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IL CICLO NUMERICO, A SCAPITO DEL RETTILINEO INFINITO.

Per adesso prendete questa premessa (che non è ipotesi necessaria per la tesi) qua
si come dato di fatto, ma è intuibile: è la ripetizione - più o meno ripetitiva, come
capirete in seguito - dei nostri numeri che fa sorgere il dubbio sull essenza di e
ssi, sul carattere del loro sussistere e che, riguardo questo, permette di fare
certe discriminazioni. La presunta linearità rende quasi privo di interesse il mon
do numerico agli occhi dell uomo, poiché non offre strumenti di paragone con nulla,
e di fatto si discosta fortemente dall osservabile meccanismo naturale di vita e d
i morte, di storia e di profezia. Come vedremo, si tratta di un mondo a sé stante,
puramente empirico, distante, privo di punti di contatto con la nostra esperien
za e perciò bastante a se stesso, per il solo fatto che diviene impossibile discut
erne l esistenza in quanto non offre un campione condivisibile sul quale incontrar
si, o a partire dal quale porsi interrogativi più o meno legittimi. E più che compren
sibile farsi domande su questo congegno di autodifesa che in fondo l uomo stesso h
a fornito al sistema numerico, poiché non si tratta di una scelta critica ma di un
a scelta che va in direzione del riconoscimento incondizionato di un autorità.
La rappresentazione circolare non toglie nulla alla rappresentazione rettilinea.
E semplicemente un espressione più completa, che va oltre l idea di infinità rettilinea,
apparentemente non contraddicendola. Per questo dico che contare all infinito e r
itornare al punto relativo di partenza è al lato pratico impossibile, ma teoricame
nte possibilissimo. Esistono infiniti punti in una circonferenza: si può benissimo
, come la retta propone impone, proseguire verso l infinito teorico nel senso posit
ivo o negativo . Ciò che la rappresentazione rettilinea non permette di intuire è la des
tinazione empirica finale dell infinità, che risulta circolare. Questo aspetto, appa
rentemente innocuo, costituisce il punto di partenza per la mia teoria.
Per esporla, partirò da un discorso inizialmente comprensibile ma completamente er
rato, per renderlo poi più fine e in conclusione prossimo al vero. Non sono capac
e di svilupparla diversamente.

L'idea di infinità è qualcosa di comprensibile per l'uomo soltanto in un caso: il c


aso della circolarità. Partiamo proprio dal simbolo stesso di infinito, ovvero un
"otto" sdraiato. E' chiaro che colui che diede vita a questa convenzione aveva
ben presente quanto i numeri non fossero infiniti: il simbolo universalmente a
dottato è sicuramente un'ironica critica alla teoria che non vuole riconoscere l'
esistenza del poco rassicurante tetto numerico. Allora egli decise di "darlo" a
coloro che erano i suoi contestatori; In un certo senso lavorò per loro, ma rius
cendo a mettere argutamente in risalto la drammatica cecità che li mutilava matem
aticamente. Ancora oggi essi non si sono accorti di questo scherno infamante ne
i loro confronti che ho voluto mettere subito in risalto, anche per ribadire (c
on un sorriso) la superiorità intellettuale di chi è a conoscenza della limitatezza
degli insiemi numerici.

Partiamo pensando, quasi per assurdo, che tutto ciò che vediamo come infinito sia
in realtà circolare.
Il tondo che avviluppa il nostro pensiero in un loop contorcente ci disorienta
tanto da ispirarci nel tentare di svolgere questa circonferica unità in un ramo i
nterminabile e retto, ma per questo impossibile in sè. Un segno di quanto ci infa
stidisca rilevare in entità in fondo circoscritte una matrice sconfinata. Il cerc
hio lo disegnano i bambini. Di palle ne vediamo ovunque tutti i giorni. Ma in e
sse, così apparentemente vicine alla nostra analisi e comprensione tanto da sembr
are banali, risiede il mistero dell'infinità, che tuttavia pare camuffarsi autoli
mitandosi per entrare nelle nostre esistenze affinchè pensiamo di non poterla oss
ervare nella nostra realtà, così da spingerci a cercarla in luoghi astratti e svinc
olati dalle salde fondamenta dell'esperienza: cosa che giustifica in parte l esis
tenza della scienza matematica. Pensatela così, adesso.

