]
Cf. J.-N. Aletti, Comment Dieu est-il juste? Clefs pour interpréter l'épître aux Romains (Paris 1991), 59-63.
[11]
Una formulazione simile la ritroviamo infatti in Sal 106,20: «scambiarono la loro gloria con la figura di
un toro che mangia fieno».

8
Rm 1,19-32
19
poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro mani-
festato. 20Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono
essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna
potenza e divinità; 21essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio,
non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato
nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 22Mentre si dichiarava-
no sapienti, sono diventati stolti 23e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio
con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di
rettili.
24
Perciò Dio li ha consegnati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da di-
sonorare fra di loro i propri corpi,
25
poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e
adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
26
Per questo Dio li ha consegnati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i
rapporti naturali in rapporti contro natura. 27Egualmente anche gli uomini, lascian-
do il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri,
commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la puni-
zione che s'addiceva al loro traviamento.
28
E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio,
Dio li ha consegnati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò
che è indegno, 29colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidi-
gia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffa-
matori, 30maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel
male, ribelli ai genitori, 31insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia.
32
E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la
morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.

Paolo, avendo annunciato la rivelazione della collera di Dio, per prima cosa mostra che essa
è già in azione nel presente[12] a causa dell'empietà di uomini. A dire il vero non parla ancora
del giudizio di Dio in termini escatologici, ma delle disastrose conseguenze cui porta l'em-
pietà umana, segno questo che Dio punisce tale empietà. Non a caso Paolo ci tiene a mettere
come soggetto Dio che «consegna» alla perversità coloro che compiono le empietà
(παρέδωκεν αὐτοὺς ὁ θεός). Per tre volte, secondo uno schema analogo, viene presentata la
dinamica in corso:
- presentazione dell'empietà (vv. 19-23 / 25 / 28a)
- Dio che consegna loro alla perversità (v. 24a / 26a / 28b)
- descrizione di tale perversità (24b / 26b-27 / 28c-31)
L'effetto che Paolo impone è di progressione attraverso l'abbinamento di crescendo e decre-
scendo: l'empietà, che è fondamentalmente intesa da Paolo come una perversione nella cono-
scenza di Dio[13] è presentata prima in modo esteso e poi sempre più succintamente, mentre il
risultato di perversità cresce in dettaglio man mano che si procede fino a raggiungere la lun-

[12]
Notare che i verbi di questo passaggio sono al passato (aoristo) o al presente, salvo rare eccezioni.
[13]
Le tre scansioni lo rilevano bene: vv. 19-23 sono inescusabili, perché pur conoscendo Dio non l'hanno
glorificato.... si dichiarano sapienti, ma sono stolti...; v. 25 hanno cambiato la verità di Dio con la
menzogna...; v. 28a hanno disprezzato la conoscenza di Dio....

9
ga lista di vizi degli ultimi versetti.
Ma in effetti Paolo non dice nulla di nuovo, non fa che riprendere noti temi della letteratura
sapienziale e profetica biblica e non. Presenta quindi dei fatti così come tutti i pii giudei li
presenterebbero pensando soprattutto ai pagani. In questo modo si guadagna l'accordo della
tradizione giudaica.
Se Paolo non è originale, nondimeno stabilisce alcuni punti fermi che gli saranno utili in
seguito:
■ la base di ogni ingiustizia è nell'empietà, nel rifiuto di riconoscere e venerare Dio come
tale; la conseguenza, in qualche modo «automatica», è la perversione morale, che è il
giusto castigo di Dio per questo. Ma questo avviene senza giudizio vero e proprio.
■ non si tratta di qualche categoria particolare, ma di chiunque compia tali cose,
■ in base a questi dati dell'esperienza ci si può attendere, in senso analogo, il giusto giudi-
zio di Dio nell'eschαton.
Non solo, ma in questi versetti Paolo fornisce alcune interessanti indicazioni:
■ la perversità umana, ogni vizio, ogni ingiustizia ha come radice un problema che riguar-
da la conoscenza di Dio.
■ il problema della verità[14] e della menzogna[15]. La menzogna è un travisamento, uno
«scambiare»[16], far passar quindi per vero quello che vero non è.
■ la responsabilità umana in tutto questo è chiarissima per Paolo: essi sono inescusabili
(v. 20)[17].

Rm 2,1-8
1
Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli
altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose. 2Eppure noi sappia-
mo che il giudizio di Dio è secondo verità contro quelli che commettono tali cose. 3Pensi
forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di
sfuggire al giudizio di Dio? 4O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tol-
leranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla
conversione?
5
Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il gior-
no dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, 6il quale RENDERÀ A CIASCU-
NO SECONDO LE SUE OPERE:
7
la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e
incorruttibilità;
8
sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono
all'ingiustizia.

