KARL MARX ai bambini rom Matteo Salkanovic, Sengul e Emran figli di Memis mutilati dai libri di fiabe e dai pacchi-dono dei vigliacchi cultori dell'unica uguaglianza ammessa: quella a loro mostruosa immagine e somiglianza; a tutti i bambini jugoslavi che continueranno a sognare di morire al più presto per liberarsi dall'incubo dei cecchini e a tutti i bambini del mondo che, malgrado tutte le atrocità dei grandi, troveranno ancora la forza di restare vivi. ... l'amor. Giro la chiavetta dell'accensione. Io... io... io... Basta, piantala, stop. STOP? Io sarei vergine, fino a prova contraria. Buon compleanno a me! Sono nato a cavallo fra Carnevale e Quaresima, un occhio al ridere e un occhio al piangere ed entrambi convergenti verso una specie di incantamento che ingenera ipnosi... Me l'ero sentito dire qualche volta da bambino dalla maestra Pola che avevo uno sguardo penetrante, strano, come di uno che sembra intelligente fino a che non hai modo di conoscerlo e poi ti ricredi e lo sguardo da penetrante diventa imbambolato, mogio, lo sguardo di un idiota, ma io non c'ho mai fatto caso. Prima di poco tempo fa, non ho mai usato in vita mia questo sguardo perverso per ammaliare qualcuno, per attirarlo in mio potere e in una trappola, quello che sono riuscito a portarmi a casa di sollievi rubati a una grama esistenza l'ho fatto con le mie scarse facoltà normali e le mie granaglie per la mia gallina del momento, anche perché io non sono uno che crede a queste cose tipo l'ipnotismo, tipo far fare a qualcuno in semincoscienza quel che vuoi tu. non sono mica il Paragnosta delle Fontanelle, iol E se lo scorso settembrez alla t~ine di quella memorabile e terribile cena dalla Marì* non me l'avesse ricordato questa Emiliana sua amica di Forlì con quel naso a zig zag che morivo dalla voglia di dirle ma sas signoran che ha proprio un bel naso? non mi sarebbe mai neanche passata per la testa la bella idea di mcttere gli occhi a fuoco, e a frutto questo sguardo che seduce. As7evo il Deus-exmachina incorporato dentro e non lo sapevo. Buffo, per un mortale schivo come me che adesso se ne sta chiuso qui dentro una (v;inquecento vestito da prete. Mi rivedo nei penultitni attimi precedenti a qziesto: chiudo la portiera, mi si è impigliato un lembo di tonaca, riapro la portieraz riassetto bene le pieghe della tonaca fra le ginocchia, mi chiudo bene dentro, abbasso anche l'altro finestrino. Su col bustoò Pino' Girata la chiave nell'accensione, resto in folle. Basta marce. E marce anche le donne, tutte... No, Marì no. Ohitlarì! Si è liberi veramente quando ci si può suicidàre senza arrecare danno o dolore o rimpianto a nessuno: la libertà è la forma intermedia della solitudinez il suicidio la forma estrema dell'unica compagnia che ti è rimasta. Io, quanto a gente che mi piangaF potevo suicidarmi ancora tanti di quegli anni fa, md as-evo dil.~91-d SOgli;, fiSillle SU di 111C, insomma, mi facevo compagnia credendo di vivere; avrei fatto male pur sempre a qualcuno suicidandomi. avrei fatto male a me. Adesso invece no, non mi faccio più nemmeno compagnia, non ho nessuno e non sono nessuno: sono perfetto, sono libero, sono pronto. Sono pronto a festeggiare il mio ultimo compleanno. Stavolta cade proprio di Martedì Grassow l'ultimo di carnevale. Sessantatré candeline funebri. O forse sessantadue. Perché io non sono sicuro di quando sono nato esattamenten mia madre una volta diceva un annow un'altra un altro. Ohi, ohi Marì. IL sito è piccolo, chiamarlo garage sarebbe esagerato, si saturerà di gas di scarico in un attimo, non c'è bisogno di attaccare una prolunga tipo aspirapolvere al tubo dì scappamento, inserirla nel finestrino dell'auto e poi bloccarcela dentro chiudendolo più che si può. Accendo il mangianastri sistemato davanti a me contro il volante... Salve Regiva, Madre di m1sericordia, vita... rof:.. grosc... rof:.. grosc... Gesù Giuseppe Maria, non mi si sarà rotto il nastro neh? E' stato don Pierino stesso a fare la conversione dal compact disc alla cassetta, me l'ha data ancora in novernbre facendomela cadere dall'alto dei cieli come una reliquia e dicendomi che, se la Santa Romana Chiesa per intercessione di Giovanni Paolo Il in Persona apre al rock e ai Misteri aiutati dalla tecnologia, un po' dovevo aggiornarmi anch'io e le mie pie donne del rosario. Ma io la sua cassetta la uso adesso per la prima volta, non 1 avrei mai messa su, mi ci voleva proprio una causa di forza maggiore per aprire le orecchie a questa scorciatoia del diavolo. E il sottofondo che ci vuole per rimettere l'anima a Dio. Ho fatto il pieno di benzina ancora ieri, e comunque me ne son fatto dare una tanica di scorta nel caso non bastasse quella nel serbatoio, e la chiave non la tolgo mai per abitudine. Pronta da sempre, sembrava dirmi solo ro . Jlraml . Ieri che era lunedì ho fatto un salto in Duomo (non ci riesco a chiamarlo Basilica) alle sette e mezza, un po' presto per il Terzo Triduo. C'erano solo, a parte le solite comparse, il cameraman e il tecnico delle luci di TeleVita per la messa in onda in diretta delle sacre ciacole, e subito mi sono fatto vedere dal sagrestano Lunardoni Battista, che stava ancora sgorgando le acquasantiere dalle cicche americane e che mi ha sorvolato con quel suo sguardo di enigmatica indifferenza, in forse fra la presupponenza dell'apostolo e la mestizia del sicario che esercita solo in nome di una ragione superiore Poi sono passato a non meno di dieci metri di distanza dalla Benita, l?arrampicatrice sociale ora scalatrice di pensioni d'oro Belindi Velia, ricchissima e potentissima vedova dell'ex ministro Piedini. Invece di essermi grata del roseo e potente destino in gramaglie cui l'ho, seppur involontarlamente, indir1zzata negandole a suo tempo la 1 . . . . mla mano, ClOpO qU11:1C .1C1 anm ml guarda ancora come se uscissi in questo momento dai gabinetti delle femmine delle scuole medie San Giovanni Bosco senza esserci andato dentro per una combina con lei, quella kapò in calore di ex bidella. '' La Belindi Velia era con un paio delle sue pittime di Borgosopra coi colli di martora e di volpe argentata che si stavano incipriando a vicenda per dare il meglio di sé nelle riprese e, ovviamente, aveva a fianco l'ex preside Longamano che la Belindi Velia sta dirigendo a bacchetta verso la miseria e la follia. Lo stava proprio aztittendo stizzita, «Cuccia te, perquindi!», quando i nostri sguardi si sono incrociati; ho fatto uno svelto segno della Croce e me ne sono andato per i fatti miei, a Castiglione delle Stiviere (Dio c'é). Non se ne sono nemmeno accorti che tagliavo la corda... la corda, già... tanto per dire quello che conto ai loro occhi, anche sc lo so che i Tridui sono da anni proprietà privata della Belindi Velia e neppure don Pierino osa contestarglieli e io, che ai Tridui ci sia o no, fa lo stesso. Anzi. Tale è la smania da protagonista dell'istrionica Belindi Velia che, prima un giorno poi due giorni prima, adesso i Tridui da noi iniziano anche dieci giorni prima di inizio (2uaresima. Per temperare la baldoria carnascialesca delle carni «prima chessia, perquindi, troppo tardi per le anime», dice lei. Perché per lei il congiuntivo del verbo essere è chessere. Stamattina Martedì Grasso, invece, quando per l'ulti i ma volta sono andato a messa prima, per chiedere perdono al Paraclito e vedere se può farmi la grazia di conferirmi il Purgatorio invece delle pene eterne, all'uscita c'erano già due bambini mascherati in giro, tremavano dal freddo e così solitari e silenziosi si lanciavano coriandoli, i coriandoli sembravano velarsi di brina ancora in volo, piazza Garibaldi era deserta, un operaio del Comune stava mettendo le transenne per far deviare le auto in vista dei carri mascherati che a quest'ora ormai staranno già rientrando negli hangar da dove sono partiti alle due del pomeriggio, è strano come anche il presente valga ancor meno del futuro improvvisamente già passato, il putto aveva una falce di cartastagnola in mano e la puttina una bacchetta magica che finiva a stellina. Così mattinieri ma così tardi nei movimenti, sembravano dei nottambuli più alla fine che all'inizio di una festa, più due vecchi gnomi raggrinziti dal sale della vita che due bambini ancora sconditi. La puttina però, tutta rosa come un bocciolino di papavero, era così paffutella, così tenera che l'avrei mangiata, tanto che d'istinto mi sono portato la destra all'altezza del cuore, dove nella tasca interna della giacca tengo il mio coltellino a serramanico per quando vado per campi, però si vedeva che aveva anche un po' di febbre. Se avessi avuto tempo, le avrei detto di seguirmi che gliela misuravo io. Ho scacciato il pensiero, pur se innocente, con un segno della Croce. Non ho visto don Pierino né ieri né stamattina, certo improvvisamente ha mille cose cui pensare, il cappello arcivescovile piovutogli sulla testa così, dall'oggi al domani, a sentire lui. La comunicazione gli sarebbe arrivata giovedì, all'indomani delle esequie dell'ultimo ed ennesimo morto per propria mano qui a Pieve di Lombardia (Dio c'é), ultimo almeno per il momento, perché adesso ci sono anch'io e chissà che non si accodino altri volontari dopo di me. IL fatto che le esequie del l'ultirmo ci siano state il pomeriggio ma quelle del penultimo appena al mattino~ lascia ben sperare. I duez suicidatisi assieme? non erano imparentatiF se non nel vizio quindi due cortei, due funeralin un mal di piedi! E' una vera e propria ecatombe che si è estesa anche fuori Pieve, a Castenedolo (Dzo c'é), tanto per dire un altro paese. Un virus provinciale, si direbbe. Comunque, non so chi sostituirà don Pierino qui in canonica e nemmeno mi importa. Non ci sarà un terzo abate nella mia vita laudamus. Domani è il Mercoledì delle Ceneri. Le finanze della Chiesa sono cenerine, cioé agli sgoccioli, dice don Pierino, e il Papa dunque incide il Rosario per noi, Egli dà una spintatlla ai poveri di spirito e di scarsella perché devolvano attraverso le Messaggerie Musicali quello che non versano più direttamente nelle cassette dell'elemosina. Egli innalza preci ed Egli intona canti a uso degli afoni, dei sordi e dei pantofolai, Egli registra, Egli duplica, Egli serializza per l'Uno a favore di tuttin Egli. Io preferisco le cose dal vivo, ognuna col sNo rosario in mano e con i banchi della chiesa in quadrilatero, visto che nessuna si porta più la sedia da casa, anche perché le mie abitué sono la mia unica fonte di informazione di quello che accade e non accade in paese. i nati e i morti e i colpi di testa delle donnc sposate, tant'c vcro che, dopo i primi grani dei Gaudiosi, che piacciono poco a tutte, le mie pie cominciano a parlare di questo e di quello, e i Pater e lc Avemaria che non abbiamo detto qui glieli do per penso a casa. Vanno matte solo per quelli Dolorosi, le birbaccionef A parte la preghiera di Gesù nell orto degli ulivi - che considerano un antipasto dolce di sale coi tre chicchirichì al posto delle olive per permetterc al (.risto di predire a Pietro i suoi tradimenti al canto del gallo -. quando attacco con la Flagellazione partono in quarta e dalla Incoronazione di spine alla Salita al monte Calvario non le tengo più, a qualcuna cade il rosario di mano dalla frenesia di arrivare al dunque, più di una volta c'è stato un mettersi carponi, chi poteva perché siamo tutti piuttosto avanti con gli anni, lì a quattro zampe a raccogliere i chicchi di bachelite che saltellavano sul pavimento di ardesia ormai sconnesso e, arrivate alla Crocefissione, cominciano a tremare e poi a tendersi contro gli schienali e a serrare gli occhi e a lasciar uscire un grido, un bisbiglio su due finché non si lasciano andare esauste allungando in fuori le gambe, abbandonando le braccia lungo i fianchi coi palmi delle mani in su e sospirando, sospirando, sospirando, sospirando quattro volte una per il Padre, una per il Figlio, una per lo Spirito Santo e una lo sanno solo loro. Siete delle tarantolate un po' più compunte, vorrei dirgli, ma non hanno mica i bollenti spiriti, alla loro età! A parte la Bocchino Rosa (vedova Paleocapa, ma chi mai la chiama così? si è sposata col fu Ermes che era già quasi nonna da signorina!) le altre pie sono soltanto delle ribollite spiritate che stanno per calare di là anche l'altra gamba e vogliono ingraziarsi Dio con un pizzico in più di civetteria. Sbattono femminilmente le vene varicose un po' e morta lì. La Bocchino, invece, va ancora nei dancing cogli uomini, lei! E veste solo rosa e fucsia incarnato, l'incosciente, alla sua età, anche nella lacca delle unghie e nel belletto della bocca, la sderenata, e quello che è il rosso per la farmacista Bertucci, è il carnicino per la Bocchino Rosa I Misteri Gloriosi per farmeli me li fanno, ma una volta su due se non bigia questa marina quella, e poi c'è sempre qualcuna che tira le cuoia all'improvviso e nessuna prende il suo posto e alla fine eravamo rimasti di fissi io, che di solito guido l'Enunciazione dei Fatti, la cara signorina Bentivoglio Giuseppina ora con la pelle di un r bel giallino vivo ma che conosco da quando ancora tirava a un bel rosa spento, poi la vecchia Alice in carrozzella che si alterna con me nell'Enunciazione, la già detta vedova Bocchino Rosa scalpitante e sempre con l'occhio all'orologio, la Caroli ex custode del Teatro Sociale che mi viene su dal ricovero in divisa di servizio, ma poi di fisse basta, tutte saltuarie, e gli uomini poi, da non farci alcun affidamento. Prendi la cara, impettitissima signorina Bentivoglio Giuseppina dai capelli violetto nel retino, guanti di pelle nera e borsetta marrone a scaglie, fianchi amplissimi e giacca a quadretti beige; ormai striminzita sul petto matronale, il bottone ch&?le tira nell'asola centrale: Ella da un cinque anni non viene più con la sua "micia" Chitari Luciana che, ormai redenta e imprenditrice in proprio, e succuba com'era, a forza di imitare in tutto e per tutto la sua protettrice di gioventù da ultimo va in giro vestita da donna normale anche lei. La signorina Bentivoglio Giuseppina adesso si accompagrta molto spesso a una neofita giovanina e mite che resiste poco alla disciplina della Fede Professata e che ogni volta lascia posto a una che resiste ancor meno, eppure sono tutte già filippine o indiane, voglio dire, già cattolicissime per indole ed educazione, ma i tempi sono cambiati anche per una grandonna come la Signorina, gli orfanotrofi o sono chiusi o non prestano più la materia prima, Ella non riesce più a tirarsi su una ragazza di servizio nostrana, una cameriera tuttofare come si deve e delle nostre parti come la mia Tilde, alla quale concedere l'onore di accompagnarla in chiesa e di stare quasi del tutto accanto a lei, in piedi appena fuori il banco di famiglia, tanto che ultimamente quasi sempre l'accompagnava una delle tante sorelle tutte zitelle come lei, finché non mi ha tolto il saluto e ha mandato a far portar via dalla chiesa del Suffragio le sue due sedie di paglia di Vienna. La vedova Bocchino Rosa in Paleocapa... chiamata dalle sboccate Bocchino d'oro non per niente come si potrebbe pensare ma per via e del bocchino da sigarette in oro del Giappone che usa sia per darsi un tono infilandoselo vuoto in bocca sia per ravvivarsi la permanente e per via dei suoi gioielli di bigiotteria vinti coi punti regalo o trovati direttamente nei fustini del detersivo che lei spaccia per ori gitani di Valenza sul Po, in Spagna, secondo lei... be', la Bocchino un giorno che aveva ancora il marito più di là che di qua per via che a lui l'amianto gli si era incistato sotto la prostata fra l'...ah e l'...uh, be', la Paleocapa Bocchino Rosa mi arriva dentro in chiesa che dall'eccitazione non stava più nel decolté a cuore e faceva sballonzolare sotto gli occhi di tutte una collana vinta al quiz di TeleVita Scher%a coi fanti ma lascia stare i Santi, un doppio gìro di granulomi informi e bitorzoluti di chissà quale plastilina, e grida come una Regina di Saba, «E' una collana di perle scaracazze, di perle scaracazze, care mie!», che solo la vecchia Alice fine intenditrice di tutto ciò che luccica anche minimamente, era riuscita ad andare a fondo di quel tipo di perle scaramazze lì, e lei che voleva aver ragione a tutti i costi e mica si dava per vinta, «Cazze o mazze, siamo sempre lì», protestava. Esuberante la vedova Paleocapa, straripante di involontari doppi sensi scaracazze comprese, che non l'aveva detto apposta, le escono di bocca così, perché non pensa che a quello, alla zenzualità dei suoi giovani adulteri che le forniscono peccati sempre freschi che deduco di venerdì in venerdì. C'è sempre un nuovo spasimante che l'aspetta fuori dalla mia chiesetta del Suffragio per portarla a ballare il liscio al Boomerang di San Martino della Battaglia (Dio c'é) o al Kursalino di Bettole di Sotto (Dio c'é), «Non pensare male, neh, è solo un amico plutonico dei Novagli» (Dio c'é, il cartellone stradale è attaccato al r cimitero), dice lei, che rispetta il precetto del venerdì con un intero baccalà alla vicentina, «dopo tutto un giorno di magro due salti non fanno male», ma anche plutonico dei Chiarini (Dio c'é), plutonico delle Fontanelle, che non fanno frazione... le Fontanelle sono chiamate così da quando, una trentina d'anni fa, allo sbocco di una sorgente è apparsa la Madonna alla fu Matta Cili, osteggiata a suo tempo da don Pierino almeno quanto oggi osteggia, a suo dire, il Paragnosta che è andato a stare nel podere della visionaria... (e pertanto, non esistendo alcun cartellone stradale per ricordare alle genti, grazie a un po' di vernice a spruzzo, che Dio c'é, Dio c'è lì non c'é) e poi plutonico del SSntellone (nomignolo per Santa Cristina e quindi Dio c'è a Croce di sant'Andrea su Santa Cristina), plutonico di Vighizzolo (Dio c'é), plutonico di Rho (Dio c'é), la nostra Rosa è concupita da interi alveari di plutonici amici ballerini delle frazioni! tanto, amianto e carbonio e plutonio che differenza fa, le spariscono tutti di sotto e di sopra, chi dalla faccia della ~erra chi alla terza mazurka, tutti ex paesani che andavanto dietro ai piò e poi sono passati in fabbrica, e tutti sposati con figli, e che spasimanti! IL più vecchio dei radioattivi avrà avuto quarant'anni, con lei che gli potrebbe fare da balia, povera Rosa, sempre grata di tutto e di niente, i salti di gioia che fa quando le do, ancora viva, la mia gallina del momento da mettere nella pignatta! Le ho chiamate tutte Neutra perché, a parte una nera abissina, che poi non era neanche una gallina, sono state tutte bianche come un giglio, tutte con la cresta rossa, belle nostranotte e in carne, di quelle tipo gallina vecchia fa buon brodo anche se a me solo la parola vecchia mi fa passare la voglia ma mica mi potevo tenere le oche nel sottoscala, c'ho anche provato, non invecchiano mai, sì, ma che brontolone maicontente, mangiano come delle brontosaure e sempre quaquaqua per niente. Una gallina e in gabbia basta e avanza. Tanto, per la compagnia che ti fa. La Paleocapa ci mangia una settimana solo col ripieno, col suo ripieno che si fa lei cogli amaretti e for maggto e uova e pan grattugiato, voglio dire, io che c'entro? poi ai miei rosari dicevo c'é... o meglio, c'era... per una ragione o per l'altra crepano tutte che è un piacere... ma se è per questo anche la signorina Bentivoglio Giuseppina, come dicevo, due anni fa ha dato forfait dall'oggi all'indomani... ai miei rosari c'era appunto la famosa Alice dall'ambitissima eredità, ex semplice impiegata dell'Ufficio del Registro e Imposte qui di Pieve di Lombardia fino al pensionamento e poi, a domicilio dei maggiorenti del luogo, cuoca con una batteria di cinque ex finanzieri in pensione ai suoi ordini. Da sempre tale esperta in titoli di Borsa e in valuta estera e in fisco e sue scappatoie, si mormorava che la buona Alice avesse un filo diretto con la Banca del Vaticano e la sua filiale principale, la Banca d'Italia; tuttavia la buona Alice non trattava coi o per conto dei privati come il mio vicino commercialista T. che lo fa di mestiere, lei ha amministrato sempre e solo i suoi capitali e per sé. E per la finale gloria di Dio. Orba a un occhio fino a pochi mesi fa per via di uno schizzo di olio bollente a cavallo del secolo (scorso) ma l'altro con una vista! da lince! fax, computer, videotel, videocitofono, parabolica, telefonino senza fili, l'Alice, e recentemente una roba intitolata Internet, se c'era una novità era lei la prima a farsela installare, ma per il resto non conosceva lussi né sprechi, infermiere plurispecializzate a parte. La parsimoniosa Alice abitava dirimpetto al mio campanile e a venti metri dal mio lindo rifugio anche se avrebbe potuto comperarsi il Castello Bonoris, e perciò non poteva ribellarsi ai rosari, una menefreghista di una, troppo misantropa anche per essere bigotta, però basta r va andare a prenderla e portarla in chiesa con la sua sedia elettrica e riportarla a casa che ci stava, ma guai a telefonarle per dirle di farsi accompagnare dall'infermiera di turno! Per convincerla bastava farla sentire autonoma, desiderata per quel che era in vita non per quel che aveva da elargire da morta, per esempio farle un complimento per la sua voce sottile e rimbombante, da oltretomba eppure potente come quando per esempio raccontava di Gesù che scaccia i mercanti dal tempio con la frusta... sentivi i sibili a fior di pelle, ti lisciava l'anima con le sole vocali. Quando l'Alice parlava in casa sua... grande, sì, e tutta ristrutturata e tanti qi quei sanitari dappertutto che credevi di schiacciare un interruttore e invece era lo sciacquone di un altro cesso occultato vuoi nell'anticamera vuoi nel salone, bella casa, sì, ma insomma niente di speciale se si pensa a quella dei T. e dei D. qui a fianco... be', se lei apriva bocca e io mi trovavo dentro il campanile a divertirmi col mio passatempo prtferito... che è catturare i topi con le mani riparate dentro un sacco di juta e sgozzarli lentamente con due dita fissandoli per dimostrargli la superiorità dell'uomo, la mia almeno, mio unico sfogo nella vita, mia unica superiorità su qualcuno, galline a parte... io, per un incantesimo delle onde sonore, non me ne intendo di questi fenomeni, sarà per effetto della corrente d'aria impaludata che sale dalla pianura e si scontra con quella ristagnante che scende dal colle di San Pancrazio, io sentivo tutto come se la avessi lì davanti a me l'Alice, va be' che dalla sua finestra all'oblò del campanile in linea d'aria ci saranno quattro metri, ma avremmo potuto parlarci tranquillamente come se fossimo stati faccia a faccia... sempre che lei continuasse a parlare e io ad ascoltare e basta, perché io non gliel'ho mai detto di questo arcano padiglione acustico che avrebbe fatto la delizia di qualcuno del l'Ufficio Tasse di oggi per incastrarla per miliardi, non certo per fargliele pagare tutte ma per costringerla a scendere a un compromesso come ha fatto lei con gli altri ricconi di Pieve per decenni, ricattandoli con la dovuta discrezione ma a tappeto, facendosi dare un regalino personale com'è logico a quei livelli lì di reddito e qumcl1 c .1 evastone. Oh, per parlare, parlava, ma non era una, la Alice, che dava o ispirava confidenza nemmeno conciata com'era... anche se secondo me la sua paralisi del tronco era tutta di testa, una paralisi decisa da lei quale ultimo ritrovato in fatto di comodità e di accidia... perché sarebbe bastato un suo battito di ciglia per restare stecchiti dalla deferenza che incuteva anche senza tre infermiere fisse in camice bianco ai lati del suo trono girevole. Lei, da modesta impiegatina dell'Ufficio Imposte, ha avuto ai suoi piedi tutti i proprietari di cave, di cantieri edili, di agenzie immobiliari, tutti i dentisti, gli impresari, i gioiellieri, i pellicciai, i grossi artigiani e chiunque di Pieve di Lombardia dovesse evadere in percentuale al fatturato senza fattura, e lei li ha avuti tutti ai suoi piedi dalla fine della prima guerra mondiale alla fine degli anni Cinquanta, figurati te la fortuna che la vecchia Alice ha ammassato prima per dire che l'aveva fatta dopo andando in giro a fare i banchetti nelle case private. Per farla breve, al rosario ormai siamo... eravamo quattro gatti e un trio di cani saltuari... la Caroli custode del Teatro l'ho detta? Il Teatro Sociale è un po' come lei: interamente di legno del Settecento friabile come segatura e tarli a vista, tutto un cunicolo e uno sbrego di carta da parati dalla pista da ballo al loggione, ormai quella polveriera è dichiarata inagibile del tutto e, a parte le mostre di pittura di locali, bravi artisti specializzati in mendicanti cadaverici, cristi sanguinanti sulla croce che sembrano fegati e coratelle e polmoni al gancio, decapi tati santi dai petti e costati squartati da frecce, da lance, da asce, pescatori grinzosi con la pipa in bocca e madri dolenti con bimbo appena picchiato in braccio, il Teatro Sociale viene aperto al pubblico solo una volta all'anno, stasera, per il Veglione dell'Ultimo di Carnevale che ci saranno più vigili del fuoco pronti con le maschere che plevensi in maschera. Comunque al Veglione Mascherato di stasera ci vanno tutti-tutti, sindaco, autorità, pretore, avvocati, notai, imprenditori, dame di carità, tutta la gente importante del paese che potendo pagare entra con l'entrata di favore, pagare pagheràrsolo la vedova Paleocapa, ci scommetto l'anima, e ancute don Pierino vi fa una capatina con la madre verso le undici per vedere che non si oltrepassi il segno, persino le sorelle Bentivoglio e le due nipotine e i figli ormai adolescenti di queste ultime ci vengono dalle dieci e mezza alle undici e quarantacinque tanto la decenza pur nella baldoria è garantita. Nessuna di casa Bentivoglio è mai uscita (|al palco centrale, nessuna, a memoria di generazioni, ha mai fatto un ballo con un uomo, a parte a suo tempo il fu Cavalier Ferdinando con consorte, credo che le otto settuaottogenarie più cognata ci vadano per provare l'unica felicità pagata col biglietto gratis, quella che a un certo punto possono anche andarsene a casa e nessuno le ferma. Io mi ricordo che una volta da giovine, avrò avuto un quarant'anni, sono salito dalla scala esterna dell'uscita di sicurezza del loggione e mi sono sollevato fin sull'oblò che dà sul sottotetto e già allora le assi erano così scollate che da un nocchio ho potuto guardare giù in pista: le coppie ballavano stancamente almeno quanto suonava l'orchestra, tali Due+Due di Orlandi Nora, tutta la gagliardia sembrava rifluire negli intervalli quando finalmente la smettevano una buona volta di suonare e uomini e donne non erano più costretti a fingere un qualche interesse fra di loro solo perché allacciati nelle danze. Che fermento, che attività quando le donne ritornavano tutte nei palchi a parlare di uomini e gli uomini tutti fra di loro al bar del loggione a parlare d'affari! E non uomini qualunque: assessori e consiglieri comunali e grossi latifondisti e commercianti di bestiame e direttori di banca e impresari edili e droghieri in generale che, mentre riaprivano le dannate danze, continuavano a chiudere accordi in linea di massima e a fissare altra carne da mettere sul fuoco, con la Caroli in divisa di grisaglia che sfrecciava a fare gli onori di casa come se fosse casa sua, porgendo il benvenuto a questo e a quella, ai più in vista, si sa. Da mezzanotte gli uomini smisero di fingere: mandarono giù in pista le mogli da sole, che se la vedessero fra di loro sia col cha cha cha sia col valzer e anche coi lenti. Ridevano e ridevano, ma intanto si strusciavano i personali. Non era un bel vedere. Non riuscii a staccare l'occhio dal nocchio fino alle due, che chiusero. Povera Caroli anche lei, dov'è mai finito il suo sacro terrore verso le alte cariche e le grandi toilette delle signore firmate a seguito, a che le è servita la sua ossequiosità tutta inchini verso i trampolanti più di panza e di pelo sullo stomaco? L'hanno persino sfrattata dalla portineria anche se le hanno lasciato le chiavi del teatro, lei che ora passa la vita dentro e fuori l'ospizio a scopare via i coriandoli e le stelle filanti che non ci sono e a lustrare i palchi dai quali da anni si affaccia sola soletta cantando «Vola, colomba bianca vola» e, per creare presenze, batte le mani. Una volta ha battuto persino le ali: è caduta giù dalla seconda fila di palchi perché era franato un pezzo di parapetto, frattura del cranio e prognosi riservata, ed è ancor tanto che col colpo che ha preso il parquet e le scintille che lei deve aver causato col suo ormai mineralizzato fracchettino nero da gran sera non abbia preso fuoco tutto... e poi ah, dimenticavo, di quasi regolari che mi vengono al rosario c'è la Cherubini vedova per enfisema polmonare e la Serafini vedova per cancro alla vescica e la Cinguetti vedova per cancro allo stomaco e la tabacchina Santacroce vedova per cancro congenito (i dispiaceri causati al marito sanissimo dal figlio drogato cronico), qui in piazzetta del Teatro Sociale e dintorni ci sono quasi solo vedove di operai del vecchio boom industriale e sindacalista, quelli che dicevano adesso gliela faccio vedere io ai padroni: tutti morti prima di andare in pensione, di cui hanno goduto solo la reversibilità alle loro spose. ;. Poi ci sono i curiosoY:li, i seminatori di zizzania, che cartoline di gente! Le pantegane provocatrici... Di recente mi veniva al rosario tipo il maniaco dei treni ferroviari e dei trenini elettrici Bertucci Ettorino, alto, fiacco, un decadente di uno, una pancetta molliccia che gli parte dallo sterno, sempre con la barba trascurata, l'epilettico farmacista figlio della stramba e autoritaria f~trmacista Bertucci, quella che ha sepolto la sua scimmietta Macaca, l'unico essere che lei abbia mai amato in famiglia, nel giardino di casa sotto un peristilio neoclassico in marmo nero e che minacciava di chiamare un vescovo della Chiesa valdese a celebrarle un funerale da primate perché dapprima don Pierino si opponeva ai funerali cristiani ma poi, volerevolare, il Romanino e i due Pinturicchio da restaurare... La signora farmacista Bertucci è inconfondibile, veste solo di rosso, ha i capelli rossi ma non rosso rame come si può pensare o rossastri se ora le è venuta male la tinta no no, rossi-rossi, ha il rossetto rosso che le sbava fra narici e mento, le unghie rosse, i guanti rossi, il basco rosso, i pomelli di cipria rossa, le scarpe rosse, il tutto della stessa gradazione di rosso pomodoro in scatola, i suoi capi di vestiario preferito sono un ampio cappotto r di felpa rossa e una pelliccia di astrakan che in origine dovrebbe essere nero, come m'ha detto a suo tempo la vedova Siderpali Fincasa: tinta di rosso anche la pelliccia di astrakan. E anche il laccio, il fermaglietto, le scarpine, il collarino di Macaca erano rossi, e anche il suo sguardo di farmacista che odia dare il resto delle medicine rosseggia di autocompassione fino a non fartelo prendere se non con altre medicine di piccolo taglio, aspirine due per due e caramelle al rabarbaro di preferenza, ma anche purgantini monouso, il dentifricio antitartaro al fluoro rosso, il guanto-spazzola appena visto alla tivù buono anche per strigliare i cuccioli. Sì sì, anche le sue pupille sono rosse come quelle dei conigli d'angora, ormai, e la si scusa di tutto questo rosso esibito per decenni perché non c'è fedele più anticomunista e più contraria agli ebrei di lei. Quelle rare volte che sono andato in farmacia con una ricetta del dottor Dioticuri, lei me l'ha respinta dicendo che non era valida e di andare da un'altra parte e di farmi cambiare medico della mutua e che il brutto dei Lager è che non erano chiusi bene. Ma non è cattiva. Inoltre tiene al Milan. Insieme al notaio conte Pezzulli & Parenti, la signora farmacista Bertucci tre anni fa ha fondato il locale Club di Forza Igiene che poi hanno vinto alle politiche e così anche Pieve di Lombardia ha mandato in Parlamento il suo bel Pulito Che Avanza, il non più giovin ma aitantissimo gentiluomo Pezzulli Giovanni, divorziato, due figli, con un curriculum di studi impeccabili lungo da qui alla Svizzera, dove, dopo aver frequentato i migliori collegi, secondo la sua scheda biografica, si è fatto un nome nel ramo finanze e del quale chi non dice che farà impallidire la sfolgorante carriera del fu ministro Piedini dice che farà impallidire i migliori avanzi di galera. Malignità, ché uno che nasce da una cotal casa, e poi con quel pedigrì lì, può dare i natali solo a qualcosa di bello, nuovo e pulito. Chissà che nobili arti, che consumata diplomazia ha dovuto mettere in campo per vincere le resistenze della signora farmacista Bertucci che era disposta a finanziare la fondazione del Club del Cavalier Mipermetta solo se veniva chiamato Forza Epurazione ! O, ancora più di recente del Bertucci Ettorino, mi è venuto al Suffragio, cinque sere in tutto, tipo il pizzuto tracagnottino pennivendolo Quattrini Achille che somiglia a una imitazione di regale repubblichino tenuto a bagnomaria nelle nebbie londinesi, vestito sempre in simil-scozzese, che crede di andare al può anche quando va all'osteria del Cenacosìo degli Artisti a tenere prediche sull'Estetica Pangermarica Nelle Valli Dell'Adamello al pittore Cencio, imbianchino, e al mosaicista Bisù, piastrellista, già tramortiti in proprio dalla stanchezza; uno, il Quattrini, che non fa mai una gita in campagna ma va a digiunare sull'erba, la pelata mai col cappello ma sempre con bombetta a melone o con berretto dai paraorecchie rivoltati e annodati sopra alla Sherlock HXlmes, lui. Ha cominciato a venirmi al rosario l'anno scorso, per la precisione un quattro mesi fa, in seguito alla sconvolgente faccenda del Cinema Pace, si è affacciato al portale per chiedermi scusa e poi è anche restato a recitare qualche grano, e via a ripetermi che lui non c'entrava niente con gli altri due della banda e però le diecimila dell'entrata del cinema non me le ha mai restituite. Secondo me, me l'ha messo alle costole don Pierino o la vedova Piedini Belindi Velia per spiarmi o, con la scusa del rosario, per spiare piuttosto la stravecchia Alice fresca del trapianto americano coi fusibili che le ha restituito anche l'altro occhio, ora vagamente triangolare come l'occhio di Dio Padre... ah, le subdole minacce testamentarie dell'Alice contro don Pierino, ah, lei e quella sua stravagante, pericolosa cotta ideologica per la notaia Giu Domenica, una diavolessa sbucata dalle gore dell'ateismo più bieco che ha osato mettersi contro il notaio conte Pezzulli e pertanto contro don Pierino in persona... ma che conta ormai? Gli intrighi falce, ostia e martello di quelle due non contano più un fico secco. 'Sto Quattrini Achille, dicevo, pignolo, meticoloso, precisino, guai se non c'è l'ago nel pagliaio, non vede neanche il pagliaio, è chiamato Peppia d'una Peppia o il Bollettino di Pieve perché, non facendo niente tutto il santo giorno a parte girare il compasso direttamente sul legno del tavolo da disegno, si interessa solo ai fatti degli altri e conseguenti dicerie, cui contribuisce con metodo da archivista per inghirlandare i suoi famigerati articoli sul Bugzardino. Perché è buttando giù questi orridi scandalistici che si mantiene, mica facendo l'assistente a vita di se stesso in uno studio di geometra avviato dal padre e chiuso, anche se lo tiene aperto, da lui figlio per conclamata incapacità e incongruenza edilizia. Uno, il Quattrini Achille, che le case le comincerebbe olimpicamente dai tetti e i tetti dalle nuvole che lui chiama cirri, nembi, pecorelle per infiorare la sua prosa, ecco perché è riuscito a inserirsi nella curia vescovile di Brescia e a fare il corrispondente della Leonessa d'Italia bonariamente chiamata Il Bugiardino, per il resto quotidiano così serio e utile e attendibile, tutti gli orari delle sante messe di tutti i paesi e paesini tutti i santi giorni, tutti gli spostamenti dei parroci da un paese all'altro, tutte le sagre di tutti i santi patroni locali, e poi non parliamo di come sono coperti i viaggi di Nostra Santità e di tutte le donne anziane della provincia che sono cadute in bicicletta ieri. In altre parole, il Quattrini Achille è riuscito a farsi un nome lì nel giornalismo perché è fallito là dove una qualche capacità bisognava pur averla per emergere. E perché di nascosto fa la spia e magari è così stupido che non sa neanche di farla. Lo sperticato farmacistico maniaco dei treni Bertucci e il tracagnotto tettiarco imbrattacarte Quattrini sono due ometti inermi ma così... così strani di brutto, non bravi uomini, non buoni, due inetti sui quaranta inoltrati che di carattere ne dimostrano quindici come di spalle, ma sono due in vista in paese, cittadini che potrebbero dare il buon esempio a chi ha qualcosa da lasciare al vento, cioé a nessuno, vale a dire allo Stato, cioé a Satana, e allora tanto varrebbe che lo lasciasse alla Santa Madre Chiesa. Don Pierino me li esalta tanto anche se poi, soli come degli appestati tutti e due, a non avere parenti di fatto è solqEil Quattrini Achille, l'altro per averne ne ha. Sì, sì, caro don Pierino, aspetta e spera bella abissina che l'ora s'avvicina! entrambi sono di una tirchieria, di un egoismo, di un cinismo da sfiorare la spensieratezza, no, anzi, l'incoscienza perseguita a tavolino come massimo traguardo della vita, gente che secondo mX non sa di niente, né di me né di te, né di carne né di peswe, viscidoni che piuttosto di diventare consapevoli della loro pochezza preferiscono inventarsi una psicologia ad arte e quindi un handicap entro il quale illudersi di una grandezza incompresa, impiponi che sono stati a Caravaggio e a Lourdes e a Civitavecchia e a Loreto e hanno visto tutte le Madonnine in terracotta e tutti i Beati in maiolica che sanguinano lacrime di sangue vero umano ma che l'unico posto al mondo che hanno girato secondo me si chiama Ombelicomio, ma don Pierino dice sempre che non bisogna disperare, che entrambi sono scapoli di provata fede e che, se il Quattrini è agli sgoccioli, il Bertucci ha liquidi a non finire - quelli non ancora finiti nelle sgrinfie del Paragnosta delle Fontanelle che, con la complicità della moglie, a spese del deficiente figlio della Bertucci sta mettendo su un allevamento via l'altro di bestiame d'avanguardia, roba esotica, mica di campagna come i comuni bifolchi: struzzi da carne per l'industria conserviera e da piume per gli avanspettacoli delle televisioni Igieninvest e dei Club Forza Igiene, lui. E don Pierino giù a elencarmi le tante, belle proprietà senza nessuna ipoteca sopra del Bertucci figlio, mica per convincere me, ma per convincere se stesso a non disperare, e giù a dirmi che anche se i suoi cari genitori e sua sorella sposata - messi da parte e ripudiati e trattati come giornalieri mai visti prima - stanno facendo di tutto per far interdire l'Ettorino dopo essere stati costretti a dargli e la farmacia e la sua legittima grazie a una causa da lui intentatagli e vinta, non è detto, bisogna insistere con lui, col mago Paragnosta e sua moglie paracula delle Fontanelle è inutile, sono dei miscredenti che approfittano del ruolo vacillante dei regolari pastori d'anime e dell'altissimo tasso di credenze pagane e di superstizioni anche fra i battezzati del miglior ceto. Vedrai, vedrai Pino, mi dice don Pierino, portiamo pazienza, che verrà il momento anche per quei due scapoloni d'oro di ravvedersi circa le improcrastinabili esigenze temporali del Sacro e di mettere mano ai cordoni della borsa per sposarsi con la Beata Vergine Maria! Però la pazienza la devo portare io se per intanto mi vengono al rosario solo per seminare zizzania nel coro delle mie pie donne con la loro religiosità tutta parole e niente fatti. Il fatto è che coi loro sproloqui idealistici di chi l'ha sempre trovata pronta sul cucchiaino d'argento sin dal battesimo, e in abbondanza, il Bertucci e il Quattrini hanno rotto l'anima a tutti qui in paese e non c'è più neanche un vigile che li sta a ascoltare, a parte perdigiorno, direttori di banca ed esibizionisti che si intrattengono col Quattrini perché segretamente desiderosi di apparire in cronaca, e il Bertucci Ettorino se vuole fare due chiacchiere fuori dalla farmacia, disertata da tutti perché di lui a maneggiare i medicinali non si fida più nessuno, deve accontentarsi del figlio degenere della Santacroce che ha... o meglio aveva la tabaccheria lì in piazza di fronte. Quando il Santacroce Gigliolo va a comperare il metadone e le siringhe, il Bertucci gli pianta un chiodo tale che può reggere solo uno che si buca già alla grande. E deve essergli così riconoscente che quando sua mamma, in occasione dell'inaugurazione del Club di Forza Igiene, gli ha comperato un montgomery di pelle del tutto uguale a quello che ha perché quello che ha addosso faceva già schifo da anni, l'Ettorino che ha fatto? dopo la crisi epilettica che gli è venuta perché nell'aprire il pacco c'era lsdumento e non il regalo elettronico dei suoi sogni, il Pendolino giapponese, ha preso su, ha attraversato la piazza e l'ha messo nelle braccia del Santacroce. Inutile dire che addosso al Santacroce il montgomery nuovo in un battibaleno ha fatto subito schifo come quello vecchio restato in spalla al Bertucci. Ecco perché il Bertucci e il Quattrini, quei due falliti coi soldi, vengono qua ai miei rosari nella ctiesetta del Suffragio, ignorandosi e disprezzandosi velatamente l'un l'altro come due priori nello stesso convento di converse: vengono qui a farla da protagonista solo per attaccare alle mie umili e poverine dei chiodi senza capo né coda, l'uno, il maniaco dei treni, sui possibili orari-luce e i chilometraggi dei diretti nonché intercity dalla Terra al Firmamento di Dio e l'altro, l'architetto delle catastrofi, sull'infinito amore che il Creatore manifesta ai Maori delle Isole dei Mari del Sud spazzandogli via le capanne e ogni bene durante gli uragani che così imparano a fornicare con dieci concubine per volta e a dare la colpa alla luna. Don Pierino vedrà anche più lontano di me, ma secondo me quei due non hanno niente da dare al Signore e alla Sua cassetta delle elemosine. Dietro la loro apparente mitezza e sconsolazione per la sordità del mondo alle loro inconfutabili verità c'è la sete dei vampiri ridotti a succhiare da Dio perché nessun mortale ci sta più a farsi succhiare da loro. Questo sì. Bene. Insomma, quando mi va bene saremo... saremo stati... in massimo dieci a spartirci centocinquanta avemarie più i paternostri... ma perché non vai mangianastri della madosca che voglio lasciare la vita al suono melodioso della voce del nostro amato Vicario di Cristo? Ecco, riparte... rof. . grosc... rof... Oh, nooo. Io non sono un lunatico, se qualcuno mi sta sul gozzo ho le mie buone ragioni: il Bertucci Ettorino... che si soffia il naso nelle mani e se le asciuga nelle maniche del montgomery, che chiede se ha una sigaretta alla vedova Paleocapa che non fuma ma che le tiene per gli uomini e che sta viva con la rubinetteria smerigliata a casa e con la minima sociale dell'Ermes, il quale ha preferito lavorare non assicurato quando venivano assicurati anche gli asini alla stanga, e questo per dire che il lavoro in nero dipende quasi sempre dai lavoratori troppo ingordi non dagli imprenditori inadempienti con l'Inps... be', il Bertucci Ettorino, tanto per dirne un'altra, per fare dispetto ai festaioli della domenica che vanno al lago, si inserisce con la sua vecchia Maggiolino nera alla testa della colonna di auto già lunga centinaia e centinaia di carrozzerie e guida beato a venti all'ora e la colonna dietro a lui diventa un serpentone di chilometri infernale per clacsonate, finti sorpassi, tamponamenti remoti, mentre lui, al colmo del nirvana individuale e dell'eccitazione sociale - paga il bollo, il signore -, imperturbabile alla bile degli altri che gli preme contro il cofano ma non lo tange, davanti a sé ha il privilegio, monarchico, unico, irrinunciabile, di tutta la strada libera che vuole per approfittarne. Approfittarne per non far uso di un solo centimetro in più per snellire l'intasamento, altrimenti che l'avrebbe provocato a fare? Lui con la scusa di dire che è epilettico salva sempre capra e cavoli con tutti quelli che al weekend e al primo semaforo dopo le arche di Desenzano (Dio c'é) riescono a tirarlo fuori dalla macchina per linciarlo sul posto. Lo strano al rosario, quando il Bertucci mi cade in quella sua specie di catalessi mistica, ha questo di stranissimo: che, come trasportato in una emotività così travolgente da non appartenergli nemmeno più, e io non so se ci fa o se ci é, dice le parole imitando la voce di qualcun altro, sicché a volte gli chiediamo di dire il rosario al posto di un qualche anticristo che lì non ci metterebbe mai piede... oh, è unp spettacolo impressionante per tutte, anche per quelle che hanno già visto il tavolino ballare... e così ci sembra di aver convertito per un po' l'infedele preso di mira per alzata di mano, tipo l'otitico cartolaio Zainetti che fa la guerra a don Pierino per via delle campane fuori ora e fuori tutto, e pensare che vent'anni fa è stato proprio don Pierino a cedergli la 1icenza che era di sua mamma, tipo l'idraulico RugiolJtti che ha messo su una setta di sbattezzati così famosa che vengono perfino dall'Emilia Romagna, o la Piegolini che al Bronx ha una merceria di intimo femminile, la Bulli ma pupe, dove entrano a comprarli solo uomini senza nemmeno la scusa di fare un regalino alle fidanzate, perché sono tutti uomini con il seno da donna ma addirittura anche senza, una, la Piegolini, che tiene il Crocefisso a testa e a peplo in giù per vedere, si dice, se Gesù rivela la marca degli slip, ammesso li porti, e se non li porta, quanto è dotato sotto... l'effetto che fa il farmacista in trance o trans che sia è scioccante, basta chiudere gli occhi o guardare da un'altra parte senza farli cadere sul Bertucci, che tiene semplicemente aperti i suoi mentre parla, e l'illusione è perfetta. Se invece lo guardi attentamente, noti che la catalessi in lui è del tutto invisibile, qualcosa di così interiore che non ne vedi alcuna trasfigu razione sulla faccia e nella postura, solo gli occhi un po' più sbarrati del normale mentre lui va avanti con la voce, col sistema nervoso legato alla lingua di qualcun altro. IL Bertucci dice che lo fa come antidoto allo svenimento: quando sente che gli sta venendo una crisi epilettica, diventa qualcun altro e l'epilessia, il male, si trasferisce altrove, sull'infedele di turno per l'appunto che ce n'è già così tanto che peste lo colga. Peccato che non sempre la sente arrivare, dice, e allora sono botte alla testa, crampi, contorcimenti, sono dolori, e per i giorni di convalescenza ci sono solo i suoi orari ferroviari e i suoi trenini elettrici a fargli compagnia. A me, che Dio mi perdoni, se anche cadesse all'indietro e battesse la testa non mi farebbe impressione, non ha mai portato una candela in offerta che è una. Comunque, qui da noi al Suffragio non ha mai avuto crisi, e secondo me la sua epilessia è alquanto a comando, una finta malattia come la paralisi dell'Alice, una forma di ricatto contro i suoi, che ne hanno voluto fare un farmacista anche lui e non il capostazione con paletta rossa e fischietto come lui voleva, o forse a forza di fingerla gli è venuta davvero, chissà. Tanto, anche se si rompe la testa, ormai non si rompe più niente. Ma almeno gli togliessero la patente, e invece, siccome è il figlio farmacista della farmacista, no. Un pericolo pubblico finto nella lentezza e finto nella velocità è finto anche nella Pietà, dico io. Le altre lavative, quelle che se mi vengono al rosario non mi vengono alla novena e se mi vengono alla novena della Madonna non mi vengono a quella del Bambin Gesù, dicono che in chiesa fa troppo freddo per i loro reumatismi sia di maggio che di febbraio che in ottobre che in dicembre e io gli rammento che neanche nostro Signore Gesù Cristo aveva i pannelli solari sulla stalla quando è nato. Sì, rispondono, ma almeno aveva la paglia, il fiato di due animali e non aveva neanche tutto 'ste popò di rosari da dire, Lui. Già il calo dei partecipanti è andato alle stelle e all'altro mondo di anno in anno per conto suo e poi il CD del Santo Padre ha fatto il resto: concepito per i giovani, ha mietuto vittime fra gli anziani con l'Hi-Fi portatile, chi glielo fa fare di alzarsi dal letto e di venire in chiesa a pregare per la loro anima già così prospiciente il cospetto di san Pietro, anche i miei assistiti dell'ospizio hanno disimparato i Misteri, perché per suor Lucia è un bel sollievo adesso il nuovo impianto a filodiffusione, quando non li schiaffa davanti alla telfvisione a pelare le patate gli accende lo stereo col Salt'erio di Papa Wojtyla e le sgranano i fagioli e i piselli in ogni posto del ricovero che è una meraviglia, che così lei gli dà anche l'illusione, poveri sdentati, che i legumi che mangiano loro non sono surgelati, perché quelli freschi se li tiene per sé e le professionali, non tutte, quel paio che lei si porta in pancia, perché suor Lucia va a simpatie, mica per meriti, afche se è una suora per molti aspetti è rimasta una donna. Come con le penne di struzzo rosa che da un po' hanno preso a circolare non solo fra le vecchie svanite ma anche fra i vecchi normali dell'ospizio: a pagamento se le stanno sul gozzo o tramite scambio in natura se le vanno a genio cioé se nella covata le ubbidiscono a bacchetta. Riavvolgo il nastro, speriamo in un miracolo...... Salve Regina. . ginaginaginarinarinarina riinariinaRiinatò tò tò tò Ho spento la luce nel sottoscala, intanto tengo i fanali accesi, così ci vedo abbastanza da far andare avanti e indietro il nastro, l'importante è che almeno non si scarichino le pile di questo aggeggio qua, le ho comperate nuove ieri apposta da un pulito negro, in giacca e cravatta e pantaloni con la piega, ormai non sanno più come vestirsi e che vendere pur di non andare a lavorare, giron zolava lì vicino all'Ufficio Postale di Castiglione, dove c'è anche un edicola da cui mi servo ogni tanto e la giornalaia m'ha salutato da lontano stupita che non andassi a comperare una cassetta di Combat o di All'armi! o che, le violette invece le ho prese a due passi dal cimitero dal fiorista che fa anche servizio Interdeflora, mi sembravano così fuori stagione, così miracolose, così adatte, le ho tenute in un bicchiere sul coperchio della cassa da morto fino a pochi minuti fa e poi le ho infilate nel retrovisore qui davanti a me. Dicono che Padre Pio di Pietrelcina odorasse di violette, ma ho come la sensazione che il loro profumo stia evaporando... Riina vita dolvezza speranza nostra Salve!... eccola, Giuda infame, questa puzza di caldino di visceri di pollo nelle narici! Rigiro la chiave, spengo il motore. Dovrei dare un po' d'aria alla stanza... areare, ma che dici Pino? è una scusa? ti tiri indietro? No, non ho ripensamenti, e neppure ho lasciato acceso il gas con su il pignattino a bollire la panata, ho saltato il pasto sia da me che all'ospizio. Volevo stare più leggero del solito dato l'evento, un'occasione del genere non si ripete due volte nella vita, e ho anticipato il digiuno quaresimale di due settimane, stando in piedi ad acqua e fette di pane secco bollito ogni ventiquattro ore, purificandomi anche nella persona mortale, non voglio che la mia salma contenga scorie impure, anzi, per Dio ho cagato fuori anche l'anima, voglio comparire davanti a Dio a stomaco completamente vuoto perché Lui mi riempia del Suo bolo divino anche se mi destinerà giù all'Inferno. Non è affatto mia intenzione far saltare la casa in aria per una svista col fornello, questo sì sarebbe criminale, povera Aminta, che starà già imballando carabattole e figli e nipote ritardata per traslocare qui. Mi sono lavato con cura particolare e per intero, ho dovuto fare i salti mortali, tra far bollire l'acqua, riempi re il mastello, metterci l'acqua fredda col mestolo, svuotare il mastello col catino nella turca, asciugare il pavimento, mi sembrava di essere il Battista, il santo, non il sagrestano Lunardoni, alle prese col fiume Giordano e sessantatré scalmanati uno più uno meno che facevano a gomitate per essere battezzati per primi. Finestra qui a pianoterra non ce n'é, ho chiuso gli spifferi della porta e della serranda con i sacchi di juta per la legna e ho tirato giù la botola, perché qui in questa casa mia casa mia benché piccola tu sia tu mi sembri una badia non c'è neppure una scala di pietra né un vero e proprio scorrimano ne la porta di sopra, c'è ancora la scala di legno di un Faio di secoli fa e per salire su in cucina-dormitorio bisogna essere fermi di gambe e di braccia e di vertebre perché non c'è niente per attaccarsi una volta in cima al quinto gradino, gli altri tre li si fa chinandosi e spingendo in su la botola con palmi e cervice man mano che ci si raddrizza. Ragion per cui la botola si chiudeva solo in occasioni straordinarie... t Qui ci abbiamo abitato anche in quattro, mia madre, mio padrigno e mia sorellastra Matilde, più vecchia di me di un otto anni, senza contare i polli vivi e morti, pace all'anima loro. Mia sorella Tilde, per fortuna, gliel'ha presa a servizio la stimata famiglia Bentivoglio che aveva un dieci anni e l'ho vista poco dividere qui dabbasso il materasso di foglie di granoturco con me. Quell'odore di caldino di polli! il mio padrigno che gli tirava il collo giù dabbasso e glieli gettava su dalla scala e mia madre che gli faceva fare su e giù nel pentolone bollente sulla stufa per faticargli gli spuntoni e spennarli ancora caldi e poi aprirli dal cicerone e tenersi per sé le frattaglie, incredibile come un buchino tanto piccolo potesse accogliere una mano fino al polso anche senza aprirli tanto, basta pensare in proporzione alla grossezza delle uova che fanno, e poi gli spartiva il collo con le for bici e li appendeva alla stanga a fargli sgocciolare il sangue nei catini, mentre il mangime che era restato nei ventrigli lo buttava fuori nell'orto ai piccioni, ricevendone in cambio le bestemmie dei vecchi D., perché così mia madre aveva abituato tutto lo stormo del paese a far fuori ai D. con gli schitti l'insalatina e le fragole che non gli avevano ancora fatto fuori coi becchi. Nello stesso pentolone mia madre ci bolliva la biancheria per il sotto, ci dimenticava il lesso e il minestrone a bruciare e, se aspettava qualche crucco e poi qualche liberatore e slam giù la botola, ci faceva le tinte dei suoi capelli secchi e scricchiolanti come fieno, perché a trent'anni era tutta grigia e perciò una gran mora. Mia mamma era stata bella. I miei facevano i pollivendoli, di polli era tutto pieno anche il seminterrato dall'altra parte della stradina e il trabiccolo a tre ruote qui dentro, dove ci passava giusto l'Apecar di Leone e in seguito la mia Cinquecento di seconda mano. Lì davanti nella casamatta, di fronte alla nostra porta d'ingresso accanto alla serranda voluta dal Pluda Leone, avevamo per l'appunto uno scantinato con le gabbie di polli di riserva, i miei ne tenevano una anche di conigli, il sito era in affitto, pagamento in natura. La natura la forniva direttamente al vecchio Setolini mia mamma. Da allora la nostra casina ha conservato l'odore di mangime in polvere, di feci secche, di materia viva scottata ancor calda. E' da una vita e passa che lavo persino le pareti con la candeggina e il pavimento con ogni sorta di nuovi detergenti, ma questo buco non vuole scorticarsi del suo odorino ripugnante, della sua memorietta di cipolla rancida, o forse sono solo io a sentirlo, forse è il mio stesso odore, e pensare che io non sono mai stato come loro due, perché mia sorella la escludo avendo lei imparato a lavarsi almeno dai gattini bianchi delle signo rine Bentivoglio, io mi sono sempre lavato più del necessario e cambiato sotto almeno una volta la settimana, due settimane al massimo, e anche le lenzuola, a parte quelle invernali di feltro, che metto su a settembre e cambio ad aprile perché tanto dormo col pigiama e le babbucce di lana, d'estate che sudo le cambio anche ogni tre, quattro settimane. Forse quello che senti tu è l'odore del tuo disprezzo per te, P. Pino. Ho sbrigato tutto, non ho lasciato niente in sospeso: dodici giorni fa, ho fatto appena in tempo a consegnare la sua lampada da lavoro detta Presidenziale alla vecchia Alice che poi l'indomani-é successo quello che è successo, la Presidenziale le sUrviva perché, lingua a parte, di tutta se stessa per vezzo muoveva solo l'uncinetto per fare pattine da pavimento e da cucina; per usare il suo occhietto cibernetico made in America sul computer e i polpastrelli sulla tastiera collegata con gli ultimissimi ritmi dell'economia mondiale le bastava la luce naturale. Oggi pomeriggio invece ho recapitato alla vidova Paleocapa Bocchino l'ultima Neutra Da Compa~gnia della mia vita. La Bocchino Rosa non si è mai meravigliata di tutte le superbe ovaiole - mai fatto un pulcino, ovvio, l'unico gallo di casa ero io, ma uova più che a sufficienza per le mie sbattute con lo zucchero - che le ho regalato in tutti questi anni, ha sempre creduto che a me le regalavano i miei coscritti dell'Ancr, Associazione Nazionale Combattenti e Reduci, non si è mai chiesta possibile che siano tutte bianche con la cresta rossa, possibile mai una marrone o grigia o marezzata, le ha sempre prese subito in simpatia e per le zampe gridando e zompando dal gradimento e solo per un riguardo a me che sono sensibile non gli ha tirato il collo lì sui due piedi, invece oggi mi fa, «Sai perché la mattina il gallo fa chicchirichì e guarda il cielo?», io non avevo proprio una gran voglia di scher zare e poi lei sa che io non sono il tipo da andare a raccontargli certe sporcacciate a sangue freddo e non involontarie, ma per compiacenza le dico, «No», e lei, «Ringrazia il Signore di aver creato le galline senza mutande...», e io zitto, «E lo sai perché il gallo becca ripetutamente la cresta alla gallina prima di infilarla?», lei Si è resa conto che stava sbagliando registro con me, io non mi sono scomposto, le è morta la voce in gola mentre si rispondeva tutta da sola, «Perché come ogni creatura ubbidisce a quel motto evangelico che fa pulsate et aperietur vobis...», s'è messa a ridere anche per me e ha preso a scuotere Neutra XXXIII - il suo nome e numero in codice nel mio lessico fra me e me, anche se sul numero posso sbagliare per difetto - e mi ha guardato un po' così perché non avevo riso neanche per buona creanza... o forse perché, alla fin fine, le è balenato un certo sospetto sulla commestibilità delle mie galline? ma chi se ne frega ormai, del ripieno, se suo o mio. Io starei morendo, per piacere. Lasciata la vedova Paleocapa, attraversando piazza Garibaldi a muro rasente, schivando per un tratto i tre trattori dei carri mascherati e per un pelo un piattino di gnocchi che non so chi me lo tirava dietro, ho girato dentro a destra del Duomo e ho riportato la bella lampada di stile Floreale alla ex cartolaia Puripurini, la prima ad aver introdotto a Pieve la penna Bic un sessant'anni fa, rosarista a salti la novantenne Puripurini, con un suo appartamentino tutto lindo e indipendente in canonica sopra la famiglia del sagrestano Lunardoni, Mamma Puripurini è di anno in anno più che mai pasciuta dell'unico frutto del ventre suo Gesù don Pierino, la lampada era falsa, un volgare vetrone stampato al quale voleva cambiare il filo e il pirletto di plastica e metterci quelli di seta giallo oro, più autentici secondo lei per la lettura dei Salmi, e mi fa, tutta gongolante per la nomina dell'abate ad arcivescovo, «Hai visto che la mia profezia piano piano si sta avverando? Me lo diceva sempre anche il povero Giacomone, 'Vedrete, vedrete che arriva al Soglio Pontificio entro il Duemila il nostro caro Pierino'... te te lo ricordi il vecchio sagrestano Lunardoni Giacomone, il papà del Battista?», «Sì», ho detto, ma "Cara la mia sciura", volevo dirle, "é tutta questione di cu... fondoschiena, non di merito, se don Pierino è arrivato dov'è arrivato. E un bel po' di merda gliel'ho tirata via anch'io"... Mio Signore e buon Gesù, ma come penso tutto in una volta? Che mi sta succedendo? Perdono, perdono, perdono. Liseuse e plaid in confanda non ne avevo, il telaio l'ho ripreso in mano solo una volta in questi ultimi anni, lo scorso novembre a essere esatti, per tessere lo scialle più bello della mia vita per farLe, ohi Marì, un regalo degno dei nostri patimenti e del Suo eroismo senza macchia, e poi l'ho bruciato nella stufa, non ho lasciato niente in sospeso da consegnare a nessuno. Ohi, Mart, M+rì! Poco fa, lì in piazza Garibaldi fra la folla festante e stordita dei miei compaesani, ho pensato a come dimentica alla svelta la gente, il paese, tutti quei manifesti funebri sui muri uno più realista dell'altro in poco più di un mese e mezzo e poi eccoli tutti lì, a fare cancan per un'allegoria, col carro della Lega Nord con la Penisola segata dopo l'Emilia Romagna, quello del Polo delle Igieniche Libertà con la Penisola segata via dalla Svizzera, Austria, Francia e Jugoslavia e quello dell'Italia Argentina, la Penisola sprofondata nel mare a forma di stadio trasparente coi polipi e le stelle marine vestite coi poncio e i sombrero, argentina per via del crollo della Lira e dei primi desaparecidos italiani, una mera malignità di certi fogliacci stalinisti, mai neppure un corpo ritrovato sepolto a San Siro, che tuttavia non ha mai goduto di un tappeto erboso florido come quello attuale. Sono gli stessi carri di due carnevali fa, hanno sostituito un paio di faccioni di segretari di partito, ridato un po di vernice qui e là a certi magistrati alla moda l'anno scorso cambiandogli la toga in una divisa da carcerato, rinforzato la cartapesta dove si era scollata e tutto sembra vero come prima. Io però non mi sono mai interessato di politica. Le tremila copie di Famiglia Cristiana, una ogni sei pievensi ma Si pUÒ fare meglio, che don Pierino mi obbliga a far scaricare nella sagrestia della chiesa del Suffragio perché, dice, da me non c'è il senso unico come da lui e perché le Canossiane del Sacro Cuore di Gesù se ne lavano le mani come pilate anche se hanno il doppio senso e nemmeno temessero con la carta stampata di attaccarsi l'Ebola, il virus delle consorelle missionarie e delle vergini spose di Cristo in generale che, secondo scienziati scriteriati, si attacca solo per via zezzuale, le ho gia distribuite tutte scaricandole sul sagrato della Basilica dalla mia Cinquecento alle pie donne una per una 1 altro giorno dopo il Primo Triduo, segnandone le copie assegnate incaricata per incaricata e consegnando la lista a don Pierino, che alla riscossione e ai pagamenti Ci pensa lui senza intermediari. Neanche questa domenica c'è stata una sola copia di reso, sono svelte come formiche le laiche ancelle, in ventiquattro ore le hanno fatte fuori tutte. Don Pierino ha detto alle mie pie donne e alle altre ruffiane di Borgosopra, incrociando le mani sul petto con grande spirito di sopportazione, che piuttosto che osare ritornargliene indietro una, una sola, dovrebbero «ingoiarsela dall onta», 1 onta le impressiona infinitamente di più della vergogna, forse gli richiama l'olio di ricino e l'unto, l'Unto del Signore, che poi sarebbe Lui più che mai, Lui Medesimo il nostro venerato abate ormai arcivescovo Puripurini Pierino, del cui corpo sono stato l'ombra nel l'ombra che incorpora ogni trama oscura esposta alla luce del sole... Oh, ma da dove mi nascono queste empie parole? Che vaneggio? Dai, Pino Pinocchio, fa' finta di doverti raccontare i vezzi allucinatori, le vanità sognanti, la vanagloria tutta dell'eunuco delegato a incarnare il gallo dello schermo... dai, disimpara dalla a alla zeta la storia che credi tua... Immagina di doverti presentare a san Pietro e di giocarti la compagnia o la privazione eterna di Marì, della tua Marì... Perché non so perché ma la mia Marì è in Paradiso. Buongiorno e benvenuto alle mie porte. Sono san Pietro. Primo quiz della memoria: ,chi sei? Mi chiamo PigliacieMo Pino, sono alto un metro e ottantasette, peso poco più di sessantacinque chili e in buonafede ho sessantatré anni proprio oggi ma è un caso che lo festeggi così, suicidandomi. Se non fosse che il mio compleanno cade quasi sempre nella settimana fra fine carnevale e la Domenica delle Palme e col Mercoledì delle Ceneri e i Tridui di mezzo non me ne Illcorderei neppure, in questo periodo sono tanti gli impegni che devo tenere a mente che per associazione ci scappa anche il ricordo di quando sono nato, visto che spetta a me preparare i rami d'ulivo più cari, quelli spruzzati di spray d'argento coi fiocchetti di vellutino amaranto che ho imparato a fare in sanatorio da far vendere sul sagrato ai chierichetti scelti dal Lunardoni Battista, operazione che è poi l'unica concessami dal nostro amato abate - smistamento delle Famiglie Cristiane a parte - che interferisca con la gestione dell'ex Duomo della Santa Vergine Maria assurto a Basilica della Santissima Vergine Maria Assunta In Cielo un dieci anni fa per bolla papale di Giovanni Paolo Il - è venuto a consacrarla il cardinale Pezzulli Bartolomeo, fratello del notaio Pezzulli e anche lui zio del gentiluomo Pezzulli Giovanni deputato al Parlamento! Non per dire, ma Pieve di Lombardia ha contribuito alla Storia di questo disgraziato Paese con tante illustri menti e nobili spiriti patrii. Grossi papaveri, insomma. Don Pierino non vuole a causa mia grane con quel1 accentratore ma scansafatiche del Lunardoni Battista, suo sagrestano ufficiale e fafigli a tradimento e che talvolta, dalle reazioni titubanti e piene di segreto spavento di don Pierino, mi sembra più il suo padrone che il suo servo. Don Pierino non si azzarda nemmeno più a fargli la benché minima osservazione. L'ultima volta che il Lunardoni ha tirato non dico lo spazzettone ma la lucidatrice in chiesa deve essere stato al tempo di Erode, io so come usa la scopa, lui, troppo impegnato a ripopolare il mondo con quella sua pancetta scrofolosa di moglie pregna dalla vespertina alla messa cantata. Lo ripopola e lo sistema a una Cassa di Risparmio o all'Ospedale Civile Nuovo o al più recente Hospital Day s.r.l., anche questo, come il Centro Oncologico s.r.l. sorto già ai primi anni Ottanta, di proprietà del primario di ginecologia Professor Angelucci il quale, quando appena laureatosi ha vinto un concorso e dall'entroterra ligure s è trapiantato qui, non aveva famiglia di suo e s'è fatto una fortuna dal niente a prescindere dal suo matrimonio con una delle due figlioline Bentivoglio, «Una zampa steccata di canarino novecentomila e solo se la disgraziata uccellata e fra il primo e il secondo mese, oltre dipende», m'ha detto allusiva la Bocchino Rosa che all'Hospital Day per animali da compagnia ci ha portato ad abortire una nipote di sedici anni con la sua gabbiuccia e canarino proforma in pugno per non dare nell'occhio, figurarsi! Insomma: i Lunardoni non ne hanno uno di dieci che servendo messa non sia diventato aiuto o portiere o magazziniere o infermiere qualificato di qualcosa. La verniciatura dei ramoscelli d'ulivo è il contentino che ricevo da don Pierino per tutti gli altri lavori da soma da cui il Lunardoni Battista, un orso come suo padre, si dispensa da sé e che ricadono su di me. San Pietro, andiamo avanti. A parte gli anni di seminario e nei due sanatori, ho vissuto sempre qui dove sono nato, fra la piazzetta del Teatro Sociale e la chiesa del Suffragio, di cui ho le chiavi. Per quello che viene usata, per i pipistrelli e i ragni e i piccioni dentro e fuori che vi si annidano, se non fosse per me sarebbe già sepolta dal guano e dalle ragnatele, ecco perché in Diocesi mi hanno fatto tanta grazia e l'hanno affidata alle mie cure, perché già vent'anni fa non sapevano a chi tirargliela dietro e stava diventando un deposito di tricolori sabaudi alla camola e medaglie al valore della ruggine e di-.;cappelli colla piuma al sottogola, poi il sindaco Milancio ha fatto il Museo Risorgimentale, prima e seconda guerra mondiale incluse, qui nell'ex canonica dietro l'abside, e ho potuto trasferire tutto di là e almeno adesso, una volta all'anno, un cappellano dell'Esercito Italiano vi può mettere piede senza inciampare e dire tutta una santa messa senza saltellaje di qui e di là per schivare quel pòpò di robine che dall'Klto schittano nugoli di piccioni, merli, passeri - e anche aironi, ormai. Dirò tutto quello che sono riuscito a sapere della vita, e anche quello che sono riuscito a non sapere, mi sforzerò di essere sincero con me e con la parte che mi è toccata. Nella mia condizione, con una polmonite alle spalle da ragazzo quando di tubercolosi si moriva e una promessa sposa per tenere fede a un pegno si faceva suora di clausura, per non dire serva reclusa a vita senza salario, dirsi la verità è un lusso che ci si può permettere solo in estremo. Tutti sono bravi a dire la verità convenzionata dalla verità che gli altri si aspettano di sentire per applaudirti, ma così pochi a dire la propria, piccola, meschina verità che ti copre di fischi che la puoi dire solo nel silenzio della tua mente e solo in punto di morte. IPOCRITA! Assomiglia già a una predica, e poi, detto da te, Pino Pinocchio, che ti sei consegnato da sempre alla Verità Rivelata una volta per sempre! da te che per tutta la vita non hai fatto che pendere dalle labbra di predicatori laconici o logorroici che fossero, bastava portassero una tonaca! da te, che non hai mai parlato una sola volta in vita tua da uomo a uomo ma sei sempre stato a ricevere in basso parole dall'alto, parole che da un pulpito cadevano dentro non un uomo libero e di vera fede, ma uno schiavo fedele al suo padrone... Vuoi dar ragione alla vecchia Zorro che ti ha raccontato la tua esistenza nella nebbia bollandoti con una parola sola? Sarebbe già tanto se ti accontentassi di raggiungere una tua mezza verità... perché la verità non esercitata in vita non e più in grado di raggiungerti neppure in punto di morte e neppure parzialmente... Io... io... io... Io? No, voglio la verità. Ci riuscirò per gradi, raccontandomi e denudando tutte le bugie che ho messo in conto per arrivarci. Che lo voglia o no, è il mio cervello che si e messo in moto da solo, io lo sto solo seguendo, se dipendesse da me lo farei anche tacere, ma non dipende da me. Si è messo in moto allorché da quelle parti là della Terronia un prete, un tipo di prete completamente diverso da don Trenta e da don Pierino... un certo don Diana ammazzato... Se è vero che quando si spira si rivede in un attimo tutta la propria vita, se anch'io devo passare per quel globale fotofinish, sono sicuro che vedrò tutta la vita di qualcun altro e non voglio vedere un altro, voglio vedere me. Li stanerò uno per uno i compiacimenti del castrato inadempiente che Si lascia spacciare per qualunque cosa in odore di corroborante gallismo visto che anche un crimine zezzuale millantato aumenta il tuo credito; le stanerò una per una le patacche che non mi permettono di accedere alla vita di quell'altro Pigliacielo Pino che non sospetto neppure di essere, non so quanti minuti mi occorreranno per far luce fuori dal solito, glorioso, falso Pino per vedermi in tutta la mia patetica ma vera verità. Dubito che possa trattarsi comunque di ore, respiro sempre più a fatica, i muscoli mi si stanno tendendo, mi inarco sempre più contro lo schienale, non mi sento più gli arti inferiori... Con tutte le morti che ultimamente abbiamo avuto in Italia e anche dalle nostre parti per ossido di carbonio e gas domestico (tante che, insieme a stendersi sui binari o farsi un'overdose, è diventata una vera distinzione fra giovani e vecchi stanchi della vita), nessuno degli articoli di giornale che ho lettaEsu da Tita alla Biblioteca Comunale dice cosa si prova né quanto dura, tutti però a dire che è tanto bella, tanto dolce 'sta morte, tanto rapida e inodore che sembrano raccomandarla agli indecisi lettori... Se c'è qualcosa che valga anche per me la pena di vedere in quell'attimo risolutore, staremo a vedere. Se no, amen. Sfioro il portachiavi, una coroncina di spine di peltro con targhetta INRI comprato in piazza San Pietro quando con don Trenta - nell'abitacolo del camion insieme all'autista, lui - e le Acli di Pieve di Lombardia fummo ricevuti da Pio... no, non faceste a tempo, non foste ricevuti mai da Pio XII grazie all'intercessione del Senatore d'Italia Bentivoglio Camillo, Pio XII era già bell'e che morto seppure non ancora sepolto e il Senatore Camillo era morto nel mentre che intercedeva; alla sua intercessione è subentrato l'interessamento del figlio Ferdinando, già cameriere di cappa e spada del cardinal Gratta-Grilletti cui fungeva da segretario il giovin diacono Pezzulli Bartolomeo poi cardinale a sua volta e amico intimo del non più celibe giovanottone Ferdinando figlio del Senatore, entrambi grandi frequentatori da ragazzini del Lunardoni Giacomo sagrestano e i quali a loro volta gli hanno tirato su il figlio Battista come conviene in quei giri lì da alte sfere e fanciulli da convertire... IL gentiluomo Bentivoglio Ferdinando, dunque, fece del suo meglio e alla fine diede le informazioni all'autista dove parcheggiare a Roma il camion con telone militare e panche intorno, e mise una buona parola perché tutti foste albergati all'Ostello del Pio Samaritano a tariffa speciale; a Roma ci sei andato in gita premio, quasi che per la prima volta in vita sua don Trenta ti volesse fare un presente perché ti eri completamente ristabilito dalla tubercolosi, e il presente consisteva nell'andare tutti assieme ai funerali di Papa Pacelli, neanche si trattasse, visto che era ottobre, di andare a vendemmiare in bella comitiva, cinque ore in piedi nella calca di piazza San Pietro prima di arrivare al feretro, sguardo di tre secondi al naso aquilino del Santo Padre che tanto aveva fatto e contro l'epidemia rossa impartendo la scomunica ai comunisti e pro il dogma dell'Assunzione di Maria in Cielo, un'ora e tre quarti per riguadagnare in lacrime il camion sotto una pioggia da diluvio, disdetta dell'Ostello del Pio Samaritano perché ormai era tutta una perdita di tempo e di lirette, rientro a casa dopo altre quindici ore di viaggio (il numero quindici mi porta sgafi), due settimane a letto per l'improvvisa ricaduta polmonare... e adesso cosa sento premermi sopra la nuca? Possibile che la prima cosa del fotofinish della vita che mi venga in testa siano le migliaia di scodelle di latte col caffé d'orzo e le migliaia di scucchiaiate di pane biscotto che mi hanno nutrito? E' come se fra il piano di sopra e qui sotto mi si allungasse in bilico sulla testa una colonna di scodelle fatte dell'unica scodella che possiedo e che non ho mai rotto, impossibile, è un grosso calice in lega da messa da campo che apparteneva a mia madre e che ho cominciato a usare a due anni, probabilmente a tre. Allora, data la sedia, dato il tavolo, e dato il gambo del calice, era una fatica per me arrivarci dentro col cucchiaio, ma col tempo è diventato più comodo di una scodella, perché più mi allungavo io più si accorciava il percorso del cucchiaio dal caffelatte alla bocca e, da quando orlo e bocca hanno combaciato, di una comodità eucaristica! Era come bere il sangue e mangiare il corpo di nostro Signore Gesù Cristo due volte al giorno garantite tirando semplicemente su. Non ci sono mai cose ostili sempre, se nel mentre hai la giusta pazienza di modificare te. Chissà perché l'accesso alla verità comincia sempre con una prestidigitazione di oggetti strampalati sulla fronte o sulla punta del naso o un'immagine in precario equilibrio nello spazio. E#e anche la consapevolezza non fosse che un altro modo per raggirare la stessa puzzetta di caldino di pollo per non sentirla?... rof,,, sgnosc,,, grosc,,, rorof... salve! Salve? Sane e salve tutte. Le puttine, le bambine, voglio dire. La mia casa è a due piani, pianoterra e l'altro sopra, di circa venti metri quadri ciascuno, ma questi sott~ è come non farci conto e con quelli sopra bisogna levarrle cinque per la botola se rimane aperta. E' un parallelepipedo incuneato fra la dimora del dottor commercialista T. e il giardino a ovest di quella specie di maniero fatato del mobiliere D., dell'omonimo mobilificio sulla strada per Mantova (Dio c'è in via eccezionale, perché è un po' lontana, ma valeva la pena, c'è anche il Parlamento del Nord), maniero riportato a uno splendore talmente nuovo, a seguito di lavori durati anni, da poterlo ascrivere a quello medievale originario. Secondo me, del tutto immaginario. Il mobiliere D., specialista di interni, ha arredato l'esterno mettendo fuori tutto quello che non ci stava dentro, manca solo Mago Merlino a una delle sue finestre turche e poi, con le luminarie intermittenti da luna-park alle grondaie, siamo a posto con Istanbul e le Mille e Una di queste notti. Anticamente, l'abitazione dei T., l'abitazione dei D e la mia dovevano costituire un unico caseggiato con casa padronale da una parte e stalle di sghimbescio dall'altra, un vero e proprio borgo duecentesco cinto tutt'intorno dalla muraglia e poi via via frazionatosi in tre lotti, ognuno con la sua entrata e i suoi inquilini. Se i due blocchi principali hanno una loro ragione d'essere per consistenza e agio - la proprietà del mobiliere D. contempla addirittura due giardini, con aiuole a mezzaluna e cancelletti di finto lapislazzolo anche per il prezzemolo, divisi da un porticato interno attaccato di spigolo alla mia abitazione, mentre la proprietà del commercialista T., anche se non ha nessun giardino del tutto, ha un bel lastrico di porfido sull'entrata dei due pilastri con cancello dove può mettere una delle due automobili di famiglia e l'Annalisa a studiare o a ricamare o a prendere il sole con tutte le gambe di fuori, tanto per dire solo la metà della merce esposta e senza voler fare i sofistici -, non sono mai riuscito a spiegarmi che interesse possa aver avuto a suo tempo uno dei due proprietari a rompere questa simmetria di due autonomie residenziali, indisturbate nel quadrilatero smussato qui e là per seguire le curvature del clivio collinare e che pur accomuna i due lotti nello stesso ovale senza collegarli in maniera irreparabile, a romperla infilandoci questo mio corpo estraneo, questa mia casma alta e stretta e insignificante di per sé ma pur sempre, lo vedrebbe anche una bambina, di un certo disturbo per i T. e di grande disturbo per gli attuali D. Però, se me la conto al contrario, mi dico che la mia casina non è subentrata come terzo incomodo una volta che l'unico lotto era già stato diviso in due, bensì che è stato con essa che è anticamente cominciato il frazionamento in due che poi si è a sua volta frazionato in tre. E mentre i miei due coinquilini ai fianchi hanno continuato a vendere e a comprare la loro parte nei secoli senza mai trattenerla per più di una, due generazioni, la mia casina, come dire, è sempre stata abitata e posseduta nei secoli dalla stessa persona. E mi spiego. I D. sono una coppia relativamente giovane (più giovani dei T.) con un maschio occhialuto che va per i diciassette e una femmina, la Cleo, occhi di un nocciola rosato, lenti a contatto, alta e ben proporzionata, un po' androgina ma sul femminile, dai modi spigolosi ora improvvisamente sinuosi, e bella, bella oltre ogni dire. La D. Cleo si è maturata quest'anno malgrado, e sottolineo malgrado, nella commissione d'esame di ragioneria ci fosse anche la professoressa di informatica aziendale T. Leonora, figlia magglie e maggiorata dei T. e tutta ancora da maritare. Io, sui Giardini di Babilonia col banano e le due palme di plastica dei D., ho l'unica finestra della mia casa ma anche la vista su tutte le porte e finestre interne e sulla cupola ottomana color sangue di bue con pannelli solari quale pennacchio dei D. e, come minimp, se mi affaccio alla mia finestra e guardo in su e intdrno, mi metto a ridere sotto i baffi, perché la cupola potevano farla almeno dorata come tutti gli altri, no? Non sarò per i T. di grande disturbo come per i D., ma il disturbo c'è anche per gli attuali T., perché anche ai T. farebbe proprio comodo questa mia piccola porzione di pietre e calce che gli preme contro la sala da pranzo sotto e la camerata dei tre figli sopra, con quella sgrandigliona, pettutissima, giunonica e bella, bella oltre ogni dire Leonora alla quale invano fanno la corte tanti bei partiti della sua età e condizione - la rogna, molto civile, che c'è fra i due capifamiglia, l'uno abbastanza ricco da comprare la parte di quell'altro che non la venderà mai per primo, si è già segretamente estesa fra le due famiglie grazie all'odiosa complicità da nascondere agli occhi di tutti che lega le rispettive primogenite e di Fcui solo l'un l'altra sono al corrente, a parte il comune amante del reato e oltre a megli sguardi a distanza »delle due santarelline infilzatese potessero si sbrane rebbero e invece devono far finta di niente. Le mie due Egiovani vicine sono come gatta e cagna, si vedono e gli si trizza il pelo e scantonano senza mai dirsi una parola, Fsenza mai attaccarsi, nemmeno di spalle. L'ho capito 'ttardi, ma l'ho capito: sono rivali in amore, e il loro amore blasfemo non contempla né troppa né poca pubblicità e, da rivali, sono costrette dalla sua stessa natura diabolica a essere complici. Si odiano, e l'amore per lo stesso Immondo Vecchio le ha rese pazze e schive, io lo so, io lo sento. Tradendosi a vicenda, si tradirebbero da sole. Ecco perché la D. Cleo è stata promossa con sessanta sessantesimi: grazie alla T. Leonora che, se avesse potuto, 1 avrebbe respinta giù in prima elementare. Anche il commercialista T. quando un quindici anni fa sono morti i suoi e aveva già la Leonora adolescente fatta, e 1 Annalisa in arrivo, ha ristrutturato la sua parte di borgo, e per voler recuperare due antiche nicchie, una al pianoterra e una al piano sopra, quasi m'è venuto due volte in casa col piccone, e ha assottigliato così tanto i muri in comune che lui e la sua signora del commerciali sta Si saranno ben resi conto che io, o chi per me, anche non volendolo dovevo sentire molte tonalità di voce arri varmi in casa, le più forti, ovvio, perché sono pur sempre muri spessi di una volta, mica le cartaveline di adesso, e sapere che qualcuno ti origlia in casa non è una pacchia per nessuno. Siccome in quella casa nessuno alza mai la voce senza alzare il volume della televisione, devo fare un'attenzione del diavolo per sentire qualcosa e non so mai chi è lei, chi è lui, e chi sta promettendo le pene dell'Inferno a TeleVita recitando Dante. Ah, dimenticavo: i T., dopo averle portate ben bene alla luce, si sono affrettati a rimpolpare di cemento arma to le due nicchie, soprattutto la nicchia al pianoterra, guardando me di traverso per un certo contrattempo occorsogli, la casa un po' a soqquadro, un furtarello previo traforo passando dal mio garagino che loro hanno montato fino a farne la rapina del secolo. Se sapessero che nella nicchia su di sopra i muratori hanno lasciato fra due pietroni una specie di tunnellino in picchiata che gli sfocia nella camera dei figli - devo mettermi sulla sedia e guardare dall'alto in basso di traverso - e che in casa loro si può anche spiare oltre che ascoltare! L'effetto ottico del tunnellino è straordinario, perché il poco che si coglie è però magnificato dall'occhio come attraverso una lente di idgrandimento, nel cerchiolino laggiù si vede, volendo fortissimamente volendo, la parte alta della specchiera nell'armadio e quindi il didietro vivo di chi va a specchiarsi e riflettervi per il mio godimento la sua parte alta. Se è lo sportivissimo e sprezzante rampolletto degli Juniores Calcio a fare le smorfie con le cravatte da appaiare o da scartare per andare al Centro Giovanile, scendo subito dalla sedia, ma se una Aelle due sorelle, anzi, se la sorellona, l'ormai impura Leonora, anzi... se soprattutto l'implume sorellina Annalisa va a rimirarsi lo sviluppo al trotto delle ore aspettando l'arrivo dell'estate e degli esercizi spirituali al Pio Convento delle Mercedarie e del primo mestruo anche per lei... Ma che dici, Pino Sbruffone? Su quella sedia io ci sono salito solo una volta, la prima e ultima che ho constatato la crepa e da lì non ho mai visto un bel niente, io ! Ma su, Pipino, non volevi dire la verità? E allora contale bene. Com'erano quelle tenere carni di fanciulla laggiù in fondo al caleidoscopio della tua attesa che ti mozzava il respiro? L'attesa fu vana, ecco tutto. Ho visto qualcosa di regalato, sì, ma non dalla crepa su di sopra: dal varco nella parete a pianoterra. Quella volta, sì, di quindici anni fa, il muratore che stava imboc cando il buco fatto dai ladri nella nicchia s'è spostato e alla più grande, la maestosa Leonora che gli passava dietro - ovvio, l'altra, l'attuale acerba, sinuosa Annalisa, allora aveva ancora il ciuccio in bocca -, ho visto una areola: grande, porosa, bruna, e mìca si era accorta che la stava perdendo fuori dal reggipetto, la non ho mai l'età per amarti! E lei ha fatto finta che non esistessi neanche, la subdola. Aveva già dimenticato di quando le misuravo la febbre col mio termometro magico... magic, come l'avrebbe chiamato la cassiera del Cinema Pace... I T. sono gente istruita, perbene, professionisti seri, la sua signora Francesca del commercialista, sui cinquanta come lui, adesso è Direttrice Didattica in un paese limitrofo, e gente praticante da generazioni, i T., non a parole ma coi fatti, banco di famiglia in chiesa con tanto di targhetta come i Bentivoglio seppure in seconda fila, di fianco all'Ultima Cena del Romanino Fecit. La loro austera dimora religiosamente attualizzata su quella preesistente, dicevo, è molto spaziosa ma distribuita così male che ci sarebbe, sì, una camera a testa per i tre figli ma sarebbero così isolate l'una dall'altra e quindi così fuori da ogni controllo che alla fine i coniugi T. hanno schiaffato i nuovi organismi T. man mano che nascevano tutti nella stessa camerata al piano di sopra, il che andava bene quando appunto non c'era ancora il maschietto e le due femmine erano relativamente piccole, ma adesso che la più grande va per i ventinovetrenta (e non ha neppure un fidanzato, ufficialmente, ma se spera di sposarsi col suo segreto amante part-time sta fresca!) e la seconda per i quattordiciquindici e il ragazzino per i trediciquattordici, be', tutti e cinque fra vecchi, nuovi e recenti T. vedono la mia presenza di là, cioé di qua dove sto, cioé a casa mia, come una vera e propria usurpazione, una mia cattiveria di fondo, come se fosse colpa mia quel certo che di sacrificato, di promiscuo che si covano in una casa tanto spaziosa, tanto elegante, tanto ben frequentata, sindaci, assessori, badesse, monsignori, sindacalisti, impresari, assicuratori, allenatori di giovani promesse del calcio, macellai tutti a far compilare dal commercialista T. il miglior 740 possibile. I T., figlio e figlie compresi, mi guardano storto ogni volta che gli gira, con quella lunatica puzza sotto il naso dei superiori perché l'hanno deciso loro, un giorno ce l'hanno poi quando credi che non ce l'hanno e gli abbozzi un mezzo sorriso tu ecco la puzza che gli ritorna sotto i nasi, come se io a giorni alterni avessi a che fare col paleolitico furto che li avrebbe spogliati persino della biancheria della dote dellMsua signora del commercialista, perché i ladri, l'ho detto, è logico che sono passati dalla mia parte e hanno fatto il buco indisturbati proprio da quella parete lì, dove ora sta la mia cassa da morto, trovando pochissima resistenza nel muro che loro T., non io P., avevano da poco assottigliato per un loro sfizio di cultori del ripristino dell'antico, la loro niihia di mer... la loro nicchia profana. Io sì che ho una Sacra Nicchia! La mia sul fiume Chiese è un'Ara di muschio e acque sorgive, un Tempio Sacrale di Scarpine della Madonna e roselline selvatiche e robinie bianche, un prato semi all'inglese che neanche a farlo apposta, col suo rigoglioso ulivo selvatico un po' discosto, che vengo a sfrondare io per avere materia prima da argentare per la Domenica delle Palme, è buono per i rami perché è bello però questo non è né clima né terreno perché abbia mai dato un'oliva che è una e avrà cent'anni, e di merda non a caso la loro nicchia, perché dove la rinsecchita dottoressa T. Francesca c'avrà visto l'arcata medievale con gli anelli originali in ferro battuto per le briglie dei corsieri, chiunque altro me compreso ci vede delle belle stercate di vacca grandi così, perché la loro, ex stalla era e stalla rimane, e io non ero tenuto a star qui in casa mia a fare la guardia alle loro nicchie e se lor signori vanno a farsi la settimana bianca o la settimana gialla o la settirnana scudocrociato io sarò ben libero di andare coi miei sparuti assistiti dell'Ancr in gita alla Campana di Rovereto a piangere sulle centomila gavette di ghiaccio e sul complotto di una tribù di papponi rom contro un insegnante di lingua straniera irreprensibile come me... sebbene troppo compiaciuto dell'infamia infangante per difendersene come occorreva Questo sì. Bene. Oh, i T.! io so come ragiona certa gente, tace, continua a salutarti in modo netto e preciso per anni come se invece che sulle corde vocali battessero su una lamiera, ma il sospetto si insinua anche fra i muri in comune, l'ho sentito già allora perforare la nuova calce e colmare una nicchia di disprezzo dalla mia parte. A me gli ignoti o zingari che siano non hanno rubato niente, mi hanno solo fatto saltare la serratura della porticina accanto alla serranda, e la fattura del muratore unita al bigliettino «Ci farà cosa gradita se vorrà contribuire al cinquanta per cento per la copertura del buco», il dottor T. poteva anche risparmiarseli, glieli ho reinfilati nella cassetta della posta con un mio di bigliettino, «Le sarò grato se vorrà accettare che avrei preferenza di no». Per me i T. potevano anche lasciarcelo il buco nel muro, per quello che ho io da nascondere! Loro, piuttosto, con la loro maggiore che già meravigliosa in pubertà aveva il complesso di essere grassa e andava in giro per casa coi reggipetti di due misure in meno di quanto natura vorrebbe che le usciva in mostra tutto. E allora come adesso Perché prima era necessario un buco nel muro per sor prenderla che straripava, adesso basta incontrarla per strada, la Leonora: prima arrivano loro due, poi, dopo un bel po' , arriva lei dietro. E l'Annalisa non ha niente da invidiarle, in questo. Le mammelle. L'ho detto. Lei comunque, la Leonora, è la più leale di tutti i T., non ha mai fatto finta di salutarmi: non mi ha mai salutato una sola volta dopo aver tante volte giocato al dottore con me da bambina di nascosto quando veniva a trovare i nonni, e io mi struggevo per lei, che sul più bello mi ha girato cresta, ali e cicerore ed è sparita verso i ritiri spirituali delle Pie Mercedarie di Santa Margherita Ligure, e sì che fa anche lei come me una vita tutta casa, chiesa e scuola - e Centro Giovanile, dove io, per ordine di don Pierino, non posso mettere piede... se è per questo, al Centro Giovanile ci va anche la sua rivale D. Cleo (Cleopatra: a maniero d'Egitto,'nomi faraonici), che di rivali a sua volta ha tutte le altre più giovanine di lei