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CAPELLI DI FATA

APERTURA 3’ MINUTI DI MUSICA


poi :
BIMBO: Mamma, non ho sonno!
MAMMA: Su , tesoro, è tardi . A quest’ora i bravi bambini vanno a letto e dormono.
BIMBO : Ma io non ho sonno !!!!
MAMMA: Te l’ho detto, a quest’ora i bravi bambini devono dormire e fare sogni d’oro, visitare
castelli incantati, vedere gnomi e fate…
B. : E brava mamma, ma io qui di castelli non ne vedo. E di gnomi, nemmeno.
M: Ma le fate, quelle sì , ci sono davvero!
B: Ah sì!? E dove?
M: Ma qui a Casale, tesoro! Sono nell’aria.
B: Nell’aria!!??
M: Oh sì, avrai sentito parlare di quelle polveri bianche che si spandevano per la città… sai,
provenivano da una fabbrica…
B: Una fabbrica di fate!!!???
M: Oh no, una fabbrica che lavorava uno strano materiale che i grandi chiamano amianto, e che è
fatto di lunghe fibre , elastiche e sottili.
B: Cosa sono le fibre?
M: Ecco… immagina dei capelli… azzurro grigi…dei capelli di fata, per l’appunto.
B: Non pensavo che qui a Casale ci fossero le fate.
M: Beh, non proprio loro, magari , ma … qualcosa di simile ai loro capelli.
B: E come fanno ad esserci i capelli senza le fate?
M: E’ una storia lunga… iniziata molti anni fa.
B: Me la puoi raccontare?
M: Ci proverò. Molti anni fa, dicevo, arrivarono in città dei signori…
B:I papà delle fate?
M:No , non esattamente… piuttosto, vedila così, dei maghi che le fate … sì, diciamo che… in
qualche modo erano in grado di fabbricarle.
B: Cattiva! Mi stai imbrogliando! Le fate non si fabbricano, ci sono e basta!
M: Ma qui a Casale è stato diverso. Qui sono arrivati i loro capelli…
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B: …Perché, li avevano troppo lunghi e la mamma glieli aveva tagliati?


M: No, quei capelli di cui ti parlo li hanno proprio fabbricati qui.
B: Qui, in casa nostra!!??
M: Ma no, tesoro, te lo ripeto, qui in città. Ti ho detto prima di quei maghi…
B:Ma che cosa avevano, una bacchetta magica?
M: Oh , no, sai, con la chimica non serve…
B: La chimica? Proprio stamattina la maestra ci ha spiegato che mescolando dei materiali in vasi di
vetro, si ottengono altre cose…
M: E qui da noi a Casale è andata più o meno così, solo che per fabbricare quei capelli i maghi di
cui ti ho parlato hanno usato una materia particolare.
B: E quale?
M: La chiamano asbesto o amianto.
B: Che cos’è?
M: Un minerale…sai, come i diamanti o le pepite d’oro, solo che l’amianto non serve per fare
gioielli, ma per confezionare oggetti particolari, ad esempio indumenti ignifughi…
B: Igni…cosa !!??
M: Ignifughi. Vuol dire che respingono il fuoco.
B: Sarebbe a dire?
M: Te lo immagini un vestito resistente alle fiamme, che ti permette di passeggiare in mezzo al
fuoco?
B: In mezzo al fuoco!!!??? Non è possibile, dài, è una bugia!!!
M: No, tesoro mio, è proprio così come ti ho detto. Se sei vestito con un abito in tessuto di amianto,
puoi anche passeggiare in mezzo al fuoco, e non ti succede nulla!
B: Non ci credo. E’ una bugia!
M: E invece è così, tesoro, credilo pure perché è la verità. E quel vestito è tessuto con le fibre di
amianto, che sono come lunghi capelli argentati, simili a quelli delle fate.
B: Mamma, non prendermi in giro! Tu prima parlavi di un minerale.
M: Certo : da quel minerale si ricavano dei filamenti, lunghi e flessibili come capelli, che si
usavano per tessere stoffe particolari con cui fare, ad esempio, quei vestiti resistenti al fuoco di cui
ti ho parlato.
B: Hai detto che si usavano, perché, non si fa più?
M: Ora non più, sai. Hanno scoperto da tempo che le fibre di amianto sono velenose.
B: Ma allora fanno male!
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M: Oh, sì, tesoro mio, molto male.