In Rm 2 Paolo inizia a mettere in conto il giudizio di Dio. Il vocabolario è chiaro: giudizio di


Dio (vv. 2 e 3); giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio (v. 5); vita eterna
(v. 7); sdegno e ira (v. 8). La prospettiva è proprio quella escatologica del giudizio di Dio e il
principio che la sorregge è quello classico: Dio darà a ciascuno secondo le sue opere (v. 6),

[14]
Cf. in tutta la sezione il tema ripreso più volte 1,18; 1,25; 2,2; 2,8; 2,25; 3,3; 3,7.
[15]
Cf. 1,25; 3,4; 3,7.
[16]
Cf. significativamente condensate in questa sezione le ricorrenze del verbo 1,23; 1,25; 1,26; 1,27.
[17]
Il capitolo 2 inizia proprio con tale enunciazione: sei inescusabile o uomo, chiunque tu sia, che
giudichi...

10
ripreso dalle Scritture[18]. Questa focalizzazione sul giudizio di Dio permette a Paolo di evi-
denziare i criteri, i principi con cui avviene questo giudizio. Paolo per far questo prende di-
versi «casi» che mostrano come si stabilisce la giustizia.
Il primo è colui che giudica quelli che fanno il male ma fa le stesse cose. E di mira non è un
particolare gruppo etnico (giudei per esempio) ma «chiunque tu sia o uomo» (v. 1). Questo
permette a Paolo di enunciare il primo principio del giudizio di Dio, il quale giudica non se-
condo ciò che è detto, ma secondo ciò che è fatto, secondo le opere. E ricompensa sia il bene
compiuto che il male fatto.
Corollario: in questo l'uomo è inescusabile, chiunque fa il male è inescusabile, è oggettivo,
tanto più che se giudica vuol dire che sa quale è il bene. Non solo, ma se si può presumere da
parte di Dio la pazienza e la bontà, queste non fanno sfuggire all'ira alla prova dei fatti, esse
sono in ordine alla conversione.

Rm 2,9-16
9
Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male,
per il Giudeo prima e poi per il Greco;
10
gloria invece, onore e pace per chi opera il bene,
per il Giudeo prima e poi per il Greco,
11
perché PRESSO DIO NON C'È PARZIALITÀ.
12
Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge;
quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge.
13
Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che
mettono in pratica la legge saranno giustificati.
14
Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la
legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi; 15essi dimostrano che
quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza
della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li
difendono.
16
Così avverrà nel giorno in cui Dio GIUDICHERÀ I SEGRETI DEGLI UOMI-
NI per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo.

Se il primo principio vale per ciascuno, e il v. 9 ribadisce questo (per ogni uomo che...), esso
si applica allora per il Giudeo prima e per il greco poi (due volte ripetuto ai vv. 9-10). Perché
questa sottolineatura? Da una parte essa serve a stabilire che il principio è universale, ma
dall'altra che questo si applica in modi diversi.
E qui Paolo introduce il secondo principio, quello dell'imparzialità da parte di Dio. Cosa si-
gnifica? Le esemplificazioni sono chiare. Significa che per il Giudeo il giudizio sulle opere è
in base alla Legge, al fatto che ha ricevuto una Legge che orienta la vita e che il greco sarà
giudicato, certo in base alle sue opere secondo però anche il fatto che non ha avuto una
legge. Dio non fa parzialità, rispettando certamente i diversi status, quello giudaico e quello
«pagano», ma applicando il primo principio in modo imparziale, non guardando quindi
all'etichetta etnica, ma alle opere di ciascuno. Non per il fatto che uno è Giudeo, sfugge allo-
ra all'ira di Dio se fa il male che non deve fare. Infatti, se il pagano fa il bene, seguendo la

[18]
Il principio è espresso in modi differenziati, ma è chiaro nella tradizione biblica. Cf. Sal 61[62],13[12];
Pr 24,12; Ger 17,9-10; Gb 34,11; Sir 16,14.

11
sua coscienza è ricompensato di questo, così come il giudeo che non fa il bene non rispettan-
do la Legge sarà punito.
Più schematicamente presentato, si notano in questi versetti 4 categorie di persone[19]:
v. 12a quelli che peccano senza Legge → retribuzione negativa senza Legge
v. 12b quelli che peccano sotto la Legge → retribuzione negativa secondo la Legge
v. 13 quelli che hanno la Legge → condizione per retribuzione positiva:
praticare la Legge
v. 14-15 quelli che non hanno la Legge → condizione per retribuzione positiva:
agire secondo la Legge scritta nei cuori
Così Paolo ha già introdotto il terzo e decisivo principio secondo il quale Dio giudica, quello
delle intenzioni dei cuori. Infatti solo Dio può vedere cosa c'è nei cuori e giudicare le azioni,
ma secondo la loro intenzione. Così Dio è davvero imparziale. Questo principio è decisivo
per il seguito della argomentazione.
A questo punto i principi sono chiari: Dio giudica e retribuisce secondo le opere, senza par-
zialità e guardando le intenzioni dei cuori. Solo tenendo conto dei tre aspetti si può intendere
il giusto giudizio divino.