che giocano a calciobalilla e ai videogame, a campana e a poker in quel centro di smistamento giovani marmotte lì... Ah, la Leonora scomparsa, la Leonora fuggitiva! Ho dovuto tirare su la corrispettiva Neutra da Compagnia, che non mi ricordo più se era la prima in assolQto, cinque mesi più del previsto perché mi desse anche il perduto senso della valchiria che mi dava la vista della Leonora e mi risarcisse del rancore speciale che intanto covavano contro di me i D. ! Deve essere stato sempre così, cioé, non solo io ma tutti i Pino Giuda traditori che mi hanno preceduto nei secoli qui dentro, in questa casina del reietto, devono essere stati considerati dai vicini uno spino nel fianco, lo stesso spino nel fianco che si rinnovava di nuovo fianco in nuovo fianco, di erede in erede. Non è colpa mia e non è colpa loro, dei miei più che vicini e più che remoti, ma è così, però più colpa loro che mia, perché né a me né a chi mi ha preceduto in casa mia sarebbe mai passato per la mente di desiderare un solo metro quadro in più strappandolo dalla sola parte possibile, quella dei T., né di murare l'unica finestra che c'è per non farsi vedere da quelli di fronte, come di fatto fanno i D., che tengono le ante indiane sulle finestre turche e le porte saracene sprangate giorno e notte o, se non, con le tende tuareg spesse così che non gli entra neanche la luce del sole. I D. non hanno altro pensiero che io gli spii dentro casa cosa fanno o non fanno loro e i loro pargolotti, e vivono per le stanze di rimpetto alla mia finestra solo coll'Enel. I miei vicini non sanno che l'unico desiderio che un Giuda può avere è morire per sempre lui senza morire mai per loro, è annientarsi se questa è la condizione per perpetuarsi in un altro Pino e vendere la loro tranquillità anche per meno di trenta denari... egli perde un po' di tempo a vivere solo perché prima deve essere sicuro di aver trovato il suo degno successore, il Pino, lo spino ideale. E l'Aminta faceva al caso mio. E' così adesso, ma a suo tempo, chissà, un secolo o due o tre secoli fa, quando nel borgo avvenne questo trauma architettonico - che in origine probabilmente riguardava solo una insignificante divisione del sito in due proprietà: il corpo centrale e queste mie due stanzine una sopra l'altra, forse per metterci un vecchio fastidioso, una parente demente, una vergogna da nascondere seppur piamente da legittimare col catasto -, dicevo che in tempi remoti forse la decisione di dividere il sito aveva una sua logica, nessuno pensava alle spiacevoli conseguenze che ciò avrebbe comportato una volta che i due nuclei sarebbero diventati tre, forzatamente spalla a spalla e senza vincoli di sangue, a parte la bile di non riuscire per secoli a eliminare almeno il terzo incomodo, me, e ripristinare i due tronchi senza questa escrescenza esasperante, la mia tana, il mio tugurio meraviglioso. Perché non sto qui a dire quante volte il commercialista T. sia venuto da me, da solo e mettendo di mezzo anche don Pierino e assistente sociale, proponendomi di darmi in cambio un appartamento vero e proprio con orto e un vero garage se gli davo la mia parte della sua casa, e quante volte il mobiliere D., e prima di lui suo padre il mediatore di bestiame D., ha fatto la stessa cosa mettendoci sopra anche un bel numero di milioni ché volevano farci una tavernetta da pirata con mansardina stile Ming, ma io ho sempre gentilmente, fermamente rifiutato, e insomma credo che la faccenda passata e presente e seguente va avanti così dalla frattura originaria in tre, e cioé che sia il D. che il T. del Seicento, del Settecento e dell'Ottocento e del Novecento, ormai, cerchino di convincere tutti i -Pino e le Pina venuti prima di me a disfarsi della loro pirte in favore dell'uno e dell'altro, così come da secoli il T. contemporaneamente cerca, mentre cerca di convincere il Pino o la Pina di turno a vendere, di convincere il D. a vendergli almeno uno dei due giardini, quello a est, che si vede lontano un chilometro che doveva essere l'aia naturale della ex stalla ora dimora del T., e non orto del maniero del D.tA dirla fuori dai denti: un inferno di convivenza per essere dei villoni, peggio che alle Case Popolari. Però, diciamo, mentre fra i due maggioritari c'è solo del malumore e, per carità, non è mai volata una parola grossa nemmeno fra i loro padri al tempo dell'uva dell'uno e dei fichi dell'altro - se è per questo nemmeno con me: i miei vicini sono le persone più civili del mondo e io sono del tutto inesistente per loro e per tutti, non sembra neanche di avermi -, io sento che D. e T. per me nutrono un sentimento sordido, come se l'avessero ereditato anche loro, poverini, a suo tempo insieme al passaggio di proprietà, perché a entrambe le loro case manca proprio un niente per essere a tutti gli effetti perfette e quel niente sono io per entrambi. Io qui ci sono nato e ci voglio morire. E normale, è casa mia. Dov'è il Droblema? Che esisto? Mi viene da ghignare al pensiero che come me devono averla pensata tutti quelli come me, le persone sole, contente del loro poco, tutti i sassolini nella scarpa, gli spinini, i bastiancontrari che hanno abitato qui e ringraziando Dio del favore immeritato che gli faceva con questo tetto sopra la testa, altrimenti questa casina impropria, questo spino in questi fianchi non si spiega; devono essere state tutte persone intimamente felici nel vibrare della loro miseria per resistere, come me, a tutti gli allettamenti e ruffianerie pur di essere persuase a sloggiare una volta per sempre da qui, qui che ci si gira appena, senza mai andarsene se non a piedi pari e non senza prima essersi assicurate, nei secoli, che la loro casina di spini inestirpabili andava a una persona come loro, come noi, a uno spinino come me, a scapito del livore dei D. appena si mette il naso fuori dal davanzale, a scapito del livore dei T. appena sbadigli e fai scricchiolare la testata della cuccetta contro la loro parete. Noi Pino-Pina di ieri, loro Pino-Pina di domani, io P. Pino di adesso, tutti dei faccia di tolla, degli intrusi, dei malcagati, dei di più, ecco, quelli che non c'entrano mai con niente e nessuno e però sono sempre lì fra i piedi, immobili, indifferenti come pidocchi (ah, quante volte hanno dovuto raparmi a zero!) segretamente gaudiosi dell'attenzione che attraggono anche solo per dargli fuoco col pensiero. Li vedo sfilare tutti davanti a me i miei fraterni Pino e Pina del passato, sorridenti giocondamente come la mia sfinge di onice che mi sono infilato nel tascone interno della tonaca e che mi sono rincalzato fra le cosce là, a fissarmi il punto critico schermato dalla fodera di seta nera della tonaca. E lo interroga. Mi interroga l'apparato del maschio, la sfinge di Marì. Nella mia chiesetta del Suffragio lumini accesi adesso non ce n'é, né fiori a marcire se è per questo, nessun pericolo di incendio in sospeso. Non ho perorato nessu no per iscritto al fine di avere la grazia speciale di funerali religiosi, non lascio la classica missiva del suicida impenitente, niente, so che non mi spettano, so che la Chiesa valuta sempre all'ultimo minuto anche in questi tristi frangenti, uno sì uno no, uno no uno sì che sembra che tiri a sorte. A Lei, la mia Marì, per esempio, no; agli altri otto suicidi più le due fedifraghe fricatrici (una volta separate l'una dall'altra e ridotta all'una in quanto umana e non di specie animale) sì; degli altri due marito e moglie di Castenedolo (Dio c'è l'ho già detto?) non si sa. Del resto qui di questi altri due suicidi non si sa niente di preciso, Castenedolo, nove chilometri, per i pievensi è come dire il Burundi e comu*que pochi qui di Pieve li avranno messi in relazione con la morte di Marì... No, niente perorazioni, nessuna grazia speciale chiesta per il sottoscritto. E perdono neanche, chiedo perdono a chi, Dio a parte? E se mi aspetta l'Inferno, non può essere peggiore di questo, mi ci abituerò come a tutto, mi metterò a servizio, dirò sì, subito, don Belzebù, entro staseia, appena posso, va bene, mi scusi, grazie, dovere, mi perdoni, grazie mille, don Berlicche, e tu peccatore, e tu peccatrice aspetta a tirarti su il camicione che sei ancora sporco e su, guarda l'uccellino e apri la bocca, bravo il mio nonnino dannato, brava la mia nonnina dannata che oggi non fa i capricci e non fa arrabbiare suor Lucia col forcone incandescente, un cucchiaio a te un cucchiaio all'uccellin del cielo... Al massimo tenterò una debole resistenza dicendo al Diavolo, «Ma guardi che la fiamma è troppo alta, per così poco!», il mio vocabolario con la gente non è mai stato un granché e con le autorità men che meno. Togliersi la vita è il peccato più mortale di tutti. Per la Chiesa, forse, ma non per me. Non lo è di più far del male a qualcun altro, costringerlo a uccidersi, addirittura ucciderlo per mano sua? Marì non si è suicidata: è stata suicidata. E un po' anch'io. Don Pierino me ne vorrà, altroché, venendo a sapere (per non parlare del colpo che gli viene quando saprà a chi ho lasciato la mia casina) che per morire ho trascurato di insegnare a fare la firma chiara e leggibile a un paio delle nostre prescelte in fin di vita dell'ospizio. E' incredibile i soldi sotto una qualche mattonella della memoria, le case e le cose segrete che hanno da parte i poveri soli e abbandonati da tutti, è normale che finiscano alla Santa Chiesa. Ho guidato tante di quelle manine tremolanti a chiudere in bellezza i testamenti mentre la formula l'ho sempre scritta di mio pugno per fare più alla svelta variando un po' le calligrafie, luogo data io cognome e nome in pieno delle mie facoltà mentali lascio ogni mio bene, mobile ed immobile... Gli orecchini e le fedi so che spettano un po' a ciascuna alle lavoranti e alle professionali del ricovero, a suo tempo hanno fatto lo stesso con mia madre quelle del manicomio, quando non era ancora manicomio criminale come adesso, è la tangente del morto disperato che ti ha fatto disperare, a lei mancavano addirittura i lobi, ma se li era strappati da sola come se fossero creste o bargigli di gallo, e se non ho detto niente io allora a maggior ragione non c'è nessun parente ora che possa dire bah se la salma è presentata ripulita come un palmo di mano, figuriamoci se inservienti e professionali non sono lì ai capezzali dei moribondi colla scheggia di sapone nell'unghia per fargli scivolare fuori gli anelli dalle dita al primo serio mancamento. Sempre che sugli ori della morticina e del secco stecchito non abbia messo gli occhi suor Lucia, la supervisora di ogni capocchia di spillo che transea qui all'ospizio, lei va a venderli in città a una coppia che ha il negozio Psicotrappole di fronte al Duomo, due personcine maschili col codino tanto caritatevoli che non comprerebbero mai niente se non ne sapessero la provenienza, persino le lampadine bruciate vendono, le ho viste io con questi occhi! Suor Lucia dice, gianduia, non vedi che trattasi di lampadine bruciate d'epoca? e dice che i suoi magri ricavi sull'oreficeria che finirebbe ai vermi sono per le missioni delle Immacolatine di Torino, da dove proviene. Sono orecchini antichi e girocollo e anelloni di sfatte matriarche i quali più si avvicinano al negozio in questione più diventano prima dei vecchi orecchini e poi due baiocchi del tutto. Ma è sempre meglio di niente, bisogna ringraziare il Signore per ogni liretta che ti resta, pagata la benzina a te, mi dice suor Lucia facendomi capire che apprezzava se;iion gliela mettevo in conto. In verità, non mi ha mai rimborsato una lira a forza di lamentarsi che aveva la ferma intenzione di farlo. Che don Pierino me ne voglia o non me ne voglia, se alla mia vita ci teneva, poteva pensarci prima un po' anche lui. Non ci si suicida tutto in una volta. IL suicidio è una malattia dell'infanzia che aumenta con la crescita. Che ci vada lui adesso a spiegare che cos'è u~ alfabeto a delle creature che sono diventate novantenni e neonate di ritorno lo stesso senza bisogno di capirci un acca, che ci vada lui a tirarle su e giù quando bisogna sbarellarle per portarle ai seggi a votare o portarle a braccia a svuotarsi di emorragia e di minestrina chiara sul trono di legno. Don Pierino, che l'abbia fatto o no per tutti questi anni o sia stata tutta una mia immaginazione, adesso non può più ricattarmi e se avrà delle nuove croci, se le porterà da sé... Quindici anni fa... quindici anni sono passati... e altri quindici prima di questi... trent'anni e più sono passati, sporco zezzo! Sta di fatto che don Pierino con me ha sempre applicato alla lettera quel proverbio cinese che dice, quando rientri a casa, picchia tua moglie: lei sa perché. Ma lui marito che picchia lo sa? ha un perché, sa un perché? Ma che forza, che scaltrezza questo prete nell'agitarmi davanti per tutta la vita le pene dell'Inferno alludendo soprattutto ai miei peccati mai confessati e perciò commessi e insabbiati per primi! Comoda per lui dire, «Se dici di essere senza peccato, inganni te stesso e la Verità non è in te»! Non è detto che la moglie cinese che le prende, se ha un perché - una ragione per prenderle, un peccato da espiare - abbia lo stesso perché del marito cinese che gliele dà di confuciana ragione. Muoio sapendo questo perché di certo solo io e forse anch'io, fra me e me che mi sono marito e moglie, mi sto sbagliando di perché e di cosa e di peccato. Sto prendendo un granchio, un perché per un altro e forse non farò in tempo a saperlo. Mi picchio e accuso i colpi senza ribellarmi, ma non so fino a quando io marito avrà la pazienza di insistere a picchiarmi e io moglie avrà quella di prenderle senza sentirsi colpevole per la cosa giusta visto che, continuando a essere picchiata per quella sbagliata, ha ogni diritto di sentirsi e di professarsi innocente fino alla morte. E se invece don Pierino mi avesse ricattato per tutta la vita non per la differenza di metodo esistente fra l'entrare nei gabinetti dei maschi e l'entrare nei gabinetti delle femmine nell'ambito scolastico, ma per il modulo postale della Tilde appena spirata fattomi consegnare dalla signorina Bentivoglio Giuseppina tramite quella cavallona della sua "micia" Chitari Luciana? L'aveva letto lei, la Signorina, ne aveva fatto parola a don Pierino rivelando un obbrobrioso mistero sconosciuto a tutti in cui coinvolgere me? E se la Tilde, fra quel dicembre e quel fatidico aprile, si fosse confessata a don Pierino e lui, in base alle confidenze ricevute, avesse confezionato l'esca per tenermi agganciato al suo amo per sempre? L'aveva forse messo lui quel modulo postale nella busta arancione per farmi nascere un tarlo dentro e scavare nel mio cervello, per tenerlo in pugno come una gelatina al suo comando e tirare e allentare a piacimento e secondo le sue ultraterrene necessità i fili della sua marionetta preferita, me? No, la calligrafia a zampa di gallina era della Tilde, l'aveva scritto di suo pugno, di questo sono sicuro. Diavolo d'un Pierino. IL bello è che io non so che cosa ci fosse scritto pur avendoci passato sopra gli occhi. Che cosa poteva esserci scritto, che cosa mai ci teneva tanto la Tilde a farmi sapere dopo morta da non avermelo fatto sapere da viva? Certo qualcosa di grave, di compromettente, di... osceno? Io mi sforzo anche adesso di ricordare quel messaggio telegrafico compilato e non inviato, ma davanti agli occhi mi vedo un quadratino nerastro tutto stropicciato. Se focalizzo l'immagine nella mente arrivo a vedere che il nero si trasforma in un argento di carta stagnola tipo Uovo Kinder e vedo soltanto il riflesso delle mie pupille che ci guardano dentro e al contempo sento un irrigidimento di colon e di muscoli addominali refrattari alla cellulosa che devono digerire. Lo so che mia sorella Tilde, analfabeta nata e senza possibile ritorno fino a trent'anni, a Trieste doveva aver imparato a scribacchiare in stampatello dalla sua figlioletta, perché mia sorellastra non aveva frequentato neanche tutta la prima elementare e l'anno che aveva trascorso qui all'orfanotrofio della Beata Merici si era mantenuta sgobbando in cucina, né le signorine Bentivoglio potevano perdere tempo a insegnare a leggere e a scrivere alle serve, ma tutto ciò che avevo letto di suo in precedenza era stata una cartolina di Buona Pasqua a noi tre con la firma della nostra nipotina amatissima e la sua, e anche se non l'aveva scritta lei ma la figlia in seconda o terza elementare, la Tilde poteva aver dettato il testo all'impiegata delle Poste appena rientrata a Trieste in fretta e furia da Pieve, essersi fatta riconsegnare il modulo per vedere se eliminando qualche parola risparmiava, aver deciso di non inviarmelo più ed esserselo davvero conservato per tutto quel tempo per vendicarsi di me quando meno me lo fossi aspettato... Ma vendicarsi di cosa? E' possibile che la cosa sia stata un ostinato fanta Fsma fra sé e sé, una sua fantasia da fissata, perché fra lei e me non c'erano conti in sospeso, e quindi nessun altro al di fuori di lei ha messo il naso e l'anima della vendetta in ».quel modulo postale, niente Chitari, niente Signorina, f;niente don Pierino, anche se tutti e tre si trovavano lì [;attorno quando è morta e quella sua busta arancione sporchiccia mi plana fra le mani. 0Ho spento il motore perché c'è una sola cosa che non sono riuscito a risolvere: i vecchi quaderni di scuola ele mentare di Marì da lei riusati nei loro spazi bianchi e pagine vergini nel mese della sua agonia su nel fienile al Santellone dai suoi. Non ho avuto cuore di bruciarli o di buttarli nel cassonetto come certo materiale audiovisivo che non lascio mai all'Ancr, dove c'è il videoregistratore con maxischermo, anche se l'Aminta avrebbe potuto ser virsene per oliare i suoi clienti visto che con la casa le lascio anche tutto il mobilio dentro, ha la stufa, può segarlo e scaldare sé e le sue creature fino ad aprile. Forse ho sbagliato a farne sloggiare gli oggetti di lascivia con cui mi sono documentato sulle evoluzioni della Eva moderna, documentato e stop, sottolineo... STOP? ma poi il pudore ha prevalso e le cassette immorali sono fini te nel cassonetto, e sento d'altronde che sbaglio a far sopravvivere a me questi quadernetti di Marì pieni di orecchie e disegnini di fiorellin del prato e soli e lune su casette con comignoli fumanti di blu e coppiette di sposi che si tengono per mano davanti alla tivù. Ecco, ritiro la destra dalla confortante peluria della copertina sulle dita, apro il quaderno del terzo trimestre di terza elementare di Marì, il bagliore dei fari che si rifrange contro il muro mi fa vedere il disegno del busto scollato di una donna con la permanente gialla alta alta a obelisco in testa, l'ombelico tutto fuori e un microfono sotto il mento e sulla prima riga al centro «Tema» e due righe sotto, «Cosa voglio fare da grande», e sotto altre due righe «Svolgimento» e poi sotto altre quattro righe, «Da piccola vorrei fare la valletta che canta di Mago Zurlì e vincere il Zecchino Doro. Da grande invece voglio fare Carrà e ballare sui cubi che si accendono e si spengono e viceversa e basta», commento della maestra: «di chiama svolgimento perché hai due ore per svolgere il tema, non perché te ne stai due ore a sognare ad occhi aperti. Due errori: il invec«.rdi lo e d'oro senza apostrofo. Insufficiente. Maestra Tisi»i, e sotto, la donna Marì, con una calligrafia neanche tanto differente da quando era scolaretta, scrive... ... ma perché questi scottanti reperti del Suo dolore qui sul sedile accanto a me, perché, visto che mi spaventano sempre di più a ogni istante che passa? Men,tre non mi spaventa affatto il sacchettino di plastica contdentro un po' di muschio, qualche Scarpina della Madonna ormai paglia, le tre bacche di roselline selvatiche e una ciocca dei capelli nero petrolio di Faccetta Nera sepolta dove so io e, per traverso sopra il sacchettino, il vecchio manico di scopa spezzato in due dalla foga omicida della profanazione e ancora lordo di sangue secco della Negra Incinta... oh, una specie di termometro solo un po' più grande del normale che ho tirato fuori stamattina da sotto una trave del tetto e che ho messo nel minuscolo bagagliaio della Cinquecento insieme all'unica debolezza che mi sono mai permesso in fatto di donne, un indumento femminile, rubato, lo ammetto: una terza di reggiseno. Anche se la Leonora avrebbe dovuto portare la quinta già allora. Questi quaderni mi appartengono? Sì. Ma sono poi miei? No. E di chi sono? Di nessuno, di qualcuno, di tutti? No. Sì. Cioé. In che mani andranno a finire? In quelle del piccolo Ridge, che cavolo di nome, il figlio di Marì e del Boss Fincasa, che magari a sette anni non ha più nessuna voglia di rifarsi su sua madre un'idea diversa da quella snaturata che avranno già pensato a fargli gli unici nonni rimastigli più i compagni di prima elementare perché non la rimpianga troppo? Avrei forse dovuto farli avere ai vecchi di Lei, la Olga e il Monteciaresi Pierotto, che non sanno nemmeno leggere e non vogliono certo imparare adesso neanche loro per dover poi far fronte a questo capo d'accusa ininterrotto per come hanno trattato la figlia bella andata a male e rispedita al mittente? Io lo so dove dovrebbero stare questi quaderni dovrebbero seguirmi nella tomba. Chi mi trova qui nella Cinquecento dovrebbe lasciarli intonsi riannodandoli nello spago che li legava e mettermeli compassionevolmente nella bara, ma figurati se mi faccio un'illusione del genere. Li leggeranno, se li strapperanno di mano pur di cavarsi la fame dove nessuno all'infuori di me avrebbe mai potuto nemmeno stuzzicarsi il palato. IL profumo dello scandalo post-mortem, tuttavia, gli darà una nuova vita, queste pagine della bambina Maria e della donna Marì troveranno da sole una loro via, una loro necessità di sopravvivermi, sapranno dove insinuarsi, lentamente inesorabilmente, e in chi. Ma sento che è inutile nascondermeli sotto la vaporosa camiciola a quadrettini bianchi e blu, sotto la maglia di lana, sotto la panciera, e sotto la tonaca nera di tutti i giorni che sta sopra a tutto il resto. L'ho sottratta con comodo dall'armadio di don Trenta quando è morto con indosso la sua tonaca da cerimonia, ancora un venticinque d'anni fa, le scarpe gliele ho proprio tolte io di brutto che gli puzzavano ancora i piedi, prima che fosse troppo tardi, e poi l'ho coperto di nuovo fino alla cintola col drappo viola, c'è mancato un pelo che mi scoprisse il vecchio Giacomone, mancato di lì a poche settimane anche lui. Un furtarello affettivo, a filiale ricordo, mea culpa mea massima culpa ma amen. Mi spoglieranno nudo, vorranno farmi l'autopsia, i quaderni di Marì sarebbero i primi a venir squartati e passati al setaccio delle loro malsane aspettative. Ma che dici, P. Pino, chi vuoi che si prenda il disturbo di farti l'autopsia, ti prenderanno e hop, ti butteranno dentro la fossa sconsacrata, quella degli atei e dei suicidi senza famiglia, così come sei, legno, zinco e carne morta... anche da viva. Non mi andava neppure di seppellirli a parte, tipo nell'Ara della mia nicchia,rsul fiume, questo no, non mi piacciono le cose a metà quando non ci rimetto niente a farne finalmente una per intero. Almeno oggi. Da Marì, però, ecco, mi aspettavo almeno un fiocco squillante per legare i suoi quadernetti prima di fare il pacchettino postale, una nota di gioia femminile dell'ultimo minuto, che le costava cavarmi un sorriso di omplicità prima di farmi sprofondare nella mediocre atarezza di un suicidio di dovere? Invece ha preso dello spago, per non dire della corda tutta sfilacciata, e con quello li ha legati e spediti dalla Posta di piazza Vittoria a Brescia (Dio c'è c'era, ma al ritorno a piedi dal Cinema Pace ho notato che s'è cancellato del tutto). La Marì è andata, come me ieri a Castiglione, a un Ufficio Postale fuori zona per non far nascere troppi pettegolezzi. Ma mi sbagliavo su quel pensierino in più di Marì nei miei confronti di uomo sensibile alla sensibilità delle donne verso gli uomini insensibili e perciò da loro preferiti, perché, con cosa s'è avvolta le spalle per involarsi verso Dio clemente? Col mio scialle verde fondo bottiglia intessuto dalle mie medesime mani. Ma questo l'ho saputo solo a metà gennaio, sette giorni dopo che avevo fatto visita alla morta, l'ho saputo quando ho ricevuto il pacchettino postale, il suo pensie rino civettuolo per il sottoscritto l'ho carpito dall'ultima annotazione scritta sul quaderno, di quinta B, un promemoria scritto forse pochi istanti prima di fare il pacchettino e spedirlo, perché Lei aveva già programmato tutto come me, sebbene io da un mese e mezzo e lei con nemmeno ventiquattro ore di anticipo. La nota dice, «Stasera tutti mi aspetteranno sul monte dalla Ballina Cattiva alla cena di fine feste delle Botteghe del Centro vestita come sempre da Cicciolina per far colpo, far vedere che sono ritornata la brava ragazza di prima e ricevere l'assoluzione ufficiale dei bottegai, di mìà madre e di mio marito e a fine serata forse passerà l'avv. di Laser così ricevo il perdono anche da queste due fogne, con quello che ha estorto questa sanguisuga a mio marito per ritirare la denuncia l'avv. Fulgenzio Pezzulli può ben scomodarsi, ma io mi metterò la mia vestaglietta cilestrina e lo scialle verde del mio caro Professor Acchiappa sulle spalle e così voglio essere messa nella cassa da morto, così come mi troveranno sul trattore - a proposito: Marì ricordati di scrivere un bigliettino e di lasciarlo ben visibile appuntato sulla vestaglia, se no quelli nella cassa ti conciano come la signora Coriandoli. Ecco, mi pare di vedermi...» (questa signora Coriandoli non la conosco e non deve essere delle nostre parti). «... lo scialle verde del mio caro Professor Acchiappa...», è qui, non me lo sono mica inventato io, è scritto qui, da lei, di suo pugno. Ohi, Marì, ohi! La Marì poi, come si riprometteva, si era certo appuntata sulla vestaglietta il bigliettino con le istruzioni prima di accendere il motore, affinché si rispettasse il suo ultimo desiderio, ma loro, i Fincasa madre e figlio, se ne sono guardati bene dal tenere in considerazione le sue ultime volontà... Come potevo dunque immaginarmi che, prima di suicidarsi, io, il mio scialle verde le aveva attraversato i pensieri? Nella bara il marito Fincasa Lamberto e la suocera Fincasa Siderpali Ermenegilda l'avevano messa con la sua stola preferita - o almeno quella preferita dal Boss Fincasa e dalla madre Ermenegilda per l'esposizione al pubblico - di cigno bianco e maccheroncini di pasta luccicanti d'oro spruzzati a effetto salsa di pomodoro, con l'etichetta della marca bene in vista fuori dal collo, Moschino, e lei non dico di nuovo tutta biondissima ma avrei giurato che avevano chiamato una parrucchiera a schiarirle la crescita castana, che così conciata da estinta di lusso sembrava sempre quella svampita tutta moda e accessori e brillanti e Clul2;dei Maritour e Montitour di prima, mica gliel'hanno lasciato addosso il tuo scialle verde a punto nido d'ape, che speravi, P. Pino? di essere tu a rivestirLe col tuo calore almeno le fredde spoglie? Adesso saranno anche capaci di dire che lo spago ce l'ho messo io per messinscena e non lei per spedirmeli, e che, per averli io, questi quaderni me li avrà datiSei personalmente in uno, seppur il più drammatico, dJ nostri tanti incontri clandestini (uno solo, alla luce del sole, del lucernario del fienile per meglio dire, e sotto lo sguardo truce dei Monteciaresi madre e padre in attesa fuori sull'aia) e poi diranno che le ultime parti di questo atroce diario d'amore tradito le ho scritte io di mio pugno, non si sa forse che quel tirapiedi del prete imitava le calligrafie e falsificava i testamenti della gente? che è tutta una cricca di sagrestia? La gente dirà e sdirà e ridirà, e a tutto attaccheranno un pezzettino in più, il tassello che la realtà non fornisce mai e che a sua volta da solo non fornisce mai la realtà e che allora bisogna immaginarselo da soli e, certo, se una donna è capace di aver fatto quello che ha fatto lei a un marito così... un marito che si può solo portare in palmo di mano, bravo, onesto, lavoratore e che posizione, vicedirettore del Consorzio Agrario Bresciano e prossimo al grande salto in Regione Lom bardia e per giunta innamorato cotto della moglie e che non le faceva mancare niente, che la ricopriva di gioielli e di pellicce, e i viaggi, i viaggi! col figlio sempre in groppa ai nonni da quando era in fasce, santa gente i Monteciaresi, e che madre superficiale la Marì, amava la bella vita più di tutti, la Marì, anche più di Ridge, del sangue del suo Beautiful sangue, del resto non si era sposata per interesse? lei di dote non gli ha portato la capocchia di uno spillo, a parte quel suo bel faccino... be', una così allora era capace anche di avere una tresca col Professor Acchiap... col Pino becchino in carica per ex combattenti e salme rimpatriate dalla Russia e dalla Grecia e cadaveri generici abbandonati al repulisti aurifero di suor Lucia... E i miei compaesani si inventeranno anche confessioni e ammissioni, e tanti due più due nero su bianco - che qui nei ritagli bianchi dei quaderni di scuola utilizzati dalla Maddalena Irredenta di Pieve non ci sono - diventeranno i quattro più quattro otto della turba sanguinaria che vuole perfezionare il sacrificio della vittima garantita sacrificabile al duecento per cento facendole sgorgare dopo il sangue l'anima, dopo i fatti le intenzioni, dopo la verità i secondi fini, perché che gusto c'è a punire solo da vivo un innocente colpevole di essere innocente? E' punire un innocente anche da morto che fa rinascere innocenti i colpevoli vivi che l'hanno fatto fuori. E diranno che il suo vero amante ero io... Ma va', Acchiappamosche, chi vuoi mai che creda che Marì aveva una relazione anche con te, pelandrone, solo perché sei andato a trovarla una volta su nel fieniletto al Santellone dai suoi, che storcevano la bocca a quell'interesse, a quella tua compassione? chi vuoi che si prenda la briga di pensare male di te perché sei andato a vedere come stava la Bovary Emma nostrana al fondo della sua disgrazia? Quanta gente sei andato a trovare per vedere come stava e solo se era di dominio pubblico che stavano così male che potevi andarli a trovare persino tu e a tutte le ore? Vieni giù dal fico, sognator Castrato, nessuno farà mai i pettegolezzi che vorresti te, vecchio... prete... represso... Prete sotto vuoto spinto? Io da piccolo, che qui ci stavamo pigiati come carni di diversi animali nella stessa scatola, mi ricordo che speravo che morisse qualcuno dei miei, ma lo speravo senza cattiveria, perché anche se non amavo nessuno neppure odiavo qualcuno in particolare, che morisse uno qualsiasi dei tre, così, per liberare un posto, anche in piedi. Man mano che morivano, mi accorgevo di sentirmi sempre meno solo, che quei le'gami interrotti dalla morte mi facevano più compagnia che tenuti in corso dalla vita. Io non ho mai avuto una madre prima di cominciare a ricordarla. Penso che succeda a tutti i parenti senza sufficienti pareti per non starsi a ridosso: condividi dei sentimenti per rassegnazione, però non li ami mai bene i |uoi coinquilini di sangue, da vivi ti stanno così addosso che pensi che gli starai alla larga anche da morti. La cappella mortuaria di famiglia sta bene ai Bentivoglio, che avevano quaranta stanze e un parco con tre gazebo in nove o dieci, quelle due piccolette di figlie non facevano neanche per una creatura normale. Io direi al marmista, «Anche qui?». Un senso di prigionia era già in me anche durante la Liberazione, con tutti quegli americani per casa pazzi per il pollo fritto e la gallina, lei, mia madre alla diavola. E' giusto che anch'io muoia qui dentro e non gettandomi dal campanile o annegandomi nel Chiese in piena. Del resto, è come se mia mamma fosse morta qui, no? anche se non è morta qui dentro, è rimasta qui fino quasi all'ultimo e, ospedale a parte, ha fatto dieci anni avanti e indietro dal manicomio, poveretta, credeva di essere diventata una ovaiola che non fa più le uova e diceva ai carabinieri che suo marito voleva sgozzarla per portarla al mercato nero e lei adesso denunciava il fatto, come se già fosse avvenuto e faceva vedere le braccia dove lui le aveva strappato le penne... mia mamma avrebbe voluto morire solo qui se non fosse morta al manicomio di Castiglione, tutta pizzicata in modo mostruoso, perché con le unghie si era spellata tutta il corpo, arrivava a farsi sanguinare anche sotto le ascelle e alle scapole, e anche sui seni, tanto che si era sgallata entrambi i capezzoli senza mai gridare dal male una sola volta, e nessuno si era accorto, ecco perché l'hanno trovata in condizioni laceranti anche in certe zone dove non batte il sole, povera pazza, tutto l'ano intorno staccato e con un uovo sodo ormai decomposto infilato su su su... be', se non fosse morta là sarebbe morta qui aggrappata dentro questa casina anche lei come me. Quando è morto Leone, per secondo dei miei tre diabetici, ho dovuto tenerlo qui dentro invece che in sala mortuaria perché è morto proprio su di sopra a gambe per aria sulla turca a vista, e qui sotto il catafalco non ci stava, già c'era l'Ape di seconda mano che aveva sostituito il Sidecar che doveva aver convinto mia madre a sposarlo per spossatezza, c'erano le gabbie piene di pollastrelli e una di pulcini, una rete doppia in piedi col pagliericcio in un angolo per quando la Tilde lasciava i Bentivoglio e passava una giornata in famiglia e dovevamo mettere fuori il mezzo di Leone per stendere la rete e dividere le coperte senza aver niente da dirci, due fratellastri estranei per età e crescita e sesso, e poi c'erano fagotti e stadere e la damigiana del Chiaretto del Garda e i sacchi di granaglie e di crusca e il giro di corda servito a suo tempo a tirar su la stufa dalla botola e che ho ancora lì, di fronte a me... strano che non mi sia mai venuto in mente di buttarla via, quella corda non l'ho mai usata per fare niente... e non ci stava proprio quel grosso cadavere di Leone, né per il dritto né di traverso, e allora l'ho messo seduto al volante dell'Ape e la corona offerta dagli ex combattenti dietro, ma ho fatto urgenza a don Trenta per il funerale, Leone da morto si era svuotato gli intestini e in più quell'odore di caldino zuccheroso, bella urgenza ziocan, il cadavere non mi ha lasciato dormire per quattro giorni, e così ho cominciato a disinfettare ed è diventata la mia sola mania. Oddio, sola sola no... Non sapevo che fare dei polli vivi e delle carogne senza testa messe a dissanguare sopra i catini, allora ho chiamato la dispensa dell'ospizio vecchio, quello ancora in via Tre Croci, non quello attuale iK via Macina dei Morti, e sono venuti a prenderli, è stato il mio primo contatto con suor Lucia, la suora cuciniera, ma la mia iniziazione ai riti e alla utensileria pinze e tenaglie di come si regge un moderno OSpiZi0 è venuta molti anni dopo, li ho dati a lei perché a me la carne di pollo mi fa schifo da quando avrò avuto un quattro anni, perché mi ero acc~to che mia madre per noi buttava in padella i polli gia morti nelle gabbie perché era una donna molto timorosa di Dio e di quel che dice la gente, lei, e non avrebbe mai... perché la pollivendola era lei, lui il Leone è andato a carretta poco dopo la guerra, quando s'è messo con lei e i suoi due figli, lui non aveva mestiere e la capa che gestiva il piccolo commercio era lei, al principio... be', lei non avrebbe mai venduto alla gente i polli morti di malattia, 1i dava da mangiare a noi, come se noi non fossimo cristiani, non rientrassimo in una categoria di esseri umani degni di igiene e di paura, come se noi non fossimo gente ma niente. Alla morte di mia madre, mia sorellastra sposata si è presa quelle due palanche che abbiamo trovato nella zuppiera e a me la casa, già mia, anche perché, poco o tanto, di quello che la Tilde aveva preso dalle donne Bentivoglio mia madre non aveva mai preteso niente e lo Strisciotti Vittorio deve essersi ritrovato comunque un bel gruzzolo di dote coi risparmi della Tilde, e lei era andata a stare da un bel po' da Trieste a Coltellazzo a fare la sua signora del marito Strisciotti, il ballerino Vittorio apriva un'agenzia tutta sua colla Lloyds Maremorta Assicurazione! diceva lei che cantava vittoria prima del tempo... anche mia sorella avrebbe potuto morire qui dentro, ci saremmo sistemati, non sono mica stato io a non volerla in casa, è stata lei a non volermi vedere mai più, io l'avrei assistita lo stesso fino alla fine come ho fatto con gli altri due... e tanto per dire se sono buono o no, in effetti avrei potuto tenermi anche i soldi trovati nella zuppiera e lei, sdegnata per sdegnata, avrebbe anche potuto farmeli ritornare indietro, invece... mia sorella, dopo essere stata abbandonata del tutto dal marito che chiudeva a Coltellazzo colla Lloyds Maremorta Assicurazione e, ormai esperto in stangate, ricatti, ghirigori burocratici e circonvenzione d'incapace, apriva a Roma col Tabarin Subrettine - Agenzia di Spettacolo e Varia, sua vera, antica vocazione di ruffiano... la Tilde, voglio dire, dopo aver seguito la figlia disturbata di qui e di là e dopo essere finita di nuovo sola qui in paese quando ormai aveva il fegato a briciole che non aveva neanche più la forza di sollevare il fiasco, sì, e che poi la figlia ha fatto, dopo anni che non lo vedeva, cassetta unica col padre, si fa per dire, Vittorio, la Tilde se fosse dipeso da me, invece di morire in quella stanza della Pro Loco ai piedi delle mura del Castello Bonoris, avrebbe potuto spirare in pace qui sopra la botola anche lei come Leone. E se proprio proprio questa casina fosse stata sua, avrebbe fatto la sua vita anche lei correndo dietro a un'idea di decoro e di figlia non alla sua portata ma alla fine, distrutta dall'alcol, vinta del tutto, orbata dei sogni da far realizzare alla partorita che l'abbandonava al suo fia sco di vecchia cameriera a perdere e giammai padrona e Signora come una delle sue signorine Bentivoglio di giovinezza, qui la Tilde ci sarebbe ritornata, ne sono sicuro, la sua porzioncina non l'avrebbe mai venduta nemmeno lei a un T. o a un D., sarebbe venuta qui a morire anche lei, e anche lei e come me, chissà, e lei e me e chissà come quanta altra gente invisa al mondo, quanti altri corpi estranei come noi, soli ma duri fino alla morte, coi vigili o i pompieri o il fabbro che avrebbero sfondato la porta dopo qualche settimana che nessuno ci vedeva in giro e saremmo stati scoperti già ossi e polpa ammuffita, carogne rannicchiate in un angolo o tutte compunte sulla branda a mani giunte. Pegò, a parte vermi e bruchi e farfalline, la casina in un ordine di chiesa. Anche la mia Tilde aveva la stoffa di uno spino conficcato nella solitudine cui prestare entrambi i fianchi della vita fino alla morte. La solitudine... quando l'ancor acerba Leonora, prima di venire a stare con i suoi dall'altra parte delle mie pareti, era venuta a trovare i nonni T. e io at vederla ho avuto una crisi d'asma così violenta ma così violenta che non ho potuto fare a meno di invitarla su a vedere il mio Crocefisso purché non ne facesse mai e poi mai parola con nessuno, be', dopo neanche un batter d'occhio, suppergiù, ho dato la stura alle mie Neutre da Compagnia bianco giglio e cresta rossa e, se non mi fosse ritornata in mente suor Lucia e i polli lasciati a sanguinare di Leone, non avrei proprio saputo che farne della mia Neutra I, perché mangiarla no e poi no, e quanto a tirarle il collo del tutto... Poi, per fortuna, qualche Neutra dopo, ho scoperto la Bocchino Rosa con tutti quei figli da sfamare proprio qui a due passi in via 4 Novembre e ho cominciato a fare del bene a lei, visto che aveva anche qualche nipotina seppure solo in fasce che col tempo avrei potuto curare... Ma non vuol dire più niente poi o prima in questo attimo in cui il mio [iunico futuro è il mio passato. E neanche il mio debole per le puttine. E neanche che ne avrei messa incinta una. Una puttina negra. La compagnia di mia madre invece all'inizio fu il rum. [Mi ricordo certe bottiglie con su scritto «Rum Cielito [;de Puertorico» che mia madre centellinava un'ora sì un'ora no nel padellino per farlo bollire e farci un vin brolé coi chiodi di garofano e tirarsi su con la vita prima [di far accomodare qualche ghiottone anche negro su di 90sopra e calare la botolae poi che non c'erano più né tbiondi né mori e lei era disoccupata, si era data al vino di battaglia e io sono stato mandato a fare le medie in colle gio qui in Borgosotto, dai Fratini di Nazaret, e già tocca vo quasi sotto la porta tanto ero spilungone ed ero stato definito subito malaticcio dal Padre, forse perché avevo fatto qualche malattia trascurata dell'infanzia ma mia madre non se ne era accorta, come del fatto che mi si era impastato un testicolo a causa dell'orchite venutami a causa degli orecchioni trascurati e così via a catena "Ma tanto, per quello che c'hai fatto con tutti e due, uno sarebbe stato più che sufficiente", dice la mia piccola sfinge con apposito adesivo al mio scroto annichilito bastava che il coso non mi facesse male dal gonfiore, e fu il male che mi salvò da entrambe le malattie; non quello che provavo io e neppure il male visibile al catechista che mi preparava alla Santa Cresima, ma la mia sopportazio ne al male. IL catechista vide che le orecchie mi erano diventate grosse come quelle di un asino. «Prima o poi», disse stringendo gli occhietti chiari dietro gli occhiali dalla montatura già d'argento per la sua età, una specie di adolescenza così protratta, sana e curata nel viso e nella persona che io, un ragazzino, al suo confronto sembravo suo fratello maggiore, «la natura riprende il suo giusto sopravvento animale dopo un iniziale sbandamento umano, basta che non mi ragli in classe», io capii e non capii ma non dissi niente, perché per me, non specchiandomi, non palpandomi, non sentendomi, avrei continuato a patire senza dire niente. E poi era un ordinando del luogo, un seminarista precoce, già iscritto a Teologia, molto ben visto da don Trenta, non poteva non aver ragione lui, l'unico difetto che aveva era una cosa da niente, alzarsi in piedi all'improvviso e grattarsi di lena le parti intime. Avevo le orecchie che mi meritavo, come Pinocchio e, come lui, anche se non dicevo bugie potevo dire solo bugie, e la verità mi era preclusa. Zitto e mosca. Mi sembrava che tutti, mia madre per prima, patissero più di me, come fai a pitire di meno tu se non carichi il tuo patimento su quello di qualcuno troppo più debole di te per opporvi resistenza? e come farà perciò costui a dirti che patisce già abbastanza di suo e che col sovraccarico del tuo patimento schianterebbe? Inoltre, rispettare i precari equilibri del dolore altrui e tenermi il mio era la mia unica medicina per tenerli alle larghe da me. t Però poi gli orecchioni ho finito per farmeli curare lo stesso, e anche l'orchite, ma per caso, mica per le premure dei Padri e del catechista. Io stavo cavalcioni sopra la muraglia dei Fratini di Nazaret spaccando bottiglie col martello e disseminandola di pezzi di vetro, solo quelli più verdoni del fondo e del collo che sono più spessi, venivo dietro al muratore che stendeva la calcina fresca, quando uno di là dalla strada mi fa, «Sei ebreo te?», io non sapevo neanche cosa voleva dire, allora lui vedendo la mia espressione e che sudavo e che cambiavo colore pezzo di vetro dopo pezzo di vetro, dice, «Allora hai gli orecchioni», io devo averlo guardato come un po' rincoglionito senza capire bene, e il forestiero tutto pelle e ossa aggiunse, «Sei ammalato, ma ti sei visto le orecchie? Salta giù e vieni subito con me», era il dottor Dioticuri, mai visto uno così magro, disse che era scampato al Lager nazista e che un Lager è una reggia in confronto a Pieve di Lombardia. Mi diede anche un fazzoletto, non sapevo che farmene e per creanza ho fatto finta di asciugarmi il naso, e lui mi disse, «Asciugati le mani, non vedi che sanguini? E tu non saresti ebreo, neh? Quanti anni hai?», «Dodici», «Quanti?», «Tredici». Fui molto sgridato dai Fratini superiori per essermene andato via così, con un estraneo, e senza valide giustificazioni. Caddi nel delirio e mi permisero di portarla fuori standomene comodamente a letto. In fondo, non erano cattivi. Qualcuno dice che con l'orchite si resta sterili, altri no, bisogna vedere quando la prendi e quando prendi a curarla, a me va bene sia l'una che l'altra diagnosi, mi bastava non morire. Anche il piedino sinistro, avevo un cinque anni, era andato a posto, da solo, dopo un tre settimane che mi era caduta sopra la botola, ma forse il sandaletto chiuso in punta no, non si era sagomato bene attorno allo spappolamento di due falangi, sono diventato zoppo, pazienza, una cosa da niente, «Che hai da zoppicare? Vuoi farti notare a tutti i costi?», mi rimproverò la buona signora Andreina, la mamma di don Trenta, non mi disse togli il sandaletto fammi vedere che hai o tua madre dove ha gli occhi, strinsi la carne fra i denti senza che sulle guance si vedesse cosa stava accadendo in bocca, tesi dentro il sandalo il piede pieno di sangue raggrumato e mi raddrizzai e, una taglia dopo, sono guarito per sempre anche di scarpe. Chissà che faccia faranno don Pierino e i miei due vicini quando sapranno che la mia casa l'ho già venduta e non lasciata né alla curia né inintestata ché, tira e molla, sarebbe poi toccata all'unico parente che ho, la mia unica nipote amatissima, già stramba da bambina, che non vedo da un secolo, dal vivo, e che non so neppure dove sia andata a finire dopo la sua fuggevole appari zione qui nei dintorni, in un posto sul Lago di Garda, mentre lasciava in custodia al caso e a morire la sua fattrice nonché pettinatrice personale. Sarà andata altrove dal suo proprio altrove, quella vagabonda, e sua madre in un bugigattolo col cesso in cortile, assistita dalle donne di quella santa signorina Bentivoglio Giuseppina, l'unica delle sue sette sorelle ad averla perdonata per essersi a suo tempo licenziata per un vile matrimonio, che scusarono solo perché riparatore, con quello che costa allevare in casa una serva, con la costernazione che si prova a vedersela andare via dopo nemmeno vent'anni di servizio quando doveva restarci non dico tutta la vita di Ma cristiana, ma almeno tutta quella terrena, sì. Si fa per dire che la Tilde si era licenziata, perché mica l'avevano mai assunta, se non nei loro pensieri di padrone naturali, i contributi era una roba volgare, da fabbrica, dove ti trattano come robot, non si usavano proprio nelle grandi famiglie che ti facevano la ~rità di prenderti dalle suore una semiorfana e te la traiavano come se fosse una di casa perché, a essere sinceri, picchiata col bastone non l'hanno mai picchiata una volta; e una volta che mia madre è andata a trovarla e la Tilde aveva un dodici anni, il Senatore del Regno d'Italia Bentivoglio Camillo in persona è venuto ad aprirle e l'ha fatta passare guardandola un po' così e, forse perché il focolare domestico non venisse a contatto della peccatrice, l'ha condotta direttamente fuori nel parco e mia madre vestita di domenica è rimasta incantata davanti ai tanti vasi di gerani edera qualità doppia e - sotto gli occhi della Tilde sul cui capo la ventenne signorina Giuseppina teneva maternamente una mano sicché non poteva tenercela lei, sua madre vera, neanche un pochettino - quando mia madre ha chiesto timidamente alla Signora Mater Bentivoglio Elena tutta vestita di trine Ottocento se le dava un germoglio da piantare, non un vaso, non una pianta, ma un germoglio, un germoglio in cambio di sua figlia dodicenne che dormiva in solaio e si alzava alle sei e andava a ritirarsi alle dieci di notte, un germoglio di geranio edera qualità doppia, la Signora Mater del Cotanto Ferdinando e delle Cotante Otto si impettì un poco ma stava zitta, e allora la signorina Giuseppina le rispose, per conto della vecchia genitrice tutta presa dagli affanni di differenza di classe calpestata e da ripristinare, «Chiedere non sta bene, lo sai o non lo sai, Pigliacielo?», e mia madre, una ragazza alla quale non si riconosceva neppure il merito di non aver comunque abortito nessuna delle due volte, ci rimase così male, ma così male che disse alla Tilde, «Fa' la brava», e se ne andò, senza il germoglio e senza neanche averle detto perché era andata a farle questa sorpresa, perché mia madre era timida anche se faceva il mestiere ed è stata l'unica qui a Pieve a non reagire né tanto né poco quando l'hanno rapata a zero e insieme alle altre collabora%ioniste esibita in giro su un carro da fieno con le sponde mentre dalle finestre gli svuotavano addosso di tutto e don Trenta, vedendola passare, non ha mosso un dito, ma tutta la destra sì, per farsi il segno della Croce; questo lo so dalla Tilde stessa, una notte, non ricordo bene quando, io avrò avuto l'età che ormai aspettavo la cartolina precetto che don Trenta non poteva più far ritardare perché ormai, ripetente o no, dovevo decidermi, tanto l'Esercito mi avrebbe scartato per insufficienza toracica, tubercolosi pregressa o turbe psichiche, avevo avuto un breve permesso dal seminario di Rivoltella del Garda per Natale ed era lì anche lei, ma sì, che era arrivata tardi dopo aver servito i suoi signori per la cena della Santa Vigilia, tirammo fuori l'Ape in strada, tirammo giù la rete dal muro e ci distendemmo, faceva un freddo! e che temporale improvviso, lei tirò fuori un'arancia e me ne diede metà, il temporale ci fece pensare alla primavera spicchio dopo spicchio e meccanicamente ci rinfrancò un po' , e il pigolio dei pulcini con la lampadina accesa nella gabbia per tenerli al caldo, loro sì e noi no, e poi... Bum! il tuono finale le ricordarono la storia del germoglio di un quindici anni prima, mi si avvicinò e me la raccontò e poi mi fece catigulìcatigulì, sì, il solletico per farmi ridere, per vedere se la stavo ascoltando o no, ero così stanco e la messa di mezzanotte mi aveva tolto anche l'ultima scintilla di vita, la Tilde sapeva come di trito di aglio e crisantemi, di lusso di signori preso in prestito e subito andato a male, ecco, che poi mi disse, «Stavolta mi sposo sul serid, vedrai, si chiama Strisciotti Vittorio, un uomo così distinto, così differente, un vero signore, veniamo a trovarti a Rivoltella appena ritorna, ha conosciuto anche Rabagliati che canta, gli aprirà la carriera, e vedrà anche lei, la signorina manidifata...», e per lei intendeva la persona che più ha avuto in pancia in vita sua, la signorina Bentivoglio Giuseppina; povera Signorina, non c'è come far del bene... La Tilde rAcapitò a lei personalmente i confetti, cioé, si raccomandò alla nuova serva che era venuta alla porta di consegnare il velo bianco con dentro le cinque mandorle alla Signorina in persona, ma io la capisco, povera signorina Giuseppina, non poteva certo mettersi contro tutte le sorelle, e da lì non arrivò nessun regalo di nozze. E la liquidazione, neanche a parlarne. Pronto per il viaggio senza più soste, Pigliacielo Pino, acchiappanuvole, acchiappam...? Pronto. Come sono le previsioni del tempo per la viabilità? Celestiali. Ohi ohi! Amore, amore mio, mi sono incamminato verso la Tua luce, vorrei che la mia vita Ti servisse da diadema da mettere nell'anima dei Tuoi capelli, tienimi la mano adesso attraverso i Tuoi quaderni di quando eri la piccola bambina Maria! Ohi Marì del tuo caro Professor Acchiappa! rAcchiappamosche, già: non feci in tempo a sedermi nel banco di prima elementare e a togliermi il mio fez da balilla sulla crapa rasata a zero che quando la maestra Pola fece l'elenco e chiamò, «Chi è Pigliacielo Giu E'seppe?», e io dopo dieci secondi buoni non avevo ancora alzato la mano, lei, con aria di sfida, fa, «Alzi il braccio chi non è Pigliacielo Giuseppe», e tutti gli altri alzarono le braccia e scattarono in piedi ghignando come matti e rio fui il solo a restarmene seduto e lei chiese, «Balilla, sei tu Pigliacielo figlio di enneenne?», e io feci di sì col capo e ci fu una reazione spontanea e da qui e da là si levaro no le pernacchie e i birignao, veniva naturale, chiamarmi così, darmi quei nomignoli, «Acchiappamosche!», «Ac chiappacielo ! », «Pigliaindelcul ! », poi la maestra Pola 0ristabilì l'ordine, «Zitti, acchiappate tanto voi!», io la fis sai con riconoscenza profonda, lei ebbe come un vacilla mento sulla sedia e poi si irrigidì, nella classe cadde il silenzio, la maestra Pola stava diventando strabica tutto in una volta e dilatava gli occhi sempre più; nell'istante in cui distoglievo lo sguardo, mi disse, «Smettila di guar darmi come un matto che mi fai venire il mal di mare» Io il mare non l'ho mai neanche visto, non so che male sia. Dovrò decidermi a prendere la corriera come dice don Pierino, se prima di morire voglio vederlo. Dovrò decidermi? Avresti dovuto! Col tempo, il nomignolo si è andato sempre più accorciando, fino a diventare solo Acchiappa, che è il più crudele di tutti, perché volutamente dice l'esatto contrario di quello che sono riuscito a fare, perché ho inseguito sempre senza afferrare mai. Incapace di affer rare ciò che inseguivo, mi sono specializzato a farmi afferrare da ciò che mi trovava lì per caso. Per fortuna avevo la Fede... Avevi?... A nove anni avevo già lo scheletro troppo alto per la mia gracilità complessiva, ero indifeso di fronte ai traca gnotti, impacciato nei movimenti, non sapevo regolare bene l'ambio delle braccia con quello delle gambe, mi sentivo come due somari uno che vuole andare a sinistra e l'altro che va a destra, a volte la maestra, e poi in seguito i Fratini di Nazaret e in seguito ancora anche i Padri della Congregazione, venivano al banco e mi raddrizza-j vano una scapola o la testa o strattonavano un arto pen colante, come a una marionetta di sabbia. Per un po' stavo come mi mettevano, composto ma assente, e dice vano che ero allo stesso tempo ricettivo con le materie e~. insulso col mondo, impermeabile alla vita esterna, come se fossi rivestito da una pe,llicola di sugna, e che impara vo solo per non dargli 1K soddisfazione di ricordarmi quello che mi avevano insegnato loro. Finite le scuole medie al collegio dei Fratini di Nazaret in Borgosotto, a mezzo chilometro da casa mia, feci per la prima volta le vacanze estive a casa, mia madre, ogni tanto, ormai cade va all'indietro dalle scale e, grazie di nuovo all'intervento di don Trenta, a metà settembre vennero duetgiovani diaconi e mi portarono a Rivoltella, sul Lago di Garda, nel seminario dei Padri della Congregazione. IL mio vero angelo custode è stato don Trenta, altrimenti tante cose non me le spiegherei, certo, se non andavo io a far visita a lui, lui non mi avrebbe mai fatto visita, lui andava poco nelle case di tutti, e poi che fortuna, che combinazione che tutto quello che andava bene a lui, andava bene a me, la tonaca, le scarpe, il cappello da prete, e anche quella comune elasticità che deve avere uno sperticato come noi due per starci nella Cinquecento, scomodo e anchilosato, ma starci da Dio; avevo più cose in comune con lui che con la Tilde, e sì che io e la Tilde in comune avevamo la madre. La Tilde era proprio carina da giovane quando la vedevo andare a fare le spese nella sua divisa nero lucido di camerierina, tanto più piccola di me, i lineamenti deli tcati come quelli di nostra madre mentre i miei sembrano tagliati con l'accetta, aveva una figurina svelta, dritta, io tcome impedito da troppe giunture da far mettere d'ac cordo in troppo poco tempo, lei una testolina da capret to crespo, io invece avevo i capelli dritti come fil di ferro su una testolona un po' ciondoloni, una brunetta piena Fdi energia ma così timida, come perennemente spaventa ta, come succuba di qualcosa di più grosso di lei. [In comune abbiamo avuto solo che entrambi abbiamo 1:preferito stare sul marciapiede, mai in mezzo a qualcosa, F° strisciando contro il muro o rimpicciolendoci ma di solito scendendo subito per lasciare il passo a chiunque venisse verso di noi, anche agli animali. Io con la tonaca indosso come adesso non so se mi farei vedere in giro da vivo, ma allora fare il prete, diventare come don Trenta era tutto ciò che avrei voluto dalla vita. Mia sorella è venuta due volte in tutto a trovarmi alla Congregazione di Rivoltella del Garda, la prima che avevo quindici anni e la seconda che ne avevo già quasi venti e, siccome per spostarsi dipendeva, non venne mai da sola; la prima volta, che saranno state le nove di mat tina, capitò lì in uno stato come se fosse fuggita ma, arri vata a destinazione, fosse solo a metà della fuga, il suo primo moroso aveva la cesta del pane sul portapacchi della motoguzzi, un garzone di forneria che le parlava di nascosto dalla famiglia Bentivoglio, ma non trovavamo niente da dirci, cioé io a lei, che mi aveva allungato un panino all'olio, lei per parlare parlava, del femore che nostra madre si era rotta e di questo Pluda Leone che l'aveva sposata a bruciapelo la sera della Befana che la mamma aveva ancora il busto di gesso e che mi aspettava perché dovevo pur conoscerlo prima o poi quel galan tuomo del Leone, era uno incontrato al mercato nero alcuni anni prima ma che rimediava ancora le stecche di sigarette di contrabbando, aveva un po' la malattia del bere anche lui ma però aveva 'sto Sidecar (che poi diede dentro per comperare l'Ape e l'affare l'ha fatto il geometra Quattrini, padre del Peppia d'una Peppia Achille, che ne faceva collezione per sentirsi vicino a D'Annunzio Gabriele, collezionista di Berline), un bel sollievo per nostra madre che faceva fatica ad andare anche in bicicletta ormai, sbilanciata coi polli vivi appesi al manubrio testa in giù, e poi il Leone era uno che con le galline ci sapeva fare, sia a comprarle sia a rivenderle, un bell'incremento per la famiglia. Io mi ricordo che pensai solo, "Che famiglia?". IL suo moroso con l'odo,re di lievito e la motoguzzi camminava avanti e indietro sul vialetto in riva al lago e ogni tanto si fermava, cercava un sasso piatto e rotondo e lo tirava radente l'acqua, noi due stavamo sulla panchina, io tossivo un po' , ma non perché ero imbarazzato, non lo sapevo neanche io perché, c'era questa cosa che premeva nel costato e non avevo neanche la forza di dirle che avevo sentito il Padre Direttore dire c4e ero irrimediabilmente di costituzione delicata e che se andavo avanti così avrei finito la seconda ginnasio... per la seconda volta... e poi dovevo ritornare a casa mia, che il seminario non mi si confaceva, che non studiavo abbastanza, che... visto anche che non contribuivo con una retta... che non capivo niente di matematica e di calcoli e che un uomo di Chiesa è un uomo in pasto al diavolo dei miscredenti se non sa far di conto fra entrate e uscite delle Opere almeno quanto sa diffondere il Verbo fra i tiepidi e i possibili benefattori. Quanto a lei, a mia sorellastra, disse che si sarebbe sposata in giugno ma che non faceva pranzo né rinfresco, non faceva niente, perché si vergognava che non aveva niente di dote né niente di bianco da mettersi, e se c'era una che poteva permetterselo il velo immacolato era proprio lei, perché con la guerra e partigiani e fascisti e cappellani della cappella tutti maiali uguali spaccati una è fortunata se riesce a restare vergine dentro, disse, o forse dietro, non riuscivo E.a capire la differenza, allora non sapevo neanche come nascevano i bambini di preciso. Poi la Tilde tirò fuori da una sportina di rete un barattolo, «Te lo manda lei, è una pasta di fegatini di pollo con le olive», mi alzai di scatto e presi a vomitare lì davanti agli istitutori che passeggiava no avanti e indietro per controllarci. Quella volta, mica si sposò la Tilde, la signorina Bentivoglio Giuseppina intervenne e la fece litigare col garzone del fornaio già a carte pronte e non se ne fece più niente, ed è stato lui a mettere in giro le voci che la signorina Bentivoglio Giuseppina ha una specie di... ha il... le spunterebbe ad hoc un pungiglione magico per far fare alle sue serve quello che vuole lei, un'assurdità, che poi l'hanno trovato, ma parecchi anni dopo, intendiamoci, nessun collegamento, annegato motoguzzi e cesta del pane e tutto dentro il Chiese alla curva per Calcinatello (Dio c'é) e io non volendolo ho fatto anche un affare con la motoguzzi. Invece in seminario a Rivoltella feci altri cinque anni, due li ripetei di nuovo, «E non per merito tuo, solo perché hai un santo in Paradiso», come mi disse il Padre Direttore; pur di non rientrare a casa mi piegai a tutti i lavori di cucina e di lavatoio, a me toccava accendere tutte le stufe di tutte le classi, a me fare scorta di legna, a me passare i pavimenti colla candeggina e la cera, a me ripulire il parco, sradicare e potare alberi e fare i falò, a me spalare la neve influenza e catarro o no, proprio come dai Fratini di Nazaret, quando lo trovavo il tempo per studiare, era già tanto se mi consentivano di entrare in aula per sedermi e tirare il fiato prima di ricominciare. Ho fatto più Latino alle medie che in seminario, tanto che non so distinguere una rava da una fava e nelle citazioni non mi sbilancio, il Francese solo in terza media, in seminario ho fatto quasi solo il boscaiolo, lo sguattero, il lavandaio, il cuciniere, lo spazzacamino. L'Inglese niente del tutto. E niente Storia, niente Matematica, niente Computisteria, niente Geografia, niente di niente. Non avendo praticamente imparato mai niente, sono uno che si è fatto da sé. Anche grazie agli altri, tutti via. La seconda volta è stato appunto cinque anni dopo la prima, per il mio ventesimo compleanno o giù di lì, la Tilde me l'aveva promesso a Natale a casa nostra che sarebbe venuta a trovarmi a Rivoltella per presentarmi il mio imminente cognato, vero stavolta, io non le ho chiesto mai niente. Quando lui ~avanzò tenendo la Tilde per mano nell'atrio del Pio Istituto accompagnati dal Padre Portiere, lui con tutta quella brillantina in testa come un gagàN i capelli biondicci lunghi sul collo, quell'aria di orgoglio senza ragione, non certo per lei, già sfiorita, mi diede subito fastidio e la stretta di mano andò via scivolosa, mi fece pensare alle palline di vischio che ero io ad attaccare e a staccare dalle porte sotto le festività. Il suo moroso di adesso, lo Strisciotti Vittorio, era uno scappato dall'Istria e dalle foibe, avevano già trovato un appartamento in affitto sulla salita del monte di San Pancrazio, anzi, lei era già di due mesi e nove giorni, mi disse fissandomi senza colpa e lisciandosi il ventre, io non mi scandalizzai, notai solo con che precisione il suo sguardo andava a colpire le mie pupille, ma non capivo per che cosa, io non sapevo neanche che voleva dire essere incinta, il procedimento messo in preventivo per restare incinta, ecco, fu più per il movimento della mano carezzevole sul ventre che misi insieme un senso da quelle sue parole, disse che non sarebbe più venuta a trovarmi e che sperava di ritrovarmi già consacrato ed esonerato dal servizio militare e sistemato anch'io una volta per sempre, e stavo per fare gli esami di Stato quell'anno lì che era venuta a trovarmi la Tilde e prendere la maturità almeno da maestro elementare, quando cominciai a sputare sangue. La cartolina precetto mi raggiunse al sanatorio di Sondalo, me la portò su il vecchio Lunardoni Giacomo, detto Giacomone, sagrestano di don Trenta, me la diede guardandomi con occhi stranamente lucidi, dilatati da una sua indecifrabile commozione e siccome me la diede che ero a letto sotto le coperte, ci si era seduto sopra e non sapeva più dove mettere la sinistra sicché inavvertitamente la mise dove normalmente un uomo non la mette addosso a un altro uomo, e poi nascosta sotto un lembo del suo tabarro, mah, pensai, sta scomodo, e cambiai posizione col bacino per non creargli imbarazzo, povero vecchio campanaro anche lui, ma quella sua maldestra sinistra si ritrovò esattamente nel punto critico di poco prima, e pazienza, a me non mi faceva né caldo né freddo, e poi comunque per fortuna gli scivolò più sul mio sedere e lì rimase, seppur non del tutto immobile, e ci pensarono i medici stessi a dichiararmi inabile per conto dell'Esercito. A Sondalo ci rimasi un anno intero, fra la vita e la morte e notizie sempre più rare e laconiche da casa, tramite il Giacomone, non altri, non don Trenta, che conferiva per telefono senza fili con la madre superiora, mia madre era sempre all'ospedale anche lei o ingessata e mezza paralizzata dai brolé su al piano di sopra di casa, mia sorella aveva partorito una femmina e aveva cominciato ad andare in fabbrica quasi subito dopo sposata perché l'istriano era sradicato lì a Pieve, era sempre disoccupato, ma tirato a bigolo e sbarbato e curato come lo Scettico Blu, e la neonata era quasi sempre dalle suore della Beata Merici, dove un anno era stata lei stessa a pelare le patate quando ero nato io, perché intanto che la Tilde era in fabbrica l'istriano era inadatto a badare a una creatura in fasce e del resto doveva restare pronto a recarsi su un posto di lavoro da un minuto all'altro se convocato. Si venne a sapere poi che era stato convocato almeno cinque volte senza che ne facesse mai parola con nessuno, gli andava bene così, una vita elegante da bar, i soldi per il grappino e il caffé, una partita a briscola parlando dei danni della guerra - che non aveva fatto -, e la moglie in fabbrica che lo manteneva a cornetti teneri e a primizie di stagione e a nodini di vitello... a Te ricorriamo gementi e piangenti in questa valle di lacrime... e per sé colli di pollo e torte di sanguinaccio che le dava il Setolini quando ammazzava i maiali e stop. STOP? *? Dopo un anno di sanatorio a Sondalo, mi mandarono a casa in convalescenza o almeno per vedere se mi ci riabituavo. Visto che non ero morto, mia sorella venne a trovarmi ma senza la sua puttina, che non avevo mai visto (e Dio volesse che non l'avessi mai vista nemmeno in seguito), siccome mia madre per fortuna a casa non l:~era ma per un po' ce la tenevano in Medicina all'ospedale, perché la Neuro non c'era, dividevo il letto con questo vecchio di poche parole ma bonaccione, e la prima notte il Pluda Leone si gira e mi fa, «Te, non me lo metterai mica nel culo neh? Quelli che vanno a studiare dai preti...» Leone si girava e rigirava in tutto il suo lardo sfatto, si raspava in gola e scatarrava e sputava più di me per via del vino e delle sigarette Alfa. I miasmi del fumo a tutte le ore del giorno e della notte e quello del polverio delle penne e delle zampe dei polli stavano per completare l'opera lasciata interrotta dalle gelide camerate dei Padri e dai travagli della mia cieca servitù per compiacerli. Ormai era chiaro che non sarei mai diventato prete e servo di Dio, ma al massimo servo dei servi di Dio. Mia sorella venne dunque senza bambina ma con una compagna di fabbrica, una certa Teresì, di un paio d'anni più giovane di me, diciassettediciotto, che teneva gli occhi bassi, si dava delle veloci grattatine al basso ventre e continuava ad arrossire per niente, non certo per come la guardavo io, perché io ho imparato dai preti a guardare in un modo che non sai mai se ti sto guardando o se ti sto ignorando; mia sorella aveva perso due denti davanti e un molare per parte, aveva un petto smunto, sembrava invecchiata di un'altra guerra, era in uno stato di finta euforia, era stata proprio fortunata, disse, aveva sposato un uomo d'oro, presto sarebbero andati a stare a Latisana, vicino a Lignano Sabbia d'Oro, o a Rosolina Mare, sotto Chioggia, balletti di Verdi anche lì, o a Trieste, balletti e assicurazioni Lloyd, non sapeva bene neanche lei. Lei certo i giornali li usava solo per accendere il fuoco, non sapeva niente degli scandali provocati dallo Strisciotti Vittorio coi suoi balletti detti verdi per via dei minori coinvolti che avevano reso celebre Castelmella, un paesino di cinquecento anime tutte così perdute nelle coreografie contronatura di questi balletti segreti qua che poi arrivò persino la scomunica per sindaco e giunta. Venne dunque la Tilde e aveva gli zigomi che sembravano lustrati con la carta vetrata per via dei capillari rotti, tutto un filino rosso in superficie fino alla fronte. E puzzava di vino anche lei. Teresì aveva dei bei denti bianchi, corti capelli castani, la bocca rosa acceso, era minuta come mia sorella ma più piena, dolcemente paesana di una volta ma già meno concreta di una donna all'antica, si capiva che non aveva istruzione, non per via delle mani che erano ruvide e coi segni dei geloni, ma perché era troppo beneducata, troppo rigida di persona, come abituata a sentirsi un di più e quindi a rimpicciolirsi sull'attenti le labbra un po' beanti, come sempre pronta a ubbidire a un ordine, il che in una donna è sempre sinonimo di virtù, cioé della scaltrezza che ci vuole per essere una brava moglie. Abitava fuori paese, ai Novagli località Boschetti, disse la Tilde, in un grande cascinale mezzo in rovina e già decimato dalle chiamate in fabbrica dei contadini, era l'ultima di undici fratelli, i suoi non volevano che andasse a lavorare in fabbrica e addirittura a Carpenedolo (Dio c'é) essendo in età da marito ma il mio ex catechista ai Fratini di Nazaret aveva finito per tranquillizzarli, la filanda era roba dell'altro secolo, come allevare due pertiche di bachi in casa, era roba superata, la seta adesso la facevano col petrolio e con la chimica, e la fabbrica voleva dire benessere per tutti, e i reparti delle donne erano divisi dai relaurti degli uomini; Teresì mi guardava con gli occhi di una santina dolente ma che sa quel che vuole, sembrava che il mio stato di convalescente le piacesse, e inviava sguardi di compassione anche a mia sorella. Dissero che prendevano la corriera tutte le mattine insieme per andare in fabbrica, alle cinque e mezza, e che durante l'intervallo mang4avano insieme attorno alla stufa della Bober Gomma, Gn po' discoste dal tavolaccio delle altre operaie, così sguaiate che andavano da sole, senza cavaliere, in balera. «Se vuoi, domenica posso venire ancora a trovarti», disse Teresì prima di ridiscendere, sembrava che se non ci fosse stata la leggera gomitata di mia sorella lei non avrebbe mai detto niente, e men che meno una cosa così, a uno che solo per ragioni di salute non era andato prete. Io allungai il mento in fuori, come a dire, se ti va, se pass1 u1 qu1. Venne quella stessa domenica dopo, mia sorella l'aveva accompagnata sulla porta, che restava aperta anche di notte tanto per dire cosa i ladri potevano mai trovarci, mi ero alzato dalla branda ed ero venuto alla finestra sul vicolo, la Tilde mi aveva lasciato sbirciare la bambolina frignante che teneva in braccio ma tenendosela a distanza come se eventuali bacilli potessero cadere in strada dal davanzale, la piccolina non aveva voluto farmi ciao ,E' con la manina e se ne erano andate via. Teresì, giovanissima operaia addetta allo stampaggio della para, volontaria delle Acli dove scopava e tirava di spazzettone i locali e assidua delle Canossiane del Sacro Cuore di Gesù dove però, pulizie a parte, per un riguardo le facevano avvolgere anche i numeri delle pesche di beneficenza, avrà gridato compermesso dieci volte prima di arrivare su fino all'ultimo gradino, disse, «Ci sono le galline tutte fuori in giro quiggiù», alzai le spalle, dissi, «Leone si sarà dimenticato di chiudere la gabbia», «Ti serve qualcosa?», restava in piedi, deglutendo, io non so come sia successo, la stavo fissando, era molto carina nel suo vestitino della festa nero fino in fondo alle caviglie che doveva essere appartenuto a qualche buona signora e patrona delle Acli, la leggerissima sciarpetta bianca e un cappelluccio di lana bianco sporco col pompon di roselline rosa da un lato, aveva alzato lievemente un braccio e vi stava portando la mano dell'altro quando la cucitura sotto l'ascella era saltata, un ciuffettino di pelo scuro e lungo è guizzato fuori come una bestiola in fuga, lei nel darsi una grattatina deve aver visto in me una tensione strana, aveva lasciato andare il braccio di colpo e chiuso la tana, e poi l'occhio le deve essere caduto sul bernoccolo che stava facendo il lenzuolo tutto da solo a un metro dalla mia testa. Avvampò e mormorò, «Adesso devo proprio andare», io la vidi rigirarsi e trovare il primo gradino con una destrezza che nessuno di noi di casa aveva mai avuto, mi sentii come schiantare fino in fondo all'ultima paglia del materasso, mio Dio che figura, e poi lì come a strapiombo nel peso immateriale della carne, umiliato ma reso come ancora più sensibile dal senso della figura barbina, la natura stessa provvide a liberarmi. Era la prima volta che una cosa così mi succedeva di giorno, di solito mi succedeva sempre di notte, nel sonno, e al seminario io non ho mai accondisceso a certe pratiche come gli altri, i più purtroppo, e non dico con qualcun altro novizio in pratiche contronatura, questo neanche a parlarne che la cosa mi fa accapponare anche la pelle dei gomìti al solo pensiero, ma neanche da solo, perché il peccato con la propria mano veniale è quasi uguale a quello con la mano mortale di un altro. Ho pensato, che patatrac, l'ho spaventata, dirà che sono un bruto come il lupo a letto che fa la nonna di Cappuccetto Rosso, non si farà mai più vedere, e invece era lì anche la domenica successiva, io avrei potuto anche stare alzato dato il tepore cibfine primavera ma non volevo adesso causarle anche l'imbarazzo di andare a far visita a un ammalato e trovarlo che ti dà la sensazione di stare meglio. Sarebbe stato come un'esca, una lusinga fuori luogo. Un bravuomo non guariva a tradimento. Stavolta avevo buttato sotto la rete del letto le mutande sporche e i gambali puzzolenti di letame di Leone che, per fortuna, non c'era mai, era sempre all'ostekia del Cantoncino e qualche volta, ubriaco, non facendocela neanche a salire su di sopra, si rannicchiava nel Sidecar, e in seguito nell'Ape, e restava lì fino a che non l'aveva smaltita. Teresì aveva un pacchettino in mano, «Sono quattro cannoli alla crema delle sorelle Vitti», disse; sapevo che una pastina delle Vitti costava un occhio della testa, figuriamoci quattro. Stavolta prese una delle due sedie e si mise accanto al letto, fra la stufa e il fornellino a una piastra anche se le ginocchia al minimo movimento le battevano sulla bombola del gas. Aprì il pacchettino con una lentezza da messa grande e io mi aspettavo ormai di vederci uscire di tutto tranne che i cannoli: santini, ostie, chiodi della Passione, lembi di Sacra Sindone, il buono omaggio di don Trenta per andare a vedere la filmina di Staniio e Ollio al Cinema Gloria. Ne mangiammo due a testa in silenzio, senza mai guardarci negli occhi, avidi e guardinghi e increduli e poi sempre più chiamati a partecipare a quello che stava accadendo fuori dalla finestra semichiusa, col vecchio D. che diceva al figlio sul fico dove picchiare con la pertica mentre il vecchio T. prendeva la decisione più cattiva di tutte: segava la vigna centenaria che era una delle bellezze della piazzetta del Teatro, la segava perché, piantata accanto al suo pilastro e diramatasi a pergolato sul cortiletto e, da lì, dentro il giardino del D., da almeno dieci anni faceva l'uva solo dall'altra parte mentre il D., che aveva un fico di pari magnitudine ma le gambe mica più tanto buone, invece di andarci lui di persona mandava su per la prima volta il giovane D. a bastonare giù i fichi verdi che tracimavano sul cortiletto del T. perché non ne approfittasse neanche per sbaglio. Mi fa specie adesso che delle fronde centenarie e famose e dei frutti appena spuntati, appena con la forma di fichino, cadessero sotto le nostre orecchie incredule mentre noi due pregustavamo un innocente piacere tutto sul nascere, un attimo di requie e di speranza, come se entrambe quella potatura e quella abbacchiatura volessero dirci qualcosa del destino al varco per noi due. Prima di alzarsi Teresì riavvolse per bene la carta e il fiocchettino e mise la piccola pastiera bianca nella sportina, disse, «Non si sa mai, può venire buona per le fritole», io, lei stava già salutando, io... aveva cominciato a muovere le labbra, quando io le ho detto, «Appena sto bene, ci sposiamo», vidi un lampo attraversarle occhi e faccia, sbatté la tempia contro la maniglia della finestra, stringeva le mascelle ma fece di sì col mento, o almeno mi sembrò, e poi con la sinistra si sfregò la crapa spampanandosi tutto il pompon, era il nervoso o che? e stava facendo dietrofront pronta di nuovo a volare giù dalle scale con una temerarietà da acrobata, quando le dissi, «Aprimi la finestra del tutto, adesso fa caldo abbastanza», «Va bene», disse, ritornò accanto al letto, aprì un battente, poi pensò bene di accostarlo perché non prendessi l'aria in pieno e vide me che la guardavo interrogandola, perché non avevo capito a che si riferiva con quel «Va bene», va bene che mi sposava o va bene che veniva ad aprirmi la finestra del tutto per lasciarla accostata come prima ma sull'altro battente? Si fermò accanto alla mia vita, a messa doveva essere stata a un tiro dal turibolo perché fui avvolto da una brezza di incenso che si sprigionò dalla sciarpetta decorativa, di un leggerissimo pizzo di cotone a unfcinetto, io tenevo il braccio allungato sul fianco fuori dal lenzuolo, lei deve aver visto come le vene mi battevano fuori dal polso, senza chinarsi ha fatto uno svolìo con la manina bella sulla mia sinistra l'ha come sfiorata come si fa col ferro da stiro per vedere se è caldo al punto giusto, sentii un soffio di sangue caldo come vino di Cristo passarmi in fondo alla schiena, lei fra pollice e indice teneva un fazzolettino applallottolato che le servì di cautela, come se fosse un divisorio, poi 1 ha ritratta come se si fosse scottata lo stesso, io stringevo i denti, io ero davvero fuori di me, ho implorato Signore pietà, aiutami, lei deve aver capito, ha detto di nuovo, «Va bene», ho capito che stavolta lo diceva con l'autorità di una moglie e poi è scomparsa che volevo almeno dirle, "Teresì, c'hai i baffetti di crema", ma era troppa confidenza e poi quel bernoccolo di nuovo nel centro del lenzuolo, poi ricordo solo che di lì neanche un tre minuti io ho cominciato a sputare sangue ed ero giù penzolante dal letto col busto, quasi immobilizzato, con le galline che si erano fatte strada su e mi beccavano il naso e miravano agli occhi e ho sbiascicato, «Aiuto, aiuto», verso la finestra, e poi ho fatto di fila altri due anni in un sanatorio mezzo improvvisato, non lo stesso di Sondalo, ma su a Madonna di Campiglio stavolta, relativamente più vicino alla mia parrocchia, lì avevano, sì, penicillina a volontà ma poi è saltato fuori che io ero allergico alla penicillina e quindi avevo le stesse probabilità di prima, anzi, meno, di uscirne vivo, e nessuno dei miei poteva venire a trovarmi, e poi quando sono ritornato a casa e sono andato in bicicletta ai Boschetti a chiederla in moglie ai suoi, sua madre era cavalcioni su un platano che stava facendo la legna minuta per l'inverno e suo marito sotto che legava le fascine, hanno alzato gli occhi su di me e sono rimasti basiti, mica ero uno spettro, «Ma non eri morto te?», mi fa la vecchia Ciuletti senza smettere di dare i colpi ai rami con l'accetta, io non sapevo che rispondere e lei ha continuato, «La Teresì è andata sposa del Signore, lei sì che l'ha pensata giusta, mica come me, che ho partorito come una troia, e lasciala stare che sta bene dov'é». Teresì era andata suora di clausura perché qualcuno le aveva detto che ero morto, o forse era tutta una scusa, e, a parte una volta in una foto di gruppo, non l'ho mai piU riViSta. C'è da dire che a Madonna di Campiglio, oltre alla vita grama a letto e sulla panchina del parco, oltre a fare scialli al telaio e riparare gli abati-di-giorno delle ospiti paganti e lampadari dei reparti, non ho fatto molto, perché a leggere mi stanco subito, mi viene il mal di testa e a parte un po' il breviario e le Vite dei Santi e qualche opuscolo ecclesiastico e Cuore e I promessi sposi in edizione purgata dei passaggi più sconvenienti non ho mai letto volentieri niente, io che esisteva una monaca di Monza l'ho saputo solo un paio di anni fa dal telesceneggiato col trio Lopez-Marchesini- Biscardi e, pensando per associazione a suor Teresì, mi è venuto più di un brivido, insomma, oltre a non fare alcunché di speciale, ero molto occupato a recuperare con gli studi e non le ho mai scritto una cartolina, non per cattiva voglia o perché avrei mentito se le avessi dato delle buone notizie, ma perché Teresì aveva fatto solo la prima elementare e avrebbe dovuto farsi leggere le mie cartoline da qualcun altro. A parte che non sapevo ancora che di cognome faceva Ciuletti, e a parte che ero sicuro che lei mi avrebbe aspettato. Comunque, grazie all'interessamento del cappellano degli alpini di Bolzano lì a Campiglio - che aiutavo a servire messa nella cappella del presidio sanitario e al quale coloravo le pigne di vernice d'oro d'argento e rossa da vendere ai vetrinisti, cosa non tanto salubre per un tubercoloso ma pazienza -, hanno fatto venire su in refettorio la commissiorw d'esame e mi hanno dato un diploma, chiudendo un occhio un po' qui un po' là, e la notizia è apparsa anche sul Giornale della Valle della Madonna perché dava speranza agli afflitti e faceva vedere dove si può arrivare con la forza della Fede, un po' di memoria e l'aiuto del cappellano degli alpini di Bolzano. In tutti questi anni, e fino a che non è appars,a la Marì a offuscare l'unico ricordo importante della mla vita di uomo, io ho pensato con pena e nostalgia a Teresì, alla vigna segata, ai fichini abbacchiati, alla sua esistenza dietro le grate di un convento senza finestre sul mondo, e solo adesso, mio Dio, mi rendo conto che è stato meglio così, che forse Teresì aveva... Orsù dunque avvocata nostra rivolgi a noi i pidocchi o peggio, certe bestioline innominabili da caserma o da fabbrica promiscua. IL che, se non va bene per una sposa, va a pennello da barba per una che la prima cosa che gli fanno chiusole il portone del convento alle spalle è tagliarle i capelli a zero e raderle i peli alla radice. Credo. ... loro, il T. e il D., saprebbero bene come rintracciarla, mia nipote Aida, altroché, farebbero carte false, partacce melodrammatiche, chissà cosa mai inventerebbero in strappalacrime per convincerla a vendere e a non venire anche lei ad abitare qui... Io non so niente di recente ~VE della mia nipote amatissima, che Dio la benedica se è r viva o l'abbia presto in gloria se non è ancora morta, e mica non le ho lasciato la casa per dispetto o per l'incer ~i' tezza, è passato tanto di quel tempo da quel fatterello di lei puttina, non gliel'ho lasciata proprio perché, se è andata a sistemarsi bene con qualcuno un po' meno di passaggio di quei manutengoli di cui ho saputo io che la portavano a lavorare nei pianobar al mare e in montagna di alta e di bassa stagione, a lei della mia casa non impor Fg ta niente e se ne disfarebbe subito secondo il migliore dei due offerenti e andrebbe persa una tradizione cente narla. tNo, anzi, se fossi stato sicuro che ci sarebbe venuta ad abitare lei, la mia unica parente consanguinea seppur alla lontana, se fossi stato sicuro che sarebbe venuta ad abi tarci perché in strada e infelice e piantagrane e incasinata e col cancro al seno o il prolasso all'utero e magari un rbpaio di figli sul groppone drogati o focomelici per sifilide ereditaria, io gliela avrei anche lasciata. Questa casina è ,[l'ideale rifugio definitivo per un'infelice dove allevare un qualche bastardo in seguito anch'esso infelice erede della casa, ci si può morire intanto con comodo, casa piccola ma sana e con tutto l'indispensabile per il cibo, il sonno e la pulizia personale: un giorno la faccia un altro le ascelle il sabato il resto e ripartire dai piedi il lunedì, per ché la doccia è un di più e per farcela stare bisognerebbe farla sopra il lavandino se non si vuole togliere di mezzo il televisorino, una manna dal cielo di locazione per uno che nasce disgraziato o ha la grazia di diventarci man mano negli anni fino a schiattare, rinsavire e mettersi nelle mani del Signore. Io alla mia unica nipote amatissima gliela avrei anche lasciata, ma con questa paura... e se per disgrazia mia nipote fosse già tanto contenta e benestante così com'è da venderla ai T. o ai D.? no, no, non potevo fidarmi, bisognava darla a qualcuno dentro la melma fino al collo, e l'ho venduta a uno di quei rifiuti umani che faranno rimpiangere al commercialista T., e in parte al mobiliere D., un coinquilino discreto e silenzioso come me, un fantasma che si fa in silenzio i fatti suoi perché uno che ha fatto voto di castità e di povertà come me, anche volendo, di fatti suoi non ne ha. Prima malediranno il nuovo semicoinquilino e poi rimpiangeranno il vecchio fino alla fine dei loro giorni di coniugi che sono ancora lì in luna di miele rispettivamente dopo trenta e vent'anni che stanno assieme e sono sì, un bell'esempio di unità famigliare per t~ii, ma anche una bella rabbia per i più, proprio un ber rodimento di fegato per tutti quelli che vivono da soli perché o piantati o perché nessuno li ha voluti. Me a parte, che non conosco l'invidia e la gelosia per niente e per nessuno. Questo sì. Bene. L'ho venduta per una cifra ridicola alla Aminta, la meretrice italiana dell'Eritrea- Abissinia-Somaliz subentrata a suo tempo nel bugigattolo della Tilde {on sua sorella minore Zamira: neanche fatto in tempo a girare il materasso di mia sorellastra morta che la più piccola delle due negrette era bell'e incinta di nuovo) e che adesso coi due figli di due e otto anni e la nipote di quattordiciquindici vive nel sotterraneo di quel casamento in rovina della Zorro in fondo alla Macina dei Morti, dietro Il ricovero. La Aminta vive e esercita in una specie di budello gonfiato pieno di infiltrazioni d'acqua che per un uomo bisogna anche averci un bello stomaco a togliersi le scarpe non dico i pantaloni, muffa e topi scarafaggi mosche zanzare e giornalini femminili in pieno centro, con quelli delle Ussi che non possono farci niente, perché quella lì musulmana è e musulmana vuole restare e fintanto che non si battezza lei e non si piega a far battezzare i suoi tre luridini infedeli, la Caritas Matris Dei (molto meno elastica della ex Pro Loco in fatto di differenza di religio ne a quei tempi della comparsa qui a Pieve delle due [mulatte mezzo italiane) non ne vuole sapere niente e un altra sistemazione la Aminta la vedrà volare la vedrà, anzi, peggio per lei se l'ultimo bastardo per un pelo non [le muore di pleurite lo scorso inverno e la più grande, la nipote un po' ritardata, la Rachida, a suo tempo quasi muore di epatite fulminante che aveva un anno e mezzo e glieli ho portati io di corsa in macchina al Pronto Soccorso tutte e due le volte e a distanza di tanti anni [l'una dall'altro, perché le peccatrici ragazze madri non [possono rivolgersi ai loro relativi incintatori per stupro o a pagamento, vanno sempre a rompere i cosiddetti ai casti come me, che così i casti ci fanno tale e quale la figura che dovrebbero fare i loro clienti. ["Un'altra volta", le volevo dire, "cara la mia signora somala col buco da signorina bresciana, vada a suonare il .campanello della sagrestia che viene il Lunardoni 0Battista, quel reggimoccolo a stipendio fisso che le viene 0;a benedire il sofà e la tana una volta alla settimana dopo Fmezzanotte, o si presenti in lacrime davanti al videoci tofono quadrato del dottor commercialista T. o a quello a forma di scimitarra del primo dei due portoni del mobiliere D., ci siamo capiti..." La sua prima vera figlia, la meticcina Fatìma di otto anni, ha proprio il faccino, incantevole, che aveva la D. Cleo da piccolina, e anche il modo di tirare gli occhi della Cleo perché è già giù di diottrie anche lei, la sorellastrina... e il piccolo di due anni invece... Vada, vada, cara la mia Aminta, a tirare la campanella a lampada di Aladino al secondo portone del mobiliere D. e vedrà che accoglienza a lei e alle sue creature in pericolo! Altro che tirar fuori la macchina e correre all'ospedale come me! Chiamerebbero i carabinieri per schiamazzi e vagiti notturni, loro, i puttanieri con la coda di paglia. IL passaggio di proprietà c'è stato l'altro ieri, domenica, perché il notaio conte Pezzulli riceve il martedì il venerdì e la domenica mattina, in un primo momento avrei tanto voluto fare a don Pierino uno sgambetto in tutta regola imitando la Alice e rivolgendomi a quella gran laica atea della, secondo la targhetta di ottone in via XXV Aprile, dr Domenica Giu - Notaio, tutta testa bassa e gonne a quadrettoni e neo con pelazzi sul mento e scarponi da montagna che lei sì che sembrava una missionaria con la vocazione a convertire i selvaggi senza mai cominciare da se stessa (e, col senno di poi, visto che fine ha fatto, meglio così: che complicazione ne »irebbe nata per la povera Aminta, visto che la notaio G1u, con le tante ragazze sbandate da lei protette in quel di Lonato, in ufficio a Pieve poi non aveva nemmeno un'aiutante per farne le veci in sua assenza, e chissà Dio che fine fanno i rogiti non ancora registrati o non ancora inoltrati ai legittimi proprietari), ma poi è stato più forte di me, io e la Aminta ci siamo incontrati dal notaio conte Pezzulli, i cui antenati bertefattori con la corazza o la porpora o comunque un ermellino stanno appesi a tutte le pareti dell'Ospedale Civile nuovo come prima stavano appesi a quelle del vecchio. IL vero fondatore, seppur dietro le quinte, la vera mente del locale Club Forza Igiene, vero anche se i dané ce li ha messi la signora farmacista Bertucci persa dietro all'onorevole gentiluomo Pezzulli Giovanni, è un figuretto tutto mingherlino e occhialini rotondi che mandano corti messaggi senza possibilità di replica, che riceve ancora in marsina nera come ai tempi di Carlo Codega e dal quale, nel tempo, ho imparato alcune forbitezze, tipo Ella invece di lei ed Egli Medesimo invece di lui se riferiti a persone di rango, pronomi che però uso poco anche quando penso e mai quando ho parlato, perché non mi fido completamente di me coi verbi che seguono le persone socialmente superiori. Io non ho i suoi studi e nem meno la sua araldica. E nemmeno una persona cui dare del tu, gallina a parte. IL notaio conte Pezzulli è lo stesso da cui si serve don Pierino per i suoi passaggi e maneggi di proprietà grazie a me, ecco perché ho avuto l'onore di incontrarlo un paio di volte di sfuggita, ma mai direttamente come stavolta che a vendere qualcosa ero io. Non stavo in me dall'eccitazione per quella birichinata impensabile della casina che non lasciavo alla mia diocesi, pensavo che quel burocratico uccello notarile del malaugurio avrebbe informato il suo principale cliente della follia del suo tirapiedi da una vita, in questo caso gliele avrei cantate, oh, puoi giurarci come gliele avrei cantate se don Pierino avesse osato chiedermi spiegazioni, e a tUtti e due non gliele avrei certo mandate a dire, ero pronto alla sfida. Ne avevo in serbo un sacco e una sporta, dalle Alpi a Mogadiscio. Dai Boschetti dei Novagli, dove abitavano i Ciuletti, a Santa Margherita Ligure, ai Garletti di Sotto. Tutti Luoghi, malgrado la frugale evocatività