B:Tanto da farti stare a casa da scuola?
M: Molto, molto di più!
B: Addirittura.
M: Insomma… come dirtelo… molte persone che lavoravano a contatto di quelle fibre sono andate
a trovare Gesù.
B: Vuoi dire che sono andate in chiesa?
M: No, amore, al cimitero.
B: A trovare i loro cari defunti?
M: No, piccolo mio, sono morti.
B: Morti…???
M: Sì, scomparsi da questa terra.
B: Scomparsi?
M: E noi non siamo più in grado di vederli.
B: Ma… e le loro mamme? E i loro papà?
M: Ma molti di questi erano mamme e papà, e nonostante ciò, te l’ho detto, non ci sono più. Sono
scomparsi.
B: E non torneranno più da noi ?
M: No, tesoro mio, non torneranno più:quelle mamme e quei papà se ne sono proprio andati.
B: Che tristezza!!!
M: Certo; è vero che tutti noi, un giorno, dovremo andarcene da questa terra, ma loro, a causa di
questi capelli di fata, se ne sono andati più in fretta di altri.
B:Io non voglio che tu te ne vada via da me , ti prego, resta sempre con me!
M: Amore mio, tutti dobbiamo andarcene da questo mondo, prima o poi…
B: Anche io?
M:Ebbene sì, anche tu, ma fra tanti , tanti anni, mi auguro, quanto sarai vecchio…
B: Ma perché!? I vecchi non possono più vivere con noi? Che cos’hanno fatto di male?
M: Oh , nulla; solo che, arrivati ad una certa età, la vita… si trasforma.
B: Vuoi dire che… diventiamo un’altra cosa?
M: In un certo senso. Comunque, ce ne andiamo da qui, da dove abbiamo vissuto.
B: Ma qualcuno non può restare, magari quelli che da bambini sono stati più ubbidienti?
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M: No, ti ripeto, andiamo via proprio tutti, in un modo o nell’altro.


B: Ma perché quei capelli di fata sono così cattivi?
M: Vedi, il fatto è che poi tendono a sbriciolarsi, e sbriciolandosi si trasformano in una polvere
fina, quasi impalpabile, che però , se la respiri, fa molto male.
B: Ti fa stare a letto con la febbre?
M: Molto peggio, ti fa ammalare di un male incurabile che i medici chiamano con un nome strano,
di origine greca: mesotelioma.
B: Sembra la parola di un gioco…
M: Ma non lo è . E’ una condanna, e non è per finta: il mesotelioma ti entra col respiro, si sviluppa
nel corpo e a quel punto tu dal gioco ci esci per davvero e non ci rientri più. Papà, ad esempio…
B: Ma tu mi hai detto che papà è andato a fare un lungo viaggio…
B: Eh, sì, amore, proprio lungo . Ma ora dormi, ti prego. E sogna di prati verdi e di castelli incantati,
e di fate con i capelli d’oro, che rimangono biondi e non diventano polvere bianca che tu respiri e
che ti esclude dal gioco. Buonanotte, amore mio, fa’ sogni d’oro.
B: Buonanotte mamma.