Rm 2,17-24
17
Ora, se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro sulla legge, e ti
glori di Dio, 18del quale conosci la volontà e, istruito come sei dalla legge, sai di-
scernere ciò che è meglio, 19e sei convinto di esser guida dei ciechi, luce di coloro
che sono nelle tenebre, 20educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché pos-
siedi nella legge l'espressione della sapienza e della verità... 21ebbene, come mai tu,
che insegni agli altri, non insegni a te stesso?
Tu che predichi di non rubare, rubi?
22
Tu che proibisci l'adulterio, sei adultero?
Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi?
23
Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge?
24
Infatti il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani, come sta scritto.

Fino a questo momento Paolo, riprendendo a piene mani dalla dottrina biblica, ha lasciato in-
variato il panorama quanto alla identificazione dei gruppi. Ma ora inizia, per così dire, a me-
scolare le carte. Questo gli è permesso dall'enunciazione dei principii secondo i quali Dio
giudica rettamente: Dio giudica secondo le opere, in modo imparziale, cioè guardando i cuo-
ri, o meglio il rapporto tra le intenzioni presenti nel cuore e le azioni buone o cattive.
Così in questa sezione, parallela alla prima (1-8) prende il caso del giudeo che onora e predi-
ca il bene (in base alla Legge) ma fa le stesse cose malvagie che stigmatizza, rivelando una
ulteriore contraddizione, se si vuole più grave della prima evidenziata (giudicare il male e
fare lo stesso). La sottolineatura di questa contraddizione è notevole, fatta con la retorica
dell'insistenza, la ripetizione e la progressione. Evidentemente Paolo non si permette di dire
che «tutti» i giudei sono in questa situazione di contraddizione, ma che se ce n'è almeno al-
cuni, questo significa che l'identità ebraica è per così dire annullata in tale situazione e che la
retribuzione divina agirà di conseguenza, senza parzialità. Se si vuole, Paolo in questi verset-
ti applica a un caso particolare, ma reale, i primi due principi, quello che Dio giudica secon-

[19]
Cf. J.-N. Aletti, Israël et la Loi dans la lettre aux Romains (LD 173; Paris 1998), 55-56.

12
do le opere, e non secondo le apparenza (di discorsi) e senza parzialità, il Giudeo, non perché
ha una Legge si sottrae all'ira, ma perché l'osserva, se invece la trasgredisce è soggetto anche
lui all'ira. Notare che il caso preso non è semplicemente di chi trasgredisce i comandi della
Legge, perché in effetti essa prevede anche delle forme di pentimento e di remissione della
colpa. Il caso addotto è di colui che è in contraddizione con se stesso rispetto alla Legge, non
compiendola, il che significa che i mezzi di purificazione non sono efficaci a questo effetto,
cioè a togliere l'intima malizia che genera una tale contraddizione. Così l'identità giudaica
non sottrae al giudizio ed è quindi ridimensionata nel suo valore.

Rm 2,25-29
25
La circoncisione è utile, sì, se osservi la legge;
ma se trasgredisci la legge, con la tua circoncisione sei come uno non circonciso.
26
Se dunque chi non è circonciso osserva le prescrizioni della legge, la sua non cir-
concisione non gli verrà forse contata come circoncisione?
27
E così, chi non è circonciso fisicamente, ma osserva la legge, giudicherà te che,
nonostante la lettera della legge e la circoncisione, sei un trasgressore della legge.
28
Infatti, Giudeo non è chi appare tale all'esterno, e la circoncisione non è quella vi-
sibile nella carne;
29
ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la CIRCONCISIONE È QUELLA
DEL CUORE, nello spirito e non nella lettera; la sua gloria non viene dagli uomini
ma da Dio.
A questo punto le frontiere tra giudeo e greco sono praticamente rotte. Paolo prende espres-
samente a tema la circoncisione, che per lui diventa tratto distintivo dell'identità giudaica.
Anche qui non fa che riprendere e portare a fondo uno degli assunti profetici, e cioè che la
vera circoncisione è quella del cuore[20].
Inizia allora a mostrare la fluidità e intercambiabilità delle identità rispetto alla circoncisione
e alla non circoncisione. Così il giudeo può diventare di fatto un incirconciso (v. 25) e il gre-
co un circonciso (v. 26). Paolo in questo modo arriva la paradosso che il non circonciso giu-
dica il circonciso, il pagano cioè giudica il giudeo (v. 27). In un contesto in cui parla del giu-
dizio di Dio l'affermazione è forte!
I criteri per questa riconfigurazione sono quelli della superiorità dell'interiore sull'esteriore,
dello spirito sulla carne e sulla lettera (vv. 28-29). Perché, e questo è la conclusione dell'ar-
gomento, la vera circoncisione è quella del cuore. Così il vanto e la gloria del giudeo non
viene dagli uomini, ma da Dio, perché Dio giudica secondo questo eminente criterio.