dei nomi, di trappole pretesche. Di spietata, determinata, caritatevole, pastorale lussuria. E invece sono passate quarantotto ore e il notaio conte Pezzulli non deve avergli detto ancora una parola. Forse ha pensato che era un trucco fra me e monsignore per mettere alla prova Egli Medesimo, per vedere se sa essere discreto fino in fondo, il volpone, la cui specialità sta nell'individuare il nemico dietro l'amico, mica s'è tradito, sarei il primo a saperlo, e siccome l'anticamera era piena di gente abbiamo fatto finta di niente, non ci siamo scambiati nemmeno una parola io e l'Aminta, io sono rimasto fuori tutto il tempo in piedi davanti alla mia bicicletta contro il muro e lei dentro, una caciara con quei tre figli viziati dal superfluo perché privi di ogni necessario, e la Rachida ormai adolescente più bambina di tutti, anche perché a dieci ha fatto anche la meningite ed è un po' subnormale, ma una caciara che tutti ci hanno dato la precedenza e allora l'impiegata del notaio è venuta fuori a chiamarmi, un paio di firme e via, tutte le spese del passaggio a me, ho fatto in tempo a entrare puntuale per la messa delle undici e la seconda parte del Secondo Triduo e, grazie all'interruzione pubblicitaria di TeleVita, a scambiare due parole con don Pierino che tutte le volte che mi vede mi fa la ramanzina e mi ricorda tutto quello che la Chiesa ha fatto per me, dal diploma all'iscrizione a ruolo docenti al prepensionamento tutti e tre i favori mezzo illegali, e che sarebbe più tranquillo per la mia anima nell'aldilà se lui avesse una carta firmata in mano anche da me,8si riferiva a tutte le carte firmate che gli ho messo in mano fra le estreme unzioni e ultimi rantoli all'ospizio, una carta scritta per via della mia casa e miei eventuali risparmi se per disgrazia mi succedesse qualcosa perché alla nostra età oggi ci siamo e domani non ci siamo più. Io quando lui mi rivolge la parola divento una statuina di gesso al cospetto di un tolosso di onice ben rasato, io un portatore di acqua tirato in su e in giù dagli stessi secchi che lo controbilanciano ma non gli danno mai un equilibrio e lui un automa stellare ben piantato sulle piante dei piedi e ventre ben arcuato e non un capello fuori posto, i begli occhiali squadrati dalla montatura d'oro, gli occhi grigi sempre così mobili che sembrano fargli il giro ad aureola attorno alla nuca, il clergyman color carta da zucchero dalle pieghe perfettamente stirate e la camicia grigio perla fresca di giornata, come pronto nelle scarpe di vernice scintillanti di patina e spazzola a salire in pedana per una conferenza episcopale a ogni momento, è sempre così metafisico senza una piega fisica, lui, mai un'incertezza psicologica, una smagliatura teologica, sia che parli del tempo sia che disserti su una qualche miseria umana, sempre altrui, aborti, manipolazioni biogenetiche, eutanasia (e qui una piccola r pausa sui metodi di suor Lucia potrebbe anche lasciarla ~! cadere per farsi un doveroso esame di coscienza...), guerre, fame, stupri, turismo erotico, virus letali dovuti alla fornicazione coi diversi, stragi etniche, omicidi passionali, suicidi finanziari, fallimenti societari nonché esistenziali, beni mobili e immobili e zezzo degli angeli e tossicodipendenza, e gli ho detto che aveva ragione. Con un coraggio da leone che non so dove sono andato a prenderlo, gli ho detto che mi ripromettevo di sistemare la faccenda della mia casina in settimana, ovviamente a favore della Chiesa. Lui mi ha dato una benedizione extra e mi ha chiesto perché quella mattina non avevo fatto la comunione come al solito ma che comunque ero assolto lo stesso. Mi sono sentito così vero che se avessi redatto io il mio proprio testamento, avrei falsificato anche quello. Comunque, di quelli lì nella camera d'attesa del notaio Pezzulli non ho mai visto nessuno prima e nessuno ha mai visto me, ma non è detto che proprio tutti tutti non avessero mai visto l'Aminta e io ero un po' imbarazzato quando la sua più grande mi ha chiamato nonno Pino sulla porta perché una mezza negretta che chiama nonno uno interamente bianco come me e della mia età vuol dire che la figlia di nessuno è come minimo sua figlia. L'avrei strozzata l'avrei, anche se da piccolina qualche volta l'ho presa sulle ginocchia quando ancora abitavano su nella stanza che era stata della Tilde, ma alla Rachida non mi ci sono mai affezionato, l'ho lasciata perdere quasi subito, non era la stessa cosa, non avrei mai e poi mai potuto sostituirla nei miei affetti a quella bastardina della mia unica nipotina amatissima... E che impertinente, e che memoria questa Rachida che, quando sono stato dall'Aminta a proporle l'affare, non rivedevo da un'eternità. Perché è chiaro che dall'Aminta uno mica ci va per fare quattro chiacchiere e s-ciao. Anche dal notaio s'è presentata con tutti quei turbanti da zulù e gli spacchi davanti e didietro a far da propaganda al tipo di gioia di vivere che esercita, e a me che i clienti lì dal notaio mi associassero a lei e alla sua prole con il moccio invece degli anelli al naso, mi faceva un po' ... mi metteva a disagio, così davanti a tutti. Mica potevo sbandierare che l'unica ragione che ci vedeva insieme in pubblico era che stavo per farle una segreta beneficenza. Non sono razzista, per carità, ma ho paura degli equivoci delle donne e delle bambine e ne ho ben donde. Ma a ben rifletterci, la cVsa che più mi colpisce ades-i so è che il conte notaio Pevzzulli, nella sua minutezza di gazza ladra, è vestito come me di nero sbiadito, istituzio nale nell'ordito e nella trama inesistenti all'apparenza, non per modestia, non per timor di Dio, ma per agire senza limiti nei gangli del potere secolare passando inos servato. Se vestiamo uguale, siamo dunque uguali; voglio dire, lui non è peggiore nel secolare di me nello sSiritua le come ho sempre pensato, e questo non lo sapevo. E io che, seppur solo interiormente, in tutti questi anni ho osato criticarlo per la sua avidità senza limiti! Ma io, io,| per scomparire come lui agli occhi del mondo, del mio grigiume dimesso e logoro e compassionevole non ho forse fatto la divisa, una per il caldo una per il freddo,13 della mia segreta volontà di onnipotenza nell'ambito dei favori da strappare a Dio? Uno avido con Dio non è migliore di uno avido con gli uomini. Quando sono andato a offrirle la casa un quindici giorni fa, le ho detto per mantenere le distanze, «Signora Aminta, gliela vendo per poco, per molto poco, ma lei non deve dirlo a nessuno fino all'atto», lei è rimasta con una tartina a mezz'aria da una parte e il coltello dall'altra, chissà a quale atto stava pensando quella lì, e invece fa, «Io la ringrazio, signor Pino, ma per poco che me la vende io poi voglio andare a starci e lei dove va? Non è che me la vende e poi io resto col culo a terra?», e io l'ho rassicurata, «Io vado via da qui, non si preoccupi. Solo non dica niente in giro che siamo in trattative», non è che volevo fare una sorpresa a tutti i costi perché si accorgessero di me almeno da assente, volevo solo andarmene via in santa pace, ecco, senza dire dove vado o non vado, senza dare giustificazioni a nessuno una volta tanto, e ho aggiunto, «Nel giro di una settimana dopo l'atto notarile lei ci entra, che io lo voglia o no, e comunque io lo voglio», le ho detto la cifra, una sciocchezza tale che lei stessa ha sgranato gli occhi e tuttavia mi fa, «Lei sa cosa mi sono costati questi soldi? Lei lo sa, vero? Oh, puttana Eva, il cavial...!», ha detto lei sventagliandomi sotto il naso un mazzetto di banconote da cinque e da diecimila e al contempo esclamando blasfema perché le si era rovesciato sul linoleum della tovaglia un vasetto di puzzolenti sferette nere piccole piccole. Io le ho detto che non volevo neanche saperlo. «Non si ferma neanche un pochettino? Gradisce una tartina di caviale della Moldava con un calicino di bianco Lugana? e di Martini dry? e di vodka Visborava? Sa chi me l'ha mandato da Mosca insieme alla vodka? Adesso là c'è il disgelo mentre qui dalla Zorro si muore dal freddo...», e io, «No, devo andare, la chiamerò per il notaio...», e lei, «Però con la mia sorellina Zamira le piaceva fermarsi un pochettino...», mi fa sulla porta, mettendosi a fare la provocante e lisciandosi una specie di straccio colorato su una coscia mezza nuda. Possibile che anche lei pensasse che non l'avevo fatto per umana compassione di intrattenermi innocentemente ogni tanto a parlare con sua sorella giovanissima mammina? Io le ho detto, «Non si vergogna neanche?», ma così sottovoce che non mi deve nemmeno aver sentito, ma poi mi sembrava di essere così maleducato con una povera pecora negra smarrita, e tanto fuori faceva buio e poi c'era anche la nebbia ed ero venuto a piedi direttamente dall'ennesimo funerale, di veri parenti stavolta, doppio per fortuna perché non ne potevo più di tutti quei suicidi al dettaglio avanti e indietro dal cimitero e mi sono anche accorto recentemente che zoppico sempre più, che le falangi spappolatesi da bambino mi gonfiano l'indice e l'alluce, e quindi nessuno del paese poteva vedere fuori dall'Aminta una bicicletta che non c'era, la mia in garage, e mi sono ritrovato in mano un bicchierino di vermut ma tutto è finito lì, anche se io sono ancora molto zenzibile e malgrad;- la mia età mi devo fare ancora forza contro certi istifiti dell'uomo animale, perché l'Aminta è pur sempre una gran bella reclame del cioccolato sfuso, tanto che potrebbe fare la Principessa Tartara a una delle finestre assiro-babilonesi del mobiliere D., e in quel momento s'è aperta la porticina di dove dormono tutti ammucchiati i suoi mammalucchi ed è comparsa Rachida, in canottierina e in mutandine tcon una macchiolina di sangue in mezzo, il pancino scoperto, ha detto, «Zia Ami', mi sono venute le mie...», e la Aminta, rispingendola dentro, «Vengo subito anch'io». Io non ho mai dato in prima persona occasione alla gente di pensare male di me, mai: ci ha pensato sempre qualcun altro. Bevevo il vermut e pensavo a tutt'altro per non pensare a come quella creatura del peccato mi si agitava davanti, un serpente pigro ma con la linguetta biforcuta a saetta dentro e fuori la bocca carnosa era, povera africaama anche lei, voleva darmi la buonuscita in natura, mi girava un po' la testa, non so neanche se l'Aminta abbia detto metto a letto i bambini e sono subito da lei o se i bambini erano subito fuori dai piedi o già da un po' , non so che cosa ha detto o fatto, io pensavo alla cosa... alle cose di Rachida, io pensavo alla maresciallesca Signorina della Caritas Matris Dei e continuavo a ridere fra me e me, ti immagini se la signorina Giuseppina mi vedesse ora, anche se da due anni si disinteressa comple Étamente di me e dei miei rosari, se mi vedesse qui, pro prio col vermut in mano dell'unica sciagurata saracina che non è riuscita a convertire né con le buone né con le cattive né con le promesse né con le minacce, e neanche col-suo pungiglione magico? Nel senso che alla signorina Bentivoglio Giuseppina, buona com'è e, ci metto la mano sul fuoco, come me [pura come mamma l'ha fatta, cioé biblicamente non conosciuta, non importerebbe niente di come la Aminta '~si guadagna o meno da vivere e se continua o no l'avan -tindré anche una volta che avesse una sistemazione r'degna di un cristiano e non di un branco di puzzole [come adesso, ma fare la musulmana è peggio che fare la vita, è questo che è imperdonabile, che ci siano in paese [quattro infedeli scappati al fonte battesimale, e che io, [:con la responsabilità che ho di un'intera chiesa, possa Fperdere tempo e onore su una poltroncina di velluto sudaticcio con le molle fuori e questa negra naturalizzata dell'ex Africa Imperiale buona solo in tutti questi anni a far casini coi Centri Protezione e Prima Assistenza e a ;àpretendere la casa Marcolini o Fanfani anche lei, che io ':possa perdere soprattutto tempo dall'Aminta proprio no, perché se solo lei dimostrasse un po' di buona volontà sarebbe già sistemata in via Junio Valerio Borghese nel più che dignitoso Bronx di Pieve, perché adesso clandestini albanesi croati serbi bosniaci maroc chini algerini senegalesi e brut terun li mettono tutti con finati là ma confinati bene che non gli manca niente, per ché lungi da me ogni ombra di campanilismo, è giusto che abbiano un'antenna sopra la testa anche loro, basta che si battezzino. Invece l'Aminta Ah l'Aminta, che non sa neanche con chi figlia o non vi ha dato peso, e che se invece di fare la vita e la fame facesse fare qualche prova del sangue a qualche cliente fisso che sa lei... si sistemerebbe le ossa per sempre. E che la prova del sangue gliela facesse fare magari non qui a Pieve di Lombardia, non qui all'Ospedale Civile, magari non nel laboratorio di quella clownesca animalottera della dottoressina Bentivoglio Mercede, che con quel marito gigantescamente membruto che si ritrova deve essere ridotta peggio del mio scolapasta di plastica ustionata... e che la Aminta la prova del sangue la facesse fare per ingiunzione del giudice ai grossi papaveri scarpe grosse e portafoglio pure che per risparmiare non cambiano neanche il preservativo- bucato (perché io adesso so cosa sono!), e fanno i figlSin giro come conigli, altroché se quella sciagurata non si metterebbe a posto per tutta la vita, e invece la Aminta è così, non è una vera puttana al dettaglio per soldi, è solo una troia all'ingrosso per fame, non sa ricattare ai piani alti come saprebbe fare una vera puttana incintata e abbandonata di moglie approfittatrice, la Aminta si accontenta delle sue ~ccolezze da utero fatalista e delle risorse del suo artigianato a mano, lei, scrofa madre rassegnata e basta, come mia madre. Una mentalità da zingara errante, ma mica furba come gli zingari di adesso, la Aminta. «Salve! Salve! Salve! a te rico... ricorico... ricorì ..» Il terzo vermut si faceva sentire, ridacchiavo con una mano davanti alla bocca per via del canino e dell'incisivo che ho perso da poco, e l'Aminta mi dice aggressiva, passando finalmente a trattarmi non più come un uomo qualsiasi ma come un puttaniere dalle intenzioni serie, «Che hai da ridere? E' tutta una presa in giro, eh?», ma io le ho detto che non la riguardava, che non mi rimangiavo la parola sulla casa e basta, non sono stato lì a dirle che i suoi tormenti stavano per finire e che il Signore l'avrebbe perdonata anche così, anche senza i santi sacramenti del battesimo, basta che diventato maturo non facesse dormire il piccolino con quella di mezzo o quella maggiore o addirittura con sé per evitare certe brutte cose come fra certa gente che conosco io qui nei dintorni... subito dopo piazza Garibaldi... girato dentro a destra del Duomo... la madre col figlio... e invece le ho detto che se voleva poteva darmi un altro bicchierino di vermut che non l'avrei rifiutato e che non mi desse del tu, che certi spettacoli li subivo solo per cristiana rassegnazione. E' come impallidita, non so se dalla rabbia o dalla vergogna, ha capito che non c'era niente da fare con me. Io, quattro vermut, che ai pasti non bevo neanche l acqua minerale se è gasata! Quando sono uscito dal sotterraneo dell'Aminta, sono stato sfortunato, non si vedeva a una spanna dal naso, e dalla discarica dei Polifosfati San Valentino, che si trova a più di un quattro chilometri di distanza, proveniva quell'odore di carcassa cotta che impesta il paese nei secoli saeculorum e che impastata coi vapori venefici di altre puzze di altre fabbriche ha portato a Pieve di Lombardia un primato il tasso di mortalità per cancro al sette per cento, il più alto d'Italia, e il tasso di vedove allegre, le mie pie escluse, al cento per cento, il più alto del mondo. La zaffata di marcio è stata tale che non sono riuscito a deglutire il raspino in gola e ho tossito e la voce catarrosa della Zorro, seguita dallo schianto delle imposte che chiudeva di colpo neanche sbattesse fuori Satana in persona, mi ha sibilato dietro, «Il diavolo fa le pignatte ma non i coperchi... IPOCRITA!». Slam! La Lucifera voleva battermi in ritirata. Mi è venuta voglia di difendermi, di dirle come stavano le cose, che lei aveva pensato male ingiustamente, del buon cuore che ho anche se non l'ho mai fatto vedere perché faccio del bene senza pubblicità e che non sfrutto con un affitto iniquo come fa lei una miserabile con tre miserabili a carico, ma poi sono stato più furbo di quella miscredente che non la vogliono vedere neanche i figli che aspettano solo che crepi per buttare giù quel suo cesso di villetta e farci dei bei garage sopra e sotto, ho pensato, come fa a sapere che sono io, non può avermi visto, la nebbia, lo scuro che fa, ha detto ipocrita a chi tocca tocca. A caso avrebbe fatto centro comunque. L'ha detto proprio per vedere se rispondendo dal buio lattiginoso l'ipocrita di turno si sarebbe tradito rivelando la sua identità e quindi la sua patente di ipocrita garantita; un appellativo così calza a pennello a chiunque si muova nella foschia attorno al bordellino dell'Aminta senza farsi riconoscere. Mi sarebbe dispiaciuto pirdere la mia onorabilità proprio adesso per un altro malinteso, magari saltava fuori che la Aminta mi ha mandato avanti la figlia di sua sorella per corrompermi per via della casa e che io... col sangue del mio stesso sangue... Lo so io quanti lustri ci vogliono a far la cima a certe linguacce, lo so io quanto continua a sanguinare una ferita causata dalla malditenza di chi attacca ingiustamente per tema di essere attaccato come si meriterebbe. Perché la gente si vendica se sei troppo buono e hai una capacità di sopportazione che neanche san Francesco con santa Caterina a Siena, e certe donne, tipo la Benita Belindi Velia, ma anche altre sciure Perquindi, non ti perdonano di fare a meno anche di loro femmine, e questi beati immacolati e vergini di uomini alle donne stanno bene da morti, da vivi non li vuole nessuno, forse neanche Dio, la cui biografia in divenire e sorte fissa dipendono non dal vincolo del celibato e della castità dei puri ma da chi contribuisce alla procreazione in continuum: cani, porci, uomini, incubatrici. E preti. Comunque, non sono riuscito a chiudere un occhio quella notte delle trattative con la Aminta e ho aspettato addirittura le cinque e poi ho schiavardato il portale e ho preso a scopare il sagrato della chiesa del Suffragio sporco delle cartacce dell'asilonido che scendono giù dalla scalinata a mulinelli insieme a quel paio di siringhe di regola perché lì c'è la fontanella e di notte vengono qui nei vicoletti bui a farsi le iniezioni di quella porcheria lì e per un po' se ci inciampavo dentro chiamavo l'ambulanza e li salvavo, adesso che si inculino tutti anche loro, e poi ho finito di slordare anche il sagrato e mancava ancora mezz'ora alle sei e ho pulito anche i due rilievi sul portale, i due teschi dalla fronte troppo sporgente fra le cui tibie incrociate i piccioni vanno a farla, io i piccioni li farei fuori tutti, li avvelenerei uno per uno cacciandoglielo giù nel gargarozzo come il pastone per le oche, altro che bonifica ad opera del Comune che aspetta sempre la salmonellosi, andrebbero sterminati tutti da sani, ma non venivano mai le ore di ordinanza per suonare la campana, avevo come una frenesia nelle mani e sui polpastrelli mi sentivo quel *uscfrusc delle ciabattine di Rachida diventata donna proprio in piedi lì davanti a me... e mentre quel venerdì di due settimane fa infilzavo la candelona nuova nel candelabro davanti all'affresco del Milite Ignoto in ginocchio davanti alla Madonna della Battaglia sospesa fra nuvole e baionette con un'aureola a elmetto, ho rivisto il rivoletto di sangue giù dal ginocchio dentro la ciabattina della Rachida e poi il sangue che comincia a buttare dal gargarozzo strozzato di sua madre Zamira Faccetta Nera mentre le giro dentro il manico della scopa che mi si spezza in mano in due e tolgo il ventaglio della saggina senza abbandonare la presa dal collo e le infilo anche l'altra metà e così sono due pezzi di manico su per l'entrata dell'uscita della femmina e nel contraccolpo lei spira, e il cortocircuito del tempo mi riporta alla sera precedente, al terital rosso che strusciava sui fianchi color cioccolata smagliata dell'Aminta che mi porge i vermut e finalmente, nel sentire il primo rintocco delle campane della Basilica della Santissima Maria Vergine Assunta In Cielo, ho capito che avevo fatto addirittura ritardo, che il sagrestano di ruolo aveva fregato quello abusivo. Sono corso alla mia postazione, e ho cominciato a tirare e a mollare a tirare e a mollare a tirare e a mollare che certo quello scampanio deve essere assomigliato più al battito ampliato all'infinito di un'orchite impazzita, più a un grido sconsiderato su tutto il paese ancora nel sonno che non al mesto suono in onore dei nostri caduti che la curia mi lascia diffondere alle sei di mattina e alle sei di sera di ogni venerdì e per il resto solo le feste belliche comandate. Tiravo le campane e avevù il sentimento come di uno che piange a stormo sulla propria negletta potenza di uomo, ma non stavo piangendo, era tutta un'impressione, e poi oltre alla rabbia per via della forza di volontà che mi è costato resistere prima alla profferta carnale dell'Aminta, perché a me le donne sarebbero piaciute anche un po' frolle, al limite, e resistere poi alla vertogna per quella parola della Zorro, c'era anche questa cosa che mi premeva nel costato, che quando mi prende mi dà come il soffocamento, questa cosa che ho paura di fare la fine di mia madre con la differenza che adesso non ci sono più neanche i manicomi e da pazzo in libertà costretto a stare fra la gente sarei troppo solo. Quando ho lasciato la corda e mi sono lasciato cadere a terra esausto, ho sentito la vecchia Alice che apriva la finestra di fronte al campanile e sbuffava dentro l'inferriata dell'oblò senza vetro, «Era ora! Ma si può? Anche di giovedì adesso!» e poi ha detto - l'avrà detto all'infermiera -, «Passami il collirio antiossidante, e non dimenticarti di farti dare l'inserto Borsa e Finanza come l'altra volta», è ritornato il silenzio, come una conquista anche per me che l'avevo violato con un accanimento e una veemenza insoliti, e in quel silenzio ho potuto chiudere gli occhi che non mi sembravano più nemmeno miei tanto facevo fatica a far stare assieme le ciglia, e nel chiuderli ho visto Lei, su una nuvola di tuberose e un'aureola di gigli fra i capelli metà castani e metà biondi sciolti sulle spalle coperte come al solito dal mio scialle verde a punto nido d'ape, e mi sono calmato, Lei che mi aspetta in cielo continuando a sorridere e a fare così col lembo della vestaglietta cile ,.strina, come una bambina impaziente che si dondoli di lato, oh. Ohi, Marì! Sto venendo a Te! Ma basta chiedersi che fine faranno, i Suoi quattro quaderni adesso sono qui vicino a me e vi tengo la destra sopra, li accarezzo muovendo appena i polpastrelli, ne sento la peluria flettersi dalla vecchia cellulosa che la muffa ha vellutato. La pelle di Marì doveva essere così, le strette di mano che mi ha dato non sono le più indicate per sentirla, ma una volta io una mano gliel'ho sfiorata... l ho sentita... come un cielo sopra un mare che così dissimili palpitano per un istante insieme attraverso un loro comune elemento segreto a loro stessi... In quel fieniletto mezzo diroccato del Santellone, in quella clausura da freietta, da feccia umana allontanata dalla società, era diventata in poche settimane così smunta, così scheletri ca che l'istinto è andato a posarle la mia mano sulla sua abbandonata sulle frange dello scialle verde fondo di bottiglia che le avevo appena portato... «L'ho fatto io al telaio...», dissi, lei fece uscire un filo di voce, «Grazie...», era dolce e freddo, il dorso, amaro e caldo il palmo, e lei rassegnata, come trasparente di mestizia. Su una guancia aveva ancora i segni delle unghiate a ghirigori dell'inse gnante di disegno Gallizzi Marisa. Era uno scialle a pon cho messicano, di quelli che si infilano per la testa, e sic come io gli avevo fatto anche il collo alto e stretto sotto mento, lei disse, «Uno scialle a dolce vita...», era come trasfigurata, e così zenzuale. Non le dissi che avevo pen sato a un soggolo da suora e che, quanto al colore, ai cocci di bottiglia che da ragazzo mi avevano ferito le mani sulla muraglia dei Fratini di Nazaret. «E come passi il tempo?», le chiesi. «Scrivo dei pensieri... penso... Ho ritrovato dei vecchi quaderni di scuola... Guardali qui...», disse. «Ma i tuoi non ti danno neanche da mangiare?», chiesi io, «Ma no, me ne danno fin troppo... io li capisco, il disonore... ma io non ho mai fame e mangio me stessa...», mi sembrava di essere nella mia tana, per salire e scendere usava una vecchia scala di legno, non faceva mica tanto caldo, aveva solo una stufetta elettrica, «Chi l'avrebbe detto che qualcuno mi faceva ancora Santa Lucia?~i, disse assorta accarezzandosi sul davanti lo scialle cheY'aveva appiattita del tutto, «E le tue amiche, i tuoi conoscenti? La Emiliana, la...», chiesi io, «Tutte scomparse, neanche avessi la lebbra...», «E adesso?», «Adesso cosa? Mi rifarò, troverò da lavorare, ritornerò a fare la commessa da qualche parte... Ma adesso sto così male, mi fa schifo anche l'aria, figurati la gente», «Vado», dissi io, per reazione spontane|l, «Ma no, che hai capito? Tu non mi fai schifo... Tiene caldo... E grazie, neh». Poi cominciò a darmi dettagli sparsi, con impressionante lucidità, senza peli sulla lingua, sull'accaduto. Non vedeva che i lati negativi della sua disgrazia. Io qui la seguivo poco. Tutto era andato per il meglio come avevo previsto, ma non potevo certo dirle che dalla sua momentanea rovina scaturiva la sua salvezza eterna. Ebbe parole di apprezzamento solo per questa sua certa parente alla lontana e il figlio di costei, certo Melchiorre, che l'avevano presa in casa e curata fino all'altro ieri quando nessuno, neppure sua madre, ne voleva sapere più niente di niente di lei. A Ridge avevano detto che la mamma era andata a fare una crociera di lavoro da sola e ritrovarsela dopo tre settimane di assenza sopra un fienile invece che a casa faceva parte dell'avventura. Era normale per lui, e salire e scendere la scala del fieniletto lo divertiva un mondo, perché, esistevano forse mamme diverse dalla sua? Peggio per i loro bambini. Dopo essersi coperti di baci, lui le aveva fatto notare soltanto che non si era abbronzata molto ma che la dieta, finalmente, aveva funzionato. Non era un mammone come quel Boss di suo padre. «Ridge viene su bene che meglio non si può», disse Marì, «non sarai mica venuto a trovarmi anche tu per criticarmi, neh? No, lo so che non sei venuto per criticarmi, tu.» I capelli le erano tornati in buona parte castano naturale, le punte bionde le aveva tagliate lei man mano che crescevano, ne rimanevano pochissime ciocche, sembrava tagliata un po' come le pazze del manicomio. Io ero andato alla Rurale e mi ero fatto fare un libretto al portatore apposta, «Senti... io... io... io tanto non so che farmene», glielo spinsi davanti con una mano, lei non capiva, dissi, «Hai bisogno di soldi? Qui...», ma lei si mise a ridere, «Ho bisogno di tutto, tanto vale non cominciare da niente... i soldi, da te... ma grazie, sei un amore. Tu, piuttosto, il dentista...», disse, un amore, tu piuttosto il dentista, a me, e risospinse il libretto da dove era venuto. Ohi, Marì, Marì! Sto venendo in Te! .. guarda però che hai spento il motore da un bel po' , Pipmo. Ieri mattina dunque ho tirato fuori la Cinquecento e il sacchettino di celofan coi soldi dell'Aminta per la casa che mi facevano quasi schifo a contarli poi davanti all'impiegata di sportello e, dopo essermi fatto vedere in Duomo, me ne sono dunque andato, le ruote sono un po' lise e ho anche sbandato una volta perché il fondo era quasi ghiacciato, ma come mi è piaciuto il paesaggio di nazarene costole ramificate coi ghiaccioli giù come enormi orecchini a frecce e a lance che hanno cominciato a sciogliersi e tutti quei camion che mi tallonavano non so se per divertimento o per cattiveria, io più dei sessantacinque all'ora non faccio, settantacinque se devo andare al Pronto Soccorso con qualcuno su, che i tir mi mettessero pure sotto se ne avevano il coraggio, non è per perfidia come fa il Bertucci Ettorino che va piano colla sua Maggiolino nera per far rabbia a chi gli sta dietro, la mia Cinquecento più di tanto non fa più; l'Ufficio Postale di Castiglione delle Stiviere non aveva ancora aperto e così sono andato a trovare mia madre al cimitero, non l'ho mai fatta rientrare a Pieve, tanto. Visitarla è una cosa che non ho mai fatto dall'interramento, e poi se non ci ha pensato suo marito Leone a farla rientrare nel camposante« di pertinenza... La lapide non c'era più, mi sono ricordato che il Municipio di Castiglione mi dava una certa notizia e se volevo rinnovare una certa locazione, io non ho neanche risposto, ho il culto dei morti, come no, altrimenti che sentimenti avrei, però una svista la possiamo avere tutti, o un pensiero che ci fa così male che non andiamo avanti a pensarne il prosieguo, strano che la terra santa allocata atmia madre mi venisse in mente solo adesso che stavo lì a gironzolare invano per trovarla. Allora sono andato davanti alla fossa comune e sono stato lì un po' , ma non mi ricordo niente di quello che le ho detto e se lei ha detto qualcosa a me nella mia mente. Che mai potrebbe dirmi mia madre ora? "Te, Pino, quanto li fanno gli uovi oggi?" Pace all'anima sua, visto che adesso gli animalisti dicono che anche le galline ne hanno una. Poi la Posta era già aperta da un po' e, siccome più di tanto per vaglia non si può, ne ho fatti quattro intestandoglieli al suo vecchio indirizzo presso la Zorro, non al mio, non dovrebbero arrivarle prima di un paio di giorni, forse il giorno stesso del mio funerale, l'impiegata s'è sfregata gli occhi come per togliersi la cispa perché una somma così per vaglia non deve essere roba di tutti i giorni, chissà la faccia che farà l'Aminta quando si ritrova di nuovo in mano tutti i suoi soldi della casa; per quelli che avevo io sul mio libretto al portatore e che in contanti erano ritornati dentro la zuppiera invece, oltre alla magnifica pianta di orchidee rosa che le verrà recapitata non prima di domani a nome mio dall'Interdeflora lì del camposanto, ho fatto un vaglia per la vedova Paleocapa, che è lì boccheggiante che lustra l'ottone e il rame dei rubinetti e delle maniglie della Bentivoglio-Casa s.r.l. da mattina a sera per integrare la sociale e i dancing, io non ho mai saputo che farmene nemmeno dei due terzi della mia non misera pensione con cui mi sono ritirato dall'insegnamento ma non ho grandi risparmi, e anche la Marì mi è costata poi una bella cifra in finte e segrete donazioni sue ma vere e palesi emorragie mie per placare l'ira di don Pierino che mi aveva visto in piazza, seppur con gli occhi delle spie, a scaricarle dall'auto gli scatoloni di jeans o ad appendere gonne a fiorellini all'attaccapanni con le ruote, e poi soldi per ciclostilati, depliant, benzina, scope, spazzettoni, stracci e detersivi, contributo dentiere e corone e manifesti funebri e chi non aveva i soldi per la gita sociale e chi non aveva quelli per la candela ex voto, speso tutto, e figuriamoci delle fedi e di altri piccoli ninnoli dei vecchi dell'ospizio che mi sono rimasti appiccicati alle dita anche non volendolo perché regalati direttamente e sinceramente a me: tutto alla cassa comune della Ex Combattenti tramite suor Lucia che li trasforma in contante, e se mi dà un decimo è tanto. E' da sottolineare che il televisore a maxischermo col videoregistratore della Associazione Nazionale Combattenti e Reduci l'ho pagato io, che a casa mia uno così me lo sogno, ho un diciassette pollici in bianco e nero che ha vent'anni. «L'Attanasio aveva un dente d'oro e non ce l'ha mai detto, il gianduia... Che peccato, quel dente d'oro», mi fa una volta suor Lucia chiudendo gli occhi e la bocca sdentata di un morto che aveva un molare sfolgorante laggiù in fondo, l'unico, «se non mi facesse così specie... con tutti gli affamati che ci sono in giro...», allora non ho capito e lei mi fa, «Non hai capito? Va' a prendere la cassettina degli utensili, no?» e sono andato nella rimessa e ho preso su la cassetta con le tenaglie, il trapano eccetera, tutti i lavori sporchi ma delicati li ho fatti io, e anche i lavori di elettricista, tutti gratis ma, a Dio piacendo, per terzi solo per le pie donne del rosario e loro conoscenti gli ho fatto pagare solo il materiale d'uso, duemila, duemilaecinquecento lire al massimo compresa una pera o una presa, mai concessomi un etto di prosciutto crudo, mai mezzo etto di anguilla marinafta e cento grammi di cotognata almeno a Natale, sono 'stato vivo a mele, a minestra di pane vecchio e stracchino bianco e acqua di rubinetto, gazzosa quando proprio proprio volevo darmi agli stravizi e, da fine marzo a aprile, di puttine, di cui sono molto ghiotto, io e la vedova Paleocapa nei campi a culbisù a raccogliere lei i radicchi e io solo queste piantine ten,erelle del papavero, anche se con tutti questi diserbanti popo una vita passata alla pecorina la Bocchino rientrava col sacco pieno che faceva scorta nel frizer e io sì e no una sportina per due volte di puttine un'unghia di burro e uno spicchio d'aglio, e quanto a vestiti, l'unico capo nuovo che mi sono comperato negli ultimi tempi, sportivo, è stato quello che mi ha venduto Marì quel giorno dell'estate scorsa che mi ha rivolto la parola fuori dal negozio. Per strada! Io facevo dei giri in bici, tutti gli uomini e le donne di Pieve hanno i suoi giri, io solo quelli. A ben vedere, l'unica che non aveva i suoi giri qui a Pieve di Lombardia era la Alice, e non perché i prossimi sarebbero stati centoedue, ma perché costretta sulla carrozzella. Di sicuro, trattandosi di una donna e non di un uomo, la Alice aveva i suoi giramenti di sfere, che quando le uscivano di orbita... come quella volta, appunto, per il suo centenario, sarà stato... be', di sicuro era il primo giorno di primavera, un ventun marzo, ma sì, ti ricordi, è stato l'anno prima di conoscere la Marì, sì, che ci sono stati tutti quei palloncini colorati che salivano in cielo e tutti quei volantini che ne scendevano inneggiando al forzigienista nobiluomo Pezzulli Giovanni che poi faceva la sua calata dal cielo in un elicottero messogli graziosamente a disposizione dal suo committente Presidente Cavalier Mipermetta, ma sì, che poi è apparsa la foto addirittura a colori sul Bugiardiro con don Pierino, il notaio conte Pezzulli e il suo abbronzatissimo ancorché attempatello nipote in lista elettorale ai lati della farmacista Bertucci! triste, trista ed ebete come un bulldog verniciato di rosso... ma dai, che nella foto c'era anche la dottoressina Mercede che copriva del tutto la sorella... la sorella... ma come si chiama sempre? Fede, sì, ecco, la Mercede copriva del tutto la... la?... Fede, ecco, ma non il luminare marito a parole antiabortista di ferro di costei Professor Angelucci (ma dove l'avevo già vista quella sua faccia, quei lineamenti da primo della classe? dove? mah) a braccetto del sindaco Milancio - e sindaco ormai per la terza volta consecutiva, la prima per la Dc, la seconda per il Psi, la terza e attuale per la Lega Nord, da cui si sta già dissociando per dissidi col Segretario Nazionale Bossi Umberto che, seppure per finta, non apre più di tanto i suoi fustini elettorali al Pulito di Forza Igiene. La piccola primario Bentivoglio Mercede nella celebrativa foto sembrava una bambina della Prima Comunione appesa a una ruota della carrozzella elettrica dell'Alice al centro della banda... del gruppo, volevo dire... Questo sì. Bene. Ma saltò fuori che c'era ben poco da celebrare, anzi: più niente del tutto, neanche l'ombra di un centesimo in eredità alla curia di Pieve. La vecchia Alice, da una sera all'altra, aveva cambiato bandiera. Nel giorno del suo centenario, dunque, la Alice si sveglia, alle sette meno dieci legge i giornali della giornata portatile dall'infermiera, poi si rilegge quelli del giorno prima, vuole andare a fondo di questo fatto di sangue sul prete meridionale che chissà perché l'ha così colpita, è un fattaccio di sangue come ce ne sono a bizzeffe giorno sì giorno no in tutta Italia, a ben pensarci, niente di speciale, e insieme al rinfresco preparato da mani esperte venute da una grande pizzeria della Nuova City, perché lei nelle sue condizioni un po' paralitiche un po' civettuole era già tanto se riusciva a stemperare un budino col suo tagliacarte d'argento, fa trovare all'abate Puripurini e al notaio conte Pezzulli una di quelle ostie da mandar giù che se era un rospo vivo ci«;guadagnavano. La Alice, detto di sfuggita'; disponeva di tre infermiere diplomate che si alternavano nelle ventiquattro ore per star dietro a lei, e possedeva un tesoro la cui effettiva entità era segreta a tutti meno che al notaio conte Pezzulli e a don Pierino, che ha le sue conoscenze e confidenze dalla Cariplo alla San Paolo alla Agraria, la Mediolansilvianum va da sé, e la scaltra Alice dallt sua carrozzella e dal suo telefonino portatile con tre linee differenziate amministrava i suoi enormi capitali quasi tutti in liquidi come forse solo il nostro amato cardinal Marcinkus era capace. Tanto per dirne una, quando la lira è crollata definitivamente a metà dell'anno scorso, lei aveva già convertito tutto in marchi tedeschi mesi e mesi prima e addirittura prima che cadesse il governo del Cavalier Mipermetta e dei suoi fidi tribuni igieninvestiti, così ingiustamente perseguitati dalla Magistratura, e a livelli di accanimento svizzero. Oltre dunque a gestire capitali in liquidi per miliardi, la Alice dalla sua potentissima immobilità gestiva in modo che più brillante non si può anche una rete di promesse in briciole, di minuti ricatti sentimentali allusivi sino all'indecifrabilità e di cui si serviva per avere tutti ai suoi piedi con uno schiocco di dita, dai postini agli ope ratori ecologici ai derattizzatori agli idraulici ai carabinieri, e anche il trombettiere Annunziati Ugo della banda municipale, quando lei per telefono gli ordinava un Silenzio, correva alla bersagliera, tromba sottobraccio, sotto le sue finestre a farle quella serenata militare, e non certo per il cinquantino che una manina di cera rappresa ma ferma faceva volare fuori dall'inferriata, ma perché anche lui come tutti sperava in ben altra ricompensa, alla fine. Per cinquantamila soltanto, al massimo le avrebbe dato la tromba in testa. Tutti speravano di far breccia nel cuore della vecchia Alice e, quindi, nelle sue ultime succulente volontà. Se lo speravano tutti, chi lo sperava più di tutti? La Chiesa, come dice Puripurini Piero quando parla di sé in prima persona, perché lui è un tipo schietto e diretto, non parlerebbe mai di sé in terza persona. E alle ore dieci in punto di quel ventun marzo con le elezioni politiche di lì a una settimana, fra gli invitati ufficiali ai festeggiamenti stranamente c'ero anch'io, perché, la vecchia Alice l'ha sempre detto anche a don Pierino, se non fosse per il Pigliacielo Pino lei alla Chiesa non lascerebbe niente e se non fosse perché non so che farmene lascerebbe tutto a me, che non so neanche perché, non l'ho mai trattata in nessun modo speciale, salve, Fbuonasera, ci vediamo, vi vengo a prendere, quanto la fate lunga, vi faccio riportare dalla vedova Paleocapa e fine della sonata, be', don Pierino arriva col sindaco Milancio e la piccola consorte dottoressa Mercede vestita di un tutù bianco a metà strada fra la corsia d'ospedale e il circo, arriva la signorina zia Bentivoglio Giuseppina con tutte le sue esimie e inossidabili sorelle più cognata vedova, non una, una sola di morta, ziocan, arrivano il notaio conte Pezzulli, suo fratello l'avvocato Pezzulli Fulgenzio e i quant'altri che ritroveremo nella foto sul Bugiardino, e col fotografo Basilio, quello delle grandi occasioni, arriva il Quattrini Achille che trascriveva la cronaca vestito come al solito da detective fumo di Londra pipa spenta in bocca, e nel grande salone ci sono tre tavole apparecchiate per il rinfresco con un tale ogni ben di Dio che avevano fatto bene quelli che erano stati leggeri la sera prima per farcene stare di più nello stomaco, | e don Pierino le allunga la destra e la Alice fa per baciargli l'anello come al solito perché da noi gli abati da sempre hanno vezzi da cardinale, si arresta a metà strada col capino in fuori, erge il collo e la testa che sembrava 'I una tartarughina incacchiata e, sbattendo furiosamente la cateratta bianca sull'osfhio offeso, lascia perdere l'anello e con la sua voce più catacombale dice le seguenti parole, «Sa che a Casal di Principe, a Caserta, hanno ammazzato don Peppino Diana, un prete anticamorra?». «No. Mi dispiace», dice don Pierino facendo rientrare nella manica la mano invano porta almeno già da arci- t vescovo, e lei, «Le dispiace che non lo sa o le dispiace che l'hanno ucciso? E' due giorni che è successo diui non lo sa...». «Ma Alice, che domande sono queste, figlia mia?» «Guardi che potrei essere sua bisnonna. Bisognerà far dire subito una messa pubblica a suffragio di questo don Diana, i manifesti a lutto per tutta Pieve li pago io e anche la messa», don Pierino si guardava in giro per cogliere consiglio dalle presenti autorità e non risponde va, è per questo che nella foto appare stranito, stava facendo tutto un dialogo muto col sindaco Milancio e un paio di assessori, come a dire, che diavolo le salta in testa a questa feccia umana qua tutto in una volta miliardariaa com'è e come ci è diventata? E la Alice, imperterrita, «Una messa a suffragio per lui e per la sua mamma Iolanda... oh, come si lamentava alla televisione, una nenia funebre, pareva... diceva, e io non so il terrone, diceva 'Figliu mio, t'hanno acciso comme a Gesù Cristo, io come a Maronna Addulurata mi metto ai piedi tuoi' Un prete coi coglioni, quello» - si sentirono dei colpetti di tosse - «deve venire tutta Pieve di Lombardia a ren dergli onore in chiesa», e, mentre il sindaco Milancio, isempre statuario ma ormai proporzionatamente obeso [da quando non si allena che con il telefonino portatile, le Fprendeva una manina nella sua pala da badile pelosa per accarezzargliela e lei gliela lasciava come se fosse un orangutango addomesticato che vuol giocare con la [domatrice, don Pierino suadente e a voce sempre più querula disse, «Ne parleremo dopo con calma, non rovi L.niamo i festeggiamenti, Alice cara. Cent'anni non si com piono due volte...», e la Alice, a voce altissima, «No, ne parliamo subito, e poi chi gliel'ha detto che io non potrei fare eccezione? Voglio che lei, lei, non io, faccia dire o dica lei in persona ancora meglio domani stesso una Fmessa in onore» - stava alzando la posta: dal suffragio addirittura all'onore - «di don Diana e di sua mamma se no... neanche un centesimo ti lascio com'è vero Iddio. Pennati il tipografo è mio amico, i manifesti glieli fa e glieli attacca in due ore». Be', la gente lì a sciami nelle stanze riservate alla [curiosità e al pasteggiare e a parlare di politica e che ;bisognava restare compatti, perfino i bambini al seguito di ex ambulanti semplici e di scioperati complicati che si erano dati alla politica per il bene pubblico e avevano messo su certe imprese piantate in terra e in suolo pub blico che non ti dico, e giù in strada tutta la banda coi suonatori che si davano il turno e venivano su a sgomita re per portar via roba dai tavoli senza mai smettere di suonarle le marce trionfali e anche La vedova allegra, Il paese dei campanelli, l'Inno di Mameli, mezzo Nabucco, All'osteria del numero uno (per soli tromboni e clarinet to, senza le parole), più una specie di Te Deum però più sudamericano, più indiavolato ecco, e la Alice mica lascia la presa, «Don Pierino, non vorrei che la mia richiesta fosse presa alla leggera... Se fossi in lei non mi fiderei... Non si fidi neanche», il sindaco Milancio dall'imbarazzo, e perché non voleva fare dichiarazioni strane in presenza del pettegolissimo giornalista a ufo, subito dopo i flash aveva già tagliato la corda per primo da ottimo ex insegnante di ginnastica qual era stato, aveva alcune patate bollenti da sballottare in giro per via dell'avviso di garanzia e dell'imminente processo a lui e a tutta la giunta comunale a causa dei faraonici stanziamenti per il nuovo monumentale municipio lì nella Nuova City, una montagna di marmi rosa la Sui unica bellezza e unico utilizzo verranno definitivamente alla luce nel futuro in cui si deciderà di abbatterla, e dietro di lui avevano levato le tende i suoi scagnozzi assessori ex droghieri ex attacchini ex statali ora tutti a capo di drugstore e saloni rivendita di automobili e imprese di servizio e assicurazioni, anche loro coda fra le gambe, la Mercede moglie del sinbaco è rimasta ancora un momento a gareggiare in altezzarcon le ruote della carrozzella e poi saltellando è corsa dietro al suo non più olimpico marito, il trambusto e le felicitazioni e persino il rumore dei baci sulle guance della centenaria distraevano don Pierino ma non lei, che sulle ginocchia, malgrado la circostanza, col tagliacarte d'argento teneva aperto alla pagina dei cambi e della Borsa Il Sole24 Ore che l'infermiera di turno va a piedi a prenderle alle sei e venti, non alle sei e ventuno, alle sei e venti spaccate di ogni santa mattina e guai a lei se non è di ritorno alle sei e trentasei per versarle l'acqua calda nella teiera per la sua tisana al finocchio, però don Pierino non si sentiva osservato se non da me, il notaio Pezzulli aveva preferito defilarsi l'istante dopo che la Alice aveva emanato la minaccia e ora era sotto l'arcata del salone che stava chiacchierando con la Chitari Luciana, versione dama di san Vincenzo fortissima taglia fortina Siderpali Boutique, che sembrava lì in prestito tanto se ne stava accucciata seminascosta dal tendaggio, ignorata a piccolo punto da tutte le donne Bentivoglio di cui a suo tempo, grazie alla signorina Giuseppina, aveva frequentato la dimora. Si diceva che la rottura era avvenuta per delitto di lesa maestà allorché la Chitari, tramite regolare fattura intestata, aveva osato presentargli il costo delle pulizie tutte, da quelle della casa a quelle della Cappella di Famiglia, degli ultimi tre anni. La Chitari aveva goduto del favore di servirle per le incombenze più disparate in cambio della loro bonomia da nobildonne superiori ma buone, e buonissime con la Chitari, che gli aveva vangato gli orti e i giardini e trasportato i mobili da una stanza all'altra e fatto loro i massaggi alla schiena gratis per un decennio e passa, onorata del privilegio e basta, solo abiti smessi da donna-cannone timorata dal più superfluo raggio di sole e che lei ha cominciato a portare per buona creanza, non per altro, perché lei andava in braghe e camicia a maniche rivoltate fino ai gomiti quando ancora certi uomini non andavano con la gonna e parrucca come ho visto io coi miei occhi su una certa strada di Brescia quella volta del Cinema Pace, e del resto si era fatta un'educazione coi fiocchi potendo frequentare quella cerchia di vere signore: a parte le signorine Bentivoglio, lì in giro dall'Alice nessuna come la Chitari Luciana stava sollevando un bicchiere col mignolo così ritto in fuori. Per l'occasione, la Chitari aveva rinunciato all'impressionante coda di cavallo con l'elastico - che in gioventù la faceva sembrare non una donna normale ma un normale pellerossa con l'ascia da guerra appena dissotterrata - per raccogliere quella criniera a chignon sulla nuca a imitazione di una donna quasi femminile. E si era anche schiarita i rossi capelli un attimino, mi parve. La Chitari è un'ex operaia specializzata, gruista della Montatura Laterizi di Tutta Egidio & Figli, figlia naturale del Tutta, si dice, ma mai riconosciuta, una enneenne anche lei come me, buona come il pane e semplice come l'acqua e muscolosa come Carnera, della quale non si conosceva nessun amore, nessun colpo di testa, nessun moroso, solo una grande fedeltà al lavoro e un'agilità da scoiattolo malgrado il grande, sproporzionato deretano; la signorina Bentivoglio Giuseppina poteva essere sua nonna sia per stazza sia per severità di lineamenti sia per solerzìa liturgica, entrambe andavano fiere di aver consacrato alla Madonna quanto più ha di sacro e prezioso una donna, con la differenza che, dopo la vendetta a voce contro la Signorina dell'ex moroso della Tilde, il fornaio annegato nell'ansa del fiume a Calcinatello, si diceva che, be', altro che vergine e non vergine, era la sua potente famiglia di sorelle capeggiate dal fu patriarca Cavalier Bentivoglio a coprire una certa inclinazione assunta dalla Peppina a forza di trascorrerendecenni su decenni nell'ambito della Protezione delle Glovani, era il suo benemerito fratello a coprire le marachelle intime della Peppa, una senza mai attorno l'ombra di un giovinotto che sotto sotto non fosse una giovanotta. Pettegolezzi, come quello più mastodontico di tutti, che se non fosse un'assurdità sarebbe un'infamia, che vuole che la signorina Bentivoglio Giuseppina abbia - qui lo dico e qui lo nego - il pistolino da uomo. Piccolo, ma sufficiente a incantare in territorio strettamente pievense - al territorio sudiacustre, ovverosia a Lonato, ci pensa la dottoressa Giu Domenicale bisognose di ramanzine e d'affetto, le serve e poi le colf, le orfane, le fuggitive, le pellegrine senza dimora e le giovinette sedotte e abbandonate dagli uomini e perciò ormai abituate a un certo trattamento per così dire punitivo nella zenzuale inverecondia, femmine perse dietro a un certo appetito, ecco, appetito che l'abbandono del mascalzone e persino lo stato interessante renderebbe ancora più acuto fra le gambe... Io riferisco solo. Si sa, il paese, la gente, le chiacchiere, l'invidia, e i cassintegrati delle due aziende Bentivoglio... Devono sempre trovare il pelo anche nell'uovo delle più brave. Io posso dire soltanto che non c'è donna più pia e compassionevole e disponibile della signorina Bentivoglio Giuseppina e che a fare del bene ci si tira dietro solo la gelosia degli egoisti e il livore degli aiutati. Be', certo, la Signorina applica alla lettera quel precetto fondamentale della Chiesa cattolica, «Non avrai altro Dio all'infuori di me», ma basta farsi cattolici se non lo si è già e tutto si sistema, se no, be', per lei gente è sinonimo di cristiani, se non si è cristiani non si è gente, si è degli animali come l'Aminta e il suo branco di bastardini, ed Ella non ha tempo da perdere con gli animali, visto che, grazie a Dio, di cristiani da aiutare ce n'è ancora a sufficienza. A ben vedere, la signorina Bentivoglio Giuseppina non ha niente di cristiano, ma non è così, non ci si lasci trarre in inganno da un ragionamento troppo logico e, quindi, errato. Questo sì. Bene. Bene? Con la coda dell'occhio vidi la Chitari muoversi con un certo disagio su una piccola poltrona senza braccioli, e poi la sentii - la Chitari è la prima che ha introdotto qui a Pieve un'impresa di pulizie a livello manageriale e che al contempo fa tanto di quel bene alle profughe dell'Est più giovani e di buona presenza - che stava dicendo a qualcuno che doveva averle fatto una domanda a bruciapelo, come discolpandosi, «...oh, una conosensa d'occasione, dottor conte, so che è sarda e che vive ai Garletti con una certa Tusnelda e basta... mi ha chiesto se potevo fornirgli la pulissia della stalla e dell'ufficio una volta la settimana... una comunistona di una, sa...», al che si attaccò di peso a una nappa a mezz'aria come per rialzarsi, azione e gesto cui fece seguito il rumore inconfondibile di uno sciacquone che la trasfigurò in un'espressione di marmo facendola poi ricadere di schianto dalla sorpresa e da dove, dopo aver sfondato il sedile, non si mosse più, e neanche il mignolo ritto in fuori dell'altra mano con cui impugnava il bicchiere di carta. La Chitari Luciana non lo sapeva, credeva di stare seduta su uno sgabello coperto da un centrino di lana color fucsia, certo stile Impero delle nostre parti, ma si era sistemata sul coperchio di plastica di un water occultato fra il tendaggio e la piifola madia a fondo azzurro impreziosita da decalcomanie di stelle alpine e nontiscordardimé: l'aveva sfondato e ci era rimasta imbrigliata dentro e ora stava assorbendo tutti gli spruzzi sotto. Alla madia, lievemente appoggiato con un gomito, stava il notaio Pezzulli che le faceva l'onore, troppo spropositato per essere disinteressato, di tenere cqnversazione con lei medesima, una lei medesima n~ del tutto maiuscola ancora. Stava forse strappando alla donna manager delle confidenze sulla rivale notaio dottoressa Domenica Giu, che la Chitari conosceva abbastanza bene per certe loro comuni iniziative ippiche e benefiche fuori porta? Per darsi un tono, visto che è stata l'ultima ad andarsene perché aiutata a liberarsi dalla trappola di plastica e a sollevarsi dall'infermiera, la Chitari Luciana deve aver detto al conte notaio Pezzulli tutto ciò che sapeva sulla notaia Giu e, col senno di poi, anche di più. Orari, abitudini, tipo di serrature e impianto d'allarme - non che gliel'abbia detto tutto lì in una volta: a più riprese, intendo dire. Che l'abbia sentita io a dire qualcosa, visto che in quella morsa doveva far finta di niente e continuare pur la conversazione in qualche modo, disse solo, e con com mossa, filiale dolcezza, accennando col mento alla cente naria, «Ah, signor conte notaio Pezzulli, per presto che muore, ormai quella lì il Signore non la incula mica di molto, neh». E su questo tono di mestizia e di totale abbandono alle imperscrutabili contabilità del Signore che prima o poi chiama a Sé solo i migliori, continuò a disquisire sul destino delle umane cose tutte. Del resto, la massima ambizione della ex facchina all'Ortomercato ex muratora ex gruista ex camionista non era, lei tanto più giovane e attiva, subentrare alla Signorina nella direzione della Caritas Matris Dei prima di essere battuta sul nastro d'arrivo dalla non meno intraprendente Belindi Velia vedova Piedini la quale, qualora la signora Fanfani Maria Pia, direttrice della Croce Rossa Italiana, avesse continuato a non morire, si sarebbe accontentata per intanto? E una buona parola del notaio conte Pezzulli nell'orecchia giusta era per la Chitari la sfumatura decisiva per coronare tutto un F [sogno, una missione, una carriera. 1IL Quattrini Achille sembrava si avvicinasse e si allon tanasse dalla carrozzella elettrica a seconda di come don Pierino gli tirava o allentava il guinzaglio, io mi trovavo lì dietro la spalliera della carrozzella, l'unico scomodo testimone del braccio di ferro fra il potere secolare e il potere spirituale ero io, impotente nella morsa di un'uni ca tenaglia, ma io non conto, io era come se non c'ero, e don Pierino si accingeva a esprimere il suo pensiero per illuminarla, illuminarmi, illuminarsi, per dirle quel che le andava detto secondo lui, e allora ecco che le mormora, «Ma Alice, lo conoscevi personalmente questo don prete? Che ne sappiamo noi di dove sta la verità, se la televisione, i giornali ci raccontano la verità, se non c'era sotto qualcos'altro...», e l'Alice, sprezzante, «Non dica eresie. Qualcos'altro cosa?», e lui, stringendosi nelle spalle, «Qualcos'altro... di losco... del malaffare...», e lei, chiudendo il giornale con una poderosa manata che le portò un rimasuglio di sangue alle dita di cera e anche 3 alla faccia bella lucida e assertiva malgrado la cataratta, puntò il tagliacarte verso l'alto e disse, «Io voglio che venga detta subito una messa per don Peppino Diana, un prete che ha combattuto contro l'ingiustizia, per i poveri, gli umiliati, gli sfruttati, che ha testimoniato in un processo contro i criminali... un vero servo di Dio», e lui, «Un vero servo dell'uomo, a quel che sembra...», e lei, «Che vuol dire...?», e lui, «Ogni cosa che glorifica l'uomo nega Dio, e questo in tutte le religioni, tutte nessuna esclusa, islamismo, buddismp; ebraismo, confucianesimo, dianetics, non solo nella nostra... Un sacerdote non è un servitore della giustizia umana, è un servitore della giustizia divina, staremmo freschi. 'Non avrai altro Dio che me' doveva significare 'Non avrai altro Uomo Fattosi Dio che me di cui occuparti' anche per quel... quel... quell'originale di prete. Mi dispiace», il notaio Pezszulli intanto si era riavvicinato a tiro d'orecchio, Alice stette un po' a pensarci su, la banda chiuse un pezzo con un colpo di timpani e prima che riattaccasse con O inta béla Madunina, l'Alice disse alzando la voce, «Bene. Lascerò tutto al canile abusivo della Gioma giù alla ferriera, se è così, ritirerò il testamento dal notaio Pezzulli...», e don Pierino a quel punto avvampò e intraprese la scalatal delle maniere forti, «Alice, io il tuo don Diana lo ricor derò nelle mie preghiere ma...», e lei, alterandosi, «No, qui non voglio niente a mente, voglio delle preghiere a voce alta davanti a tutta la comunità, in chiesa e col megafono, io, caro don Pierino, voglio far dire una messa grande, grande, grandissima... Io ho capito tardi ma ho capito, ho capito, ho capito! Grande, grande... come il suo coraggio... non come certi don Abbondio...», io non sapevo più dove stare dall'imbarazzo e perché c'e rano le quattro sorelline Setolini, le pronipoti del vecchio porco Setolini, che mi tiravano per le braghe per farmi dispetto e intanto vi si pulivano dentro le mani sporche E; di crema pasticcera, quand'ecco che la vedova del Cavalier Ferdinando, Bentivoglio Agnese... che coraggio! con tutti i gattini bianchi che le ho rimpiazzato anche per la sua piccola Mercede e la sua piccola... come si chiama l'altra loro nana? la piccola la piccola... Fede, che fatica per farmi venire in mente questo nome, ecco come si chiama quel cartoccino lì di superbia, nientemeno che Fede... quand'ecco che la signora Bentivoglio Agnese mi si avvicina da dietro e adesso mi chiedeva bisbigliandomi all'orecchio se ce l'avevo ancora quel vecchio dizionario d'Inglese imprestatomi dal Cavaliere Bentivoglio e se potevo restituirglielo che dopo trent'anni era ora, ma io l'avevo buttata via, le ho detto girandomi, non era un dizionario, era una vecchia grammatica fuori uso già allora, il vocabolario non me l'aveva mai dato, e lei mi avrebbe fulminato se avesse potuto; Donna Agnese stava cercando di vendicarsi perché una settimana prima mi ero permesso di sistemare una volta per tutte la faccenda dei gattini bianchi con sua cognata Giuseppina, tanto che Ipoi, offesissima, non mi era più venuta ai rosari? «Allora», mi fa lei, quando credo che sia già andata fuori dai piedi, battendomi sulla spalla e bisbigliandomi in un orecchio, «potresti sempre restituire alla mia Mercede la cornicetta in peltro con dentro la foto che le hai rubato in laboratorio...», io sono avvampato, «Quale cornicet ta?», ho detto, e lei, allontanandosi trionfante, «A buon intenditor...», ma io ero del tutto in buona fede, non sapevo proprio, e lei ribisbiglia, «Se non fosse stato per i micini... Ma visto che adesso non ce li porti più...» - non ricordavo proprio. Rubare, io? Che spergiura di una vec chia. Ma non doveva essere cattiva. Ma eccoci di nuovo soli in tre, anzi, loro due, io mi sentivo come un gufo impagliato capitato lì per sbaglio sulla spalliera... e don Pierino capiva che con l'Alice aveva ingaggiato una vera e propria lotta, anzi, una battaglia, no, una guerra all'ultimo sangue, all'ultimo credo, all'ultimo quattrino; capiva, lui, che quella vecchia megera, che non si è mai riaccasata dopo la caduta di suo marito in Crimea, non aveva eredi né diretti né indiretti ma aveva fauci e artigli da vendere, oltre che messe funebri da comprare da qui all'eternità in cambio di un grandioso lascito esentasse. Don Pierino si raschiò la gola, io lo so a cosa ha pensato, "Io non mi preoccupo che tu, vecchia bacucca, ritiri il testamento dal Pezzulli ev5poi lo cambi, mi preoccupo che lo cambi e non fai più in tempo a rifarlo avere al mio personale notaio Pezzulli e che capiti in mani contrarie alla nostra volontà... oh cent'anni di ossa presto sepolte per niente che c'è anche la cupola di rame della Santissima Marì Assunta In Cielo da rifare!"... Marì? Maria Assunta, mio Dio, non Marì... Strasento? St,o per vedere l'ultimo attimo?... e disse don Pierino, «E Jllora, perché non dovremmo dire una messa anche a tutte le altre vittime della mafia, della 'ndrangheta, della camorra? quelle interne, intendo dire. Non la finiremmo più...», e lei, ferma, ostinatissima, coriacea, raddrizzandosi tutta e servendosi anche del guscio scapolare per dare slancio alla testolina, «Senti, senta, sentite...» cominciava a impappinarsi coi pronomi di riferimento «io non voglio divagare tanto. Una messa a don Diana servirà intanto da esempio», don Pierino a quella dimostrazione di totale sordità di cuore è sbottato a dire coprendosi però la voce con il palmo della mano, «E allora tutte le vendette trasversali, tutti i cognati, i nipoti, gli zii, i figli innocenti che ha fatto ammazzare Tommaso Buscetta pentendosi? Non sono doppiamente vittime anche quelle? E di quelle chi risponde, Buscetta mafioso rinnegato o la mafia costretta a difendersi dai pentiti come può? Che scelte ha lasciato lui alla mafia? In casi come questi, se si vuole evitare ulteriori spargimenti di sangue innocente, ci si pente solo davanti a Dio, non davanti a Falcone!» Alice rimase ammutolita, si girò verso di me, guardai immediatamente altrove e poi, piano, ormai allo stremo, con l'occhio orbo completamente fuori orbita e quello buono ormai risucchiato dall'ira mista ai patemi della fulminea conversione, disse, «Tu non puoi mettere don Diana nel mazzo, io non so niente di questo Buscetta e certo meno di te, ma mi sembra che...» e lui la interruppe e, girandosi all'anulare la fede del Signore, sentenziò, «Io mi dolgo della morte di un mio fratello, ma ognuno è eroe a modo suo e servire Dio non significa entrare a servizio di una causa per così dire politica escludendo tutte le altre cause umane», la faccenda si faceva filosofica, «ma se tu vuoi una santa messa per questo don Peppino e credi che io sia solo un don Camillo infoiato per la tua eredità o un don Abbondio con la coda di paglia, allora devi volere anche una messa nera contro Tommaso Buscetta: lui collabora con la cosiddetta giustizia istituzionale e intanto i suoi parenti innocenti stramazzano giustiziati da quell'altra. No, Alice, io senza una dispensa speciale la tua messa non posso dirtela, sai che conseguenze per la Chiesa in un momento così delicato? Il Muro adesso spetta a noi metterlo su contro di loro, i comunisti...», don Pierino ora faceva appello al suo buonsenso di risparmiatrice scientifica e di accumulatrice predatoria, ma Alice scuoteva la testolina di un rosato di ceralacca e don Pierino, temendo di non aver fatto colpo, mi guardò serrando le mascelle e disse una cosa spropositata rivolgendosi nientemeno che a me, «E tu non hai niente da dire lì impalato? Diglielo tu, spiegaglielo tu perché certe iniziative non ci competono. Alice, se vuoi questa messa, devi rivolgerti al nostro caro vescovo monsignor Luttignucchi a Bre scia, ma qui a Pieve di Lombardia, sta' sicura, non te la dirà nessuno perché qui», e lasciò cadere una pausa per sottolinearlo ripetendolo, «qui sono io a non volerla. Siamo sotto elezioni, capisci? Una messa così... pubblicizzata... è un brutto esempio... pensa se tutte le parrocchie d'Italia adesso facessero lo stesso... vuol dire far andare su gli Ochetti stalinisti in Italia, la capisci questa?», la banda in strada attaccava Tanti auguri a te, bisognava correre in Duomo per l'avvio del Corpus Domini primavera- estate, la vecchia Alice prese fiato e disse, «Io non ho detto questo, io ho detto che...», e don Pierino, pronto, «E io ti ho detto le cons~eguenze. No e poi no». IL Quattrini Achille continusava imperterrito ad allungare le orecchie ma doveva sentire ben poco, del resto a lui bastava far finta di aderire con il lapis alla carta, immaginare e poi omettere dalla parte conveniente il tutto sconveniente, essere forte coi forti non era la sua specialità, quando Alice preme un bottone, di nuovQ si gira a metà verso di me ma con l'intera carrozzella etmi fa sforzandosi di sorridere e incutendomi una strina del diavolo per il livido sorriso che le era riuscito, «E tu, giusto, Pino, che ne dici, eh? Chi ha ragione?», io mi strinsi nelle spalle e chinai il mento, «Io non me ne intendo di politica...», dissi e dicendolo sentii una scossa in fondo alle vertebre, come un segnale d'allarme di una mia ormai conscia falsità, e lei, rigirandosi verso don Pierino gongolante, disse, «Lui non conta, lui è troppo buono». «Sì, il nostro Pino è un buon diavolo, dice di sì a me e a te ma non vuol dire niente, è a me che non dice mai di no, vero Pino?» disse don Puripurini sospirando come se la battaglia fosse finita e vinta; disse, non è che mi chiese, disse categorico, dava la mia risposta per scontata, mi teneva al laccio col suo asettico perché del sadico proverbio cinese che faceva sanguinare dai tam tam delle percosse me solo, non lui che battendomi doveva pur piagarsi le mani, ora lo so; piegai di nuovo il capo in giù, lui solo dei due contendenti poteva vedermi, l'infermiera accorse dietro la carrozzella e mi fece spostare con un certo sgarbo, «Signora Alice, la vogliono subito al computer dal Bahrain», e don Pierino strinse un pugno sul bracciolo e disse fissandomi con disprezzo, «IL fascismo dei vinti è niente in confronto al fascismo dei vincitori... a meno che...» e il suo sguardo fisso tornò facendosi ironico dentro gli occhi dell'Alice, «... a meno che il fascismo dei vincitori non si ammanti di comunismo...» - la carrozzella si mosse - «... dell'ultimo minuto». Io pensai che alla fine si sarebbero messi d'accordo grazie al loro ingenuo e comune vizio di forma, in fondo sembravano entrambi convinti che il Buscetta Tommaso fosse davvero un pentito, fosse davvero passato dall'altra parte della barricata e non che la sua fosse stata una splendida mossa per rinsaldare la sua posizione di Boss capomafia nei Due Mondi; il Quattrini Achille trascriveva tutto con zelo. Non è apparsa una sola parola. Sul Bugiardino, la didascalia sotto la foto di gruppo dice le solite cose carine sui sempreverdi, neanche una centenaria umana fosse un pino silvestrevital, e stop. STOP? STOP... STOP... STOP... Io nella foto non sono venuto. Eppure ero sicuro di non essermi mai mosso da lì. Io, quando si tratta di metterci il corpo, sono stato trapassato anche da presente. «Professore! Professore!» - chi mi chiamava così quel sabato otto dello scorso luglio alle ore quindici e trentatré? e con quella gioia nella voce? - «Perché non si compra un chezual, ci sono i saldi estivi!», ho frenato la ruota davanti, più seccato che altro, mi sembrava una presa in giro che qualcuno mi chiamasse per strada ancora così dopo la faccenda di quegli impostori di rom, anche se era una faccenda di un quindici anni prima. Ogni quindici anni me ne succede una. Adesso per esempio, quindici anni dopo, mi succede che muoio. Ma basta menarla tanto: che sarà mai un suicidio se è dovuto? Mi sono girato e ho visto la giovanissima bionda in pantaloni attillati da sembrarle cuciti addosso e canottiera scollacciata giallo canarino semitrasparente che mi faceva così col braccio e con la mano ingioiellati di ebano e oro, a me, che non l'avevo mai neppure salutata, sapevo chi era perché sapevo che aveva sposato il figlio della vedova Fincasa Siderpali ma la conoscevo bene solo di vista, perché come si faceva a non notarla, stravagante com'era nel vestire e uua che si cambiava almeno tre volte al giorno per andareMsu e giù per il Bar Roma e la piazza a braccetto di qualche rappresentante di vestiti buttando indietro la testa e ridendo in faccia al mondo? si rivolgeva a me? a un vecchio dagli occhi chiari che guardano sempre o in basso o dritto davanti a sé, a uno che ha fatto sembiante per tutta la vita di avere ritegno della sua stessa ombra e la cui unica preoccupazi~ne è espiare, operare nel bene e in silenzio e non dare più incomodo a nessuno? Io sono, sì, professore, ma in tutti questi anni di ritiro non ho mai dato una sola ripetizione di niente, a parte appunto la vedova Siderpali Ermenegilda, a nessuno che abbia meno di quarant'anni potrebbe mai venire in mente di rigirare il coltello nella piaga, nessuno da quel certo scandalo pubblico in poi mi ha più chiamato in faccia Professore né per giusta causa né per scherzo, solo da dietro le spalle per deridermi perché poi l'hanno saputo tutti come conoscevo la mia materia d'adescamento... d'insegnamento, volevo dire: come l'asino del presepio che raglia dietro alle vesti della Madonnina intanto che aspetta il momento buono per sollevargliele e... Ma a chi viene ancora voglia di inveire contro di me con quella calunnia campata in aria, con l'espressione da poverino che ho, la cieca osservanza delle leggi e della Fede che professo, con tutto quello che faccio per la comunità, ho espiato la colpa che non ho mai avuto e sono diventato una specie di monatto invisibile, offeso a morte dalla vergogna... già, il ludibrio che mi è stato gettato addosso da una carovana di rinnegati da Dio e dagli uomini, che certamente, col senno di poi, agli occhi della gente contavano più di me loro che non contavano niente, più di me e di un'onorata carriera in seno alla scuola in qualità di insegnante d'Inglese... «Ma dai, Professore» - come ci calcava su quella P - «metta giù quella ferramenta e entri, non la mangio mica, sono la Marì, la nuora della Gilda, non mi conosce più?» ...a Te ricorriamo noi esulifigli di Eva... va... va... va... e... La ragazza aveva come una cantilena così piena d'allegria, e poi tutta quella massa scarmigliata di capelli biondi proprio a picco sotto il sole e quella bocca così grande color arancia di plastica sberluccicante, e mi sono ritrovato dentro, con il berretto in mano e dentro, mio Dio, era un negozio di... di jeans! Io! «E lo fa sempre il plai boi con le sciantose del ricovero?», e giù a ridere e a farsi cadere la chioma sugli occhi piegandosi in avanti dal divertimento che si dava tutta da sola, ma non c'era cattiveria, c'era un alleluia di vivere che stranamente mi diceva, "io e te siamo della stessa pasta, Pinocchio, solo che io ci rido su con tutti e due gli occhi". E lei che già mi stendeva sul davanti un grande e lungo asciugamano a quadretti bianchi e azzurri con dei tubi laterali e diceva, «Ma Professore Acchiappa, ma com'è magro, eh, anch'io avrei bisogno di mettermi a dieta, ma lei come faaa? è vegetarianooo? ah, anche a me mi piacciono i carciofi, col manico però... le piaceranno mica i finocchi neh?», e giù a ridere gridando, e strillò, «Gilda, Gilda, vieni a vedere chi c'é!», e diceva Professor Acchiappa con la maiuscola come avesse detto Professor Fiasco o Professor Scalogna, senza doppi sensi, e poi dalla porticina laterale è sbucata la suocera con uno di quei fumetti per adulti in mano, un fotoromanzo d'amore, «Ma Dio, el mé profesur de francés!» e l'ha messo giù sul banco, ce n'erano sparpagliati ovunque, come dall'Aminta, e ha preso su un altro Sogno, mi ha salutato con grande giovialità e compostezza, «Ma come sta? E le sue emicranie? La trovo bene, e come si dice? Par blé o par ros o par vert o par zalt? Non è cambiato di un etto», anche se erano anni che non avevamo occasione di guardarci il peso. Emicranie? Erano attacchi d'asma ma non era asma, era ansia, pura angosciosa ansia da scivolamento di spallYno di sottoveste di vecchia gallinaccia. Io alla Fincasa Siderpali, perché vedova due volte, nonché Gelati Ermenegilda da signorina, avevo dato lezioni di Francese - che non so molto nemmeno io ancora a metà del decennio scorso, quando era rimasta vedova per la seconda volta e il figlio unico di pimo letto, che lei chiamava il Boss con una qualche eccessiva materna reverenza, non aveva fatto ancora la leva militare. Gliele avevo date con ogni discrezione possibile di ritorno dal cimitero dove mi recavo regolarmente per farmi vedere dalla gente che, infangato per infangato e per ben tre scandali di tipo o tempora o mores!, non avevo perso del tutto i sentimenti e andavo almeno a trovare la mia sorellastra sottoterra, mentre la Ermenegilda aveva preso le lezioni di Francese in tutta segretezza perché aveva male a far sapere in giro lo scopo di quell'improvviso interesse per l'estero ma a me lo disse subito perché, e fiduciosa ammise, «Io sono sicura, Pino, che te sei come un confessore, come una tomba, come un prete... Ho incontrato uno...». In soldoni: la Ermenegilda pensava di trasferirsi a Losanna perché aveva iniziato una relazione seria con un gran bell'uomo, un coetaneo più giovane di lei di un paio d'anni (dieci) qui del posto emigrato in Svizzera da [ giovanotto per dei contenziosi con la famiglia... oh, una famiglia importante ma non faceva nomi perché si dice il peccato ma il peccatore solo se col tempo e colla paglia maturano anche le nespole... il quale vi aveva fatto fortu na sposandosi con una svizzerotta e annessa catena di negozi di parrucchiere per signora, uno che, diceva lei, sembrava armato delle migliori intenzioni, già divorziato, anche lui coi figli grandi già a posto, e lei non voleva invecchiare tutta sola né come scadenza del futuro fare la nonna, visto che il figlio si era appena fidanzato e già parlava, appena finito il militare, di sposarsi con questa Fragazzina del Santellone che faceva la commessa in un negozio di abbigliamento giovane sportivo e sulla quale Fiperò aveva già messo gli occhi uno di fuori, un industria Flotto delle piante da appartamento tessili cugino alla lon ktana della ragazzina che di nome facevafaceva come i Re Magi, Gaspaccio, Baldanzare, Putiferio, Menchione, 00uno così, e il Boss però l'aveva già impegnata ufficial mente perché la ragazza, oltre che brava «d'è proprio una gran bella bionda, tutta fumo e poca arrosto», cioé, si corresse la Fincasa Siderpali ritornando a parlare il dia letto dopo aver creduto di averlo momentaneamente abbandonato, una che per divertirsi provocava gli uomi ni coi vestiti audaci e l'ancheggiare delle miss perché era una paesanella di campagna con le arie di città che parte cipava ai concorsi canori alle fiere del bestiame e si face va prendere in giro da tutti perché era stonata come una campana e poi però era più brava di tutte le altre, un po' svampita... e adatta o no al Boss, già geometra, già col posto sicuro in banca di ragioniere o anche di perito agrario al Consorzio e poi... figlio unico che solo per la rendita lasciatagli da suo padre... adatta o no lui voleva quella, solo quella, solo la Monteciaresi Marì, gente povera i Monteciaresi, ex famigli, ex contadini ora pensionati senza più un ettaro di terra, poco e niente dote, ma quando l'amore c'è la gamba la tira el pé. Io gliele davo con ogni discrezione per ovvie ragioni, e perché il Francese mi ero messo a ristudiarlo apposta per lei e perché non ci tenevo affatto che le mie visite a casa sua facessero nascere sospetti di altra natura. Si sa com'è la gente: io non avevo ancora cinquant'anni, o se già li avevo non li dimostravo, e nella massa c'è sempre quello che ti può considerare ancora un uomo. Perché era piacente ancora adesso, ma figurarsi che maliarda tutta in tiro poteva,essere una decina di anni fa la vedova Siderpali... cognoXe non del suo primo marito che faceva Fincasa ma del secondo, un semplice meccanico di Calvisano (Dio c'é), detto paese degli ochi un po' perché vi allevano le oche da ingrasso e un po' anche per la gente... lui per esempio era morto per congestione da succo di frutta tolto dal frigo e bevuto d'un fiato a mezzanotte lasciandole un dieci case che lui non le aveX mai detto di possedere ma di cui la Gelati Ermenegilda, secondo la Bocchino Rosa, sapeva tutto lo stesso prima di sposarsi per la seconda volta senza bisogno di saperlo da lui... Stagionata e tutto, e difetto di schiena a parte, dovevo stare attento a come mi muovevo con lei e col paese, non volevo far nascere dicerie sulle vecchie adesso che si stavano spegnendo quelle sulle bamò... sulle giova . n m, ecco. zamira compresa. Le linguacce qui a Pieve non si stancano mai di darsi la pietra pomice per essere affilate in tempo e ogni stagione è buona per la fienagione di reputazioni altrui. Chi raccoglie tempesta è tutto contento se ha seminato vento, basta che la grandine si abbatta sull'orticello designato per essere distolta dal proprio. Questo sì. Bene. Il difetto a parte della Gilda era una gobba ben mimetizzata dagli abiti che lei non si limitava a farsi cucire su misura ma a farsi costruire addosso proprio qui a pochi passi da me, dalla Rinetta, che ha imbastito e cucito finché sono andato io tutti i santi giorni dell'anno a infilarle il refe di tutti i colori in decine e decine di aghi e poi, se Dio vuole, è diventata cieca del tutto e ho potuto saltarla, la Rinetta non aveva perso la vista lavorando tanto da potersi permettere un occhio bionico come l'Alice, che lo scorso maggio s'è fatta accompagnare a New York per il trapianto, non dalle solite Schvvester che ormai sospettava di essere tutte spie di don Pierino, ma dalla notaia Giu Domenica e dalla vedova Paleocapa... ah, la Bocchino Rosa a New York spesata e riverita fino a metà giugno, la Bocchino d'Oro in America a buttare fumo negli occhi agli infermieri giamaicani e agli ex ingegneri della Nasa dell'oftalmico grattandosi lo scalpo col bocchino d'oro del Giappone per far montare i ricci della messimpiega! bisognerebbe girarci una cassetta solo per come la racconta lei, che adesso è tutta una vestaglia a stelle e a strisce e bughibughi. Ma il discorso non è questo. E quell'otto luglio alle quindici e trentacinque eccomi ormai sgomento lì in piedi appena dentro la soglia del negozio che cercavo di separare il profumo della nuora dall'odore della suocera misto all'odore come di pece, di amidatura, della stoffa di quei pantaloni jeans lì, «E ce l'ha ancora la Cinque, profesur?», mi fa la plurivedova, dandomi del lei per precauzione, con una voce dalla coloritura forzata ma cercando la complicità della nuora, della quale era più bassa una bella spanna malgrado i tacchi e malgrado i pochi capelli henné (lo so dalla Bocchino come si chiamano) sfruttati al massimo in un'arcata che neppure una tempesta di grandine avrebbe potuto scalfire. La Ermenegilda non si era poi risposata col bellimbusto naturalizzato svizzero che, si scoprì, voleva essere lui a sistemarsi le costole qui a Pieve - in gioventù per debiti di gioco aveva avuto grane con la famiglia, «altolocalizzata», diceva lei - perché non aveva in realtà più un bigodino di suo, altro che lei traslocare col suo romanticismo là nel Cantone, ingenuamente innamorata persal Insomma, la Gilda aveva ancora il campanellino d'allar me della lussuria bene in vista sull'ombelico malgrado le trippe degli anta e aveva anche lei le sue esigenze di giri muoia Sansone e tutti i filistei. Era successo che un anno dopo che lei lo filava (e un mese dopo che non le davo più le due lezioni di Francese-per settimana ma si era concordato di ricominciare dopo le vacanze, e dietro mio suggerimento, con qualche lezione di Italiano pEr farle capire meglio quell'altra lingua senza tradurre sempre dal dialetto), quando le chiesi di sfuggita come andava con questo futuro marito, lei come al nostro primo incontro non sembrava aspettare altro, sospirò alla svelta, e ci davamo già del tu perché secondo me siamo della stessa classe, allora molla le chiaviche e mi dice che, in confidenza, in strettijsima confidenza, c'era qualcosa che non le quadrava più tanto in lui, lei era stata per la quinta volta a Losanna e lui si era... «annegato al talamo», nisba, insomma, sì, cioé, le aveva detto che alla sua età doveva riguardarsi, che fare troppo all'amore («E una volta alla settimana, Acchiappa, dico una, in due settimane di ferie con lui», specificò lei storcendo la bocca con fastidioso imbarazzo per sé e sufficienza per lui), che l'esagerazione dei «rapporti ezotici» faceva male alla salute, le aveva detto, temeva gli infarti il brizzolato Casanova, per dire che temeva di fare cilecca, e poi voleva anche uscire da solo, lui, andare a giocare a tennis, andare dall'estetista a farsi fare la pulizia del viso, lui, ogni scusa era buona per stare fuori senza di lei anziché varcare la camera da letto con lei e, per dirla fuori dai denti, lui aveva cominciato in un certo modo e poi sempre di meno, sempre di meno, e aveva finito «per farmi sentire il difetto» - per farla sentire in difetto - perché, secondo lui, quella roba lì a lei non bastava mai, e che un uomo non è un esercito mentre una donna da sola sì. A lei! che era stata anni da sola in lutto fra un marito e l'altro (un mese e due giorni, ho fatto il conto io), e lui a rimproverarle che lei non poteva pensare di rifarsi cogli arretrati tutto in una volta spremendo lui, che il piacere (lei disse, per l'appunto, «Quella roba lì») non è tutto nella vita e... oh, la Gilda era esplicita senza esserlo, non c'era verso di fermarla, e lei era d'accordo che quella roba lì non è tutto nella vita ma non era neanche niente del tutto o un osso da buttare a una cagna rognosa in calore coi soldi da parte, e il Mercedes glielo aveva già comprato e la collana d'oro grossa un dito col Crocefisso e un anello con brillanti pure e il Rolex d'oro anche e poi lui aveva dato dentro il Mercedes e aveva voluto la differenza per la Porschettina, e più lei metteva mano alla borsa con diffidenza e più lui si... si inventava scuse, ai femori, ai ginocchi, alla schiena, a letto era sempre stremato dagli strappi dalle vescichette dai calletti dalle fatiche della giornata, che consistevano nel prendere il sole su vari laghi, mangiare e bere e andare in giro a farsi vedere alla guida dell'auto col gomito in fuori, si girava dall'altra parte dopo un bacio a denti stretti raccomandandole di essere saggia, di non svegliarlo, che il sonno patito fa male alla pelle e fa venire le zampe di gallina, e lei lì, a Losanna, con l'insonnia a causa dell'uomo che non fa il suo dovere di maschio colla sua nonna, donna cioé... Io non sapevo più come mettermi sulla sedia, come farla smettere, mi sentivo avvolto in una nuvola di diditì allo zolfo più tutte le mosche che se ne fanno un baffo, di quel diditì lì. Aveva sperato tanto proprio per niente, concluse la Gilda, «A dirla fra noi, il Jean Claude, cioé el Gioan a parlare come mangi...», la faceva sentire tanto donna fuori sulla «pro... pro... promenata ecco», quanto sorella dentro casa, e lei non capiva questo, lei aveva una mentalità vecchio stampo, e quando lui le ha chiesto di pagargli l'ipoteca sull'ultimo negozio di parrucchiere per signora rimastogli lei aveva detto no, aveva anche lei un figlio cui pensare, era una che si era fatta un mazzo così sin da gnara a girare i mercati da ambulante tanto che le era venuta la scoliosi, dilapidare per un uomo non ci era abituata, anzi, era abituata semmai a ereditarci lei dagli uomini, e lui non l'aveva neanche accompagnata al treno, aveva chiamato un taxi, le aveva dato una pacca sulla schiena come a dire buona fortuna o perché porta fortuna e addio. E adesso, avevo saputo sempGe dalla Bocchino Rosa, quando il Parlamento chiudeva per le ferie e il neodeputato contino Pezzulli Giovanni (cioé lo stesso Jean Claude o Gioan rientrato dalla Svizzera per candidarsi nelle liste di Forza Igiene che, come sappiamo, l'ha visto vincitore alla grande) ritornava qui in paese d'estate a trovare i parenti (e probabilmente anche la farmacist Bertucci... ma questo è un commento della Bocchino, non mio, intendiamoci, anche se poi la Bocchino aveva ragione, perché la Bertucci due settimane fa al telefono s'è tradita proprio con me... e poi andare con le vecchie per interesse è meno grave che andarci per il proprio gusto, almeno una scusante c'é), lui e la Gilda non si salutavano nemmeno, lui girava al largo da lei, non lei da lui, perché che la Ermenegilda pagasse gli uomini non era una novità e non avrebbe fatto meraviglia che fosse disposta a pagare anche i deputati pur di rivivere una storia d'amore vero ritornata dal passato, bisognava sentire anche l'altra campana, ce n'erano tante altre in giro a parte quella della diretta disinteressata col diretto interessato... E pensare che io secondo la Gilda ero il solo a sapere la vera storia di questo e altri fidanzamenti rotti! Ma se lo sapevano anche le pietre che la Gelati si faceva rcomprare dai mariti vecchi per comprarsi tutti i morosi giovani che voleva! «Come dire che la Tilde beveva tutto [meno le bottiglie», concluse quella volta la Bocchino cre dendo di essere spiritosa. Io mi ricordo che al racconto della Siderpali mancata nobildonna Pezzulli scuotevo la testa e le ho detto, alla ,E'fine della nostra prima e ultima lezione di Italiano, «Ma [Ermenegilda, io dicevo come andava con questo fidanza to tanto per dire, non volevo farti venire la gola secca», [cioé, magari!, in effetti le dissi, «Mi dispiace proprio, al lora finiamo qua col Francese», «Sì, sì, finiamo qua an che con l'Italiano, più bello del dialetto non c'è niente, ma mi ha fatto bene sfogarmi con qualcuno, le mie ami che cosa vuoi, loro continuavano a dirmelo che mi stavo rprendendo un granchio, erano invidiose viola perché rsailui è molto, molto su, un nome molto, molto latitan [teche se te lo direi», andava ripetendo, ma io non Elasciavo trapelare alcuna curiosità, non ne avevo, e certo !stava dicendo latitante per altisonante ma in fondo era la Sstessa cosa, e lei continuò, «mica gliela voglio dare la [;soddisfazione di dargli ragione anon per essere volga re, nch... a quelle malchiavate che loro sì che non le vuole nessuno, neanche morte, e...», e qui lasciò cadere una pausa e uno spallino della sottoveste, era agosto e si vede che secondo lei non c'era male a ricevere un uomo cost svestita e quindi io non ci facevo caso, non ci stavo facendo caso da un bel po' di visite al cimitero e di lezio ni, e pietosamente disse, «... io non ho mai creduto a una sola parola, sai, di quelle voci contro di te per questa e per quell'altra, di quella roba di te eccetera eccetera...». Mi feci forza, serrai le mascelle e riuscii a guardarla come un ortolano guarda una patata. Mentre si riaggiustava lo spallino sulla spalla e sul seno lisciandosi poi un anello con brillantino e pietruzze verdi nella seta per incresparla attorno ai capezzoli lasciò cadere una pausa più lunga che io non avevo alcuna intenzione di riempire, non volevo giustificarmi con la patata, «... io l'ho sempre detto, tu sei benedetto dal Signore, tu sei superiore, tu non hai bisogno di niente... di niente. Ah, le donne, le donne! Se uno può farne a meno...», lasciò di nuovo cadere una pausa, ma io niente, «Tu saresti completamente incapace di fare una cosa,r delle cose del genere». | Alzai gli occhi al cielo corrugando la fronte in segno di contrizione e di speranza nella ricompensa divina per5 tanta fortezza d'animo. Insomma, la presi spietatamente alla lettera, non si sa mai. Mi sAldò e coi soldi ho cambia to le candele e la marmitta '§ella Cinquecento, che ne aveva bisogno. Insieme ai soldi, la Gilda fu molto gentile, perché, sic come io ho sempre cercato di fare anche un po' di apo stolato, sempre nei limiti, quando al saldo le caddero entrambi gli spallini, le chiesi, «Credi in Dio?» perché in chiesa la si vedeva solo a fine stagione quando dct7eva sfoggiare i suoi completi che sarebbero stati di moda nella stagione in arrivo, lei mi ha guardato un po' così, chissà cosa ha capito, ha bloccato a metà schiena il lungo calzascarpe con cui ogni tanto si grattava dietro e ha risposto, «Ah, te ne intendi! Ma certo. Però è una colle zione troppo su per quelle di Pieve. Io invece ho anche i sanitari. Aspetta», mi ha girato le spalle come se improv visamente le fosse venuta in mente una cosa e io, seguen do cogli occhi lo strascico della sua vestaglia che ramaz zava la polvere del pavimento di mattonella bianco spa rato in mattonella bianco crema con su scritto Dior, unico segno tangibile della sua Fede, ho fatto in tempo a collegare il mio Dio ai suoi sanitari e poi la Gilda è ricomparsa con in mano una confezione da tre di sapo nettine di grande marca con acclusa una boccettina di acqua di colonia e un piccolo necesser con due bottoni piccoli di madreperla e ago e refe più quattro batuffoli di cotone belli colorati se uno si fa una ferita e una cuffietta di plastica fine fine per la doccia, io non volevo accettare, non volevo davvero, ma su, diceva lei, te le regalo volentieri, a me non costano niente, le prendo su negli alberghi quando vado al Pitti Moda e a Milanovendemoda, io non ne ho bisogno, tu invece, in bici con questo caldo, la camicia di felpa che sta allo sporco, il sudore, i piedi... mi sembrava da villani rifiutare quei piccolissimi regalini e dirle che era proprio un peccato sprecarli per me, allora le dissi per educazione, «Ah, che cotoni divertenti! » perché io non faccio consumo di certi prodotti, uso ancora il sapone di Marsiglia se proprio proprio, e li misi nella mia vecchia cartella di cuoio nero appesa alla canna della bici, tant'è vero che dopo un paio d'anni - e qui in casa lo spazio è quel che é, sebbene mi pianga il cuore devo liberarmi anche del minimo superfluo - ho dato tutto alle professionali del ricovero che sono rimaste di sasso sia per il bel presente sia per i quattro batuffoli azzurro cielo, rosa confetto, verde bandiera e bianco latte. «Assorbentiii?», ha detto una come incredula uscendo dalla fissità del sasso, «Certo», ho detto io, sbattendo le ciglia in segno di ovvietà. «Ah», hanno fatto tutte in coro. Da notare che, a parte, c'erano anche un paio di cerottini e due bustine con fazzolettini pregni di disinfettante. Che domande! Se è cotone, assorbirà, no? Io le donne non le capisco. Ma adesso, quel sabato lì dello scorso luglio, in negozio, seppur così pesantemente truccata, la messimpiega come passata nell'amido e lei imperterrita sotto, nella sua costruzione giallo ocra che sembrava tenuta su dal cemento armato fino al seno, e non è poco se si pensa che era un abitino di seta, la Gilda aveva gettato la spugna, avrei detto, era diventata una nonna rassegnata al meccano e alla virtù. Ma mi sbagliavo, era ancora brace che scotticchia sotto l'imminente cenere e aveva i suoi giri, la Gilda, più quatti quatti della vedova Paleocapa, ma li aveva anche lei: Abano Terme, Salsomaggiore Montecatini, Lecco, Chiavari, Gallipoli, Melagodo... Ma io cervello voglio adesso restare ai fatti che più mi riguardano da vicino con Marì perché ogni istante che passa mi pesa sempre di più nelle cellule delle arterie e delle vene e l'ultimo potrebbe arrivare quando meno me l'aspetto e dire al sangue, «Stop». STOR.. ? Io non so come sia successo quel sabato otto luglio dell'anno scorso con Marir che sembrava una sbarazzina uscita dalle medie ma ave'va già ventisette anni e un figlio di sei, ma mi sono ritrovato in bicicletta col sacchettino di plastica attaccato al manubrio e dentro una camicia a quadretti