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1. La processualità dell’Arte Povera.

Nel 1967 il critico genovese Germano Celant allestisce la prima mostra d’Arte Povera.
Lo stesso termine Arte Povera, coniato dal critico, nasce dall’uso che gli artisti facevano di materiali umili di
diversa natura come il legno, le stoffe, il vetro, il ferro o materiali di uso prevalentemente quotidiano.1
Il movimento nasce parallelamente all’arte americana degli anni Sessanta e più in particolare alla pratica
fotografica e alla scultura minimalista, assumendo quindi una posizione antitecnologica e promuovendo
invece la creazione artigianale. Nonostante il loro distacco dalla tecnologia intesa come mezzo di produzione
artistica, gli artisti poveristi contrapponevano all’utilizzo materiali di tipo vegetale, organico o minerale, una
“tecnologia minima” 2, come ad esempio neon o lampadine, utilizzata però come oggetto di vita quotidiana,
privandola quindi dell’importanza che essa ricopre nel panorama artistico americano.

<<La vera novità della gran parte di queste operazioni artistiche era il fatto che le opere non erano “oggetti”
nel vero senso del termine, ma piuttosto “processi”, che avevano un loro significato proprio per il fatto che
“avvenivano” in un tempo definito o che dovevano essere in qualche modo “innescati” per rendere
funzionante l’opera>>. 3
Il movimento racchiude quindi in sé la ricerca del processo vitale dell’opera, dell’energia che essa genera o
subisce e della sua evoluzione. Il carattere processuale è quindi determinato dalla relazione dell’opera con
l’ambiente in cui essa è inserita, il quale influenzerà notevolmente la durata e il mutamento dell’opera
stessa.4
Queste trasformazioni regolamentate dal rapporto tra i materiali e l’atmosfera in cui essi sono immersi
rendono l’opera “viva” e di conseguenza lo spettatore ne può cogliere un determinato momento.
Lo vediamo nelle opere di Jannis Kounellis, 12 cavalli (tav. 1), del 1968, il quale esprime l’ideale poverista
del reinserimento di elementi naturali in un contesto culturale moderno e della celebrazione dell’energia
vitale dell’opera come anche Mano di ferro (tav. 2), del 1968, di Giuseppe Penone che mostra l’albero come
<<elemento vitale in espansione, in proliferazione e accrescimento continui>>5 intervenendo nel ciclo vitale
del vegetale evidenziandone la potenza, e ancora, nell’opera di Mario Merz basate sulla serie numerica di
Fibonacci per esprimere una illimitata espansione spazio-temporale, una <<metafora per la quale qualcosa di
piccolo e governabile possa essere superato da un’ingovernabile proliferazione>>.6
In questa ricerca analizzeremo come Mario Merz e Giuseppe Penone interpretino l’energia e la progressiva
espansione della natura attraverso il puro linguaggio grafico.

1
Per l’Arte Povera di veda: DE VECCHI, CERCHIARI, Arte nel tempo, Dal Postimpressionismo al Postmoderno Vol.
III, Milano, Bompiani, 1992, p. 631
F. POLI, Arte Contemporanea, Milano, Electa, 2016 pp. da 137 a 149.
2
DE VECCHI, CERCHIARI, Arte nel tempo, Dal Postimpressionismo al Postmoderno Vol. III, op. cit. p. 631
3
Idem.
4
F. POLI, Arte Contemporanea, op. cit. p. 146
5
MIRELLA BANDINI, 1972, Arte Povera a Torino, Torino, Umberto Allemandi & co, 2002, p. 84
6
SUSAN TALLMAN, The Contemporary Print: from the Pre-Pop to Postmodern, London, Thames and Hudson Ltd,
1996, p. 199
2.IL SEGNO DI MARIO MERZ
2.1 Il disegno come registrazione

L’intera opera di Mario Merz verte attorno al concetto del fenomeno della crescita, rifacendosi
prevalentemente a soggetti del mondo organico. Per quanto concerne lo studio di questa tesi, l’elaborazione
di questo processo, lo vediamo germogliare nei suoi disegni, mostrati da lui con molto riserbo7, dove questo
pensiero si manifesta in tutta la sua essenza.

<<Il fatto che passassi tutto il giorno disegnando questo tratto a circonvoluzioni, come se fosse una specie di
intestino, mi permetteva di pensare.>>8

Il disegno è stato l’origine di tutta la produzione artistica di Mario Merz, il punto da cui tutto nasce senza mai
abbandonarlo nel corso della sua vita.
Dal punto di vista critico, i disegni di Mario Merz sono raccolti in una raccolta recente, e costituiscono una
parte fondamentale nel processo creativo. E’ lo stesso artista a mostrare i propri disegni al pubblico con
molta moderazione e lo farà per un importante motivo che sta alla base del suo concetto di disegno.9

<<Il disegno rimane sempre privato>>10.