Alla fine del capitolo 2 Paolo ha stabilito quindi quali sono i principi del giudizio divino, ma
questo è in funzione di un ripensamento delle categorie etnico-religiose. Infatti, è possibile,
alla fine, che un greco sia di fatto giudeo, e soprattutto viceversa. Il giudeo sembra non avere
nessun vantaggio, salvo il fatto che ha una Legge, ma questo gli può ritorcersi contro.
Notiamo anche che in nessun punto della argomentazione Paolo ha affermato che tutti gli uo-

[20]
Il tema ha una storia lunga. La prima attestazione è rinvenibile in Dt 10,16 e sviluppata in Dt 30,6.
Similmente altri testi profetici come Ger 4,4. In negativo (cuore incirconciso) in Lv 26,41; Ger 9,24-25;
ez 44,7-9. Cf. Penna, Romani 1-5, 263-264. Cf. anche l'interessante R. le Déaut, «Le thème de la
circoncision du coeur (Dt. XXX 6; Jér IV 4) dans les versions anciennes (LXX et Targum) et à Qumran»
VTSuppl 32 (1981) 178-205.

13
mini sono peccatori, se ne guarda bene, egli non può dirlo sotto pena di «giudicare» impro-
priamente e subire così il giudizio di Dio. Nemmeno ha detto che tutti i pagani lo sono e la
retribuzione positiva più volte espressa serve a questo. Ma neppure che tutti giudei sono in
contraddizione e quindi peccatori. Ha solo stabilito, a mezzo di casi particolari le modalità
del giusto giudizio di Dio, evidenziandone i principi basilari che sono riassunti nella «circon-
cisione del cuore». Al contempo però questo gli ha permesso di rompere i confini stabiliti
dalla Legge tra i giudei e i greci, essi non sono così impermeabili come può apparire a prima
vista.

Rm 3,1-8
1
Qual è dunque la superiorità del Giudeo? O quale l'utilità della circoncisione?
2
Grande, sotto ogni aspetto. Anzitutto perché a loro sono state affidate le rivelazioni
di Dio. 3Che [dire] dunque, se alcuni non hanno creduto? La loro incredulità può
forse annullare la fiducia di Dio? 4Impossibile!
Resti invece fermo che Dio è verace e ogni uomo mentitore, come sta scritto: Per-
ché Tu sia riconosciuto giusto nelle tue parole e vincerai quando giudichi.
5
Se però la nostra ingiustizia mette in risalto la giustizia di Dio, che diremo? Forse
è ingiusto Dio quando riversa su di noi la sua ira? Parlo alla maniera umana. 6Im-
possibile! Altrimenti, come potrà Dio giudicare il mondo? 7Ma se per la mia menzo-
gna la verità di Dio risplende per sua gloria, perché dunque sono ancora giudicato
come peccatore? 8Perché non dovremmo fare il male affinchè venga il bene, come
alcuni - la cui condanna è ben giusta - ci calunniano, dicendo che noi lo
affermiamo?

Innanzitutto alcune note di traduzione di questo passaggio piuttosto difficile:


■ la punteggiatura del v. 3. Ci sono due soluzioni possibili: «Che [dire] dunque? Se alcuni
non hanno creduto, la loro incredulità può forse annullare la fiducia di Dio?», oppure:
«Che [dire] dunque, se alcuni non hanno creduto? La loro incredulità può forse annul-
lare la fiducia di Dio?». Il significato non cambia molto, ma sottolinea maggiormente il
punto in questione.
■ Sempre al v. 3 l'espressione τὴν πίστιν τοῦ θεοῦ è meglio tradurla con «fiducia di Dio»,
piuttosto che con «fedeltà di Dio». Questo è raccomandato dal parallelo attorno alla ra-
dice πιστ- stabilito da Paolo con il v. 2: (a) affidate (b) non hanno creduto (b') incredulità
(a') fiducia.
■ La citazione di Sal 50/51,6 al v. 4 pone due problemi di traduzione:
• il verbo vincere, trionfare deve essere messo al futuro (vincerai, trionferai) perché è
la lectio difficilior. Questo permette di percepire meglio la portata escatologica della
affermazione.
• il verbo che conclude la frase deve essere inteso in senso attivo «nel tuo giudicare» e
non passivo «nel tuo essere giudicato» come è nel senso originale del Salmo. È vero
che la forma greca del verbo potrebbe essere sia passiva che media. Ma il passivo nel
contesto non avrebbe senso, anzi è fuorviante. Del resto la forma media con signifi-
cato attivo di «chiamare in giudizio, attentare un procedimento giudiziario» è attesta-