SEGUONO 3’ MINUTI DI MUSICA


poi:
[recitante, (quasi) fuori campo]
Eternit - curioso nome che sa d’infinito, eppure… non so, ho come la sensazione che ci sia
qualcosa che non va - qualche stonatura strana - come una serratura che di colpo scricchiola e ti si
chiude una porta alle spalle. Come… il ticchettio di un orologio che si interrompe di colpo, e tu non
te ne rendi conto, e d’improvviso tutto quanto scompare, e resti solo tu – nel vuoto e nel buio – e
non capisci più chi sei e che cosa ci fai lì. Ma comunque ci sei, sei consapevole di esserci, di
esistere in qualche modo e di continuare in qualche modo la tua esistenza. I tuoi ricordi sbiaditi non
ti interessano più – sei come in un limbo senza misura e senza tempo. Ti guardi attorno e non ti pare
di cogliere alcun segnale di vita, eppure tu sei la vita, e lo sai. Ti ricordi, ora? Lavoravi in quella
fabbrica, c’erano tante persone intorno a te. Ti sorridevano e ti volevano bene, c’era molta
solidarietà fra di noi, ci chiamavano operai, lavoravamo di buona lena attorno a quel materiale
argenteo che somigliava… ma sì, che buffo, somigliava a dei capelli di fata; mi ricordo che a mia
moglie l’avevo ripetuto spesso, e lei rideva di cuore, quasi fosse una storia divertente e un poco
assurda. Diceva:” Prima o poi la racconto al nostro bimbo, quando sarà un po’ cresciuto ci riderà su
anche lui”, poi di slancio ci abbracciavamo, e poi … vabbè, non fa bisogno di dirlo, è chiaro cosa
accadeva poi… ma ora? Dove sono? Mi pare di non essere mai stato così solo, eppure non sono
triste. E’ come se… già, sì, e come se lo spazio intorno a me lo conoscessi da sempre, come se fosse
uno spazio eterno, come il curioso nome di quel materiale che lavoravamo in ditta. Poi qualcuno si
è ammalato – mormoravano uno strano nome – mesotelioma, mi pare – e qualcuno poco alla volta
ha cominciato a morire. Tante famiglie piangevano, ma noi zitti, a continuare a lavorare fra quelle
polveri che ci facevano tossire, poi se ne sono ammalati altri e altri ancora, sempre più numerosi e
poi… mi sono ammalato io. Credevo di essere felice: una casa, una bella moglie, un figlio, di pochi
anni, destinato a crescere il mio futuro orgoglio di padre: magari sarebbe diventato ingegnere, il mio
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bimbo, e sarebbe stato lui, un giorno, a dirigere quello stabilimento in cui avevo lavorato per tanti
anni.
Ma un giorno…ricordo un letto di ospedale, passi e voci felpate, e poi ancora… è stato come
addormentarsi dolcemente, e mi sono trovato qui, dove sono ora. Non sto male, anzi… devo dire
che ora non ho più quel respiro pesante e affannoso, mi sento proprio bene. Ma… insomma dov’è il
mio bimbo?
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poi:
Povero bambino mio! Come faccio a dirgli che il suo papà non è in viaggio, ma che è morto? Lui,
che gli era tanto affezionato! Giocavano così bene, insieme! Tutte le volte che tornava a casa: “
CIUF-CIUF,TU-TUUU!!! Il trenino della sera!!! Coraggio, i signori pendolari sono pregati di
scendere! Stazione di testa(e scuoteva il capo in un modo che faceva morir dal ridere anche me),
tutti i passeggeri devono uscire dai vagoni (e giù una corsettina verso la porta), la corsa è finita,
andiamo a fare la pappa!!!”Pigliava in braccio il piccolo e lo abbracciava ridendo mentre gli faceva
fare una giravolta ruotando su se stesso. Come faccio a dirgli che suo padre non c’è più, che quel
treno non arriverà mai più in quella stazione? Bimbo mio! Eri così attaccato al tuo papà! Gli dicevi :
“quando sarò grande, lavoreremo insieme, io dirigerò la fabbrica, e tu sarai riverito e rispettato da
tutti”, e lo diceva con un’aria sussiegosa e solenne davvero irresistibile. Perché si devono separare
due persone che si amano così tanto? Non è giusto spezzare così una vita nel pieno del suo vigore,
allontanarlo dalla sua famiglia, da sua moglie, dal figlio che lui ama tanto! E’ un’ ingiustizia trattare
degli uomini così!!!! Ed io come faccio a dirglielo, che il suo papà è morto? Che nessun passeggero
salirà e scenderà più da quel treno? Che neanche quella stazione esiste più? Povero bimbo mio, ma
come faccio a dirtelo, tu, che non vedevi altro che il momento del suo ritorno per giocare con lui?
Non passerà mai più da quella porta! Bambino mio, perché così solo?
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[deserto ansioso d’attesa]
poi:
BIMBO: Papà…papà…papà!!! Non riesco a dormire! Perché non vieni a casa? E’ tanto che non ci
sei! Mamma dice che sei in viaggio, ma adesso è proprio lungo, questo viaggio, quando torni? Che
padroni cattivi che hai ! Ti tengono lontano da me e mamma così tanto ! Papà! Torna a casa, ti
prego! Perché non mi ascolti? E mamma non te lo dice, quando vi sentite per telefono? Vieni a
casa! Il tuo lavoro è importante , ma noi di più ! Smetti di girare per il mondo da una parte all’altra.
Noi siamo più importanti del tuo lavoro! Puoi anche cambiarlo il lavoro, ma non cambiare noi che ti
aspettiamo qui a casa! Torna, sii bravo, su, fallo per me, è tanto che non giochiamo più insieme!
Forse sei via perché hai paura di quei capelli di fata? Ma io scrivo al padrone della fabbrica e gli
dico:” senti , butta via quella roba, che così il mio papà può tornare qui a lavorare tranquillo, e
quella polvere non gli farà più male”. Sì, scrivo una letterina a quel padrone, e poi il mio papà può
tornare a lavorare qui senza che nessuno gli faccia più del male. Però intanto, tu, papà, ti prego,
torna da noi. Ti aspetto!!!!
MUSICA PER CONCLUDERE (Alcuni minuti)

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