Merz considera il disegno pari alla scrittura, uno strumento che gli permetteva di pensare, di riflettere, e,
proprio come lo scrivere in un diario, esso può avvenire ovunque e in qualsiasi momento.
Il disegno è per Merz una forte esigenza, non racchiude in sé uno scopo estetico bensì una registrazione di
quanto egli vede, vive, sente. Egli stesso dichiarerà: <<Tutte queste cose entravano nel disegno senza
entrarci naturalmente, ma entravano come tempo, come registrazione, come se la matita fosse la punta di
certi strumenti che registrano su un foglio di carta.>> 11
E’ proprio come la punta di un sismografo che Merz opera nel foglio di carta.
Conosce il disegno durante la prigionia per la sua posizione antifascista nelle Carceri Nuove di Torino dove,
ispirato dalla barba di un compagno di cella, solca il foglio senza mai staccare la matita dalla carta creando
sentieri ingarbugliati come per tracciare il viaggio percorso dal suo pensiero nella mente.
Come racconta in un’intervista, appena uscito dal carcere, Merz si recava nelle colline torinesi e registrava
ogni singolo elemento che il posto e il tempo gli suggeriva: <<Ho cominciato a fare un ragionamento grafico
e filiforme che portasse ad esprimere la quantità di erba, la quantità di foglie che la campagna estiva mi
suggeriva proprio in quel momento>>. 12
E’ proprio non staccando mai la matita dalla carta e costruendo labirintici percorsi che Merz tratta il foglio
come uno spazio di totale sperimentazione diventando il luogo di registrazione dell’energia vitale, organica.
Nel suo disegno vi è quindi lo scorrere del tempo, un tempo che, come Germano Celant afferma, <<continua
e non smette>> 13 in cui lui si inserisce e ne riporta la testimonianza e il ricordo.
Giorgio Agamben, filosofo politico italiano contemporaneo, definisce il disegno di Merz come un <<mezzo
senza fine>>14 infatti, Merz attraversa trasversalmente il paesaggio circostante, non tende a raggiungere un
obbiettivo poiché è l’atto del disegnare ad alimentare il pensiero e scaturire nuovi stimoli, non viceversa, e si

7
Primo catalogo dell’opera completa dei disegni Mario Merz Disegni, Torino, Hopelfulmonster, Fondazione Merz,
2007.
8
Mario Merz Disegni, Torino, Hopelfulmonster, Fondazione Merz, 2007. P. 141
9
Ivi. p. 7
10
Ivi, p. 15
11
Ivi, p. 13
12
Intervista a Mario Merz, Rai Arte
13
Mario Merz Disegni, op. cit. p. 313
14
Ivi, p. 145
serve della capacità e dell’immediatezza propri del disegno per annotare istantaneamente il ritmo della natura
circostante e dell’energia proliferante che essa sprigiona, un fattore primario che andrebbe perdendosi
nell’opera destinata alla visione pubblica. 15
Va da sé che i suoi disegni non possono essere quindi considerati studi, non rappresentano un esercizio
propedeutico o un bozzetto preparatorio in funzione dell’opera, essi sono generati da una forza istantanea che
necessita di essere registrata e per questo sono autonomi.
Questo principio riporta i disegni di Merz alla concezione del disegno rinascimentale: era considerato
superiore alla pittura e alla scultura in quanto preservava l’intimità del pensiero per la semplicità dei mezzi
con cui veniva eseguito e in quanto origine dell’intero pensiero compositivo. 16Con questo non si intende
definire il processo artistico di Merz come automatico, ciò che lui costruisce all’interno del disegno è sì una
testimonianza immediata del contesto in cui lui è immerso ma è creato con un preciso ordine senza lasciare
nulla al caso.
E’ proprio per le caratteristiche che Merz attribuisce al disegno che non lo ritiene inseribile in un contesto
sociale che pretende leggibilità, in quanto è la testimonianza di qualcosa di incomunicabile, di puro, e questo
spiega perché l’artista lo custodiva per se stesso.