14
ta nel NT stesso in Mt 5,40 e 1Cor 6,6[21].
Questi versetti hanno tre caratteristiche importanti. La prima è che sono quasi interamente
formulati da domande (e domande retoriche) alle quali Paolo risponde puntualmente. Questo
è l'indicazione che Paolo deve sgombrare il campo da alcune perplessità e fraintendimenti o
obiezioni alla sua argomentazione[22]. Il secondo elemento è quello scritturistico, che è deter-
minante. In effetti Paolo sta preparando la prova finale dei vv. 9-18 che sono interamente af-
fidati alle Scritture. La terza caratteristica è l'uso dell'aggettivo πᾶς in senso universale per
tutti gli uomini.
Ci sono due fondamentali obiezioni che possono risultare da quanto Paolo ha esposto nei pri-
mi due capitoli e che egli anticipa e cerca di risolvere. Rispondendo a queste obiezioni Pao-
lo, al contempo, porta avanti la sua riflessione con una affermazione decisiva
[1] Il livellamento che Paolo ha operato alla fine del capitolo 2, significa un annullamento
del valore delle prerogative di Israele? Paolo risponde di no. Il fatto che si trovino alcuni
giudei che eventualmente sono in contraddizione (espresso con l'incredulità) non annulla
la fiducia che Dio ha riposto nel suo popolo di elezione. Questo è un modo per dire che
il problema è un altro. Non è che la Legge, la circoncisione, siano inutili o annullati, al-
trimenti Dio non li avrebbe predisposti. Il problema è che sono funzionali, ma non salva-
no l'uomo (cf. v. 20).
Infatti Paolo, se si vuole, acuisce il problema, affermando al v. 4 che Dio rimane veritiero
(altrimenti non sarebbe giusto, e quindi deve punire) e che invece «ogni uomo è mentitore»,
qui sta il problema! Se il criterio ultimo di giudizio da parte di Dio sono le intenzioni dei
cuori, l'universale menzogna implica che tutti sono soggetti all'ira di Dio. Per questo Paolo
ricorre alla citazione del Sal 50/51, per comprovare questo fatto, che Dio nel rivelare la sua
ira è giusto, non può fare altrimenti, in questo è sommamente giusto.
[2] La seconda obiezione è più sottile e anticipa anche alcuni temi che la lettera sviluppe-
ra[23]. Ma essa sorge dalle riflessioni appena fatte: se la giustizia di Dio si rivela innanzi-
tutto come ira sull'ingiustizia umana, e anzi, su ogni uomo perché mentitore (quello che
ha mostrato fino ad ora), non ne consegue forse che Dio approfitta della ingiustizia uma-
na per far risplendere la sua gloria, la sua giustizia, e non sarebbe allora ingiusto? Tanto
vale fare il male allora! Tanto più che la Legge a disposizione, si può aggiungere per i
giudei, non risolve questo problema.
Questa seconda obiezione non tiene conto di un fatto che Paolo ha già evidenziato: che chi
compie il male è inescusabile (1,21 e 2,1), fatto che ora si accinge a provare per ogni uomo
con la citazione di 3,10-18. Se c'è una responsabilità nel peccato, Dio non può non punire,
sarebbe ingiusto, la sua giustizia verrebbe meno.

[21]
Cf. l'esposizione del problema in D.J. Moo, The Epistle to the Romans (NICNT; Grand Rapids 1996),
187-188.
[22]
Cf. le annotazioni a riguardo in Penna, Romani 1-5, 268-270.
[23]
Questo è uno dei motivi che fanno intravedere ad alcuni in questi versetti 3,1-8 un annuncio dei temi che
affronterà più tardi nella lettera (Rm 3,1-4 = Rm 9-11 e Rm 3,5-8 = Rm 6-8). Cf. R. Penna, «La funzione
strutturale di 3,1-8 nella lettera ai Romani» Bib 69 (1988) 507-542.

15
Rm 3,9-18
9
Che dunque? Dobbiamo noi ritenerci superiori? Niente affatto! Abbiamo infatti di-
mostrato precedentemente che Giudei e Greci, tutti, sono sotto il dominio del pecca-
to, 10come sta scritto:
Non c'è GIUSTO, nemmeno uno,
11
non c'è sapiente,
non c'è chi cerchi Dio!
12
Tutti hanno traviato e si son pervertiti;
non c'è chi compia il bene,
non ce n'è neppure uno.
13
La loro gola è un sepolcro spalancato,
tramano inganni con la loro lingua,
veleno di serpenti è sotto le loro labbra,
14
la loro bocca è piena di maledizione e diamarezza.
15
I loro piedi corrono a versare il sangue;
16
strage e rovina è sul loro cammino
17
e la via della pace non conoscono.
18
Non c'è TIMORE DI DIO davanti ai loro occhi.