bianchi e blu che di sicuro non avrei mai messo, perché un uomo come me non va in giro in un grembiule a maniche corte con dei colori così sg,argianti, «Colori giovani-giovani», canticchiò lei. Però ogni tanto, di nascosto, me la sono messa e mi sono specchiato nel riflesso della credenzina girandomi anche su me stesso per vedere come mi stava dietro, mi scappava da ridere, ridi, ridi cappone, e fa' pure il tuo chicchirichì da voce bianca, tanto chi ti vede, e da quel sabato otto luglio tutti i giorni ho inventato una commissione vuoi per comprare le bistecche ai trasfusi dell'Avis con la tenda lì in piazza Trento sotto la quale quella guitta soldatina di piombo della dottoressina Bentivoglio Mercede sembrava trovare il suo habitat naturale, vuoi per il Museo Risorgimentale vuoi per l'ospizio vuoi per don Pierino, che mi ha fatto riparare ramazze per vent'anni, scope e ramazze che non avrebbe accettato di prendersi a carico nemmeno il cassonetto dei rifiuti, e con quel suo gusto di rovesciarmele davanti prima di darmele in mano, sicché la saggina poteva sembrare la testa scarmigliata e disperata di una ragazzina sporca di sangue che ha subito violenza, e quello sguardo e quel sibilo dalle narici mentre gli occhietti restavano fissi e calmi e giudicavano senza pietà irradiando fuori dalla montatura rettangolare un crimine infinito, come se lui sapesse il perché che mi teneva in pugno, e afferrandole per il manico a mo' di minaccia e di memento mori, e io che non ho mai capito bene se sapeva qualcosa di ben preciso sul mio conto o se era tutta una mia impressione... e poi non c'era proprio niente da sapere su quella rom, a parte le sue fantasie di piccola ladra pervertita... e, casomai, che aveva da rivelare la Tilde in punto di morte con quel biglietto se non una bazzecola dettatale dalla confusione mentale da diabete?... e avanti e indietro e indietro e avanti, vuoi le bollette luce acqua gas da pagare per le inferme e i disabili e vuoi tu che voglio anch'io neanche fossi Bartali, pur di passare davanti alla Jeans Butik mi sono fatto in quattro più del solito doppio per gli altri, anche se per farlo dovevo passare davanti alla Boutique Taglie Fortine che poi le due mercerie della Gilda e della Marì fanno tutt'uno. Quando sbirciavo dentro la sua Butik, sembrava che la Marì fosse stata lì a aspettarmi dalla volta scorsa, e agitava il braccio ingioiellato alla schiava e faceva dei passettini in avanti come ad agganciarmi con l'amo di uno dei suoi lunghi orecchini a cornucopia e mi sorrideva come nessuna si è mai sognata di sorridermi. Io tiravo dritto senza mai staccare una mano dal manubrio, non ne avrei avuto il tempo, se anche l'avessi staccata per salutare lei, con il braccio alzato sarei finito davanti alla vetrina a ruota e avrei salutato la suocera. Per scaricare la tensione improvvisa e questo spasmo nel petto che confluivano nei pugni stretti sulle manopole, prendevo a scampanellare senza neanche accorgermi sul momento, non volevo farmi strada con prepotenza, io pedalo così piano che a ogni staffata devo dare la carica levandomi un po' dal sellino con l'altro gluteo, non è che sia fiacco di natura, non più, la tubercolosi mi ha come sanato una volta per sempre da tutti i mali, sento nelle vene un'energia spaventosa, pedalo da vecchio e sono zoppo molto di meno di quanto dia a vedere anche perché non voglio che nessuno sospetti quanto vigore abbia negli stinchi e nelle cosce e nelle braccia e nel cervello, scampanellavo così perché volevo costringermi a sentire quella specie di sveglia e tornare in me, perché non sapevo che cosa mi ssava succedendo, la mia età si guardava attorno e indietrto e non trovava niente di simile a quella donna dolcemente matta per poter fare un confronto, per mettere un piede a terra e dire, ecco, ti trovi qui, uno per terra e uno sulla staffa, va bene così, è come quella volta o quell'altra ancora, no problem, old boy chissà se lo dico giusto, io l'Inglese lo sapevo quanto bastava piuttosto bene, però non ho mai vanttto una conoscenza che non avevo, l'ho imparato dai soldati americani che venivano a cena da mia madre a tutte le ore - mentre almeno i tedeschi venivano a tutte le ore a pranzo - e quando la botola si risollevava e loro mi invitavano su e mi davano le ali rimaste nel piatto mi dicevano «You good boy, bravo boy», e frasi così, ma le ali erano quelle del giorno prima, anzi, erano sempre le stesse, raramente qualcuno aveva mai dato a mia madre il tempo di cucinargli un pollo e di farle anche un po' di compagnia intanto che me la mangiavano. Nemmeno Teresì mi aveva mai emozionato in quel modo, che eppure avevo ancora l'età della stupidera perché io mi sono aperto molto lentamente e certe cose le ho capite dai venticinque in su, nemmeno la mia promessa sposa mancata mi aveva mai fatto quell'effetto di sentirmi staccare del tutto dalla mia persona. Quando sor volavo con gli occhi Marì non avevo più piedi, non erano più sulle staffe e la terra andava via da sola e io non sapevo più dove andavo. Mi rendevo conto del mio scampanellio solo quando cominciavo a vedere più di uno per strada che scuoteva la testa, oddio, la scuotevano per me, come a dire, compatitelo, è mat... è matt... è solo un po' svanito. No: è proprio matto. Allora ritornavo di corsa a casa, se avessi potuto avrei messo la testa fra i raggi della bici purche non mi vedessero più. Deve essere stato in seguito a uno di quei momenti e di quelle riflessioni che ho preso la camiciola di Marì dal suo ometto e ho strappato via le maniche corte con due manate secche, mi ricordava i camicioni che avevo visto al manicomio, e poi in seguito a uno di quei momenti di preghiere mie quando mi chiudo dentro la chiesa e mi sfogo coi topi che sono ritornato a casa e con pazienza, ago e filo, ho ricucito le maniche e l'ho stirata e l'ho rimessa amorevolmente nel posto d'onore dell'armadio sopra la scatola del latte a lunga conservazione e dei sacchetti di zucchero e di sale, grosso e fino, e adesso eccomela qui sotto, indossata giovane-giovane come se niente fosse. ... sento freddo ai piedi, devono essere le scarpe seminuove di vernice, mi sono diventate anche un po' strette in questi decenni. E' la prima e ultima volta che le indosso. Con la tonaca nera è quello che ci vuole. Don Trenta aveva la mia taglia anche di calzature... Alla destra della Cinquecento, dopo avervi tolto il bicchierino con dentro il mazzolino di viole, ho preparato la bara col coperchio da parte, me la sono guadagnata onestamente io, un'occasione, non che da Cofani delle pompe funebri facessero gli sconti ma quasi, con tutte quelle che gli ho fatto vendere io una volta mi fa, scherzando, «Se vuoi ti do la tangente in natura», l'ho preso in parola, sono andato, mi ha messo davanti a quattro casse un po' crepate ma di sicuro non di seconda mano, ne ho scelta una di pino d'abete dopo che abbiamo preso le misure e me l'ha por- 1 tata a casa con la stessa indifferenza con cui la porterebbe a un morto già morto, contento lui. Dovranno solo prendermi, fare il giro della Cinquecento e mettermi dentro, farci scivolare su il coperchio, chiudere e stop. STOR. ... rigiro la chiavetta del motore, il solito raschiamento, un sussulto da giostre volanti sul sedile e la cima della pelata che sbatte contro la capote e il motore si riaccende. Potevo prendergli anche il tricorno nero prima di chiudergli la cassa, quanjo mi trovano ci avrebbero scambiati, avrebbero fatto un salto dallo spavento, un fantasma, che bel divertimento, siamo simili come due gocce d'acqua io e don Trenta, ma è arrivata la perpetua, ho fatto appena in tempo a nascondermi anche le scarpe di vernice sotto il tabarro preso al Giacomone che si era addormentato sulla sedia e poi gliel'ho portato così di corsa che non si era ancora svegliato. Quando dissi a mia madre, «E' morto don Trenta», lei, senza uscire coi capelli dal pentolone, disse, «Va' a dirlo alla cartolaia Bic». Non capivo che c'entrasse, non stetti neanche lì a dirle che sia la Puripurini che il figlio| non solo lo sapevano già, ma erano già stati a fargli visita,| feci spallucce e mi provai le scarpe: a pennello. Siccome5 dopo mezz'ora non aveva ancora finito con la tinta ed era ancora dentro con la testa, ma del tutto immobile, andai a chiamare Leone al Cantoncino e al ritorno la tro vammo seduta per terra, col pentolone in testa, ciocche di capelli in giro dappertutto, sul pavimento, sul tavolo, glielo togliemmo con ogni delicatezza e vedemmo attor no alle tempie che si era rapata quasi a zero e che si era tinta anche lo scalpo, attraversato da una striscia di capelli rosso ciclamino, «Coccodé! E adesso siete con tenti della mia cresta? Coccodé!», disse, sembrava una mohicana, le mancavano solo i bargigli, ma non voleva anticipare una moda né vincere il Primo Premio al Veglione Mascherato dell'ultimo di carnevale, lei non c'era mai andata, e allora ci decidemmo a farla ricoverare per la prima volta nel posto giusto. Ha avuto anche l'onore di una copertina di Walter Molino (di Molino Walter, cioé) per la Domenica del Corriere: «Donna di Pieve di Lombardia dà alla luce quindici pulcini», perché allora covare per un essere umano faceva notizia, adesso non ci farebbe caso più nessuno. Da noi all'ospizio, per esempio, suor Lucia dice sempre a coloro che continuano ad alzarsi dal letto per niente, «Niente pulcino, niente penna di struzzo», perché covano un solo uovo per volta, con quella vecchia ruffiana della Caroli del Teatro che le fa la spia su chi è stato buono a letto e chi invece è stato cattivo dentro e fuori. «La scienza avrebbe allungato tanto la vita a fare se no?», dice suor Lucia polemica. Non è vero che quando sei vecchio non c'è più niente da fare. Se sei un vecchio di buona volontà, quando ti sembra di non avere più niente, hai sempre la tua bella temperatura. Ma a fine luglio apparve fuori dalla vetrina Jeans Butik il cartello «Chiuso per Ferie - Riapertura 21 agosto», la Gilda però aveva tenuto aperto la sua di boutique e le due vetrine erano coperte da strisciolone gialle con su «Vendita Promozionale - Taglie Fortine Conformate Uniche dal 54 al 61», e, mollando i freni della bici, dentro vi avevo colto al volo un putto in età prescolare a occhietti chiusi faccia al piccolo ventilatore da banco, la Gilda o ce l'aveva in custodia o doveva fare a metà con gli altri nonni, non era da lei occuparsi per intero di un bambino che avesse meno di cinquant'anni e al quale non poter far credere di essere alla fin fine sua coetanea, a differenza della Bocchino Rosa che diceva che il Duemila è il trionfo della vecchia e che al giorno d'oggi una donna non è mai stagionata abbastanza per non far più paura agli uomini. Ma la Bocchino tira solo acqua al suo mulino, e la tira bene. Io, per me, preferirei crepare di sete, piuttosto, non mi piacciono i vecchi mulini a pale sui vecchi canaloni, amo solo le prime goccioline di rugiada sui ranuncoli appena aperti. Questo sì. Che male c'é? Alla sete si comanda, al capriccio no. Misi le ruote in pace e spostai la bici verso altre direzioni, le solite, gli argini del Chiese, nella mia nicchia di gelsi e robinie dalla piccola grotta con acqua sorgiva che, mi sembrava, conoscevo soltanto io e dove restavo a piedi nudi le due ore centrali ,della calura, bagnandomi ogni tanto con i polpastrelli di una mano, senza spogliarmi completamente, avvoltolandomi i pantaloni fino a sotto i ginocchi e aprendo bene la camicia sul costato, senza prendere il sole ma guardandone i riverberi accecanti fra le fronde delle robinie, di un verde particolare umido, fondo, morbido come uno scialle su tutto e, non so. Pensavo a Marì, ero curioso di sapere dovetra andata a portare i suoi scoppi di riso e a divertire il marito con le sue provocazioni dirette a tutti gli altri uomini che la adocchiavano sbavanti, ma non osavo chiedere, non certo alla Gilda e men che meno a chiunque altro. Io sono troppo timido per chiedere direttamente, mi tradirei subito, perché non ho costumanza alla disinvoltura e perché sono sempre state poche le cose che ho voluto sapere, sicché si saprebbe subito che muoio dalla voglia di saperle e, se le voglio sapere io che non mi impiccio mai di niente, il motivo che mi spinge a farlo deve essere così straordinario che chissà cosa c'è dietro. Preferisco perciò venire a saperle facendo finta che l'interesse a farmele sapere sia tutto di chi me le dice. Non ho fatto tanti anni alle costole dei preti per niente del tutto. Avevo indugiato perciò un attimo più del solito dal fornaio dove prendo la michetta per la sera perché il pranzo lo faccio all'ospizio e anche dall'ortolana per il gambo di sedano e la carota per arricchire il brodo di dado e dalla tabacchina Santacroce, sono andato a farmi tagliare i capelli dal Severino, non che ne avessi bisogno ma il pelo matto sul collo sì, e sua moglie Lella mi ha fatto lo shampo, e poi mi piace poter dire... be', pensare che anch'io ho avuto una donna che mi abbia messo le mani addosso, sì... ma ognuno parlava delle proprie ferie fatte o imminenti e della nuova squadra di calcio Pulcini di Pieve sponsorizzata dalla Hospital Day s.r.l., maglie e scarpe chiodate e relazioni stampa del Professor Angelucci, per sensibilizzare le donne al problema del cancro alla mammella, dello sport e dell'amore per gli animali sin da bambine e fondare al più presto anche una squadra di calcio femminile. Massaggiatore Pulcini il Lunardoni Battista, povero cristo anche lui, che già aveva a carico gli Juniores. Delle ferie della Marì, niente al cubo. Tul:te le botteghe lì intorno a quella di Marì erano la cassa di risonanza di tutte le sue gesta quotidiane ferie escluse, sembrava; dalla Santacroce con le borse rossastre sotto gli occhi come una nutria dolorosa mi ero messo in fondo alla fila apposta per comprare una scatola di zolfanelli, povera donna, aveva già venduto la licenza e tutto, completamente rovinata dal figlio repulisti perfino dei pacchetti di sale e manesco, la tabaccheria stava per smammare dopo cent'anni di attività di famiglia, lei era lì solo per instradare i nuovi gestori, tendevo le orecchie ma nessuno faceva parola di niente, certo per puro caso, ripeto, perché non c'era niente che facesse o non facesse Marì, sfoggiasse o no Marì, visitasse o no Marì, dicesse o no Marì e con chi e a chi che lasciasse indifferenti i suoi vicini di bottega. La vedova Paleocapa, che pure aveva sempre un rospo da mandar giù per vomitarlo contro la Siderpali Ermenegilda - che in gioventù le aveva soffiato il Fincasa Gilberto - per il suo stile di vita piuttosto su e per le sue taglie per lei troppo fortine anche nei prezzi, incontrata che scendeva dalla salita per Borgosotto in un vestito così sconcio per la sua età e le sue forme - di organza rosa praticamente senza il davanti tanto il cuore le arrivava più sulla pancia che vicino al collo, mostrando l'inmostrabile, valorizzato da placche similoro azteche che le coprivano la scanalatura molto di più della stoffa stessa -, mi piantò un chiodo sul caldo e sull'umido che fa, e con un'invocazione a sant'Antonio da Padova protettore degli animali si limitò a dire che anche la pelle era troppo pesante per un animale semplice, figurarsi,per una mammifera come lei, che aveva sempre le caldane da menopausa (la terza, questo sì), e che le erano scoppiate le emorroidi dall'afa, che la vita era tutta un dentro e fuori, un fuori e dentro, e che così conciata stava andando in Duomo a dire due Eterno riposo per l'Ermes: seduta con ventaglietto sul banco davanti al fonte battesimale, di tanto in tanto si gliardava attorno e guardinga vi andava a strizzare il fazzolJtto per rinfrescarsi la collottola e il davanti. Erano le sue ferie da vecchia lustrona a cottimo, ma non le passava tutte con Dio, in parte anche col Lunardoni Battista a sistemare il sistemabile dietro l'altare maggiore... Tutto farà anche brodo, ma come certi fabbricieri riescano a conciliare l'insegnamento cristiano cioé la morale zezzuale con la passione per i Pulcini e gli Juniores e la gerontofilia con l'altro zezzo e in più andare a puttane di notte, tornare a casa e rimettere incinta la moglie, resta un Mistero per me. Sabato dodici agosto così è successo che mi ero appena installato nella mia nicchia sul fiume e, dopo aver deposto come al solito un mazzolino di margheritine prataiole e ranuncoli sull'Ara Sacrificale dentro la piccola grotta da cui sgorga acqua sorgiva, stavo digerendo camminando a piedi nudi intorno al cerchio delimitato dagli arbusti e dagli alberi quando dalla breccia fra le 'ì robinie più basse e i rovi di stoppaculo appare un intruso che conoscevo di fama alla perfezione, uno che di notte girava intorno alla fontanella davanti all'asilonido Mafalda di Savoia e piantava le siringhe fra le tibie dei teschi nel portone di legno della mia chiesa in fondo alla scalinata e che già una volta avevo salvato da sicura morte per overdose tanti anni prima, uno che era stato in prigione per aggressione, spaccio, furto e quindi sui giornali non so quante volte, un emarginato tenuto in considerazione solo dal Quattrini Achille, cui dava regolare materiale per gli articoli di nera più sfiziosi e sensazionalistici, uno dei tanti esseri inferiori attivi tollerato dalla società perché che vuoi farci, mica li puoi ammazzare tu con le tue mani, aspetti che li ammazzi qualcun altro o che si ammazzino da soli. Lo conoscevo da quando era bambino, è il Gigliolo, il figlio della tabacchina Santacroce, l'ha picchiata a sangue un paio di volte, ha messo le mani attorno al collo di suo padre e di sua nonna, ha rubato in casa di sua sorella e in cento altre qui nei dintorni, ha rubato il blocchetto degli assegni a due zie, ha impestato due ragazze del posto che sono morte già entrambe, ha un figlio di pochi anni già segnato dal virus che glielo tengono per carità cristiana agli Infettivi di Brescia, ma da quando è uscito tutto lustro dalla comunità delle Tre Muse in Chianti - le tre scimmie che non vedono non sentono non parlano dicendo di essere diventato esperto nel restauro di codici miniati ha messo su un'aria da giustiziere dei vizi altrui che non ti dico e ispira quel moralismo fanatico proprio dei criminali di carattere quando bisogna dargli un credo, miniato anch'esso da idealismo, per contenerne la natura marcia. A ogni processo invoca la semiinfermità mentale e ogni volta è bell'e che fuori. La sua specialità è far buon viso a ogni momentanea cattiva sorte che lo porti dietro le sbarre e poi uscire di nuovo al più presto e distruggere, distruggere, impestare, impestare, come se i cattivi fossero sempre e solo gli altri e vadano puniti, preferibilmente da lui, l'unico vero innocente della Terra e capro espiatorio del mondo cattivo e ingiusto. Usa il suo corpo come un'arma batteriologica in mano ai fanatici religiosi, come se avesse una missione, un'apocalisse strisciante da assolvere, e ha imparato a mimetizzarsi dietro mille e una espressione di fragilità, di vulnerabilità, di bisogno di affetto e comprensione. Ma il tipo, alto, magro ma robusto, perfettamente sbarbato e con la pelle eccessivamente lucida, tirva, e tuttavia troppo colorita per non denotare una qualche irreversibile malattia del sangue, con un paio di cicatrici fra fronte e mento, e una polio alla gamba destra che da vestito non si nota ma che dovrebbe renderlo diverso dagli altri e quindi come me di atteggiamento più umile anche senza contare i restanti handicap, è scaltro, è infido, è un attore consumato che ha sempre un doppio fine in quella testa bacata, ta quel che fa mentre lo fa, ci mette della volontà al male, io queste cose le so, le sento, è appena che ne ha fatta un'altra delle sue che dice che gli è sfuggita la mano, che era in crisi di astinenza o addirittura mistica, perché il ruffiano va anche in chiesa e a messa cantata per farsi vedere nella sua totale e sincera contrizione davanti a Dio, e poi dice che non sapeva quel che faceva, che si pente, che supplica il perdono, che vuole rifarsi una vita, che vuole migliorare, crescere, diventare adulto, assumersi le sue responsabilità, queste parole a vanvera che sembra una femminista tutta il percorso il quotidiano il maschile il femminile gli strumenti il sociale il vissuto il culturale la donna; guarda dall'alto al basso, lui, come se fosse un eroe nazionale e avesse fatto solo del bene in tutta la vita alla società irriconoscente. Bene. Bene? Bene un ca... ! Io conosco alla perfezione le regole della buona creanza non perché sono stato dai preti ma perché ai miei tempi le conoscevamo tutti senza bisogno che qual cuno ce le insegnasse e, anche se il tizio non stava entrando in casa mia, anche se considero quel posto all'aria aperta un po' mio, la terra è di tutti e ci entra e ci i'esce chi vuole, anche questo Laser, che è il suo sopran nome, che fa tanto il giovincello sempre perdonabile e sempre recuperabile ma che va irresponsabilmente e definitivamente per i trentacinque, e io pensavo che, con tutte le arie che si dà e senza ragione, visto che non era in evidente crisi di astinenza né che era certo lì per por tarmi via la mia bicicletta di quando Berta filava, ero sicuro che toccava a lui salutare per primo me, che come minimo mi avrebbe detto buongiorno entrando nella mia nicchia e poi ognuno per i fatti suoi, spazio ce n'è finché si vuole. Invece mi pianta addosso due occhi altezzosi, come se il di più fossi io anche lì e addirittura anche per 0un rifiuto di fogna come lui, come se, simile al topo che riesce a scapparmi di mano, anche lui si sentisse in dirit to di farmi sapere che è superiore alla razza umana e a me per primo, e non solo non mi saluta ma mi mette così in imbarazzo facendo finta che io sia un pulviscolo invi sibile che, anche se non spetterebbe a me che lì ci sono già, lo saluto io per primo, «Buongiorno», dico e per tutta risposta mi gira le spalle, allarga le gambe e si mette a pisciare dentro la mia grotta cercando di dirigere il getto sul punto di affioramento dell'acqua fino a centra re la polla sorgiva e poi, con comodo, si stende proprio davanti alla mia grotta, facendo ciangottare fra i denti una specie di pernacchia e alzando una spalla, come a dire, come osi salutarmi, tu, nullità, feccia della società, tu campanaro senza arte né parte, tu insulso baciapile, che ti credi, di poter applicare la tua caritas del casso a me, Laser Santacroce? ma va', ma spostati, ma scompari che mi fai ombra, che mi insudici l'aria. Siccome è uno squilibrato, non per la droga, ma per il perbenismo, la superbia che mettono su i pari suoi andando nelle comunità terapeutiche che non siano sane come quelle di quel santuomo di Muccioli Vincenzo a San Patrignano, pace all'anima sua, dal cui figlio don Pierino continua a comprare quasi tutto, stole ricamate, tovaglie d'altare, librerie in radica, cartoleria da sagrestia, anche il suo pony da diporto per la sua casetta in campagna qui a Botticino di Sera (Dio c'é) e perfino la piccola barca a vela per la sua casetta al mare, nella ex foresteria a ridosso del Pio Convento delle Mercedarie di Santa Margherita Ligure, bo preso la mia bicicletta e mi sono dileguato, non sto qui a rimuginare con quali sentimenti anticristiani in corpo, e il giorno dopo, domenica tredici agosto, non mi mossi da casa, restai alla finestra, a guardare le persiane di fronte ermeticamente chiuse e la Cleopatra dei D. in giardino, certo in attesa di andare in vacanza col suo Immondo Innominato o che l'Im,mondo Innominato dicesse a quell'altra, la ben meno ,&iovane ma tanto più in carne rivale T. Leonora, che le era scaduto il turno di permanenza balneare e LUI aspettava visite importanti... Cleo in giardino prendeva il sole dopo essersi tolta di dosso solo l'indispensabile, le lenti a contatto, perché se no non sarei certo restato lì a farmi vedere tutto tranquillo i gomiti appoggiati al davanzale e lo sguardo davvero sull'orizzonte, che poi è la discarica dei rifiuti urbani, avrei dovuto giustificarmene, da vestita era tutto più semplice. Con i piedi immersi sino alle caviglie in una bacinella con dentro acqua e cubetti di ghiaccio e mezzi limoni non c'era niente di male se ogni tanto lei guardava in su per vedere, con aria scocciata, se io guardavo in giù. Che mi vedesse o no, che mi guardassi in giù le punte delle unghie delle mani o guardassi ancora più in su, lontano laggiù sulle cime dei primi faggi della coltura digradante verso l'argine opposto del Chiese, che poteva dire di me? forse che una qualche volta le avevo fatto venire la febbre a quarantuno con setticemia per uso smodato e impro [prio di un Crocefisso al mercurio? Niente di niente, né lei né altre: temperatura normale, e nessuna traccia di sangue. Così come non avrebbe potuto dire niente di niente neanche se io fossi stato dove ero e lei si fosse sdraiata sul dondolo in costume da bagno, solo che sarei stato io, in questo caso, a impedirle di far fare troppi giri di cervello al suo niente di niente di femmina permalosa, l'avrei prevenuta: in casi come questi mi metto sempre dietro le tendine a guardare l'orizzonte, perché non mi va di fare la figura di un faccia di tolla che curiosa le donne discinte facendo finta di essere sovrappensiero. Dunque, non succedeva niente, a parte che quella [domenica tredici agosto la giovane D. Cleo diventata da poco ragioniera, con quella sua aria da verginella sapu Etella, quei suoi capelli castano chiari trattenuti da un casto cerchietto, quelle sue forme così falsamente acerbe, l'ampia gonna di shantung smeraldo sollevata appena dai »garretti a bagnomaria in acqua ghiaccio e limoni, la Cleo l00D. - adesso sento sempre più spesso che i cognomi li 10mettono dopo i nomi, purtroppo, segno anche questo che conta di più l'individuo, che la famiglia è in crisi -, la Cleopatra di Pieve fece apparire da dietro il dondolo un mestolo, che brandì in tre perfetti movimenti o scatti col braccio molle a soffietto sull'ascella depilata fino a calar lo nella bacinella dove teneva le belle caviglie bianche per sollevarsi poi con il busto dentro cui avevo intravisto uno screzio di pelle candida e portarsi il mestolo sformi colante di goccioline d'argento alle labbra spalmate di burro cacao e bere, bere con un'avidità mai vista tenen do la conca impugnata davanti alla bocca e il manico alto, a freccia verso di me, per poi sollevare le palpebre a tradimento e far saettare lungo l'incavo del manico due iridi di gatta che scoccarono dentro i miei occhi svagati ma fissi una misteriosità e un fuoco insensati. Mi ritrassi d'istinto, chiusi la finestra, mi sentii girare la testa e poi mi lasciai andare a terra terrorizzato e allungai il braccio e la presi per il collo e lei starnazzò un po' sorpresa nel ritrovarsi umanizzata tutta d'un colpo e poi finii ginoc chioni davanti al mio Crocefisso tenuto insieme dallo scotch e appeso sulla brandina, dove tutto si esaurì con il solito, intenso formicolio seguito dal solito crampo dolo roso al mio piede sinistro menomato che per fortuna passa alla svelta. .A~ Tutto regolare, dunque, wssuna novità, a parte che stavolta avevo dovuto aiutarnAi un po' con la mano senza farlo uscire dalle penne perché i crampi si erano accaval lati al formicolio e non sarei riuscito a liberarmi né degli uni né dell'altro se no, e peccato per la profanazione3 della mia Nicchia al verde lungo il fiume che già preve devo costellata di siringhe e nemmeno monouso.&. La mia Neutra Da Compagnia XXXII si barcamenJ giù dalle scale tutta impettita rimontandosi la stola di piume con superiorità e calandosi con sufficienza il cappellino rosso della cresta sulle ventitré, come se non fosse nean che lei quella del fatto. Ma ecco che il lunedì quattordici agosto accaddero due fatti fuori dal comune: alle novene sentii il fruscio sotto la porta perché qui se c'è una mosca la si sente volare - per la prima volta in vita mia il postino mi reca pitava una cartolina che non mi era inviata da qualcuno dei miei alpini del quindicidiciotto e non proveniva dalle Dolomiti o dagli Appennini o dal Carso o dalla Valsugana (Nove Dio c'è in tutto) o dall'Ossario di Solfe rino (Dio c'é) e San Martino (Pure): raffigurava dei gero glifici intorno a una testa umana ma di lupo, proveniva niente di meno che da Assuan, l'indirizzo diceva, «Egre gio Prof. Pigliacielo Giuseppe, via Antica Pieve n° 3, 25018 Pieve di Lombardia, Brescia, Italia», e poi il messaggio era, «Noi siamo in crociera sul Nilo e accappiamo faraone d'Egitto, e lei? Cordiali saluti da Maria e da Lamberto». Seguivano anche due altre firme, certi Agostino e Emiliana, gente che non conoscevo. La constatazione più triste nel trovarmela sotto la porta fu che non avevo nesstmo cui mostrarla per rinnovare e raddoppiare il mio sbalordimento, la mia contentezza, il mio giubilo, ecco. Cercai di decifrare bene quel cerchiolino in mezzo ad «accappiamo», ma era proprio una a, non una o, sicché non sapevo che pensare, se avevano voluto dire accoppiamo o acchiappiamo le faraone e se, in un caso come nell'altro, lei si stava prendendo gioco di me, se voleva rendermi permaloso e, quindi, svegliarmi a un sentimento qualsiasi... forse a una complicità sorniona almeno tanto per cominciare? Di una cosa ero sicuro anche se Fincasa Lamberto the Boss aveva firmato la cartolina: era tutta un'idea, un trasporto di Marì, un'altra delle sue macchinazioni innocenti cui il marito dava il beneplacito perché non sapeva più come discolparsi per la grazia che lei gli faceva stando con lui. Dire, col senno di poi, che lui la viziava come surrogato della sete di schiavitù di un sultano abituato a essere ubbidito e intrattenuto e blandito senza mai una svista verso il suo amorproprio, è dire la metà della metà. Bene. Questo sì. Comprata all'origine, ne ero sicuro, strappata al concorrente a condizioni migliori, soffiata per un pelo al suo rivale industrialotto che stava per sposarla, il Boss continuava a comprare la Marì anche adesso come l'espressione più compiuta del suo potere senza limite su di lei e, come unica forma di libertà, le aveva concesso di lavorare, in proprio, certo, ma sotto la vigilanza della suocera, preferendo questo compromesso all'alternativa per lui ideale, ma tutto non si può avere, che lei se ne stesse a casa ad aspettarlo in una vasca da bagno immersa in una nuvola di schiuma ma ben pettinata, la testa ben fuori, eretta e lei sorridente senza posa, come immortalata, attenta a che la schiuma non le sciupasse il trucco perfetto della donna sempre pronta ad accogliere il suo Maschio Vincente - il suo maschio per il resto consorziale... Pensai alle messinscene della gelosia trasformata in battuta di spirito che Marì adesso stava allestendo in Egitto per il Boss sul loro battello di crociera, ai costumi da bagno a due pezzi striminziti che lei avrebbe indossato e tolto davanti agli inservienti indigeni tenuti a non battere mai ciglio davantica niente, mi sembrava di vederlo, lui, far andare in giro i suoi occhioni bonaccioni di politicante arrivato per far sapere a tutti gli altri turisti, "Proprietà privata, guardare e non toccare, è MIA". Poi lui, come Erode, con uno schiocco di dita le avrebbe ingiunto, discostando il ramo di palma ondeggiante sulla testa per fargli fresco e scacciargli le mosche, «E avesso danza per me, solo per me, Marì», e Marì si saXebbe messa a fargli la danza del ventre coi sette veli lì sul Nilo scuotendo fianchi e braccia e seni capelli al vento davanti a tutti gli altri maschi in coperta meno che davanti a lui, per eccitarlo dalla gelosia fino alla caduta del sesto e penultimo velo e farlo contento e rimborsato riservandogli l'esclusiva della caduta del settimo una volta soli in cabina (rappresentazione della commedia Salomé messa su dalla Cùrt dei Pulì all'asilo Mafalda di Savoia: Nerone Chitari Luciana, Salomé Bocchino Rosa, il Battista Lunardoni Battista, Erodiade la Mimì delle scarpe, il Paggio Lella la barbiera). Ma, senza andare troppo in fondo alla mia anima, ho sentito anche - e quel che è accaduto dopo ne è la conferma - che il Boss aveva un desiderio indesiderabile nei confronti della sua schiava ribelle a comando: trovarla indifesa dentro, snervata e umiliata fino in fondo e mar chiarla a fuoco come capo di bestiame per essere sicuro che fosse di sua esclusiva e definitiva proprietà. Sentii che lui stesso le stava come preparando questa circostanza per flettere Marì, a costo di spezzarla, e poi piegarla del tutto a una sua libidine morbosa che, aliena e allo stesso tempo consapevole, covava da anni nella segreta delle sue fantasie inconfessabili di figlio-padrone, di maschio unico, di piccolo dio del capitale. Fantasie malate che Marì ricacciava giù nella loro palude con l'arma della sua ironia, del suo sarcasmo, della sua sapiente ma zuccherina falsità di fiera indomabile che accettava la zolletta dalla mano del domatore e poi la sputava fuori di nascosto... e lei era così zenzuale che non mi meraviglia che il Boss, ritrovandosela davanti di lì a pochi mesi così debole e maneggevole dopo tante traversie, così domata, così atterrata dal doppio colpo di grazia infertole nel giro di poche ore da Laser e dal Quattrini Achille, così femminile di una volta, così ubbidiente perché devastata dentro fino all'ultima fibra, abbia potuto perdere la testa e... come scrive Marì nel quaderno di Quarta A... Ma la stessa sera di sabato dodici accadeva - era accaduto - alla suocera Siderpali qualcosa che alle nove e uno di lunedì quattordici agosto spinse la vedova Paleocapa, imbigodinata e ancora in mezza vestaglia-mezza trapunta ciclamino con gli alamari dorati e con quei pastrucchi in faccia che chiamano maschera di bellezza, a venire a precipizio, e orribile al suo zenit, a bussare alla mia porta, «Pino, Pino!», gridava nel vicolo come volendo fare piano, «Tu che dici tanto... E' boccaccesca, è boccaccesca anche lei!», e sventolava la pagina della cronaca della provincia della Leonessa d'Italia. L'ansia della rivalsa e il colesterolo altissimo sballottato dalla corsa l'avevano trasfigurata in modo nuovo, la Bocchino esibiva i segni funebri di una resa tardiva alla vecchiaia che lei scambiava per un trionfo puntuale della terza gioventù, era, sì, in vestaglia ma già, come dire, truccatissima nella maschera di bellezza e colava cipria e gocce di sudore, e il belletto, o antirughe rosso, le era arrivato nella fossetta del mento, «Tu che dici sempre che la Siderpali è una donna che più a posto non si può mentre la giogera dei tiroasegno sarei io, leggi qua, leggi qua... E sulla bocca di tutti, la madama dei bovari». La Bocchino e la Gelati erano andate a scuola insieme, dai sette agli otto anni entrambe, cioé fino alla seconda elementare e stop... STOP?... ma poi la Gelati, sposatasi con il figlio dei merciai ambulanti Fincasa ai quali aveva fatto da mula pv dieci anni col permesso di mangiare dalla marmitta nel sottoscala o sulla stanga del carro merci, aveva messo su delle arie che non ti dico e aveva smesso di salutare gli inferiori come la Bocchino d'Oro, ché non si saluta una che si fa chiamare così e che non ha mai fumato, «Stronzi a parte», mi aveva sottolineato a suo tempo la Fincasa Siderpali Ermenuilda aggiungendo, «Signora si nasce, mica si diventa. Pgrché, non per dire, ma in quanto a finessa a me non m'incula nessuna, mentre quella ha voglia di fare la fina...». Io conosco la Bocchino Paleocapa da una vita, è una gran brava donna, ma la natura è stata crudele con lei, troppo portata verso i pantaloni che terminano in un piede di porco, con un'ingordigia carnale più forte di ogni buon proposito, per carità, meglio di una moglie, una sorella addirittura per il suo Ermes, impavida fino all'ultima cellula cancerogena che l'ha spacciato (lavorazione tetti di amianto qui in loco alla Prefabbricati del Focolare di Milancio Fotis & figli, di cui il Primo è diventato sindaco), regolarmente sposata in chiesa e timorosa di Dio e tutto, ma di quattro figli che ha, tre femmine e un maschio, puoi stabilire da quale macellaio e fornaio si serviva ai tempi della fame e da quale oste ai tempi della sete, perché, siccome le femmine prendono tutto dai padri, solo il maschio assomiglia a lei e quindi a nessuno che si conosca con un'attività in proprio, il che significa che è l'unico dei quattro che ha avuto da un operaio e a questo punto potrebbe anche averlo avuto da suo marito... «E' caduta anche lei col culo nella merda!», gridava, era trafelata dalla soddisfazione, la vedova Paleocapa, come se si fosse vendicata di qualcosa con le proprie mani, «Leggi, leggi un po' qua». Ma non mi lasciò leggere, le tremava troppo la mano e neppure voleva separarsi del tutto dal foglio, voleva che io leggessi ma non voleva rinunciare a riassumerlo lei. «Altro che rapina! altro che agguato davanti a casa! in camporella c'è andata lei con quel bel tipo, ha voglia di raccontarla su che era mascherato da montagna, e poi qui il concittadino Achille lo scrive chiaro e tondo, 'Ia classica storia di una Madame Bova... bova...ria della Bassa', ah può ben dirlo, da piccola andava fuori al pascolo con le vacche come me, ah, e senti, senti: 'che non vuole dare forf-a-it'... ma come scrive questo?... 'e non si rende conto che alla sua età certi piaceri proibiti hanno un costo elevato, in gioielli e in ridicolo. Poiché la vedova Ermenegilda Siderpali, già ex vedova Fincasa molto benestante, e la seconda volta di un marito più giovane di dodici anni, risulta assicurata e per gli effetti personali e per la Mustang rubata, si sospetta in Questura che possa trattarsi di una messinscena al fine di...', capito? prima si fa trombare in cambio dei braccialetti perché se no chi la vuole quella gobbona lì... oh, che il cielo mi perdoni... e poi chiede i danni, il risarcimento...». Non so neanche io perché, ero con la testa fra le nuvole, mi sfuggì solo, «Bisogna imparare». La vedova Paleocapa è rimasta così di stucco da questa mia risposta che la vidi improvvisamente rinfrescarsi davanti ai miei occhi in un pallore di ghiaccio e in un mutismo da folgorata fare dietrofront sdegnata dal mio monito e dalle preferenze che, fra due vecchie disgraziate col gusto per certi ormoni nunc et semper, si fanno a quella che conta di più per via dei soldi e quindi della c .Iscrezione con CU1 gestisce i suoi giri. Arrivata all'angolo, chiamò la vecchia Alice alla finestra, si sentì il sibilo ferroviario della carrozzella messa in moto e subito arrestata. «Che c'è ancora?» - non la cagava mai nessuno, la Alice, badi, san Pietro... ma come mi esprimo, mio Dio? è l'effetto esilarante dell'ossido di carbonio di già? - «Alice, e la vista? State a sentire che ve ne leggo una bella io... 'Ermenegilda Siderpali... abito bianco di lino con spacchi~r~laterali e cintura a cerchi dorati... ampia scollatura... coperta di macchie di fango da capo a piedi perché, a suo dire, l'aggressore, celato da un passamontagna nero, l aveva spinta a terra un paio di volte... camminava come una lucciola sola nella notte da Flero verso Ghedi...' sola nella notte, avete capito bene, 'è stata infine raccolta da una Volante... Madama Bova...ria'. Volante sarà lei e chi le mette le mutarAle la mattina...» e l'Alice, rimettendo in moto la carrozzella elettrica, «E a me che me ne viene in tasca?». La vedova Paleocapa prese a scuotere la testa come una forsennata, mi diede un'occhiata di traverso dallo spigolo del campanile e risalì la china ripetendosi ad alta voce, «Non c'è più religione... non c'è più religione... Mentre invece se una cosa così era toccata a una poveretta come me... apriti cielo ! mi avrebbero portato via anche le maniglie... O non mi avrebbero neanche messo sul giornale...». A Flero e a Ghedi Dio c'é. Ermenegilda era sempre stata gentile con me, non credevo a una sola parola delle malignità dello scribacchino, un facinoroso che per convenienza rispetta i sacramenti visto che ha le sue entrature nella diocesi perché è amico di sua eminenza don Luttignucchi, il nostro caro vescovo subentrato al defunto Virenti, se no col ca... che potrebbe scrivere su un giornale così importante da Salò a Lumezzane a Orzinuovi (non c'è Dio c'è da nessuna parte) a Pieve di Lombardia stessa! Non credevo a una sola parola del Quattrini Achille, un ruffiano opportunista a paga come tutti i giornalisti per smerciare, da piccoli imprenditori semiindipendenti, una certa verità commissionata a priori. Non credevo a una sola parola anche perché volevo restituire la solidarietà alla Gilda, che al tempo delle ore di Francese mi aveva detto di non credere a una sola parola contro di me né sulla faccenda della somala scomparsa né sulla faccenda della zingarella, lasciandomi capire che alla parola della sua tribù di rom...piscatole preferiva la mia, anche se io in pubblico non ne avevo fatta trapelare mai una sola in proposito, e avevo preferito ritirarmi dall'insegnamento. Non per paura o compromesso da parte mia a seguito della ritorsione del preside Longamano come è stato detto, ma semplicemente perché il Parlamento aveva approvato questa leggina sulle baby pensioni per sfoltire il corpo insegnanti nazionale e io ne ho approfittato per dedicarmi esclusivamente alla Chiesa e a don Pierino, quindi ai miei più profondi bisogni spirituali. Tutto qui. Bene. ... tutto qui, ne sei proprio sicuro Pino Pinocchio, nessun pochettino anche là fra quei pelini ricciuti sfolgoranti come rame...? Decisi quindi di rendere una visita di cortesia alla Siderpali, una visita di cordoglio è qualcosa che da me si accetta, come si accetta il becchino sulla soglia col prontuario tariffe fra le mani giunte, non è considerata un'intrusione, è quello che é, e lo scandalo, se scandalo c'è stato, è già avvenuto tutto prima, sicché se compaio io non c'è più posto per un residuo di chiacchiera o un'aggiunta di vanvera. Bisogna chiedere compermesso anche per assistere gli afflitti, e ogni disgrazia di media grandezza qui a Pieve è per me un lasciapassare, qualcosa che non suscita sorpresa. Nessuno mi inviterebbe mai a un battesimo a una comunione a una cresima o a un matri- s monio, ma quando c'è un funerale, pur non essendovi invitato, molte sono le teste che si allungano per vedere se, oltre al prete ad altezza d'uomo, nel corteo c'è la grigiastra poiana che tracima su tutti: io. Io sono come un decoro dovuto ai parenti in processione e un dovere decoroso da parte mia verso anche l'ultimo dei morti e dei pezzenti e delle caccole della società... Se mancassi io, mancherebbe la certezza che il caro defunto non si risvegli nella bara. Io sono il sigillo dell'evento estremo fatto e finito. Dato l'accaduto, figlio e nuovra, che abitavano nell'appartamento di fianco a quello della vedova Fincasa Siderpali in una grande palazzina di cui avevano però affittato a terzi il piano alto per amor di lucro, forse nel| frattempo erano rientrati di corsa dalle vacanze dall'Egitto, e avrei visto Marì senza aspettare la riapertu ra del negozio, sarebbe stata abbronzata e vestita chiisà con quale abitino floreale o tunichetta africana o chissà in quale stato di prostrazione davanti alla suocera in ambasce, chissà che sforzo avrebbe fatto Marì per repri mere la ridarella, perché il dubbio che la Gilda se le fosse andata a cercare prezzolando... ... non riesco a rendermi conto a che punto sono con il suicidio, non sento ancora niente di speciale, respiro normalmente, seppure con una particolare voluttà, con un ampiezza che alleggerisce i polmoni e i ricordi, non so più se e quante volte ho riavvolto il nastro nel mangianastri, forse la benzina nel serbatoio non basta, sarebbe una bella seccatura dovermi alzare proprio ora e doverla travasare dalla tanica di scorta, i garage delle altre automobili non erano tanto più grandi del mio pianoterra, ma certo si trattava di auto di grossa cilindrata che producono una montagna di ossido di carbonio in pochi minuti, già morto non sono di sicuro... rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi e mostraci dopo questo esilio Gesù... eeronf:.. eesgnoc... eeronf:.. eesgnoc... Accanto al cancelletto della palazzina a due piani della Siderpali sostava una jeep con l'insegna sulle portiere, «Impresa Via La Ragnatela - Pulizie a domicilio», e oltre la siepe una ragazza non delle nostre parti, un tipo slavo e slavato, stava passando un getto d'acqua sulle persiane chiuse. Mi venne ad aprire la Chitari Luciana in persona, non più coi capelli fulvi, eppur già schiariti e raccolti a chignon come alla festa per il centenario della Alice, ma tutta bionda ossigenata anche lei e caschetto tagliato corto, alla paggetto. La Chitari ha un suo hobby oltre a quello di far giù le ragnatele personalmente alle sue clienti di maggior riguardo: è da sempre una delle attrici più brillanti della nostra compagnia teatrale La Cùrt dei Pulì, in vernacolo antico, che sta in piedi perché presuppone ancora che da una parte ci sia la provincia e dall'altra la città, da una parte la campagna e dall'altra la metropoli, da una parte l'arretramento culturale e dall'altra l'emancipazione, in Italia! be', la Chitari Luciana fa sempre parti di paesanotta stranita dalla civiltà e dalla modernità, come se oggi le prime a comprarsi la kawasaki e l'armani e lo swatch e la pillola e la vacanza in un'isola dell'oceano Pacifico non fossero proprio le paesane e le provinciali, e le vengono bene anche le parti del mungitore, del carrettiere, dello spazzacamino - il camino è sempre grande come una cisterna, dato il deretano - e del pompiere di Viggiù (mi sono spesso guardato attorno strada facendo, ma non l'ho mai trovato, il cartellone stradale, non deve essere un posto delle nostre parti). La signorina Bentivoglio Giuseppina non ha mai acconsentito una sola volta a presenziare a «queste sconcerie» tipo la Salomé neppure quando erano amiche per la pelle, anche se le recite sono così acqua e sapone che si svolgono nel refettorio dell'asilonido Mafalda di Savoia. Seppure non vengono le Canossiane del Sacro Cuore di Gesù che pure gestiscono l'asilonido né le tre suore rimaste dell'ex orfanotrofio della Beata Maria Merici (le quali per conto del Professor Angelucci ne dirigono il Centro Oncologico - e relativi cancri alla mammella a pagamento tramite però libera offerta - facendosi anche in sei per dare una mano all'Hospital Day, se necessario), preti e diaconi non mancano una sola rappresentazione, anzi, vanno anche alle repliche, e la Signorina dice che quei dilettanti sono troppo sboccati con le loro farse e che non si capisce come don P1$rino a volte non veda in che pieghe si nasconde il diavolo e che non sta bene che metta alla cassa la Lunardoni moglie del Battista a staccare i biglietti, numerati di suo pugno, di lui don Pierino, si capisce, perché nessuno ci faccia la cresta. Comunque, tanto la Chitari è brillante e ridicola sul palcoscenico tanto è smorta nella vita, e lì in casa depa sua nuova protettrice - per non dire protetta, ormai era smorta, giù di tono forse per sembrare elegante e smarrita come una signora vera che non sa come ammazzare il tempo o qualcuno. Lì sulla porta sembrava il mio ex parà Gerardinelli Cesarino se si mettesse un parrucchino biondastro e avesse una chiappa di troppo da portarsi in giro. Pensai, adesso fa come il Gerardinelli quando ha le paturnie della nostalgia da fronte e mi recita, «Eterno immenso Iddio che creasti gli spazi e ne misurasti le profondità guarda benigno a noi paracadutisti d'Italia che nell'adempimento del nostro dovere balzando dai nostri apparecchi ci lanciamo nella vastità dei cieli», invece niente, fu come delusa nel vedere che ero soltanto io e lasciò planare un miserevole, «Ah, lei», che mi diede il brivido che mi danno i fenomeni anormali che non riesco a concepire. Bene. Nel vederla provai cioé lo stesso brivido di quando sentivo la severa Signorina rivolgerlesi iniziando ogni frase con «Micia...». In bocca alla Peppa, un simile vezzeggiativo rivolto a quella chimera fattasi prima donna e poi equina mi faceva venire la pelle d'oca, ecco, mi si allappavano i denti: lo so solo io la fine che facevano i mici, e tutti bianchi, di casa Bentivoglio arrivati ai cinque mesi, lo so solo io come si muovevano disperati dentro il sacco di juta magari ancora bagnato dal bagnomaria precedente quando ho dovuto prenderglieli su e portarli giù al fosso, anche se non ho mai saputo fino a poco tempo fa perché le Bentivoglio mi facevano annegare un gatto bianco semiadulto per procurarsi a tambur battente un altro gatto bianco neonato, e anch'io sono stato incaricato tante di quelle volte di guardarmi in giro se nelle cucciolate c'era un sostituto pari pari e allora dovevo raccomandarmi ai bambini, che quello bianco lo dessero a me appena slattato, e spesso sono arrivato dalle Bentivoglio con uno in mano e sono uscito con l'altro in spalla. Ma la "micia" Chitari Luciana non si era mai accorta che il gatto Pio del momento, perché così è sempre stato chiamato, Pio, durando un momento, non era già più quello di quel momento ma o di un momento prima o di un momento dopo? E non le faceva senso essere chiamata per nome di quella precarietà prodotta da una eternizzazione della gioventù a prezzo dello sterminio di tanti mici che stavano per diventare gatti ma che, grazie a quel violento stratagemma, restavano micini per sempre? E lei, come era riuscita a sopravvivere, a diventare compiutamente umana e adulta? Scappando in tempo? Mi vidi nell'atto di calarla nel fosso col sacco, perché il sacco, una volta scaricatone il contenuto nella corrente, andava messo a seccare e riportato alla Signorina piegato bene in quattro, ma nella mia visione prodotta da quel suo deluso «Ah, lei» la Chitari Luciana mica annegò: da esperta attrice e stuntnvoman si trasformò in una balenottera, si bevette tutta l'acqua del fosso e me la spruzzava addosso dicendo, Toh, e applausi!". Era scampata, lei, era lì davanti a me, lei. La mia Tilde invece non ce l'aveva fattaj a raggiungere l'altra sponda... ... e allora, tu, Pigliacielo Pino, perché ti prestavi a portare via i gatti alla Signorina, a farle da sicario? Io... io... io... Già, tu. «Vieni, vieni Acchiappa», ma ecco che mi diceva la Siderpali Gilda da un'altra stanza, la casa era rimasta quella di prima, con gli stessi vasi di fiori belli con le penne colorate, secondo tei, di Uccelli del Paradiso al posto dei petali, le due gEandi gondole con la luminosa sulla credenza, alcune litografie di donne del grande Ann1goni, le stesse divine mattonelle per terra, «fallo accomodare, Luci, vieni, vieni dentro Acchiappa... Ah, me ne è successa una brutta ma brutta proprio... ah, caro Pino, ah ! ». La Siderpali era stesa sul letto a baldacchin~ in una elegante camicia da notte color pesca tutta traforata e teneva la schiena e relativo ammennicolo sprofondati alquanto in tre cuscini lucidi e lussuosi, come seta di un orientale extra. «Ermenegilda, io mi sono permesso... io ho sentito che... e ho pensato che... se non disturbo...» Tenevo il berretto in mano e la voce smorzata in gola, conosco la mia parte, ormai mi viene naturale, mi faccio vedere a retrocedere perché così tutti, sentendosi migliori, più bUOni, più umani di me, più Più, mi fanno cenno di venire avanti se sono da soli o mi danno una spinta in avanti se ci sono gli altri per fare la figura di quelli che, in fondo, sono buoni come il pane. Inutile che mi guardassi in giro o chiedessi degli sposini, tenevo la cartolina di Marì nella tasca interna della mia giacchetta di gabardine nera per l'estate insieme al mio coltellino da campo, non avrei potuto ringraziarla, no, magari era ancora in viaggio o magari non erano stati neppure avvisati, se ci fosse stata ne avrei percepito il profumo anche attraverso le pareti, il lezzo che sentivo adesso era solo della Siderpali, una variante del caldino di polli, un caldino di polli passato senza fretta in un brodino di cotiche al gelsomino di Istanbul. Marì no, non c'era. L'avrei sentita, l'avrei separata dal resto delle puzze del mondo, Lei. «Ah Pino, che disgrazia, che brutto momento, e quel che dice La Leonessa, che vergogna, quel Quattrini, farmi passare per una lucciola...», la Chitari mi fece sedere al capezzale su una bellissima poltrona di gran velluto bianco col pelino lungo coperta dal nylon per non sciuparla, non per l'occasione perché mi ci sedevo io ma così come era stata consegnata dal mobiliere D. presente a grandi lettere sopra il nylon, «... avevo appena chiuso il negozio sabato sera che poi ho portato Ridge dai Monteciaresi per Ferragosto come eravamo d'accordo e sono venuta a casa in macchina e appena smonto per aprire il cancello, dalla siepe che è una vita che voglio farla tagliare perché... dalla siepe sbuca fuori uno alto con un passamontagna nero in testa e con la pistola spianata mi fa, 'Gilda, monta in macchina, monta in macchina che non ti faccio nienté, io caspita la voce l'ho riconosciuta subito e quegli occhi sbarrati fuori da... dai buchi nel passamontagna nero ma mi sono detta se lo chiamo per nome mi fa fuori, ero paralizzata, nel buio io capisco all'istante cosa vuole da me, l'orologio d'oro coi brillanti che avevo al polso, lui non poteva vedere i miei movimenti delle mani perché stava dall'altra parte dell'auto e poi erano già le nove e mezza perché mi sono fermata a cena dai suoceri del mio Boss e non faceva proprio chiaro chiaro, lui era pronto a salire su e io inghiottendo bava... e una strizza, ma una strizza al buco del...lo stomaco... me lo sono sfilato di nascosto dal polso e lui intanto alza la voce, 'Monta in macchina, Gilda, monta in macchina ostia', figurati, quella voce, lo conosco da bambino, quella poverina di sua madre che ha dovuto dar via la licenza del monopolio. io ho aperto la portiera e sono salita e intanto che facevo retromarcia siccome ero in un due pezzi di Jenny Palombelli, Ancona, intanto che lui si guardava intorno ma tenendomi mirata con la pistola io me lo sono infilato nelle mutande... è volgare dirlo, ma sono ventotto chili di svizzero... ah, non ti dico, quel viaggio, che non finiva più, e mi sentivo le lancette che mi andavano per tutte le parti, e prima a Rho e poi indietro fino a Sant'Antonio e poi nfon andava bene neanche lì, e guai se superavo i trenta''Rallenta, rallenta, porca vacca', mi diceva montando in rabbia, lui, che ha scassato venti auto per eccesso di velocità e ne ha ammazzati due e uno disgraziato per sempre senza più le gambe, aspettava che faceva bene buio, quella brutta teppa, e una volta a Flero mi porta dentro una stradina che quasi vado a sbattere contro un palo della luce che non sd se hai presente la macchina che ho che fai una bottarella e sono tre chili minimo di carrozzeria e mi fa, 'E adesso dammi l'orologio, Gilda, che non ti faccio niente dàmel', e io gli ho detto, 'Ma io non ce l'ho l'orologio...' e stavo per aggiungerci di nuovo il suo nome che per fortuna mi sono morsa la lingua e ho gridato, 'Ahi!', e lui fa come un cane rabbioso, 'Non gridare, non fare la stupida stasera, e tira fuori l'orologio che è meglio per té, sempre facendomi sventolare la canna della pistola sotto il naso, 'Non ce l'ho, giuro', gli dico io e giù a piangere dallo spavento e lui e lì figurati se avevo qualche dubbio m'è passato del tutto, aveva indosso anche il montgomery color merda di pappagallo che gli ha regalato il farmacista in una delle sue crisi della tarantola, e lui che mi fa, 'Ce l'avevi in negozio alle sette e venti, tiralo fuori, te l'ho visto io' e io ho tirato il fiato e gli ho detto, 'Sì, ma quando ho chiuso sono passata da Rossi a farlo aggiustare perché mi si era rotto il gancio' e allora lui lancia fuori una specie di grugnito e mi spinge fuori di brutto dalla portiera e lì cado dentro una cosa... una boassa di vacca, secca per fortuna, e viene dalla mia parte e vedo bene che mi fa tutto un teatro trascinandosi la gambina poliomielitica, è lui, è LUI, figuriamoci, e leva le mani per mettermele addosso, 'NOOO!', grido con quanto fiato ho, 'Ie mani addosso no, potrei essere tua madrel', l'imbesuito ha abboccato e però mi ha dato una spinta idrofobo nero e sono finita in una pozzanghera, spataplash dentro col didietro, che io dalla botta ho sentito come un risucchio, ho pensato adesso mi toccherà cagarlo fuori, il Rolex, e addio taier bianco di lino e ho dovuto dargli le due collane, una di perle false e una però di corallo di Sicilia, non so se mi spiego, saranno un due chili, e poi i tre braccialetti d'oro e i due anelli, uno quello del mio secondo fidanzamento, e giù altri sette chili, e anche le due fedi, che non valevano molto però... il valore affettivo... E eccomi qui, e per fortuna che c'è quel tesoro di Luci perché quando hai bisogno non c'è mai un cane...» e io, premuroso, ho cambiato discorso, «Ma non hai chiamato tuo figlio, tua nuora?», e lei, «Ma no, che se la godino fintanto che sono giovani, e poi che potevano fare ormai? Per fortuna non è successo niente di grave, e l'auto è assicurata, e io anche, se la ritrovano tanto meglio se no l'assicurazione si paga per questo, no? L'importante è che... ma la vergogna, io, una donna, che giravo nella notte e non sapevo neanche dove ero e poi, conciata come una sénghena, mi sono ritrovata sulla provinciale per Cremona e nessuno che si fermava e non ti dico quelli che si sono fermati che cosa mi hanno detto, a me! e quanto mi dai se ti lascio farmi questo e quanto sganci se ti lascio farmi quest'altro, e io sempre avanti, a camminare, dritta come una fusoliera, tutta sbilenca, con la forza della disperazione, e arrivata lì dopo il cavalcavia alla discoteca del Florida che saranno state le due ho visto una macchina della polizia e mi hanno portato in caserma, e c'erano anche quei cretinetti di terroni in divisa che facevano i sorrisini, chissà che gli hanno raccontato al Quattrini Achille, perché io con lui non ci ho certo parlato, ma siccome che ho sportato denuncia...», e io, che volevo sapere il nome del sospettato ma non volevo chiederglielo papale papale, ho lasciato cadere una pausa in quel momento che sarebbe toccato a me prendere la parola, e la Chitari Luciana fa, arrivando coi caffé, «Gilda, è inutile fare misteri, l'avrai fatta anche contro ignoti ma sai perfettamente chi é...», e la Gilda, spostandosi sui cuscini per dare sfogo alla gobba, ha detto, «Non ho le prove, io non ho voluto che lo mettessero a verbale, ma è lui, al cento per cento è lui, è Laser E pensare che l'ho tenuto anche alla Prima Comunione;» ... sgnosc... il frutto benedetto del ventre tuo, o clemente ronf, o pia ronf; o dolve Vergine Maria... eeronf eesgnfsc... Non facemmo a tempo a bere il caffé portatoci dalla Chitari che costei si mise a pesteggiare per la camera, le due ragazze delle pulizie avevano tirato su le persiane e erano già sulla jeep, io ho capito che era ora di accomiatarsi e non ho neanche raspato lo zucchero col cucchiaino sul fondo della chicchera, ho salutato e sulla porta ho sentito la Chitari che diceva, «Adesso è come uno specchio. E tutto è steso a asciugare. Vuoi la fattura o preferisci un po' di...» e la Gilda, interrompendola, come rianimata, «No, no, in nero e lo sconto, lo sconto... Vieni domani?» e la Chitari, dandosi una manata alla frangetta bionda nemmeno caricasse a carretta una balla di paglia col forcone, disse tutta preoccupata, ma lieta di unire l'utile al compassionevole, «Sì, puoi ben dirlo, non ti lascio in queste condissioni da sola. Vuoi che ti organizzo la pulissia dei vetri già che ci sono?». Do un pugno al mangianastri, lo spengo del tutto e lo vorrei buttare fuori dal finestrino contro il muro, ma il braccio è indebolito, non ce la faccio, l'apparecchio scivola sull'interno della portiera, mi cade sui piedi. Ho cominciato a perdere le mie forze. Fra qualche istante, ammesso che già questa non sia una frazione stessa dell'attimo prima di morire, anche se volessi tornare indietro, non avrei più nemmeno la forza di spingermi fuori dall'abitacolo, forse nemmeno di rigirare la chiavetta. Ma io non voglio spegnere questo Motore Ultimo deciso da me. Lasciata Gilda, ero deciso a riespugnare la mia Ara e la mia Nicchia nel verde quel giorno stesso anche se fosse arrivato Laser. Con la bicicletta e in buon anticipo, quel mezzogiorno salto il pasto al ricovero e mi porto al fiume, sicuro per lo meno di godermela in santa pace per un paio d'ore e da solo. Nel fendere la breccia col manubrio della bici vidi davanti a me lo scintillio dei canini di un doberman pronto a saltarmi addosso: Laser, gambe incrociate e busto eretto alla guru sull'interno del suo capo in pelle color arancino marcio, fuori stagione data l'afa, disseminato dei resti di un ricchissimo picnic con tanto di bottiglia di spumante francese e termos per il caffé, evidente bottino della permuta presso qualche ricettatore dei preziosi rapinati alla Siderpali, si stava arrotolando una sigaretta di quelle sottili sottili che l'Annunziati Ugo chiama spinello e alzò appena il capo, sicché mi vidi puntati addosso contemporaneamente quattro occhi giallo epatitico che esprimevano lo stesso virus, con la differenza che il cane lo sentiva per riflesso del suo padrone che lo aveva e questi stava decidendo se lasciar partire l'ordine che avrebbe dato al doberman via libera per innestarlo fauci e artigli nelle mie carni. Siccome ero io stavolta a entrare in un luogo e a trovare qualcuno già entrato prima di me, dissi secondo le regole della buona creanza, «Buongiorno», il che intanto ebbe il potere di rammollire la tensione neì muscoli dell'animale, ma il suo padrone sputò e disse, «Non puoi andare a rompere i coglioni da qualche altra parte te?», a me, che se una volta non avessi chiamato in tempo l'ambulanza oggi mì darei la medaglia doppia... Sentii il sangue montarmi al cervello, vidi la protervia dei violenti da sempre e dei potenti di un giorno, prima con una pistola contro una povera carampana liftata e adesso con una bestia feroce contro un povero anziano, lasciai cadere di schianto la bicicletta, diedi un calcio nelle palle al doberman che si mise a fuggire sc~inando e gli fui addosso, esaltato da una collera micsrdiale come il pugno che mandò Laser a gambe levate, e poi mi risollevai e presi a dargli calci nella pancia scandendo, «E questo è per tuo padre e questo per tua madre e questo per tua sorella e questo per le due ragazze che hai impestato e fatto morire e questo per il figlio infetto che hai voluto a tutti i costi per far vedere quanto sei uomo anche tu e quFsto per i due che hai centrato e ammazzato perché sei passato col rosso a duecento all'ora e questo per quello rimasto senza gambe e questo è per le tue zie e questo é... per Gilda", Laser faceva un blocco di tutte le accuse e implorava, «No, aiuto, no, non sono stato io, no, pietà, pietà", ma adesso niente mi frenava, nemmeno il fatto che sanguinasse dal naso e da una delle vecchie cicatrici sulla faccia, nemmeno la paura che mi contaminasse mi tirava indietro, l'unica cautela fu che presi la bottiglia di sciampagna e gliela ruppi su un ginocchio ma solo perché lui con uno scarto del busto mi portò via la testa. Squittiva e sanguinava come un topone lentamente strangolato dalle mie due dita, il Laser, e si dibatteva appallottolandosi nel montgomery e nelle briciole come un grosso verme seminudo. Gli diedi un calcio dal basso all'alto sulle pa... e dissi, «E adesso va' a lamentarti dai carabinieri", tutto ansante mi asciugai il sudore nella mia salvietta senza neanche toglierla dal sacchettino di plastica, raccolsi la bici e tornai indietro a pigre pedalate, assaporando una felicità nelle membra e nei polmoni come raramente mi era successo in vita mia... Magari! e invece... il rumore della bicicletta che cadeva fra gli arbusti riallarmò il doberman che si mise come prima in posizione di attacco, senza smettere di guardare il suo padrone la raccolsi per il manubrio e la girai senza dire niente, stringendo le mascelle, maledicendo la mia viltà, la mia infistolita bontà, masticando fiele per avergliela data vinta così facilmente. Laser, con un sorrisino di trionfo sulla faccina triangolare malata, stava facendo tre cerchiolini col fumo sotto i rami dell'ulivo selvatico, il cane girò la testa fulmineamente come a dirgli, "Ehi, questo qui scappa, che faccio", e dall'immobilità di Laser dovette capire e si mise a annusare intorno indifferente a me che risalivo il terrapieno e io, sentendo un crack ma lungo come un lamento e cogliendo con la coda dell'occhio quel distruttore che rompeva un grosso ramo dell'ulivo tanto per fare, mi rimettevo sul sentiero lungo l'argine. Il dolore del fegato che dovevo mangiarmi mi toglieva il fiato, e l'afa e l'affanno e l'ingiustizia del mondo facevano il resto sotto il mio berretto e nel mio costato trafitto. Fu in quel momento che concepii questo pensiero terribile di giustizia divina: che se uno fa un'azione ignobile contro qualcuno, be', la faccia pure, perché, che c'è di più esaltante per i deboli che bere sangue umano per darsi la forza che il proprio non gli dà? ma quando la sua cattiveria ha raggiunto il colmo nelle sue opere, uno dovrebbe farla finita da sé. Hai ammazzato qualcuno e non sai come farti perdonare? Ammazzati. Hai stuprato, hai fatto espiantare organi da gente viva, hai fatto i soldi con la droga? Ammazzati. Hai causato per tuo tornaconto e libidine e vanità la morte di due ingenue sventurate? Ma ammazzati. Hai rubato e frodato e ingannato e umiliato per tutta la vita e adesso non sai come fare a chiedere scusa? Ammazzati.~. Perché Laser e tanti come lui non si ammazzavano? peri ché dovevano continuare a vivere con così scarsa coscien za di quello che avevano commesso e scarsa a tal punto che non arrivavano nemmeno al buonsenso di raccoglier ne quel minimo per ammazzarsi? E poi concepii il penSierO ' più anticristiano di tutti: se non ci arrivavano a sui cidarsi da soli, bisognava dargli pietosamente una mano,01 un Giorno ti sarebbero stati grati per avergli così salvato l anima. A Laser l'Aids non b~stava più. Un castigo di Dio non era più sufficiente, ci voleva il castigo di un]L uomo. Un uomo giusto, superpartes, un missionario. Era il suicidio, ecco, la piccola, insignificante somma che manca a estinguere il debito verso l'umanità da te offesa e metterci su una croce, era solo il suicidio il picco-1 lo contributo di un'anima pentita che, se non scusa debito del debitore moroso, salda per sempre il crectto del creditore offeso. Se uno non ce l'ha questa piccola somma finale, gli si farà il favore di dargliela, piccola com'é, una piccola spinta per riequilibrare i piatti della bilancia fra il dato e il preso, fra la tua vita che succhia e la vita che hai succhiato fuori. Era il sano occhio per occhio, dente per dente, ma per tacita procura a un Terzo, a un Motore Ultimo e Neutro, dalla parte di coloro ai quali gli occhi erano stati cavati e i denti rotti senza mai cavarli né romperli a nessuno, senza potersi ribellare ai loro sfrutta tori e carnefici, senza mai rendergli la pariglia Giunto sul ponte del Chiese sbarrato dalla deviazione feci alcuni zigzag qui e là, sarebbe stato un bel colpo per me almeno trovare imboscata lì nei dintorni la spaider di Gilda, ma quello aveva tutta l'aria di essere arrivato sul suo motorino scassato col suo bestione dietro in corsa, senza museruola e senza un ansito. L'odio cristallino che provavo non mi dava pace, mi segnavo da me anche a occhi chiusi per illudermi che mi stava benedicendo un esorcista, quella notte non riuscivo a prendere sonno, sarà stata anche l'afa e il sentire che il paese si era svuotato attorno a me, e dentro di me, perché avevo cominciato a fare la conta di quanti, secondo quei validi principi da me concepiti sotto il solleone, coda fra le gambe, avrebbero dovuto mettersi in ubbidiente lista di attesa con se stessi per suicidarsi nel corso della giornata, senza più girare le spalle alla vera verità, e non alla mia, ma alla loro, e che lo volessero o no. Appoggiato al davanzale, dentro e fuori con la testa come uno struzzo, erano tanti i suicidi in carniere, tanti come le stelle fisse nel firmamento ma alcuni, quanti le poche stelle cadenti, davvero necessari. Vidi questo e quella alzarsi l'indomani e dirsi appena i piedi fuori dal letto, "Che faccio oggi di bello con tutto il sangue che ho versato e bevuto, il dolore che ho procurato, le famiglie che ho sfruttato e separato, gli operai che ho fatto morire di cancro e di inflazione, la cattiveria che mi ha fatto godere nel vedere gli altri dipendere da me, strisciarmi bisognosi e ruffianeschi ai piedi, schiacciati da me, dall'egoismo, il cinismo, il fatalismo, il favoritismo, il finto senso dello Stato, il comunismo solo ideologico, il cristianesimo di facciata che ho alle spalle? Ah, ecco! Oggi mi suicido", così, senza tanti drammi, senza più dare né chiedere spiegazioni, con la stessa noncuranza con cui uno mette un velo di vaniglia su una torta di merda per darle il tocco finale e completarla in bellezza. Mi rigirai fra le mani la cartolina di Marì, l'ho anche annusata. Sì, erano meri suicidi. Suicidi dovuti. Vidi interi quartieri spopolarsi in una pestilenza di morti volontarie fino a toccare la cresta dell'Apocalisse. E non feci a tempo a formulare questa visione a tutto campo sul buio stellato che una vocina maligna mi disse, "Perché non cominci da te, schifoso Acchiappascope del coccodé? Ne avresti ben di che, o no? Con tutte le tue 'I Neutre che hai seviziato e una persino..." e per incanto, siccome non mi andava di cominciare proprio da me, il paese si ripopolò di tutti i suoi infami in ferie e non ripen- X sai più a questa inquisizione delle coscienze sui propri corpi sordi e restii a darsi una regolata una volta tanto. La Mustang dell'Ermenegilda a metà settimana fu ritrovata comoda comoda, e senza un graffio, davanti alla stazione ferroviaria di Desenzano del Garda, ma il fatto che due giorni dopo ritrovassero davanti alla caserma | dei carabinieri di Pieve di bombardia una Tipo ruba ta davanti alla stazione di Desenzano, la dice lunga sul tipo di trasporto preferito da Laser per rientrare al pae sello: un'altra auto rubata. A differenza di quel macaco7 del Bertucci, Laser non era così amante dei treni e così giudizioso da parcheggiare lì la spaider della Gilda e prendere da Desenzano un locale per Brescia, senza £are altri danni, e arrivare tranquillamente a casa con la dor riera. La sua volontà di infierire su conosciute e scono sciuti era senza limiti. Era davvero desolante che nessuna delle sue numerose vittime avesse ancora avuto il corag gio non dico di vendicarsi per sé, che è contro la legge di Dio, ma di farlo fuori per amore del prossimo. Ama il prossimo tuo come te stesso che altro voleva dire se non fa' fuori per gli altri quelli che faresti fuori per te stesso? Ma la vera tragedia che voglio arrivare a raccontare se me ne resta il tempo ha inizio con una commediola lunedì ventuno agosto dello scorso anno alle dieci e dieci allorché, vedendo distante una cinquantina di metri che la serranda del negozio di Marì era tirata su, io mi faccio forza, non do retta all'emozione e al cuore che mi balza in entrambi i ginocchi facendoli cedere dentro le staffe e cerco di tirare dritto senza muovere un nervo del collo e r un raggio di ruote in più e, fatta nemmeno un'intera pedalata fuori dalla visuale della sua vetrina, mi sento [ agguantare alla martingala, «Professore Acchiappa! Ma non si ferma neanche a darmi un bacino?», fa la voce di un'allegria insperata, «ho un regalino per lei!», e Marì mi si para davanti radiosa, mi prende la testa e mi bacia da una parte all'altra sulle guance davanti a tutti, i capelli tutti a treccine con filiformi nastrini multicolorati alle T punte che mi finiscono nel colletto aperto al primo bottone, ecco, penso, adesso svengo, mio Dio svengo, ma invece no, abbronzata, vittoriosa, e canzonatoria come un amorino esotico, mi porge una piccola sfinge di onice e ride, ride felice di vedermi, di prendermi in giro di nuovo, di sputtanarmi davanti a tutti, ecco, io non so più come mettermi sulla sella e col piede sul marciapiede, e intanto mi fa, arrochendo la voce e arricciando il nasino con un'aria di congiura godereccia fra bambini, «Pino, che vuol dire chi Madam Bovàri?». La statuina mi scottava in mano e lei aveva questo suo profumo folle, di vaniglia e ranuncolo insieme, «Non le piace? L'ho comperata nella Valle dei Re, sa? Lei ci andrebbe matto: tutta una tomba una via l'altra che è un piacere», e giù a ridere, ma così forte che Mimì delle scarpe - lc più a buon mercato centoventimila l'una - e il barbiere Severino si affacciarono sulle porte aperte sulla strada e dissero, «Pino, quella lì bisogna legarla», «Pino, guarda che quella lì è da messa nera, stai attento!» e ridacchiarono, solo che io gli risposi con uno sguardo di smarrimento, non avevo mai in vita detto alcunché che si dovesse udire al di là di una strada e poi la Mimì si mise le mani sui fianchi e disse, «Non ne lasci stare mai uno, Marì, oho!» e poi si affacciò anche la Lella che mi fa lo shampo e disse, «Marì, hai i sép in testa? Sei proprio una puttina dell'asilo, va'», essendo i sép le piccole trappole di fil di ferro per prendere i passeri d'inverno nascon dendole sotto la neve, e Marì indicando me gridò spensierata, «Ma questo non è un uccello, è un pipistrello, un uccello da pipì!» e tutti risero soddisfatti, «Ne ha sempre una di scorta», dissero, e rientrarono ammirati scuotendo la testa nei loro negozi e lei ritornò all'attacco colla Madame. La minigonna di plastica luccicante bianca non le arrivava a più di venticinque centimetri dal ginocchio. «La Luci Chitari dice che è una telenovela messicana di parecchio tempo fa, figurati quella, sempre attaccata alla televisione e a TeleVita e alle ragnatele delle altre, e io scema a chiederglielo a lei, che è ancora più ignorante di me, ma la Chitari insiste«~dice che gliel'ha detto il Quattrini Achille in persona al telefono quando la Gilda voleva querelarlo per diffamazione ma poi Lamberto al telefono gli ha detto a sua madre di lasciar perdere, che quello non ha tutti i suoi a casa e una causa simile dura una media di dieci anni; è davvero una telenovela messicana ambientata in una farmacia con tutta la gente che va e viene più i proprietari balenghi come i Bertuccl? E allora, Professore Acchiappa? L'unica cosa di sicuro è che questa Bovàri è una poco di buono, una sposata che se la spassa con i clienti della farmacia.» Mi stava provocando? Aveva voglia di farlo a piacimento: io non sapevo chi era Madame Bovarì, a parte che 1 accento finiva sulla i, ma avevo vergogna ad ammettere di non saperlo, sempre che lei stesse mettendo alla prova non solo la mia cultura, l'incultura di uno professore di Inglese di ruolo per il rotto della cuffia (ma avrei voluto vedere anche quelli laureati al mio posto se lo sapevano lì sui due piedi chi era l'eroina di un libro francese!), ma anche la mia resistenza alle sue stramberie. «Se vuole, mi informo», bisbigliai, e lei, «Sì, dai, informati e poi vieni a dirmelo. Ti aspetto neh? Un professore che non sa neanche lui chi è Madam Bovàri! Ma è un porno sconcio! Di un secolo fa!» Quel suo passare al tu, quel suo darmi un ordine con l'aria più ovvia del mondo, quel suo declassarmi per la mia ignoranza, tutto fu così naturale, ben mi stava, non è svenivo più, mi sentivo doppiamente me, e bene su di giri, «Allora se lo sapevi...», mormorai, osando il tu, mi sembrava di essere lì da due secondi e invece era un'eternità, la gente mi squadrava come a chiedermi, che fa lì il Pigliamosche porporino come un peperone? l'uovo fuori dal cavagno? Era la prima volta che mi si vedeva parlare con una donna che avesse meno di cinquant'anni portati male, che non fosse praticante fervente e col bottone bene in vista di un lutto recente. Lei cinguettava, «Sì, ma fa lo stesso, perché non so se essendo così vecchio sarà itancora in circolazioneL'ho chiesto al cartolaio Zainetti, dove vado a comprare i testi scolastici di Ridge che entra in prima, ma anche lui non l'ha mai sentita nominare se non appunto per via di mia suocera sul gior 0naleAh, adesso sono proprio curiosaPensavo che te che hai le mani in pasta dappertutto potevi procurarme lo, te lo pago, s'intende», io avevo le mani in pasta dap pertutto?, e dissi, «Hai provato in biblioteca?», e Marì, «In biblioteca? E dove?», «Qui, su dal Busetti, vicino all'asilo», «Ma c'è una biblioteca qui da noi? Ma certo che lo conosco, il Busetti. Il Tita, no? Ah, ma fa il biblio tecario? E io è da anni che quando lo vedo mi chiedo chissà cosa fa quello lì vestito con i pantaloni alla zuava di suo trisavolo, e fa il bibliotecario? Ma pensa te... Ma io non sono pratica di questi ambienti di preti...» «Madame Bovary... Madame Bovary... eccolo qua», disse Tita dopo aver fatto scorrere il medio sopra un volumetto specializzato nei titoli, si vede; io gli stavo dietro e sbirciavo da sopra i suoi sospironi; gli colavano le candele giù dal grande naso butterato di piccoli crateri in fiore, poveretto, aveva un brutto raffreddore estivo e due donne ammalate in casa, sua madre e sua zia, che non volevano andare all'ospizio e che d'altronde, paralizzate entrambe e dipendenti in tutto, anche nei bisogni, non volevano nemmeno togliere il disturbo, «E' di Gustav Flobert, vediamo...», disse chiudendo di colpo il volumetto, poi tirò una maniglietta in un mobile pieno di cassettini e fece scorrere lo stesso dito su una lunga fila di schede, borbottò, «Flobert Flobert Flobert... no, non l'abbiamo, però abbiamo Un cuore semplice... sai, teniamo solo le cose più indispensabili», «Me lo scrivi giù su un fogliettino? Non è per me», gli chiesi. «Tita, Tita! Titaaa rottinculooo!», gridò ossessiva una voce che rimbombò nel vano delle scale e~che voleva apparire strozzata ma era a tutta gola, «E' mla madre di nuovo, devo correre su. Scusami, qui c'è la scheda, ti dispiace ricopiartelo tu?». Si asciugò il naso e, con un lacrimone di congiuntivite per occhio, si mise a correre in uno sballonzolamento di pance cascanti e di borse agli occhi e di guance pendule e io alle tre e quarantacinque - siccome dovevo accompagnare suor Lucia a Brescia da quei duetdelle Psicotrappole coi suoi macabri gioiellini che mi pagava la benzina - uscivo dalla libreria delle Paoline di via Mons Filippo Minini con due copie di Madame Bovary di Gustave Flaubert, una per Marì, ma una anche per me, per un totale di lire ventiquattromila, roba d'andar giù di testa, che se l'avesse saputo don Pierino o suor Lucia che buttavo via i soldi così, nei libri non indispensabili... Attraversai via Cardinal Foppapedretti e mi ritrovai di nuovo in piazza Duomo per andare a prelevare suor Lucia. Avevo una fretta divorante di ritornare a casa Siccome il negozio di lampadine bruciate d'epoca, monete, anticaglie, cucchiai storti, scarpe spaiate e gioielli antichi è tutto a girovetro come un acquario perennemente illuminato, da una cinquantina di metri vidi una scena che mi lasciò interdetto: suor Lucia, nel suo infinito candore, stava confabulando, a parte i due fiabeschi proprietari entrambi piccoli e col codino e occhialini rotondi e mantellucci neri, niente di meno col Paragnosta delle Fontanelle e con... con la farmacista Bertucci! ma no, era troppo più alta... eppure, quella macchia di donna tutta rossa dietro il cristallo, tutta vestita di estivo rosso sgargiante come la farmacista Bertucci però Era la moglie del Paragnosta, avevo preso un colpo di sole. Io, quei due approfittatori delle Fontanelle, non avevo avuto modo di vederli spesso separatamente e men che meno insieme, ma vederli chiacchierare amabilmente con suor Lucia mi fece sentire un po' il principe azzurro che corre a salvare dal drago e dal baratro la sua bella; suor Lucia non si rendeva certo conto chi era quel gigan 0te espanso in larghezza che tutto serio adesso le stava imponendo le mani sul fondo schiena, certo per farle venire la sciatica e convincerla a ruota dei suoi poteri paranormali di guaritore. Allungai il passo e lo squillo del campanello sulla porta e il mio grido, «Suor Lucia, nooo, è peccato!» fu tutt'uno, mentre il Paragnosta delle Fontanelle nel vedermi staccava le mani dell'imbroglio da quelle vertebre innocenti di Immacolatina di Torino e sua moglie allungava una delle sue, laccatissime di rosso, su un panno di vellutino viola posto sul banco e vi nascondeva qualcosa alla mia vista. «Ma che ti prende, Pino, si può sapere che ti prende?», mi chiese suor Lucia infastidita, «Io... io... io», non sapevo più continuare, e lei, «Pio pio pio», ero lì davanti a quei cinque esseri accomunati da un'ironia ingioiellata di risentimento e da una complicità misterica da cui mi sentii escluso per sempre, tremavo ma capivo che non avevo esagerato, anche se capivo che una suora non è al mondo per essere salvata, ma per salvare lei gli altri, forse il Paragnosta compreso. La moglie fu di un intuito e di un senso pratico più veloce del fulmine, disse con quelle sue labbra tutte rien tranti che se non ci fosse stato il filo del rossetto non si sarebbero neppure viste, labbra di avidità, di bramosia, «Sorella, se ha bisogno di un passaggio, glielo diamo noi. Noi non beviamo», e suor Lucia disse a denti stretti per la figura che le avevo fatto fare, «No, grazie. Tu aspetta mi alla macchina, scimunito di un gianduia, che vengo subito». Aveva come cambiato voce per stabilire chi, fra 'i quattro sconosciuti e colui che da una vita le faceva da zerbino, andava sacrificato. Non senza una qualche esita zione, devo dire a suo beneficio e a mio amorproprio, anche se fui sacrificato io, si c~pisce. L'aspettai in macchina che faceva i suoi comodi e le sue permute, e durante il percorso non risposi una sola parola ai suoi insulti a denti stretti. Io pensavo solo che appena arrivato, avrei fatto ancora in tempo a consegna re il suo libro a Marì.Xs Non osai neppure illudermi di potergliene fare ornag gio. Alle sette di sera di quel ventuno agosto che [uor Lucia era scesa dalla mia Cinquecento sbattendo la por tiera così bene che ho dovuto portarla dal meccanico Marì mi aveva allungato le dodicimila lire del prezzo di copertina, che io accettai a malincuore, perché lei era una signora e io un umile servo, e ai servi non è consenti to sdebitarsi. Se lei mi regalava una sfinge di onice, io in cambio potevo farle al massimo una commissione. La sposa Fincasa era così presa dalla novità che aveva fra le mani che non si era accorta che era entrato il mari to, un uomo alto e massiccio, così gioviale, così sportivo che mi costò parecchio trovarlo antipatico, «Ih, eccolo qua il nostro prof Acchiappa, ti è piaciuta la cartolina?», senza aspettare una risposta the Boss andò da sua moglie e la baciò su una guancia, mentre lei prendeva a sfogliare il coso francese, «Sì, grazie del pensiero, ma non doveva te disturbarvi», dissi, e lui, rivolgendosi alla moglie, «E' venuto a prendersi qualche bella salopette per la messa cantata? Che cos'é?», le chiese interrompendosi stupito, la Marì disse, «Un libro», «Questo lo vedo anch'io» pausa - «E che ci fai tu con un libro?», disse lui tollerante e mettendole un braccio attorno alla vita, «Lo leggo» e lui, senza nemmeno guardare di che libro si trattava, «E da quando in qua tu leggi i libri? Guarda che le parole sono quelle in nero», e a me indirizzò il gesto di portarsi l'indice alla tempia e di girarselo e rigirarselo come a dire, è completamente svitata. Poi il Boss andò alla cassa, la aprì, cominciò a contare l'incasso e a dare una scorsa alle fatture fornitori mentre il motorino della Sweda elaborava gracchiando il saldo giornaliero, «Meno di così si muore... Da chi resta Ridge stasera?» disse lui, distrattamente, e lei, chiudendo il libro e mettendomi alla porta facendomi l'occhiolino disse, «Ma come, un milione e otto... sarà mica poco neh? Ma da noi, da chi resta se no?», e lui disse, «Oggi è il giorno delle novità», e Marì, forse temendo di aver oltrepassato il segno, ritornò la sfrontata di prima a uso e consumo del consorte e sulla soglia, unendosi al marito e mettendogli una mano sulla spalla e piegando la testa a sghimbescio e portando avanti la spalla destra e le treccine bionde come se fosse un'attrice che promuove un reggipetto, mi fa, «E lei professore ha un bel membro di partito?», non capivo quel verbo avere, «Io non ho tessere», dissi, ed era vero, non avevo più nemmeno quella della Democrazia Cristiana, non c'era più, e don Pierino mi aveva detto che dovevo votare Forza Igiene ma io avevo votato per Alleanza Nazionale per fargli dispetto, anche se poi era la stessa cosa, ma io non ho mai votato neanche per la Democrazia Cristiana, visto che il voto è segreto io l'ho sempre dato al Movimento Sociale Italiano perché io un'idea non la tradisco anche se non posso professarla pubblicamente, anche se poi era la stessa cosa anche in questo caso, e poi come ho detto io di politica non mi interesso, e la Marì singhiozzando dal ridere specificò, «Ma che ha capito? Un membro dipartito tutto attaccato! che non c'è più per '1 le donne!», agitò il libro delle barzellette mettendosi l'al tro nella borsa e nel vedere il mio imbarazzo e il mio ros sore, lui si illuminò ritrovando intatto il suo giocattolo preferito in vestina di plastica bianca. Dove io vidi la recita dell'autenticità lui vide ciò che voleva, l'autenticità della recita, sentì Marì di nuovo sua carne e ossa e spirito e barzellette e biancheria intima, e a bacchetta come sempre: il settimo e ultimo velo della danza di Marì sul Nilo cadevvva puntuale solo per lui. Scoppiarono a ridere entrambi e lui però mi disse, «Ma dai, Acchiappa, cos'è questo lei? perché non vieni a cena da noi una volta?», io salutai uscendo all'indietro, loro non mi prestavano più attenzione, e si erano baciati di volata sulle labbra con lui che brandiva con la sinistra la mazzetta di banconote della cassa svuotata con apparen te indifferenza. Quel bacio Io vidi il bacio con la coda dell'occhio che ero già in sella alla bici, era lui che baciava lei e le metteva una mano dove non avrebbe dovuto in pubblico, e pensavo, io non mi interesso di progresso sociale della femmina e di pari opportunità per i due sessi e a me dell'emancipa-a zione delle donne non me ne frega niente visto come sono gli uomini progrediti, ma poiché non posso averla io l'importante è che lei si emancipi abbastanza perché non l'abbia più chi ce l'ha, chiunque sia. In questo caso, lui, the Boss. Tanto per cominciare.1 Ma certo più buon ragazzo, lavoratore migliore, miglior padre, marito più regolare di Lamberto Fincasa non c'era. Ed era anche un bel ragazzo, seppure un po' ipernutrito, ma alto, appena un po' più basso di me, con un che di fanciullesco e di schietto, che rendeva arduo01 provare antipatia istintiva, personale. Tuttavia, malgrado tutte le sue buone e indiscutibili qualità, forse si poteva fare ancora qualcosa contro. Bisognava elaborare un'an tipatia cosmica che lo annientasse, una specie di maloc 15chio che lo corrodesse nell'opinione che Marì aveva di lui. Non io di certo, io non faccio certe fatture. Forse questo Flaubert qua. In vece mia. Si vedeva che il Fincasa Lamberto viveva per la mera viglia che lei gli causava ininterrottamente, per lei come la distrazione più bella di un direttore di Consorzio Agrario con zampini ministeriali annoiato da un ambien te di uomini annoiati interessati solo a far carriera anche quando della carriera a un certo punto non gliene impor ta più niente ma non possono darlo a vedere perché que sto significherebbe destabilizzazione del sistema e quindi blocco dell'avanzamento e quindi rischio di licenziamen to, e si vedeva che lei si era assuefatta a impersonargli la piccola parte di sé che lui poteva cogliere scambiandola per tutto ciò che lei poteva essere. Forse Marì si era assuefatta a lui e ai suoi bambineschi capricci di finta tra sgressività per pigrizia, senza volerlo, e poi, lentamente, senza più accorgersene del tutto, non era più riuscita a distinguere chi è la marionetta e chi ne muove i fili. La pupa, che credeva di muovere i fili di un puparo invaghi to e ne era mossa, era bellissima e plastica e sua, e già impegnata a fare il di lui numero per tutte le stagioni tea Itrali a venire. Non era padrona nemmeno delle proprie battute, la voce le veniva da fuori scena, da una contraf tfazione di voce di donna che un uomo aveva deciso per lei e che lei non era. Lei poteva anche rimettere l'anima del cuore ai fili d'acciaio nelle dita di lui e anche morire dentro quella parte, ma nessuno avrebbe potuto rimpro verare lui di non averle procurato il guardaroba adegua to per continuare a far finta di essere viva. Solo un miracolo avrebbe potuto abbacchiare, segare, rompere, frantumare, estirpare, snaturare quella coppia e dare a lei una nuova libertà, anche se, chissà, Marì sarebbe dovuta passare attraverso un altro uomo - rivale del primo - dal quale a sua volta era necessario scinderla di nuovo, e così via, di uomo in uomo, fino a che... fino a che, convertita anche nell'abito esteriore, rinsavita, rassegnata, ] Si sarebbe ritirata in un convento a versare come me lacrime di solitudine e in questo, non potendo essere mia e non essendo di nessun altro, io l'avrei sentita vici na a me, come me, dentro di me Io non avrei fatto niente perché quella coppia di esse- 1 ri apparentemente felici si spaiasse, e si spaiasse ogni altra di cui Marì fosse statvi'una dell'altro. Sarei stato passivamente lì a desiderario con tutte le mie energie senza muovere un dito né un filo sulla marionetta finché ciò non fosse successo. Io in effetti ero del tutto disinte ressato. Lo facevo solo per il suo bene. Sentii vegliando notte dopo notte sulla vastità del mio soffitto tarlato e sui soprassalti febbrili dei. mio Crocefisso, di essere il suo genio del bene e il genio del male di tutti gli altri uomini che la desideravano, me incluso. Io avrei goduto la vittoria quanto meno uscivo allo scoperto per prenderne la mia parte. Dovevo restare ciò che lei stessa mi aveva suggerito: il servo muto di scena, una sfinge a guardia della sua Regina incatenata all'obelisco di un comune mortale, di un uomo, di un marito. Non avrei mai commesso lo sbaglio e nemmeno0S. avrei mai ceduto alla debolezza di lasciare in giro indovi-ì~ nelli da risolvere, né per me né per la mia Signora. Non potendo più dubitare del mio destino di irrefrenabile01 infelicità, adesso ero sicuro del suo destino di una felicità01 aliena al mondo come la mia ma divina l'uno per l'altra che ci avrebbe resi simili e insieme per sempre. Ognuno per conto suo, s'intende, come Dante nel suo girone e Beatrice nel suo cielo. Quel che conta è l'anima, se c'è quella c'è anche l'animo di fare a meno dei corpi. La perfezione, allora, secondo te, è il non plus ultra ~'della schizofrenia, mi si potrebbe obiettare, ma io sono realista: alla mia età, nelle mie condizioni, separare del tutto era anche infinitamente più sensato, oltre che più facile, che unire anche solo un pochettino. In quella visio ne paradisiaca di me e Marì, alla fine del mio processo di separazione da me, da lei, da tutto, ecco il premio: il ricongiungimento delle due metà nell'uno originario, fac cia a faccia, l'anima del c. di Pino nell'anima della f. di Marì, in