Rileggete l'ultima frase prima di proseguire.

E' persino dannoso far corrispondere simboli astratti a un'idea di infinito.


I numeri ci paiono umani, solamente perchè ideati dall'uomo. A dirla tutta essi c
osa sono? Cosa sono? Cerco di rispondere a questa difficilissima domanda, che d
a sempre è fuggita da qualsiasi matematico, ma lo farò in modo imperfetto, perchè il
discorso complessivo non è ancora completamente sviluppato.
I numeri sono la proiezione dell'errore umano nel voler assaporare un oltre che
esula dalla sua comprensione e vivibilità. E' appagante ma altrettanto ingenuo (n
on per questo inesatto, attenzione!) immaginare un oltre inesauribile, nel qual
e poter procedere senza fermarsi, in cui poter scavare senza toccare il fondo,
al cui orizzonte guardare senza intravedere confini. Così, signori, nasce la comm
ovente retta dei numeri, quel rigo di gesso sulla lavagna i cui estremi sono da
qualsiasi docente poeticamente tratteggiati, a far intendere un proseguimento
ideale eppur pretenziosamente concreto, infinitamente estendibile, infinitament
e insensato. Cosa trae lo studente brillante da tutto ciò? Trae la seguente concl
usione: armato di ingenua scandalizzante semplicità lo studente dice che, se inve
ce di starsene dritto, il rigo decidesse di piegare costantemente su se stesso,
infinitamente lentamente, ma infinitamente progressivamente, la caratteristica
dell'infinità non si perderebbe, a vantaggio di una istituzionalmente indesidera
bile compiutezza grafica e concettuale.
Così stanno le cose, in parte.
Nessuno, naturalmente, è finora riuscito a verificare sperimentalmente questa teor
ia dal punto di vista dell'applicazione pratica. Sarebbe necessario spendere la
propria vita contando, fino ad osservare un giorno il raggiungimento dell'apic
e numerico e il conseguente precipitoso collasso verso il punto di partenza, ch
e in realtà non sussiste. Molti però sognano l'ora profetica e paradossale, poiché no
n vi sarà mai, in cui, inaspettatamente, pur credendo di salire verso l'infinito,
un contatore si ritroverà a pronunciare per la seconda volta quella rassicurante
parola, arbitrario punto di riferimento da cui partì a contare all'inizio della
sua esistenza: zero. Allora si dirà: zero fu all'inizio, zero sarà alla fine. L'est
rema altezza incontra oggi l'estrema bassezza, e il punto comune è raggiunto: in
fondo indefinito, non più uguale a prima, ma nuovo nel TEMPO, la dimensione unica
che svolge realmente l'infinito circolare. Esso è anche il secondo, altrettanto "
relativo punto di riferimento". Concedetemi, infine solo perchè in tema di infinit
o, un simile improprio ossimoro.
Una parziale periodicità, dunque: i numeri tornano inevitabilmente su se stessi,
perchè astratti e finiti. Ciò che muta è l'esperienza umana in grado di farli esister
e. Formalizzando non troppo forzatamente, diciamo che proiettare l'infinito nell
'astratto è non porsi il problema della concreta infinità del vivere.
Cerchiamo di comprendere meglio.
I numeri in realtà sono sì infiniti, ma non in quanto numeri. Sono infiniti semplic
emente perchè è impossibile svincolarli dal soggetto che li ha creati, l'uomo. Se i
numeri potessero procedere astrattamente nella loro dimensione atemporale disum
ana nella quale pretendiamo di averli dal principio innestati, essi sarebbero PR
OPRIO PER QUESTO FINITI! Sono stati quindi erroneamente ideati? Non si parla del
lo scopo per cui si sono inventati, ma dell'ambiente in cui prendono forma e si
sviluppano, che puristicamente vuole essere invariante al variare del tempo e
dello spazio. Questo rende la loro periodicità non più parziale, ma assoluta: uno "
zero" non collocato nel tempo e nello spazio, uno zero inumano, a sè stante, in sé
statico, oltre a non avere senso è esattamente uguale allo zero raggiunto dopo av
er compiuto "il giro del cerchio".