Il v. 9 è la preparazione immediata della prova scritturistica. La domanda retorica «siamo in


vantaggio?»[24] e la sua risposta «non del tutto» o «niente affatto» è intesa a proporre l'affer-
mazione chiave di tutta la sezione: προῃτιασάµεθα γὰρ Ἰουδαίους τε καὶ Ἕλληνας πάντας
ὑφ᾿ ἁµαρτίαν εἶναι Abbiamo infatti dimostrato precedentemente che Giudei e Greci, tutti,
sono sotto il dominio del peccato. Quando Paolo ha provato che tutti sono sotto il dominio
del peccato? Non nei capitoli 1-2, ma solo a partire da Rm 3,4 eventualmente con la prima
citazione. Ma era solo un accenno: «ogni uomo è mentitore», cioè vive una sorta di contrad-
dizione tra il cuore e le azioni (solo Dio è giusto!), è questo che deve essere supposto. Ma in
effetti la dimostrazione piena è nella citazione che segue e che è qui anticipata.
La citazione è una catena di centoni da testi diversi[25], soprattutto di Salmi, ma il suo signifi-
cato è chiarissimo: ogni uomo (si potrebbe aggiungere giudeo o greco che sia) è peccatore,
sia nell'aspetto religioso, come in quello morale, sia per le parole che per le azioni. Come
aveva all'inizio lasciato intendere (1,18) ogni ingiustizia umana ha la sua radice nella empie-
tà, cioè in una mancanza o perversione nella conoscenza di Dio, per questo la citazione la
mette in risalto all'inizio e alla fine.
Occorre sottolineare il carattere di questa «dimostrazione». In effetti fino alla fine del capito-
lo 2 Paolo aveva solo preso degli esempi tipici che mostravano che i confini etnici-religiosi
potevano non essere così impermeabili come a prima vista. Ma erano solo «possibilità». Pao-

[24]
La traduzione del verbo pone problema agli esegeti, così come anche l'individuazione del soggetto. Qui
abbiamo scelto il significato di «avere vantaggio» e il soggetto sarebbero Paolo + giudei. Avendo
sottolineato che i giudei mantengono i loro privilegi, questo diventa forse un vantaggio? Quanto al
peccato no, dice Paolo. Cf la discussione per la traduzione di questa espressione del v. 9 in Penna,
Romani 1-5, 286-289.
[25]
A commento di questa citazione, sulla sua origine, sulle particolarità testuali e il suo significato, cf. L.A.
Keck, «The Function of Rom 3:10-18» God's Christ and His People. Studies in Honor of Nils Alstrup Dahl
(J. Jervell - W.A. Meeks ed.) (Oslo – Bergen tromso 1977) 141-157 e S. Moyise, «The Catena of Romans
3:10-18» ExpT 106 (1995) 367-370.

16
lo, in quanto uomo, non poteva affermare che tutti sono peccatori. Cosa gli mancava per arri-
vare a questa ultima affermazione? Gli mancava di poter discernere le «intenzioni del
cuore», questa è una cosa che solo Dio può fare. Il giusto giudizio infatti si opera con tale
criterio, «Dio non guarda le apparenze, ma il cuore», in questo Dio è sommamente giusto.
Per questo Paolo si affida alle Scritture, come Parola rivelata. Esse, da parte di Dio, e solo
esse, possono affermare la universale ingiustizia di ogni uomo davanti a Dio, che ogni uomo
è mentitore, che tutti sono sotto il dominio del peccato, che non c'è un giusto, nemmeno uno.
Nello stesso tempo Paolo non poteva arrivare a questa citazione senza prima aver preparato
il terreno, rilevando i principi giusti con i quali Dio giudica e mostrando che essi valgono in-
distintamente per giudei e greci, che cioè a questo livello, del giudizio ultimo, i giudei sono
sullo stesso piano dei gentili. Se hanno dei privilegi come la Legge e la circoncisione, questi
però non hanno valore quanto al principio ultimo della «giustizia del cuore». Su questo piano
l'umanità si trova tutta nella medesima situazione.

Rm 3,19-20
19
Ora, noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per quelli che sono sotto
la legge, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di
fronte a Dio. 20Infatti in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà giustificato
davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza del peccato.

A questo punto Paolo può tirare le conclusioni, sottolineando due cose:


[1] Che la Parola della Scrittura vale in particolare per coloro che sono sottomessi alla
Legge ed è essa stessa che «accusa» ogni uomo.
[2] Che la osservanza della Legge non garantisce affatto quella giustizia che occorre al giu-
dizio finale (il verbo al futuro è importante in questo senso). In queste «opere della
Legge» sono compresi anche tutti i mezzi ordinari di espiazione e di perdono previsti[26].
Essi, di per sè, non garantiscono la salvezza finale, perché non necessariamente purifica-
no il cuore.