2.2 Le forze generatrici nel disegno di Merz.

L’intero operato artistico di Mario Merz verte sui concetti di crescita, riproduzione e ciclicità temporale del
mondo organico e trova nella serie numerica di Fibonacci il principio generatore dei fenomeni naturali.
Leonardo Pisano, meglio conosciuto come Fibonacci, era un matematico italiano vissuto all’inizio del XIII
secolo il quale, attraverso la serie numerica che prese il suo nome basata sull’osservazione della natura,
intendeva trovare una legge matematica che descrivesse la riproduzione dei conigli e dei fiori. Ogni numero
di questa successione è il risultato della somma dei due numeri precedenti dando vita ad una progressione
numerica non lineare: 1,1,2,3,5,8,13,21,34 ecc., fino all’infinito. 17
Vi è un forte legame tra la teoria di Fibonacci e il disegno di Merz: entrambi sono privi di scopo, entrambi
tendono a stabilire un ordine naturale ma senza ambire ad una soluzione o ad una fine.
L’astrazione numerica della sequenza Fibonacci affascina particolarmente l’artista poiché possiede la
medesima immediatezza dei fenomeni naturali e trova in questo sistema numerico la perfetta descrizione del
processo di crescita che Merz identifica nella forma della spirale che per lui rappresenta la forma organica
per eccellenza esistente in natura e <<costituisce il simbolo del pensiero>>.18
Egli stesso afferma: <<la spirale da l’idea dell’energia della materia che da punti centrali fuggono verso
l’estremità>>.19
L’andamento della spirale estende la propria forma ripetendola all’infinito sprigionando quel senso di
energia vitale propria dei fenomeni viventi, ma allo stesso tempo la accoglie in se stessa e possiamo notare
come egli adotti questa struttura già nei disegni degli anni Cinquanta e Sessanta, come in Fiore del 1963
(tav.8), dove sono presenti elementi circolari che si propagano intorno ad una forma circolare centrale verso

15
Cfr Mario Merz Disegni, op. cit. p. da 13 a 19.
16
Ibidem.
17
Ad vocem, Fibonacci,Leonardo in http://www.treccani.it/enciclopedia/leonardo-fibonacci/
18
Mario Merz Disegni, op. cit. p. 316
19
Intervista a Mario Merz, Rai Arte http://www.arte.rai.it/articoli/mario-merz/16647/default.aspx
l’esterno rivelando la dinamica dell’evoluzione degli elementi naturali che però <<rimangono materialmente
radicati alla loro origine>>.20
Essendo la spirale la forma organica per eccellenza <<deve seguire il ritmo organico della mano che la
traccia>>21 poiché la mano stessa, figura ricorrente nell’opera grafica di Merz, <<è una spirale di
numeri>>22, una spirale che percorre la mano dal palmo per estendersi all’estremità delle dita. (disegni mano
145)
Nei disegni stessi, Merz introduce materiali del mondo organico, esistono numerose immagini nelle quali
troviamo posto al centro un guscio di lumaca, ovvero una spirale naturale, che assume il ruolo di origine del
disegno per poi essere prolungata dal tratto grafico espandendosi fino all’estremità del foglio. Anche la
vegetazione sarà parte integrante di molti disegni, lo vediamo nel Da un erbario Raccolto nel 1979 (tav. 31),
appartenente alla serie di disegni con vegetali raccolti nel giardino di Woga Woga in Australia nel 1979,
dove viene messa a confronto la breve durata delle piante quando vengono pressate, tra le pagine degli
erbari, con la longevità delle invenzioni dell’uomo.23
La forza generatrice della serie numerica è presente in ogni opera di Merz, egli ci mostra come essa sia
presente anche in eventi sociali con i disegni degli anni Settanta riguardanti i tavoli dove però la crescita
degli elementi è influenzata dal contesto. I piani dei tavoli sono rappresentati in dimensioni crescenti dal più
piccolo al più esteso, essi rispettano il ritmo evolutivo della serie Fibonacci la quale però non è legata al
fenomeno naturale bensì ad un evento sociale: la dimensione degli elementi infatti dipende dal numero di
persone che prendono posto.