Pensate al senso di quanto detto e poi proseguite.


Ora sappiate che questo concetto che avete appena finito di capire è assolutamente
errato, ma era necessario farlo per poter comprendere quanto dirò adesso.

In realtà, il concetto di maggiore, minore e uguale su questa scia si va perdendo


, (non faccio riferimento all'insieme dei numeri complessi, non voglio dilungarm
i su questo aspetto ma l'accostamento è improponibile), per cui non soltanto non s
i parla assolutamente di infinità ma si arriva a parlare di INFINITA LIMITATEZZA.
Volendo non ritrattare ma esporre più rigorosamente quanto detto sopra, i due ze
ri del cerchio sono totalmente diversi tra loro, ma non perchè i numeri siano inf
initi. Proprio per il discorso della infinita limitatezza, che rende inconcepib
ile una qualsiasi relazione tra i numeri, anche quando essi siano equivalenti,
cioè in sostanza lo stesso numero. Punti isolati e inconciliabili, insomma: propri
o per questo differenti e "infiniti", forse, ma nel senso esattamente opposto a
quello matematicamente inteso. Un'infinità che non passa per il "numero dei numeri
", ma per il NONSENSO dei numeri.
(Apro qui una parentesi di puro diletto intellettuale: il numero dei numeri si c
rede tutt oggi infinito. Io, a questo punto, mi chiedo qual è il numero del numero d
ei numeri: se riuscirete ad intendere il senso della domanda, capirete che la ri
sposta ad essa è UNO, nonostante il numero dei numeri sia supposto essere infinito
. Com è possibile che questo infinito sia contenuto in una sola unità? Questa unità, sia
mo d accordo, sarebbe puramente astratta - appartenente a un ordine numerico scono
sciuto - ma lo sarebbe tanto da condividere le stesse probabilità d esistenza dei nu
meri infinitamente limitati e quindi totalmente astratti, disumanizzati , nel senso
inteso precedentemente.)
Una simile infinità è totalmente inutile per la risoluzione di problemi matematici;
inoltre, credo che se continuassimo a ragionare a partire da questo assioma, arr
iveremmo presto a trarre conclusioni devastanti che non intendo trarre in questa
sede. Perciò concentriamoci sul valore che la tesi conserva riguardo l'infinità dei
numeri.

A questo punto ci si chiede in quale ambito i numeri sono stati creati. Il desid
erio era appunto contenerli entro una dimensione sfuggevole al nostro comprendon
io, lontana da deformazioni temporali e vitali, o farne uno strumento umano esso
stesso imperniato entro la condizione vulnerabile ai fattori esterni che da sem
pre sperimentiamo come dimensionalmente influenzanti il nostro essere?
Qui risiede il primo, esorbitante, errore che fecero i creatori dei numeri. Essi
sono relativamente scusati dal camuffarsi dell'infinità di cui parlavo ironicamen
te all'inizio. Tuttavia, loro non si posero in termini seri questa domanda, che
di fatto cambia totalmente le cose. A cosa ci troviamo dunque di fronte? Quando,
con superficiale nonchalance, contiamo le pecorelle prima di dormire, stiamo im
maginando simboli alieni al nostro essere e infinitamente limitati, infinitament
e insensati o piuttosto pronunciamo globi interagenti numerici inglobati anch'es
si nel concitare del vivere se stessi e il mondo attraverso noi - e perciò assolut
amente infiniti, a patto che si riconosca la loro infinità come derivata direttame
nte dalla infinità dell'esperienza vitale istantanea, attimo per attimo, dell'uomo
?
COMUNQUE SI RISPONDA a questa domanda, che se intesa fa perennemente violenza al
nostro sereno approssimarci all'esistenza, è evidente che l'infinità dei numeri rim
ane un pensiero sostanzialmente perlomeno superficiale. Volgare, direi. Diversi
tipi di infinità esistono; tra questi, soltanto uno è praticamente utilizzabile, ovv
ero l'infinità che fa riferimento al non ripetersi del ciclare, per condizioni est
erne al ciclo. Ecco già un modo di vedere le cose che affina la tesi iniziale. Spe
cifico nuovamente, per chi avesse le idee confuse, che questo "ripetersi diversa
mente" non è proprietà numerica, ma proprietà innatamente esistenziale. Allora mi vien
e da dire: bella utilità, e bella scoperta questa "altra" infinità dei numeri!
Una sola ammissione posso concedere a proposito: in fondo, anch'essi non fanno c
he ballare a questo strambo ritmo di compresenza tra ripetizione e novità proposto
dalla musica del vivere.