Conclusione
Alcune osservazioni finali riguardo a questa sezione:
[1] Paolo procede con estrema genialità per arrivare al punto decisivo, che può essere affer-
mato solo da parte di Dio ed egli per questo usa le Scritture. La validità della prova è as-
sicurata da tale utilizzo. La domanda che ci si può porre e che il pio giudeo si pone è se
Paolo, nell'utilizzare le Scritture, ne rispetta il senso originale[27]. La questione è vasta e
non possiamo affrontarla in questa sede, ma questo è il punto argomentativo più delicato.
[2] Alla fine della sezione incombe necessariamente su ogni uomo (compreso ogni giudeo)
l'ira di Dio, è questa la naturale conseguenza di quanto detto. Il senso di queste pagine
paoline è proprio questo, che alla fine tutti attendono la drammatica condanna dell'ira di
[26]
Su questa famosa espressione «opere della Legge» la letteratura è vastissima, essendo un punto delicato
e decisivo della teologia paolina. Cf. per una sintesi e la relativa bibliografia, Penna, Romani 1-5,
398-305.
[27]
Questione amplissima e dibattuta. Cf. la raccolta di saggi il cui titolo evidenzia il problema: G.K. Beale
(ed.), The Right Doctrine from the Wrong Texts. Essays on the Use of the Old Testament in the New
(Grand Rapids 1994).

17
Dio, e in questo il livellamento operato da Paolo è perfetto. Nessuno può discuterlo (sia
chiusa ogni bocca).
[3] Ma è proprio in forza di questa incombente minaccia che risalta perfettamente e inaspet-
tatamente l'annuncio dei versetti 21-24 del capitolo 3:
21
Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di
Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; 22giustizia di Dio per mezzo della
fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. E non c'è distinzione: 23tutti
hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, 24ma sono giustificati gratui-
tamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo
Gesù.
Se non c'è distinzione alcuna quanto alla situazione di peccato e quindi di giusta condan-
na, è possibile affermare che da parte di Dio, invece di usare la sua collera, egli giustifica
per tutti allo stesso modo e indistintamente in Gesù Cristo. Così è annullato, quanto alla
giustificazione, il valore della Legge. Essa ha grande utilità, è santa, ma non in ordine
alla salvezza dell'uomo.