20
Mario Merz Disegni, op. cit. p. 19
21
Ivi, p. 316
22
Ivi, p. 144
23
SUSAN TALLMAN, The Contemporary Print: from the Pre-Pop to Postmodern, op. cit. p. 119
2.3 MARIO MERZ: I DISEGNI

I disegni di Mario Merz, come abbiamo visto, sono stati considerati dall’autore come un processo creativo
intimo e per questo motivo è stato difficile determinare una precisa successione cronologica ed una
classificazione linguistica.24 Nonostante i confini tra i diversi disegni vacillino è comunque possibile stabilire
una progressione grafica.
I primi disegni noti degli anni Cinquanta rispondono all’esigenza dell’artista di annotare la realtà circostante
riempiendo l’intera superficie del foglio. Nei paesaggi Senza titolo realizzati nel 1955 (tav.4, 5, 6.), il segno è
frenetico, rapido ed energico, deciso a catturare nell’immediato gli alberi, le nuvole tempestose, il vento.
E’ da questo principio che ci risulta possibile decifrare l’intera opera di Merz, l’approccio sismografico
dell’artista è presente in tutta la sua produzione grafica. Il principio di espansione della forma, in linea con il
suo successivo avvicinamento alla serie Fibonacci, è visibile già dai primi disegni, nelle nuvole circolari che
si sovrappongono l’un l’altra, nel vento che graffia la superficie fino ad uscire quasi dal bordo del foglio.
Degli anni Cinquanta appartiene anche Composizione (tav.3), un disegno in cui Merz mostra l’affinità che
intercorre tra il disegno e la scrittura, il segno è fitto, la superficie completamente occupata dalla continua
vibrazione delle linee che scandiscono il foglio in sezioni geometriche imperfette. Nulla è lasciato al caso e
<<l’accostarsi di Merz al mondo è di tipo strutturale e non fenomenologico, non legato all’oggetto>>.25 Nei
disegni degli anni Sessanta, come in Fiore (tav.8) e in Senza Titolo del 1963 (tav. 7), sebbene non sia ancora
esplicito l’andamento della spirale che caratterizzerà i lavori successivi, sono composti da movimenti
circolari, utilizzando china, gesso e vernice opaca bianca, che tendono a propagarsi verso l’esterno.
Sul finire del decennio, Merz da vita ad una nuova serie di disegni intitolata Objet cache-toi, realizzata tra il
1969 e il 1970 (tav. 12, 13, 14, 15.). Era ossessionato dalla forma dell’igloo, rappresentava un <<un rifugio
temporaneo, inteso sia come passaggio verso l’esterno, sia come dimora interiore>>.26 Il semicerchio che lo
caratterizza è anch’esso un indicatore di propagazione della forma e crea <<una determinata superficie, una
superficie curva che raffigura una totalità>>.27 E’ a testimoniarlo, negli Objet cache-toi, la linea curva
ripetuta verso l’esterno, la frase scritta più volte con pennellate d’acquerello e le applicazioni di stucco sul
foglio di carta estendendo ancor di più lo spazio del supporto cartaceo. Nei primi anni Settanta Merz
comincia a ragionare sulla serie Fibonacci che utilizza per definire lo spazio e visualizzare la crescita
spiraliforme che rappresenta il fulcro di tutta la sua produzione grafica. Sono numerosi i disegni che
presentano tratti sottili di linee dritte e curve che si propagano in un movimento centrifugo accompagnati da
numeri timbrati o scritti a mano o ancora da testi sospesi tra le pagine. Applica questo principio di crescita a
differenti soggetti, in Senza titolo del 1973 (tav. 21), una mano è percorsa da linee tratteggiate che hanno
origine dal palmo per estendersi fino alle estremità delle dita, in Spirale dei tavoli – Da una tavola per 1
persona alla tavola per 55 persone del 1974 (tav. 23) che mostra una spirale di tavoli realizzati in
assonometria di dipana nel bianco del foglio, Merz inserisce il principio di Fibonacci in un contesto sociale
che mette in relazione i tavoli con il numero di persone che vi devono trovare posto. Degli stessi anni sono i
disegni che prendono vita dal guscio di lumaca posto al centro del foglio come in Progressione di Fibonacci
del 1975 (tav. 26) dove la spirale realizzata in argilla si libera tratteggiata sino all’estremità del supporto,
scandita da linee centrifughe che la intersecano attraversate dal testo che occupa lo sfondo. Tra la fine del
decennio e l’inizio degli anni Ottanta l’opera grafica di Merz, nato come artista pittore, viene nuovamente

24
Cfr Mario Merz Disegni, op. cit. p. 313
25
Mario Merz Disegni, op. cit. p. 18
26
Ivi, p. 144
27
Ivi,. p. 19
contaminata con la pittura, abolendo quasi totalmente il confine tra i due linguaggi. Compaiono nuovi
soggetti, creature mitiche inserite in una <<metafisica dimensione atemporale>>28 che si muovono
lentamente come vediamo in Cinque del 1982, in 1 1 1 2 3 5 del 1980 o in Lucertola del 1982 (tav. 29, 30).

28
Ivi, p. 318

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