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Il discorso di Petilio Ceriale (Historiae 73-74)

Si tratta un discorso, riportato, da Tacito, nel libro IV delle Historiae. Si narra della ribellione fomentata
nelle Gallie dai Batavi, capeggiati da Giulio Civile. Petilio Ceriale, il generale romano inviato per domare
la rivolta, sconfigge i ribelli, quindi rivolge loro le seguenti parole, con cui li esorta ad accettare la
dominazione romana, che non significa né oppressione né sfruttamento, ma bensì imposizione di buone
leggi, pace duratura fra popoli da sempre tormentati da conflitti e difesa dalle invasioni straniere. Si tratta
dunque di una perfetta apologia dell’imperialismo romano, che contrasta decisamente con il punto di vista
dei vinti, espresso da Calgaco nell’Agricola.
73. Convocati poi Treviri e Lingoni a parlamento, così parlò: «Non sono maestro di belle parole e con le
armi ho attestato il valore del popolo romano; ma poiché siete tanto sensibili alle parole e valutate il bene
e il male non per quello che sono, ma ascoltando le chiacchiere dei sediziosi, ho deciso di dirvi poche
parole, parole che sarà più utile per voi aver ascoltato, ora che la guerra è conclusa, che non per me aver
pronunciato. Comandanti e imperatori romani sono entrati nella vostra terra e in quella degli altri Galli non
per sete di conquista, ma perché implorati dai vostri padri, stremati quasi a morte dai loro conflitti interni, e
perché i Germani, da voi chiamati in aiuto, avevano asservito tutti, alleati e nemici (1). Attraverso quante
battaglie contro Cimbri e Teutoni, con che gravi fatiche dei nostri eserciti e con quale risultato abbiamo
combattuto le guerre contro i Germani, è cosa ben nota. Non per difendere l'Italia ci siamo stanziati sul Reno,
ma perché un altro Ariovisto non si facesse re delle Gallie. Pensate forse che Civile (2) e i Batavi e i popoli
d'oltre Reno vi amino più di quanto i loro antenati abbiano amato i vostri padri e i vostri avi? Sempre
identico e unico è il motivo del passaggio dei Germani nelle Gallie, l'avidità senza limiti e la smania di
cambiare sede: vogliono lasciare le loro paludi e le loro terre desolate per impossessarsi di questo suolo così
fertile e di voi stessi. Naturalmente accampano la libertà e altre belle parole, ma chiunque abbia voluto
asservire e dominare gli altri è sempre ricorso alle stesse identiche parole.
74. «Sempre nelle Gallie ci sono state tirannidi e guerre, finché non avete accettato le nostre leggi. Noi,
benché tante volte provocati, vi abbiamo imposto, col diritto della vittoria, solo il necessario per garantire la
pace; infatti, la pace tra i popoli è impensabile senza le armi e le armi non si possono avere senza
mantenimento degli eserciti né il mantenimento degli eserciti senza tributi. Per il resto vi abbiamo reso
partecipi di tutto. Voi spesso comandate le nostre legioni, voi governate queste o altre province; non
esistono àmbiti separati ed esclusioni (3). Dei buoni prìncipi vi avvantaggiate quanto noi, benché viviate
lontani; gli imperatori perversi infieriscono solo su chi sta loro più vicino. Sopportate, dunque, la
sregolatezza e l'avidità dei dominatori come la siccità, le alluvioni e gli altri disastri della natura. Finché ci
saranno uomini ci saranno vizi; ma non sono mali senza fine e vengono compensati dall’avvento di tempi
migliori. Ma forse voi sperate in un dominio più mite, quando regneranno Tutore e Classico (4) e forse ci
vorranno tributi minori per allestire gli eserciti che vi difendano da Germani e da Britanni. E una volta
cacciati i Romani - cosa che gli dèi non consentano! - cos'altro avverrebbe, se non una serie di guerre fra tutti
i popoli? Ottocento anni di fortuna e di disciplina hanno cementato questa struttura, che non può essere
demolita senza la rovina di chi la demolisce. E il rischio maggiore tocca a voi che possedete oro e ricchezze,
cause primarie di guerre. Perciò amate e difendete la pace e la città che noi tutti, vinti e vincitori, accoglie
con gli stessi diritti. Vi insegni qualcosa l'esperienza della buona e della cattiva sorte e non continuate a
scegliere una ribellione rovinosa, bensì invece l'obbedienza nella sicurezza». Con tale discorso riportò la
calma e la fiducia tra genti che temevano ben altre vendette.
(1) Il riferimento è ad Ariovisto, capo degli Svevi, il quale – come ci racconta Cesare – era venuto in Gallia
chiamato dai Sequani contro gli Edui ed aveva finito per opprimere entrambe le popolazioni.
(2) Giulio Civile è il nobile batavo che aveva fomentato la rivolta dei Galli.
(3) Dal tempo di Claudio rappresentanti delle province erano ammessi in Senato e ricoprivano posti di
responsabilità nell’apparato militare.
(4) Due capi dei Treviri, alleati con Civile

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