un'unica essenza immateriale e inspirituale fra il maschio e la femmina. Nessuna donna, nemmeno la più tcontraria, può dire di no a un affetto così profondo da parte di un uomo, nemmeno del più repellente: primo perché non la riguarda, secondo perché non lo sa. Ripensai alla suorina commessa della libreria delle [Paoline che non aveva battuto ciglio quando le avevo messo davanti il foglietto coi riferimenti, aveva detto, «Lei è di Pieve di Lombardia?» e io, stupefatto, dissi, «Sì», e lei, «L'avrei giurato. Ho dovuto fare la scorta della Madame», e io, che non capivo, dissi un po' piccato tperché non sono abituato a essere io a dire, «Perché?», e lei, battendo la cassa, «Ultimamente quelli che chiedono Kquesto titolo siete tutti di Pieve di Lombardia», strana Lmente mi sentii facente parte, un concittadino che appartiene al suo luogo natio almeno per i suoi pruriti; si sentiva che la religiosa, se non avesse fatto prevalere il suo spirito di commerciante, avrebbe aggiunto, "Chissà Dio che ci trovate voi di Pieve in questo fogliettone". Che ci trovammo di tanto speciale, poi, in quel fo gliettone francese ambientato in un paesino di provincia forse ancora più asfissiante di Pieve, a parte la sorpresa finale, l'amore immarcescente di Monsieur Bovary far macista? Marì e io ci trovammo un'iniziazione a... Dif ficile dirlo. Marì ci trovò quello che io avevo trovato nella con versione al contrario di Alice che si impuntava sulla messa in onore di don Diana: i fermenti di una sottile inconsapevole ribellione non suffragata da alcun previo indice di gradimento (o exit poli come ebbe a dire la farmacista Bertucci allorché Forza Igiene ebbe ad adottare il nome del deodorante-simbolo della corrente, e poi prevalse Fede, Il Manganello Spray); ci trovò, Marì, gli spiriti demoniaci di una modificazione esteriore, e quindi profondissima dentro, senza neppure il cartellino esposto che ne dica prima il prezzo da pagare, ci trovò la molla per il salto fuori dal buio considerato fino a quel momento lì tutta la suVluce disponibile... Erano venti di rivolta che spazzavano via credenze incancrenite e soffiavano a una tale profondità da non farlo sapere neppure all'interessata, la quale neppure notava come, pagina dopo pagina, nel solo volgere di una settimana, il colore del rossetto arancione si smorzava sulle sue labbra e come la marea selvatica dei suoi immensi capelli, sciolte di nuovo le treccine all'africana, si appiattisseXper una trascuratezza che la rendeva ancora più bella, più fiera di dentro man mano che all'esterno della facciata lei interveniva con un distratto e crescente passalà.. e come gli abiti di scena che andavano a vestirla, tipo quello da indiana con le frange e le pelli colorate tutte sbrendoloni, cominciassero a striderle addosso concentrata in quella lettura dentro il negozio improvvisamente vuoto e lei, man mano che avanzava la fine dell'estate, si stava impercettibilmente rendendo conto che, ormai dotata di quello sguardo nuovo di persona che per la prima volta in vita sua trova uno specchio che la guardi senza farle concessioni, se prima con quegli abitudinari apparati da donna come-tu-mi-vuoi era trasgressiva, adesso era ridicolmente folcloristica, già fuori parte, perché ormai inadeguata dentro... Io nella Madame ci trovai quello che c'era, una banale storia di adulterio di cui non m'importava niente e che però divorai per far finta di star dietro alla Marì allorché l'avevo già superata per non perdermi un centimetro del suo rivoluzionarsi spostandosi dove io già mi trovavo, aspettandola. Anche perché, pur non intendendomene, dopo le prime cento pagine sapevo già come andava a finire, e cioé che l'assassino era proprio il più insospettabile di tutti: il paesino in cui è ambientato quel giallo mozzafiato lì. Marì si era procurata anche un vocabolario grande come una federa di cuscino per andare a cercare le parole strane, troneggiava sul tavolino con gli adesivi pubblicitari «Chi mi ama di nuovo, di nuovo mi segua» e il posacenere e i femminili e il libro di Barzellette per rompere (il ghtaccio), ed era tutto un andare a vedere le parole che non sapeva. Tutta la pila dei fotoromanzi, adesso, era passata sul bancone dall'altra parte, sul tavolino e le due poltrone della suocera, immediatamente ripresasi dallo shock da Laser; per rilasciarsi era a sua volta partita in ferie alle Canarie con la Mimì, la Lella e un paio di altre taglie fortine alle quali si erano aggregate all'ultimo minuto la Chitari e la Giu, certo un pensiero gentile della Chitari per vedere di aumentare la clientela dell'amica notaio sempre immusonita nel suo studio deserto. (Sono convinto che la Siderpali nemmeno oggi ha capito il perché le sue due compagne di viaggio fossero tanto irreprensibili con gli uomini e perché mai e poi mai, nemmeno per scherzo, le abbiano mai fatto la minima concorrenza né con un tipo da yacht né con un tipo da spiaggia né con un tipo.) Stava accadendo dunque quel qualcosa di incalcolabile nell'anima di Marì, io queste cose le so, le sento, e mi tormentavo di dover dividerne la responsabilità, il merito, con il Quattrini Achille, perché è vero che il romanzo glielo avevo dato io, ma è ancor più vero che se non l'a vesse tirato in ballo quel ballista finto scozzese io da solo non ci sarei mai arrivato. Un giorno la Marì arrivò addirittura coi capelli rac- 1 colti dietro, senza trucco, un abito leggero blu che le arrivava alle caviglie, maniche lunghe, senza scollatura, una cosa che persino io vidi che era fuori moda da anni, una cosa che aveva dovuto portare da ragazzina e che aveva ripescato da qualche vecchio baule in soffitta. Dire che era radiosa è dir poco. Temevo per questo cambiamento troppo repentino, guai in vista. Per fortuna per lei, mi dicevo, i gioielli erano rimasti numerosi e sgargianti come prima, ai pols4e alle dita e al collo nessun cambiamento. Ma un giorno notai che ormai qualcosa aveva intaccato anche il suo scrigno più irrinunciabile al suo apparire sulla pubblica piazza: se aveva gli orecchini non aveva la collana, se aveva gli anelli non aveva i braccialetti, se aveva la cotonatura non aveva i sandali coi tacchi,alti, e che sempre più raramente se ne stava in piedi dikro la vetrina o sulla soglia per fermare questo e quello a chiacchierare, era sempre seduta o anche in piedi dietro il bancone ma sempre con la testa china a leggere, a consultare il vocabolario, sempre con la sigaretta accesa fra le dita o se no sempre a mangiarsi le pellicine di un'unghia, come rapita in un altro mondo, ma non per entrare nella realtà di un sogno, ma per uscire dal sogno della realtà ed entrare finalmente in una realtà tangibilmente sua, unica, reale, come se il pensiero impensato di sua spettanza stesse via via raccorciandosi fino a portarla alle soglie del suo primo vero pensiero, pensato il quale si apre l'abisso di tutti gli altri, e una donna, specialmente, invece di ridursi a una spalla guardata a vista dall'uomo, diventa una protagonista che comincia a far sentire guardato a vista lui, e tutti gli altri uomini. Aveva, come dire, rivoluzionato la prospettiva fra i visitatori e gli animali dello zoo. Vidi anche che per leggere tanto e così assiduamente doveva trascurare gli affari, una mamma stava per entrare con la figlia nel negozio ma si erano arrestate sulla porta, certo per non disturbarla, e avevano tirato dritto. Tuttavia mi consolavo intanto che la adocchiavo di sfuggita passando e ripassando in bicicletta: in quei due metri di percorso le guance prendevano a bruciarmi ogni volta e ogni volta di più, ma non mi fermavo mai anche se lei alzava il viso e mi incrociava a cavallo della mia sella, non osavo interferire neppure col più piccolo consiglio da buttarle lì distrattamente perché mettesse radici tanto più tenaci, tanto più sue, aspettando che fosse lei a chiamarmi, a dirmi a che punto era, lei era più lenta di me nella lettura, perché io se c'è una cosa o una parola che non capisco, la salto, lei no; se il merito di quella partenza era tutto del Quattrini, dunque, se la foga della rincorsa tutta della suocera, la colpa del salto nel buio quale traguardo l'avrei presa tutta su di me. Per certe cose secolari con Marì, non mi sono mai fatto illusioni, ma sull'eternità con Marì avevo e ho ogni certezza. Talvolta, di sera, stufo dei ritornelli dei miei ex combattenti col Piave che mormorò non passa lo straniero, stufo degli interrogatori a intermittenze di don Pierino a causa di Marì perché una volta mi avevano visto scaricarle l'auto e attraversare la piazza spingendo l'attaccapanni mobile pieno di vestiti per darle una mano, di sera, di notte, di mattina, sfinito dal mio stesso odore di uomo senza sensi da poter trasmettere a qualcuno, a una bambina buona con me, quando sentivo gli appetiti della mente prona sulla carne fino a diventare carne sangue liquor essa stessa e il sogno del desiderio era così intenso che mi svegliavo ansando, e non avevo voglia di fare piopiopio con la mia resistentissima Neutra da Compagnia XXXII, appollaiata chissà dove ma di preferenza nella turca, tutto ciò che mi sono permesso di confidenziale era darmi il colpo finale strusciandomi con il muso di onice della sua sfinge liscio e caritatevole come una pelle, ma non ho mai pensato che fosse la pelle di Marì, non ci riuscivo a sporcarla, ma la pelle della Madonna sì, che dall'alto della Sua bontà e del Suo grembo indeflorato si presta a tutti i tipi di lacrime di un -~ maschio e rimane pura come prima. E non grida che l'ha stuprata una Colomba Bianca in volo... Trent'anni circa fa, un giorno di metà primavera del '64, o del '65? be', di sicuro l'anno della prima enciclica di Papa Paolo VI, Ecclesiam suam, di quel santo di Montini che tanto ha fatto peprabberciare le brecce cau- s sate dal suo antecessore Papa Giovanni XXIII che sarà -~ stato anche soprannominato il Papa Buono ma... nean che Sua Eccellenza Andreotti Giulio è cattivo e la disgrazia | in cui è caduto di recente quel santuomo di Sua Eccellenza va di sicuro fatta risalire al Roncalli, alle sue1 improvvide aperture ecumeniche... tanto che lo scorso settembre don Pierino non ha fatto in tempo a recafsi a San Patrignano coll'onorevole Pezzulli Giovanni e il sin daco Milancio e la vedova Piedini Velia per le esequie del Beato Fra I Drogati Vincenzo, che ha dovuto indire una veglia di preghiera e di raccoglimento nella Basilica per tutta la durata dell'iniquo processo di Palermo con tro Sua Eccellenza Andreotti, tanto iniquo che Sua Santità Wojtyla s'è sentito in dovere di stringergli la mano in San Pietro urbi et orbi o, come si dice adesso, in diretta anche di recente... be', quel fine aprile lì di trent'anni fa, per fortuna che non faceva così freddo per ché all'Albergo Colomba Bianca di Pieve non c'era il riscaldamento ma andavano come noi ancora con le scal dine nel letto ed era già tanto se i materassi non erano più di foglie di granoturco, arriva a casa nostra una cosa mai ricevuta prima, che ci fece, a me e a Leone, l'effetto di una ambasceria di grandi signori: un telegramma. Il cuore mi balzò in gola: era la conferma del mio incarico! ero diventato professore di Lingua Straniera malgrado tutto, malgrado non la sapessi! Mia madre se lo tenne dentro il seno per tutta una ~;mattinata credendolo una bustina di semi di girasole che non voleva finissero beccati dalle galline e quando le vidi questa carta gialliccia farle capolino dalla scollatura della camicetta unta e bisunta le chiesi che cos'era e lei mi disse, «Becchime per le anime disperate». Glielo presi con ogni cautela perché non volevo essere la causa di un'altra crisi catatonica in cui cominciava a sbattere i gomiti e a squassarsi le spalle per farsi giù i pidocchi dalle penne, ma il telegramma non veniva dal Provveditorato Agli Studi di Brescia, purtroppo, veniva da Trieste, oddio, pensai, e adesso come si fa ad andare a un funerale fino a Trieste. [Io non avevo ancora trovato niente da fare di stabile, però don Trenta non si era tirato indietro dicendomi che non potevo andare avanti così, senza un futuro, senza saper far niente, senza far niente se non correre di qui e di là per gli altri ad attaccargli le lampadine e a riparare i ferri da stiro e a fare liseuse quadrate al telaio per le vec chine, che come sagrestano non mi voleva, che era trop po lunga da spiegare perché, che il sagrestano è un mestiere ereditario, che c'era già il Lunardoni Battista figlio di Giacomo che gli spettava di diritto, che un'ani ma buona a venti diventa uno strambo senza arte né parte a trenta e se mi andava di insegnare Inglese alle scuole di avviamento - le medie dei poveri a quel tempo - che stavano per essere smantellate su tutto il territorio nazionale salvo qualche eccezione qui e là dove i focolai di analfabetismo erano i più resistenti, notamente nel Bresciano, nel Bergamasco e nell'Imolese, si diceva, patria dei librai. Allora, già allora, io mi schermii, dissi chiaramente che l'inglese lo sapevo come un vitellone spagnolo, lui insistette, disse, «Meglio tu che uno di questi meridio- 1 nali militanti del Picì che cominciano a venire su, e meno lo sai meglio é, così controlli che i ragazzi si affe- 1 zionino alla Santa Chiesa e facciano la Comunione, sono analfabeti di costituzione, non hanno bisogno di sapere tanto altro al di fuori dei Dieci», intendeva i Dieci Comandamenti. Dissi che lui sapeva che titolo di studio avevo, lui :~ rispose, «Ci penso io a tutto, tu fammi queste carte all'a- a nagrafe», e stavo dunque aspettando con ansia questo 3 incarico da settimane per iniziare almeno a chiusura dell'anno scolastico; agli stuSenti - che parola grossa! avrei dovuto dare solo un'infarinatura di grammatica ma 3 cominciare ogni lezione con due preghierine al Signore, una in italiano e un'altra in latino, e poi portarli fuori nel campetto di calcio e fargli da arbitro. Mi misi perciò a cercare un libro di grammatica e il Cavalier Bentivoglio Ferdinando, che era stato dapprima portiere del Grandhotel Bela Madunina e poi segretario del già citato cardinale meneghino e poi addirittura, mi sembrava di aver capito, Faccendiere o Accendiere dell'Opus o Lupus Dei per l'Alta Italia, me la fornì lui la grammatica inglese, perché io di soldi per comprarne una non ne avevo e quei pochi delle galline finivano tutti in bottiglioni di vino, sempre più scadente, per i miei due poveri pollivendoli con la cirrosi che gli veniva fuori anche dalle lingue, tanto sembravano salmistrate nell'inchiostro. Glielo dissi a mia madre, che stavo per diventare professore grazie a don Trenta, come per consolarla del germoglio di geranio rifiutatole da donna Elena, ma lei non si ricordava più niente, i ricordi che aveva li avevo io per lei. Me la strinsi forte al petto, non l'avevo mai, mai fatto prima, lei strinse con più forza la mano attorno agli sgoc cioli nel bicchiere e disse, «Trenta quaranta la pecora la canta». Avevo consegnato dunque l'attestato di diploma, il .E'certificato di residenza, l'esonero militare, lo stato di famiglia a don Trenta, che voleva fare le cose per bene, non di straforo, e perciò preferiva che mi tenessi pronto a iniziare anche se non subito, perché l'incarico doveva arrivarmi niente di meno che dal Provveditorato Agli Studi, non dalla locale segreteria dell'Avviamento, per E'ché la Chiesa col transeunte supplente non si compro mette mai, ma per la durata statale vita natural durante sì. Io ero fuori di me dall'entusiasmo e dal terrore, avrei avuto uno stipendio e, col tempo, anche il vocabolario adatto, visto che ii Cavalier Bentivoglio, quando andai a ['chiedergli in prestito anche questo, mi fece dire da una nuova servetta pallidina di non essere in casa, anche se tsentii chiaramente le bestemmie che stava sgnoccolando giù alle sue due mignon già, si fa per dire, grandicelle, alla moglie, alle sorelle; quel laico di Chiesa dominava su Fben nove e ormai anche undici ancelle del focolare. IL corridoio in cui sostavo per la seconda volta in così breve tempo mi permise di separare inconsapevolmente l'odore della Tilde dall'odore delle sue vecchie padrone della loro casa, l'odore della Tilde giovinetta si sfrigolò nelle mie narici come un che di formaggino suo, l'odore di quella casa e dei suoi abitanti come un che di infanzia protratta, di tiepida acqua da fonte battesimale, di un latte materno che una mammella invisibile e grande for niva segretamente e in abbondanza ancora a tutte e a lui, il Cavaliere Bentivoglio Ferdinando, come un che fuori dalle mortali maturazioni del tempo. Era come stare nella culla della Natura e all'asilo dei Penati là dentro, nella fontana dell'eterno privilegio, nell'Eden di un pote re ancestrale, immutato nel tempo, voluto da Dio Medesimo. A differenza del formaggino suo di Tilde, qui l'aria era confortevolmente pastorizzata dal Formaggino ~. che né ìo né lei avevamo mai avuto nemmeno da piccoli- 1 ni: il Formaggino Mio, che era tutto delle Bentivoglio, che era solo delle Bentivoglio vecchie e nuove e che loro avrebbero continuato a papparselo tutto da sole fino alla fine del mondo, lasciando al popolo e all'Apocalisse solo la carta stagnola da leccare. Anche senza vocabolario per le minutaglie, dalla fre nesia cominciai a studiare subito dalla grammatica quella 7 cosa che poi non ho mai fatto neanche in tempo a inse gnare: i verbi irregolari. Quelli li so tutti decimare a memoria, sono le preposizio* che non so mai bene quali schiaffare e dove schiaffarle~, e anche qualche pronome possessivo; queste cose qua, purtroppo, si insegnano, e a volte mi impappino coi pronomi personali perfino o certe desinenze, per non dire di quel maledetto apo strofo addirittura in mezzo alle parole per fare il negativo7 dell'abate, come lo chiamo io, quel do'nt o don't del demonio che non so mai dove va... Invece il telegrtmma da Trieste era mia sorella che, al posto di venire e farla finita come avrebbe fatto chiunque di noi, addirittura ci annunciava il suo regale arrivo, suo e di Aida, lasciando glissare chissà quale messaggio e imperativo per noi, una residenza con bagno e acqua calda corrente giorno e notte, termosifoni con le vaschettine per l'umidità ambientale misurata come dalle donne Bentivoglio, bian cheria di lino e cibi speciali per la discendente di cotanta stirpe, la sua e quella del suo aristocratico marito. Dissi a mia madre, «Domani arriva Tilde con la puttina, dove le mettiamo?», lei mi guardò e chiese stranita, «Chi?». Contai i soldi che cercavo di risparmiare con gli scialli e il lavoro di elettricista a domicilio, erano quello che erano, qualcuno si era dimenticato di pagarmi, mi feci coraggio e andai a fare visita anche se l'ultima volta ero stato ricevuto come uno scroccone senza fondo, non chiesi direttamente il dovuto, dissi che mia sorella e la figlioletta venivano a trovarmi all'improvviso, feci una certa faccia e alla fine di quella specie di questua la signora Bentivoglio Agnese, consultatasi con le cognate Giuseppina e Amalia e Maria e Caterina e Anna e Irene e Virginia e Adelaide, più le due mingherlinissime figlie di cui adesso mi sfuggono i nomi, no, ecco, Mercede va bene, ma è l'altra, l'altra l'ho dimenticato di nuovo, be'... ah, sì, Fede... be', la signora Agnese mi regolò tre anni di ferri da stiro e di lampade e di prese elettriche ma non ricambiò il mio saluto sulla porta e andai all'Albergo Colomba Bianca, un casamento con un cesso per tutti a ognuno dei tre piani davanti ai cipressi del camposanto quasi tutti spaccati dai fulmini, e fissai una stanza. Per un giorno, senza i pasti principali, la pagai in anticipo per paura di doverli spendere per qualche altra inderogabile urgenza. Fossero sorellastra e nipotastra rimaste più di un giorno, già mi predisponevo a sloggiare nel seminterrato di fronte del Setolini e a tirarci Leone in un giaciglio di fortuna per lasciare il piano di sopra, l'intera casa, alle tre donne. Bene. Mia sorella si presentò con un cappellino di paglia in testa, quasi tutti i denti guasti, quelli che non le erano partiti, e una bambina biondo platino per mano agghindata come una principessina delle fiabe, le unghie laccate di rosso, le labbra pitturate di rosa e un vestitino sì che addosso a lei sembrò scollato. Il mio primo pensiero fu, ma dove ho già visto quegli occhi piccoli color nocciola, quella bocca a beccuccio di teiera? Aida aveva dieci anni, forse neppure compiuti, e uno sguardo stizzato, da annoiata dalla vita, pensai alla stanchezza del viaggio in treno e poi che da Desenzano avevano dovuto prendere la corriera per Castiglione e da lì aspettare l'altra corriera per arrivare a destinazione, invece mi sbagliavo. Aida era già lucidamente donna e già si sentiva come si deve sentire una donna che si affacci in società: q in vendita a un cliente che tirava sul prezzo e che, pur di averla, dava a vedere che era disposto a perderla. Aida non mi piacque, istintivamente provai una forte, irrazionale antipatia, già da come piegò le labbra all'ingiù nel salutarmi dandomi un bacino sforzato, sen-2 tii che era una donna sulle difensive e insofferente, viziata come l'aria di lazzaronaggine e di alcolismo che aveva respirato sin dai primi vagiti, diventati subito pre-X tese e lamentele e bugie, una donna su entrambi i piatti di una bilancia che stabiliva a suo piacere il peso degli altri che su non ci stavano. ; Mia madre riconobbe la Sambina, che aveva visto nonL so quanti anni prima, ma non la figlia, alla quale levò il cappellino con una manata dicendole, «Questo nido è mio». Le dissi che gliel'avrei riportato io all'albergo, già~. pagato, almeno per quella notte. Tilde sembrò dare un'importanza esagerata a quel cappellino, forse ci vedeva l'emblema di un matritnonio da favola, di una sua ascesa mondana, non so, era uno stupido copricapo di paglia con agganciato a una falda un uccellino di vimini su una foglia di ghianda di stoffa cerata, ma lei disse, «Aida, io vado in albergo, tu resti qui e fai la guardia al mio cappellino, mi raccomando, appena la nonna gira gli occhi tu glielo prendi e lo nascondi, va bene?», Aida scosse i boccoli giallo cenere, corrugò la piccola fronte con aria di sufficienza e Leone caricò la Tilde e la sua valigetta di cartone immacolato sull'Ape e io rimasi su con mia nipote e mia madre e il cappellino. Aida deglutiva, come schifata dall'angustia del posto, io le offrii una tazza di latte, avevo fatto anche un pan degli angeli per l'occasione, ma Aida disse, «O la ciocco lata calda o niente, grazie», io non volevo deluderla, capivo lo squallore dell'ambiente e ignoravo del tutto quello del suo, le accarezzai la nuca da seduto e lei, come a voler fare la pace con lo zio povero ma benintenzionato, mi si mise sulle ginocchia. «Io so una filastrocca, vuoi che te la conto?», disse Aida voltandosi verso di me, a un dito dalla mia bocca, «Forza!» la incitai. In fondo non è che una bambina, mi dissi, che stupido sono stato a pensare quei cattivi pensieri di prima su di lei femmina fatta. Lei si schiarì la gola, arretrò sulle mie cosce e cominciò. «Si intitola T'ho visto. T'ho visto l'altra sera che cagavi avevi in mano un foglio di giornale m'avevi detto che tu m'aspettavi che m'aspettavi assisa sul pitale. Ma perché ma perché hai voluto cagar senza me se mi aspetti ti giuro stasera mi faccio una pera poi cago con te... Qui ci sarebbe il bis. Ti piace?», io rimasi un po' così, con l'espressione presa in prestito da mia madre per scantonare, le chiesi, «E chi te l'ha insegnata?», «IL mio papà. Ne so un'altra, vuoi sentirla?», io la sentii sistemarsi con una certa precisione sulle mie cosce e tacqui. «Si intitola I detersivi, però è più triste. Era un bel giorno di Solex Omo ed Ava decisero di andare in un Pral sotto una Palmoliva ad un tratto Omo domandò ad Ava Mi fai toccare la Sesa? Camay ella rispose quindi Omo alzò il Vel calò il Lip prese il Tot le montò in Kop e... Vim!... Aiax! gridò Ava mentre facevano SpicSpan...» - io presi la bambina e me la calai dai pantaloni sulle scarpe - «... quando improvvisamente disse Omo Venuuus... Asbooornooo... dopo circa un Oreal Ava si alzò piuttosto Durbans fu solo dopo nove mesi che in un giorno di Sunil nacque Omo piccolo da ottantacinque lire. Piaciuta, zio Giuseppe?» Mia madre improvvisamente sembrò svegliarsi dal suo solito coma e buttando con il dorso della mano il cappellino lontano da sé come chiedendosi cos'era quel coso e come era finito nelle sue mani, ci guardò alcuni secondi mentre io facevo cavalluccio con la punta dei piedi e alzando in alto la piccola sulle cosce. «Mettila giù, quella è maliziosa», «Ma che dici? Un po' di quel che ci vuole», e mia madre fissando la bambina che si irrigidì con una chiappetta contro il cavallo dei pantaloni continuò, «Quella ti si struscia addosso e tu sei sensibile», l'ammonimento di mia madre provocò ciò da cui aveva voluto mettermi in guardia, mollai la bambina nemmeno fosse un carbone ardente, forse con troppa enfasi, e Aida per non cadere e riprendere l'equilibrio mi finì con una manina forse vicina al punto critico ma io mi ero ritratto, la manina non mi finì dove non doveva, il piccolo pugno si chiuse suSa stoffa della tasca, non al centro della patta coi bottoni e il duro. Aida una volta coi piedi ben a terra tese il collo e con una voce autoritaria, per nulla spaventata, disse, «Voglio andare via da qui, voglio la mia mamma», nel frattempo ritornava Leone con l'Ape, «Ti ci porto io subito subito, Aida, non dar retta alla nonna, la nonna è molto Qtnmalata», invece da sotto sento Tilde che grida, con voce artefatta da gran signora, «Hai recuperato il mio cappellino, amore del tuo papà? E' un regalo del papà, amore!», nel sentire quella voce la bambina ebbe come un mutamento, gridò un angoscioso, «Mamma, mamma! Aiuto!». Aiuto? Mia sorellastra si precipitò su per la scala, Aida era già davanti alla tromba della botola, a braccine tese, io ero paralizzato a guardare mia madre che si immalinconiva in un sorriso idiota, la costumista nonché truccatrice della figlia e la figlia si gettarono l'una addosso all'altra, da dietro spuntò la testa di Leone, «Che succede», disse lui, cercando di reprimere il singhiozzo di semisbornia, si saranno fermati come al solito al Cantoncino a bere una caraffina e si sono dimenticati per dove erano diretti, ho pensato, e Aida, io sapevo, io sentivo quello che stava dicendo, Aida scoppia a piangere e sussurra: «Lo zio mi ha toccato, mi ha toccato, mi ha toccato! QUI!». Tilde scosse la testa tre volte, come per rinvenire dopo una doppia bastonata, «Cosaaa?», urlò, e Aida piangeva e si stringeva a lei e ogni tanto mi sbirciava da sotto le gonne della Tilde, con uno sguardo del tutto diverso da quello che avrebbe avuto se anche la madre l'avesse potuta vedere, uno sguardo di perfido trionfo, e la Tilde lascia la bambina e mi si scaglia addosso vacillando e puzzando, perché le caraffine per strada erano state più di una, e comincia a tempestarmi di pugni e di calci e di morsi e si mette a gridare gonfiando i tendini del collo, e io già sento che fuori ci sono stati dei testimoni, i miei vicini T., sento che la mia vita, già così piegata, è spezzata del tutto, non cerco neppure di difendermi, non faccio alcun conto su mia madre, di nuovo inebetita a pulirsi i denti con un filo di saggina della scopa, e men che meno su Leone che ride sotto i baffi perché per lui l'Aida è niente, una donna come un'altra, e non capisce che male ci sia se c'è stato male, e Aida ha ripreso a segnarsi il grembo con l'indice e a dire stringendo gli occhi, isterica, a pugni stretti, «Qui, qui, qui!», quando mia madre sembra richiamare l'attenzione generale facendo entrare l'aria nei denti in corti fischi, solleva il capo e dice serafica, «E' vero». Tilde, affannata, una maschera orribile che cade e lascia vedere una maschera ancora più orribile, una donna che si è sfruttata a sangue per permettersi il lusso di un marito bello e nullafacente, Tilde si inalberò e disse, «Ti denuncio, la porto all'ospedale e poi ti denuncio», «E vero», continuò mia madre, «prima la porta in ospedale e poi lo denuncia, così lo beccano, lo beccano, lo beccano tutto», la testa di Leone mi apparve fuori dalla botola di profilo in modo tale che la Provvidenza, distraendo l'attenzione di Aida, portasse il profilo della bimba giratasi un attimo a stagliarsi e a entrare col proprio ] in quello del pollivendolo combaciando in una 'I somiglianza fulminea e fulminante, poi Leone fu spinto da parte dalla Tilde che si trascinava giù dalla botola con la bambina e il suo cappellino di paglia, «Piano, sacramento, ] piano che mi fai borlare giù», bisbigliò lui, la porticina sbatté e io non mi rendevo conto che quella matta recuperava terreno a ogni istante verso la mia rovina totale, ero incantato a passare con lo sguardo da mia 0S3 madre a Leone e nel tragitto dall'una all'altro vedevo quante vite nascoste ci sono a,l mondo, che impensabili,l' segrete, atroci intimità o addirittura inconsapevoli vinco li ci sono al mondo, a quanta vita che scorreva bruta e tentacolare sotto le lepide apparenze dell'esistenza stabi lite fra le parti e rarefatte dalla società, i ruoli presi e assegnati fra gli uomini e le donne per poter essere più1 liberi di farsene un baffo~. Facevo prima a andare a piedi, corsi, nessun~ miq aveva mai visto correre, la beccai davanti alla salita del; Castello Bonoris, lei non voleva fermarsi a parlare con me, ancora cento metri e sarebbe entrata a fare casino al Pronto Soccorso, la piccola puttanella strattonava la madre in avanti, era lei che voleva arrivare per prima a farsi fare una visita ginecologica alla sua età e io di quella avevo paura. Non conoscendo nulla delle donne, non sapendo nulla della differenza che comporta in una donna la perI dita del diritto a pisciare a gambe strettine almeno da piccole, temevo che se avessero constatato che Aida ver gine non lo era più, che se non potessero stabilire, per esempio, che non lo era più da un anno o che, ma che non lo era più e basta, avrebbero dedotto che lo svergi natore ero stato io, che alla bambina riscontrassero o meno tracce di sangue, vecchie o antiche, la colpa era mia, ero molto confuso, ma di una cosa ero certo, il sangue e quei due profili sovrapposti nella botola della scala, quei quattro occhietti nocciola sovrapposti, quelle due bocche piccole all'ingiù, a beccuccio, mi dicevano che la Tilde a quel marcantonio di suo marito dell'Istria avrebbe sacrificato tutto, anche la propria figlia, facendo finta di non vedere gli insani amplessi e forse senza mai fargli sapere, per non togliergli il gusto dell'incesto, la verità sul suo concepimento... Pensai tutto il pensabile, che lo Strisciotti Vittorio aveva avuto a che fare pericolosamente e fino in fondo con la bambina e che magari la madre della bambina non lo sapeva, la bambina le aveva taciuto tutto e forse adesso aveva deciso di prendere la scusa buona per metterla al corrente... ecco perché Aida la tirava verso l'ospedale e la strattonava ogni volta che lei dava l'impressione di ascoltare la mia supplica in falsetto per non fare figuracce, ecco perché la più accanita in quella corsa verso la mia rovina era la puttina, che forse vedeva la grande occasione della sua infanzia di denunciare finalmente o un compagno di giochi interrotti a metà come me o il mostro di un incubo come lui, lo Strisciotti Vittorio e, mischiando le identità, senza rendersene conto, o forse con testardaggine, si sarebbe concentrata su di me, il primo uomo a tiro che l'avesse presa in braccio, uno qualunque, il più debole, il capro espiatorio delle sue violenze subite da tutt'altri caproni o semplicemente un maschio che l'aveva respinta nelle sue dolcezze di femmina precoce... Avrebbe fatto lapidare me, non il suo viscido papà di Trieste che, lui sì, aveva saputo come prenderla. Eravamo sull'entrata dell'ospedale vecchio, quelli fuori ai due tavolini dell'osteria del Cantoncino assistevano alla scena e quando l'occhio mi cadde a sinistra dell'entrata dell'ospedale sulla maestosità della stele in onore del Bonaparte e della sua vittoria sul generale austriaco Wurmser nella battaglia di Castiglione del 1796, bloccai la Tilde dirimpetto a me, la tenni con entrambe le braccia e mi uscì la frase maestosa, napoleonica che non ho mai saputo se sono stato capace di dire senza che la puttina sentisse, perché io non volevo così dicendo né fare del male alla puttina e né darle del tutto via libera alle orge col suo papà: «Guarda Tilde che se non torni indietro dirò al tuo Vittorio che sua figlia è figlia di Leone». La Tilde si bloccò sui due piedi come colpita dal fulmine, mi guardò come a dire, sei proprio scemo, neanche le avessi detto che lo sapevano tutti meno il suo Vittorio che l'aveva fatta coYpungiglione magico della signorina Bentivoglio Giuseppina. Non so se per assurdo o se per davvero, ma avevo colto nel segno. Ma qualsiasi ricatto che le mettesse contro il suo dio d'amore dei Balletti e della Lloyds avrebbe funzionato, anche se le avessi detto, guarda che gli dico che ti scaccoli il naso e poi mangi le palline, sar|bbe bastato a bloccarla e a non farla entrare in ospedale con| quella piccola mina vagante di sua figlia.| Non mi venne nemmeno in mente, tanto per guadagnare tempo e terreno, di usare la vecchia faccenda dei Balletti Verdi di Castelmella - cui aveva fatto seguito quella dei Balletti Rosa di Lumezzane - che aveva fatto il giro dei giornali nazionali dando allo Strisciotti un'insperata popolarità tanto che varie compagnie di assicurazione si erano messe in contatto con lui offrendogli mari e monti visto il portafoglio potenziali clienti danarosi di tutta la Lombardia, la Tilde avrebbe fatto finta di non capire e io avrei aggravato la situazione, perché lei era cieca nei confronti di suo marito e nessuno aveva mai potuto metterla in guardia contro qualcuno cui era lei la prima a fare la guardia perché non glielo portassero via o glielo qualcissero anche soltanto: a lei si poteva dire tutto di lui, perché ogni sua lordura rendeva lei ancora più paladina del povero innocente e lui ancora più luminoso ed eroico ai suoi occhi, ma era a lui che non si poteva dire niente di lei, una bugia sul suo conto detta al suo Vittorio l'avrebbe spaventata quanto una verità, questa minaccia sarebbe bastata, il terrore di mettere alla prova anche solo una volta la solidarietà o l'attaccamento dello Strisciotti nei suoi confronti, l'essere costretta in un momento di bisogno a vederne la vera faccia, quella bolsa del magnaccia. E infatti, sparando non so quanto a caso e quanto a proposito, tirandolo in ballo anche senza i suoi balletti, feci centro. Lei non disse né come né perché né chi te l'ha detto è stato Leone a dirtelo né ma va' là: impiegò un istante a uscire dall'ebrezza del vino e della brama di vendetta, mi fissò con una tale follia negli occhi che la fierezza del torto supremo patito da una madre che la tendeva tutta come un tamburello trasformò la sua faccia in una ragnatela a pelle d'oca piena di zampe di gallina con un buco di gengive nere nel mezzo. Deviò per le basse siepi di alloro di fianco alla stele e le due pazze isteriche si fiondarono in albergo. Quelli della Colomba Bianca mi hanno detto poi che mia sorella si è chiusa in camera con la puttina dopo una cena frugale e non s'é più fatta vedere fino al mattino, che in un primo momento aveva lasciato indietro una telefonata interurbana, una bottiglia di moscato e due pacchetti di nazionali semplici per lei e un uovo al tegamino con fettina di prosciutto per la figliolina, no, la madre non aveva mangiato niente, ma era piuttosto allegra, e poi i due cappuccini con due briosc la mattina, e che, ah sì, verso mezzanotte era uscita con una sedia sul balconcino e cappellino in testa a canticchiare lo sai che i papaveri son alti alti alti e tu sei piccolina che cosa ci vuoi far, con la puttina addormentata in braccio e che, tenendosela appoggiata al petto, come lasciata andare morta, e non faceva neanche tanto caldo, le aveva spazzolato i bei capelli biondobianchi per forse un'ora e che sempre la mattina era poi arrivato il Leone a portargli i polli come al solito e che mentre la bambina finiva la colazione lì nella sala del mangiare loro due erano saliti di sopra a prendere la valigetta di lei e poi siccome non scendevano più la bambina aveva recitato una filastrocca sui prodotti per la casa, detersivi, saponi, tutte marche, da morir dal ridere, mimando Edy Campagnoli di Lascia o raddoppia sulle ginocchia di un pellegrino austriaco venuto a chiedere una gra,!zia alla beata Cilì della Madonnina delle Fontanelle e che in cambio il pellegrino austriaco le aveva regalato un pacchetto di caramelle Charms, e che comunque dopo mia sorella ci aveva ripensato, ha tirato fuori un foglio da diecimila e aveva saldato ogni cosa lei personalmente ma però insomma detto tra noi senta Pigliacielo: ma si può truccare una bambina a quel modo? e lei che è suo fratello, che étsuo zio, che è tanto pio, non ci dice niente? e quei capelli della puttina... sono tinti, vero? Quando mia madre è morta, la Tilde e la Aida non sono venute al funerale, avrei potuto tenermi anche i soldi che erano restati nella zuppiera invece di darli alla Tilde, come ho detto, invece ho fatto un vaglia che mi sono svenato e non è di certo tornato indietro. Quando la Tilde è stata piantata definitivamente dalla figlia, e la Aida avrà avuto un venti anni e alla madre preferiva le parrucchiere vere e me l'ha piantata qui a Pieve alla Pro Loco a meno di quattrocento metri in linea d'aria da casa mia, la Tilde non usciva in paese già più, semicoma diabetici anche lei, e io, longa mano, ho cercato di non farle mai mancare il necessario, ma da quella volta dell'ospedale io non l'ho più, più vista, nemmeno per sbaglio, solo intravista nel suo letto una volta, da fuori della porta, qualche mese prima che morisse... La Tilde poteva muoversi, sì, dal letto malgrado la paresi sul lato destro e tanto da agguantare la boccetta dell'alcol puro e sgolarlo, sgolava anche l'aceto, il sapone liquido, tutto quello che le capitava a tiro sgolava, ma non riusciva a strisciare tanto da trascinarsi giù dalla ringhiera per andare all'osteria del Cenacolo a fare la scorta. Siccome in quelle condizioni era obbligata a disintossicarsi perché nessuno le portava certo su da bere malgrado le suppliche e i pianti alle donne, vi ho provveduto io di nascosto, mandavo su qualche puttina del vicolo con un fiasco nascosto nella sporta, non doveva dirle niente, neanche chi glielo mandava, e per premio le facevo vedere il mio speciale Crocefisso, glielo facevo provare per via della febbre e poi, dopo che ne aveva fatto due, le davo l'ovetto ricoperto, quello deposto senza carta stagnola me lo tenevo io. Ah, la cioccolata con la puzzina di puttina! Devo molte amicizie in erba all'Uovo Kinder, anche se tanto ovetto ovetto non é. Né a prenderlo su né a mollarlo giù. Alalà! Questo st. Bene. Leone, quell'indomani mattina che era andato a portare i polli alla Colomba Bianca, non so se per caso o apposta ma penso apposta perché c'era la Tilde, arrivò a casa e fece finta di niente, mia madre era andata ad accucciarsi con le coperte nel pollaio di fronte, lui mi guardò un attimo in un modo scoperto, come per dirmi se hai qualcosa da dirmi dillo subito o taci per sempre, feci finta di niente anch'io; Leone era un buon uomo, potevo capire che aveva sposato la madre per amore della figlia, e io avevo già le mie convinzioni su quella creaturina offensiva della mia nipotastra, forse a sua volta irrimediabilmente offesa dalla vita, e non volevo adesso mettermi io a fare drammi sul conto degli altri dopo aver schivato per un pelo, o ridotto al minimo, il dramma che mi aveva travolto, e dissi, prendendo dal lavandino lo scolapasta, «La fai tu la pestata per le pata- 1 te?», e lui disse, «Aspetta a scolarle che vado giù dalla Setolini a vedere se mi dà un po' di prezzemolo». Belle calde aglio e prezzemolo erano più buone. Chiuso l'argo mento.d Perciò negli anni, io quando ho pensato ad Aida, ho sempre pensato al nostro scolapasta. Noi sull'acquaio3 avevamo un vecchio scolapasta di plastica biancastro, uno dei primi di quel genere che erano usciti fuori in~. commercio, che mia madre una volta aveva dimenticato sulla piastra della stufa, e un piede gli si era ritirato el tutta una parte era diventatasplarrone e i buchi per scola re si erano raggrumati e metà di uno dei due manici aveva fatto presa per via del calore col piede scalcagnatoa e avevo dovuto rompere a forza, segandola, questa stor tura, ecco, e lo scolapasta andava bene esattamente come prima e non s'era buttato via, assolveva alla sua funzione1 da deturpato esattamente come da nuovo e poi da rat trappito e poi da vecchio rattrappito, ma questo lo [rede vo io, uno scolapasta mica si vede, al massimo si sente se é usato o no, e finché si sente usato gli va bene così, ha l'illusione di servire a qualcosa e, chissà, magari è anche convinto che, con tutta quella roba che riceve dentro, è lui a essere servito e riverito... E poi Aida, insomma, aveva il suo futuro ugualmente, il che spetta di diritto a tutti quelli che sono nati da donna sposata a prescindere dall'enneenne che li ha con lei concepiti. Che diritto avevo io di dire qualcosa a Leone dei suoi trascorsi con la Tilde visto che della sua maternità faceva fede lo Strisciotti? Sicché io sono stato vicino anche a Leone vedovo fino all'ultimo senza alcun rancore, anzi: giacen do Leone con la figlia di prima sagrestia della moglie non aveva compiuto alcun incesto e inoltre aveva avuto la misericordia lungimirante di non farlo commettere con sua figlia Aida neanche al marito della figliastra che o di Aida credeva di essere il padre... io non so se durante il colloquio fra Tilde e Leone su in camera alla Colomba Bianca si siano fatti delle reciproche rivelazioni sul con cepimento di Aida o se Leone lo sapesse da sempre di esserne il padre o se abbia continuato a esserne tenuto all'oscuro, che ne sappiamo noi di ciò che passa tra un uomo e una donna, e che ne sanno loro stessi, che spesso ci fanno passare una figliata? Quando qualcuno dice di star bene assieme a qualcun altro, intende dire che que sto qualcun altro ha saputo meglio di ogni altro lasciarlo impigrire nelle sue inclinazioni naturali. La gente che si appaia meglio è quella che ha meno rivelazioni da farsi e meno ancora da far fare, anche fra quasi padri e quasi figli, non solo fra uomini e donne, costretti e costrette a [convivere sotto lo stesso tetto avendo troppo da dirsi e Estrenuamente tacendoselo. Don Trenta, che mi ha battezzato e al quale si può ~-tdire ho chiuso gli occhi io, non mi ha mai detto niente che non sapessi già e né io a lui, di modo che non ci siamo mai detti niente di niente e l'unica frase che mi ricordo è quella lì sull'analfabetismo di costituzione dei figli dei contadini che andavano alle scuole avviamento, eppure abbiamo fatto coppia per trent'anni anche da lontani, non solo da vicini. Parlare rende indifferenti, non dirsi niente ti fa diventare sangue del tuo sangue. Comunque a me, il Peppia Quattrini Achille e i due fiati della banda municipale non mi fanno più lo scherzo di portarmi a questo Cinema Pace in città dicendomi che davano un bel documentario sulle Missioni della Com pagnia di Gesù in Amazzonia, so assai io che cos'è il Ci nema Pace, di Brescia conosco solo l'Arcivescovado e la libreria delle Paoline, dal nome pensavo a un luogo di edificazione, a un cinema betlemmico, eravamo verso la fine di settembre dell'anno scorso e faceva già freddino e mi ero messo il mio spolverino grigio di mistolana per ché non sì sa mai, don Pierino era nero di rabbia contro un certo pubblico ministero milanese che aveva fatto registrare una sua telefonata tunisina col suo esule di riferimento, il Presidente Craxi Benedetto, telefonata del resto innocente sul miglioramento di salute e di una zia suora del Cavalier Mipermetta e di una certa contessa Agusta da Portofino o forse Portorico, un porto comun- 1 que né volgare né povero, ah, che giudici insensibili 11 all'umana sofferenza! tanto da indurre il nostro amato abate a prendere la parola a Stresa o a Cernobbio, non so più, in un conzezzo di avv.ocati e dare manforte al vil- 0 mente contestato Ministro ~ella Giustizia Mancuso contro lo strapotere della Procura di Milano deviata dal Disegno Rosso, e dargliela con una tale enfasi che gli avvocati tutti hanno fatto registrare a TeleVita un applauso lungo ben otto minuti! che poi in quel periodo io speravo che la Marì mi dicesse di pomeriggio in pomeriggio se quella sera andavo o no a cena da oro e invece niente, io sono uscito dalla sala proiezio 1i del Cinema Pace appena mi sono reso conto che il n era niente di nuovo, cioé, che loro tre mi ci avevano portato| per scandalizzarmi e divertirsi alle mie spalle di signorino, , come se il Peppia d'una Peppia Quattrini Achille. passasse di camporella in adulterio in harem come uno stallone da monta! IL Peppia è uno di quei figli dannunziani di papà che tutto vorrebbero per censo e niente fanno per guadagnarselo, uno stilnovista delle donne tutto ideali e poche azioni sperimentate sul campo, e comunque uno ridotto con un gatto sulle ginocchia, solo come me, con la differenza che io non ho neanche quello e le Neutre da Compagnia mi fanno tutto meno che compagnia; io non sono un frustrato per certi istinti dell'uomo come piace pensare a loro tre. Io, che ho fatto voto di castità, non sono per certi aspetti della vita morboso come quegli spettatori di cinema sporco che non sono tenuti a niente e che, liberi di fare tutto con le donne anche senza sposarle, hanno più problemi di me e tante donne quante me: zera vtrgola zera. Io allora mi sono messo stretto nel mio spolverino e mi sono seduto fuori nell'atrio sul divano di velluto rosso, davanti al gabinetto, con un viavai incredibile di uomini anziani con l'orecchino e giovanotti dell'Est seri seri rapati a zero o giovanotti locali col codino, tipo i due ometti delle Psicotrappole che, ignorandomi del tutto, continuavano a guardare l'orologio come se aspettassero qualcuno e andavano avanti e indietro anche dalla galleria, tutti che andavano a pisciare due per due, come le donne, sempre gli stessi uomini deboli di vescica, che saranno andati a spandere acqua almeno cinque volte in un'ora, e poi ho capito, mi sono ricordato di quando il Padre Spirituale ci aveva messo in guardia dagli uranisti, quelli che con la scusa di urinare vanno al gabinetto a fare altre cose fra di loro. Mio Dio, dove mi avevano portato i miei concittadini? mi sono guardato in giro, ho guardato i cartelloni pieni di cerchiolini e di stelline a coprire le vergogne dei corpi nudi ammiccanti e poi ho aspettato lì i tre buontemponi, che quando ho allungato il biglietto da cinquantamila alla cassiera per prendere il mio biglietto, quello dell'oboe le fa, «Tenga su tutti e quattro», e l'Annunziati del Silen%io a domicilio dell'Alice conferma, «Poi ci combiniamo con la cena», dice, perché in programma c'erano anche le salamine alla brace alla Madonna della Scoperta, e io ho deglutito amaro per tutti quei soldi e la cassiera me ne ha restituite solo diecimila. Dopo una mezz'ora circa che me ne stavo lì sul divano a girarmi le mani in mano perché io non fumo neanche e ho frugato e rifrugato in tutte le tasche e i taschini per vedere se avevo una mentina visto che avevo già suc chiato tutti i miei Tabù e la scatolina comprata per l'occasione dalla Santacroce non tintinnava più, be', la cassiera, una spilungona ben tenuta, grigia di capelli ma molto ben pettinati e un po' tanto strabica, è venuta a chiedermi se mi sentivo bene, ho detto che mi sentivo benissimo anche se non sapevo dove andare intanto e lei ha allungato il mento ritirandolo fulminea, come a dire, qui al cinema oltre al cinema non c'è niente, contento lei, ed è ritornata dietro la cassa a lavorare all'uncinetto una lana tutta pelosetta, allora sono andato da lei e le ho detto che anch'io ogni tanto lavoravo al telaio per far passare il tempo e lei uhu co~e ci stava a chiacchierare, che gentile, che bei modi, e quando è arrivato uno alle mie spalle con un biglietto da centomila lei mi ha detto, «Mi scusi, no, no, stia, stia. Non le ha spicce? Fa niente», e ha allungato il biglietto di entrata e il resto, mi giro ed era Laser. In doppiopetto gessatos giacca e cravatta, e il suo capo in pelle al braccio. Un lord. Nel vedermi, ha fatto una faccia così schifata, cote a dire, ecco dove vanno a finire tutte le tue prediche, vecchio sporcaccetto criticone, come se io abbia mai detto in vita mia più di cinque parole tutte in una volta, ecco i posti per pervertiti stressati dai rosari e dalle novene che frequenti di nascosto quando sei veramente te stesso e non ce la fai più a nasconderti dietro i tuoi altarini incensati, esattamente come se lì ci fossi solo io, non lui, che lì ci era venuto di sua spontanea volontà, e poi credo di aver capito anche che cosa ci veniva a fare lì. Sono rimasto così sconcertato da quello sguardo di disprezzo ingiustificato che ho sentito il bisogno di riguadagnare il mio divano, dove mi sono semiaccasciato di nuovo. Be', il tempo non passa mai, mi sposto un po' sul divano per dare sfogo un po' all'uno un po' all'altro gluteo, giro la testa e credo mi si sia spalancata la bocca dalla meraviglia: una nuvola di rosso era apparsa sulla porta invadendo di sé anche tutte le altre vetrate. Indovino l'intarsio come di fagioli pelosi della più famo sa pelliccia di Pieve di Lombardia, quella di astrakan tinto di rosso lunga fino alle caviglie: la signora farmaci sta Bertucci di Forza Igiene! QUI? Macché, erano di nuovo quegli altri due - perché l'i mitazione della farmacista non era sola ma accompagna ta dal marito Paragnosta - complici in messinscene mes sianiche, i due furboni spremideficienti delle Fontanelle, [che hanno fatto finta di niente nel vedermi, anche se entrambi non hanno fatto in tempo a vedere che li avevo visti, e pensando all'incontro del mese prima nelle rEPsicotrappole con suor Lucia, subito ho pensato, «O mai o troppo», perché ho fatto finta di allacciarmi ogni volta Euna scarpa e intanto che entravano e intanto che prende t-vano il biglietto e intanto che si infilavano nella cortina 5\di velluto stinto alla mia sinistra, con lei che vi annaspava dentro e vi inciampava a causa di una grossa scatola sot tobraccio. Ho pensato di correre a nascondermi nei gabinetti ma i due sono riemersi dal tendaggio quasi subito e, informata la platea del proprio arrivo grazie certamente all'insopportabile profumo di lei, a testa altissima prendevano per lo scalone della galleria senza degnare me e la cassiera di una piega, neanche fossimo stati due dei loro tanti struzzi di allevamento alla rete del recinto. Lui, il Paragnosta, però nell'incrociare il mio sorriso sfingesco - non potevo far finta di avere quattro scarpe da allacciare, e ormai stavo già sollevato busto e testa - è avvampato; lei, figurati, lei sembra sempre una statua di tufo dall'espressione tanto euforica quanto indifferente a tutto. La scatola che aveva sottobraccio era piuttosto ingombrante, adesso potevo distinguerne le illustrazioni di binari e tralicci e croci di sant'Andrea e convogli e tre nini, che intendevano fare? montarne il contenuto in gal leria e al buio far passare il trenino in picchiata tra le gambe degli spettatori ignari per creare presenze ultra- l, terrestri?' Poi è cominciata una discreta processione fuori dalle tende della platea su per la galleria, dietro alla scia di profumo di lei, non so, doveva essere un segnale riconoscibile fra iniziati, immagino, sia il profumo sia la sua decomposizione, perché secondo me per ottenere quell'effetto magnetico lì la sua signora del Paragnosta doveva essersi messa anche due fette di gorgonzola sotto le ascelle. Mi ha detto dopo la cassiSra, quando abbiamo ripreso la bella chiacchierata e le ho detto chi ero e di dove e quando accendevano il riscaldamento lì e che quei due | di prima che erano saliti in galleria io li conoscevo di vista, lei mi ha detto, «Ecco perché hanno tossicchiato»,12 ma io li avevo sentiti da me, solo uno dei due aveva tos sicchiato, lui; lei - con su una parrucca rossa spelaFchia-~| ta e volutamente sporchiccia come l'originale imitito, la farmacista Bertucci che è un po' sporchina di indole -, la Paragnocca, no, figuriamoci. La moglie del Paragnosta delle Fontanelle è ancora più sfrontata del marito, non si inventerebbe mai neppure uno starnuto di circostanza, lei ha sempre la ragione e la disinvoltura degli stolti dalla sua. Possiede la Verità più dello stesso marito, lei. Pur essendo l'opposto per Fede e moralità e cristiani e misericordiosi intenti di don Pierino, il modo di fare è identico al suo, e capisco che per il popolino superstizioso sia oggi sempre più difficile distinguere il Male dal Bene. Forse perché uno dei due non esiste più e non ha più alcuna importanza quale ha preso il sopravvento.I Inutile chiedere a Caino chi dei due è il giusto Abele: ti risponderà che è lui. E purtroppo anche l'altro. E Abele, nel momento in cui dice di essere Abele per ~- opposizione a Caino, è già Caino. Solo da chi muore e da chi sopravvive sapremo chi è chi, come fra ladri e carabinieri. Abele è Abele soltanto una volta morto. Un po' [0 tardi, no? Che se ne fa il mondo di un Abele morto? Quello che se ne faceva di un Abele vivo: niente. Inoltre, se non fosse stato per la mano allo stesso tempo fratricida e fraterna di Caino, Abele non sarebbe mai stato nessuno, né da vivo né da morto. E' Caino destinato a raccontarci chi era e come era Abele, Abele, facendo solo, [ tace sempre e soprattutto tace tutto del bene che fa. E' F Caino l'addetto alle pubbliche relazioni con la Storia e, jKpertanto, è lui a creare la memoria storica dell'umanità e F-lla sua utopia migliorista, che niente ha a che vedere col suo presente e il suo futuro di Caino. Il Bene è solo l'o zio del Male in vena di speculazioni filosofiche. E Caino, fermandosi al richiamo di Dio, alza la testa, si stringe nelle spalle, allarga le mani insanguinate del sangue del fratello e Gli risponde, «Ma Dio, non sono io, c'est la vie!». E neanche Dio non può farci niente, proprio come l'uomo: sa chi è l'uno Abele e sa chi è l'altro Caino e morta lì. Così come lo so io, anche Dio sa chi è Pigliacielo Giuseppe e chi è Puripurini Piero, chi è il buono e chi è il cattivo senza dover aspettare che il buono muoia, ma sapere non c'entra niente con l'agire, staremmo freschi. Se si agisse in base alla verità dell'uo mo, l'umanità sarebbe già scomparsa dalla faccia della Terra. In questo sapere e non farne niente l'uomo è fino in fondo fatto a immagine e somiglianza di Dio... «S'è incantato? Ehi, dico a lei! Dorme?», m'ha distratto lei. ... e poi la cassiera ha detto guardandomi un po' da guelfa da sopra l'uncinetto, «Riscaldamento? Qua ci si arrangia come uno può...». Come può, uno? volevo chiederle, ma non osavo farle capire che non avevo capito come. Questo sì. Bene. Siccome non esiste un doppione di una pelliccia simi le, escludendo che l'abbiano rubata loro due alla farmacista legittima proprietaria, deve essere stato lui in persona, il figlio Ettorino, ad avergliela imprestata perché se la mettesse in qualche occasione speciale, una prima al Teatro Grande per esempio, un balletto serio coi cigni e il sindaco Martinazzoli e tutto, certo quel citrullo del Bertucci non avrebbe mai pensato che la Paragnosta l'avrebbe messa per andare col Paragnosta in un cinema così inadatto a una farmacista con una tradizione cinquantennale da rispettare, e poi su in galleria, un casino di buio pesto così punteggiato da ansiti e sospiri non del film che io non ci sono salitwnemmeno per curiosità... Dopo un altri dieci minuti, per sgranchirmi le gambe, sono andato dietro la prima tenda della platea dove però prima di entrare in sala ce n'è un'altra che crea una specie di budello protetto a ogni vista, ho buttato un'occhiata sia dentro in sala che fuori, verso la cassa, e mi stavo gingillando col divertente pensiero di dirglielo o di non dirglielo al primo rosario che fine aveva fatto la pdiliccia della sua zoofila mamma, che all'Ettorino, scimmia a metà, aveva preferito una scimmia fino in fondo, quando con la coda dell'occhio fra lo spiraglio delle tende mi scappa di vedere proprio lui, il Bertucci Ettorino che fa il biglietto! e che, testa ciondoloni e pancia lassa fuori dal suo lurido montgomery arancino, si dirige verso la galleria aspirando il forte profumo gorgonzolato della Paragnosta rossa con l'astrakan rosso di sua mamma, perché della farmacista questa donna, molto più giovane e più alta, portava per l'occasione anche l'inconfondibile profumo di violetta di Parma al fulmicotone che a Pieve di Lombardia impesta la piazza dal dopoguerra a oggi ogni ora del giorno e, seppure meno, della notte. Mio Dio che posto, ho pensato, e che strani incontri farà qui la gente quando meno se li aspetta! IL Bertucci deambulava verso la scalinata della galleria così floscio e t a piedi così piatti che non si è neanche accorto che dalla lF tasca del montgomery stava quasi perdendo un grosso guanto nero, credo, anche se non glieli ho mai visti alle mani, e quel guanto era così tipico del suo abbigliamento malconcio, da trasandato come la sua genitrice, che mi è sembrato di vederci delle grosse smagliature sul dorso della maglia. Che infelice, ho pensato, anche i buchi ai guanti adesso: e se, contrariamente a quanto dice don Pierino, fosse rimasto senza una palanca? se davvero come si mormora gli avessero messo l'ipoteca anche sulla farmacia a causa dei due Paraculi truffatori spremideficienti? Ma gli occhi no, non erano infelici, gli occhi lanciavano faville di infantile estasi verso i gradini della galleria, come se con una personalità recalcitrasse ma con l'altra, quella del fanciullino che corre a vedere i balocchi all'alba di Santa Lucia, fosse già in cima alla rampa dello scalone sicuro che non vi troverà pezzi di carbone ma il giocattolo sognato e messo per iscritto nella letterina alla Santa accecata imbucatagli per lui dalla mamma. Meglio figlio incerto di un prete che figlio certo di una farmacista, mi son detto, e sono uscito dalle tende di nuovo allo scoperto. «E che cosa fa di bello nella vita?», mi ha chiesto la cassiera nonna da poco, ho pensato, visto quello che stava confezionando a uncinetto su certe rotondità fatte in serie, babbucce da neonato; io mi sono detto, ma sì, datti un po' di arie, e così capisce meglio anche lei, «IL fabbriciere...», le ho risposto, lei ha fatto un tre punti nella scarpina e poi mi fa, calma, «E' una fabbrica di che?», «No, in una chiesa. Mi occupo dell'amministrazione del fabbricato, sa, spese del culto, messe a suffragio, corone, candele, paramenti, tonache, cotte...», vedo che si arresta con l'uncinetto per aria, sgrana gli occhioni strabici dietro le lenti e mi fa, interdetta, «Tonache cotteee? Tintoria interna?». Era una vita che non metteva piede in chiesa, a parte il recente battesimo, ho dedotto tutto da solo. Intanto vedo che con un'abilità sorprendente prende a fare con le sole dita i lacci delle molte scarpine e anche se è molto concentrata sul gioco delle dita e della lana le chiedo, «Ma vengono anche donne qui?», lei sospira come delu- p sa e mi dice, senza guardarmi neanche di sfuggita come prima, accelerando gli intarsi e i nodi sotto le dita, «E j pensare che mi sembrava così simpatico, lei...», chissà perché adesso non le ero più simpatico lo sa solo lei a tutto oggi.qi Io però cominciavo a essDre stanco anche di parlare, quelli là non uscivano più Aalla proiezione, senza mai guardare lo schermo sono ritornato dentro e sono andato a chiamarli. Ai posti di prima non c'erano più, ho fatto il giro attraverso la sala abbassando la schiena per educazione per non apparire sullo schermo e nel rialzarla ho visto la figura di Laser in piedi che si spostav~a nel buio come in pieno giorno, senza un tentennaintnto, senza un attimo di esitazione, senza un solo passo irregolare, senza uno zoppicamento, ed è andato a mettersi dietro un signore in piedi con ventiquattrore in pugno, sicuramente per portargli via il portafoglio, invece mi sbagliavo, perché poi lo stesso signore si è messo dietro di lui e ho visto una cintura che penzolava a mezza coscia... Mio Dio ! Laser gli offriva la sua merce scaduta e infetta! perché gli opuscoli sulla attività principale per il recupero dei tossicodipendenti li leggo anch'io, mica sono scemo, e quei due là stavano facendo cose da contraenti, mica gratis come facevano in seminario, e a parte che ho cominciato a capire il riscaldamento autonomo della cassiera, niente, il Peppia e gli altri due tromboni non c'erano più, come spariti nel nulla, e poi esco trafelato e la cassiera vedendo il mio smarrimento mi fa, «Erano i suoi amici quelli che sono usciti un minuto fa?», sono corso alla porta, non c'era nessuno, la loro auto nemmeno, glieli descrissi: sì, erano loro. Volevano solo spaventarmi, sapevo che si erano nascosti con l'auto magari lì nei paraggi, sospirai e pensai, quando si sono ben divertiti e stufati arrivano a prendermi e andiamo a mangiare 'ste benedette salamine alla Madonna della Scoperta. I lacci delle scarpine intanto erano diventati un cordoncino di una lunghezza impressionante e le faccio, «Che stringhe lunghe per delle scarpine così piccole! e quanti bei nipotini, li vizia, neh», e lei, facendo spalluc t ce, un po' impermalosita, «Chiii, nonna io? Ma quanti anni mi dai, te, bello? Non vedi che non sono scarpine o mi stai prendendo in giro?», io ho scosso la testa già «; pronto a scusarmi se le avevo fatto pensare una cosa così E ma lei mi fa, propagandistica e pertanto ripristinando il P lei, «Sono reggipalle magic, lana d'angora trattata con afrodisiaco vero... corno di rinoceronte autentico, sa? Così intanto arrotondo... La catena di sexy shop... i Sexdiscount... ce n'è uno anche vicino alla Stazione, conosce? Bambole, resina, caucciù, vibratori, sadomaso, nolo cucciolotti addomesticati da lecco tutte le razze, agenzia matrimoniale asse Brescia Varsavia, annunci sempre validi... Posso fare uno strappo e vendergliene uno io direttamente, se vuole, di reggipalle magic. Ma non lo dica a nessuno, neh?», io ero già fuori e non so per quanto tempo ho continuato per strada a scuoterle il capo in segno di no e non sapevo nemmeno in quale parte della città mi trovavo e ho sentito un'imprecazione volteggiare in alto e ho visto vagamente un alone sopra la mia testa e se non mi sposto all'istante sarei stato centrato in pieno da un coso scintillante che stava volando fuori dal finestrone del primo piano del cinema. Un trenino a molla! tre carrozze e locomotiva, niente di speciale, un dono fatto con molto e irriguardoso senso del risparmio. Infatti, prima del lancio doveva essere stato schiacciato con tutta la rabbia di un bambino deluso che Ci salta su coi piedi a peso morto. Ma non ho fatto in tempo a pensare, "L'hanno fatto apposta o è un caso che quasi mi centra in pieno?", e neanche a dire a voce alta ai tre, «Dai, saltate fuori», che una donna troppo, troppo appariscente mi si para davanti, apre l'impermeabile, si aggiusta le tette, si gratta la barba e mi fa con una voce da uomo svogliata accennando al cinema, «C'è gente»» E non fu che il primo di una serie, quella notte. Niente, mi avevano proprio lasciato a piedi. Un'altra volta imparo a fa,ye tanto il superiore e a non stare allo scherzo fra amici, mi hanno detto loro dopo, ma io io io, ho detto al flautista, tu tu tu cosa? fa lui, io... io... io non sono... tu non sei un uomo? fa lui... no, non è questo... io... io... io... ma non sapevo come dirglielo che non era stato un bello scherzo, prima il tipo di cinema e poi farselo pagare passi ma lasciarmi anche a piedil con diecimila lire in tasca, senza sapere neanche dove fdrmavano le corriere e se a quell'ora ce n'erano ancora, e che io è quindici anni che tengo lustrati come specchi gli strumenti di ottone di tutta la Banda Municipale e di tutti i suonatori, belli e brutti, simpatici e antipatici, che nessuno mi ha mai dato niente, neanche i soldi per il Sidol, niente a parte suonarmi una trombonata nelle orecchie a tradimento quando non me lo aspetto per vedermi fare il mio «salto watussi» come dice suor Lucia e che non mi meritavo tanta crudeltà e che venti chilometri a piedi di notte per un uomo di sessant'anni e passa coi travestiti e i cani che gli abbaiano dietro non è una bella passeggiata. Specialmente se piove. Specialmente se arrivato all'altezza di Vighizzolo (ricordarsi: Dio c'è è svanito... ricordarsi per quando, cretino?), nel pezzo di strada dove ci sono tutte le fabbriche e le puzze e ci saranno venti sfacciati lampioni a rischia rare l'operosità schiumante a tutta birra delle ciminiere E di notte, orrnai stremato e senza le forze né per restare né per continuare, e l'unica melonaia rimasta in paese sbaraccata da un bel po' , smette finalmente di piovere ed ecco che un'auto di grossa cilindrata che avrà fatto i duecento all'ora mi schizza accanto, rallenta, fa marcia indietro sgommando, ma raggiuntomi mica si arresta, lenta mi procede accanto, l'auto aveva quei finestrini ombrati che non si vede dentro, dopo una cinquantina di metri sta per fermarsi, mi metto a correre per raggiungerla, ne fa un altri cento e s'arresta, un'anima pietosa, penso, un san Martino che si china sul povero viandante fradicio di pioggia per dividere con lui un sedile e quattro ruote. La prima cosa che spicca con un balzo a terra e galoppa verso di me è un doberman, il doberman, e subito dopo, ma lentamente, con tutta la flemma, Laser che, a quanto mi risulta, sarà su un'ennesirna auto rubata, perché la patente gliel'hanno ritirata da un pezzo. Io mi blocco sulle punte dei piedi, resto di sale, respiro meno che posso, il doberman spicca un salto ma non mi coglie, plana a un centimetro dalla punta delle mie scarpe e mi annusa il fondo dei pantaloni, si sofferma colle narici umide contro il ginocchio, come se avesse trovato il suo tronco preferito, e sento che dall'ansito non vuole altro che azzannare la carne che sta sotto. Laser s'è messo a pisciare tranquillamente su un paracarro, piscia sempre, lui, trasformandolo in una fontana che sprizza sotto la luce bagliori paglierini e ogni tanto guarda dalla nostra parte, con un ghigno beffardo, e il doberman gira il testone e lo punta verso il padrone, aspetta, immagino, il solito ordine in agguato: attaccare. IL panico, ho pensato, quel tossico conta sul fatto che io tenti la fuga preso dal panico e in un baleno il cane otterrà da me l'ordine che quell'altro non vuole essere lui a impartirgli, un passo e sono sbranato. Laser trascorre un'eternìtà a sgocciolarsi il pene e a rimirarselo e a esibirmelo sotto la luce e anche a togliere peli impigliati, anche altrui, suppongo, e la cerniera non si rialza piu e io, io mi sono pisciato addosso e sento le calze inzupparSi del mio piSCiO sino alla punta dentro i mocassini «Muoviti, Laserdue», dice Laser al cane avanzando dritto come un manico di scopa, con quegli occhi placidi, sonnecchianti, «lascialo stare quel vecchio culattone ipocrita, lo mangi un'altra volta se non fa il bravo», così dicendo mi è venuto appresso e, come se fossero i suoi vestiti, ha infilato la mano nella mia tasca posteriore, ha tirato fuori il mio portafogli~-ha preso la banconota del resto e ha detto rancoroso, « lutto qui? Diecimila? Li hai dati a una qualche marchetta gli altri?», ha buttato per terra il portafoglio e i due esseri sono ritornati verso l'auto, ho barcollato un po' dallo sfinimento nervoso mentre mi chinavo a raccogliere il portafoglio, scivolo, sbatto con la bocca contro un sasso ma lì sul momentos non sento niente, neanche che sto deglutendo qualcota di duro, un'altra auto mi passa accanto, una Maggiolino nera, rallenta anche questa ma già andava tanto a passo d'uomo che rallentare è una parola esagerata, avevano mezzo finestrino giù, dentro ho visto chiaramente il Bertucci Ettorino alla guida e accanto a lui il suo angelo custode, il Paragnosta delle Fontanelle e dietro sua moglie, sempre impellicciata con l'astrakan rosso malgrado l'improvviso vento di scirocco, ma in effetti non mi ricordo più se era il tempo o se ero io a passare da una temperatura all'altra, e poi scorgo un'altra figura indistinta rannicchiata accanto a lei, una figura goffamente imbacuccata e con la faccia dentro i revers di un soprabito nero; il Bertucci, idiota com'é, avrà detto senza ombra di dubbio al Paragnosta delle Fontanelle quello che pensa don Pierino, e quindi io, della pranoterapia, dello Zen, dei tavolini che ballano e della semiotica gestuale, che sono tutti dei ladri imbroglioni, e che non si capisce come un ragazzo di buona famiglia di sane radici cattoliche come la sua abbia potuto impelagarsi con degli approfittatori come quello lì e sua moglie che chissà Dio quale parte oscena, psicanalitica, gioca in questa pantomima col figlio frustrato della farmacista castratrice affettuosa solo con le scimmie intere, ma io non voglio entrare in campi del subconscio e del conformismo che conosco fin troppo bene, a ognuno la sua pazzia e amen, io semplicemente non capisco come il Bertucci Ettorino possa conciliare il mio rosario con la mania dei treni e quella dei trenini esclusivamente elettrici e ultimamente anche computerizzati, figuriamoci il rosario e la santa messa con la magia fosse pure bianca da Omino Bianco o rossa da astrakan... Tutto è stato molto veloce anche se a rallentatore: il Paragnosta sembrava dirgli tira avanti, macaco, accelera un po' che vai troppo piano, non fermarti, e doveva pensare diamo una bella lezione alla concorrenza sleale, a questo baciapile che mi infastidisce i miei fresconi; io intanto mi sono bloccato perché non sapevo che volevamo fare né io né loro: fermarsi e prendermi su? corrergli io incontro e magari scatenare la reazione del doberman non al guinzaglio? e anche i due ferali esseri animali a cento metri da me, ormai davanti al loro bolide, si sono fermati incuriositi dall'utilitaria che rallentava e poi si fermava, il Paragnosta ha messo fuori quel suo faccione da gorilla ben sbarbato e ha detto a voce molto alta, «Tutto a posto, Santacroce?», e, «Bisogno di niente, Gigliolo?» ha fatto eco il Bertucci Ettorino verso il suo unico interlocutore di piazza Garibaldi, e Laser ha detto, «Tutto o.k., grazie, apprezzo la cortesia, buonanotte». Non era possibile, chiedevano se era tutto a posto a lui, non a me, più morto che vivo, e lui il rovinafamiglie rispondeva pure grazie, buonanotte, apprezzo la corte sia, come se fosse appena uscito da una scuola serale di galateo, il Lord; ho fatto qualche passo di marcetta svelta, mi sono detto, vuoi vedere che a me non mi hanno visto proprio perché sarà anche scemo e epilettico e tronfio di segatura ma l'Ettorino è uno che viene ai rosari, non è come il Peppia gerarchetto che mi conosce sì e no anche se siamo stati dello stesso partito e lui non lo sa, il Bertucci Ettorino avrà un residuo di compassione, vedrà in che stato sono ridotto, ma il plagio del Paragnosta si è rivelato totale. Le due auto sono ripartite quasi contemporaneamente, ci mancava solo che il BSrtucci o il suo diavolo custode o la sua buona ma finta mamma si disturbassero tanto da uscire e dirmi da lontano, «Non c'è posto, non c'è posto! Tutto occupato, tutto occupato!», perché erano su già in quattro e la beffa non avrebbe potuto essere più tirata a sfoglia. Ho tirato il fiato così forte che nell'estrometterlo ho pensato, "Ecco, ricomincio a sputare bangue dai polmoni", lasciandomi andare sul primo parLcarro, così, oltre alle scarpe con dentro il mio, col piscio di Laser mi sono bagnato anche il didietro. E poi ho fissato per stanchezza il vapore latteo grande un chilometro quadrato che creava come una cuffia di suora sopra la ciminiera, ho avuto un flash, la moglie del Paragnosta sui sedili dietro, quella figura nerastra tutta retratta accanto a lei tutta rossastra, è stato più forte di me e ho detto a voce bassa verso quel biancastro veleno di fabbriche che si slordavano di notte, «Suor Lucia!». E poi invece il sangue che perdevo era solo delle gengive, per fortuna, e fra i denti ho sentito dei buchi che prima non c'erano. Niente di grave. Se non morivo oggi, contavo di farmeli mettere in primavera. Però il mio stupore per quell'ospite in auto accanto alla Paragnosta si è subito smorzato: avrei dovuto pensarlo già da un mesetto circa che qualcosa non andava per il verso giusto, esattamente da quando suor Lucia ha levato di mezzo ogni fiorellino di campo raccolto dalle vecchine e dai vecchini dell'ospizio e nei vasi, sia in refet torio che sull'altarino della cappella interna, ha voluto solo penne di struzzo colorate, sicché non è raro vedere i ricoverati mentalmente più indifesi girare con uno sbuffo di penne rosa fuori dal colletto della camicia, dentro i mutandoni o annodate attorno alle orecchie a mo' di alloro, con lei, suor Lucia, che dice che è normale, visto che le pagano salate sono loro e ci fanno quel che voglio no. Per me, invece, non sta bene che, pagate o no, dei morituri te salutant si agghindino così trendy, come direbbe Marì, proprio un attimo prima di andare all'Inferno. 0E dunque pazienza, se il mondo non ha potuto cam biare me, non riuscirò certo io a cambiare il mondo, inu tile che l'indomani o in seguito chiedessi spiegazione allo scimmiesco figlio della farmacista Bertucci di quella sua omissione di soccorso, mi avrebbe risposto che non mi aveva visto, non avrebbe aggiunto, mi dispiace, avrebbe detto semplicemente non t'ho visto, sai, quando si corre a tutta birra in macchina come me non si fa attenzione a chi va a piedi, lui, che faceva i trenta! e il giorno dopo ero già lì col Sidol nel deposito strumenti bandistici del rico vero a togliergli le macchioline di impurità, pioggia e pol vere e ossidazione, ma soprattutto impronte digitali, che mi hanno dato sempre molta soddisfazione perché man mano che tiro via loro mi sembra di cancellare dalla fac cia della Terra anche gli ingrati che ce le hanno lasciate. Io sono più avanti di loro, anche se mi portano in un cinema per gente emancipata e senza tabù come dicono loro - cioé non nel senso di liquirizia come i miei della scatolina -, e per gente debole di vescica come dico io, e io taglio la corda dalla sala proiezioni, io sono più avanti di loro. Anche se mi lasciano a piedi, anche se mi lascia no a terra, anche se mi lasciano indietro e loro sono già arrivati dove gli piace credere, io sono molto, molto più avanti di tutti. Anche come zio ignaro. Un setteotto anni fa, torno indietro dalla Paleocapa Rosa che mi aveva chiesto se al momento buono le avrei dato una mano a dargli una lavatina e poi a rivestirlo con la sua tuta bella, e trovo nella cassetta della posta dell'Ancr il cartoncino giallo del postino che era passato e non aveva trovato né me né altri, e allora con quel car-1 toncino vado in Posta e mi consegnano un pacchetto, che | arriva da Roma e che quale irtdirizzo, a mano, non a tim bro, riporta Istituto Storicq;Sigfredi-Schicchi Ricerche Sul Ventennio, a casa apro ii pacchetto e dentro c'è una videocassetta e un bigliettino a macchina, «Gentile Omaggio - Egregio Signor Giuseppe Pigliacielo, Lei è stato sorteggiato fra i nostri potenziali quindici milioni di clienti e siamo lieti di inviarLe assolutamente gratis la cassetta qui acclusa, La Resistenza delle donne, nonghé il catalogo delle nostre produzioni con documenti e {locu mentari inediti dell'Epoca», be', ma che brava gente, penso, e do un'occhiata alla lista del mail-order, vedo al cuni titoli molto accattivanti, anche se troppo moderni per i miei vecchi patrioti che vengono qui a raccontarsi le loro prodezze di pomeriggio tardi e si portano da casa sia il vino sia cose molto friabili da mettere sotto, si fa per dire, i denti, tipo farina di castagne, patatine fritte, ripie no di salame, perché un titolo mettiamo tipo Fra Salò e salotto era difficile anche per me subito e forse alludeva al fatto che mentre il nostro povero Duce soffriva e anda va incontro alla morte con la fedelissima Claretta qualcun altro a Roma e a Mosca e a Londra brindava a sciampa gna su morbidi divani. Be', faccio il mio pasto tranquillo al ricovero, le solite cose, e verso le quattro vado in sede, ci trovo già l'Ardito, il Girardinelli Cesarino, caporale paracadutista con la più che comprensiva lacrima del ricordo in tasca, il Gigi Sbausù, sommergibilista della Decima Mas, poi arrivano alla spicciolata quelli dal pisolino inoltrato o la gamba sifolina per una scheggia o una amputata come il Socrate Putacaso o l'Ercole Scatolini detto Sempreinpiedi; come arrivano hanno l'abitudine di togliersi di tasca una miriade di medaglie e medagliette e di attaccarsele alla giacca e ai berretti, il più giovane avrà avuto un settantacinque. Bene. «Oggi volate al cinema», gli dico, metto su la cassetta arrivata per posta e mi squilla il telefono dall'altra parte, nell'ufficetto attiguo dove tengo di tutto, dalle liste dei dispersi di qui e di là, alle richieste ai governi di Germania e Russia e Jugoslavia e Grecia in particolare per indagini su certi soldati di cui non si è mai avuto notizia, ed è ovviamente don Pierino che vuol sapere a che punto sono con l'alfabeto con una certa invalida dura di comprendonio e pronta per il Paradiso e per il Notaio e poi lui va avanti e, come al solito, mi fa la ramanzina, mi sgrida senza mai alzare la voce di un tono, mi rimprovera e questo e quello, mi rimprovera subito per le cose di cui probabilmente dovrà rimproverarmi domani ma potrebbe dimenticarsene. Io sentivo un certo silenzio religioso dall'altra parte, di solito non capiscono mai niente di quello che dicono nei film perché fanno un tale fuoco di mitraglia a commentarlo che spesso si mettono a litigare e verrebbero anche alle mani tanto è il rinnovato ardore a vedere certe scene di guerra e certe sommarie ingiustizie giustizialiste postbelliche, gli americani gli americani, ma a me personalmente i tedeschi non hanno mai torto un capello mentre quegli altri con la loro Liberazione d'Italia, e tanto per dirne una sola, hanno fatto l'Invasione di casa mia, e a don Pierino ho già detto, «Sì... sì... sì... sì... sì» e «Io... io... io...», cinque volte che finalmente nell'orecchio si fa strada una certa musichetta di paura e degli urletti e anche un ansare strano di lupa e sento che la porta si apre di colpo, «Pi...!» sento che sta gridando ma si arresta di colpo la Paleocapa Rosina, e poi grida più forte, «AIDA! VITTORIO!», io ho pensato è diventata matta dal lutto, o è successo qualcosa a quei miei lontani parenti invece che a suo marito che già aveva ricevuto l'Estrema ieri mattina, non riuscivo a mettere insieme niente, e mi alzo dal piccolo desco, vado di là e vedo: la definitivamente vedova Paleocapa Rosa come fulminata con la mano sulla maniglia della porta e tutti gli altri rigidi sulle sedie con gli occhi fuori dalla testa e un sorriso ebete, immobili come li avevo lasciati, e undnsare davvero forte mi fece svegliare dallo stupore e allora anch'io guardai dove stavano guardando tutti, chi senza volerlo, come la Paleocapa, chi senza esserselo aspettato, come i miei ex combattenti: e sullo schermo del maxitelevisore vidi mia nipote Aida che, nuda e un solo fularino rosso al collo, veniva posseduta da svariati uomini in fez e stivali she la smanazzavano senza pietà e lei non era ancora contSnta Sono rimasto imbambolato anch'io per non so quanto e ho fatto in tempo a vedere anche mio cognato con la testa fra le gambe di una grassona che lui implorava chiamandola, «Nilde, Nilde!», poi ho spento subito con un pugno, ho detto, cacciando giù la rabbia, «E' stato uno scherzo», e l'Ardito fa, «E' bello lo stesso», e l'appena vedova Paleocapa dice, «Pino, l'Ermes... Ma fate sempre questi filmluce qui voi? Ma allora mi iscrivo anch'io all'associazione!» e la poverina dalle lacrime è passata a ridere tanto era nervosa, le faccio, «Vengo subito», e lei, «Etticredo», la sconsiderata, ho ritirato la cassetta, ma lo Sbausù era rimasto come infartato, ho dovuto dargli prima una sberla poi un bicchiere d'acqua, nessuno fiatava ma mi hanno guardato tutti male come se gli portassi via e il pane e i denti di bocca, «Tu Bocchino comincia a andare avanti e taci, capito? TACI», ho detto alla già troppo allegra vedova Paleocapa, e all'artigliere Buttafuoco Rocco del 3° Battaglione di Arezzo che ha osato balbettare un certo disappunto, gli ho detto, «Guarda che questa non è una casa chiusa, è stato tutto uno scherzo, uno scherzo che qualcuno ha fatto a me non io a voi, fine dello spettacolo», e uno ha detto, sconsolato, così triste, «Ma io quelle cose non le ho mica mai fatte in tutta la mia vita...» e io, che non ne ho mai fatte neanche di altre, gli ho detto sventagliando la voce anche su tutti gli altri presenti, «Un po' di quel che ci vuole, un po' di rispetto per il luogo. Non vedete, non sono cose normali, sono tutte cose finte», strano perché io non parlo mai né tanto né tanto severamente, non sono don Pierino, e invece senza accorgermene stavo muovendo la mia bocca ma era il suo cervello che le impartiva il taglio, e l'Ercolino Sempreinpiedi è rinvenuto e ha detto in un soffio, «Se sono finte fa niente, faremo finta di niente», e l'alpino Trecca Alfiero, della la Cordata Aquile del Monte Bianco, ha detto con fermezza, «Appena rinasco le voglio fare tutte finte anch'io», e poi sono arrivato su dalla vedova Paleocapa, perché ai suoi figli gli faceva un po' senso... i liquidi... e lei a voltarlo e a rivoltarlo per sistemarlo e rivestirlo da sola non ce la faceva... e quindi, non solo sono più avanti di loro tre e di tutta la banda e i suonatori da un bel po' ma se voglio vedere una cassetta di luci rosse non vado al Cinema Pace con la scorta per farmi coraggio, me la vedo da solo a casa mia, cioé, mi chiudo dentro a chiave nella sede dell'Ancr e mi vedo tutte le cassette di Eva F. che voglio. Non ne ho mai perso una. E per un po' mi appiccico l'adesivo accluso alla cassetta dove mi pare e piace. Anche su una guancia, se mi gira. Così, ora, ripensandoci a distanza di trent'anni, quello sguardo intelligente di Leone al suo ritorno dall'Albergo Colomba Bianca mi sembra il frutto immaginario della mia intenzione di trovarvi una confidenza in più su Tilde e Aida, di una rivelazione non necessaria per andare avanti nella stessa casa, una specie di umanità extra che mai i maschi si scambiano tra di loro e che pertanto continuano a presupporre senza infatti averla. Come pure penso che le donne non rispondono in base alla verità in loro possesso, tipica presunzione degli uomini, ma in base alle domande che gli si fanno. E Leone prendeva la vita troppo come veniva per chiedere alcunché a una donna, fosse pure alla sua amante segreta. Così alla fin fine io penso che, se è dipeso da Tilde, come il Pluda Leone non ha mai saputo, né da lei né da altri, di essere il padre di Aida"tosì lo Strisciotti Vittorio non ha mai saputo di non esserlo. A meno che la puttina, fattasi grande, non si sia ricordata la mia minaccia alla madre fuori di senno lì davanti alla stele di Napoleone Bonaparte e abbia voluto aggiornare almeno il padre istriano, ridimensionandolo a padrigno forse per vendicarsi e deluderlo di non aver mai perpetrato nientendi veramente speciale e incestuoso su di lei, un'estranea cbn una gafi qualsiasi, visto che il suo papà vero era nonno Leone... o forse gliel'ha detto come una bugia imparata da me, per liberare lo Strisciotti Vittorio dall'imbarazzo, vero o simulato che sia, che su certi set proverebbe un padre vero verso la figlia attrice... E che l'Aida si sia vendicata di lui o l'abbia solo deluso di non essere il suo vero padre, lei aveva sciolto scientificamente lo Strisciotti da ogni debito di consanguineità vuoi per fargli fare l'agente teatrale vuoi per assegnargli qualche particina dal vivo e fuori busta, per essere lei a domarlo, dopo tanti anni in cui lui l'aveva domata e sfruttata e umiliata sin da bambina, con sua madre... mia sorella Matilde oh Dio!... con sua madre consenziente. Ora era lei, Eva F., a gettare un osso zezzuale al vecchio bastardo spelacchiato e debosciato che era meglio se se lo inghiottiva una foiba fredda di quelle che dico io, anche se io simpatie per Tito non ne ho mai avute, altro che quelle del manifesto all'interno del Cinema Pace dove proiettavano Cardelotti gelle calde foibe, con lui, lo sfrollato di guerra Strisciotti Vittorio, al guinzaglio, culatte cascanti piene di brufoli, carponi a leccare per punizione gli stivaletti laccati d'argento dell'ex Celeste Aida, una bella pienotta ormai, che viaggia sulla quarantina... IL quadretto famigliare non mi ha scosso più di tanto, ho semplicemente deciso che una così non verrebbe mai a abitare in una casa come la mia, neanche da vecchia. Io sono più avanti di tutti, io so tutto di Aida e tutto posso immaginare senza che mi venga un colpo come speravano i tre bulli, compreso l'adesivo pubblicitario di mia nipote da incollare sul parabrezza, i goliardi che possono permetterselo, non certo io sulla mia Cinquecento... quell'adesivo osceno con su quel nome... il nome d'arte di Aida... quell'adesivo a forma piramidale mi frulla dalla base della Sfinge al glande al cervello e devo lasciarlo uscire, perché in questa immagine di mercato sta tutto il senso del suo essere tutta nell'organa vagabonda che é, con la malizia ambita di evocare nei clienti potenziali un'Eva tremebonda e pudibonda ma senza scelta se non nella perdizione, costretta al peccato, non portatavi di natura ma dalla scarsa varietà dei frutti, tutti e due proibiti lì in Eden: nell'adesivo, Aida, braccia sollevate a V, diciamo in posa algebrica, è cavalcioni su un mappamondo controbilanciandosi nuda fra una mela su un palmo di mano e una banana sull'altro, come a dire, caro il mio Adamo, o mangi 'sta mela o t'attacchi a 'sta banana. In quella posa a X lievemente arcuata alle cosce per via del mappamondo, e con quei due frutti così antitetici se entrambi in potere della donna, Aida sembra voler inoltre evocare un peccato arricchito (visto che fine ha fatto quello originale semplice), un peccato promoziona le tipo fai uno pecchi due, come a dire nella sua superof-1 ferta: so come siete ridotti voi uomini d'oggi e guardoni01 di sempre, non preoccupatevi spettatori del zezzo, maschi confusi, mi sposto io, mi giro io, entro ed esco io,', vado vengo e ritorno io, faccio tutto io, anche la lvostra3 parte. E scritto in un arcobaleno di caratteri gotici dalla coscia destra sfioranti poi la mela e la banana per ricon giungersi alla coscia sinistra: §~a ~traba a.» Certo, non potevo incollare l'adesivo della mia nipo-q tastra sul parabrezza dell'auto o sulla cartella attaccata~. alla canna della bici, ma niente mi impediva di attaccarlo3 all'ultimo minuto alla base dellgl Sfinge datami da Marì Ma questo ai due suonatori della Banda Municipale e ai Peppia d'una Peppia Quattrini Achille che mi hannoti lasciato a piedi non potevo né cantarglielo né dirglielo, così sono stato costretto a lasciargli credere di avermi scandalizzato. Hai voglia! volevo almeno dirgli, per così poco? E poi non volevo che, a causa dei due denti sal'ati e del raffreddore, per sbaglio saltava fuori la storiaXdi suor Lucia in giro a mezzanotte insieme a quei figuri, non perché la gente avrebbe pensato chissà che di lei, ma perché se nemmeno una suora se l'era sentita di spende re una buona parola perché mi dessero un passaggio, voleva proprio dire che ero senza possibilità di redenzio ne. Perché lo sanno tutti che suor Lucia non è cattiva, in fondo. Chi mi ha spedito la cassetta porno che tanto incantò i miei ex combattenti ed ex tutto? Lei, sì, lei stessa, Pluda Aida: una settimana dopo che non so per quale miracolo tutti, compresa la vedova Paleocapa, ridivenuta a pieno titolo Bocchino d'Oro e già tanghista rinata ché tanto in vece sua il lutto per l'Ermes lo portavano le figlie e il figlio, tutti avevano tenuto la ciabatta chiusa e la cosa pornografica lì all'Ancr si era arrestata lì e io cominciavo a diventare un po' più intimo e un po' più cordiale con la giornalaia di Castiglione delle Stiviere e mi informavo sulle novità nell'audiovisivo, una settimana dopo la rivelazione sulla mia nipotina amatissima da tutti, dunque, mi arriva un telegramma, oh, come li odio, io, i telegrammi, con su scritto, «E adesso sei contento stupratore di bambine? STOP Eva Ficabonda alias Aida Strisciotti STOP». Voleva farmi sentire in colpa? Ma cara, mi hai fatto un favore. Sai dove mi sei finita tu e il tuo adesivo tuti fruti? Sotto la Sfinge mariana a strofinar r1 ml 11 ca... Non ho dovuto quindi aspettare la quarantina di Aida e il Cinema Pace per rendermi conto di come si manteneva mia nipote, lo sapevo già da un bel po' , perché io so esattamente anche quando ha abbandonato lo spogliarello e ha debuttato nella cinematografia fatta in famiglia dove dimostrava quanta resistenza aveva, e lei allora era magra e imbranata anche se non più di primo pelo, e tanto più conturbante, questo sì, lo ammetto, di adesso, così matronale e flaccidamente professionista come quando lo succhia in contemporanea agli spettabili Sigfredi, Pioltello, Thomas Turbato e Bruto Schizzo. La pornografia non è stata affatto un trauma per me, se non che mi sono reso conto che gli uomini con le donne erano un di più, e che erano molto di più un di più loro che con le donne ci facevano l'amore che io che non c'ho mai fatto neanche le sporcacciate. Sarà anche un punto di vista il mio, ma mi sembra che quei registi usino gli uomini più come contorno, perché più che fargli solletico alle donne che pretendono? e tanto chi li guarda se c'è da guardare una donna in azione? Quanta benzina mi resta? Quanta strada? A cosa mi è dunque servita la Cinquecento da quando non vado più avanti e indietro dalle medie San Giovanni Bosco, ottocento metri in linea d'aria, a parte fare da autista a suor Lucia per lo spaccio dei suoi gioiellini e da testimonial segreto di Dio col mio spot a spray bianco sui cartelloni stradali in un raggio di trenta chilometri per far sapere che c'é? Mi è servita ad andare dalla giornalaia accanto alla fontana di Castiglione delle Stiviere, prendere la cassetta di storia contemporanea per i miei ex combattenti o il film di Speak up per mantenermi in esercizio coll'inglese così sotto queste ci potevo mettere l'ultima cassetta di Aida senza che nessuno la vedesse, perché queste di adesso mica hanno la copertina come mia nipote l'ha mandata a me otto anni fa, sono dei veri e propri giornalini illustrati che in tasca non. ci stanno e sarebbe compromettente tenerli in mano ~inche solo per arrivare dall'edicola all'automobile. Inutile dire che non ho mai guardato un solo film in originale di Speak up. Come arrivavo a casa buttavo via la cassetta superflua e i documentari sugli ebrei in campo di concentramento e le case crollate sotto i bombardamenti e i tedeschi a mani in alto e Anna Magnani che corre verso il camion e cade mitragliata a terra mi hanno fatto ormai venire %'angoscia