Implicazioni per la riflessione antropologica


[1] Il modo di procedere di Paolo è interessante. Per dire qualcosa sulla situazione
dell'uomo, qualcosa di «vero», di affidabile, occorre mettersi nella prospettiva di Dio. È
in tale prospettiva che si raggiunge una visione più appropriata. L'assunto che guida tale
modo di procedere è che «Io non guardo ciò che guarda l'uomo. L'uomo guarda l'appa-
renza, il Signore guarda il cuore» (1Sam 16,7). In tal modo è possibile dire qualcosa
sull'uomo, a partire da come Dio lo vede.
[2] Non solo, ma Paolo ponendosi chiaramente in una prospettiva escatologica, apre lo sce-
nario sulla situazione dell'uomo nella sua definitività, in quella prospettiva nella quale il
giudizio è sicuro e inappellabile. Se ora è il tempo della ricchezza della sua bontà, della
sua tolleranza e della sua pazienza, [del]la bontà di Dio ti spinge alla conversione (Rm
2,4), nel tempo escatologico c'è solo il giusto giudizio di Dio. È quindi una prospettiva
che chiarisce in termini sicuri in quale situazione l'uomo si trovi, e per questo Paolo la
usa.
[3] L'esito che questo sguardo prospetta è fatale per l'uomo, per ogni uomo: «non c'è nem-
meno un giusto», «ogni uomo è mentitore», «tutti sono sotto il peccato». Paolo non si
sottrae all'evidenza, ma la percorre fino in fondo. L'evidenza è il giudizio di Dio e come
esso si attua. Dio ultimamente giudica tenendo conto e valutando il rapporto tra le azioni
e le intenzioni dei cuori, non guardando alle apparenze e quindi nemmeno a particolari
privilegi. In base a questo ricompenserà «giustamente». Gli esempi «positivi» permetto-
no a Paolo di affermare il giusto giudizio in linea di principio sia per chi compie il bene
che per chi compie il male. In linea di fatto però, a mezzo delle Scritture, Paolo eviden-
zia un'intima malizia che alberga in ogni cuore e che effettivamente pone tutti sotto la
minaccia di una incombente minaccia.
[4] Perché Paolo prospetta tale imminente condanna? Senza la rilevazione di questa situa-
zione Paolo non potrebbe annunciare la giustificazione per grazia in forza della fede in
Gesù Cristo per tutti indistintamente (Rm 3,21ss). Non ci sarebbe giustificazione se
l'uomo potesse affermarsi in qualche modo come giusto; non sarebbe «grazia» se l'uomo
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potesse in qualche modo ottenerla; non sarebbe per la fede se fosse in base alla Legge o
qualche altra prerogativa; non sarebbe in Gesù Cristo se la Legge bastasse a tale giustifi-
cazione. È proprio in vista di questo annuncio, quello del Vangelo che l'Apostolo si sente
in dovere di chiarire la vera situazione dell'uomo quanto alla giustizia. Di fronte all'in-
evitabile condanna che sembra incombere su ogni uomo, Paolo afferma che Dio ha pre-
disposto altro.
[5] Come fa ad arrivare a tutto questo? In tutta la sezione che abbiamo letto la riflessione è
portata avanti attraverso le categorie bibliche e di tradizione giudaica, e appositamente.
Ma in effetti Paolo non poteva arrivare alle sue conclusioni se non in forza dell'evento di
Gesù Cristo che illumina la Scrittura e tutta la tradizione che la porta. C'è un solo piccolo
accenno a Gesù Cristo e al suo vangelo in Rm 2,16, in effetti, ma esso è significativo
perché è il momento in cui Paolo enuncia il criterio decisivo del giusto giudizio di Dio,
la conoscenza delle intenzioni dei cuori. Questo dato, assieme alla universale malizia
umana, era sotto gli occhi di tutti (bastava leggerlo nelle Scritture come ha fatto Paolo),
ma nessuno ne aveva tratto tali conseguenze. Altrove Paolo spiegherà questa dinamica,
1Cor 2,15-16: «L'uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato
da nessuno. Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo diri-
gere? Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo». Una conferma ci viene dalla riflessione
che segue il nostro brano, in cui è affermato: «Ora invece, indipendentemente dalla
legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia
di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono» (Rm 3,21-22).
È nel momento in cui si «manifesta» la giustizia di Dio (in Gesù Cristo) che si chiarisce
anche il contenuto delle Scritture. La retorica del brano, come abbiamo visto, conferma
anch'essa questa dinamica: è in vista di Rm 3,21ss che l'Apostolo scrive Rm 1,18-3,20!
È quindi la prospettiva «positiva» che consente a Paolo di livellare la situazione umana
quanto al peccato.
[6] Se si prova a immaginare Paolo prima della sua «vocazione», è impensabile che arri-
vasse a dire le cose che dice in Rm 1-3, esse avrebbero significato l'inutilità della Legge
quanto alla giustizia, affermazione inaccettabile e incomprensibile per un devoto e ze-
lante giudeo come egli era. Eppure era tutto «scritto». È l'incontro con Gesù che svela le
Scritture manifestando la vera giustizia di Dio come misericordiosa grazia di rendere
giusto l'uomo.
[7] La riflessione paolina che è da comprendere nella sua funzionalità, cioè in vista dell'an-
nuncio del vangelo, ci offre tuttavia alcune indicazioni antropologiche interessanti:
[a] L'uomo è responsabile del male che compie. Da una parte ha i mezzi «naturali» per
una conoscenza adeguata di Dio, e dall'altra una coscienza che lo illumina, lo am-
maestra sul bene. Quindi è inescusabile, dice Paolo. Questo giudizio è oggettivo e
necessario proprio perché la grazia di Cristo sia efficace, cioè sia un reale aiuto
all'uomo a conoscere il bene e a compierlo, liberamente. L'uomo non è scusabile,
nemmeno nella sua ignoranza. Altrimenti verrebbe meno la sua libertà e verrebbe
meno il disegno di Dio che è di portare tutti a salvezza. La misericordia divina non
copre e annulla la responsabilità umana, ma la solleva e la nobilita («và, d'ora in
poi non peccare più!» Gv 8,11): «O ti prendi gioco della ricchezza della sua bon-
tà, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio
ti spinge alla conversione?» (Rm 2,4).
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[b] Riguardo alla giustizia umana, anche qui Paolo è chiaro: il problema è il cuore
dell'uomo. Se egli infatti lega ogni ingiustizia all'empietà, quindi al fattore religio-
so che ogni uomo vive, il punto dolente è il cuore, l'interiorità umana, là dove ri-
siede la sapienza, la conoscenza di Dio e il timore di Dio. Paolo non si fa illusioni
del resto, ogni cuore umano alberga una intima malizia che lo rende incapace di
compiere il bene perfettamente. Per questo la Legge è impotente. Essa è utile a far
conoscere il bene (e di riflesso il peccato), ma non è in grado di cambiare il cuore
dell'uomo.
[8] Queste riflessioni richiamano quello che la Chiesa, a partire proprio da Paolo, ha com-
preso riguardo al peccato originale o delle origini. Se la dottrina è fondata piuttosto su
Rm 5, qui Paolo in questi primi capitoli ce lo fa comprendere nelle sue implicazioni fat-
tuali. Proprio perché vive una debolezza insita nella sua natura, di fatto l'uomo, se non è
salvato, redento (ma lo è! ogni uomo!) cede irrimediabilmente e vive «sotto il dominio
del peccato». Non per questo però è scusabile, altrimenti verrebbe meno la sua libertà, e
quindi la possibilità di aderire alla grazia che lo salva. Questa debolezza ha come origine
il suo rapporto con Dio, quindi riguarda innanzitutto il cuore dell'uomo, è li che si gioca
il tutto.

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