Da questo traggo una parziale conclusione, per chi avesse sete di arrivare alla
meta (in verità molteplice) e non l avesse già intravista: l infinità della quale vivono i
numeri postula, prima di essere presa in considerazione per qualsiasi fine, una
domanda a monte. Di quale infinità è fatto l inconsapevole ideatore di queste mostruo
se cifre? Da dove trae esso il potere di contagiare del proprio stato sempre mut
abile e mai confinabile ciò che da lui viene? Quello a cui abbiamo assistito, segu
endo passo per passo il ragionamento fatto, non è altro che un inevitabile (e racc
apricciante) trasferimento di condizione esistenziale dall uomo a se stesso, in fo
ndo. L uomo utilizza i numeri per spiegare la realtà. L uomo sogna inoltre, utopistica
mente, di utilizzare i numeri per spiegare se stesso. E chiaro che siamo davanti
ad un ulteriore ciclo, questa volta di mirabile ottusità: come un cane che si mord
e la coda e che tenta di prenderla per sé ed appropriarsene non intende che essa è g
ià più sua di quanto non vorrebbe farla con il suo stupido vorticare su se stesso, c
osì l uomo analizza e si spacca le meningi sul protocollo matematico non vedendo che
esso è la bruttissima copia di sé e che, pur avendo perso gran parte del fascino de
ll originale, conserva di esso i misteri forse celandoli maggiormente e rendendoli
dannatamente estranei alla persona in cui alloggiano dall inizio dei tempi. Quest
o tentativo di esportare il mistero per poterlo studiare su un campione che non s
ono io , con la pretesa di oggettivizzarlo e solo per questo di guadagnarne in com
prensibilità, non fa altro che rendere faticoso il riprodurlo fedelmente, cosa che
sarà sempre impossibile fare alla perfezione. E poi davvero ridicolo! Com è possibile t
rarre consolazione dal progredire nello studio di una scienza che siamo noi stes
si e che da sempre conosciamo, non per merito ma perché la viviamo in prima person
a, anche quando sembra esserci oscura? Poniamoci onestamente la domanda: cosa ri
siede in me? Cosa risiede nel diverso, che non sia una proiezione sfigurata di m
e? E risponderemo: molto meno di quello che spesso io penso. E difatti disonesto
rispondere tutto , esattamente come lo è rispondere nulla .
Ma non voglio tediarvi troppo con questo discorso (che molti di voi non avranno
sicuramente letto), perché mi rendo conto che abbatterebbe diversi capisaldi del v
ostro vivere quotidiano e questo voi non volete che accada. Mi fermo dunque qui,
ma vorrei capiste che il mio concetto, lungi dall essere completamente esposto, n
ella sua interezza sarebbe probabilmente più veritiero di quanto non lo sia un qua
lsiasi rigoroso, formale, equilibrato teorema qualunque.

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