uggiosa, che barba, era troppo tardi per migliora . . . . r. re la m1a . _mgua rtramera e troppo presto per una nuova guerra purificatrice e quindi nuovi prodotti da vivere in poltrona: e chiuso dal di dentro nell'Ancr, guardavo che facevano di nuovo i due pseudoincestuosi italo-istriani e con quante comparse, se avevano cambiato piscina, i cuscini, le pelli d'animale stese per terra, e se nei lineamenti di Aida riconoscevo un po' quelli di mia madre, di mia sorella, i miei... A parte Eva Ficabonda, non avevo più nessuno al mondo, e siccome l'unico legame di sangue che avevo era porno, come l'avevo io l'avevano tutti gli altri. Non so se era meglio di niente, ma per me era meglio, cioé era il niente al suo meglio. Questo sì. Bene. Io odio l'inglese anche se non l'ho mai detto né a don Trenta né a me stesso fino in fondo, non è una scusa per giustificare la mia non conformità ai programmi ministe riali: è la lingua del colonizzatore che riempiendo la »madia di mia madre di farina, di zucchero, di cioccolata e di caffé, che lei correva a rivendere, e poi lasciando calare giù la botola del primo piano, me l'ha svuotata come una pancia di gallina; la odio tuttora, anche se l'i gnoranza che ne avevo mi ha dato da mangiare per un bel po' , quasi vent'anni di contributi regolari. Io ho fatto tutti gli sforzi immaginabili possibili per rIessere un buon professore, però l'ultima volta che avevo sentito una parola d'inglese non in televisione da un ita Fliano che dice marketing avrò avuto un dieci, undici anni, e quando poi arrivò la benedetta conferma del Provveditorato agli Studi, che intanto non mi assegnava alle Scuole Avviamento di qui ma a quelle di Gambara, una sessantina di chilometri e quindi di benzina al gior no, mica c'erano tutti gli audiovisivi di adesso o se c'era Fno già io non me ne sono accorto che nell'ultimo anno che ho insegnato, che stavo per compiere i quarantotto quarantanove, quando alla San Bosco hanno installato un Laboratorio Linguistico che nessuno ha mai saputo come funzionasse e che i ragazzi e le ragazze usavano per registrarsi i messaggi pieni di stupidate e infilarseli nelle cartelle di nascosto. E poi allora alle medie c'erano alme no la Prima A la Prima B la Prima C, tre prime, e ci sono stati anni particolarmente prolifici, dove erano addirittu ra quattro, e le prime sono sempre state il mio forte per interessamento paternalistico e per disposizione di don Trenta, che era anche l'insegnante di religione nonché il referente primo del preside Longamano e, insomma, colui che decideva chi poteva restare a insegnare, anche Matematica, anche Disegno, anche Italiano, perché c'era già chi, malgrado i disordini sociali del '68, cominciava a contestare l'utilità delle preghiere in classe e andava tra sferito d'urgenza, tutti i comunisti in primis, gli atei e quelli o quelle non sposati che avessero superato i qua rant'anni e fossero in odore di qualcosa e non andavano a confessarlo. E poi, siccome le disgrazie non vengono mai da sole, si è cominciato a parlare di calo della natalità e dalle prime medie, ridotte a due, son dovuto passare anche a una seconda media per colmare le ore, e fin lì tutto bene i mariti e le mogli avevano procreato in tempo secondo le attuali disposizioni del Ministero dell'Istruzione Pubblica e io non ho dovuto ampliare di molto i miei aggiornamenti di Lingua Straniera, e forse mi sarebbe andata bene anche con la terza quanto a programma, che stavo imparando a memoriVio stesso, allorché ci fu un ulteriore restringimento delle prime e delle seconde e io dovevo espletare comunque un certo numero di ore fisse, e di punto in bianco non mi affidano anche una terza? Due giorni proprio prima delle vacanze di Natale mi capitano in questa Terza A due tredicenni gemelli, fratello e sorella, madre italiana e padre americano ufAciale dell'aviazione in trasferta dalla Nato di Vicenza nel locale aeroporto militare di Ghedi-Pieve di Lombardia, e io non apro bocca, ero terrorizzato dai due angioletti biondi con le lentiggini che, con un sorrisetto da iena ridens aspettavano di vedere che tipo di lezione conduceva sulla loro seconda lingua madre quel professore alto e magro e che non guardava nessuno negli occhi e che aveva già trascorso i primi quindici minuti - e i suoi primi diciannove anni di insegnamento, perché così è stato fino all ultimo: guadagnavamo tempo tutti, col Signore, non solo gli studenti - facendo dire preghiere, in italiano, in piedi gli alunni e in ginocchio lui sul cantone della pedana la fronte appoggiata allo spigolo della cattedra. «He must be crazy», sentii dire la tredicenne abbastanza a voce alta per provocare una mia reazione allorché attaccai per la terza volta con un Eterno riposo. Fino a lì, e cioé che dovevo essere pazzo, ci arrivavo anch'io, quando mia madre da là sopra cominciava a piangere c'era sempre qualcuno che le diceva mentre la svuotava, «You must be crazy, naughty chicken, stop it», piantala cioé di frignare, di fare la matta, birichina d'una gallina, ma non volli interrompere il rito di ingraziamento ai morti che mi dava il piatto di minestra garantito. Ma questo è niente... STOP it? Ogni tanto capitava che nella nostra scuola venissero parcheggiati provvisoriamente i figli di soldati americani di stanza alla base locale e più che provvisoriamente i piccoli nomadi, e il preside Longamano, vessillo di Cristo e garante della Democrazia Cristiana in generale, aveva avuto sempre verso di me, anche dopo la morte di don Trenta, il particolare riguardo di mandarli in quella sezione dove c'era o Francese o chiunque altro insegnasse Inglese ma mai da me, mai. Io in tutti quegli anni di insegnamento ero vissuto solo come sempre, nel fiore della maturità ero appassito come uomo, almeno nelle apparenze, e, dopo Teresì, il pensiero manifesto di sposarmi non mi aveva mai più sfiorato e, non accostandomi mai né a una donna da conquistare né a una da cui farsi conquistare pagandola, vivevo una vita di sacrificio a Dio ma non scipita, avevo anch'io i miei interessi, Topolino, Le stigmate di Padre Pio - bollettino delle grazie ricevute, il Giro d'Italia, le mie passeggiate di chilometri e chilometri, puttine a parte, che durano un attimo e poi spunta il papavero e diventano dure, mi sperdevo dove uscivano i funghi chiodini, dove c'erano le more di bosco, dove sgorgava l'acqua di sorgente, dove fare un mazzolino di viole bianche da portare in Duomo alla Beata Vergine, partecipavo discretamente anche ai cambiamenti sociali rivoluzionari. Anch'io a modo mio sono stato travolto dal '68, anno miliare del secolo, rimasto famoso per la terza Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI. Insomma, avevo i miei giri in bicicletta e i miei giri di boa con la Storia come tutti. Se non che, andando indietro indietro nel tempo, dopo un anno che dalle Avviamento di Gambara ero fisso alle medie San Giovanni Bosco qui di Pieve di Lombardia, mi accorgo che per ogni sciocchezza che entro o esco dalle aule, la Belindi Velia, detta Benita per i suoi modi autoritari e sgarbati, detta a torto perché sappiamo tutti quanto il nostro Maestro fosse democratico e alla mano e, spiacente per il dottor Dioticuri,~uanto sapesse far arrivare i convogli in orario e tutto, be', la Belindi è sempre lì, come se mi facesse la posta, e mi chiede se ho bisogno di questo e di quest'altro e come sto «Percui...» e «Perquindi...» e se non mi piacerebbe un bel piattino di lasagne percui, uno stracotto di asino con la polenta perquindi, e che vita da santo che conduco, tutto casa chiesa e scuola, t che anche lei non si era mai sposata e perquindi però uh po aveva il rimpianto, diperciocché io insomma vorrei mandarla a farsi benedire ma non posso, sempre lì, sempre fra i piedi, non so perché abbia puntato proprio me, a ben guardarla non era da buttar via, una moracciona alta, ben piantata, capelli sciolti all'annegata, ma andava già per i quarantacinque e io non mi metterei mai... non mi sarei mai messo con una donna non più vergine e neanche con una vergine di quell'età perché poi... magari... io... io non me ne intendo, ma penso che più passano gli anni e più diventano dure, come se facessero il guscio, ecco, e un uomo non è un BJack & Decker a vita. La Belindi Velia cominciò a ossessionarmi a ogni campanella, a ogni intervallo, a ogni assemblea professori io muto come un pesce fuor d'acqua, trascrivevo ciò che dicevano e decidevano gli altri -, arrivava vicino a me, di preferenza se me ne stavo a gomiti appoggiati alla fine stra più appartata, quella appena fuori dalla sala insegnanti e subito attaccata ai gabinetti, e arrivando da dietro in silenzio mi batteva colle dita unite a becco su una spalla tanto delicatamente da darmi il soprassalto e, finito il mio spavento, da una sporta tirava fuori un involto, due fondine una sopra l'altra tenute insieme da un asciugamano a quadri rossi e bianchi che finiva a nodo, e mi diceva, «Professore, gli ho portato del baccalà in umido con una fetta di polenta, l'ho fatto con le mie mani, perquindi, lo assaggiasse e poi mi dicesse», e non era neanche terrona, mi creava degli obblighi, «Professore, mi sono permessa di portargli due fette di osso dello stomaco fatto su dai miei cognati in campagna, percui gli spinaci sono burro e aglio, riscaldi a bagnomaria, ci mettesse una grattugiatina di grana e poi mi seppia dire», e via cost, di cospettone in cospettone, mi creava l'obbligo di darle a credere che per lei cambiavo le mie abitudini alimentari e, quindi, il mio atteggiamento sentimentale. Non sapendo dove prendermi, mi prendeva per la gola e mi dava il voltastomaco. Se lei si era messa in testa di volere me, era perché a lei non la voleva nessuno. «E gli piace la ciambella col buco? Non tutte riescono, sa. Gliela ho preparata una speciale io, perquindi latte farina uova e un po' di lievito, semplice semplice, la faccia giù nel caffelatte e poi mi saprà dire che differenza, perdirindina!», il perdirindina no, il perdirindina non me l'aspettavo, eppure non fu questo il colpo di grazia. Io non ne potevo più, e sempre lei ha avuto l'accortezza di affidarmi in consegna un suo piatto di ceramica, una coppa, una zuppierina, una scodella che mi dovevo prendere la briga, non dico tanto di lavare, quanto di restituirle e, di conseguenza, di accompagnarli a un commento di lode sul contenuto. Dopo due anni che portavo a casa, prendevo su e buttavo tutto nel bidone dell'immondizia, non ce la facevo pìù, e adesso lei era anche infastidita del fatto che non ingrassavo, che ero «tutto pelle e ossa come un'ostia benedetta» malgrado i suoi violenti manicaretti, e una santa domenica che mi chiamano alla finestra e metto fuori la faccia, vedo la Belindi Benita con la sua sporta in pugno che mi fa, «Ho pensato che cucinare per uno e cunicare... e cucinare per due è la stessa cosa e allora ho | fatto un coniglio alla cacciatora da leccarsi i diti... che perquindi professor Giuseppino se mi aprisse...», non c'ho visto più e mi son messo a gridare, «Giuseppino una bella ostia! Ma si lecchi lei il culo una buona volta e apra bene le orecchie visto;;~he con gli occhi non vuol vedere: vada all'Inferno le; e tutti i suoi intingoli di merda, ha capito? vada all'inferno lei e tutti i suoi intin-a goli di merda di Percui e di Perquindi e mi lasci in pace una volta per tutte, capito!", e prima di ritirarmi ho pre so un piatto, una marmitta, una fondina tutti sporchi che ancora le dovevo restituire e glieli ho restituiti gettando glieli dalla finestra ma scagliandoli prima contro iltmuro di fronte perché non era mia intenzione colpirla in testa, non era così importante per me da mandarla all'ospeda le, sarebbe stato come trasformarla automaticamente in una moglie... Magari! invece non c'ho più visto, sì, credo di essere impallidito dalla collera, ho tossicchiato, le ho detto, «La ringrazio del pensiero... della sorpresa... ma non sono solo... sono già in compagnia» e lei, meraviglia ta e impicciona fino all'ultimo, «Non è solo?», come a dire, e da quando in qua lei non è solo? «Sì, sono già a tavola con una... persona...», e non c'è come dire che sei impegnato con una persona indistinta perché si capisca subito che è una donna dell'altro sesso, cioé, che è il sesso opposto a quello che non vorresti far pensare, «Ah...», ha detto lei, che si era tutta tappata alla grande per l'occasione e si era anche dipinta le unghie dei piedi nei sandali blu aperti in punta e poi, trattenendo un imbestialimento isterico, mi fa, «Già che ci sono, gli dispiace a ridarmi indietro i miei contenitori, perquindi?», «Volentieri, ma non ho trovato ancora il tempo di lavarli... pensavo di riportarglieli domani...», e che diavolo teatrale mi ha preso, mi sono girato verso l'interno, ho fatto finta di essere don Pierino e ho detto nel vuoto, «... ti sei misurata bene la febbre, tesoro? comincia pure, intanto, che ti si raffredda il brodino di pollo...», e la Benita mi fa, secca, «Fa niente, me li desse lo stesso...», sono rientrato, ho messo le sue terrecotte in un sacco della spazzatura, di quelli neri, e sono sceso a portarglielo, aveva negli occhi una luce di ira da kapò, «Poteva anche dirmelo prima, invece di farmi perdere tempo...», ha sibilato lei strappandomi il sacco di mano, «Dirle cosa, scusi?», ho fatto finta di niente io, e lei, «Non facci finta sempre di cadere dalle nuvole. E non mi saluti più», ha detto, perfetta, e io, pretesco come non mai, «Sarà mio dovere». Da allora, per ben quattordici anni, lei mi ha dichiarato guerra senza quartiere, non ha perso occasione di mettere in dubbio le mie capacità, sia pedagogiche che... le altre, è diventata l'arpia della burocrazia legata ai gessetti e alle fotocopie, perché è lei che ha sempre comandato la segretaria Brusaporci Maurizia, ho dovuto giustificare sempre tutto tre volte più degli altri, se era piovuto a me mi ha fatto ritornare indietro ogni volta a pulirmi le scarpe nello zerbino, se avevo la prima ora la mia aula non era mai stata scopata e per terra c'erano ancora le cicche dei vecchi ripetenti che ci venivano a fare le serali se no non gli davano la licenza da commerciante e la facoltà di fare la patente di guida, se stavo a letto e marcavo assenza era lei, la Benita, a insistere fino a farmi mandare la visita fiscale del dottore a domicilio, don Pierino si divertiva un mondo e la lasciava fare perché la Belindi Velia aveva preso a gestire pro-restauri- duomo uno stormo di donne benestanti di Borgosopra disposte a seguire il Papa anche alle crociate e non andava presa sottogamba, c'aveva la grana di certi suoi terreni venduti al Comune e adesso che il Ministro alla Pubblica Istruzione Piedini era rimasto vedovo e lei gli andava a fare i mestieri... e il preside Longamano non avrebbe mai osato non mettere in pratica qualsiasi cosa partita quale suggerimento della Benita, proprio perché lei conferiva liberamente con l'onorevole Piedini in persona chissà per quali misteriosi fini ultimi e superiori| La Belindi Velia, insomma, mi ha fatto vedere i sorci verdi e, siccome non ha avutwil potere di farmi assapora-X re i suoi bocconcini, da vera strega statale ligia al millesi-1 mo di millimetro ai regolamenti, li ha trasformati in tanti rospi da farmi ingoiare vivi, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno. Era stata di sicuro la Benita a farmi quello scherzo da prete con i due gemelli oriundi italoamericani, .avrà detto alla povera Brusaporci Maurizia, già obera; da tutto il lavoro che il Longamano si guardava bene dal fare, «Ma il Professore Pigliaincielo è scoperto di alme no due banchi, perquindi li mandasse da lui se no quello di Francese e la professoressa Saracino Concetta di Inglese protesteranno se gli manda altri precari in clas se», mi pare di sentirla, con quella sua vocina tutta miele e quei suoi occhiettini da lucertolone in quel faccione contornato da capelli a onde ossificate che le arrivava no alla schiena; a volte avevo il sospetto che lei, non don Trenta, e neppure don Pierino in seguito, era al di sopra di tutti, di Longamano, dello stesso onorevole Piedini nostro concittadino che sedeva in Parlamento e conferi va col Papa quando voleva e, secondo la Belindi, quando poteva. Parlavo di Scuole Avviamento e poi di essermi sposta to qui alle Scuole Medie, perché quando io ho finito un [tirocinio di quattro anni fra Gambara, Calvisano, Desen zano, Pontevico, e Dio c'è dappertutto, più qualche sera tle, le Avviamento sono state eliminate e quando sono stato finalmente confermato qui al mio paese, tutte le scuole erano diventate tutte inferiori a pari titolo, tutte medie. L'occasione di comperare la Cinquecento semi nuova di don Trenta me l'ha data don Pierino stesso 12quando gli è subentrato come abate don Nullio e don Pierino, semplice vicario parrocchiale nel pago dei [Novagli ma dalla forte influenza su don Nullio, aveva già una Innocenti nera a quattro posti, personale, non del presbiterio, e non sapeva che farsene di quel macinino del predecessore, perché qui il solo vero riconosciuto yabate dopo don Trenta è sempre stato don Pierino anche prima che don Nullio colmasse la fase di interregno, per Cmettesse a don Pierino di compiere quarantacinque anni e ritornasse senza lasciare traccia da dove era venuto, nel nulla - nel Vercellese, credo. Don Trenta, non lasciando alcuna carta con su scritto alcuna ultima volontà e non possedendo granché auto a parte, ha voluto così confermare fino all'ultimo istante, e a cominciare dall'istante subito dopo l'ultimo respiro, che se fossi stato davvero suo figlio almeno l'auto me l'a vrebbe lasciata, invece nemmeno quella. Io un po' ho tentennato davanti all'offerta di don Pierino, proprio adesso dovevo prendere la patente di guida che non mi serviva più, proprio adesso che non dovevo più fare tutte quelle corvé nel gelo e nella nebbia e sotto la pioggia, perché io a quelle Avviamento qui e là ci sono andato con la vecchia motoguzzi dell'ex moroso della Tilde, il fornaio morto annegato, sua moglie l'aveva messa in cantina e in dieci anni si era arrugginita mica male e don Trenta mi fa, «Ci sarebbe un affare da fare intanto che arriva l'incarico dal Provveditorato, c'è una moto ancora buona da comperare, la carteggi un po' , un po' di olio agli ingranaggi e puoi spostarti dove vuoi», e così ho fatto anche con don Pierino e la Cinquecento che aveva ereditato lui da don Trenta, io non sapevo guidare un'auto, così come prima non sapevo guidare una moto, e in effetti un'auto non mi serviva più a niente ma non volevo contrariare un abate fresco di insediamento di cui sapevo poco e niente come carattere, e gli ho dato tutti i - 1- l' mlel risparm1 al quasi cmque anni al gea on1 e emicrame e insolazioni e raffreddori, e le lezioni di scuola guida le ho dovute stoccare e anche le marche da bollo per gli incartamenti, tutte un prestito di don Pierino, che avrei potuto rifondergli con calma, ,,rizi, pagare in natura, per esempio occuparmi io dello smistamento delle Famiglie Cristiane e pulire il magazzino deposito alla sua mamma cartolaia. Tanto per incominciare. Bene. Bene un corno. Anzi, un tricorno. Da prete. Questo sì. Siccome una mano lava l'altra, e la mia situazione era piuttosto precaria, ero un supplente riconfermato, ogni anno per l'anno pieno, un caso su mille, un miracalo da non divulgare troppo in giro, insisteva don Pierino, con tutti quei laureati in Lettere a spasso, adesso ci avrebbe pensato lui a farmi passare di ruolo, visto che a don Trenta era andata buca, il curriculum delle supplenze era ottimo, e pure il giudizio morale complessivo. Però, visto che abitavo così vicino al nuovo ricovero, che ne dicevo di cominciare a fare un po' di opera di apostolato fra gli anziani completamente soli - e una piccola caratteristica in comune, qualche risparmio - con tutto il tempo a disposizione che mi restava? Mi ero mai chiesto quanto costa mantenere in piedi un luogo di culto disastrato come quello che lui aveva ricevuto in eredità dalla fallimentare conduzione di don Trenta o pensavo che i soldi piovevano giù dal cielo? sapevo che si diceva fabbrica del duomo perché non finiva mai di essere fabbricato? Contemporaneamente mi insegnò la formula testamenta ria e il significato di «testamento olografo», scritto cioé di proprio pugno, cioé il mio per tutti i pugnetti rattrappiti dei miei vecchi. IL suo notaio Pezzulli si fidava di don .~ Pierino, quindi di me. Finalmente avevo delle responsabilità dirette anch'io nei confronti di Dio. ... e lì in Terza A neanche faccio a tempo a finire la preghiera e a farmi il segno della Croce e ad alzarmi dalla pedana per iniziare, che lo volessi o no, la mia ['Iezione d'Inglese, quand'ecco che la porta si apre di nuovo e la Benita, dopo avermi già dato sul groppone per quella mattina quei due cagneschi gemelli americani pronti a saltarmi addosso, mi fa, «Professor Pigliaincielo, questa non la vuole nessuno, perciò la vuole lei perché tpercui, è una zingara, facci come che crede ma non me la rimandasse indietro, nuove disposizioni del sindaco Scaltrini coi nomadi minori di anni quindici, meno tempo per rubare. Se vogliono stare con la carovana qui, ffinché ci stanno i figli tutti a scuola, bene se no raus da Pieve, e che Dio ce la mandi buona, bisognerà chiudere tutto sottochiave», spinse dentro la ragazza e si chiuse la porta dietro con la calma di una soddisfazione così sotti le che quasi mi fa saltare la mosca al naso. La zingarella era... che succede al mio piede sinistro, perché ha scalciato da solo in avanti? Salve... salve... salve... salve... salve..., inavvertitamente ho fatto scattare il mangianastri... la zingarella era... mi colpì soprattutto un nastro bianco di carta crespa nello chignon dei capelli che poi le scendevano, untuosi, fino al fondo schiena, e il collo, il collo modellato di rara bellezza e fierezza, quel collo tenuto alto e lievemente arcuato, e quella venuzza, mio Dio, quella venuzza azzurra che le batteva fin sotto il mento delicato e le scendeva peccaminosamente per la gola, giù giù... Ma i capelli erano rossi, benché di un fiammeggiante rosso rame, e io provo ribrezzo per i capelli rossi, mi fanno pensare a qualcosa di immorale, di liquido della carne di capretto appena macellato, ecco. I Gli occhi erano troppo grandi per essere veri, color blu di Prussia, un blu spesso e cangiante alla minima vibraI zione, con quelle ciglia lunghe da animaletto da pelliccia sperso fra la neve, il naso lievemente camuso dal setto ] deviato un po' , forse da un pugno, perché la cicatrice che partiva dalla narice sinistra finiva dentro il labbro superiore, deturpandolo in modo carino ma osceno; i fianchi erano già importanti, la vita stretta ma i fianchi erano già importanti, e fasciati in modo tale da creare come due cascate di un sipario di velluto giallo a righine plissettato che finiva sulle cWviglie, dai talloni nerastri, scivolate dentro un paio di sandaletti d'oro scoperti e| senza cinturino dietro, e fuori c'era la neve.] I miei ragazzi si ritrassero all'unisono come se una folata di vento entrato dalla porta li avesse piegati tutti di lato verso la parete opposta, e purtroppo anch'io ebbi questo gesto di ripulsa istintivo, come uno o una qua,lsia si dei miei scolari, le classi, purtroppo, erano miste gXà da parecchi anni sebbene i banchi ancora a due posti; davanti a me, nella fila centrale, avevo la figlia di Scanditi, il pasticciere subentrato alle sorelle Vitti che sulla porta della pasticceria ha un cartello che dice, «Ingresso vietato ai cani e ai terroni», una ragazzina tutta compita che odorava di zabaione alla crema e che non mi dispiaceva, anche se io certi pasticcini non me li sono mai permessi, la Scanditi era da sola nel banco, e tutti gli altri avevo preferito mettermeli davanti a due a due e tutti i banchi vuoti in fondo, così ebbi l'ingenuità di dire a quella piccola zingarella molto sviluppata, alta più degli altri e rossa di capelli, arricciati e allisciati dall'unto naturale e di fibra stopposa, con quel labbro leporino esaltato dal rossetto rosso ciliegia pieno di riflessi come uno dei brillantini nei lobi dei ragazzi e con quegli occhi di nafta fosforescente grossi come noci, e la gonna ampia di velluto con macchie di cibo lavate male e maglioni ,i« verdi a V sul seno alto dalle marmoree cuspidi - ne aveva certo più di uno, sicché non riuscivo a sapere se era il rigonfio della lana o il suo di natura -, sì, ebbi l'ingenuità, la cristianità di dirle, «Vieni pure, mettiti qui», accennandole al posto vuoto accanto alla snobissima figlia del pasticciere e la Scanditi si irrigidisce e quando la zingara, che doveva avere un quattordici anni ma che nel corpo ne dimostrava venti e nel visetto dieci, ancheg E giando perfettamente sui suoi tacchetti dorati e sporchi di aghi di pino e fanghiglia venne a testa alta, quaderno e biro di fortuna in mano, a sedersi davanti a me nel banco insieme alla Scanditi, costei arraffò di colpo tutto il suo armamentario di astucci penne libri e manicure e boccettino e pennellino per le unghie e si spostò in fondo all'aula, indignata, e si mise da sola in un banco vuoto a lavorare di limetta di cartone dicendo a denti stretti, «Quando glielo racconterò a mio padre...». «Come ti chiami?», le chiesi con infinita bonomia, «Svenska», disse leit fissandomi dal basso verso l'alto «Ciao, Leprina!», «E arrivata la Leprina», cominciarono a canzonarla gli studenti più carognini, «Leprina puzzola», «Pussa via, Leprina», era già segnata con un nomignolo, come me al mio primo giorno di scuola, e io dissi, «Benvenuta nella nostra classe, Svenska, io sono l'insegnante di Inglese Professor Pigliacielo», e i due antipatici lentigginosi Made in Usa ma fatti in Italia non persero tempo a farmi sapere con una risatina subito trattenuta cosa ne pensavano della qualifica che mi ero appena dato. Mi sentii una fitta in entrambi i polmoni e poi come le vertigini, mi sentii male, sentivo... sentivo che... qualcosa che... dentro il taschino interno della giacca... all'altezza del cuore, dove sta il mio coltellino... La zingarellina si sistemò nel banco sbadigliando, io girai le spalle alla classe, andai a sedermi alla cattedra e poi alzai lo sguardo e davanti a me vidi la Leprina ab- Xi bandonata a braccia aperte sullo schienale che a gambe larghe si stava tirando su le gonne gialle fino a scoprirsi i ginocchi. Lo riabbassai d'istinto ma d'istinto lo rialzai: 1 sotto non aveva le mutande. Mi fissava, la cosa. ... e ora a noi due, anzi, a noi tre, sembrava dirmi, ~. vieni nel mio pelo e contropelo e poi mi saprai dire se ' merito di essere promossa o bocciata, o moscio, o pio, o vergine Marìo... «What's yours name?», chiesi al ragazzino americano con quanta naturalezza e aptorità mi riuscì di dare al fiato, e lui alzandosi nel banco dopo aver dato una gomitatina d'intesa alla sorella disse, «Yours è sbagliato, sir, si deve dire your name, io non sono un pronome possessivo plurale col verbo e il nome singolare», che tradusse zi istantaneamente in inglese, e la gemellina rincalzò, «Lui non è un mostro a due teste», frase che anche lei tradusse istantaneamente in inglese, e scoppiarono a rider~ battendosi i palmi delle mani l'uno contro l'altro e via via tutti, forse per vendicarsi delle ore e ore di preghiere cui li avevo piegati invece di perdere tempo a parlare di videogame e di calcio, uno dopo l'altro si misero a sganasciarsi tutti gli scolari, a deridermi con un accanimento che, però, non mi aveva per niente sconcentrato dalla mia visione sputatami in faccia da quella falsa bambina. Io, a parte l'ascella nuda di Teresì, non avevo mai visto altri genitali femminili in vita mia. In fondo, ero solo un uomo di mezza età portata bene anche se di nascosto, sentivo dagli intestini alle cosce lo stesso dolore fisico e cerebrale a un tempo di quando mi erano venuti gli orecchioni e mi si era gonfiato a dismisura lo scroto, specialmente il testicolo sinistro, sentii un che di caldo inondarmi dall'ombelico in giù e dal setto nasale in dentro, dovevo andare via o mi sarei messo a gridare davanti a tutti per sfogare la mia miseria, la mandorla pelosa color rame luccicante di quella puttina del Male mi strisciava addosso come un serpente-lumaca che allo stesso tempo era l'occhio di Dio che da me reclamava un'ennesima prova di resistenza alla tentazione, e la Tentazione diceva, "Cedi, Pino, cedi alla vita finché sei in tempo, alzati e inginocchiati L davanti, infila la tua testa fra le sue gambe, accarezzale la divina tabernacola, mordi quell'Occhia, mangiale l'ostia che ti ha partorito, rientra in te...", mi alzai di scatto in flagrante blasfemia ,tspirituale, dissi, «Ritorno subito», e uscii fuori dall'aula a tgambe strette passandomi la manica sulla fronte e senza neppure nominare un capoclasse durante la mia momen tanea assenza. Ero febbricitante. I ragazzi non vi fecero ,~troppo caso, continuavano a ridere come se si fossero di [menticati perché avevano cominciato. Nell'andare al gabinetto incrociai la Belindi Velia che mi sorvolò con un'aria di superiore trionfo per via che me ne aveva accollati tre in un'ora sola scompaginando il mio amore pel quieto vivere, io non ho sentito alcun tac chettio dietro di me, perché avrei dovuto? ho sentito solo la Benita che ciabattava, apparentemente, via. Un minuto dopo che ero chiuso col lucchetto in uno dei quattro cessi, sentii il cigolio della porta principale che si apriva e quello di un altro gabinetto che si chiudeva den tro e basta, e da quell'attimo la mia vita è piombata di nuovo nella disperazione e nel degrado. Tanto per cominciare, e questo lo ammetto, ero entra to per sbaglio nei gabinetti delle femmine, svista imper donabile, anche se si tiene conto che distano venti metri da quelli dei maschi e che per andarci bisogna andarci proprio apposta, perché quelli dei maschi si trovano a destra e quelli delle femmine a sinistra dello scalone, ma ero fuori di me, e questo non l'ho detto quando mi hanno interrogato in Direzione, e se sono fuori di me seguo l'istinto e quindi vado a naso, e il naso mi portava là, dove, lo ammetto, io mi mettevo di preferenza durante la ricreazione, a guardare fuori dalla prima finestra del corridoio che sfocia dentro i gabinetti delle femmine per respirarne l'odore acustico, il poco suono odoroso che riusciva a salvarsi dagli spessi muri e dalla maniacalità battericida della Benita, e comunque che importa? una volta convintomi che il profumo naturale delle puttine era il Lisoformwict, mi andava bene esattamente come se mi fossi abituato ad assimilare l'effluvio, i rivoletti impercettibili delle loro intimità alla Due Fustini In cambio Di Uno o alla Venus Ammoniétca o, al limite, quello loroloro. Anche l'orecchio vuole la sua parte, e il naso spesso fa a metà con un suono che non arriva. Non sentendo niente né con l'uno né con l'altro, sentivo tutto di più. L'idea di sentire suppliva alla grande ai miei sensi senza maniglia. Quando si dice che san Tommaso non ci crede se non ci mette il naso vale per tutto ma non er le donne: mettici pure il naso ma non sentirai mai la fionna unica vera irripetibile davanti a te, ma sempre e soltanto l'idea che ti sei fatto dell'intera categoria. E ogni uomo si fa della donna l'idea che può a seconda dei prodotti per la casa che conosce. Se questo vale per un uomo che pure le conosce biblicamente, figurarsi se non vale per uno come me che le conosce tramite quel poco che ne dice il Nuovo Testamento A parte le proprie madri e le proprie sorelle, tutte delle gran pie, le altre sono tutte Maddalene, bisogna perdonarle come Gesù, ma anche Gesù capisce che prima bisogna lasciarle lapidare un po' per salvare le forme. Le puttine saranno anche tutte puttane, ma se c'è una clientela maschile bisognerà pure che qualcuna la soddisfi prima di redimersi, perciò io nutro del sincero rispetto anche per le donne che sono tutte puttane, comprese quelle che non ti aspettano e vanno suore, e se ce n'è una che non vuole redimersi non vuol dire che è perché non è mai stata puttana ma perché o si ostina a negare il fatto di esserlo o perché vuole continuare a farla o perché sta appena per cominciare. Quando un mestiere ti viene bene, è un peccato buttarlo alle ortiche. Ma, a parte questo, io non ho alcun pregiudizio nei confronti delle donne, basta che quelle che puttana lo sono già e quelle che stanno per diventarlo stiano alla larga da me che io sto alla larga da loro secondo il mio voto. Perché io, che non contesto mai niente, non credo no e poi no al pentimento della Maddalena, è un controsenso di natura, secondo me a quei tempi si lapidava un po' la più vecchia del casino o per reclamare alle autorità la nuova quindicina o farle la reclame se stava per arrivare. Del resto, Gesù viene accolto con tutto uno sventolio di rami di palma e di ulivo e di oleandro e poi si sa la fine che gli fanno fare, alle donne gli tirano dietro un po' di pietre e dopo duemila anni sono ancora lì a grattarsela sul ciglio della strada, poco capitale investito, poche spese di luce - quella pubblica - e di riscaldamento - i pneumatici, tutti gratis -, orari elastici, e se vogliono avere le ferie basta solo che cambiano zona e diventano retribuite anche queste. Perché mai le donne dovrebbero pentirsi di un simile privilegio e aspirare a qualcos'altro, a parte essere tutte puttane? Mica sono matte. Non da giovani. Da giovani sono donne, e da vecchie chi se ne frega se diventano di tutto? L'unico difettino che mi riconosco a causa del mio voto di castità è che forse ho finito per idealizzarle troppo, ma vedo che poi lo stesso identico difettino ce l'hanno anche quelli che hanno fatto voto di scopità, sicché è proprio il genere della donna che ti costringe, non l'uomo che c'è portato. Non mi sono mai creduto figlio di gallina bianca, io, men che meno come insegnante cuccatore di studentesse. Sicché non c'è mai stato da parte mia neppure il ten tativo di un approccio con una delle mie scolare, neppu- I re con una di quelle, ed è facile che su alcune centinaia una la si trovi sempre, che per qualche misteriosa ragio ne Si invaghisce di qualunque professore, anche di un meridionale, anche di un meticcio, anche di uno semi- X spastico, anche di uno effeminato, anche del prete di ; religione, anche di me. Motivi di scandalo dati: nessuno Ma almeno la mia testa, la solitudine del mio olfatto; quasi tutto nel mio udito, quasi tutto nella mia idea, quella non ho potuto né voluto mai schiacciarla come una serpe sotto i piedi, nessuno può risentire alcun danno dal fatto che tu, mojto vivente fuori, continui aX. sentire fra te e te il profumo acustico del peccato ancora1 acerbo, fra le mura delle tue narici la segregazione di quel che resta di una ragazzina che fa pipì, si tira su le mutandine, ti passa davanti e va verso altri uomini per41 sempre e te non ti considera neppure.F Io così lì alla finestra respiravo le scolarette dellavDon Bosco per non morire del tutto, e perché, anche sJ non ho mai vissuto niente, non ho mai voluto diventare preda del rimpianto da vecchio, e così sin da giovane mi sono creato un antidoto, una interiorità del non-rimpianto: mai voltarsi indietro, mai guardare nella direzione oppo sta a quella in cui stai guidando tu, evitare di scorgere le sembianze promettenti di un attimo fuggente che comunque non ti lascerà mai il tempo di invertire la mar cia per essere colto a pioggia dorata da te. Era inevitabile che, guardando sempre avanti senza vedere mai niente che mi incontrasse spontaneamente, arrivassi per sbaglio a uno scontro fra me e me in un gabinetto delle femmine. Quando uscii a testa alta e poi nel corridoio a testa bassa, la Belindi Velia Benita era lì, arcigna, al varco, con un'espressione interrogativa divertita ma non divertente, e il manico dello spazzettone sotto il palmo della mano come una lancia sul fianco, pronta a dar battaglia, «Che fa, prof Pigliaincielo, non lo sa che questi non sono i suoi gabinetti? Che percui?», «Oh, che sbadato...», cominciai a farfugliare e, piegando il mento dall'imbarazzo, dalla testa bassa a un colpo alla testa fu tutt'uno: mi ero sporcato il mocassino destro, e il liquido sparso sulla pelle nera risaltava come una prova schiacciante di qualcosa. Filai via, filai verso i gabinetti dei maschi, per buttare lì le mutande bagnate con le quali mi ero asciugato la gamba destra, sarei rientrato in classe coprendomi bene il davanti con la giacca, io non so se la bidella del demonio ha visto il patatrac sul mio mocassino e sul cavallo dei pantaloni e non so se, avendolo visto, si sia resa conto di che cosa era. (Don Pierino mi ha fatto capire che la Belindi ha visto e capito anche quello: più di farmi levare il mocassino davanti a tutti lì in direzione! la testimone, dice lui, parlava di «fiotto bianco di seme maschile, percui...», la spergiura, dico io, ma quale fiotto bianco e fiotto giallo... e io stupido che, lusingato dalla possibilità di essere creduto capace di simili schizzi o perdite, non ho detto subito la verità, non l'ho detta perché la mia verità mi sembrava ancora più vergognosa della menzogna altrui contro... su di me.) Quando sono rientrato in classe, c'era un baccano indescrivibile con lancio di vocabolarietti, «Dov'è Svenska?», chiedo, «La Leprina le è venuta dietro, professore», «Come sarebbe a dire?», «Quando è uscito lei, lei ha preso su e se ne è andata via, con quaderno e penna nel tascone delle pulci», «Io però un colpettino però... in testa...», e giù a ridere, io ho cominciato a deglutire, ho visto un fulmine e bum! ho sentito il primo tuono nel cervello, e dopo la campanella che annunciava la fine della lezione e l'inizio della prossima, quel pigolio nelle orecchie che annunciava in crescendo il temporale in arrivo e quella voglia di grattarmi l'orchite, quel solletico crudele... (Poi c'è stato anche chi addirittura ha detto, come la Scanditi Loredana, che io con un gesto del capo avrei fatto cenno alla Svenska di uscire e che sarei stato io ad andare dietro a lei, non lei dietro a me...) Don Pierino entrò e mi diede il cambio, «Non doveva esserci una rom qui?», «Sì, c'era, don Pierino», dissi io, «E adesso dov'é?», disse lui, «Ne so quanto voi, don Pierino», risposi- davanti a estranei dovevo dargli del voi, a tu per tu mi era permesso di dargli del lei. Don Pierino restò così stupito dalla mia prontezza che non andò avanti a fare domande, fece spallucce e a Dio piacendo da quell'ammutinamento in Terza A trasbordai sulla zattera di sal»«taggio della Prima B, dove non ci sono americani, comincio a ottobre con I was e a giugno finisco al massimo con she was not ovverosia con she was not, do'nt/don't she? che é, come la morte per goccia, la stessa cosa femminile negativa interrogativa passata ma più in sintesi, contratta, ecco, con quell'apostrofino-spermatozoo maledetto che incombe sull'ennesimo don della mia vita e che regolarmente mi gdcciola addosso quando meno me l'aspetto, e che è più facile a dirsi che a farsi. E lì nella Prima B, dopo neanche mezz'ora di preghiere, si bussò: era il preside Longamano in persona, dietro di lui c'era don Pierino, la bidella Belindi, un omaccione dai grandi baffi brizzolati infagottato come l'abominevole uomo delle nevi, una donna pittata di ciprie di diversi colori, due denti di acciaio sfavillante, stretta in una logora giacca da uomo e un fular in testa sormontato da una catenella di piatti ninnoli d'oro e, in fondo, in fondo a tutte quelle facce inquisitorie, Svenska Leprina a testa così bassa che le vidi solo il fiocco bianco di carta crespa sotto i piedi della Madonnina sulla colonna contro la parete. Poi guardai meglio, e il fiocco sulla nuca di Svenska non era bianco, era giallo, era fresco, era un altro. Quello bianco di prima, sfatto e umidiccio, stava schi filtosamente fra due dita della Belindi Benita che per la bisogna si era protetta entrambe le mani con i guanti di plastica arancione. La Leprina alzò la testa e, come a un segnale convenuto, tutte le teste si girarono a rallentatore verso di lei e lei rimpicciolì gli occhi putrescenti di un nero senza più riflessi, puntò un indice fra la scia dei nasi davanti a sé e scandì con voce roca, artefatta come quella di una grande attricetta della Cùrt dei Pulì, «E' issiri lui». E gli occhi le ritornarono blu. Lo soffiò in un modo che l'avrei mangiata, nel senso che... mi suonò come un invito inverecondo, perché io sono molto sensibile, ho una sensibilità che va per conto suo e se non fosse per quegli agnelli sacrificali delle mie Neutre da Compagnia io le donne le scannerei nella ga...fi tutte per strada e a due a due... io dunque ebbi una ragione in più, una ragione vergognosa che non dipendeva da me ma dalle mie ghiandole, per non reagire, per porgere le mani ai centurioni di Pilato e la testa alla cenere... e la zingara di mezza età diede un paio di gomitate a destra e a sinistra e mi si avventò contro coi suoi canini di acciaio smangiato gridando cose incomprensibili in una lingua tagliente come colpi di falce. Fui tradotto in direzione secondo questa disposizione di discesa dello scalone: per primi i tre rom, padre madre e figlia, se no ne avrebbero approfittato per darmi uno spintone o farmi del male; dietro tre gradini da loro, don Pierino e il preside Longamano con me in mezzo; dietro a tutti, la bidella Belindi Velia Benita che si sfregava i guanti di plastica e, sporgente da una tasca, esibiva scendendo tutta di lato un che di bianco, la prova del reato. Per un attimo temetti che fossero le mutande che mi ero tolto per asciugarmi la gamba e che avevo buttato via poco prima nei gabinetti dei maschi, ma fu solo un'il lusione, un'illusione ottica: era di nuovo il fiocco bianco di carta crespa della Leprina. A metà scalone, cominciai a vedere davanti a me oltre le due vetrate e fuori all'entrata scarpe e pantaloni e gonne tipici e, poi, via via, i busti e le facce rabbuiate ma con una sorta di sinistra speranza negli occhi - di una decina di zingari di tutte le età affogati nelle sciarpe, nei cappellacci, nei pastrani, in vestaglie di pesante damasco una sopra l'altra. Vidi subito che, una volta tanto, avevano trovato un alibi giusto per essere legittimati a rubare come forma di risarcimento.di un danno mai subito, e non da me comunque. d Oggi è provato che dopo ogni libro-bomba o pacco dono ad orologeria o bambola al tritolo scoppiati fra le mani dei piccoli rom, la commozione degli italiani diventa denaro sonante, che le elemosine ai semafori piovono più copiose per tutti gli zingarelli di tutte le tribù, che la televisione attiva gare di solidarietà forzatamente sXontanea, gare che a volte si protraggono addirittura peS una, due settimane con i numeri verdi dei telecentri raccoltafondi sovrimpressi ai generosi personali scollacciati delle presentatrici-benefattrici. Ecco perché non è azzardato pensare, dedurre, che al giorno d'oggi siano i loro stessi re o capitribù i cosiddetti mass-killer o terroristi razzisti, loro stessi i mutilatori e falcidiatori della loro prole in eccedenza. Oggi, dicevo, questi rifiuti dell'umanità fanno le cose in grande, hanno imparato a servirsi dei media, allora stavano ancora imparando a farsi furbi e violenti: nella loro tattica antisociale ancora agli albori, colpivano un vero innocente, un innocente esterno alla loro tribù, non un appartenente alla loro tribù o a una tribù similare come, secondo me, hanno cominciato un paio di anni fa a fare un po' dappertutto con questi loro straccioncelli in sovrannumero dilaniati da bombe-civetta. Li fanno fuori o li dimezzano nel fisico non certo per integrarsi con noi ma per distrarre l'opinione pubblica e continuare impuniti a fare quello che hanno sempre e solo fatto: rubare e spostarsi, spostarsi e rubare. Allora, che le ragazzine slave e macedoni e turche e albanesi e ungheresi e rumene non si prostituivano ancora all'interno di organizzazioni dirette dai loro stessi connazionali, perché Civiltà Cattolica e Il Secolo d'Italia li leggo anch'io, una certa accusa verso un cittadino italiano ariano, cattolico e integerrimo come me poteva fare lo stesso scalpore che oggi fa un occhio schizzato fuori dall'orbita di un baby borseggiatore, una manina amputata così impara, mezza calotta cranica franata dietro una piccola, sudicia orecchia rom. A quei tempi, ai primi anni Ottanta, non esisteva il razzismo etnico perché non c'era ancora tanta immigrazione illegale come oggi, il razzismo era ancora contro il singolo nostrano, il capro espiatorio dei paesi tuoi, un indifeso come me... Oggi, a una cosa così, a una zingarella, a una nomade, o apolide come si dice adesso per far cadere la merda dall'alto, che ne dichiarava quattordici e forse ne aveva chissà quanti e che si rivolgeva alla legge di uno Stato non suo per... sì, sì... per tentata violenza carnale o vada pure per la violenza carnale, be', oggi a una cosa così non farebbe caso nessuno, capirebbero tutti che dietro c'è quella sfruttatrice di sua madre e quel magnaccia di suo padre che vogliono uno statuto per delinquere legittimamente come tutti gli altri padroni dei marciapiedi... Oggi a nessuno di noi con la testa sulle spalle verrebbe mai da pensare che sia stato tutto un complotto ordito sui due piedi da una bidella lombarda per distrarre le neonate telecamere di TeleVita e portarle dai rosari di un povero campanaro nella chiesa del Suffragio ai Tridui in Duomo di una Cenerentola pronta a spiccare il grande salto con un potente organo dello Stato rimasto vedovo. Non che qualcuno l'abbia pensato e detto, ma io sì, il che è la garanzia che non l'ha pensato nessun altro, visto che con le parole nemmeno io mi sono maì sognato di mettere in giro la menoma pulce su una simile, inverosimile tesi. Pensare e non dire è il modo migliore per non pensarci e sentirsi a posto con la coscienza e per sovramercato dire che abbiamo perdonato, neh, Pino Pipino Pinocchio? E colmata l'ultima stazione di quel calvario di gradini in discesa, fuori dalla vetrata, di schiena, vidi il Professore di Ginnastica e Capocannoniere della locale Pieve Calcio di serie C ed ex cap0-boyscout e neo Assessore all'Edilizia e Lavori Pubblici nonché Vice Sindaco Dottor Milancio Primo, figlio maggiore del potente Milancio Fotis: stava al centro delle piatte maniglie di acciaio della vetrata, fermo e statuario come un vero Soldato di Cristo e, discosti ma allineati sotto il porticato, parcheggio che non era permesso neppure a don Pierino, due macXhinoni marrone, mastodontici e tutti ammaccati ai parafinghi Gli zingari, nel vedermi, si misero ad alzare le braccia e a gridare minacciosi; malgrado ci fossero altri professori con una faccia da maniaci zezzuali molto più marcata della mia che casualmente si mischiavano al corteo che stava scendendo le scale, quei luridi prosseneti mi individuarono subito, individuarono subito chi fra i tanti poteva essere l'unica vittima designata, c'era un odio atavico nei loro sguardi e tutti gli odi vennero puntati contro di me come a un segnale convenuto, una donna in una pelliccetta che sembrava di pelo di cane si levò un sandalo e lo scagliò contro la vetrata mancando per un pelo il Professore Milancio Primo, che non si mosse di un centimetro. Che esempio di fermezza morale, e di nervi saldi! del resto, un uomo come lui di gigantesca e aitante corporatura, un campione dello sport e della selezione della razza umana al suo apice virile, che stava per accasarsi con una delle due figlie del Cavalier Bentivoglio e della signora Agnese, e addirittura con la più piccola delle due nane che differivano solo di qualche centimetro l'una dall'altra, be', uno così era un senzapaura natoci col pelo sullo stomaco. La sua fidanzata Mercede, una laureata in biologia che gli arrivava sì e no alla vita, era la donna più invidiata di Pieve di Lombardia, e non perché, insieme alla sorella... quella là... ma come si chiama di nuovo, Dio? ah sì, Fede, Fede... era l'intestataria della metà esatta di tutti i beni incalcolabili dei genitori Bentivoglio e delle zie Bentivoglio, tutte nubili, ma perché la dottoressina Mercede, per una meravigliosa e inspiegabile attrazione fra gli opposti, stava per fare un vero matrimonio d'amore: il Professor Milancio Primo, ricchissimo di suo e tutto meno che uno spiantato, non sposava una delle piccole Bentivoglio per i soldi e l'ambizione sociale come chiunque avrebbe potuto pensare, e neppure era uno di quegli spudorati che prima di sposarsi col mostro hanno la buona volontà di innamorarsene, ma la faceva sua per una celestiale, miracolosa, pura, innata perversione del gusto. Il Milancio Primo, che sembrava un dio greco illustrato dal Doré, era sinceramente invaghito di lei, della sua orribile bella, e la bestia che vuole quella bella o nessun'altra era lui, non lei: l'avevano visto scalare di notte il balcone dei Bentivoglio e calarsi dal cornicione sul balconcino della camera della sua Mercede, e questo aveva messo a tacere ogni pettegolezzo su quell'accoppiamento quasi innaturale fra un nembo e una soglia o un delfino e una sogliola. Era come se il lucente arcangelo Gabriele scavasse gallerie astruse fra i depositi dei pozzi neri e rischiasse le ali in quella ricerca, e uno pensa: be', segue la mappa di un tesoro, la ricompensa sarà adeguata al pericolo corso. E invece no: alla fine degli spericolati saliescendi dai balconi alle cantine e viceversa del Mi lancio c'era lei, solo lei, proprio lei, una topa bonsai, una panteganina tirata a bigolo, una nana viziata, e l'arcangelo Gabriele le si prostrava davanti folle di passione. All'amore non si comanda, e neanche ai manici una volta attaccati alla loro sporta: fanno tutt'uno. Tutt'intorno aveva ricominciato a nevicare. Non siamo ancora dentro in Direzione che vedo don Pierino fare un saltello di disappunto, fare dietrofront e dirmi allarmato, «Mio Dio, il geometra Quattrini Achille! La Peppia! Il Bugiardino! Ma quello è puntuale come un pagherò! Farà danni come nell'edilizia!» e via di corsa trafelato per tutto l'atrio vesso l'uscita, dove davanti al Professore Milancio Primo era apparso un insolito figuro piccolo e rotondetto con la pipa in bocca, un cappello alla Sherlock Holmes coi paraorecchi allacciati sotto il mento - tanto, col senno di poi, per quel che se ne faceva dell'udito... - e uno di quei soprabiti, sempre Principe di Galles, con le balze sulle spalle, e si era messo a «iiacchierare col Professor Milancio Primo, o aveva teNtato inutilmente di vincere la logorrea e lasciar parlare il Milancio e, col suo taccuino vergine in mano, si stava inoltrando, non del tutto deciso, anzi, spaventatino, verso la tribù vociante. Fu agguantato da don Pierino per le balze posteriori del soprabito, li vidi scostarsi dal gruppo, dall'espressione del fedifrago da cronaca nera anche quando rosa e rosa anche quando nera, dal suo faccino triangolare che si faceva sempre più deferente, capii che don Pierino lo aveva convinto per il verso giusto, vidi la manina guantata di pelle rimettersi in tasca taccuino e stilografica, le balze del soprabito svolazzargli sul collo mentre se ne andava per il sentiero fangoso e don Pierino, alzando la testa verso il cielo per grazia ricevuta e respingendo con pari energia lo strattone di una zingara matriarca, mormorò qualcosa al Professor Milancio Primo e rientrò sospirando nell'edificio. Siel frattempo, alla vista delle automobilone e del loro carico, la segretaria Brusaporci Maurizia aveva chiamato il maresciallo Vanvitello Santino coi rinforzi ma, per fortuna come sempre in casi come questi di assoluta urgenza, il maresciallo Vanvitello Santino aveva ritelefonato un dieci minuti dopo perché temeva uno scherzo e la chiamata, presa da don Pierino, confermò al maresciallo Nonsonoelegante? i suoi sospetti, e le sue speranze, che fosse tutto un malinteso: «No, maresciallo, no, è stato tutto uno scherzo... Sa... sotto le vacanze di Natale... i ragazzi... Raucedine? Prenda latte caldo e miele, ma'... Grazie, maresciallo Vanvitello, no, davvero, non è successo nulla, grazie mille ancora mille gra'... ma'... Va'...», e poi rivolgendosi a me, «Qui si mette male, neh, qui non basterà una sciarpa di pura lana vergine per la raucedine del maresciallo» - il maresciallo Vanvitello detto Nonsonoelegante? è famoso per la sua inaudita eleganza fuori luogo sempre, poiché vive in divisa da parata e mantello da cerimonia tutto l'anno: forte con i deboli e fortissimo con i debolissimi ma neutro con coloro di cui non sa calcolare bene il potere reale e pertanto occulto, va in giro con guarnizioni e portamento da Passerella per l'Arma anche per fare i sopralluoghi nelle osterie. Al pensiero di incontrarlo mi tremarono le gambe: mi avrebbe schiaffato in galera solo per come ero vestito. Tutto quello che ricordo di quell'interrogatorio, sballottato fra don Pierino, il preside Longamano, la testimonianza della Belindi Velia, la faccia contrita della segretaria Brusaporci Maurizia che mi guardava e scuoteva il capo ma come in segno di compassione per me, non di sdegno, non di disprezzo, l'unica, e i due zingari coniugi e la loro spudorata mentitrice Svenska che parlava davvero di un coltello, seppur piccolo, puntatole da me alla gola appena fuori il gabinetto interno per costringerla a rientrarci dentro con me, tutto quello che ricordo, fra tutti loro e io da solo, tra smentite e ammissioni e poi il mio pianto senza più una sola parola, sono i fiocchi di neve tranquilli e indifferenti sul pino di Natale fuori che accendeva e spegneva le sue lampadine colorate nel cielo di smog color carne morta. Mi ricordo anche che, a un commento osceno della Belindi, dovetti togliermi un mocassino e lasciarglielo, se lo passarono tutti di mano in mano usando un foglio di giornale, mentre don Pierino e la madre della piccola smutandata rossiccia si erano appartati in fondo all'open-space dietro un separé di scaffali di latta; i ragazzi cominciarono a uscire a frotteialla scuola e rimasero un po' spaventati da quei visitors lì fuori a impestare l'aria, non capirono che cosa era successo, la curiosità era tanta - e le favole che vi hanno attecchito non basterebbero a essere raccolte dalla discarica pubblica di Pieve di Lombardia. Io mi ricordo che stavo dritto dentro un acquario e che niente mi era più familiare di quel luogo di alienaLione umana in cui, a colpi di arpione da un esterno che pure era innevato lì a pochi centimetri da me, sprofondavo e risalivo in superficie e facevo piroette e perdevo sangue a loro piacere. E le lampadine erano pure colorate sul pino nel riquadro del finestrone, c'era una paradossale aria di festa attorno, di felice sgomento, come avviene sempre dopo la cattura di un insospettabile e sanguinario assassino, e mentre Gesù Cristo spingeva per venire al mondo io ero già là ai piedi del Golgota che cadevo sotto la solita croce per la seconda volta in vita mia. I tre zingari furono messi alla porta e riconsegnati ai loro simili, certo con alcune garanzie di don Pierino che non aveva fatto altro che far telefonare dalla Brusaporci Maurizia a questo e a quest'altro, assessore, assistente sociale, Enel, sindaco Scaltrini compreso; il padre zingaro minacciava di andare subito a sporgere querela in caserma, la madre zingara di far ricoverare subito la Svenska per un controllo medico - mio Dio, come conoscevo la trafila e il traguardo di questi drammi della madre sulla perduta verginità della sua spudorata bambina non più vergine chissà da quanto! -, le zingare fuori presero a sputare contro la vetrata e a inveire ma il Professor Milancio, torreggiante, e cintura gialla di karaté che Dio lo benedica, prese a dare ordini a tutti e tutti gli zingari zittirono e risalirono sulle auto come se, in cambio della loro dipartita, avessero preso un appuntamento o un appartamento da quel bravuomo di Professore Milancio che tanto poteva fare e ha fatto per Pieve di Lombardia fino a oggi, migliaia e migliaia di metri quadri di nuovi immobili, tre altre banche, il Centro Fiera, due disboscamenti - e sui suoi terreni, il benemerito - per il raccordo interno del nascente Inceneritore Termonucleare, il più grande in Europa, che qui ci porterà i rifiuti tossici più importanti delle superpotenze, della Germania, della Francia, dell'Inghilterra oltre che del Milanese, e che garantiranno quattro miliardi l'anno di vitalizio alle casse dell'amministrazione comunale per agevolazioni concesse, nessun pericolo per la salute pubblica, tutto sotto controllo, gli impianti, essendo di seconda mano perché provengono da un inceneritore smantellato negli USA, sono già stati a lungo testati e garantiti a prova di bomba... e la Benita a insistere che mi aveva visto lei con i suoi occhi a uscire dai gabinetti delle femmine anche se non aveva fatto in tempo a vedere la "bambina" né a entrarvi né a uscirvi, e che, no, anche se non aveva sentito né grida di implorazione né d'altro genere, questo non vuol dire, potevo averle offerto del denaro o un bel voto o, perché no, avrei potuto ottenerne i favori proprio minacciandola col coltello, che venne descritto a serramanico, proprio lo stesso che io uso per andare a puttine nei campi, «Ma lei si rende conto delle baggianate che dice?», cominciò a scaldarsi don Pierino, ma la Belindi Benita era un treno, calmo, locale, si fermava a tutte le stazioni della vendetta e a ogni pollaio, un treno determinato ad arrivare, lento ma inesorabile, alla meta prefissata, disse che potevo averle chiuso la bocca con un pugno o, sotto la minaccia del coltello, per l'appunto, obbligata a inginocchiarsi e «... a darsi da fare col labbro leporino... che perquindi e che percui...», disse lei, io riferisco solo, io la stavo a sentire e non credevo alle mie orecchie, lo sapevano tutti che avevo addosso il coltellino perché durante i compiti in classe lo tiravo fuori e mi pdlivo le unghie, anche quelle dei piedi per protesta contro la Scanditi Loredana che si faceva quelle delle mani, perché no, non è mica peccato, ma la Belindi Velia quanta importanza mi aveva dato nelle sue fantasie malate di vecchia gallina respinta non più buona neanche a fare il brodo? E, ovvio, quel liquido biancastro sul mocassino in cui si era imbattuta ,con lo sguardo appena avevo messo fuori i piedi dai gabi] letti delle femmine... «Biancastro?», protestai debolmente io; don Pierino, che preso com'era fra dentro e fuori e telefono si rendeva conto solo adesso dell'esame del mocassino che mi stavo reinfilando nel piede scalcagnato, era così pallido di ira repressa contro di me che sembrava essere sbiancato anche nel due pezzi talare, mi tirò da parte, dietro il ficus beniamino di plastica, e mi disse, «Qui si mette male... io ho fatto di tutto... ma non so se andranno o no dai carabinieri... Gli ho già mandato la luce elettrica e l'acqua potabile nell'accampamento giù al Foro Boario, gli operai saranno già al lavoro... e poi gli mando pasti caldi per tutti due volte al giorno dalla mensa del ricovero fino a che decidono di restare qui sì, perché stavolta lo decidono loro... io non so più che fare... ma non so, ma neanche tu... tu e i tuoi raptus!». Raptus? a quali raptus si riferiva? e poi cominciò sot tovoce, «C'è stata deflorazione? e quante volte sei andato avanti e indietro? è stato almeno interruptus? e se è stata solo libidine boccale, ti ha fatto bene la scarpetta?». Libidine boccale? Scarpetta? Io lo guardavo come i miei norvegicus guardano me nel campanile quando li sto soffocando lentamente e non sanno fino a che punto intendo arrivare nel gioco, non sanno che è fino in fondo... e il preside Longamano che ripeteva sbracciandosi, mentre accanto la Belindi Benita assentiva sconsolata, «... il buon nome della scuola... il buon nome della scuola...» e don Pierino a me, ad alta voce, «Certo, tu qui dentro, vada come vada, non puoi più ripresentarti...», sentii il profondo respiro di vendetta andata a segno della Belindi, e io presi a questo punto a lacrimare in silenzio e dissi, «E' una trappola, è solo una trappola per topi...» e don Pierino, incollerito nero, «Non ha nessuna importanza che sia una trappola o no... ci sei cascato, è solo questo che conta, che ci sei cascato, lo vuoi capire o no? Dei senza Dio! Degli infedeli!», topo strangolato, farfalla trafitta, lucertola scodata, pipistrello accecato, gallo castrato, micio bianco che annaspa, mi sentivo uno zoo di uomo, e adesso però lo guardai come un coccodrillo che a occhi socchiusi affiori dalla melma: presi a fissarlo secondo me in modo subdolo, e poi cominciai a cantargliele gridando lì davanti a tutti, «Contale, guarda sulla mia faccia e contale, vedi un po' quante centinaia di migliaia di copie di Famiglie Cristiare ti ho piazzato in tutti questi anni... E a quante vecchie rimbambite coi soldi ho già insegnato a stendere uno straccio di testamento per darli a te? E quanti impianti elettrici gratis ti ho fatto in tutte le tue otto chiese? E che dire delle eutanasie di suor Lucia al ricovero? E le scope che facevo finta di riaggiustarti e che invece ti compravo nuove nuove? E adesso? Io mi conosco, io non parlo mai, io non dico mai niente, io me ne sto buono in un angolo ad aspettare il comando del padrone e del Signore, ma se mi mettono sotto torchio dal niente dirò tutto, io sono troppo buono, troppo vigliacco secondo te, ma stavolta TUTTO dirò, TUTTO... Anche quello che ti ho visto fare nel riflesso della cartoleria di tua madre!"... Magari! e don Pierino, che senza sentimenti precisi mi guardava nel mio estatico ammutolimento, sembrò leggere nel mio pensiero un sospetto di ricatto premeditato e si inalberò davanti a tutti, «Bisogna telefonare subito al Provveditorato, tanto verranno a sapere tutto lo stesso, dico bene, preside? E tu Pigliacielo intanto vai dal do*ore e ti metti in malattia già adesso per il rientro della Befana, capito?», dissi, «E se quelli lì mi aspettano a casa dietro l'angolo?», e don Pierino, «Tu non preoccuparti, va' a casa adesso», e la Benita, sprezzante, «In malattia! Dovremmo tagliarcelo, dovremmo, a quel verme lì... Già una volta ero andata a casa sua... percui un due anni fa, un giovedì, che sXera portato via per sbaglio un registro di classe... e venXe a aprirmi...», tutti si immobilizzarono per stare ad ascoltarla, io rettificai, «Era una domenica...», e lei, secca, «No, era un giovedì, che perquindi! e lui... il Professor Pigliaincielo viene a aprirmi...», e io la interruppi, «Ma quando? Ma... che sta raccontando? ma che si sta inventando questa qui? Era domenica e lei...», mi si spense la voce in gola e lei proseguì, «... quel giovedì lui viene a aprirmi, 'Oh, sì, me ne sono accorto anch'io, un momento che glielo riprendo', mi fa, sale su, e perquindi sento che dice, 'Hai misurato la febbre?', ridiscende col registro in mano e a metà scala dopo pochi secondi non appare una bambina a piedi nudi?... avrà avuto un dieci dodici anni... una bambina solo in mutandine, di carnagione non abbronzata ma come dire? arrugginita, scura, negra...» - la Belindi aveva già fatto suo l'infame pettegolezzo della dottoressa T. che di lì a pochi giorni mi avreb be riferito don Pierino? o, pensandoci col senno di poi, stava dando a LUI una dritta insperata da mettere in bocca alla dottoressa T. per immetterne poi la diabolica radice nel mio cervello così avido di vita che gli andava bene anche una vita non sua, anche una gloriosa fandonia sul suo conto? Non lo saprò mai, ma io in quel momento non potevo sapere dove quella serpe della Belindi andava a pescare dettagli simili - «... e che perquindi non vedo in faccia, solo fino al busto... non del tutto sviluppata, ripeto, una bambina dunque... con un termometro in mano... questo qui si girò di scatto, la vide e mi si parò davanti per impedirmi di vedere di più, di vedere la faccia della puttina, e mi buttò fuori in malomodo tirandomi il registro al volo...». Don Pierino si voltò verso di me, alzò la destra, spostò il braccio all'indietro e mi colpì in piena faccia con uno schiaffo rabbioso che mi mandò a sedere sulla sedia girevole della segretaria Brusaporci Maurizia, «Non è vero, si sta inventando tutto perché... perché io non ne ho voluto sapere di lei... del suo intingolo...», non sapevo più che dire, «In-tingo-lo?» scandì il preside Longamano, tutti fecero una faccia lunga e sgranarono gli occhi, e così non mi restò che borbottare, «Falsa! falsa!», per farmi capire meglio, e in quel momento squillò il telefono, la segretaria Brusaporci Maurizia sollevò la cornetta, stette a ascoltare, disse, «Un attimino, maestra», coprì il ricevitore con la mano e disse a don Pierino, «E' la maestra Francesca, ha saputo qualcosa dal professor Milancio si vede, il professor Milancio le ha detto di chiamare subito lei, don Pierino, che faccio?», «Dia qua», disse imperioso don Pierino, e intanto diceva alla Belindi Velia, «Bidella, lei è più necessaria a scopare fuori che dentro...», e la Benita, scoprendo tutte le sue carte, cioé che non bisognava dimenticare che lei aveva le chiavi di casa dell'onorevole Piedini per tenergliela in ordine quando lui era a Roma, disse con voce chioccia e maligna, «Questo lo dice lei, don Pierino. Io non sono qui solo per scopare o per non ~X scopare, perquindi e percui io resto qui fino a che Cristo non ci illumini», e certo già stava pensando ai riflettori delle telecamere di TeleVita voluta dall'onorevole Piedini, ] e lo fissò pronta anche a confrontarsi con lui in una lotta greco-romana fuori sulla neve per vedere chi era più cristiano dei due, se necessario. Don Pierino sospirò prese la cornetta e disse, «Oh, maestra Francesca, che piacere sentirti!». Era la T., la moglie del commercialista T., la mia vicina di casa. Si stava muovendo tutto; il paese che conta, tutta la Democrazia Cristiana quando, temendo per sé attraverso le pecche, false o inventate, di un suo rappresentante messo alle strette con un criminale stratagemma, sapeva ancora fargli davvero cristianamente quadrato attorno fino a trasformare l'inverosimile in verosimilmente fatto ad arte e poi in falso lampante, in una ripugnantf congiura comunista. Altri tempi! A me, che aspettavolsfiduciato un verdetto qualsiasi, il vero o il falso mi era indifferente, volevo solo andare a casa mia e tirare giù la botola e inginocchiarmi e pregare, pregare, pregare. Ma avevo paura di un'irruzione degli zingari, volevo aspettare don Pierino, anche perché volevo dirgli qualcosa, finalmente, qualcosa che lo costringesse a proteggermi bene, non in qualche modo. In un manicomio qualsiasi anche subito, ma in una prigione italiana mai. Matto sì, cretino del tutto no. Io da vivo ci tenevo alla mia reputazione, ed è solo per sprezzo verso l'umanità che, facendomi trovare così conciato come mi troveranno, col reggipetto trafugato a fior di pelle e Sfinge nelle mutande e tutto, ho deciso di far vedere che non me ne frega niente di quello che penseranno di me da morto. Così, io dietro sulla mia Cinquecento, lui davanti sulla sua diplomatica blu a vetri bruniti, lasciata la scuola, le due auto arrivarono nella piazzetta del Teatro Sociale, scesi dalla mia, salii sulla sua, «Hai visto che non c'è nessuno a farti la posta? E adesso vattene a casa, non voglio che la maestra Francesca e suo marito mi vedano a fare la stessa strada con te, non devono sospettare che...», che era mio complice involontariamente? Aveva un fare remoto, esoterico, mi stava trattando alla stessa stregua di uno di quegli zingari là o, peggio, di un peccatore imperdonabile, colui che, invece di contenersi nella meravigliosa, virile, purificatrice cornice del confessionale, era stato così sciocco da dilagarne fuori, prestando il fianco alla mediocre, corruttrice, femminile pennellata del pettegolezzo di piazza. Neanche l'avessi fatto per sfizio. «Tu troppe cose non mi hai confessato...», disse don Pierino, «... hai fatto male...», «Ma io... io... io», cominciai a balbettare, «Anche le bambine adesso, le bambine! Esci dalla mia macchina!», ingiunse secco, stavo per ubbidire, mi trattenne per una manica, e poi più calmo, «I bambini pazienza, ma le bambine... le bambine sono cose da... proprio cose da pervertito, da uomini profani e sacrileghi... passi per i bambini ma le bambine! I sagrestani e i preti, e mi dispiace doverlo ammettere, se la sono sempre fatta con i bambini da che cresima è cresima sempre, ma con le bambine... no, bisogna proprio essere bacati in testa... Un sagrestano, un prete, può palpare un bambino o tutti i bambini della parrocchia e nessuno ha mai avuto niente da dire, sia che si sapesse sia che non si sapesse, si sa... ma palpare, anzi, solo toccare una bambina! Ma già, tu non sei che un sagrestano venuto male, un sagrestano a metà...», non mi aveva mai parlato così, tanto che non sembrava neppure parlare a me ma ai piccioni sulla neve nerastra del piazzale. Io, zitto. Lui sembrò armarsi di santa pazienza. «La...», disse, «La...» ridisse. Seguì una pausa in un silenzio di Chiesa. «La sai, no, la barzelletta del sagrestano che va a con- 1, fessarsi dal suo stesso parroco...», io scattai contro il sedile nel sentire improvvisamente quella sua voce sfor- X biciare arcana il leggero vapore dell'abitacolo e allo stes- q so tempo rimasi di sasso, mi raggomitolai ancora più terrorizzato da quella atmosfera di astrale confidenza, sembrava un marziano che pensava a voce alta, «... un quarantacinque anni fa un sagrestano va a confessarsi dal suo stesso parroco e gli dice, padre, stavolta ah stavolta l'ho fatta proprio grossa, e il prete, dimmi figliolo, avanti figliolo, ah, padre, fa lui, è così grossa che Dio non miWi concederà il Suo perdono, ndi toglierà la Sua grazia, ma che dici, figlio mio, gli fa il prete, abbi fiducia nella mise ricordia del Signore, su, dimmi, che cosa ti è successo, 'ah, padre, che vergogna, che vergogna, io non oso, io... io... io... » - don Pierino raccontava senza distogliere i begli occhiali d'oro dalla targa dell'Ancr e in quell'io io io sentii l'eco del coniglio dentro di me - «... e il prqte gli dice, ma benedetto Giacomone...» - tossicchiò, coibe se quel nome gli fosse sfuggito fra il capriccio di dirlo e la volontà di tacerlo: il Giacomone, quello che era venuto a portarmi la cartolina precetto e si era seduto maldestra mente sul mio letto? - «... guarda la coda di fedeli che c'è dietro a te, deciditi una buona volta, apri il tuo cuore al Signore, su', e il sagrestano si raschia la gola, perde tempo, che è sempre sacrosanto, e poi dice, 'Vede, padre... ah, ma no, è troppo, troppo grossa, non ci rie sco', e il prete, 'Su, io sono qui ad ascoltarti e pronto a capire e a interpretare la volontà del Signore e la volontà del Signore è sempre più buona di quanto possiamo mai pensare noi umili peccatori, su, andiamo che c'è ressa, dimmi e va' a raccogliere le offerte..., 'Vede, padre', fa il sagrestano, 'Iei, padre, lei ha presente Pierino il figlio della cartolaia, quello che va per i dodici, tutto riccioli no, sempre in pantaloncini corti, con quelle belle co sciotte, la canottierina sbrindellata...', 'Sì, come no, viene a servire messa, lo conosco sì, il Pierino, vuole diventare prete anche lui', dice l'abate facendo mente locale, e il sagrestano, 'Vede, padre, l'altro giorno... in sagrestia... il Pierino era lì... e si era appena tolto la tunichetta bianca e sotto era a torace nudo e solo in mutandini e io... oh, padre, l'ho fatta grossa, ma così grossa, oh, Dio avrà pietà di me?' e il prete, sospirando, 'Dio è infinito nella sua misericordia' eccetera, e il sagrestano riattacca, 'Padre, lei sa che bei ricciolini neri abbia Pierino, che bel personalino, che bella carnagione candida, che belle meline che ha di dietro...', e il prete sospira paziente e si fa il segno della croce e dice, 'Anni così pochi si hanno una volta sola nella vita, ma va' avanti figliolo, dimmi', 'Be', fa il sagrestano, 'io non c'ho visto più e...', 'E cosa?', fa il prete, 'Oh padre', fa il sagrestano, 'ho commesso un atto impuro così ignobile, ma così... ah, che vergogna, non mi merito che l'Inferno...', 'E cosa?', insiste il parroco, 'Dai, che c'è la chiesa intasata di gente che vuole confessarsi, su, dimmi, sputa il rospo' , e il sagrestano, 'Io, padre, ho preso Pierino e sono andato contro natura: l'ho inculato di brutto e poi gliel'ho anche messo in bocca per farmi fare la scarpetta, ecco...'» - solo adesso capivo quel suo riferimento di poco prima, quando mi aveva chiesto se la Leprina con me si era comportata da calzolaia ligia alle rifiniture - «... e il prete, 'Cosa?', grida fuori di sé, 'Cosa?', grida più forte scattando in piedi, 'Ah, sciagurato, sventurato, ma come hai potuto? come hai fatto a fare una cosa così a Pierino, incularlo!? Come hai fatto che non sta mai fermo un momento? ! '» Tacque, si tolse gli occhiali, vi alitò sopra e prese a pulirli con una pezzuola di daino. Perché aveva cominciato quella brutta storiella tenendoci tanto a farmi sapere che era accaduta un quarantacinque anni prima? Visto che non faceva ridere, doveva far meditare? Era la parabola di qualcosa? Si trattava del Pierino figlio della stessa cartolaia che per prima aveva introdotto in Pieve di Lombardia la rivoluzionaria penna Bic e che diceva che da grande il suo unico figlio sarebbe diventato Papa entro il 2000? E il Giacomone sagrestano era il Lunardoni padre dell'attuale Battista sagrestano mio rivale? Era andando a uomini che gli uomini facevano carriera nei ranghi della Chiesa facendola fare anche ai loro figli? Fu come se Sodoma, il pianeta Uranio e piazza Affari di Milano mi si gonfiassero e mi si sdrucissero in testa tutti insieme (e adesso, una volta a capo della Diocesi di San Giownni in Laterano, sarà uno scherzo da prete per don Pierino passare in un fiat dal cappello arcivescovile alla porpora cardinalizia, l'età per pontificare ce l'ha, ce l'aveva da sempre nel putrido sangue calcificato di immondo sepolcro imbiancato... Questo sì. Questo si't'ì? Ma come vai pensando tutto in un attimo? Vergognati! Ma no, dicevo così, non~é per criticarlo, me ne guardi Iddio: constato solo una Jondizione ecumenica per guidare le greggi, o san Pietro). Don Pierino prese fiato, i finestrini erano semiappannati, io mi sono sturato l'orecchio con l'indice perché non credevo a quello che mi si era trasmesso alla zucca e in questa pausa glaciale, ecco che don Pierino, come ritornando in sé, dice, «Me l'ha raccontata quello stesso sagrestano, il Giacomone della barzelletta, che credi? IL sagrestano se la fece con Pierino il figlio della cartolaia per altri cinque anni e era normale per la cartolaia che il suo Pierino, orfano di guerra, talvolta restasse a dormire dal sagrestano e, normale o non normale, il suo Pierino intanto si sistemava, andava qui dai Fratini di Nazaret» questo me lo ricordo bene anch'io, ai tempi dei miei orecchioni il mio catechista col tic della grattata improvvida e furiosa al sottopancia era lui - «faceva il seminario, faceva carriera, un paio di volte si lasciò acciuffare anche dal Padre Direttore pacioccone e pastrucchione e voilà come per miracolo veniva ordinato sacerdote. Ma una bambina no... una bambina che carriera può fare con un sagrestano o un prete... una bambina è tabù... e che si venga a sapere, per giunta, di una bambina è sciagura, ma di una zingarella è pura imbecillità... Sei tale e quale spaccato a tuo padre, ma almeno lui sapeva fare pignatte e coperchi, non era un ipocrita a metà, lui! Sei proprio il classico figlio del prete, te! Sei la peggiore nemesi che esista all'interno della Chiesa: la nemesi sessuale di un prete che va a bambine sommata a quella ancor peggio del prete che va a bambine che hanno già partorito precedentemente col collega più vecchio che, con la scusa della reciproca confessione, gli ha passato la dritta sulla donzelletta che vien dalla campagna e va sul sicuro! Tua madre era una fanciullina che portava una dozzina di uova in canonica e poi una madre con una figlioletta di sette anni in braccio che portava una gallina alla perpetua per la mensa del suo vecchio seduttore senza sapere che a aspettarla ce n'era uno nuovo di zecca... Che preti viziosi! Con le bambine... con le donne... con le ragazze madri... E tu, con una zingara, farsi beccare con una zingara, poi! Esci dalla mia auto, cretino, esci subito o impara a assumerti le colpe che non hai se sei un vero difensore della Causa dei Padri!», mi ingiunse con ogni disprezzo possibile e mi colse così impreparato e pietrificato dalla rivelazione che lo spintone che mi diede mi fece piegare a peso morto contro la portiera, che aprii battendo la tempia contro la maniglia, mi raddrizzai più intontito di prima, e lui ringhiava, «E non farmi domande, capito? Qui lo dico e qui lo nego: il prete da cui è andato a confessarsi il sagrestano non era tuo padre, sta' tranquillo, e neanche quell'altro di tua sorellastra prima di te... Dietro alle vestine anche tu! sei un bastardo vizioso pervertito come loro due, esci dalla mia auto... Andare a puttine! dei preti e un quasi sagrestano che vanno a put- 1 tine! E' un sacrilegio contro la storia della carne evangeli- 1 ca! E i bambini, allora, che ci starebbero a fare? Quelli mica devono partorire, ma una bambina sì, e con un prete è rovinata per sempre, questo la Chiesa non lo ammette, e che si sappia, che si sappia, poi! Te, caro mio, te ti arrangerai con la legge, stavolta, ti arrangerai da solo...», ed ecco che, carpendo il suo sguardo e guardandolo fisso senza staccarmene un secondo, comincio io a parlargli automaticamente mentre il cristallo si deterge lentamente dal vapore dei fiati davanti a noi, «Don Puripurini... don Pierino, vialevo dire... sa, all'ospizio? Ioho capito sin dal primo giorno che quella era l'iniziazione | ai misteri della Chiesa e di Dio e quindi al ministe ro della Morte, una specie di investitura, la prova del nove e del fuoco per vedere se ero degno di essere irreggimentato ] o no non solo fra i manovali, ma fra gli ufficiali cassieri di Cristo... 'Ma suor Lucia, l'Attanasio re pira ancora', le dissi quando per la prima e non ultima lolta vidi le tenaglie appannarglisi in bocca al morto, 'Da' qua, cagasotto', mi disse suor Lucia strappandomele di mano e poi disse, 'Cosa vuoi che respiri e respiri? Perché mai dovrebbe respirare uno di novant'anni con quel bisogno di posti-letto che abbiamo? Eh, perché? Questo qua respira come te...' e io, 'Però... a me... sembra che...', suor Lucia ci diede un taglio, 'Tua nonna respirat' . in un istante rividi la madre di don Trenta che stava prepa rando la tavola per suo figlio abate, io magari le avevo appena cavato il secchio d'acqua dal pozzo o pulito la voliera delle tortore o le avevo sminuzzato i rami con le ginocchia per farne legna, io allora avevo sempre fame, e malinconica, la mestizia fattasi persona e poi santa, mi diceva, 'Vuoi bene a don Trenta, Pino?', 'Sì, signora Andreina', e stendeva la bella tovaglietta di cotone bian co traforata e poi ci metteva sopra le due caraffine splen denti di olio e di aceto e poi tirava fuori dalla credenza un bicchiere per il vino e uno per l'acqua, 'Anche don Trenta vuole bene al suo caro Pino', continuava un po' svanita nel discorso ma molto attenta nella preparazione di quell'altarino da eterna penultima cena, e disponeva il coltello e il cucchiaio da una parte e la forchetta dall'altra e al centro poneva con ogni delicatezza un piatto e una fondina di bianchissima porcellana, tutto scintillava di una luce celeste, e quando apriva la porta della cucina e l'odorino di arrosto e di pastasciutta e di verdure cotte cominciava a entrarmi nel naso io chiudevo gli occhi, e l'anziana signora continuava, 'Anche tu da grande farai il sacerdote di Cristo?', io non avevo mai mangiato le tagliatelle al salmì di lepre, 'Sì, signora Andreina', rispondevo, ed ecco che appariva fra le sue mani e poi sulla tovaglia una ciotola di cristallo piena di insalatine che mi facevano sbattere la lingua contro il palato tanta era l'acquolina in bocca da deglutire, 'Sì', dicevo alle insalatine e agli aromi di buono e, affamato com'ero, mi dicevo anche, un giorno o l'altro questa nonna misericordiosa vedrà tutti i piaceri che le faccio e mi dirà, 'Resti a cena con noi, Pino? Ti andrebbe una fettina di cappello del prete con la salsa verde? Una fettina di lingua salmistrata col puré di patate? Una coscia di agnello di Dio arrosto con patatine novelle? Stasera abbiamo anche un frutto della Passione a testa portatici da un caro missionario alla Croce del Sud mentre per innaffiare il tutto ci pensa un frate dominicano dell'Alhambra, ci porta una cassa di birra Corona bella ghiacciata', ma questo non è mai successo una volta e poi sentivamo il rumore della porta d'entrata, il primo scalpiccio, 'Oh cielo, il mio don Trenta! Va', Pino, adesso, va", e prendeva un crostino di pane biscotto già preparato in precedenza, ci metteva lesta una punta di coltello di strutto di maiale e mettendomela in tasca mi mormorava agitatissima, 'Non dirlo a don Trenta, lui è come un padre per te, non vuole che ti vizio', ... sì, volevo dire a suor Lucia, mia nonna per respirare respirava, ma respirava per sé, per me mai una sola volta, lei il fiato era buona solo a togliermelo, era della stessa stirpe delle Bentivoglio, quella petenfia... e suor Lucia fece leva sui manici per quel poco che restavano fuori dalla mandibola inferiore, 'Ecco fatto', disse agitandomi sotto il naso il dente d'oro stretto nei magli delle tenaglie e il vecchio Sculati Attanasio, mi ricordo ancora come si chiamava per intero, diede in un rantolo, sbatté le gambine nude già sotto il sudario e spirò al cento per cento. Io la guardai mica twto convinto di quello che aveva detto e fatto... Fosse o non fosse che lo Sculati Attanasio stava respirando ancora, io respiravo eccome, lei sbatté le ciglia, tirò gli angoli della bocca per sorridere della fallacia umana e portò le estremità delle spalle in su come a dire, 'Be', che c'é? Ci si può sbagliare tutti nella vita no? Comunque avevo ragione io: adesso non r spira più', alzò le zeppettine di sughero nero e se ne anXò. Se ci sono stati dei casi di eutanasia all'ospizio sono partiti da lì, da quel giorno lì. Io però, con gli altri eventuali, non c'entro. Perché, vede don Puripurini... don Pierino, volevo dire, morti strane ce ne sono state parecchie e tutte di vecchi e di vecchie che, se andassimo a riesumare certi dettagli, salterebbe fuori che... sì, la carenza dei posti-letto va bene e che a insegnargli a fare la propria firma su un pezzo di carta gli avevo insegnato io, anche, ma i loro soldi non sono finiti nelle mie tasche di Pipino ma nelle tue mani di Pierino bucate non certo dalle stigmate..." Magari! lui era, per la prima volta in vita mia, dentro la morsa del mio sguardo un po' così, ma lo distolsi per la paura che mi venne dal fargli paura senza sapere da dove mi veniva quella sensazione di fargliela, ecco, guardai fuori, e poi lo sorvolai di nuovo con uno sguardo meno intenso, ebbe come una scossa e la voce tutta di stomaco di don Pierino tuonò svegliando anche me di soprassalto da una strana catalessi da sveglio, «Che hai da guardarmi lì imbambolato? Che hai da fissarmi così che mi fai uscire pazzo, scendi, ti ho detto, scendi, porco, e va' a lavarti che puzzi di latrina all'aperto!», don Pierino perdeva un filino di bava dalla bocca e, la testa rivoltata verso di me, recuperai il suo sguardo, lo catturai con una specie di totale quanto inconsapevole intensità, come trattenendolo malignamente, e nel giro di tre secondi prese a fissarmi di nuovo in un mutismo insolito e, mio Dio, mi sembrava che stesse diventando del tutto strabico, le palle degli occhi stavano per scomparirgli nella coda esterna e poi ritornarono al centro e ruotarono in su, per convergere poi entrambe verso il naso; terrorizzato distolsi lo sguardo del tutto e in un istante lui mi tirò giù dal mio discorso a mente dandomi uno strattone, poi un altro e infine una scrollata che mi fece aprire del tutto la portiera e poi Puripurini Pierino aggiunse anche lui qualcosa di sibillino come la mia vecchia maestra Pola, «Smettila di guardarmi così che mi fai venire il mal di mare!», «Io?», e lui, «Ho capito sai? Ho capito che cerchi di guardarmi come io guardo te... ma io ne ho il diritto, tu no... ricordatelo, Pipino! Tu non mi spaventi, somarello... questa tonaca Dio me l'ha data e guai a chi me la tocca...», e detto da lui, che non si giustificava mai di niente, risuonò in me enormemente, come una polizza di assicurazione anche sul peggiore dei miei peccati, quello che lui non avrebbe avuto mai l'ingenuità di commettere: quello trapelato. E poi una vocina interna mi confortò però spaventandomi: "Sta soltanto mettendo le mani in avanti, l'abate infinocchiato da chierichetto, sta deviando su di te un ennesimo colpo che spetta a lui prendersi, nel caso si abbatta. Questa linea di demarcazione fra bambini e bambine, fra peccati veniali e peccati mortali... Sta' in guardia, Pino, paralo...", anche se non avevo alcuna idea di che colpo si trattasse e da dove e da chi mi sarebbe 73 calato addosso. Aveva ragione solo su una cosa, don Pierino: che puz- 31 zavo di verro mal castrato. Di piscia. Dalla testa ai mocassini. Tuttavia il mio modo babbeo di fissarlo a qualcosa è q servito, lui è sceso dall'auto con me e abbiamo fatto il breve percorso fino quasi a casa mia insieme, e questo suo gesto di lungimirante premura mi ha dato sicurezza, e la certezza che mi avrebbe protetto fino in fondo, anche solo per amorpropricWse non per amor mio, non voleva essere dribblato da uno scandalo inaspettato e addirittura mio, tutto mio; e io me ne stavo andando per la mia stradina e lui gìà che c'era suonava alla dimora dei T. - ma no, i T. non erano in casa, anche se la Citroen era nel cortiletto già provvista di portasci per le vacanze di fine anno, e neppure c'erano zingari ad aspettarmi wi due imbocchi del mio vicolo -, quando ci accadde di iocrociare fuggevolmente lo sguardo prima che ci congedassimo senza una parola di saluto: ebbi come l'impressione di essere avanzato di grado ai suoi occhi che sconvolgono e confondono i dati dell'imperscrutabile giustizia divina applicata agli uomini. Da sospetto maniaco zezzuale vago di puttine e perfino di zingarelline ero alla fine, ma da silente ricattatore di prete e di suora pronto a vuotare il sacco in caserma non ero che all'inizio. L'avrei svuotato seppur per sfinimento e debolezza non certo per libera iniziativa né per convinzione, ma lui capì che avrei cantato, e in pochi minuti ebbi la sensazione che ai suoi occhi il suo idiota preferito del villaggio, minacciando l'occhio per occhio dente per dente, fosse diventato un uomo di Dio a pieno titolo. Certo perché quando un uomo di Chiesa è messo spalle al muro, Dio diventa un tiraemolla che arriva anche a un poverello come me, se osa alzare gli occhi e raccattare i denti da terra. Mi sorrise, quasi da pari a pari, e al contempo il suo sguardo mi disse, "Sei un Caino". Gli ero diventato teologicamente utile. Non sapevo ancora che mi mancava solo un'altra, esemplare infamia già a lievitare da mesi e lì lì per essere sfornata per diventare anche un uomo di mondo, un cittadino come gli altri, una persona sociale fidata, un cattolico praticante a pieno titolo, un uomo con una vita non solo non sua, ma addirittura con la doppia vita di qualcun altro! Quella sera del patto silente fra me e don Pierino a proposito della Leprina, sbirciai fuori dalla finestra sulla stradina e, posteggiata proprio sotto la finestra della vecchia Alice ma contro il muro del campanile, vidi una confortante camionetta dei carabinieri, luce accesa, con su due agenti che fumavano tranquillamente e facevano le parole crociate a motore acceso. Ci rimasero quattro giorni e quattro notti, io non uscii mai, mi diedi a letto ammalato ai bronchi, niente ospizio, niente rosario, le due finestrelle chiuse, buio, tutto buio, immobile sulla branda sotto il mio Crocefisso, anche se la manina bella non mi stava mai ferma dentro i mutandoni lunghi, agitata dalla mente in fiamme al ricordo di quell'Occhia fulva dalle ciglia crespe, umide, schifose... A raccontarli senza il senno di poi, che tuttora non so se ce l'ho e neppure se lo voglio davvero avere, alla vigilia di Natale i pettegolezzi sul mio conto propalati dalla maestra T. Francesca dentro chissà quanti altri oltre che nell'orecchio paziente e impaziente di don Pierino che venne poi a riferirmeli il tempo di uscire dal cancello dei T. e bussare violentemente alla mia porticina, ammontarono a un complotto di una tale bizantina perfezione che ancora mi chiedo se ne ero degno. Don Pierino batteva i pugni sulla porta, «Apri, Pino, so che sei lì», gridava dentro la serratura. Fui costretto ad accendere la luce, a fare la scala a quattro zampe, e poi lui entrò a razzo, montò sulla scala, superò la botola e mi ordinò, in casa mia, di salire e di sedermi e intanto spalancava anche la finestra sull'esterno sbuffando, «Dio, che puzza». Dunque, mi disse senza preamboli, prima di far visita a me era stato dentro dai T. per una chiacchierata a quattr'occhi con lei e il dottor commercialista marito della sua signora. C'erano un paio di novità sul mio conto, certo non veniva da me per sentirsele confermate, inutile ckiedere all'oste se il vino è buono, del resto, disse, perdi già le goccioline di sudore, eh? Avevo appena fatto in tempo a togliermi tonaca e reggipetto sopra, a nascondere l'empio Crocefisso sotto il materasso, ad aprire la finestra sull'interno per far cambiare in parte l'aria stagna di umori di vecchio Avevo perso il conto dei giorni e delle notti in cui mi ero esilarato nella più cieca e sfibrante solitudine. £ don Pierino attaccò. La maestra T. Francesca gli aveva riferito che io, riguardo a molestie su bambine, non ero nuovo a imprese di questo tipo, e fin qui, be', me l'ero immaginato anch'io; forse lei, la signora T. Francesca, non gli stava dicendo niente di nuovo, a don Pierino, ma don Pierino forse non sapeva che un tre lustri e qualcosa prima questo suo vicino in effetti, cioé io, be', si era mormorato... si era detto... i suoi suoceri T. avevano sentito con le loro orecchie provenire dalla finestra della Pigliacielo certe grida infantili, certe accuse a squarciagola e che già allora, io, nella persona di mia nipote Aida, figlia come tutti sanno della Matilde Beona che vegetava su nella stanzina della Pro Loco sotto la cinta del Castello Bonoris, avevo rivelato certi istinti, certe tendenze compromettenti, l'accusa di questa piccola zingara non era infondata, non era tutta una montatura della sua carovana per passare bene le feste al caldo e senza fanatici che gli versavano una tanica di benzina sotto la roulotte e poi gli davano fuoco come era già successo anche se la cosa non era mai arrivata ai giornali, e che se lei, la zingarella Koky, il Pigliacielo l'avesse, mi avesse ufficialmente denunciato ai carabinieri, essi avrebbero creduto alla Svenska Koky se diceva che a scuola io le ero saltato addosso nel gabinetto delle femmine e l'avevo o... o anche... sebbene bastasse che... quel fiocco bianco di carta crespa in possesso della bidella Belindi, quella macchia nel nodo... sul mocassino... se esaminata scientificamente... ma che poi meglio che chiederlo direttamente alla sorella del Pigliacielo, alla Matilde, non c'era, no? Certo, aveva continuato la maestra T. secondo il reso conto che me ne stava facendo don Pierino, per tante ragioni la sorellastra Pigliacielo avrebbe potuto tergiversa ,~re, o dire che eravamo matti tutti, che non era questa la Fragione per cui non aveva mai più voluto vedermi, che si impicciassero degli affari loro, sempre che la Tilde Beona non fosse già via di testa a tal punto da non capire nem meno che cosa le si stava chiedendo... e che don Pierino poteva tentare di parlarle, la visita di un parroco avrebbe allarmato quell'alcolizzata meno di quella di un marescial lo: perché Kam Koky e sua moglie, e praticamente tutti e quanti gli altri diciannove della tribù lì al Foro Boario, avevano sporto formale denuncia e intendevano andare fino in fondo rivolgendosi se necessario anche al Tribu nale di Strasburgo per avere giustizia. C'era lo zampino, ol tre che i soldi e la consulenza penalista, dei Radicali. Quanto a lei, quel poco che sapeva, l'aveva già detto al maresciallo Vanvitello, però aveva subito specificato che poteva anche essere stata tutta un'illusione - una montatu ra - dei suoi suoceri T. entrambi defunti riguardo alle grida della piccola nipote del Pigliacielo, la Aida Strisciotti. Io sentii la sedia traballarmi sotto e poi caddi all'in- I dietro, ma la stufa, per fortuna spenta, mi fermò. Don 1 Pierino non si fermò, lui. ~. Bisognava evitarle uno shock, alla Matilde Beona, a ecco, era andata avanti la maestra T. Francesca, andando per gradi la divisa di un prete è sempre più familiare di quella di un carabiniere, sempre se dovevo prestare fede al ben dettagliato riassunto di don Pierino, e non avevo ragione di non prestargliela, la maestra T. aveva suggerito, dunque, che forse lui, don Pierino, per non dire la cara signorina Bentivoglio Giuseppina dalla quale la Pigliacielo era stata tanti,+nni a servizio... forse Lui Medesimo o Ella sapeva qualcosa di più preciso su questa mia neppur tanto remota molestia alla mia unica nipotinaInsomma: ero già al palo.3 Quand'ecco che don Pierino si presta a scoccare per 3' conto della maestra T. l'ultima scintilla di una bomba per 1 me del tutto nascosta fra il suo atavico fiele e odio nei confronti del suo indesiderato spino nel fiancot e mi sembra di sentirla dirgli, «Ma questo è niente, don Pierino... c'è ben altro, oltre alla nipotina e alla zingarellina, di molto più recente, possibile che lei non ne sia al corrente?» Mi sembra di vederla la maestra Francesca T., laureatasi di fresco intanto che allattava l'Annalisa, la sua seconda, e che già stava preparandosi a scendere a Roma per il concorso al posto di Direttrice Didattica, una carica istituzionale considerata pari a quella di un Pubblico Ministero, mi pare di vederla, la signora del suo commercialista T. mentre si alza, magra, alta, severa, i capelli neri accorciati di un altro po' , quasi seccata dalla sua regale bellezza già provata dalle preoccupazioni della comune mortale ancora troppo femminile e ancora troppo poco altera, troppo poco istituzionalizzata per la poltrona che certamente avrebbe dovuto occupare prima o poi in Parlamento, mi sembra di vederla guardare in faccia don Pierino, sorvolare poi il marito con uno sguardo di rassegnazione come a dire, è venuto il momento di dirlo anche se è una verità che non ci riguarda, ma questa è la verità, e potrebbe toccarci, sporcare anche noi altri, la nostra Leonora, ecco che bell'esemplare di vicino di casa che abbiamo, ecco chi incontra la nostra bambina quando entra ed esce di casa, caro don Pierino, e mi sembra di sentirla allorché scandisce, «Si dice anche che sia il Pino Pigliacielo il vero padre di Rachida, la figlia della Zamira Mucchetti, la piccola somala italiana dal seduttore ignoto...» - lo schienale venne afferrato dallo spigolo della stufa, battei leggermente la nuca - «La giovane puerpera era in maternità con me quando ho avuto la mia Annalisa... sa anche lei, don Pierino, che da due anni le due sorelle vivono temporaneamente qui dalle suore del Merici, la Zamira la più piccola e sua sorella più grande Aminta, e senza neppure essere mai state ancora battezzate, si vogliono italiane e musulmane a un tempo, che controsenso. Questa Aminta la prende per le lunghe, è una furbacchiona di una, dice che vuole la madre etiope con sé in quel santo giorno dei sacramenti, e che i genitori non le vogliono più indietro perché là adesso si muore di fame e di guerra, e lo sa anche lei, don Pierino, che adesso bisognerà trovargli una sistemazione a tutte e tre 'ste figliole infante compresa, mica le possiamo tenere più all'ex orfanotrofio Merici, sa che il nuovo piano regolatore prevede di farci la clinica no profit del dottor Angelucci, bell'esempio per le altre giovani in custodia e orfanelle a perdere quella neonata fra capo e collo da allattare per la Zamira alla sua età... quattordici anni! Se lei considera che il Pigliacielo aveva libero accesso al Merici per via dei fili elettrici e dei lampadari e un paio di volte come insegnante di telaio e che la piccola Mucchetti è rimasta incinta a tredici anni neanche un anno fa e che fuorì è andata solo sotto scorta di sua 1 sorella Aminta, che al Merici altri uomini che circolano S non ce ne sono...» - se anche la maestra T. Francesca avesse aggiunto, "a parte lei, don Pierino, e a parte il Lunardoni", lui non me l'avrebbe certo riferito, nemme- i no a don Pierino conviene essere, seppur sbadatamente, considerato un uomo a tutti gli effetti - «... e se pensa che la Zamira Mucchetti l'ultimo anno delle medie ha avuto il Pigliacielo come insegnante di Inglese, e se pensa che le tre suore rimaste portano personalmente 1 loro le ragazzine avanti e indietro dall'ex orfanotrofio | alla scuola o le affidano al,pullmino...», e il T. marito ] della sua signora, turbato dalla piega che quella pulce gli stava prendendo nell'orecchio, le avrà detto, alla sua signora del commercialista, "Ma te l'ha detto lei stessa, questa Zamira stessa, che è stato lui, il nostro vicino o cosa?", e me lo vedo che gli trema improvvisamente il;, labbro, al pensiero che qualcosa di simile possa suscede re alla sua Leonora signorina da poco, e la sua siXgnora1 del commercialista, ah, mi sembra di sentirla proprio come se origliassi dentro la nicchia in questo stesso istan te, «No, la piccola Mucchetti non l'ha voluto mai dire a nessuno chi è il padre, nemmeno a sua sorella Aminta, sembra... forse è terrorizzata... ma ce l'avevo in stanza in Maternità con me, certe allusioni, certi ammicchii quan do sentiva suonare le campane... quando le sono venute le doglie s'è messa a mormorare 'Din don, din don', forse si sente minacciata... Si sa solo che questo immon do che l'ha messa incinta le aveva dato i soldi per aborti re dicendole di andare subito, in gran riservatezza, a casa del dottor Angelucci, che malignità intemerata! Come se il dottor Angelucci acconsentisse a certe pratiche! IL dot tor Angelucci, don Pierino, niente di meno! IL Dioticuri ancora ancora, ma il dottor Angelucci, prossimo a diven tare Professore al Centro Ricerca Tumori! Sarebbe come dire che gli asini hanno preso a volare. Tu, maritino mio, tira le somme e vedremo se un po' di ragione non ce l'ho, che il colpevole, che il padre della negrettina è il Pigliacielo qui accanto sotto lo stesso tetto». E qui don Pierino smise di rifare il verso alla conversazione avuta con la T. e disse, «E lei ha sottolineato qui accanto sotto lo stesso tetto, capito, Pino? Le disgrazie non vengono mai da sole», io avrei voluto usarmi per accendere la stufa, visto che non avevo neanche la forza di alzarmi per andare a chiudere almeno una delle due finestre, e poi don Pierino aggiunse, «Abbi fede in me, fa' esattamente come ti dico io... no, non serve a niente protestare, non professarti innocente, MAI, peggiori solo le cose. Credi a me, sistemo tutto io. E tu, promettimi che non dirai una sola parola alla maestra Francesca, che non le chiederai spiegazioni, questo non potrei mai e poi mai perdonartelo, e poi sappi che lei, volente o nolente, sta dalla nostra, dalla tua parte, lo capisci il perché no? Politica», feci di sì col mento. «Giura su questa Sacra Bibbia che tu non dirai né bah né boh ai tuoi vicini», tirò fuori di tasca il messale, mi prese la destra, me la appoggiò sopra e io dissi, «Giuro». La mia unica difesa era rinunciare cristianamente ad averne una, il mio unico scampo era abbandonarmi alla pubblica gogna. Poi mi guardò in tralice e disse, «Inutile dire che se dici una sola, altra parola contro il dottor Angelucci, tu sei un uomo morto, Pigliacielo Giuseppe», e io, «Ma io... io... io...», non sapevo neanche bene chi fosse, e lui, «Ecco, per l'appunto: tu taci. Taci e basta». Io ero così frastornato, Aida, Leprina, Zamira, tutte lì in un colpo ad accusarmi... il passato, il presente, persino dal futuro me ne cadeva addosso qualcuna, una figlia mulatta mia nata contro la mia volontà... A ben guardare, sentivo che qualcosa di volutamente storto don Pierino me lo stava riferendo, quanto avevo origliato io non corrispondeva del tutto a quanto mi aveva riferito lui, mai stato tanto loquace con me prima d'ora, e poi che per la prima volta in vita sua venisse a trovarmi a casa mia tradiva un suo personale interesse in 1. quella incredibile versione che mi tirava in ballo come maschio stupratore e incintatore, come il vero uomo nell'ombra dell'ex Merici e pertanto uomo vero. Ma no, impossibile. avevo udito roma per toma, avevo origliato male io. Con quale autorità, io, con quale salvacondotto avrei mai e poi mai potuto io essere sfiorato dall'idea di 1 poter ricorrere, fosse pure in terza persona, al cucchiaino « d'oro nel sottoscala dell~\appartamentino del giovane ma già tanto intraprendente dottor Angelucci piovuto qui nella Maternità di Pieve dal cielo? Quello status da 1 gran picciotto mafioso sciupafemmine mi cadeva dal ~! cielo come una manna senza aver mai fatto niente per meritarmelo. IL matusalemmico dottor Dioticuri, allora com oggi, a differenza del tanto osannato Professor AngelucXi, non solo non dice che certe pratiche non le fa, ma né lo dice né le fa. IL Professor Angelucci, invece, oggi come allora, dice tante cose su associazioni non a scopo di lucro, come quella dell'Hospital Day per animali da compagnia, disinfestazione di pelo duecentomila e le zecche sono tue, ha detto la tabacchina Santacroce per via del doberman, come quella del Centro di Oncologia in consocietà con la cognata Bentivoglio Mercede in Milancio, là nell'ex orfanotrofio Merici, e poi oggi chiede quale offerta libera obbligata due milioni e mezzo a mammella senza fattura... e tutte quelle giovani donne che arrivano lì dentro da ogni parte d'Italia, possibile che abbiano tutte il tumore della mammella che tante le mammelle non ce le hanno ancora? E mica solo lì dentro all'ex Merici, dove vanno solo le più ricche, intendo, con servizio alberghiero a quattro stelle, ma anche all'Hospital Day per animali, tutte quelle ragazze di basso reddito che deambulano avanti e indietro con la loro bella gabbietta col canarino dentro, che secondo me lo prendono in affitto o se lo passano l'un l'altra per buttare polvere negli occhi ai maldicenti e poi vanno a sgravarsi della pancettina crescente nella locale veterinaria a basso costo perché bassa macelleria a catena... Ma questo non m'interessa, sono supposizioni da deduzione della vedova Bocchino Rosa, che a proposito di una seconda sua nipotina nei guai dice e non dice ma allarga sempre di più la bocca, e che se va avanti con queste dicerie sul canarino impagliato e la gabbietta proforma dell'Angelucci perderà anche i rubinetti e le maniglie da smerigliare che la tengono in vita; nessun altro, Bocchino a parte, ha mai osato dire certe cose in pubblico contro il Professor Angelucci per attaccarlo oggi, figuriamoci io quindici anni fa per difendermi. Mica dovevo abortire, io. In fondo, fra il farsi asportare una mammella o il farsi asportare il feto, dove starebbe il divertimento in più? Nella febbre del sabato sera? Ma io il sabato sera mica mi faccio venire la febbre, semmai gliela misuro solo. E una bambina che si fa misurare la febbre da me non ha mai preso né il cancro al seno né il gonfiore di pancia, malattie che si prendono notoriamente in discoteca, non da un termometro oltretutto disinfettato con la patriottica grappa Piave. Questo sì. Bene. Io, naturalmente, non ero stato né per tutto né del tutto presente al discorso fra i tre, i coniugi T. e don Pierino, ma mi bevvi lo stesso tutto quanto mi riferiva il mio abate dall'altra parte del tavolino su di sopra da me, ingoiavo l'amaro calice fino all'ultima goccia e a testa bassa, come se io per primo controbattessi a ogni mio tentativo di difesa e volgessi a favore dell'accusa ogni eccezione che mi saltava in testa e agli occhi a mio favore. La balla era troppo mondiale anche per me, ma più riuscivo a crederci più la bevevo, più la bevevo più la digerivo, più la digerivo più me ne sentivo fiero. Mi sembrava di avere gli uccellini volarmi intorno la testa ad aureola, era così incredibile che si pensasse di me una cosa simile, una simile prodezza con una piccola fuoruscita africana che in quel momento non mi veniva neanche in mente chi fosse e come fosse fatta. L'accaduto, le voci sull'accaduto, tutto era così meraviglioso che me ne compiacqui talmente che non protestai di fronte a don Pierino né tanto né poco. Io, che come dottore della mutua no3;l avevo certo il sussiegoso, altezzoso, volpino dottor iiigelucci, diventato in un semestre quello dei signori, ma uno scacciacani di ebreo senza arte né parte chiamato il Cavadenti di Dachau tanto era considerato competente, dalla farmacista Bertucci in primis, io avrei dato i soldi alla piccola negra pregna per abortire come una signorina-bene di Pieve di Lombardia e della Lombardia che desidera mantenere l'incognito! IO! Don Pierino mi aveva raccontato ls mie gesta a me ignote stropicciandosi le mani sui cerchioni della stufa da lui stesso accesa, senza nemmeno chiedermi il permesso, così, e intanto mi guardava con uno sguardo da medium, un po' anche teologico, e sembrava dirmi, ascolta, taci e acconsenti, non hai scampo, sei stato TU, del resto... con questi tuoi precedenti è come il cacio sui maccheroni... il Signore te ne sarà grato e anche il Suo umile servo qui davanti a te e, addolcendo il riverbero delle lenti intorno alle pupille, il bianco degli occhi aggiungeva: non opporti alla volontà di Dio, battiti tre volte il petto mea culpa mea culpa mea massima culpa, tanto ci sono qua io a salvarti dai carabinieri contro quei rom e se anche non ci riesco, che importa di fronte al premio della Salvezza Eterna che ti spetta? Non intralciarmi le vie del Signore verso il soglio pontificio entro il 2000, io non sono il tipo da prenderlo nel culo per pia cer mio ma per far piacere a Dio ma poi devo incassare il Suo bonus, e tu Pipino approfitta di questa divina circostanza di calarti su quelle grosse orecchie di somaro la Corona di Spine malgrado l'indegnità dei tuoi trascorsi... Stava portando le mani ulteriormente in avanti, tipo una mano lava l'altra? stava proponendomi di lavare la mano di qualcuno sporca di bambina mulatta, quella del sagrestano Lunardoni Battista per esempio, intanto che a risciacquare la mia ci pensava lui? .«Andiamo», mi ingiunse don Pierino dirigendosi verso la botola, molto seccato, più seccato di me di dover in qualche modo andare a fondo di tre faccende contemporaneamente senza avere neppure la certezza di avermi plagiato per bene almeno su quest'ultima della mia immacolata co-concezione. «Dove?», gli chiesi io. «E osi pure chiedermelo? A me che sto tentando di farti i coperchi almeno con la zingara? Da tua sorella, da chi se no? Da dove credi che cominceranno?» «Chi deve cominciare? Cosa?» «Le indagini preliminari. La polizia, cioé i carabinieri.» Vidi il maresciallo Vanvitello Santino in divisa da parata clonarsi in un suo doppione e, uno per parte, portarmi via sollevandomi da terra per le orecchie come un Pinocchio, mentre il mio lungo naso di legno andava a infilarsi nelle faretre dei loro spadini da alta cerimonia... perché così va in giro ancora oggi come quindici anni fa il maresciallo Vanvitello Santino Nonsonoelegante?, in divisa da parata anche per fare i sopralluoghi nelle osterie con cucina a farsi offrire il bianchino delle undici e lo spritz delle undici e mezzo e il caffé dell'una e, sabato e domenica, la cena e il pranzo per sé e famiglia ma solo nei ristoranti all'altezza della sua ancora più ricercata eleganza... Mi sentii mancare, ma non c'era tempo per svenire. Corremmo su per la salita del Mafalda, corremmo davanti alla Biblioteca Comunale, corremmo oltre la grande, lugubre casa del Quattrini Achille e fu un bene. Fu un bene perché nell'arrivare di fianco a noi si fermò la camionetta dei carabinieri, ne scese in pompa magna il maresciallo Vanvitello Santino, che già si stringeva nelle spalle con mostrine d'oro e diceva a don Pierino, neppure a me, a don Pierino, «Gli zingari hanno sporto querela... Luce pane e acqua non bastano più...», lo sapevamo già, e don Pierino lo tirò un po' da parte, «E che ci viene a fare qui?», e il maresciallo Nonsonoelegante?, più che mai in una paletta sfolgorante di cashmir nero e fregi rossi di vellu~ e gambali equestri lucidatissimi per andare a interrogare una povera alcolizzata via di mente, «Le indagini preliminari, no? certe voci, e poi l'ha detto anche la signora Belindi che tramite il preside Longamano che tramite la signora Francesca che tramite i suoi suoceri... E poi, sa, sua nipote stessa, la spogliarellista... quella Strisciotti Celeste Aida cl'e ha abitato anche a Padenghe del Garda sopra il 13aby Vanity... quella tutta nuda come un ragno fra le pale del mulino... i manifesti abusivi che abbiamo dovuto coprire anche qui... ne ha parlato tutta Brescia... Siccome lei quella signorina ha dichiarato in un'intervista a un giornale del settore che questo suo zio di Pieve di Lombardia Giuseppe Pigliacielo quando era piccola...». "Maledetta bidella, maledetta maestra, puttana Eva", ho pensato io. La mia nipotina amatissima Eva Ficabonda, già allora, quando si faceva chiamare Celeste Aida, se aveva i suoi cinque minuti di cantante fallita ridotta a spogliarsi senza neanche più cantare qualcosa, chiamava un giornalista e tirava di mezzo me quale causa, origine addirittura di tutti i suoi mali raucedine compresa, sicché negli ultimi anni abbiamo avuto con regolarità un testo lacrimevole sulle sevizie infantili attorno a una foto di lei con mutan dine a filo dentale scartata dalle promesse del Festival di Sanremo. Io lo so, anche se i più no, mica tutti qui a Pieve per fortuna comperiamo certi giornalini specializ zati come me e il maresciallo Vanvitello Santino, con la differenza che lui si fa criticare alle spalle da tutti i gior nalai di Pieve perché se li fa regalare e che io, non com perandoli qui, potevo anche fare a meno di comperarli altrove, perché qualche ignota anima buona non ha mai mancato di farmi trovare sotto la porta i fogli con su Pluda Aida e le sue dichiarazioni infamanti contro di me. Non solo oggi pomeriggio in piazza fra i carri maschera ti, ma da tutta una vita qualcuno nascosto tra la folla mi tira dietro un piattino di gnocchi e non saprò mai chi é. Può essere chiunque, e se devi sospettare di chiunque tanto vale che tu sospetti di te stesso che fai prima. Eppure, tassello dopo tassello, tutto non veniva per nuocere: era persino meglio che fosse di dominio pubbli co che il mio vizio con le bambine non fosse solo recente di ieri. Dopo la Leprina Svenska, con la Zamira don 0Pierino faceva un ambo forzoso, ma dopo l'Aida e la Svenska, con la Zamira faceva un terno tanto insperato quanto naturale. Così ero un pedofilo da Primo Premio. Dio stesso tirava a sorte per LUI. E don Pierino congiunse le mani, lungo le scale disse al maresciallo sfregandosele leggermente, «Può dire almeno al suo brigadiere di non salire con noi... per non spaventare inutilmente quella povera demente...». Salendo verso il ballatoio della stanza-stamberga della Pro Loco, io stavo nel mezzo, fra l'incudine della Chiesa e il martello dello Stato; qualcuno era venuto a spalare alla Tilde la neve davanti alla porta facendola cadere dalla ringhiera giù nel cortile pieno di ferrivecchi, mobili di formica e di latta smaltata accatastati, fiori e piante marciti, vetri rotti, sacchetti di plastica pieni di immondizia; la signorina Bentivoglio Giuseppina era stata molto pru dente con la chiave della stanza, perché la Tilde neppure volendolo e neppure se ne fosse stata capace, avrebbe potuto chiudersi di dentro, e qualcuno della Pro Loco veniva ogni sera a chiudere la porta, sicché, se ci fosse stato un incendio di notte, il pensiero che la Tilde potesse morire bruciata era certo meno grave di quello di dover abbattere una porta perché all'inquilina si erano messi in funzione i grilli di mania di persecuzione. Don Pierino aprì piano la porta dicendo con voce suadente, «Tilde, sono io, sono don Pierino, buon Natale», e così dicendo accese la luce, fioca, tanto che peggiorò la visibilità. Io non entrai, rimasi dietro la soglia, era la prima volta in quindici anni che rivedevo mia sorella Tilde ma contro la sua volontà, e quando il maresciallo Vanvitello Santino mi guardò come a chiedermi perché non entravo o perché ero vestito da far schifo io scossi la testa ed entrò lui, dietro don Pierino, ma lasciò la porta accostata. Don Pierino congiunse di nuovo le mani come aipregarlo di restare dove si trovava senza entrare nella viFuale della donna che giaceva, lo capivo dalla punta dei calzettoni ai piedi, supina sul letto; alzai la testa, di non molto, non era necessario, perché volevo vederla ma non volevo farmi vedere, costringerla a vedermi. Don Pierino aveva fatto il giro del letto, a una piazza e mezza, avrei detto, ed era andato a mettersi a poche spanne dalla faccia bluastra, verosimilmente ora si stava sedendo accanto al comodino, se ce n'era uno; il cappotto tabarrato con mostrine di un cashmir inaudito addosso all'elegantissimo e per grazia del Signore inefficientissimo, vanitas vanitatum fattasi persona maresciallo Vanvitello Santino mi lasciava intravedere ben poco: un paio di ciabatte consunte, un pitale sbreccato, il fiasco di Chiaretto di cui conoscevo bene la pietosa provenienza rovesciato sotto la rete, una vetusta coperta militare per terra, e mi resi conto che, se io stavo gelando lì fuori, là dentro non c'era alcun segno di calore, non certo una stufetta elettrica, non certo una stufa a legna, nessun timore, dunque, di incendi o esalazioni mortali, la Tilde doveva vivere e spirare più al gelo di me adesso... perché nel mio caso l'ossido di carbonio che sto inalando è pur sempre una fonte di energia che ti scalda le membra e l'anima. Don Pierino aveva cominciato a bisbigliarle qualcosa, tutto era così dell'altro mondo, non riuscivo a immaginare che giro avrebbe preso, come avrebbe giustificato quella sua curiosa e morbosa curiosità su Aida bambina. Se la Tilde avesse ripreso conoscenza sufficiente per dire che sì, avevo molestato sua figlia, mia nipote, sentii che mi sarei buttato di sotto nel cortile e l'avrei fatta finita o per il colpo o affogando fra la montagna di neve e rifiuti a cielo aperto. Sentii don Pierino che pronunciava un primo nome, «... tua figlia Aida ha detto che tuo fratello Pino...», col maresciallo che adesso aveva preso le ridicole funzioni di quel buffo giornalista a tempo perso allontanato da don Pierino davanti alle Scuole Medie: Vanvitello Nonsonoelegante? aveva tirato fuori un'agendina e scriveva con una penna stilografica d'oro, frutto di chissà quale bottino, chissà quali sciocchezze. Sentii il rumore di molle, la Tilde si stava girando, muovendo, e rigirando e rigirando e rimuovendo e rimuovendo, come in una crisi di isteria, don Pierino continuava a bisbigliare, a marcarla stretta malgrado quei rumori di rete mi facessero capire che la donna stava soffrendo per quelle domande e poi lei, come un burattino, di scatto si levò sul busto, sembrò farmi testacoda in faccia, mi ritrassi d'istinto perché lei deve avermi visto, e alzò il braccio e lo puntò verso la soglia e gridò, «Bum bum... pio pio pio... catigulì catigulì... bum bum... pio pio pio... STOOOP!» e poi ricadde sul letto e non ci fu più verso di strapparle altro. «Mi può ripetere che cosa ha detto la Pigliacielo Matilde in Strisciotti?», chiese il maresciallo Vanvitello San tino e quel santuomo di don Pierino disse, «Pio... Pio.. I Pio», «Sì, ma ha detto qualcos'altro... forse ìn dialetto che io...», «Si sbaglia, maresciallo, le pareva di sentire il solletico, ;] ha detto solo Pio... Pio... Pio», e lui, mentre diceva al brigadiere di rimettere in moto, «E che vuol dire?», e don Pierino, «E' molto devota a Pio Dodicesimo e a Padre Pio da vivi e da morti... ah, maresciallo, dia retta a me...» - io avrei voluto rettificare, dirgli che tutti quei Pio si riferivano certo ai micini bianchi delle sue donne Bentivoglio di gioventù - «S'iii, don Pierino?», e lui, «Aspetti a inoltrare la denuncia in procura...», il maresciallo Vanvitello Santino abbozzò ispezionandisi il meraviglioso cappotto-à nero di alta e mai saldata sartoria per vedere se l'avevaa sporcato di qualche sozzura locale e sospirò comprensivo davanti ai desiderata di Madre Chiesa. «Spengo la luce, Matilde, o la lascio accesa?», chiese don Pierino: non venne nessuna risposta, il maresciallo era già fuori sul ballatoio, don Pierino allungò la niano sull'interruttore, allungai la testa e in quell'attimo il cui le barbe della lampadina sfolgoravano spegnendosi vidi lei, la testa grigia tagliata corta alla marines della mia povera sorellastra, la sua testa come recisa su un cuscino, ma ce n'era un altro accanto, più candido mi sembrò nella fuggevolezza, nella vaghezza dell'immagine, e su quello accanto stava posato come su una nuvola immate riale un cappellino di paglia butterata con su un uccelli no nero di fuliggine. Lo riconobbi, anche se al posto della antica foglia di tela cerata di quercia, ora l'uccellino posava su una macchia color arancione scuro, una specie di busta infilata nel nastro intorno alla paglia ingiallita. (Ma quella busta... quella nel cappellino sul cuscino aveva tutta una luccicante ceralacca attorno al triangolo dell'incollatura! e quella consegnatami dalla Chitari Luciana quattro mesi dopo quella visita non era neppure incollata! e dentro la stanza della Tilde che spirava allun gando dentro quella busta il suo messaggio per me c'erano ancora la signorina Bentivoglio Giuseppina e don Pierino! Quanti punti di domanda si celano in ogni punto esclamativo. Ma questo non vuol dire niente, un sospetto antico che diventa una certezza recente non per questo smette di scavare dentro come una talpa: cambia solo direzione di tunnel.) «Buon Natale, maresciallo, buon Natale, brigadiere!», disse poi una volta di nuovo in strada don Pierino chino sulla camionetta, io stavo zitto di fianco a lui, lui mi diede con la scarpa un segnale nello stinco, «Buon Natale», ripetei io. Mi stavano umanizzando a puntino come un cappone, ma per il mio bene. Fin qui, agli auguri e al mio di bene, ci arrivavo anch'io. «Mandagli subito subito un panettone e una bottiglia», disse don Pierino, «e ringrazia il cielo, oltre che me.» Adesso io penso... non dire bugie, Pino, non hai più tempo, lo pensasti subito... che era tutta una messinscena combinata fra il prete e il carabiniere per spaventarmi. Chissà Dio a quale favore il prete si era prestato per compiacere il carabiniere ed ora il carabiniere era costretto a ricambiare il favore al prete. Perché, prima ancora che con quella della Leprina, con la paradossale seppur deliziosa faccenda della piccola Zamira incinta e contraria ad abortire e ragazzina madre di seduttore sconosciuto, cioé io, non mi ribellassi al tasso di peccato e di delinquenza che Chiesa e Stato avevano stabilito per me per assolvere se stessi da peccati pregressi, forse addirittura originali nel senso di ma che begli originali! Corsi alla pasticceria Scanditi, comperai panettone e bottiglia e li portai umilmente in caserma, ce n'era una montagna sparsi e sparse sul pavimento, nessuno mi e vi prestò caso, un carabiniere semplice mi disse, «Mettere pure sopra... No, il maresciallo Vanvitello ringrazia ma non c'é». Qualcuno degli offerenti, un paio di genitori di miei alunni, fecero finta di non vedermi, la signora Farinaccioli Carmelita, il cui marito bancario in privato faceva e fa l'usuraio giù al Bronx con tutta una sua ghenga di intimidatori e di picchiatori in giacca e cravatta, non rispose al mio saluto, lei. il vecchio Setolini, invece, per la prima volta in decenni, mi corse incontro in piazza e mi strinse la mano, «Sarò un porco anch'io, ma neanche tu...», disse, «Auguri vivissimi di buon Natale, neh. Tale madre, tale figlio». Capivo sempre meno, ma nella mia generale, devastante infelicità, intuii una sillina cometa far capolino nella mia virilità disattesa. «Auguri», ricambiai, e pensare che se c'era uno che volevo uccidere per come aveva trattato mia madre, lesinandole anche un cicciolo di maiale a parte il suo, era lui. Alla messa di mezzanotte della vigilia di Natale, pur nella ressa dovuta alla propaganda della nascXnte TeleVita - si sorteggiava un presepe di marzapanel del pasticciere Scanditi: perciò mi venne in mente che avrei fatto meglio a infilare un bigliettino di auguri con nome e cognome nel mio panettone con Lambrusco prima di lasciar giù in caserma tutto quel ben di Dio senza nome né cognome -, malgrado la ressa, i fedeli trovarono modo di isolarmi in fondo alla chiesa, di accerchiarmi e di girarmi al largo per un raggio di tre metri, i loro sguardi in tralice, le loro smorfie di schifo, vedevo tutto anche a testa e a occhi bassi. Gesù nasceva, era l'unico uomo che nasceva ogni anno, che ogni anno ricominciava tutto daccapo senza aver mai imparato niente, rifacendo tutti gli stessi errori in agenda e anche però le sue poche cose giuste, tipo puntare tutto su Giuda quale testimonial del diavolo per attuare il suo piano divino, con Giuda che a ogni Pasqua, e per trenta denari al lordo, ci ricadeva come un fesso qualunque nell'Orto degli Ulivi e così Gesù da uomo si trasformava in Figlio di Dio e in Dio Medesimo mentre quell'altro, povero cristo, non diventava neanche baronetto, da complice si trasformava in traditore anno dopo anno e per ben duemila anni non imparava niente dall'esperienza di essere stato preso in giro a dovere e, lui sì pentito, sinceramente pentito, andava a impiccarsi con la stessa corda a un ramo di fico una primavera via l'altra. Guarda te a fare un favore a un amico a volte. IL giorno di Santo Stefano i T. con Leonora e la neonata Annalisa e gli sci partirono per la settimana bianca in una loro baita nelle montagne attorno a Treviso, se anche avessi avuto l'ardire di andare a chiedergli spiegazioni, loro non c'erano più. Tanto non ci sarei andato lo stesso, le conseguenze che avrei dovuto pagare, innanzitutto nei confronti di don Pierino di cui tradivo la fiducia, mi sembrarono incalcolabili. Ripiegai sulla mia troppa bontà ancor prima di verificare se la luce nella dimora dei T. era ancora accesa o no. IL giorno dopo Santo Stefano, il ventisette, la querela giaceva ancora sulla scrivania del maresciallo Vanvitello Santino, disse che al massimo al tre gennaio l'avrebbe rimessa alla Questura di Brescia se no sarebbe andato nei guai lui. Nessuna parola per il mio panettone, anche se gli avevo recapitato un biglietto descrivendoglielo insieme alla bottiglia e spiegandogli che erano i miei anche dalle etichette coi prezzi. Decisi comunque di non rinunciare alla gita su a Rovereto con sei dei miei commilitoni, ospiti della locale Ancr, nessuno dei miei vecchi guerrieri era al corrente di niente dell'importanza che mi si dava, seppure solo da tipi come il Setolini, sicché non ricevetti alcun tipo di sordida approvazione zezzuale com'è tipico fra uomini in casi come questi allorché non ci sono di mezzo né sorelle né mogli né figlie loro, e la cosa un po' mi dispiacque, questo sì... Partenza alle sette e mezza del ventisette davanti al sagrato della Santissima Maria Vergine Assunta In... (In Cielo va da sé, Pino: taglia, che non hai molto tempo). Alle sei, io mi feci coraggio, andai in zona Foro Boario all'accampamento degli zingari ancora deserto e illuminato a festa come un luna-park coperto di brina, con ~, la mia zuppiera sul sedile accanto e dentro tutti i miei risparmi, due milioni e duecentomila lire in tutto, perchéiq io non tengo conto in banca, non mi fido, detesto gli interessi e penso che il denaro meglio speso sia quello1 che uno mette sotto la mattonella e si dimentica fino a lasciarlo scadere; chiesi a i: bambino uscito da una carovana a fare pipì di andarmi a chiamare i Koky, i geni tori di Svenska Koky, io non entrai nel cerchio delle rou lotte, rimasi in auto col finestrino appena appena tirato giù, i due profittatori uomo e donna arrivarono in un batter d'occhio coperti dalle trapunte, alzai il coperchio sotto i loro occhi, gli feci vedere le banconote sparss ma loro scuotevano la testa, come a dire, certe cose nsn si vendono né si comprano ma allo stesso tempo aggiunge vano: non per così poco... Tirai giù il finestrino del tutto, mi si faceva tardi per il furgoncino portapersone davanti al sagrato, contrattai, presero il denaro senza garantirmi niente, li chiamai indietro e gli dissi, gli proposi una drit ta, una stangata a colpo sicuro. Ancora oggi don Pierino crede degli zingari che abbiano ritirato la denuncia per intervento dell'onorevole Piedini e grazie all'intercessione di Belindi Velia Benita, chiamata a deporre i rancori personali in vista di un superiore fine unitario e quindi partitico, e io glielo lascio credere, contenti loro, tronfia lei del suo carisma sui vecchi rincoglioniti in Parlamento, vecchi impalmabili... e sono andato a Rovereto coi miei sei baldi ed arditi, per farci caldo abbiamo cantato per tutto il viaggio «Dai fidi tetti del villaggio - i bravi alpini son partiti - mostran la forza ed il coraggio - della lor salda gioventù - son dell'Alpe i bei cadetti - nella robusta giovinezza...», il più giovane settantanove, uno scatarramento di polmonari schette marroncine che neanche i miei piccioni dall'alto, a Rovereto ci sono rimasto a trascorrere l'ultimo e il primo dell'anno, ho assistito a tre sante messe in luoghi sparsi in onore dei Caduti e quando sono rientrato la mia porticina era scostata ma non sfondata del tutto, e sulla parete a destra, il buco nella loro nicchia, dentro la casa dei T. Io non so che cosa abbiano portato via i ladri dalla dimora dei T., immagino le solite cose, biancheria nuziale a parte, quella bellissima reliquia che nessuna sposa finisce mai per cominciare a usare, che tiene intatta come se dovesse varcare la soglia del marito portata a braccia all'infinito, lo so perché spesso le vecchie entrano al ricovero portandosi dietro proprio scampoli della loro dote da sposine, ma certo, a una occhiata di qua dal buco, mi sembrava che gli zingari fossero stati di una discrezione esagerata, tutto era a posto, cassetti, soprammobili, stoviglie non d'argento nell'armadio a vetri, piante, allora prima di andare dai carabinieri a denunciare il fatto sono passato dall'altra parte, coi miei guantini color pulce fattimi dalla vecchia Alice per non lasciare impronte, e ho provveduto al soqquadro io stesso, non so se mi sono lasciato prendere la mano, comunque ho anche aperto una finestra e ho schiacciato il bottone del riscaldamento, che i T. avevano lasciato al minimo perché l'impianto era nuovo di zecca e andava rodato se no col gelo rischiava di saltare tutto, e i carabinieri quando sono venuti non ci hanno fatto ovviamente caso e quella notte - i T. su alla loro baita di montagna non hanno telefono, per risparmiare - l'acqua, come si temeva, si era gelata nei termosifoni e quando, finalmente rintracciati, l'indomani sera dell'indomani i T. hanno fatto precipitoso rientro dalla loro settimana bianca, tutto l'impianto idraulico era saltato, la casa allagata e ghiacciata, il parquet fresco di posa crepato e sollevato in più punti, ovvio che i carabi- 1 nieri sono andati difilato alle carovane dei Koky che, scaltri come sono, mica avevano levato le tende, no, sono 3 rimasti belli placidi lì a svernare finché non si sono stufa- 1 ti, e ci sono rimasti senza neanche mandare più a scuola 1 le scugnizze e i loro delinquenti inferiori di anni quindici come pretendeva il sindaco Scaltrini. I carabinieri nelle roulotte non hanno trovato niente, secondo me hanno trovato meno ancora di quel che gli zingari avevano già rubato frima di rubare ai T. Sono ben organizzati, per essere erranti. E, ah, dimenticavo, questo sì: dalla casa dei T., pur accecato da una voglia avvilente di distruggergliela tutta e non di inscenare un po' di confusione soltanto, ho prelevato un reggipetto su di sopra, nell'armadio di fronte alla nicchia, lo stesso che, se non l'ho indossato dafultimo sotto o sopra la tonaca, non riesco più a ricordarmi niente bene bene, adesso si trova nel bagagliaio della mia Cinquecento insieme agli altri corpi del reato o indizi che dovrebbero portare al corpo vero e proprio della mia Zamira sotterrata là nel mio Tempio d'erba e fiorellini di campo. E' una terza abbondante. E della Leonora fanciullina... La Tilde non ha voluto vedermi neppure al momento dell'Estrema Unzione quel quindici aprile di quindici anni fa, pochi mesi dopo la mia visita forzata scortato da don Pierino e dal maresciallo Vanvitello, ma a me non importava più niente di niente, vivevo da apatico, non ho comperato nemmeno l'ultima cassetta di Albano & Romina, in quel periodo non volevo vedere neanche me stesso, la faccenda della Koky Leprina aveva attirato su di me un attenzione quasi morbosa. Ormai si poteva dire che, per effetto opposto a quanto chiunque si sarebbe aspettato, ero diventato un punto di riferimento sociale e pertanto mondanamente interessante. In quel frangente di scandalo mai ufficializzato da niente se non dal fatto che, al rientro dalle vacanze natalizie, io a insegnare non c'ero più, se avessi avuto il fegato avrei potuto fondare vari partiti di massa tipo il partito dei maschi ingiustamente accusati di stupro da una donna, meglio se minorenne da loro stessi respinta, o tipo il partito di concittadini e concittadine anti-camporaccolta-nomadi e case ai brut terun, poi il partito degli statali illegalmente e incongruamente e spocchiosamente prepensionati anche se, come il sottoscritto, hanno preso un sacco di soldi di buonuscita e una pensione di poco inferiore allo stipendio, per non parlare del partito dei cattolici minacciati in casa propria dagli invasori musulmani attraverso la perfidia delle loro Mata-Hari in erba e Radicali spinelloni, o tipo il partito dei vicini ingiustamente sospettati dai loro vicini di tenere bordone ai ladri e di fare con questi a metà del bottino... come diventi importante non appena fai del male e dimostri di farlo facendola franca! diventi un capopopolo nato, e io che mi sentivo morire dall'umiliazione per la seconda volta, non sapevo che partito prendere. E quando don Pierino è andato a dare l'Estrema Unzione alla Tilde e lei, lucidissima, in cambio dei sacramenti ha preteso che io restassi fuori dalla porta e una caraffina di quello buono, io mi sono sentito quasi sollevato da un peso mortale e le sono stato grato di non demordere proprio negli ultimi istanti dal suo odio insanabile contro di me, ma lei si dilungava e lui le fa, «Cara Matilde, sbrighiamoci con tutte queste richieste, il loculo bisognava pensarci prima...», e lei sbiascicò, «Ho paura a andare sottoterra... bere tutta quell'acqua...», e don Pierino, «E io invece devo partire col Santo Padre e devo fare ancora le valigie...», e lei, «La busta», «E quanti chi lometri c'è da qui alle Feleppe, don Pierino?», chiedeva la Chitari Luciana interrotta da un secco «Ststs» della Signorina e lui, «... et filiis et spiritu... da qui alle Feleppe non so, ma da qui alle Filippine, tanti... peccatoribus... ego te».] Io, lì fuori sulla ringhiera e avanti e indietro dalle 11 scale al cortile e di nuovo su, e pensare che moriva tutta sola la mia Tilde, sua figlia e il suo ex marito erano già per i fatti loro, e già da un cinque anni lo Strisciotti Vittorio aveva sbaragliato tutti i manutengoli della figlia e aveva preso lui a farle da boss, a organizzarle gli show,~, se solo avessi potuto chiamaSfuori una delle due signorine | per dirgli di dire alla Tilde che per il loculo nel1 cemento non si preoccupasse, quando la signorina Bentivoglio uscì dalla stanza e adesso teneva distratta-1 mente una busta di tipo commerciale in mano, era sovrappensiero, mi disse dal fondo della ringhiera che la poverina era finalmente spirata e che potevo andare ad avvisare chi dovevo per la bara. f La giovinotta Chitari Luciana, che pendeva dalle labbra della Signorina anche quando non parlava o non si rivolgeva a lei, disse pronta, «Ma no, ci vado io, per la peppa, ho la moto qui sotto», «Ma Micia, mi sei più utile qui», rispose la Signorina e io dissi, con il solito tremore improvviso che mi causava quel nomignolo gattesco in quella bocca a casoncello alla zucca, io dissi niente. Presi per le scale e non sono neanche fuori dal portone che l'impresario di pompe funebri Cofani era già lì con le sue mani giunte sul terzo bottone del paletoncino liso, lì come un avvoltoio che aspetta a testa bassa l'ultimo respiro che promette bene, ma ecco che la Chitari nella sua tuta blu di gruista mi corre dietro sventolando la sua taurina coda di cavallo rossa e sussurra forte cioé grida, «Pino!», mentre l'impresario capisce e si avvia su per le scale e svolta sul ballatoio a vista e io mi fermo, la Micia mi raggiunge e mi fa, «Don Pierino, cioé... la signorina Giuseppina s'è dimenticata di darti questa... Gliel'ha data stamattina tua sorella raccomandandosi di dartela a te», e mi allunga 'sta busta arancione, non incollata ma con l'aletta inserita dentro, la stessa che teneva in mano poco prima la signorina Bentivoglio Giuseppina sovrappensiero, la apro, oh, un secondo telegramma, ma no, era solo un facsimile, un modulo che si riempie per consegnarlo all'impiegata che lo computa e lo corregge e trasmette e butta via, la Tilde l'avrà scritto e poi ci avrà ripensato, non l'ha consegnato e se l'è portato via con sé per conservarlo in tutti questi anni, è piegato in quattro, lo apro, vi passo sopra gli occhi STOP STOP STOP STOP e poi non so neanche io come, me lo metto in bocca e lo mando giù senza masticare, come un'ostia consacrata. Resto immobile lì nel cortile per non so quanto tempo in preda a un attacco di conati di vomito secco e don Pierino mi sfiora andandosene via e mi guarda in un modo, ma in un modo che allude a troppe infamie da me taciutegli per metterne a fuoco una, quella giusta, il perché che andava forgiando contro di me, mi ordina senza rallentare il passo, «Passa dentro in canonica al più presto, te, che ti devo istruire su una cosuccia in mia assenza...» e anche le due grosse signorine attaccate alla balaustra lassù ora mi guardano in un modo ma in un modo... piego la busta bene in due facendo finta di niente, come se dentro ci fosse ancora il suo contenuto, mi faccio il segno della Croce e mi muovo. Sul portone incrocio due negre o mulatte di primo pelo mai viste o, meglio, la più piccola, sui quattordiciquindici, assomigliava a una che devo aver incrociato in qualche classe non mia un giorno che sostituivo un qualche insegnante in malattia, ero via con i pensieri, ci si può ben immaginare in che stato ero, mica avevo manda to giù un bigné alla crema, qui a Pieve poi, su una popolazione di diciottomila abitanti, abbiamo settecentoottantacinque tossicodipendenti registrati e cinquecentotrentadue extracomunitari schedati, come fai a ricordarteli tutti... La più grandicella delle due, ma non di tanto, un tre o quattro anni, aveva in braccio un fantolino di pochi mesi, mulatto anch'esso ma ancor più chiaro di carnagione delle altre due, certo sorelle, avrei detto dalla somiglianza, e questa qua maggiore si passa la creatura da un gomito all'altro e senza smettere di masticare la cicca americana mi fa tutta superivre costringendomi a fermarmi per non andare a sbatterle contro, «Te, don Pierino per strada ci ha detto che uno spilungone alto, magro, vestito come uno spaventapasseri... sei te, neh? Te, è qui che abita una certa Matilde Sbevazzona? E' qui che devo incontrarmi con una certa signorina Giuseppina? Io sono Aminta Mucchetti e questa deficiente qua ' mia sorella Zamira e questa è sua figlia di sei mesi, [iamo venute a vedere la casa...». Io? e che c'entravo io con la Pro Loco? Tipico di don Pierino scaricare su di me, in un momento simile oltretutto, anche le bucce delle sue patate bollenti. Fui costretto a fare mente locale, ricollegai le due, anzi, le tre negrette alle avventate congetture e illazioni della mia vicina di casa maestra T. contro di me, ma sì, certo, come no, la negrettina in fasce doveva essere la mia bastardina e una delle due la ragazzina madre da me sedotta e invitata poi con le minacce ad abortire. UNA PUTTINA NEGRA INCINTA DI ME, come no) le solite cose nel tran tran di una vita movimentata e sventata come la mia. Ma io adesso avevo ben altro nella testa, e nello stomaco. La sorella più giovane di quella facciatosta che aveva parlato evitava di guardarmi, come se io in persona in un suo incubo di cui non ero al corrente l'avessi minacciata di tirarle il collo se avesse osato farsi vedere a respirare in mia presenza, due belle maleducate e sfrontate a darmi del tu, non gli ho neanche risposto, ho fatto spallucce scuotendo la testa dal malcontento e loro si sono dirette verso le scale e io vado a casa, bel tempo, metà aprile è il momento giusto per andare a campi, do una limatina di pietra pomice al mio coltellino, prendo su la mia sportina di paglia e vado al Chiese a puttine, prima che mi si trasformino in papavere alte alte alte, grosse grosse grosse, vecchie vecchie vecchie. Io invece avevo voglia di qualcosa di più tenero ancora delle puttine, di meno spampanato, tipo di asparagini selvatici, non ne trovo né tra i rovi di more né fra i lastroni dell'argine, vado fino alla mia nicchia, c'è un tappeto celeste a distesa, sono fiorite le Scarpine della Madonna, mi infilo nella grotta e a gambe larghe sulla fuoriuscita di acqua sorgiva commetto un atto impuro dando corpo alle voci dei pettegolezzi zezzuali su di me ma per punirmi alterando il corpicino dell'ambrata mulattina e della rossa Leprina in due corpaccioni già troppo frolli per i miei gusti, sognando quelle due montagne di carne sfatta della Signorina e della sua "micia" che nude come vecchie troie negre di merda si avvoltolano con la testa l'una fra le cosce dell'altra leccandosi nel culo a 69. Al funerale della Tilde, in chiesa c'eravamo io, i Paleocapa marito e moglie e la cassa da morto. Ha celebrato don Verga di Vighizzolo, perché don Pierino, l'indomani stesso dell'Estrema Unzione alla Tilde, era andato a Manila col Santo Padre e il gruppo di Borgosopra con la loro Capa (e ritornare nelle sue grazie di lei, della Belindi Velia, di quel viaggio col Santo Padre non fu del tutto il motivo secondario) ormai star e prima mistica di TeleVita a partire proprio da quei Tridui di quella Quaresima lì e in Duomo, anche se in un primo momento ero in predicato io col rosario nella chiesa del Suffragio per diffondere via etere un po' di Verbo Quando lui quella fine di aprile fa ritorno dalle 11 Filippine e dalle stanze più riservate del Vaticano, nem- a meno fossimo ancora lì nel dicembre dell'anno prima a rimenare la mia sola, unica, vecchia storia, e cioé quella S con la Leprina, e come se lui non ne avesse lasciato indietro qualche storia sua ben più grave di tutte le mie ~5L messe assiemecervello mio tacimica mi raccontal qualcosa del viaggio e delle folle acclamanti di aspiranti aa fare in Italia i colf filippini d'ambo i sessi e della cattoli-XL cissima e piissima Presidentvssa Marcos Imelde e nem-s meno degli esiti della sua prseghiera al Santo Padre di far] assurgere il Duomo a Basilica, non mi dice niente, don Pierino, la stanchezza, penso, mi vede ed è di insolito-à buon umore, mi prende confidenzialmente sotto il brac cio, cosa che avrà fatto in venticinque anni tre volte, e mi fa, «Adesso puoi anche dirmi la verità, Pino... Perché sei scappato fuori dall'aula quando è entrata quella ptccola zingara? Che è successo davvero nei gabinetti fra voi due?», io sono rimasto così scosso dal fatto che lui bona riamente mi richiamasse al diritto di affermare la mia verità, anche se alla mia verità, ripeto, essendo essa molto più umiliante di ogni altra menzogna sul mio conto, ero io quello che ci teneva di meno, ho deglutito e gli ho detto spassionatamente, come se fossi dietro la grata del confessionale, «La forte emozione...», ho cerca to di deviare, io, ma lui sorrideva gioviale, disse, «Su, dai, Pino, fra uomini...», e a quella magica formula ci sono cascato, gli ho detto la verità, «Mi ero pisciato addosso in classe, don Pierino...», lui ha staccato il brac cio dal mio, ha sorriso a denti stretti e scuotendo la testa ha detto, «Che inguaribile ipocrita». Ma era la verità! Intendo dire: non che ero un ipocrita. La battuta mi ha colpito alquanto, sono stato lì a pen sarci un minuto buono: era un'offesa bella e buona, l'offesa insistita del più forte che la fa franca col più debole, il quale non è mai tanto spergiuro come quando vuole fare il sincero. Se fossi stato un altro prete, o soltanto un uomo, l'avrei strangolato con le mie mani lì in sagrestia, ma era troppo tardi per me per essere anche soltanto un uomo, per dare merito alla mia verità. Ho sentito un brivido di freddo lungo le solitarie pareti del mio naso, le ho riempite bene di incenso e di odore di chiuso e di perdita di ogni speranza, e ho preso la sua ingiuria come un insperato, immeritato complimento, una specie di tacita asso luzione. Ed ecco che aggiunge, «E in quella busta aranciastra della Tilde, che c'era scritto di tanto importante che non me lo dici?», e io, sincero, «Per la verità, era un modulo telegrafico... in bianco. Niente», e lui, comprensivo, «Che sagoma... Non ho poi fatto a tempo a chiederti di quelle due poverine di sorelle somale... Sei andato a tro i;vare tua figlia Rachida come mi hai promesso quando ti ho telefonato dall'aeroporto?», io ho abbassato il capo e ho detto, «Sì». Era stato deciso, per semplificare le cose a lui e alla gente, che la neonata della Zamira era mia figlia. Non del Lunardoni Battista o d'altri: mia. Io ero già sputtanato in abbondanza, non succedeva niente a nessuno se succedeva qualcos'altro a me. Io non ero sposato. Nemmeno con la Madonna tramite consacrazione. Quella sera che lui era rientrato a Pieve da Manila chissà che m'è preso, tutti e tre i miei cari allocati negli ultimi tempi al camposanto, e l'anagrafe che mi diceva che ero ormai completamente da solo, avevo voglia d'amore, avevo voglia di affetto, avevo voglia di un paio di cosce bianche e di una testa da accarezzare, pensavo alla T. Leonora che passa dall'altra parte del buco con tutte quelle T spioventi di carne bianca e il giorno dopo sono andato in un allevamento ai Tre Aranci dove sapevo che 7 le vendevano anche al minuto, intorno al chilo, chilo e mezzo, da tirar su ma anche per farci la gallinella alla gri-1 glia. Per non dare nell'occhio, ne ho prese due, bianche classiche, «Gli tiriamo il collo qui?», mi fa la magazzinie ra, «No, no», faccio io, «Vive». Ho allevato la più bella di natura, mi è diventata grossa come un tacchino, l'al-J tra, che mostrava i segni di un piumaggio non del tutto immacolato, l'ho fatta fuori subito e poi l'ho portata3 all'ospizio in via Tre Croci. Questo sì. Bene.| Avevo sottratto quell'indwnento intimo dal cassettone dei T. perché, tanto, se erano già un due anni e due misure che la Leonora non veniva più da me a giocare alq dottore col termometro, ormai avevo ancora meno spe ranze che ci ritornasse in un futuro.8a Per anni ho dormito con quel suo reggiseno sul mio petto, fino a che ho capito che avrei fatto prima a ridos sarlo addirittura, beandomi in un sogno a portat delle mie stesse mani su di lei che mi spuntava fuori con a Eva da una costola e mi amava senza farmi fare la fatica di desiderarla invano, di correrle dietro in una direzione mentre lei, la sua età, la sua bellezza, i suoi sogni, il suo desiderio correvano in un'altra, dove le tonache e i Crocefissi e il peccato mortale erano più autentici che da me e tripli i doppi salti mortali della materia divisa dallo spirito per ricongiungersi in Dio fra terra e cielo. Ma questo non vuol dire niente, tutte e quattro le Setolini sono venute fino a un anno fa a giocare al dotto re della mutua con me, e recentemente anche la T Annalisa, e a suo tempo anche la D. Cleo, prima che venisse risucchiata anche lei dalle pratiche più ufficial mente devozionali della Basilica e della sagrestia e del Centro Giovanile, e le due nipotine più grandicelle della vedova Paleocapa, la Lisetta e la Rosanna nonché, prima di queste, ora già sposate perché si vede che all'Hospital Day fanno sì gli aborti ma essendo a tariffa ridotta ce ne lasciano dentro un pezzettino e poi si sviluppa, le sue tre figlie Bocchino in età da Comunione, sono davvero tante le puttine che si sono prostrate davanti al mio Crocefisso alzando un po' il sederino, e nessuna si è mai lamentata di niente con nessuno anche se non erano dei maschi come, secondo don Pierino, sarebbe stato meglio se lo fossero state. Certo, poi diventano donne, il lavaggio del cervello arriva a maturazione e l'irreggimentazione si instaura là, e una dopo l'altra ti piantano tutte per mettere su la loro fabbrichetta del là con un socio che non sei tu... staccavo il termometro dal Crocefisso davanti ai loro occhi diver titi, glielo infilavo nella gioiadivivere e gli prendevo la Ltemperatura con ogni delicatezza possibile, solo le mette vo prone sul letto e gli tenevo la mano attorno al collo sul cuscino, dolcemente ma facendogli sentire che avrei potuto schiacciarle giù da un momento all'altro come un topo, era una precauzione e perché distendessero bene la colonna vertebrale e quindi rilasciassero bene i muscolet ti del buchettino e perché non si mettessero a strillare come galline, e loro ridevano da matte seppur senza far rumore, gli scompigliavo la frangetta rossa alta in testa per fargli capire che se non facevano le brave gliela pote vo strappare con due dita, così, mettevano su una faccina un po' intensa e allargavano gli occhiettini a dismisura con quell'espressione buffa da civetta solo quando glielo sfilavo di colpo e me lo mettevo lentamente in bocca per misurare la febbre a me sfilandomelo poi lentissimamen te dalle labbra a ravioletto per leccarlo senza lasciarci niente di quelle pur piccole e insperate tracce di manna di femmina. Poi, con lo scotch, lo rimettevo al suo posto sul Crocefisso sopra la branda. Perché dal Crocefisso avevo tolto il Cristo in stile e lo avevo bruciato nella stufa in un momento di sconforto e, al Suo posto, vi avevo messo il termometro. Cristo morto che altro è se non un misuratore dell'umanità viva finché ~2 lo é? Da trentatré anni a trentasei gradi il passo è breve, non c'è che una sfumatura di Golgota. Questo sì. Bene. Ma questo, ripeto, non vuol dire nien- s te. Se volessimo star qui a contare quanti termometri vengono usati nelle migliori famiglie per misurare febbri dove non ci sono e a chi non ce l'ha, staremmo freschi. ~, Le bambine sono bambine dappertutto. E anche i gran- ;l di, no?1 E se la Koky Leprina S»enska corrispose a Neutra I e Leonora corrispose a Neutra Il o forse viceversa, non ricordo, perché prima avevo allevato anche qualche oca e qualche papera ma non andavano bene, troppo pette gole, troppo casino, e la T. Annalisa a Neutra XXIX e sel son dovuto arrivare alla Neutra Da Compagnia XXXIII,12 l'ultima, per recuperare, dopo la D. Cleo e tutte le altre del rione, Aida dal passato e ricordarmela puttint e peril ultima, sono affari miei e, eventualmente, della vedova Paleocapa, che ne ha solo approfittato in carni bianche e a gratis.I Perché a me le galline bianche e cresta rosso fuoco piacciono vergini, una volta che le ho usate un paio di volte non so più che farmene e se mi piace una nuova bambina mi compro un'altra gallina identica alla prima, la prendo sui due mesi e poi me la allevo in casa, le faccio da Pigmalione quanto basta per educarla ai bisogni del Suo Signore e intanto comincio a chiamarla per il nome di battesimo della damina designata in erba Quando era pronta, le misuravo la febbre, ma nient'al tro, o sono state comunque poche quelle così capaci da soddisfare me e consegnarsi nelle mani della vedova Paleocapa già col ripieno e tutto, umanizzate fino all'ultima goccia. E non mi si venga a dire che l'uso che ho fatto io delle mie ovaiole bianche non è dissimile da quello che le donne Bentivoglio hanno fatto dei loro gattini bianchi: capirei se almeno li avessero mangiati, ma t così.. ~!,,, e quando arrivo al Pronto Soccorso dello stesso vecchio ospedale della stele napoleonica con in braccio Rachida di un anno e mezzo, che forse ha avuto una qualche commozione perché voleva la sua mamma ma la Zamira non c'era più, volatilizzatasi da una settimana, non mi viene poi lo sfizio, come ho già accennato, di andare dalla dottoressina Bentivoglio Mercede per farmi cavare il sangue e vedere un po' di chi era... di chi era stata figlia (la si dava per spacciata, epatite fulminante) quella mia figlia mulatta morente in Medicina? La allora dottoressa Mercede Bentivoglio, da un anno signora Milancio, era solo viceprimario dello scalcagnato [Laboratorio Analisi, mentre oggi all'avanguardistico Ospedale Nuovo è non solo primario ma grande patrona rdi conferenze, insieme a don Pierino in diretta, su [0Malattie Terminali S Fede Cristiana, che è un modo compassionevole per denunciare lo squilibrio fra costi e ricavi di questa specifica sinergia e sollecitare sempre maggiori aiuti statali, vista la tirchieria dei privati bene fattori che, dato l'incanalamento delle loro offerte, osti natamente optano per morire di sclerosi multipla o di osteopatia o di semplice cancro ma mai e poi mai di quella malattia lì dei perversi, lungi da me, e men che meno anche a morte avvenuta e proprio di Aids Oggi da uno come me la signora dottoressa - guai a farsi sentire da lei a chiamarla dottoressina! - Benti voglio Milancio Mercede sarebbe inavvicinabile, storia del gattino bianco a parte, ma allora io ero ancora di casa in casa Bentivoglio, e non mi sentivo affatto la faccia di tolla mentre, senza alcuna prescrizione del dottore, scen devo i gradini del sotterraneo per andare a chiederle di cavarmi il sangue anche a me, visto che su in reparto lo stavano cavando anche alla piccola Mucchetti Rachida, non mi sentivo affatto maleducato o seccaballe se le chiedevo di vedere poi se fra i due plasma c'è la somiglianza che c'è fra quello di un padre e quello di sua figlia. Insomma, si parlava tanto di DNA di qui e DNA di là e di obbligo giuridico di paternità seppur contratta fuori dal matrimonio! Che c'era di male? Visto che non si era mossa la madre, mi muovevo io per lei. Era già stata approvata la legge sul divorzio, un paio di donne sedeva- ~1i no addirittura in Parlamento, selepur timidamente si cominciava, robe dell'altro wondo, a parlare della puni- s bilità della violenza carnale, come se gli uomini avessero un'altra scelta, ma, soprattutto, per una ragazza restare incinta senza farsi sposare era una conquista da lavoratrice autonoma, da single dentro il politico e in prima linea con le rivendicazioni femministe, non era più una disgrazia come ai tempi di mia madre - per non dire ppi dei tempi della cartolaia Puripurini, che da poco menotdi un secolo si becca la pensione di vedova di guerra: ma io,| che ho messo le mani in tutti gli incartamenti possibili, il Tenente Puripurini Alfredo, morto massacrato in Grecia il ventisette agosto del '23 nella missione militare Tellini, non l'ho trovato da nessuna parte e, secondo me, è ragazza madre anche lei, la furbona. Una conquista per tutte le ragazze madri senza marito esclusa, ovviamente, quella scemetta della Mucchetti Zamira che, morta di paura e di vergogna come ai tempi di mia madre, si ostinava a tenersi un enneenne quando nessuno sapeva neanche più che volesse dire enneenne, e all'anagrafe, come era capitato a me col certificato di stato di famiglia per la tassa sui rifiuti domestici, se gli dicevi, «Figlio di enneenne», ti sentivi rispondere, «Nome di battesimo del signor Enneenne?». Volevo quell'esame del DNA così, senza doppi fini, tanto per avere un documento da mettere sotto il naso all'Aminta, che era tutto un sorrisino di tristezza eloquente quando a braccia piene di roba e per carità cristiana ero andato a trovare la sua sorellina sconsiderata e la nostra creatura solo perché sicuro di fare un piacere a don Pierino, e volevo forse... un documento da mostrare a don Pierino stesso, da inviare ai T., da inserire nel breviario della Belindi Velia, e forse anche da incollare sui muri di Pieve, lo ammetto, perché ero proprio stufo di quella certa storia sottovoce messa in giro dalla maestra Francesca - sempre stando al resoconto che me ne aveva fatto don Pierino, perché io e lei da allora, dalla faccenda del buco nel muro e del furto e dell'impianto del riscaldamento saltato, non ci siamo più guardati nemmeno in faccia, e non sono certo io quello che comincia a piantar grane coi vicini. Ero stufo, sì, ma segretamente lusingato, di quell'attribuzione indebita, e quindi non avrei saputo infine che farmene di quel documento di sconfessata paternità: tante donne, chissà quante, tutte vecchie troie, compresa la Belindi Velia, non mi consideravano più un maschio abusivo su questa Terra. Però, la verità è la verità anche se fa male a chi in dignità e importanza sociale ci ricava di più dalla corrispondente falsità. Insomma, a me conveniva di più lasciar credere di essere un incintatore di minorenni negre praticamente orfane che non continuare a essere un ambiguo, insulso impotente che tira le campane alle sei e mezzo di mattina di venerdì e va a letto con le galline e stop. STOP? Proprio come di questi tempi è più onorevole per un qualsiasi ufficiale della finanza o industriale o giudice o uomo politico ricevere un avviso di garanzia per concussione o per corruzione, vedi tangenti, che essere liquidato nel novero degli incapaci tagliati fuori dalla grande Feccia e quindi dal vero Potere, a me conveniva di più accusare il colpo facendo sembiante di difendermene che difendermene sul serio sminuendo così agli occhi di tutti la mia acquisita importanza. Vox populi ormai vox Dei, mica ero matto, io, da cambiarla documenti alla mano, quella voce! Il sangue come prova di un'esistenza che non mi riguardava era solo un capriccio. E farmelo cavare, la mia unica botta di vita. Siccome so come sto, non ne avevo bisogno. Ma non si può mai sapere, mi dicevo guardandomi entrambe le braccia bianche bianche che non si vede niente e bussando allo studio della dottoressina Bentivoglio MUercede, da cosa nasce cosa anche se da me non è mai nato niente. Basta che la nana trovi la vena. « pOl... e comunque, io non so se, prove del sangue alla mano, avrei poi avuto il coraggio di fare quello che mi proponevo, cioé di distruggere l'unica leggenda che, seppure a torto, il popolo aveva costruito sulla mia persona però mi volevo levare lo sfizio di convincere me, irianzitutto, che non era vero niente, perché ormai, trovandomici bene, davo più credito a quella balla pazzesca io che la subivo che non la gente che l'aveva messa in giro. E pOi... a dirla tutta... siccome la gente l'aveva messa in giro e se l'era anche dimenticata in men che non si dica, tanto valeva o smontarla del tutto o... rinverdirla. Ero un po confuso, mi era chiaro. La dottoressina Bentivoglio Mercede, seppure non più fresca di luna di miele, nel suo studio era radiosa come uno spiedino di carni rosolate a puntino ed emanava un fortissimo odore di donnina allegra e bella calmata da maschio vero, girata e rigirata a zezzo lento ma senza tanti complimenti a tutte le ore del giorno e della notte. Con molte cerimonie - rivolte al sedile e ai braccioli della poltroncina su cui doveva arrampicarsi, non a me mi si sedette di fianco, con le scarpine bianche non toc cava terra, e, dopo essermi fatto benvolere da lei e averle spiegato il perché intercedevo per una sua discrezione particolare nei miei riguardi, ancora stentavo a dirle il perché volevo fare quelle analisi del sangue incrociate con la piccola mulatta su in Medicina, lei mi venne incontro e mi disse, «Ma non c'è problema, caro Pino, amici come siamo di lunga data mi racconti pure il perché, inoltre noi della classe medica siamo come i preti, vincolati al segreto confessionale. Lue?», «Per via aerea?», mi scappò di dire meravigliato, perché io non osai pensare che anche le galline potessero nascondere le stesse qualità delle donne vere fino in fondo, e le spiattellai tutto dell'immane fandonia sulla mia ignobile, peccaminosa, esaltante relazione con la Mucchetti Zamira che chi l'ha mai vista, a parte la vendicativa e spergiura Belindi Velia sulle scale di casa mia che poi non era neanche lei ma una papera nerastra alla quale io mi ero rivolto parlandole come a una cristiana. Intanto la dottoressina, fattasi seria, discendeva dalla poltroncina con un oplà un po' equestre. .Dopo aver finito di raccontarle il mio perché, e che già stava sciogliendo il laccio di caucciù intorno al mio brac cio dopo avermi fatto un quattro buchi prima di indovi nare una vena, stavo per raccontarle anche la mia versio ne della scabrosa vicenda di un anno e mezzo prima con quella zingarella impunita, ma lei alzò un alt con la mani na libera dal siringone pieno di sangue e disse, contraria ta, «Questa, anche se non me la racconti... Scusami, ma il dovere mi chiama. E grazie del Pio, è un amore... così bianco è il primo... pelo così soffice. Per i risultati, vieni fra due settimane. Sai, qui non siamo attrezzati, lo devo mandare a Brescia». Mi guardai in giro nel suo studio: sulla scrivania teneva, in una bella cornice di peltro, una foto di gruppo: lei, a braccetto di colui che era diventato suo marito poco dopo la faccenda della Leprina, il professore di ginnasti- 1 ca Milancio Primo che da vicesindaco era stato appena a eletto sindaco di Pieve scalzando lo Scaltrini, poi il dottor | Angelucci, viceprimario al reparto di ginecologia, a braccetto di quella che doveva essere diventata sua moglie - l'altra figlia del Cavalier Bentivoglio, come si chiama di nuovo? insomma la più grande, si fa per dire, delle due sorelluncole... la Fede, ecco - e fra il saliescen- ] di delle due coppie, una nana vestita di bianco e un domatore in frac, un domatore in frac e l'altra nana vesti- ~4 ta di bianco, lui, don Pierino. E accanto a lui una suora sui cinquant'anni, minutavdal grande copricapo bianco tipo olandesina volante che mi ricordava qualcuno, qual- s cuna, ma chissà chi. Tutti e sei si tenevano per mano e il fatto che il poco più che trentenne dottor Angelucci 9, tenesse per mano la suora fece in modo che anche lui improvvisamente mi ricordasse qualcuno, ma non sapevo chi. A parte che mi ricordava la suora che imprXovvisamente non mi ricordava più nessuno. Qualcosa, tuttavia, mi attraversò la mente, come il sibilo metallico che precede la chiusura di una trappola d'acciaio laminatissimo, ma non volli capire e non la vidi scattare. Non la vidi nemmeno una volta intrappolato per bene, a dire il vero. Era perfetta, e del tutto trasparente, invisibile persino a me, che ci stavo dentro. Da decenni. L'indomani del prelievo incontro di proposito don Pierino, di ritorno dal suo fine, finissimo fine settimana a Santa Margherita Ligure... dove nella sua casetta sul mare invitava sempre anche i T. e i D. e dove finiva e finisce per andarci solo la T. Leonora alternandosi, da tre stagioni, alla D. Cleo che presto si alternerà alla T. Annalisa mentre per quelle proletarie un invito nella sua casetta di campagna ai Barcuzzi per una preghierina con merendina delle cinque e poi filare basta e avanza... per carità, san Pietro, mica stavo insinuando niente... e gli dico, con '[ quella poca disinvoltura di cui sono capace, «Don Pierino, io volevo dirle che sono andato all'ospedale e che... si ricorda quello che lei mi aveva detto che le aveva detto la maestra Francesca su me e la Mucchetti Zamira che adesso è scomparsa...», «Ma Pino!», mi fa lui, interrompendomi brusco, «sono cose ormai dell'altro secolo! Hai avuto la tua liquidazione e la tua pensione dallo Stato grazie a me? E allora piantala» - era scomparsa da neanche dieci giorni e lui non aveva fatto una piega -, ma io ho continuato, «No, don Pierino, non è mica niente di grave, mi ascolti, è una sciocchezza, un pensiero che m'è venuto... così... su sua figlia Rachida... e chi sarebbe il vero padre», lui mi guardava come sforzandosi di ricor dare e gli fosse troppo difficile con tutti quegli strati di Etintarella sulla fronte, allora ho continuato io, «Ho fatto fare l'esame del sangue, del diennea e...» e lui, trattenen do gli occhiali che gli erano traballati sul naso a causa di una smorfia che gli prese guance, setto, palpebre, «Cosaaa? Tuuu? Quandooo? Da chiii?», e io, «Ma ieri, all'ospedale, dalla dottoressina Mercede...», e lui, «Sei proprio una testa di cazzo!», così disse, così, cazzo. E due settimane dopo, sempre più sbigottito, ma sempre più lusingato... inebetito dalla potenza della Verità divina ma stracciato dalla potenza della verità umana che serve all'edificazione della Volontà Divina... io mi rigiravo fra le mani il mio bel documento del sangue davanti alla scrivania della signora Bentivoglio Milancio Mercede nipote della Signorina cognata del dottor Angelucci amica fedele e sodale di don Pierino. Lessi e rilessi e tornai a riririleggere. Il fatto che la dottoressa Bentivoglio Mercede fosse una nana, armonica di viso ma nana in tutto il resto, poca cosa ma di raro imperio psichico, di volontà di potenza, di potenzialità di collera, contribuiva ancora maggiormente a elevare a un'altezza oracolare la decisio- i ne della sua scienza suffragata dalla Fede. Inoltre, se 1 pensavo all'altezza altezzosa del Cavalier Padre Bentivoglio e della Signora Madre Bentivoglio genitori di quella creatura tutta concupiscenza compressa eppur cervello, vidi l'imprimatur imperscrutabile di Dio anche sul mio documento, seppure in negativo. Egli operava ì tramite quella Sua vestale Mercede e la sorella maggiore di costei... di nome di nome di nome?... ah, Fede, pure nana, operava dunque una specie di nemesi storica per suggerire al mondo qual era ai Suoi occhi la statura| morale di tutta quella Fargiglia Cristiana di gente Ben-S tivoglio fedele alla Santa Romana Chiesa Unica e Apo-1 stolica: un metro e dieci. Dio sembrava suggerirmi che, anche se questa altezzaq e ben al di sotto della media nazionale di qualsiasi ateo, anticristo, comunista e poveraccia di pollivendola che metta al mondo un povero cristo senza padre... ~o non dovevo ribellarmi ai Suoi voleri ultimi, ché l'ultimJ paro la in fatto di imperscrutabile Giustizia Terrena giusta era Sua di Lui perché sua di lei, la nana col Suo responso scientifico: il padre di Rachida ero proprio io. Accettai il verdetto senza fiatare, come l'investitura cavalleresca a uno schema superiore alle misere, umane cose che o sono o non sono e niente di più, ca...! però, quando ci vorrebbe ci vorrebbe: CACCHIO! Questo sì. Bene. E intanto la maghina Circe si rigirava verso lo schedario e mi diceva che, visto che la piccola Mucchetti Rachida non era morta, tanto valeva per me uscire allo scoperto con lei sin da ora, che era piccola, e dirglielo chiaramente che ero il suo papà, e andare su a consolarla in Medicina, o in Pediatria, non ricordava più bene dove l'avevano trasportata da ultimo, ah, sì, a Brescia, agli Infettivi, per via dell'epatite, be', e perché mai le avevo raccontato tante frottole sul mio voto di castità? che male c'era? sempre meglio che aver fatto abortire la madre dal Dioticuri... Inoltre, chissà Dio che brutta fine aveva fatto la Mucchetti, chissà se sarebbe ricomparsa, chissà se l'avrebbero ritrovata! Una ragione in più per stare accanto a mia figlia, disse la dottoressina, anche se poteva sempre contare su sua zia puttana. Gli esami parlavano chiaro, «Ah, che originale di uno che sei! Che tu lo voglia o no, adesso sei papà». Credo di aver fatto il giro su me stesso un paio di volte di troppo leggendo e rileggendo punto per punto tutte le similarità dei plasma di quell'irrevocabile decisione del DNA nero su bianco e timbro e firme ufficiali illeggibili ma non per questo meno impressionanti, faccio per mettermelo in tasca quando lei me lo toglie di mano e dice, «Pino, tu lo sai, l'esame te l'ho fatto di straforo, non sarebbe neanche legale, mica sei venuto con regolare richiesta, mica hai pagato il ticket, è roba che la mutua non passa, roba di un milione, non vorrai mica che te lo lasci anche in mano, neh? Che te ne fai? E io per averti fatto un favore andrei nelle grane...», e io, «Oh sì, certo, che me ne faccio? Grazie, grazie...», e lei, tutta cortese e materna, «E grazie del nuovo micino, neh, un amore, peccato che cresca così in fretta...», mi stava congedando, non devo aver visto la sua manina allungata per stringermi la mano, ero assente, con lo sguardo nel vuoto verso la cornicetta di peltro accanto a un vasettino di fiori secchi, quando mi fa, «Bella foto, neh? L'abbiamo fatta qui da Salmonelli Banchetti, subito dopo il taglio della torta, eravamo in quattrocentoventi, sai com'é, fra una cosa e l'altra... ci si dimentica sempre di invitarne qualcuno, così abbiamo finito per invitarli tutti», meno che me, avrei voluto farle osservare, e invece dissi, «Ma che copricapo strano, quella suora, non l'ho mai visto», e stavolta fu lei a inondare me di informazioni mai richieste, «Ah, chi? Suor Teresa? Sì, sì, è la veste delle Pie Mercedarie di Nostro Signore della Croce... lei è la badessa, partita dal nulla, sai che era delle nostre parti e perciò semianalfabeta? Pensa che per i matrimoni è venuta apposta da Santa Margherita Ligure, qui a Pieve tutte le ragazze di buona famiglia la conoscono, e anche io e mia sorella siamo state a fare i ritiri laggiù, abbiamo insistito tanto, lei non voleva venire, non voleva proprio, anche se da tanti anni l'Ordine non è più di clausura, ma don Pierino le ha mandato il Lunardoni con la macchina e... Ha più fratelli e nipoti lei qui nei Boschetti che Esaù, però per i suoi parenti abbiamo fatto una saletta a parte, sono rimasti un po' villiCi... Allora ciao, papà», e svomparve in un anfratto del sotterraneo deserto, io ero lì davanti alla porta del suo studiolo, ero ancora tutto rintronato dalla sorpresa, e nel girare su me stesso o per stramazzare o per rinvenire del tutto, ho visto che la porta del suo studio era rimasta socchiusa, sono entrato, ho preso la cornicetta con la foto di don Pierino e la suora e le due coppie di sposi, me la, sono messa in tasca e me ne sono andato via a passo noimale, tirandomi dietro un po' il piede sinistro, che sembrava aver preso fuoco tutto in un momento, un mancamento di respiro e in tutto il corpo, e poi quella voglia furiosa di grattarmi dappertutto che mi sarei dato fuoco per farla smettere e che mi è passata solo quando ho tirato fuori di tasca la cornicetta e l'ho messa via da qualche parte. Da allora, tutto è filato liscio nella mia esistenza, tutto spaccato al millesimo, campanile, rosari, casa e ospizio. Io ho continuato a fare quello che ho sempre fatto, alzarmi presto, aiutare i bisognosi da un capo all'altro della giornata e poi ad andare a letto con le galline e a svegliarmi al canto del gallo, e magari basterà aggiungere ancora questo: che un anno e qualche mese dopo la faccenda della Leprina, andata a finire tutta in pane e acqua e brodo di giuggiole come volevasi dimostrare, io già riscuotevo la mia pensione, e per l'appunto pochi giorni prima di essere diventato anche ufficialmente il padre di quella scimmietta della Pigliacielo Rachida, è scomparsa da Pieve di Lombardia, per l'appunto, Mucchetti Zamira, la madre di mia ftglia. La piccola Mucchetti ragazza madre doppiamente snaturata è scomparsa dall'oggi all'indomani voglio dire, l'Aminta è andata anche a tma trasmissione televisiva di Lurio Don e della brava presentatrice Orsomando Nicoletta per supplicarla di tornarsene a casa sua, la sorella, intendo, non la Orsomando Nicoletta, e che presto i loro genitori si sarebbero ricongiunti a loro due dalla Somalia qui in Italia, e le chiedeva scusa se qualche volta l'aveva sgarbata e rimproverata perché non si curava troppo della piccola Rachida, ma la Zamira non ha più fatto ritorno e non s'è più vista, e io lo sentivo nell'aria che la nostra famigerata lingualunga di maestra ormai Direttrice Didattica T. Francesca ne aveva ancora una delle sue sulla lunga e biforcuta, e che Dio solo sa cosa avrebbe dato per tirarmi in ballo di nuovo suggerendo al vento che io avevo lo zampino intinto di sangue in quella scomparsa che puzzava di omicidio. Non fosse stato per il ricordo del buco fatto dalla mia parte nella sua nicchia di merda, niente l'avrebbe trattenuta: avrebbe dato fiato alle trombe. Ci mancava anche che spifferasse in giro quest'altra verità, anche se non la riguardava, e io sarei anche diventato un eroe agli occhi dell'opinione pubblica, nazionale stavolta, né più né meno che oggi O.J. Simpson in America, ma non so che fine avrebbe fatto lei, la T. Francesca: a costo di distruggere anche la mia, le avrei come minimo incendiato la casa, stavolta, con dentro lei e tutti i suoi cari e le sue care sempre dietro alle gonne dei preti o... chissà... non si sa mai come ti gira... per la gratitudine mi sarei offerto di tenerle pulito il cortiletto e la sua parte di strada finché si fosse data la briga di rinfocolare la calunnia. Invece no, stavolta la Direttrice alle Calunnie se ne è ben guardata dal mettere voci in giro contro di me, anche perché nei mesi successivi ] una volta la Zamira veniva vista a Portofino, un'altra volta a Essen, in Germania, un'altra volta di nuovo a Santa Margherita Ligure scortata da una suora, e alla giovinetta di colore non sembrava mancare niente, dei 3 gran eleganti premaman e poi - ma questo l'hanno riferito anni dopo dei camalli, a Chi l'ha visto? della signorina Raffai Donatella - è stata vista al porto di Genova che con un frugolino in fasce si imbarcava su una nave-cargo dell'URSS per il Baltico... E col passato ho chiuso. Questo sì. Bene. v1 Anche con la morte per emorragia da stupro di Faccetta Nera Prima e Ultima hai chiuso, Pino Pinocchio? No. Ammetto anche questo... e chissà quale allucinazione da medium ha sovrapposto alla mia la malefica e lusingatrice Benita Belindi Velia quando gridò che sulla mia scala aveva visto il tronco di una bambina wezza nuda color cioccolato: quella che per me era un~lnatra nera ma pur sempre neutra, l'unica del mio hobby avicolo a intermittenze, per lei era diventata una ragazzina di un qualche colore. Mi aveva solo letto ufologicamente nel pensiero, la Belindi Benita, ma io mi sono guardato bene dal protestare lì davanti a tutti, preside Longamano, segretaria Brusaporci Maurizia, don Pierino e gli altri professori, non ho voluto farle rettificare che quella vista da lei non era una bambina vera, ma una mia papera, la mia fantasia zezzuale fascista pura sull'Italia Imperiale in Africa, dalla Belindi Dio solo sa quanto soprannaturalmente intercettata fino a dare gambe e busto da puttina umana alla mia interpretazione ruspante di Faccetta Nera Bella Abissina e cioé alla mia realtà democristiana di Negra Da Compagnia che con la cresta fa sì buana sì al DaDDasyallo italiano. ~ran natriota e pran con ~ ~U quistatore. Viva il Duce! , UvO E' stata la Belindi Velia ad attribuìrmi le arie di don Giovanni sagrestano a metà, imperfetto, e pertanto corruttore di bambine, arie che io certo non potevo darmi in qualità di veterinario in erba termometro in mano e amoroso del tanto odiato, ributtante, affascinante pollame dallo sguardo di femmina chioccia, cioé dell'altra metà del cielo. Poi, sì, quando la Zamira in lacrime è venuta da me e mi ha detto che io l'avevo messa incinta per la seconda volta e che LUI le aveva detto di dirmi che l'avevo messa incinta io anche stavolta e di provvedere io a sistemarmi col mio dottor Dioticuri per farla abortire o alla più disperata col dottor Angelucci, già al corrente di tutto... non costui, per carità, costui non ne sapeva niente, ma suor Betta, una delle tre rimaste nello smantellato ex Beata Merici e che ora lo coadiuvavano... be', io sentii venirmi subito lo scuro agli occhi e i crampi alle mani... ma la Zamira disse che lei non voleva abortire, che si vergognava di presentarsi così davanti a suor Betta che le aveva voluto tanto bene e nemmeno voleva dirlo alla Aminta, ché sua sorella non doveva sapere nemmeno stavolta chi era il padre e tantomeno che lei era daccapo incinta, e che io GLI dovevo dei favori e che io e LUI era come dire la stessa persona, lo stesso uomo, gli stessi genitali, lo stesso padre, le stesse iniziali... t.o stesso padre?... io non sono più stato lì a pensare chi ero io e chi era lui, tanto lo sapevo, lo sentivo e ormai ero sicuro che LUI non agiva nell'ombra per esporre me al ludibrio e salvare anche da questo scandalo il Lunardoni Battista, il vero, l'unico sagrestano di Pieve, ma per esporre me e salvare se stesso. Ché, se sulla paternità di Rachida mi ero fatto, e quanto faticosamente, dei dubbi, con questo feto in agguato non ne avevo più: altro che il Lunardoni, l'incintatore era proprio LUI. Lo stesso, ne avrei dedotto alcuni anni dopo ma acqua in bocca sempre, che era corso dalla collega in conferenze clinico pastorali dottoressina Bentivoglio Mercede a farsi prele- 1 vare il suo di sangue per permetterle di scambiare una provetta con un'altra, un'etichetta con un'altra e poi, con quel prelievo sottobanco suffragato dall'intenzione ben precisa di farmi passare per fesso congenito io consenziente, ] di redigere il mio attestato di paternità non più in base al mio sangue ma in base al SUO, suo di Qualcuno che ben so io. E se invece stessi romanzando? che bisogno aveva LUI di scomodarsi per andare a farsi prelevare il sangue, XZ sostituirne la provetta eccetera? Fra addetti ai lavori, gli1 esami del sangue si fanno al ilefono, e quello che per le comuni genti potrebbe avvenire solo tramite un ricatto inaudito, per gli addetti ai lavori avviene tramite educata richiesta di un favore da ricambiare alla prima occasio ne... IL guaio è che io, avendo vissuto come ho vissuto, conosco il sistema solo quanto mi basta per subirlo, non per sapere com é, e siccome ne ho subite parecchie di cose un po' stortine senza capire perché, me lo josso immaginare solo a posteriori come funziona a priori, il sistema... e be', quando quella piccola ovaiola mulatta si è messa scientemente a blandire per la seconda volta e così spudoratamente un mio spermatozoo mai uscito di posto dandogli del vagante prima e del mirato poi, io non c'ho visto più, ho preso il manico di una scopa della sagrestia che dovevo riparare e lì ho preso Zamira per il collo e l'ho strangolata senza smettere di aprirla e uma nizzarla dal cicerone fino a romperle il manico dentro dentro la ga...fi e dentro quel suo maledetto feto di me Madonno. Per tutti questi anni ho tenuto nascosto il manico spezzato sotto la trave del tetto: troveranno nel bagagliaio, si fa per dire, della Cinquecento anche questo l'arma dell'unico delitto passionale del mio passato. No, stavolta non me la sentivo proprio di coprire quel vecchio scroto ipocrita e impenitente, tanti bei discorsi sulla toccabilità dei maschietti e sull'intoccabilità delle femminucce da parte dei preti di profonda vocazione e dei sagrestani autentici e poi... ah, l'Immondo Vecchio! Perché io Giuseppe padre vergine una volta sì, ma due no, sarebbe proprio 'na bella croce, avrebbe detto di no anche la Madonna se l'arcangelo Gabriele le avesse chiesto di fare un favore a santa Agnese sterile, figliare un secondo Gesù e darlo in affido alla cugina. La Madonna le avrebbe detto senza intermediari, "Agnese, sono una donna, non sono solo una santa, con lo Spirito Santo una volta basta e avanza. Adesso voglio provare Giuseppe. Che mi sarei sposata a fare se no?". E per Giuseppe idem con patate. La verginità e l'immacolata concezione stancano a lungo andare, specialmente se sei un uomo, e poi sei sempre sicuro di una cosa a generare in questo modo e senza fallo: a) che i figli tuoi sono sempre figli di qualcun altro, b) che questo qualcun altro però il suo fallo l'ha usato e tu il tuo no. Dopo un po' che lui ci mette il seme e tu ci metti solo il nome e ti sobbarchi per sovrammercato le spese di rappresentanza, ti girano i testicoli a forza di non usare i tuoi e a forza di far usare solo quelli di Qualcun Altro a nome tuo. Ho messo Zamira in un sacchetto del carbone, l'ho caricata sul sedile dietro, e l'ho portata al Chiese, nella mia Nicchia. In pieno giorno. Ho scavato la fossa nella grotta, la terra era così tenera per l'acqua sorgiva che in due ore ho sistemato tutte e due, ovaiola e ovulazione fecondata, e tre giorni dopo c'era già il muschio sopra. Questo manico di scopa spezzato in due... Un bell'indizio sulla mia maniacalità, se i carabinieri vorranno riaprire il caso, per una cosa mai successa... un delitto mai più comprovabile... un delitto rimasto fra me e me e che a suo tempo avrei tanto voluto imputassero al sottoscrit to con tutto il clamore necessario perché la punizione fosse esemplare e definitiva... Pensavo che l'unico modo per sfuggire al terrore del manicomio era finirvi rinchiuso, così come l'unico modo per guarire da una malattia terrorizzante è prenderla. Avrei preferito finire lì dentro i miei giorni in un isolamento meno atroce di questo fuori con tutta la parvenza della gente intorno, con la parvenza di potersi muovere, di poter parlare, di poter sentire e, sentendo, di poter essere sentiti un po' . Invece qui fuori è tutto il contrario. La finta libertà è peggio della segregazione vera. E così Zamira è scomparia nel nulla... interrata sotto la mia Ara sul Chiese... e nessuno si è mai dato la pena di ricercare 1 assassino, me... Scomparsa solo per qualche mese, purtroppo, poi anch'io ho dovuto piegarmi al fatto che la sorella dell'Aminta non era poi scomparsa tanto nel nulla come in quel frangente mi compiacevo di pensare che gente e carabinieri pensassero di me, cioé *omparsa per causa mia, il mostro in libera circolazione che non lascia prove della sua maschia brutalità... La maestra T. Francesca non aveva spiccicato parola al proposito. Oh, come vorrei avere quella piccola, insolente mulatta sulla coscienza come ovaiola umana e non come donna animale ! Tutto passa, tutto trasmuta, anche le misure dei reggipetti... dalla terza alla quarta alla quinta alla sesta alla settima .. oh, mia Leonora bambinella... e poi, comunque, i manicomi 1i hanno chiusi e mi è ritornata la paura più angosciosa dopo quella di finirvi dentro: di non finirvi dentro mai più. Certo, questa è la storia che ha vissuto la mia ansia e lo sdegno che mi toglieva il fiato e la ragione di fronte alle sragioni di Zamira, ma da quel sacco col cadavere io non ho prelevato una ciocca di capelli nero petrolio ma due ciuffetti di piuma nera, uno dal collo e uno da sotto il petto. Scavate pure, genti di Pieve, troverete la carcassa di un'anatra matta, l'unico gallinaceo che abbia fatto fuori con le mie mani e deflorato con rabbia. Deflorata, si fa per dire: io conosco l'anatomia delle galline e sue consorelle esattamente come conosco per esperienza diretta quella delle donne. Non saprò mai che buco ho centrato in Faccetta Nera Bella Abissina, perché non so se le anatre, le oche, le galline sono pluriorifiziali come le donne o se le donne sono monoorifiziali come le galline e non saprò mai più se ognuna delle due specie, pur nello stupro, porge di preferenza all'irruenza dell'uomo la gafi per far pipì o il locu per far popò senza che l'uomo si renda conto di penetrare fischi per fiaschi o se, violenza per violenza e rassegnate per rassegnate, le donne porgono nel perineo entrambi i buchi allo stesso tempo tirandoli tutti e due verso lo stesso centro e lo stesso vuoto d'aria fino a farne uno solo ma bello capace per far far centro anche al più imbranato spandifieno. Misteri. Questi sì. Dove sia andata Zamira e il suo secondo figlio dello stesso Immondo Vecchio della prima volta, se non l'ha mai saputo di certo nemmeno la Raffai Donatella, non lo posso sapere certo io, e questo mistero, se di mistero si tratta e non di semplice tratta una volta di bianche una volta di negre anche coi Padri Ortodossi di Mosca, il mio cervello non chiarirà. Io per me sono sempre contento quando si partorisce, basta che siano bambine, e non m'importa niente con chi e da chi, io l'avrei anche protetta quella sventurata della Zamira se me l'avesse permesso, ma a un patto: non tirarmi addosso i fulmini di don Pierino e della signorina Bentivoglio Giuseppina e della nipotina dottoressa Mercede e di suo marito il sindaco Milancio e del dottor Angelucci, per non parlare di sua sorella stessa, l'Aminta, insomma di tutto il paese escluso il mio dottor Dioticuri, ancora così abbacchiato dal fatto di essere sopravvissuto all'olocausto - sempre che non sia una grossa montatura della CIA, come sospetta anche la signora farmacista Bertucci - da non avere fulmini che per sé e che quindi sarebbero fulmini di fantasia. Non sarebbe il primo a inventarsi una bella balla in gioventù per godere di un tragico mito in vecchiaia. Io sono sempre stato, come tutte le persone perbene, non c'è bisogno di dirlo, contrario all'aborto procurato Certe cose, se si devono proprio fare, non bisogna dargli anche pubblicità, ma sono contrarissimo all'aborto se dalla pancia maturata deve uscire una puttina. Però, siccome la Zamira era già di *e mesi e mi aveva detto che scalciava tanto che stavolta era un maschietto, ne era sicura, io in un caso come questo avrei chiuso anche un occhio, l'avrei anche accompagnata in persona dal dottor Angelucci dicendo che in verità mi ero rivolto al mio dottor Dioticuri come era d'obbligo sussurrare in giro quando bisognava infangare qualcuno, avrei riscitiato e mi sarei assunto tutte le responsabilità pur di salviaguardare le spalle al Qualcuno che sapevo io, ma era lei che non voleva abortire, diceva che comunque la sua vita era in pericolo, che LUI, cioé io, avevo minacciato di farla scomparire se Si ostinava a tenersi anche questo figlio del diavolo con l'acquasanta. L'accompagnai aSla porta e lei la sera già era scomparsa, piantando là la piccolissima Rachida che stava già male. A distanza di due settimane dalla scomparsa della mammina negra e della riconferma scientifica della mia paternità, don Pierino, attribuendomi nei confronti della Zamira dei meriti assassini che semmai ha fantasticato lui o chi per lui, tipo il Lunardoni Battista, mi permetteva, una volta tanto, di sottrarre le telecamere di TeleVita ai Tridui della superpresenzialista bidella Belindi Velia, che si era ritagliata anche qualche altra sacra menata oltre ai Tridui, come quella volta che si è travestita da san Giovanni Battista che, a puntate, battezza i palestinesi di Arafat: nell'anelito realistico ha trasformato subito l'altare di santa Rita in un guado, ha poi allagato mezza chiesa, tutta dopo la conferma dell'alto indice di gradimento, e le scarpe delle fedeli e dei curiosi che hanno fatto tutto un cip e ciop sul pavimento per quindici giorni buoni. La ex signorina Belindi era andata a Roma a sposarsi in differita col Ministro della Pubblica Istruzione Piedini, e così, come stavo dicendo, don Pierino permise di farmi portare le telecamere dentro la chiesa del Suffragio, illuminata alla grande, fiori come in una serra, ceri per un miliardo d'anni di indulgenze, per tre ore di fila di Misteri Dolorosi e anche un po' misti e, in diretta, io, io! chi l'avrebbe mai detto? Io no. L'uomo, non sapendo risolvere il finto mistero della vita nell'unico modo possibile, cioé ignorandolo o non considerandolo un mistero e comunque non uno di quelli che spetta a lui risolvere e, se anche potesse, rifiutandosi di risolverlo per non rovinarsi poi, oltre al gusto del mistero, la vita stessa per sempre, ha inventato Dio per avere un vero mistero con cui risolvere quello finto e, una volta risolto anche Dio, ha inventato la televisione perché glieli risolvesse entrambi veramente fintamente fuor di dubbio, insomma: un trionfo di rosario. Morale: con una fava due piccioni, e anche di più: vita, Dio e share. Pubblico e critica concordi, con trafiletto del longobardo Achillee da allora scomparso dalla mia Suffragio fino a pochi mesi fa - perfino sulla Leonessa, il che ha portato a richieste di trasferte, industriali locali che volevano abbinare ai Misteri la promozione di finimenti per cavalli e acque minerali eccetera eccetera, anche se a me questi esiti mondani non sono mai interessati. Però, è vero: se la scienza è una forma di Fede, perché la Fede non dovrebbe essere la Scienza Esatta per eccellenza se c'è la TV? E l'astrologia, allora? Mi è stato richiesto il bis e don Pierino me l'ha concesso per tutta la durata della luna di miele della ex cameriera-bidella col neo Ministro, due giorni e una notte ad Arona, la ridente cittadina di san Carlo Borromeo colla gigantesca statua del sigillatore ultimo del Concilio di Trento. Praticamente, ] l'arzilla coppietta biancogiglio sarà scesa dalla statuona del Santo solo per andare a dormire e far soffia-s re i piedi gonfi fuori dalle scarpe e consumare finalmente il consumabile nuziale: il sonno arretrato. Non senza's aver dato un bacino all'immaginetta di san Carlo1 Borromeo, prima di spegnere-la luce, ché, fulgido esem-a pio di bontà, il cardinal Carlò; Borromeo alla sua morte1 lasciò tutto ai poveri. Da un punto di vista etico, quando si è ricchi e si lascia tutto ai poveri morendo, non è come quando si è poveri e, morendo, non si lascia niente ai ricchi? il Borromeo non poteva lasciare qualcosa ai poveri anche da vivo? Ma quando si comincia ad applicare l'etica anche alla logica hanno tutto da perdere entrambel sic ché bisogna pur attenersi a un principio: di nulla è incol pabile il ricco che non lascia niente ai poveri da vivo, perché così li guasterebbe, mentre è semmai riprovevole il povero che, morendo povero come ha vissuto, oltre a non lasciare niente né ai poveri né ai ricchi, gli lascia pure un qualche debito. Io debiti non ne lascio a nessu no. Questo sì. Bene. Comunque, dietro ogni momentaneo mistero doloro so c'è un mistero buffo a medio termine: Zamira cinque anni fa è ritornata a farsi viva per lettera con sua sorella Aminta, vive a Mosca, ha tre altri figli ed è - sarebbe felicemente accasata con un parente di Gorbaciova Raissa ed è lei che, anche se non manda un rublo per sua figlia Rachida, dice l'Aminta, le invia tutte quelle scatole di ovulazioni nere luccicanti chiamate caviale. Ma con que sto, io col passato ho chiuso del tutto. Se non fosse che Me la sono studiata bene quella foto presa su a quella nanetta in calore della Bentivoglio Mercede, mi sembrava che contenesse un mistero in più, che quel mistero mi riguardasse da vicino, anche se, sforzandomi di decifrarlo, non riuscivo a capire quale fosse, poi l'avevo ficcata da qualche parte, non l'avevo più trovata, me l'ero scordata e un giorno, un paio d'anni fa che ero di ritorno dalla grande lite fra don Pierino e la vecchia Alice sul dire o non dire una messa in onore di quel don Diana, apro la credenza-armadio dove tengo sia gli alimentari base in basso e i vestiti in alto belli appesi, prendo su l'ultimo sacchetto, non so più se di zucchero o di sale, dalla mia scorta, un raggio di sole fa brillare qualcosa sul fondo, allungo la mano, prendo la cornicetta, vedo la foto, vedo la mano di don Pierino stretta a quella di suor Teresa che con l'altra stringe quella del dottor Angelucci, salgo alle tre facce, le mischio e le confronto e in un baleno m'illumino di relativo: suor Teresa è la Ciuletti Teresì dei miei vent'anni abbacchiati e segati, il dottor Angelucci è suo figlio, il quale ha gli occhi, l'altezza e perfino gli stessi occhiali di LUI. Ho preso cornicetta e foto, le ho messe nel sacco nero dell'immondizia e vi ho chiuso sopra il coperchio del cassonetto per sempre. Don Pierino è come don Trenta con lui e con me: va a simpatie. Ne segue uno e ignora tutti gli altri. Nessuna curiosità verso i suoi altri due figli avuti dalla Mucchetti Zamira, innanzitutto non erano biancogiglio ma caffelatte, neppure di nascosto da tutti i due della Zamira sarebbero stati conformi alla sua idea di bastardo ideale nato da prete e da piccola scopatrice della domenica delle Acli come invece lo fu il professor Angelucci, nessuna attesa né per quella Rachida di qui né per quel Boris Otello di là oltre il Muro crollato. Don Pierino è andato in Russia a interessarsene esattamente come è andato a benedire la casamatta dell'infedele cogtata Aminta: mai. A me sembrerebbe di impazzire al pensiero di avere un figlio in giro o addirittura alla casa accanto e di non dargli mai un segno di vita, di paternità certa, tipo uno schiaffo, un calcio in culo, perché io personalmente mi sarei accontentato anche di questo da don Trenta, invece niente, ero troppo insignificante, troppo poco gratificante per lui nella parabola della sua edificante esistenza perché mi facesse del male anche direttamente. Sì, impazzirei, e che nostalgia proverei di un mio figlio, di una mia figlia, a non sapere come sta, se dorme, se mangia, se si è messo la maglietta di lana e se va anche lui, come me trentenne, sul~tolle di San Pancrazio a gonfiare quei cosi di lattice sparsi nell'erba credendoli palloncini colorati anche se poco! Ma io non sono un prete, non ho la perfezione dell'inumano, sono solo un sagrestano a metà. Questo proprio sì. Bene. E sabato trenta settembre scorso, finalmente, mi lavavo bene, mi sbarbavo ancora meglio, mi mettevo le scarpe buone, quelle aperte in punta da portare senza lcalzettine, alla francescana, e alle otto e due, a piedi, conducendo a mano la bicicletta, con una voglia matta di zoppicare un po' per purgare dal mio corpo tanta gioia improvvisa, e sotto una grandissima luna piena bianca nel cielo bianco andavo a cena da Marì... ... sei sicuro di aver chiuso del tutto col passato, Pipino Pinocchio? E di che misfatto orribile ti rendeva responsabile tua sorellastra Tilde in quel modulo telegrafico che hai deglutito senza masticare sbiancando? Ma che ne so? E se cambiassimo discorso intanto che mi ritorna su? ... ah, la mia stretta al cuore quando mi sono reso conto di chi amavano Leonora e Cleo! Io me le sognavo LUI se le faceva! Cambiando la mia prospettiva sulle cose, a causa della filippica dell'Alice su don Diana, un velo, anzi, un telone mi si é squarciato davanti agli occhi e ha cambiato tutto, io... io... io... Non cambiare argomento, Tergiversa Pinocchio! Le due più belle ragazze del paese che, insieme alle più belle che stanno sbocciando, si contendono l'amore dello stesso Immondo Vecchio che a settant'anni passati ne dimostra dieci meno di me... io l'ho capito solo di recente, ho impiegato anni per rendermene conto e trovarlo del tutto evidente a chi ha occhi per guardare, l'ho capito da certi sguardi, da certi movimenti furtivi delle mani laccate di rosso delle mie giovani vicine, da certe soste dietro la grata del confessionale da far perdere la testa alle pentite vere in coda, da certe nervose noncuranze di entrambe quando una dopo l'altra gli suonano il campanello con i più strampalati pretesti da Centro Giovanile tipo raccolta carta, raccolta ferramenta, raccolta abiti usati, raccolta scarpe usate, e anche da certe sue visite pastorali improvvise, a domicilio! per tacere del modo osceno con cui di domenica le due puttanelle si accostano alla Santa Comunione, come aprono la bocca fissandolo mentre lui gli infila dentro di colpo l'Ostia Benedetta... E da certe grattatine improvvise al basso ventre che le due future pie donne si danno furtivamente per strada, perché è chiaro, mica hanno i pidocchi, i pidocchi alle donne mica vengono al pelo della gafi: sono piattole e gliele attacca LUI. Se è per questo, col senno di poi, gliele attaccava alla mia Teresì dei Boschetti già quarant'anni fa. Ma si sa, o Dio è dappertutto o sono creature di Dio anche loro o LUI è animalista senza saperlo, e non vanno sterminate. Siccome io adesso, fra vecchi piattoloni del ricovero e disinfestazione Suffragio e Ancr, di polveri e polverine e veleni e prodotti contro gli uccelli me ne intendo, ho osato fargli avere per il Santo Natale, seppur anonimamente, una scatola di Mom formato famiglia contro i parassiti della fanciulla e, pertanto, dell'uomo di Chiesa. Non osavo fargli direttamente un'osservazione sullo sconcerto che getta fra i fedeli quando, di domenica, arresta la predica sul più bello e si dà quella grattata furiosa riparandosi col messale e risistemandosi poi senza fretta i cosiddetti! Mi avrebbe risposto che esse sono la tangibile prova, seppur pruriginosa, del passaggio dello Spirito Santo e Sua consustanziazione sulla Terra nel sangue e nel corpo dell'uomo: le piattole come divine steli viventi del volo della Colomba Bianca che fa andata e ritorno per fecondare la Costola di Adamo, a volte apposta a volte per svista, e che la cosa quindi non lo interessava. Questo mi avrebbe detto se avesse potuto mettere le sgrinfie su chi ha*~vuto l'ardire di fargli pervenire quel dono disinteressato. Questo, e che si prendono in barca. Comunque, mica l'ha mai usato il Mom e neppure, da come camminano, mi risulta che abbia diviso la scatola fra la T. Leonora e la D. Cleo. Avrà mischiato quella polvere all'incenso, perché LUI è attento al centesim e qui non si butta niente. Se così vi piace, grattatevi p'tre da qui all'eternità, peccatrici blasfeme. Chissà se si rendono conto, le due sciagurate, gerontofile rivali di CUi qualunque ragazzina più giovane sta per diventare la rivale in agguato e a catena, che quell'uomo è tutto e solo della donna che stasera al Veglione Mascherato del Teatro Sociale ballerà il twist con la stessa agilità di quando ne aveva già sessanta e il charleston di quando ne aveva solo settanta e il rock and roll di quando ne aveva ottantasette appena... La donna nel riflesso della porta della cartoleria! Perché com'è vero che i bambini hanno bisogno di tutto e che nel momento del bisogno diventa buono anche il buco del culo da dare a un vero sagrestano, così, contrariamente alla sua omelia sul fatto che le bambine con un prete non fanno carriera e che pertanto non vanno sfiorate nemmeno con un dito né da sagrestani né massimamente da preti, qual cuna, a differenza di mia madre, carriera con un prete a modo suo l'aveva fatta, e anche sua nuora suor Teresì. IPOCRITA! ... e lo scorso trenta settembre andavo a cena da Marì con un grande mazzo di rose con me appese al manubrio, rose vere, di giardino, contorte e lussuriose e inebrianti, me le ero fatte dare un po' qui un po' là dalle mie pie dicendo che erano per l'altare del Suffragio, una sorpresa alla Madonna cogli anfibi e un'aureola a elmetto che respinge con grazia e determinazione un attacco aereo sui cieli di Pieve di Lombardia; arrivato di fronte alla palazzina dei Siderpali-Fincasa dopo tredici minuti e quindi alle otto e diciotto, mi ero guardato bene attorno a destra e a sinistra e, come se niente fosse, le avevo tolte dalla sportina di plastica, che mi sono messo in tasca per un'altra volta, perché nella mia borsa attaccata alla canna non ci stavano, ho aperto un po' la carta di giornale sopra che nascondeva perfino i boccioli e ho suonato al cancelletto. Sul balcone della vedova Siderpali e su quello del figlio Lamberto Fincasa, ai lati della porta d'ingresso, c'erano, non notate nella mia visita precedente alla luce del sole, otto lanterne al neon, quattro per parte, che pendevano dal soffitto dei due balconi sovrastanti i loro: le quattro più semplici sul balcone del Boss, e altre tre, uguali alle altre quattro, su quello della Gilda che in più, fra il primo e gli ultimi due nanetti bianco-verdi con lanternina rossa in pugno, aveva, fiocco verde tra i capelli, mani sui fianchi, grembiulino, e ballerine rosse ai piedi, una opalescente, bianchissima Biancaneve. «Ti piace come luminaria? Sono made in Mexico, stessa bandiera dell'Italia, lo sapevi?», mi disse fiera del suo buon gusto la Gilda venendomi ad aprire la sua di porta, quella a destra, «Per fortuna che nel viaggio non se n'è rotta neanche una... Eravamo in luna di miele io e il mio povero ultimo... non le avevo mai scartate prima... tanto non mi sposo più e allora... un ricordo... Tre chili sull'unghia, e di allora, porto assegnato. Pino... mettici una buona parola tu con Marì fintanto che il Boss non ne sa ancora niente, adesso si è messa in testa questa cosa t della cultura... non lo so io che l'é, non me ne intendo di 11 queste cose da sciura... s'è messa in testa di frequentare a un coso, un corso», io non feci nemmeno a tempo a1 chiederle proforma se si era ripresa dallo spavento dellaa rapina del mese prima, se alla fine aveva denunciato.1t Laser, nell'aprire bocca si aprì per fortuna anche la porta di fronte e apparve M,arì in accappatoio rosso dio spugna e coi capelli ancora bagnati avvolti in un asciuga-1 mano rosa acceso che disse felice e già pronta a ridere,1 «Ma Dio, Pino! Ma sai che ore sono?», dall'asciugama no rosa spuntavano due centimetri di radice di capelli castani, non sapevo che era bionda artificiale, io l'orolo gio non ce l'ho mai avuto perché tanto c'è quell del campanile e akneno la vista non mi manca, capii altvolo la magra figura che facevo intanto che la Gilda, ammi randosi al polso il suo pezzo unico, diceva, «Le sette e ventuno. Allora io vado a mettere su il rossbif, neh», ma non si muoveva, e Marì disse, prendendomi per un brac cio perché stavo già per girare i tacchi, «Ma entra lo stes so, entra! Una lavata, un'asciugata e pare neanche mai stata adoperata...» - siccome stavamo proprio per entra re, «Compermesso?», dissi - «Che chiedi compermesso a fare, non vedi che ti ci porto dentro io?», e la Gilda, «E creanzato, il profesur, mica come te», e la Marì, «Rose! Se non è amore questo! Ah, tu sì che sei un prin cipe azzurro! Non c'è ancora nessuno, c'è Ridge... Ri iidge! E quante, e che belle! Dio che profumo valido!», ed era fuori di sé dall'allegria e anche la Gilda era diver tita dal mio anticipo e io, tirato lì sul mezzanino da una parte e dall'altra, dissi con noncurante sincerità per non far sentire quanto mi contrariava la bugia, «Le rose sono metà ciascuna», e la suocera sospirò sollevata ritirando la mano dalla maniglia della porta in cui stava per entrare come a dire, grazie di non avermi umiliata davanti a tutti, nani compresi visto che eravamo noi tre e basta, e si avventò sul mazzo per prendere la sua parte, famelica dei fior ma grata, e la Marì ritornava dentro il suo appartamento gridando, «Le sette e venti! Ma si può? Ridge, questo è il Professor Acchiappa... E' mitico! Miti-co!», Ridge era in cucina tutto assorto e sovrappeso che stava tagliando i pomodori, «Ciao, Ridge, io sono...», ma Marì mi interruppe, «Amorino mio, quando hai finito lì, cominci a preparare la tavola?», non c'era segno di nien te intorno, e Ridge tutto sorridente di malizia innamora ta disse, «Agli ordini, boss», Boss a lei, io mi sentii man care da quell'amore fra i due, «Quanti siamo?», e Marì dal bagno di cui aveva lasciato aperta la porta gli gridò, «Comincia a mettere giù i piatti e quando non ce ne sono più, fermati», e lui, «Ce ne sono sei», e lei, «Non 0andare oltre. Hanno suonato, sarà il nonno con le lasa gne della nonna, apri», e la Monteciaresi Olga apparve sulla porta della figlia e disse, «Compermesso?», come me, nemmeno entrasse in un tempio, «Buonasera», le dissi, «Buonasera», disse lei consegnando a Ridge una casseruola coperta da un asciugamano, «Tienile in calda, neh», disse la nonna al nipotino dirigendosi verso il bagno e dicendo alla figlia, «Io ti saluto, neh», «Ciao, mamma, c'hai messo tanta besciamella?», «Sì», «E il crudo?», «Sì», «E il papà?», «E' fuori in macchina», «E perché non entra?», «Ma sai lui com'é, ciao», e se ne andò, ma mica si erano viste, si erano parlate fra la porta, e poi Marì gridando mi fa, «Pino, l'ho letto due volte Madaone Bovary, due volte», e io, lì in piedi con le rose rimaste dalla rapina della suocera Siderpali, dico, ma così, senza inganno, «Subito non l'avevi capito?», «Ma no, scemo, due volte tanto mi è piaciuto!», e dal bagno la sua immensa, gorgogliante risata si attaccò a Ridge che su una sedia toglieva i bicchieri dalla credenza e quelle di entrambi coprirono anche il rumore del phon. Io non sapevo dove stare, nessuno mi diceva di acco- 2. modarmi e allora è stato più forte di me, ho preso i piatti ;'. e le posate e ho cominciato a preparare la tavola con Ridge che faceva svolare una tovaglia che coprì anche le sedie tanto era esagerata, mentre Marì canticchiava da qualche parte e il figlio mi guardava ammirato dalla mia meticolosità di cameriere provetto. Preparare una tavola1 per sei era una cosa che non ~vevo mai fatto in vita mia, ma mi risultò abbastanza semplice: moltiplicai per sei quanto di solito la signora Trenta Andreina restringeva per uno. «E i bicchieri, mamma, li mettiamo doppi?», le gridò Ridge, «Sì, amore, doppi di carta! Ma no, dài, per stavolta usiamo quelli di vetro, qualcuno li laverà.. » Le mattonelle qui non avevano la stessa firma e lo stesso colore del pavimento della Gilda, erano rosa t:onfetto con degli alamari dorati in un angolo e in mezzo ripetevano una sì una no, Versace Fecit, proprio come il Romanino sull'altare della Basilica. Che intendeva dire la Gilda allorché mi aveva pregato di «metterci una buona parola con Marì»? da che coso dovevo dissuaderla, visto che «adesso si è messa in testa di...»? Quale cultura? Verso le otto poi si sentì la serratura girare e sulla porta comparve il Boss seguito da un uomo ben piantato della sua età e da una giovane donna biondo scuro con ciocche biondo chiaro di cui mi colpì subito il viso triangolare e il naso lunghissimo a serpentina su un taglio boccale privo quasi di labbra che nel salutare rivelarono comunque delle striscioline di belletto color mattone. Siccome, prima di rifiondarmi in cucina devo averla guardata più intensamente del dovuto, ammirato dal suo lungo, lungo naso che non finiva più, lei vacillò un istante e disse, «Deve essere la pressione, mi siedo», ma rimase in piedi e con la coda dell'occhio mi guardò con sospetto, diffidenza istintivi, «La mamma si sta ancora truccando», disse Ridge, deposto dall'abbraccio del padre che lo baciava e ora lo deponeva di nuovo a terra «mentre le lasagne sono bell'e arrivate e il rossbif è quasi pronto di là dalla nonna e questo è Pino», io, senza mai girare le spalle al corridoio dove stavano loro, stavo comparendo fuori dalla cucina con l'insalatiera fra le mani, anche se avrei preferito provvedere a mettere le rose in bagna, che ancora giacevano su una sedia, ma non era compito mio, e fui io che vacillai rivedendo nel percorso, facendola accadere una seconda volta in un minuto, questa cosa mai provata, un abbraccio fra un padre e un figlio felici di riconoscersi, «Prof Acchiappa! ma che bella sorpresa! Che ci fai qui? Servizio a domicilio?», disse il Boss, «Io, veramente... non so... sua moglie...», mormorai io, e stava presentandomi ai suoi due amici quando Marì apparve, in un abitino nero di seta scintillante con due spallini sottili sottili e una scollatura ampissima e non aderente al petto, ma vaporosa e arricciata, e un nastrino stretto attorno al collo dal quale pendeva uno smeraldo a forma di cuore, ma ancora in ciabatte di spugna rossa, «Oh Agostino! Oh Emiliana! Conoscete il mio amico Pino? Quello della cartolina! L'ho invitato, che fatica per convincerlo, non voleva venire, è venuto con un'ora di anticipo!» e canticchiando, «Suona le campane, suona le campane, din don dan!» scoppiò a ridere, ma questa Emiliana la fissava stranita, non raccolse l'allegria e le disse tutta preoccupata, «Ma Marì, i tuoi capelli... metà per sorte... non ti fai la tinta?», Marì fece spallucce, «Oh, ho deciso, lascio crescere i miei e poi mi taglio via i biondi...», il Boss rimase a bocca aperta, corrugò la fronte, contrariato, «Come sarebbe a dire? A me piaci bionda, io ti ho preso bionda e bionda resti», Marì fece spallucce, «Ma pianta- 1 la, tu, di immischiarti nei capelli delle donne... IL Pino scopa nella chiesa dei caduti, è tutto culo e camicia coi preti, sempre meglio tenerselo buono uno così, eh?», e mi prese per un braccio e me lo strinse, sbaciucchiò la sua amica, la spinse su un sofà, spinse su una specie di f cubo molliccio anche me col cestino del pane in mano e poi spinse il marito sul divano accanto, e anche questo 1 Agostino fu spinto da Marì su una poltrona, sembrava dovesse far cadere tanti birilli, «E adesso farò la padrona di casa... cosa vi do da bere? Ridge, amore, vammi a prendere le mie scarpe sopXa il letto... Uno scotch?», e fui io a scoppiare a rideres mentre Marì restava come interdetta, e mi credevo che avrebbero riso anche gli altri, niente, «Che c'è da ridere, Acchiappa? Ridi per la mia eccitante scollatura o per quella delle mie ciabatte?», io ridevo ancora di più, un po' anche per il nervoso, «No, no, rido per... per quello da bere...», si guardarono un po' tutti, per loro evidentemente era una nctrmale battuta di Marì, ma non capivano che io la sentivo per la prima volta, non ero abituato a quel linguaggio così sciolto da signori del Bel Mondo, e io mi sentivo già morire ogni voglia di uscire dal mio isolamento per vedere come vivevano le persone normali, avrei voluto scappare, ma ormai dovevo dirglielo, per sdrammatizzare, «Be'... bere... bere lo scotch, ecco...», «E allora?», intervenne il signor Agostino, e io, «Ma come si fa a bere il nastro adesivo? Hihihi». Mi suonò come blasfema quella frase in bocca a me: vidi il Cristo non più inchiodato ma scotchato, come sul mio Crocefisso, non più a braccia spalancate ma tutto dritto d'un pezzo come il mio termometro, col mercurio a riposo in uno dei reggipalle magic confezionati a perditempo dalla cassiera strabica del Cinema Pace. Nella stanza passò un angelo, poi due e stava per passare il terzo fra uno sguardo e l'altro quando tutti e quattro proruppero in una risata diabolica, mentre Marì, piegata in due, piangeva dal ridere e si sbracciava e non riusciva nemmeno a sfilare una bottiglia dal minibar luminoso a intermittenze con carillon e balbettava, «Pi... pi... pino, è mitico... che vi dicevo, non è una creatura comune, è fuori, è fuori dal comune, dalla provincia, dal mondo, fuori come un balcone... Lo scotch, perdinci, lo scotch!», e prese a versare quello che, si scoprì, era un comune liquore che si chiama come il nastro adesivo, anch'esso di origine scozzese, ma che nei miei programmi ministeriali d'Inglese non c'era mai stato. «Guardate che belle rose che ha portato l'amico Pino a mia moglie», disse il Boss, tutti i politicanti chiamano amico chi non conoscono pensando di fargli un presente tirandolo dentro una famiglia che non c'é. Le rose, liberata la sedia, giacevano ancora incartate su un tavolino, e questo signor Agostino aggiunse, «Tira aria di corna, eh?», e il mio rossore sbiancò del tutto, credo, mi sentivo la faccia fredda, il naso chiuso, Dio quante emozioni a uscire da sé, io a busto ritto e gambe strette sul pizzo posteriore di quella specie di cuscinone troppo ballerino su cui non riuscivo a stare in una posizione, anzi, in equilibrio per più di tre secondi e che poi scoprii chiamarsi puff quando caddi del tutto all'indietro a gambe levate col cestino del pane che si spargeva sul pavimento coi grissini, e l'allegria, degli altri, fu un crescendo di lazzi e di doppisensi, e intanto che io e Ridge raccoglievamo i grissini e i panini la smunta e spigolosa Emiliana chiese se si sapeva più niente della rapina alla Gilda, dei gioielli, e Marì disse che pochi giorni prima Laser era piombato in negozio e aveva affrontato la Gilda, dicendole che aveva sentito certe voci sul suo conto e come faceva lei a pensare una cosa così di lui che l'aveva avuta come madrina alla Cresima e s'era messo a piangere come un bambino e che lui quella sera, se lei non gli credeva, dalle otto alle undici era stato a cena da certa gente a Brescia, due fra- 1 telli col codino che hanno un negozio di oggetti d'arte proprio davanti al Duomo, e altra gente in vista di Pieve di cui per il momento non riteneva necessario fare i nomi 1 ma che se voleva poteva anche parlarci assieme, che lui 1 da lei certe diffamazioni non se le sarebbe proprio aspet- 1 tate e giù a piangere, era un periodo che lo denunciavano tutti della stessa cosa e lui certe cose, diceva, non le faceva più, lo giurava sul figlio finito in affido a chissà quali anime buone, con la Gilda che già era più che altro preoccupata di come avrebba potuto disinfestare il pavimento e il bancone su cui erano caduti quei liquidi da coccodrillo impestato e che lei gli aveva detto «sì, sì», come a dire finiamola, e poi si era anche impaurita, aveva su il suo orologio, quello che era riuscita a sottrargli con uno stratagemma, e temeva che al vederglielo al polso gli venisse una crisi di astinenza da svizzero e purché se ne andasse via gli aveva detto ma che cosa gli era saltato in mente, aveva forse sporto denuncia lei? l'aveva forse fatto chiamare dai carabinieri? no, e allora? lei non aveva detto proprio un bel niente, e tanto, ormai, era acqua passata e tutto era in mano all'assicurazione, e se prima aveva qualche dubbio che poteva essersi trattato di qualche altro adesso lui in persona glieli aveva tolti tutti, quel delinquente, e Marì, dopo aver fatto della musica aumentando il carillon del minibar, senza che nessun altro sentisse, credo abbia fatto scivolare nell'orecchio dell'amica una qualche malignità sulla suocera, tipo, "Per me Laser non c'entra, chissà cosa è veramente successo quella notte", perché l'Emiliana scoppiò a ridere e disse, «Ah, me lo immagino!», e poi sentii i due sposi parlare di fagiani, di lepri, «Metteteci pure le passere in macedonia», si inserì Marì, ma io non collegavo più tanto bene i sensi, avevo bevuto lo scotch anch'io, e risedutomi non sapevo neanche più da quale parte del puff mi trovavo, se sopra,se sotto quel sabbione mobile, e erano tutti molto amabili con me e poi che ancora non avevamo finito di mangiare le lasagne arrivò la vedova Siderpali con dietro la sua dama di compagnia Chitari Luciana e davanti il vassoio del rossbif con contorno di patatine fritte ancora fumante che mise in tavola dicendo, «Non vi dico che cosa l'ho pagato se no vi passa l'appetito. Un centone, un centone! Che ladri al giorno d'oggi! Però me l'ha garantito senza mormoni. E' di Agosti Macelleria...». La Chitari fece capolino da dietro la primaria portata di carne e disse timidamente, «Posso salutare?». Poté. Intanto che faceva il giro delle mani tese e diceva «Piacere, La Ragnatela Puli%ie» ai due sposini amici di Marì che rispondevano, «Piacere, Grana Padano», lui e, «Piacere, Grana Reggiano», lei e dava una gran pacca sulle spalle al Boss e a me tendeva con sufficienza le labbra un baleno da lontano come se fosse un ammiccamento verso un moscerino che era stufa di vedere continuamente, pensavo a tutte le spaurite feline umane alla deriva che la Chitari si era fatta fuori a sua volta e a quando, due anni fa circa, una settimana prima della bega fra don Pierino e la vecchia Alice nel giorno del suo centenario, non so che mi prese, all'ennesima richiesta della signorina Bentivoglio Giuseppina di rimpiazzarle il Pio, il gatto bianco, non per lei stavolta ma per la sua pronipotina figlia della signora Fede e del Professor Angelucci, be', raccolsi tutto il coraggio che uno riesce a darsi e osai alzare la testa e dissi alla Signorina, «Non so se posso permettermi, ma vorrei chiedervi, signorina Giuseppina... ma non so se...», e lei tossicchiò, pulito pulito si tirò giù la giacca del due pezzi sui fianchi e rispose, «Ma permettiti sempre che», e allora tossicchiai anch'io e abbassai di nuovo la testa e dissi a spizzichi, «Voi mi scuserete, signorina Giuseppina...», e lei, «Sì, ti scuserò sempre che», e io presi fiato e mi lanciai, «Perché in casa volete solo gattini bianchi appena nati e poi dopo un po' li but- u tate via?», lei sgranò gli occhi come a dire, tutto qui? e disse a tono sostenuto, «Oh bella, perché noi siamo abi- a tuate così, ci piacciono solo i micini bianchi finché restano micini e basta», tutto qui, io le avevo pensate tutte ma questa spiegazione così semplice no, poi lei la buttò un po' sul ridere e siccome io ero tutto immerso nei miei pensieri e non davo segno di reazione, la Signorina divento didattica come con un povero deficiente e aggiunse, sospirando per in~;lobare santa pazienza, «I gatti adulti non ci piacciono, vanno in calore e puzzano, i maschi poi... Allora ti aspetto col micino nuovo», e io, senza mai osare alzare il mento, dissi come in un soffio, «Io non me la sento più di portarli giù al fosso, signorina Giuseppina, non mi aspetti mai più col micino nuovo», non osai rialzare la testa neppure per vedere la sua reazione, ho sentito solo il rumore dei passi, e normalntente i mocassini con le zeppette di sughero non fanno rumore, e da allora non è più venuta ai miei rosari del Suffragio neanche lei, è passata dalla parte delle triduiste veliabelindibenite della Basilica dove, ovviamente, è stata accolta come una regina tornata dall'esilio... La Chitari Luciana poté dunque salutare annusando sui piatti di lasagne fatte sparire e lasciando intendere che non ne avrebbe rifiutato un pochettino, malgrado la mia ingiustificata presenza a una tavola così importante, ma l'ex "micia" fu risalutata subito: nessuno la invitò a restare, il che significò che con lei, affezionata aiutocucina, dovette sgombrare il campo anche la cuoca del rossbif, la quale sulla porta disse un po' stizzita, «Noi andiamo alla Pecorina», intendendo alla trattoria La pecorella smarrita lì di fronte per mangiare, e stavolta non so che mi prese, fui io, IO, a mettermi a ridere come un ossesso senza neanche più preoccuparmi di mettermi la mano davanti alla bocca per nascondere i due clenti mancanti mentre loro quattro, escludendo il bambino, neanche una piega, anzi, anche se Marì di nascosto mi aveva alzato e abbassato le sopracciglia veloce come il vento come a dire che non era proprio il caso. La Gilda e la Chitari, immobili sulla porta aperta, mi hanno sorvolato con uno sguardo di compatimento e sono uscite del tutto. E, morale, chissà se sia loro due che gli astanti hanno capito che una vaga idea ce l'avevo anche io di come si dispongono gli esseri umani da dietro quando si coprono in modo originale cioé come le pecore, ma il Boss aveva preso a tagliare la carne e Marì aveva detto, «E' bella al sangue, dai, Acchiappa, che rivesti un po' gli ossi», e tutti scoppiarono di nuovo a ridere, e io niente. Insomma, se ridevano loro non ridevo io e se ridevo io non ridevano loro, a parte Ridge che, se non faceva discorsi da grande, poteva ascoltare a nemmeno sette anni discorsi che io avevo ascoltato per la prima volta a cinquantacinque grazie alle colonne sonore delle cassette. Ridge rideva sia con loro che di me. Io non capivo più quando si doveva ridere e quando no, e da questo solo indizio capii quanto ero rimasto indietro col mondo d'oggi degli ultimi quarant'anni, perché se uno non si fida più né a ridere né a non ridere vuol dire che si fida solo a non piangere mai più per niente e nessuno, che è tagliato fuori, che va bene solo se continua a restare svagato ma impassibile nelle sue nuvole. Eppure io ero segretamente così felice di essere lì, di vedere quelle facce, di sentire quelle voci, di guardare quel bel bambino così educato e sveglio, ma la stretta al cuore si faceva sempre più feroce, perché sentivo tutto Ci0 che non avevo mai avuto, per esempio il minibar con la dolce musica del carillon con lucine, e dovevo fare piano per non risvegliare tutto un pollaio di rimpianti in una volta; e poi i due uomini dissero, come cogliendo le loro mogli di sorpresa ma neanche tanto, che andavano 11 a caccia in Ungheria una settimana, e Marì disse blandamente | alla sua amica, «Emiliana, anche stavolta non 1 dobbiamo dimenticarci di dargli dietro un pacco di pre serva», e Ridge mi venne in aiuto e chiese, «Che cosa 0~ sono, mamma?», e lei, «Dei portacartucce per gli uomini X che vanno a caccia nei paesi dell'Est», e scoppiarono di nuovo tutti a ridere e allora risi anch'io per vedere se, intanto che ridevo, riuscivo a capire perché ridevano loro, e poi la Marì disse con sufficienza, facendo finta di trovarsi da sola con la sua,;amica, «Chissà che bisogno c'è più di andare da quelle parti a caccia adesso che sono tutte qua, basta rivolgersi alla Ragnatela che la Chitari te ne procura una dozzina, misto di polacche rumene jugoslave bosniache. Potrebbero i due belli far sele recapitare a domicilio e gli sparate direttamente aj casa senza fare tanti chilometri, no?». Marì si alzo cam biò nenia e strumento, partì dallo stereo una inusica araba e attaccarono coi ricordi di viaggio sul Nilo, vidi i due uomini e la donna spezzare del pane e fare la scar petta col sangue insaporito dal rosmarino che galleggia va nei piatti, la stava facendo anche Marì, ero così sopraffatto da tutte quelle emozioni che mi vidi al posto del rossbif nei loro rispettivi piatti, stavano mangiando me raccogliendomi fino all'ultima stilla per nutrirsi, trat tenni un conato di vomito, Marì dovette accorgersi che qualcosa non andava, sentii la sua mano che da sotto la tovaglia mi stringeva velocemente il polso come a inci tarmi a reagire, e allora affondai anch'io la forchetta nella carne, mi riempii la bocca spalancando del tutto gli occhi per paura di farmi vedere a chiuderli stretti stretti intanto che ingoiavo quello schifo sanguinolento e nel masticare piano concentrandomi su quella malia musica le mi si sciolsero i nervi e mi trovai buono, e così andai avanti fino alla fine e stavo tentando anch'io di fare la scarpetta nel sangue, ma non col pane, con una patatina, allorché Marì col telecomando abbassa il volume, si alza di nuovo, si sposta e apre un'anta dell'armadio, mentre io mi chiedo, "Perché l'Emiliana mi sta fissando così spiritata?", l'Emiliana era seduta di fronte a me e perdeva una goccina di intingolo sanguinolento dal labbro inferiore beante in cui andava a spiare la punta dell'incredibile naso, e mi giro del tutto e Marì tira fuori una pila di testi scolastici nuovi di fiamma, li mette di colpo sulla tavola e dice, «Ah, sapete che mi sono iscritta ai corsi serali? Ridge comincia le elementari e io ragioneria, e dopo voglio laurearmi». Al Boss caddero di colpo coltello e forchetta nel piatto, nel senso che aprì di scatto le dita che li impugnavano, e poi la forchetta gli saltò sulla camicia bianca, figuriamoci, inzaccherandogliela per bene, e Marì, prendendo il calice del vino e alzandolo, disse prima di portarselo alle labbra, «Comincio lunedì nove ottobre, cinque anni in tre, ogni sera dalle sette e mezza alle undici. Non è meraviglioso?», e lui, deglutendo tutto il suo stupore, disse secco, «No, per niente. E col negozio? E con la casa? Come fai a star dietro agli ordini?». Per ordini intendeva quelli dell'abbigliamento, di sicuro, ma Marì sembrò intravedere con un lampo negli occhi altri ordini, quelli del marito a lei, e la sua disubbidienza prese quota e, mentre lei deponeva il calice e senza accorgersene faceva girare la fede nell'anulare, in un baleno solo arrivò agli anelli di Saturno e lì si sistemò per guardare in giù suo marito, suo figlio, la sua esistenza passata di bambolina senz'anima e come intendeva rivoluzionarla per il futuro. Silenzio. Poi lei gli rispose con un sorriso determinato, lento, si alzò dicendo, «Uhm, le rose!» e corse in cucina a metterle in un vaso. Nessuno si mosse o commentò, Ridge si era addormentato su due sedie davanti al televisore acceso. In un mortorio che dava fiato al telegiornale e lasciava presagire la tomba, si sentì lo scroscio del rubinetto aperto più del necessario, con l'acqua che batteva contro il vetro e contro se stessa in un impeto di vita ribelle e poi riapparve lei, rosa fra le rose a incorniciarle il mento Mise il vaso al centro del tavolo, e la Emiliana allungò ancora di più il naso e disse, forse per rompere quella gelata improvvisa, «Marì, non trovi che il tuo cicisbeo qui...», «Sì? L'Acchiappa?», fece lei, distratta, e la donna del naso continuò «... non trovi che ha un qualcosa di strano negli occhi... ne ha uno che ride e uno che piange... quando ti guarda che$;on sai neanche se lo sa o no... un che di ipnotico. Farà mica il malocchio, neh?» al che il Boss prese la palla al balzo e disse, «L'è un po' matto, come mia moglie. Anche a scuola, a scuola!», e lei, dolcemente, «Che male c'é? Mi faccio un po' di culturale, e tu non sei diplomato tu? e allora perché io...», e il Boss, «Ma io lo ero prima di sposarmi...» e lei, «fi,io lo divento da sposata, che male c'é?» e lui, «Dovevi petnsarCi prima. Se volevo sposarmi una laureata, non sposavo te. A me vai bene come sei e trovalo tu, un uomo che gli vai bene così come sei...», e lei, «Ma tesoro mio, sono io che non vado più bene a me... Una, allora, secondo te, non ha il diritto di cambiare perché è sposata? Digli qualcosa tu, Emily», e la sua amica, «Ah, io non so, io sono già diplomata, non mi è servito a niente, a me studiare non mi piaceva neanche», allora io, per la prima volta in vita mia cercai scientemente uno sguardo da cui farmi ubbidire. Lo sguardo di Emiliana era lì davanti, comodo, lo catturai fino a che, e questo l'avevo previsto, lei diventò un po' strabica e poi ancora un po' di più fino a che il naso le aumentò di un buon zig zag, presi il mio bicchiere dell'acqua vuoto e feci il gesto di rovesciarmelo addosso, il tutto in non più di cinque secondi e il Boss non fece a tempo a dire, «Anzi, domani vai da David e ti fai mettere la testa a posto, che non mi piaci metà per sorte», che la Emiliana, preso il suo bicchiere pieno di vino, se lo rove E sciò sulla camicetta fino all'ultima goccia come un robot, staccai lo sguardo, l'Emiliana lanciò un grido, la Marì corse da lei, Ridge si svegliò di soprassalto e corse nel ' bagno a prendere il borotalco che non era andato a prendere per il papà, e la Marì, distribuendo piccoli tocchi di polpastrello intinto nel vino dietro le orecchie di tutti, disse, «Ma, Emily, ma se mi sono appena fatta lo shampo, che hanno i miei capelli che non va?» ignorando l'aria di completa prostrazione dell'Emiliana - con io che dovevo mordermi la lingua per non chiederle se quel naso a serpentina era proprio suo di natura o se se l'era fatto fare apposta per acchiappare i fulmini. La signora Emiliana adesso stava discutendo col marito per i fatti loro e l'Agostino le stava dicendo, a proposito del vino, «C'hai proprio le mani di merda...» e il Boss disse alla moglie, «Non far finta di non capire: ti seidimenticata di farti la tinta», e la Marì, «Ma fattela fare tu, la tinta, a me di fare la biondona non mi va più», io mi rimpicciolivo sempre più sulla mia sedia, gli occhi del Boss si riempivano di un furore mischiato di fascino per la sua donna ribelle, mi sono detto oddio, se volano degli schiaffi spero proprio che non prendano me, ma non volò nessuno schiaffo. Poi il Fincasa tirò fuori un blocchetto di assegni e sotto i miei occhi ne riempì uno per seimilioni, lo intestò al Volpedo Agostino dicendogli, «Te lo faccio trasferibile, però occhio neh? E anche la fattura di quindici...», e l'amico disse, «No problem» e il Boss lo firmò con un ghirigoro dove non c'entrava niente né Lamberto né Fincasa ma che era tutta una questione di un triplo svolazzo in cui apparve una casina fine fine con una gambina in alto che finì per rassomigliare a un comignolo. Indimenticabile. A un certo punto mi guar t dai in giro, so che la conversazione era ripresa fra Marì e suo marito ed era andata avanti un bel po' su questo tono di sfottò fra loro due, come se fossero da soli, senza nessuno che intervenisse, Ridge aveva salutato ed era andato a letto, e quando finii di guardarmi in giro mi resi ] conto che non c'era più né la loro amica né suo marito, e 1 neanche i due padroni di casa, ma che era la televisione: 2siccome io so che la bocca non è stracca se non sa di vacca, a forza di aspettare che a una cena così elegante 1 servissero il formaggio, ero rimasto solo al tavolo, la pen-.1 dola a cucù batté le dodici e da una stanza remota la~.~ voce del Boss, neanche tinto bassa, stava chiedendo,1 «Ma porco d un dio d'una madonna impestata, ma non se ne va più quello lì?». Mi guardai in giro, ero solo soletto, e capii immediatamente a chi si riferiva: a me! Scattai dalla sedia per alzare i tacchi, nel sentirmi far scricchiolare la sedia venne a salutarmi solo la Marì, lui no, Marì aveva gli occhi un po' umidi, ma nort aveva pianto, era umidità da stress nervoso, mi scoccò uh bacio sulla fronte alzandosi sulla punta dei piedi già nudi e disse ad altissima voce, «Professor Acchiappa, non cambiare neh, che di quelli come te s'è persa la semenza e...», «La scemenza, vorrai dire!», gridò il Boss da qualche parte, per fortuna con voce ridente, e Marì continuò . s . più plano, «... e adesso non scomparire, passa in negozio qualche volta che magari mi spieghi un po' di Inglese. Ma di quello giusto, neh?», «Domani?», chiesi io, e lei pianissimo, «Acchiappa, e andare dal dentista? Se non hai i soldi, te li impresto i...» ma il suo flebile sussurro fu coperto dal vocione non più ridente di lui, «Ti sbrighi o no, porca vacca?», e Marì disse, «Un momento!». E da quel momento, tutto precipitò. Ohi, Marì. Marìl L'indomani, io andavo dal Comaro a procurarmi un chilo e ottocento grammi della migliore lana merinos che aveva, di un bel verde un po' cupo, e tiravo fuori il mio vecchio telaio e mi mettevo all'opera per farle una sorpresa per Santa Lucia; fra l'ultima cena dalla Marì e lunedì nove ottobre, sera di inizio della Ragioneria serale di Marì, io vengo affrontato due volte da don Pierino sempre perché gli è stata riferita questa cosa che mi hanno visto lasciar cadere a terra la bici in piazza e farle da facchino mettendomi a scaricare dalla Volvo di un rappresentante un guardaroba di ferro smontabile, di quelli lì mobili, con le rotelle, e poi caricarlo di vestiario in sacchi di nylon e spingerlo verso la Jeans Butik mentre la sua proprietaria e il venditore se ne andavano al Bar Roma dandomi istruzioni strada facendo e separandosi da me, Bar Roma nel quale lei avrebbe tenuto come al solito un comportamento non tanto perlaquale, lamentandosi di una smagliatura nella calza e alzandosi la gonna di pelle nera, già scandalosa di suo, fino alla coscia per far toccare con mano al rappresentante la pessima qualità dei denari delle calze. La prima volta (salopette a costine color mostarda e parka nerolucido) don Pierino mi affronta per telefono all'Ancr, e mi travolge di rimproveri, che mi compromettevo per niente, e alla mia età sbavare dietro a una donna che mi stava solo sfruttando, e alla quale avrei portato un cono di gelato alla panna per restare incantato a guardarle la lingua come lo succhiava, e la seconda (felpe e camicie da notte grandi come lenzuola, per la vedova Siderpali, stavolta) faccia a faccia dopo avermi convocato in canonica, per via che le avrei portato un ghiacciolo all'orzata e che il ghiacciolo, come si sa, lei se lo infilava in bocca fino a metà ridendo di me impalato a guardarla, al che oso bloccarlo e... ma ben dopo che ha finito di offendermi per le mie debolezze di vecchio che stavano venendo tutte a galla e tutte in una volta a una velocità vertiginosa e che dovevo mettermi un freno, e che non ero più il suo Pino di una volta, che qualcosa era cambia to in peggio in me, che adesso tutto il mio zelo andava verso i rivoli sbagliati e che aveva trovata sporca la chiesa del Suffragio e che a questo punto era forse anche il caso di interdirmi il rosario visto che costava solo di luce e basta e non portava a casa niente e... allora mi son fatto forza e per la prima volta in vita mia gli ho detto l'unica verità cui fosse sensibile: una menzogna. «Don Pierino», ho attaccato facendo vibrare ad arte la voce, «il mio è solo un modo per...», e lui, «Per?», e io, «... la signora Fincasa, la giovane, mi ha promesso che intende dare un contributo regolare alla Chiesa...», gli occhiali d'oro gli si illumingrono e gli occhi vennero a ruota, «Ah, ma se è così, potevi anche dirlo prima, benedetto...» e io, sempre a testa bassa, senza quasi guardarlo, «... vedete, don Pierino, lei lo deve fare di nascosto da... insomma, non vuole che si sappia, perché la signora Fincasa Maria... per quel che ne so... non dispone di un conto suo... deve rimediarli, ecco... Ha detto che li darà a me, che ci penserò io direttamente con voi in cambio di qualche preghiera per lei e la sua famiglia... la signora Fincasa Maria...», lui mi tranciò la parola piuttosto alterato, «Perché continui a chiamarla così, io so che tu la chiami Marì, ti hanno sentito», io continuai, reprimendo quella voglia terribile di guardarlo con quello sguardo di un occhio che piange e di uno che ride per provare su di lui se davvero funzionava in senso ipnotico come aveva buttato lì quella Emiliana là tanto da convincermi a metterlo subito alla prova su lei stessa, perché tutto d'un tratto mi ricordavo che una volta, in auto, tanti anni fa, mi era quasi riuscito di addormentare don Pierino da sveglio e mettergli la sordina alle sue offese ma poi avevo distolto lo sguardo e rotto l'incantesimo involontario, non ricordavo quando ma ero sicuro che una volta mi era quasi successo, e gli dissi, «... la Fincasa, la Monteciaresi Marì non è praticante, ma è credente, credetemi... e io non faccio nulla di male, don Pierino, non ditemi cose che non sono vere neanche col pensiero...», «Te ti conosco, io, mascherina, te lo so io in che cinema vai...», ha tagliato netto e, scuotendo il capo, mi ha fatto cenno di prendere la porta e di scomparire. Io gli avevo dato del voi per tutto il tempo perché, essendoci due piccioni fuori sul davanzale, non si sa mai se potevo arrischiarmi a dargli del lei. E così il giorno dopo, il nove stesso, pregustando il fatto che in seguito avrei potuto passare in piazza più liberamente di prima e tenendomi nei paraggi più spesso nel caso che Marì volesse approfittare di me per il carico-scarico, ho svuotato la mia zuppiera del milione tondo tondo che conteneva, l'ho messo in una busta intestata col nome della Jeans Butik che mi ero fatto scivolare in tasca un momento che Marì era di là dalla suocera, l'ho incollata e l'ho consegnata nelle mani di don Pierino dicendo semplicemente, «Da parte della signora Fincasa Maria... che la prega di ogni riserbo... Non vuole che si dica che lo fa per farsi pubblicità come tanti...», don Pierino storse la bocca, «Tutti lo fanno per pubblicità, cretino, prima di tutti chi lo fa in segreto. La pubblicità è l'anima della carità», e intascò la busta senza il più piccolo commento di un grazie, ma anzi, dicendomi con collera repressa, «Quante volte ti devo dire che non mi devi dare del lei quando c'è gente in giro?», io mi guardai di nuovo attorno, nello studio non c'era nessun altro oltre a noi, non c'erano neanche i piccioni sul davanzale, io lo guardai incassando la testa fra le spalle come a dirgli, "Ditemi voi, don Pierino, che io non c'arrivo", e lui, sprezzante per la durezza della mia zucca, «Non vedi che c'è la televisione accesa e che sto parlando a una conferenza piena di autorità importanti?». E non stava scherzando, no. «Meno sei famigliare, meglio è con me. Sono il tuo abate», io feci un respiro profondo e finalmente sbottai fuori a dire come non l'avevo mai detto prima, «Sì». La sera stessa la Marì alle sette e mezza puntuale, dopo aver tirato giù la sua saracinesca dieci minuti prima del solito, con tutto lo scossone contabile fra lei, sua suocera e il Boss di entrambe che questo cambiamento di orario di chiusura deve aver comportato, entrava trionfante a scuola nella sua pelliccia di lince ecologica col cacchio: lince vera di lince! e ornata dei suoi più fulgidi gioielli. Me la immagino, io, la mia Marì, elegante e sfrontata e profumata e bella oltre oRi dire con quei suoi capelli metà castani e metà biondi fra quei pidocchiosi proletari puzzolenti di umidità e ambizioni sbagliate e quegli insegnanti frustrati e mortidifame con in testa solo gli scatti delle serali! me la vedo con questi occhi che, togliendosi senza fretta la pelliccia per rivelare un tubino nero aderente, scuote la massa di capelli odorosi di ranuncdo e si siede a ragioneria in un banco più sporco che pulilSo e lo trasforma in un trono, alza la testa verso la scrivania e incontra, non incontratane, lo sguardo del tutto indifferente dell'ingegnere termonucleare Gallizzi Galeazzo, professore di Mate. Un mese esatto dopo, il sabato undici novembre, tutta la strada delle Botteghe del Centro e mezza piazza fino alla Loggia è ostruita da tutti i commercianti e dalle donne che sono andate a fare la spesa, vengo fermato anch'io sulla mia bicicletta, alcune automobili clacsonano per farsi strada, entrambe le saracinesche delle due suocera e nuora sono ancora tirate giù e sono già le nove e mezza, è scoppiato un incendio, penso, fumo non ce n'é, hanno fatto una carneficina da qualche parte, penso~ il farmacista Bertucci Ettorino ha fatto fuori madre e sorella ma la signora farmacista Bertucci è lì fuori che parla animosamente con Laser e sento la parola «Scroc cone!», lui si leva il suo montgomery color cacca regalatogli da suo figlio e glielo butta fra le braccia e grida anche qualcosa di turpe, allora mi dirigo verso il capannello più grosso, a teatro attorno alla Mimì delle Scarpe, e la Mimì era lì fuori dal negozio, dritta sulla soglia, che raccontava una storia già vecchia della sera prima, «... è entrata in casa, ha detto, 'Io me ne vado', così, e la Marì ha piantato lì figlio e marito e se n'è andata via col professore di Matematica delle sue serali», «E' fuggita via da casa?», chiedeva qualcuno, «No, no, i due colombi, e lui è già sposato anche lui, neh, avevano già predisposto tutto, è andata via, non è neanche fuggita, io lo so perché la Gilda mi chiama che dobbiavamo andare in pizzeria con la Lella e la Chitari e la notaia Giu e mi dice, scusa s. m1 ma e m1 è successo... non posso ven1re, non posso venire, mi fa, la mia Marì, la nostra Marì... Io ho pensato madonna signur, Marì cosa? un incidente di macchina? peggio, peggio, mi fa la Gilda, è appena uscita di casa e ha detto che non ci rimette più piede... quel disgraziato, quel profittatore, diceva, quel profesur dei me cojoni... e figurati te la Gilda, lì col figlio Lamberto, in che stato, il bambino per fortuna non era in casa, ma ci pensi... in cinque minuti lei entra dentro e cambia il mondo, mentre quel rovinafamiglie l'aspetta fuori in macchina, lei raccoglie le sue cose, il Lamberto cerca di fermarla, ma lei niente, lui e la Gilda a dirci a lei ma e tuo figlio ma e il negozio ma sai almeno cosa ti aspetta e lei, niente, come un siluro, s'è messa su la pelliccia, s'è preparata la valigia, e lui, il marito, ci ha detto a lei, 'No, cara, esci di qua come ci sei entrata' e ci ha fatto mettere giù tutte le collane, tutti gli anelli, tutti i gioielli, e anche il blocchetto degli assegni, e anche la pelliccia, e poi ci ha detto a lei, e adesso scrivi anche una lettera di tuo pugno che rinunci a tutto, a ogni proprietà e a tuo figlio per sempre e lei ha detto, 'va bene', ha scritto sotto dettatura che abbando nava il tetto coniugale, come una pazza, come una che ~. non capisce più niente, e col suo spolverino di plastica e senza neanche la valigia, perché la valigia era sua di lui, non sua di lei, lei ha detto, 'Posso prendermi almeno una sportina di plastica e un paio di mutande? Ho lavorato ~j1 cinque anni sotto di te senza prendere una lira', con tutto quello che i Fincasa hanno fatto per lei, ha detto proprio così, e lui ha detto sì, e lei proprio così è uscita1 di casa, da tutto il lusso e i gioielli e i vestiti, con una sportina di plastica in mano lei ha preso la porta e è sali-;J ta nella macchina che sarà stata di terza mano di questo professore di Castenedolo f lui, il Lamberto, lei era già dentro in auto con lui, è andato al finestrino a parlare con quest'uomo, sposato, neh, con due figli, neh, e gli ha chiesto se sapeva la responsabilità che si prendeva, che stava rovinando un matrimonio e portando via la madre a suo figlio oltre che a suo marito, lui ha detto di sì, che si stava per separare anche lui e che tutto era a pOsto, il Lamberto, ah, che gentiluomo, invece di spaccargli il muso, niente, è tornato indietro e ci ha detto a lei, 'Buona fortuna' e i due sono partiti e addio» A mezzogiorno, che la folla stava disperdendosi, arriva al Bar Roma un'altra notizia bomba: i Volpedo, i genitori dell'Agostino compagno di caccia del Fincasa Lamberto, hanno ricevuto una telefonata dalla nuora, l'Emiliana, che si trovava a Forlì dai suoi, e che Marì è giù nella strada, coi vestiti laceri, le guance gonfie, il labbro spaccato, un occhio blu, da sola, che suona il campanello senza staccare la mano e che la Emiliana, spaventata a morte, non sapendo più che fare, ha chiamato i carabinieri. I particolari dicono anche che è stato a Forlì che Marì ha chiesto quella stessa notte o quella stessa mattina di essere accompagnata dal Gallizzi Galeazzo, e sembra che il Gallizzi Galeazzo, non da solo lui con la Marì, ma scortato dalla moglie che voleva andare fino in fondo a quel troncamento fra suo marito e la Marì, che sul sedile davanti ogni tanto si è beccata un pugno sul collo e sulla testa da questa moglie dietro in macchina fuori dalla grazia di Dio, sembra che il suo amante abbia già piantato la Marì piantandola in mezzo a una strada dopo aver permesso che la moglie la picchiasse con una chiave inglese trovata in auto o che fosse lui a picchiarla, non da solo, con la moglie a dargli manforte, e che la Marì sta in quel momento vagando senza una lira in tasca per le strade di Forlì perché l'Emiliana, amica lo è anche di lui, del Fincasa Lamberto, non solo di lei, e certo lei non mette dito fra moglie e marito, figurati te fra moglie e amante, e che si è rifiutata di aprirle la porta e che ci doveva pensare prima di compiere un gesto così grave, e che poi non è neanche casa sua, ma casa e caseificio dei suoi, dove è ospite anche lei e che suo marito Agostino, chiamato al telefono al Consorzio del Grana Padano, la pensa esattamente come lei, e al citofono sembra che la Emiliana abbia consigliato all'amica di viaggi di rivolgersi a una stazione dei carabinieri che sono lì apposta per rimpatriare la gente senza fissa dimora e che, se voleva, tutto quello che poteva fare era chiamarglieli lei, povera Marì, una regina nella polvere, dalle stelle alle stalle! stupida, per chi poi? se si faceva furba, come tutte le altre, invece! ce n'è che hanno l'amante e che alla crisi del settimo anno e anche prima, mica per questo trascurano la famiglia... Alle quindici e trenta, come se niente fosse, la suocera Fincasa Siderpali parcheggia in piazza e tira su la sua di saracinesca e nel giro di cinque minuti le si riempie il negozio di taglie fortine come non s'era mai visto dall'invenzione del conformato: tutte che vogliono comprare un misto lana per l'inverno, ma prima i dettagli sulla fuga dell'adultera conclamata. Io, ovviamente, tiro dritto, perché non so con che scusa potrei mai varcare la soglia della Gilda. Tiro dritto ma troppe volte avanti e indietro per niente, finché, disperato, non prendo su la mia Cinquecento e vado all'allevamento dei Tre Aranci e mi faccio dare una gallina qualsiasi di tre chili e due che non rientra nelle mie Neutre da Compagnia e la porto ai settantacinque all'ora alla Bocchino Rosa, difilato, senza neanche usarla un pochettino, busso ai vetri della porta, nessuno, ribusso, a costo di buttarli giù, giuro, «Chi é?», dice la sua voce come appena uscita dal sonno, «Che ore sono? Oddio, le quattro! le maniglie da consegnare!» e mi fa entrare, sono trafelato, lei è in vestafilia rossa, con un naso rosso gocciolante di cipria e sudorino, le do la gallina, lei è tutta felice e contenta, «Due in quindici giorni? Ti devono proprio voler bene i tuoi coscritti!» e io sono lì, che la guardo e aspetto, aspetto che apra le chiaviche e venga giù tutto quello che sa sulla nuora scappata della Ermenegilda, ma niente, niente, ziocan, e poi noto chefha le unghie rosse, i pomelli rossi, le palpebre sporche di rosso e tiene un fular sulla testa e, mio Dio, sotto il fular porta una parrucca rossa tutta di sghimbescio! sembra l'imitazione della Paragnosta delle Fontanelle che fa l'imitazione della farmacista Bertucci solo con cinquanta chili di troppo, dieci centimetri dì meno e un trenta anni di più le dico, «Non sai niente di quello che è successo, Bocchino?», e una frase così lo so solo io quanto mi costa, e lei, rimirandosi al dito un anello con brillantino e pietruzze verdi che non le ho mai visto prima, non addosso a lei, «No, che è successo, ho fatto tardi, in tre dancings mi hanno portata e mi hanno fatto ballare fino alle quattro e mezza... oh, la mia povera testa, vuoi un'aspirina, un caffé volevo dire? e poi questa costipazione, ah, Pino, Pino, cosa ti perdi a non venire mai a ballare il tucatuca!», «No, grazie», dico io, credo di battere un po' i piedi dal nervoso, dalle casse di metalleria spicciola sulle sedie e dalla polvere di rame sparsa dappertutto proviene uno scintillio che mi irrita ancora di più, cosa sai di Marì, vorrei dirle, sputa il rospo visto che io sputo una gallina, dimmi tutto quello che sai, e lei neanche una piega, «Se sapessi chi c'ho di là... IL mio amico plutonico di Ponte San Marco mi scarica dalla macchina che non sai quanto ho dovuto tribolare per fargli tenere le mani a posto, voleva anche entrare dentro, Dio che ingordo, e non è che l'avevo lasciato proprio a bocca asciutta, neh... perché è plutonico un po' sì e un po' no, che resti tra di noi, neh?» - ma chi se ne frega, vorrei gridarle in faccia «... e chi ti vedo che arriva su dalla salita con la sua Maggiolino che gira lento come un lumacone nero nero di notte? Di notte? di mattina! Per me, però, mi stava facendo la posta. Già una volta, al rosario... Un tipo che non ti dico, e io mica sto lì tanto a farmi corteggiare, oggi ci sono e domani non ci sono più, e in fondo è un amico, no, anche se ai rosari è tutto diverso e parla tanto... Guarda, m'ha dato questo... Certo... scusa se parlo piano... certo che mi ha fatto fare tutto un teatro, prima, altro che la Cùrt dei Pulì... Che spasso! Ha tutto con sé lui, ti figuri? i trenini e le rotaie, la lacca per le unghie, la cipria rossa, le mutande rosse, che io per la verità mi arrivavano fino al ginocchio e basta e anche questa qua che c'ho ancora in testa...», si solleva un lembo del fular e della parrucca rossa insieme, «Allora non sai niente...», cerco di insistere, ma lei non mi fa caso, va avanti tutta lusingata che perde le candele dal naso e non se ne accorge neanche, «Non ti dico... e poi, sai, non voleva neanche quello... non... non... NIENTE! non ha preteso niente, solo addormentarsi sul mio seno», mi slancia verso il naso l'anello, «Secondo te, è vero? Per me no, mi ciulano sempre, ma a me non mi importa il valore... Ah, voi uomini, volete solo quello, solo quello e poi sul più bello vi addormentate! Ma mi stavi dicendo... Che è che è successo?», guardo l'anello e dico tutto d'un fiato, «Hanno dato un altro taglio alle pensioni» e lei, collassando su una sedia, «Nooo!» e meccanicamente prende la gallina per le zampe e le tira il collo seduta stante, guardo meglio l'anello... non capisco cosa c'entrino i rosari con Laser ma è più forte di me, perché io per la Bocchino ho compassione, «Non dirmi che adesso ti sei tirata in casa il Santacroce!», dico sapendo di mentire alzando un po' la voce e scalciando dalla stizza sbatto una scarpa contro una delle casse di maniglie di rame, «Ma sei matto? Ma chi hai cap,ito? E poi abbiamo giocato fino a un'ora fa alla passegttera e al controllore, adesso è crollato e dorme come un ghiro... è il Bertucci, il nostro caro Ettorino con le crisi!», guarda che è della Gilda, quell'anello, è l'anello di fidanzamento del Siderpali, me lo disse lei vorrei dirle, e tutta la casa tintinna e sberluccica al mio colpo di punta contro la cassa di pezzi di ottone, e sull'attaccapanni vedo il mor~tgomery arancino sporchiccio del Bertucci Ettorino e sul tavolo una scatola malandata di trenini elettrici, ma certo, l'imbelle ha comprato l'anello dal suo unico interlocutore di piazza, Laser il rapinatore, e cretino com'è lo va a dare alla Bocchino che prima cosa va in giro a vantarsene, figurati se non salta fuori una grana di quelle grosse per tutti e due, vuoi vedere che il Bertucci ha piantato i Paragnosta o loro hanno lasciato in bianco lui ormai soddisfatti dalle centinaia di milioni e da tutte le proprietà che gli hanno spillato, ma io mi faccio gli affari miei, venuto a cogliere delle informazioni sta a vedere che adesso le devo dare io, e mentre l'inutile gallina stira e molla le zampe del tutto e batte il collo spezzato sul polpaccio della Bocchino Rosa che s'è messa a cantare «Rosina vé de bas che l'è un'ura che sò ché, ghé la luna tanto ciara che la not la par el dé», esco più infuriato, più disperato di prima. E sempre nello stesso quaderno qui aperto davanti a me sul volante, sotto il tema «Cosa voglio fare da grande» che porta la data diciassette giugno 1979 e poi chiudevano le scuole e in Quinta B restano tante pagine bianche, la donna Marì, con una calligrafia neanche tanto differente da quando era scolaretta, scrive: «Io col mio sacchettino di plastica e Galeaz%o eravamo in macchina da mez%'ora diretti a Salò, dove lui ha questo suo appartamento, ci siamo fermati una volta a far pipì e a prendere un caffé giù per la discesa di Padenghe come se davvero adesso potremmo prendercela finalmente comoda e tutto era normale e anche noi come coppia, ma lui nella piazzola girava in su e in giù davvero per prendere tempo e io stavo già dentro in macchina, stava per prendere anche lui una decisione importante come la mia, aveva fretta di arrivare ma anche neanche tanto, io pensavo alla calma dei due uomini quando il Boss è venuto da noi alla macchina e mi ha detto tutte quelle cose e allora dico tanto per dire a Galeazzo, «Ma tu mio marito lo conoscevi già?», e lui, «Io no, mai visto prima, perché» e io ho detto, «Tutti e due così calmi, come se eravate dietro a smistare il traffico...», e lui, «Che dovevamo fare, sfidarci a duello? Fra persone civili...A», e io, «No, così, dicevo. Scusa», e una volta nell'appartamento di Salò, e era la prima volta che stiamo per consumare in un letto e la terza in tutto, era stato pieno di angosce ma un po' lungaggioso con me, non sbrigativo come le altre due volte precedenti in auto che io a fine lezioni prima di mezzanotte dovevo rientrare a casa, e io anche avevo troppi pensieri forse, non mi lasciavo andare bene, ho voluto vedere stanza per stanza e poi la vista sul lago, brrr, che freddo sul balcone, il telefonino portatile ha squillato e lui l'ha subito spento, poi lui era già in bagno che si preparava per la notte, non si decideva a uscire, io non capivo perché per tutto il viaggio mi è sembrato di umore strano, mica che si fosse pentito del passo o che, no no, forse non si aspettava di vedermi conciata così senza pelliccia e gioielli e niente, così trascurata era la prima volta, o forse da ultimo si è reso conto della gravità di non aver detto prima a sua moglie quello che avrebbe dovuto dirgli prima ancora e doveva pur dirglielo, e io che pensavo che glielo aveva addirittura già detto quella mattina lì non aspettare l'ultimo minuto a frittata fatta, fatta almeno per me, forse si è accorto durante i suoi abbracci qui e là nelle tre stanze più cucina e ripostiglio che io invece di seguirlo sul corpo col mio cuore piangevo... pensavo a RiSge, volevo il mio bambino... E' stata la perlustrazione più svogliata che mi potevo immaginare.s.' non che l'appartamentino non mi piaceva, se era per questo, per un qualche calcolo, restavo nel mio, no no... tanti sogni, tanta attesa, tanta incoscienza da parte nostra... mia, soprattutto... e poi... poi salta fuori che ci sono dei ma dei forse dei però, e che lei, sua moglie, è completamente esaurita, per non dire pazza imbottita di psicofarmaci, e che non sa ancora niette di niente che noi due adesso andiamo a vivere insieme per sempre, io mi sono irrtgidita come un ghiacciolo, e che lui non sa ancora la sua reazione di lei, capace quella di ammazzare i due figli; doveva fare le cose con cautela, disse, mentre io quello che dovevo affrontare per lui l'avevo già affrontato, e non ero pentita, no, non lo sarei mai stata, neanche se avrei dovuto rinunciare a mio figlio... Io per lui avevo lasciato tutto, e tutto per amore. Lui è uscito dal bagno per la seconda o terza volta che andava avanti e indietro per niente sempre con quel telefonino in mano e non ha detto niente, evitava persino di parlarmi, allora ho preso su il mio sacchettino di plastica con la mia roba e in bagno sono andata io e ho chiuso a chiave e mi sono lasciata andare contro la porta e ho sentito lui che faceva un numero al telefonino e poi diceva delle cose carine a entrambi i figli, di nove anni il maschio e di sette anni la femmina, e poi sono uscita io, sono rimasta sulla soglia e lui ha chiesto di sua moglie a uno dei due figli e a voce alta, fissandomi, ha detto, «Marisa... no, non sto arrivando a casa... anzi, volevo proprio dirti che non ci ritorno più... fra noi due è finita e io amo un'altra donna e voglio fare la mia vita con lei. Addio», proprio così, Addio, e ha chiuso la comunicazione e spento di nuovo il portatile, io mi sono slanciata fuori dalla porta del bagno e ci siamo corsi incontro e ci siamo baciati veramente come se sarebbe la prima volta, il suo pigiama di seta aderiva alle mie mutandine e alla mia sottoveste come una calamita, ho sentito la scossa, giuro, ho pensato che non avevo neanche di che cambiarmi l'indomani, e non so quanto è tempo è passato, un attimo avrei detto e invece... certo da Castenedolo a Salò se una è pazza ma brava a guidare non ci impiega più di quaranta, cinquanta minuti anche con l'asfalto brinato, ho sentito io lo slam di una portiera giù nel cortile del Vip Residence Benaco Blu mentre mi cadeva del tutto il reggipetto e poi dei passi veloci sulle scale e mi sono di nuovo irrigidita e staccata da Galeazzo e anche lui ha capito e l'istante dopo abbiamo sentito la chiave che girava nella serratura, Galeazzo è corso per cercare di mettere la catena di sicurezza ma lei gli ha sbattuto lo spigolo della porta sul naso e la Marisa era già dentro, lo faceva da parte con una gomitata e gridando, «Dov'è quella puttana che la uccido con le mie mani?» veniva diritto in camera e con due falsate, scavalcando il letto saltandoci su, mi si gettava addosso come in un film di indiani... e con tre unghiate mi rovinava la faccia e lui, fermo, immobile contro l'armadio a muro che piangeva e diceva a bassa voce, «Perdono... perdono...» e io, che pensavo lo stava dicendo a me... Io stava già dicendo a lei!!! Anche se, venendo a staccarci e dandole due sberle e spingendola verso la porta, le disse, Io non ritorno sui miei passi, io amo lei, io voglio lei, vattene adesso, io ti ho chiesto la separazione consensuale già da un anno», lei lo guardò con quei suoi occhi fuori dalla testa e puntuale, uscendo, disse, «Se entro un'ora non sei a casa, 1 ammazzo tutti e due i tuoi figli...». Ho migliorato l'italia no appena appena. Dopo essere stato per niente dalla Bocchino Rosa,1 vado a mettere giu la macchina e mi metto a girare a piedi per niente portando la bici a mano, incontro la Chitari1 Luciana, ma quella non mi ha mai neanche salutato,q provo a salutarla, ma non mi risponde, non con sdegno, facendo finta di non aver sentito; incontro il Tita della. biblioteca ma lui si trova sempre sull'altro marciapiede che cammina a testa ancora ;)iù bassa di me; la Caroli del Teatro non è in giro da sol~!, ha la faccia sprofondata in un gran mazzo di carta dal quale spuntano le cime viola e rosa delle penne di struzzo eccedenti il fabbisogno dell'o spizio e che lei va in giro a vendere per conto di suor Lucia e il ricavato va in beneficenza per il Corpo di Ballo Terza Età che al Veglione Mascherato dell'ultimo di Carnevale concorrerà sezione gruppi; la SantacEoce è sloggiata del tutto dalla tabaccheria e sarà su che Fiange chiusa in casa, la nuova tabacchina non sa neanche chi è Marì, le altre vedove non escono neanche a fare la spesa, mica di sera, penso che tipo di commento posso suscitare se mi presento dal Severino a farmi i capelli per due volte in meno di due mesi, poi mi faccio coraggio, appoggio la bici ed entro e la barberia è così piena di gente che devo restare in piedi, «Ah, Acchiappa», mi fa la Lella, «Oggi prima delle sette neanche a parlarne», e io dico, «Allora vengo dopo» e nell uscire sento che riprendono i discorsi e la prima parola che sento è proprio, «I Monteciaresi, pOVeretti, lUi pOi che le hanno operato già il cuore, che bella mazzata in testa...», chiudo più lentamente possibile tirandomi dietro la porta anche se è automatica, «... io sono del Santellone e ho saputo che proprio un'ora fa...», ma, ahimé, la porta si chiude del tutto e io posso solo deglutire la mia sete nella mia gola così arsa che non mi viene fuori neanche la saliva in bocca. Alle sei e un quarto di fronte alla barberia, la vedova Siderpali Fincasa sta staccando anche gli abiti appesi fuori in vetrina perché dentro non ne ha più e davanti alla vetrina ci sono ancora tre donne che, in mancanza di abiti, stanno ammirando le fattezze dei due manichinoni nudi indecise se entrare e chiedere se, almeno quelli, sono in vendita e se è vero che la sua nuora nel giro di ventiquattro ore ha mandato all'aria un matrimonio, ha rinnegato suo figlio, è fuggita con l'amante, è già stata piantata anche da questo, è stata pestata da sua moglie, ha perso la memoria dallo shock, una camionetta dei carabinieri di Forlì la starebbe riconducendo a Pieve, ma che ci viene a fare, sua madre e suo padre hanno già dichiarato che a casa non la riprendono neanche morta e men che meno suo marito e sua suocera e, ottenute risposte soddisfacenti, possono anche uscire con sottobraccio un manichino o un cubo ciascuna e affare fatto. Questi ultimi dettagli, li ho saputi dal barbiere quando sono ritornato alle sei e mezza; e il Severino mi fa, «E lei, Pino, che ci è stato anche a mangiare a casa sua, che ne pensa di tutta questa storia? Sarà vera?», io non avevo perso nemmeno una parola, la discussione era sulle brave ragazze che ci sono in giro al giorno d'oggi e che c'è troppa libertà... ho fatto come finta di non aver capito, e ho detto, come risvegliandomi perché tenevo gli occhi chiusi collo in giù, mento sullo sterno, intento a leggere nell'attesa il gazzettino parrocchiale di Pieve, «Come? cosa? Tocca a me?». I dettagli sono poi arrivati a spizzichi nei giorni a venire, perché per me la difficoltà principale era chiederli a chicchessia senza mai fare la prima parola, e dentro la vedova Siderpali, il suo negozio, non ho più buttato l'occhio nemmeno per sbaglio, e poi avevo pur sempre i miei rosari ormai, e informazioni non richieste in abbondanza dalle mie pie. Che il Signore le abbia in Gloria, anche se più che rosari ormai facevano solo ciacole dentro il Suffragio e fino a tutto dicembre non hanno parlato d'altro e io mi sono guardato bene dallo sgridarle e richiamarle all'ordine. Però non ce n'è stata una che abbia trovato una difesa per Marì, l'avrebbero tutte lapidata in piazza e io le avrei strangolate tutte coi loro rosari del demonio Sembra che lui, il Gallizzi Galeazzo, di origine meridionale, sin dalla prima sera delle serali non la degnasse di uno sguardo, né di più né di meno che a tutti gli altri uomini e donne da recupero, sorprendendo la Marì con quella sua indifferenza, quebsuo fare superiore da intellettuale impegnato, e attivandone la femminilità oltre ogni dire grazie alla tattica - se di tattica si è trattato dell'ignoramento totale da parte del maschio di un simile splendore di femmina, e Marì era abituata a far girare la testa a tutti gli uomini, tutti senza eccezione, e questo non darle peso deve averla colpita già più del dovup. Sembra che lui fosse di una imparziale, democfatica, socialista correttezza con lei come con chiunque altro della classe dei dodici recuperanti, sembra che nessuno, anche quando i due hanno cominciato a vedersi a fine lezione, si sia mai accorto di un ammiccamento, un sorriso, un segno particolare fra i due. L'uomo era di sinistra, e già questo basterebbe ad anticipare in un colpo solo tutte le tragedie che si trascinò quella prima ora di lezione della Marì con uno di un simile orientamento. L'impegno a sinistra non è il patentino del fallito quando vuole avere un alibi per giustificare moralmente il suo scarso ventisette statale o sindacale? Io dico solo questo: uno che dice di essere ingegnere termonucleare, che ha già quarantacinque anni, è sposato con un'insegnante di Disegno che esercita pur avendo due figli e dunque una che se non porta il suo stipendio a casa se la vedono brutta a fine mese, uno che vive in un appartamento, e va bene, di proprietà ma è pur sempre un appartamento, non una villa da ingegnere o da commercialista o da mobiliere, uno che insegna Matematica alle serali dove bisogna cominciare con le addizioni e le sottrazioni e le moltiplicazioni, che ingegnere termonucleare sarà mai? O lo fa come tanti si danno a una forma di volontariato o, se lo fa per la paga, è un povero fallito a cui è andato tutto storto ma che continua a far finta di essere o un'anima caritatevole o un lavoratore così grande da non disdegnare un doppio lavoro. O, per l'appunto, è un balordo con una laurea di quelle capricciose e inutili e mai messa a frutto perché val più la pratica della grammatica e lui oltre la grammatica non è mai andato. Ma Marì nel giro di un mese si beve il cervello dietro a lui, lui le dà la cultsra, lui! e lei la sua vita. Per amore! Per una sbandata causata dalla lettura di un romanzo, diclamo piuttosto. IL Galeazzo Gallizzi, di cui nessuno sa descrivere niente perché nessuno qui a Pieve l'ha mai visto, ma doveva essere, dicono, dice chi se l'è visto davanti o sentito riportare da una pronipote del Setolini che frequenta le serali di Ragioneria anche lei, che il Gallizzi Galeazzo è brutto come la fame, alto e mollaccione con la taglia dei jeans due misure in meno per fare il figo e con gli occhiali rotondi da miope, mica uno da palestra e giovane, no, già più sui cinquanta che sui quaranta, di quelli con la forfora sul colletto di una camicia portata troppi giorni di seguito, uno che arrivava sempre tardi perché la macchina lo lasciava a piedi per strada tanto era buona, e allora la morale fu per tutti che, per imbortolare sù la Marì a quel modo, lui avrà avuto qualche virtù nascosta... Era un balordo pieno di sufficienza per tutti, arrogante, era, io mi sono informato dopo, sempre a modo mio, con l'Ancr di Castenedolo che qualche volta ci scambiamo dei favori, e sono anche andato a vedere dove abita va, non avevano neanche il garage, lui e la moglie parcheggiavano fuori dietro la piazzetta del Municipio, abitavano lì sopra i portici, e la moglie, una sempre una pasticca via l'altra che il disegno che insegnava era più psichedelico che altro, e lui, uno che aveva fallito persino nei ranghi pOlitiCi più elevati del Pci prima e del Pds dopo, dove fanno carriera anche gli ex democristiani e addirittura i radicali e i verdi e i socialisti, un balordo per tutti tranne che per Marì. Dieci giorni dopo il primo giorno di scuola, quella sera che a Ragioneria era saltata la luce e decidono di andare tutti alla Pizzeria del Sacro Gral alla New City a festeggiò:re, la Marì, fra una battuta e l altra, e i testimoni sono una dozzina, butta la spugna della sua ritrosia femminile e cade, incantata, nella scissione o fissione nucleare del menga applicata ai rifiuti urbani per un teleriscaldamento realizzato a Brescia per tre condomini sui trecentomila previsti dall'Ing. Gallizzi che di tutto ciò è la mente. E questo Ing. Gallizzi Galeazzo, fra una capricciosa e un calzone farcito, Ichiama tutto ciò esperimento felicemente riuscito, dimenticandosi di aggiungere che poi, per i restanti duecentonovantanovernila e novecentonovantasette condomini, non se ne e fatto più niente e che tutto, meno i costi e le spese, che continuano ad andare avanti, si è fermato quindici anni prima, e la Marì, rapita dall'eloquio del professore e soprattutto da tutte le parole che non conosce e che lui le dona scambiandola per una che ne sa quanto lui, è l'ultima a lasciare la Sacro Gral, i due restano sulla porta della pizzeria a chiacchierare per un po' , ognuno sale sulla propria auto e poi, di nascosto, si reincontrano da qualche altra parte - per la precisione al Ponte dell'Arzaga: erano solo le dieci e mezza, lei non aveva paura di fare troppo tardi ma di rientrare troppo presto - e lei gli si concede in auto per la prima volta Questo dettaglio, lo so dai quaderni di Marì. Come ha fatto la Marì a perdere la testa per uno così, a scambiarlo vuoi per un genio vuoi per un ingegnere affermato buono d'animo che insegna di sera ai poveri proletari e alle mogli annoiate dei bancari? come ha fatto una che si credeva tanto dritta come la mia Marì a scambiare una mezza tacca di quel genere vuoi per un intellettuale con una coscienza sociale della energia pulita vuoi per uno che nella vita non si accontenta dei grandi traguardi raggiunti privatamente e si impegna nel sociale sacrificando il suo tempo libero? Perché il Gallizzi Galeazzo insegnava Mate a tempo perso per permettersi la barca sul lago a finesettimana, barca che è a sua disposizione ma che è di proprietà dei genitori di sua moglie, che sta bene di famiglia mentre lui non ha il becco di un quattrino e durante il giorno non fa niente, altro che capoingegnere alla Teltecol, tecniche ecologiche, come dice in giro ai suoi studenti! niente fa, a parte portare i due bambini a scuola e perdere tempo a cercarsi un lavoro invece di trovarlo, nel senso che lui di uno qualsiasi mica si accontentava, proprio come mio cognato Strisciotti Vittorio, no, tant'è vero che anche i suoceri del Gallizzi, dopo averlo messo alla prova nella loro azienda di latticini, lo tengono alla larga, non ne vogliono più sapere, anche se lei, sua moglie Marisa, è pazza di suo marito e lo difende e lo mantiene a spada tratta da sedici anni -, non perché lo ami, solo per meglio tenerlo in pugno, perché un altro uomo, da quello che ho capito io del suo carattere, la porterebbe in gita e la spingerebbe subito giù nel burrone. E poi, invece di picchiare lui, picchiarmi la Marì. Ohi, ohi, Marì! Ma ohi ohi anche 'sta Marisa. Ora, è difficile dire del succedersi degli avvenimenti, uno più disgraziato dell'altro, dando conto di come e di quando io ne sono venuto a conoscenza, perché intanto che ne succedeva uno e io venivo a saperlo ne stava suc cedendo un altro ancora più grave, che aveva determinato quell avvenimento o che ne aveva causato o stava per causarne un secondo, di cui non sapevo ancora niente, in un concatenamento dei fatti e della conoscenza dei medesimi del tutto sfasato, come se gli uni e l'altra non si rincorressero sulla stessa pista ma fronteggiandosi su due piste diverse e solo apparentemente incontrandosi o scontrandosi o dandosi appuntamento a data da stabilire, perché il rispettivo giro che li portava a combaciare la frazione di un secondo non era mai lo stesso per entrambi, sicché se i fatti stavano combaciando con la conoscenza che ne avevo, quellinerano, diciamo, al decimo giro e questa al quarto e quelia frazione di secondo in cui godevano di parità di posizione sul percorso delle piste era proprio quel secondo di troppo o di meno che nel frattempo sconvolgeva daccapo e completamente la visione complessiva delle cose e il numero dei giri fatti, e su questa pista dove si correva e su quell'altra dQve si segnavano i giri. E una terza non c'era, perché laXterza era solo Marì e neanche lei è stata del tutto capace di ridurre a più mite consiglio quella polverizzazione schizofrenica fra tempo, spazio e i pettegolezzi che se ne fanno. Anzi, ne è rimasta travolta. Tanto per dirne una: solo lei, io e suo marito sappiamo qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della disperazione della giovane adultera fino a portarla a uccidersi, solo che lui si rende conto solo all'indomani di aver fatto patatrac - ammesso e non concesso che non se ne rendesse conto intanto che il vaso traboccava, visto che lo faceva traboccare lui fuori dal colmo esasperato, sfinito di quella personcina tutta pelle e ossa segnata dal deperimento e dal desiderio, forse non irreversibile, di autodistruzione - e io lo vengo a sapere una settimana dopo, quando per posta mi arrivano a casa i suoi quattro quaderni legati nello spago e grazie ai quali sono riuscito a mettere insieme più di tutti i cocci necessari a ricomporre il movente ultimo del suicidio di Marì. Tanto per dirne un'altra: quando credo che Marì sia ancora all'ospedale del Sant'Orsola a Brescia sotto osservazione per lo shock causatole da... Laser o, poco prima del tragico epilogo, quando credo che la Marì sia sotto stretta sorveglianza a casa per il nuovo shock causatole dall'articolo del Quattrini Achille che la trasforma da vittima di una rapina in colpevole come ha fatto con sua suocera, vengo a sapere, perché ci vado io di persona e spio fuori dalla vetrata della Ballina Cattiva, che lei alla cena delle Botteghe del Centro non è venuta, c'è solo sua madre Monteciaresi da sola col genero Fincasa Lamberto tutto giovialone con tutti e con tutti i negozianti più in vista della piazza che continuano a guardare l'orologio perché un conto è una cena con Marì e un conto una cena senza Marì a tenere su la compagnia (a tarda notte la vecchia Monteciaresi Olga andrà, ma non accompagnata dal genero, a trovare il marito all'Ospedale che ha avuto una ricaduta di cuore e gli porterà un involtino di maiale e due uccellini allo spiedo); quando, ben prima di questa spiata che faccio alla trattoria della Ballina Cattiva sul monte la sera dell'Epifania che tutte le feste si porta via, credo che la Marì si trovi da qualche parte come sarebbe ovvio col Gallizzi Galeazzo a godersi la sua passione d'amore, vengo a sapere che si trova già da quasi una settimana a Forlì dalla sua amica Emiliana, che in un primo momento l'aveva respinta, e poi salta fuori che non è davvero vero del tutto ma quasi, e cioé che l'Emiliana non l'ha fatta, sì, entrare in casa ma poi, presa da umana compassione, è scesa e ha dato lei i soldi al brigadiere di Forlì perché li desse alla Marì per andare a dormire in una pensione o rientrare subito dove poteva, a patto che lei la lasciasse fuori dalle rogne e che ritornasse a farsi sentire solo una volta fuori dai casini perché non c'era di mezzo solo lei la Volpedo Emiliana qui ma due, ben due Consorzi 1 Grana Superiore, ed è il Volpedo Agostino che prendei contatto coll'amico Fincasa Lamberto, ma il Boss gli dice che 1 Emiliana ha fatto proprio bene a mandarla via, gra zie, ricambiera, e non prende alcun contatto con la Marì in una certa pensione a Forlì, non la cerca, non la va a prendere, non si preoccupa di niente se non del bene di suo figlio, perché Marì è da viva improvvisamente come morta per un sacco di gente, per il marito, per i genitori di lei, per sua suocera, e per lei stessa, e a causa di quale fine ultimo? Tutto con l'IngXallizzi Galeazzo, quel tut to per il quale Marì ha dato un calcio alla sua vita passata e presente, era già finito appena cominciato, finito subi to, dopo poche ore, neanche fosse stata una farsa lunga della Cùrt dei Pulì, e finito nel più squallido dei modi... e allorché la credo ancora a Forlì e impazzisco perché non c'è modo per me di venire a sapere il nome di qyesta pensione, per andarla a prendere e portarla qui d~ me, pronto io a sloggiare nella rimessa dell'ospizio, vengo a sapere che Marì ha trovato provvisoria ospitalità presso una lontana parente appena fuori Brescia - che non la voleva neanche lei e poi s'è lasciato convincere dal figlio tale Melchiorre che in gioventù aveva avuto una cotta per la cugina di terzo grado - e che, tre settimane dopo che non parla e non mangia, aggravandosi di ora in ora il suo stato di salute misto a delle improvvise euforie che fanno temere il peggio, i Monteciaresi se la riprendono indietro ma a patto che vada a stare in un riparto del fie nile e o si arrangia o crepi. E prima, quando io vengo a sapere che è qui a Pieve, là al Santellone dai suoi, non faccio in tempo il quattordici dicembre, Santa Lucia è il tredici, ad andarla a trovare per portarle il mio scialle verde e a mettermi il cuore in pace sulla sua sorte che lei il giorno prima dell'Epifania ecco che è di nuovo a casa sua, riunita a suo marito e a suo figlio il quale, abituato a essere parcheggiato ma con ogni delicatezza oggi qui domani là e a vederla sempre di sfuggita, non si è accorto mai che la mamma ha lasciato lui, il padre e la casa una volta per sempre, per Ridge quella volta è una volta come un'altra, e per fortuna così, perché non ha risentito né dell'abbandono né del ricongiungimento. Marì nella sua casa ci resterà meno di ventiquattro ore in due giorni e poi morirà. E che dire di quando l'ultima volta che la vedo, il venerdì cinque gennaio scorso, ho ricostruito tutto per come ho potuto, in un frangente di queste sue ultime, precipitose ore di vita, la vedo uscire di nuovo tutta bionda da Lidia David pettinatrice ma con una elegante cuffia in testa che le copre la nuca schiacciandole i capelli in un raggio vaporoso che le incornicia le spalle, bionda ma scheletrica, di nuovo bionda bionda ed elegante e ingioiellata come piace a lui ma come già morta nello sguardo da resuscitata contro la sua volontà? La vedo ma lei, sovrappensiero, non vede me e penso che non è il caso di farle fare anche questo sforzo di parlarmi in piedi per strada e scantono deluso. "Ormai, è spacciata per sempre", penso, "e riprenderà il suo solito tran tran nella sua bella casa fino a ritornare in carne, seppur più umiliata che mai, e padrona di sé dopo essere tornata buonin buonina in schiavitù", e già mi sono rassegnato a dividerla col Boss fino agli ultimi giorni della mia vita che la stessa sera, sera di gran Mistero Doloroso, vengo a sapere al rosario che il pomeriggio, dunque appena uscita dalla parrucchiera, era andata verso l'una all'Ospedale a far visita a suo padre, e che a fine visita, all'uscita, in pieno giorno, Laser, accucciato nel parcheggio fra una portiera e un'altra, le ha fatto la posta e l'ha costretta con le solite parolacce a denti stretti a saltar su in auto sotto la minaccia di un coltellaccio da cucina, non più una pistola dun que, ma nello stato di debolezza di Marì sarebbe bastato un apriscatole, alla guida si mette lui e a una lentezza esasperante anche stavolta, ai trenta all'ora come con la vedova Siderpali Fincasa, e mai ovviamente un vigile o un carabiniere o una squadra della polizia quando occorre si fa fuori tutta la strada da Pieve a Brescia passando come se niente fosse a tutti i semafori rossi che incontra, causando quattro incidenti ad altre auto malgrado l'andatura da lumaca e continuando pacifico, mettendo la vita di Marì a repentaglio, e poi prende su per la Pusterla, poi per il monte della Maddalena, la fa scendere lontano lontano, la spoglia di tutti gflì ori e del Rolex (della Gilda!) e la pianta lì in un bosco,'dove lei gira per un bel po' senza sapere più chi è e chi non é, e poi viene trovata da un cacciatore, portata al Pronto Soccorso del Sant'Orsola, dove recupera la memoria e sporge formale querela contro il Santacroce Gigliolo, anche stavolta solito passamontagna nero coi buchi agli occhi e solito movntgomery di pelle color arancino sporco (ma non l'avevt restituito alla Bertucci dicendole, «Ma prenditelo pure, brutta sporcacciona che non te la lavi neanche»?), e poi viene accompagnata in Questura, dove viene medicata da varie escoriazioni, prende un calmante e grida praticamente per un'ora, finché non arriva il marito, che la riporta a casa lasciando dietro di sé alle poliziotte del Telefono Rosso Rosa queste precise parole, «Me ne combini una dietro l'altra», come se fosse stata colpa sua se è stata rapinata e buttata con uno spintone giù per un pendio da Laser. E l'indomani... e io, non leggendo i giornali, vengo a sapere tutto nel bel mezzo del Buon Nazareno che sta per sollevare la Croce sotto cui è caduto Gesù Cristo, e allorché vengo a sapere che, rapina o non rapina, articolo o non articolo sulla Leonessa, la Marì avrebbe partecipato alla cena delle Botteghe del Centro sul monte dalla Ballina Cattiva quella sera stessa e che quindi é, dovrebbe essere già là, taglio corto col rosario, blocco l'entrata del Buon Nazareno, lascio Gesù Cristo dove si trova sotto la Croce, scomodo, lo so, ma tanto mica scappo, licenzio le mie pie e corro sul monte di San Pancrazio a spiare dentro la sala ristorante stando da dietro il calicanto fra cucina e concimaia... e l'indomani succede che... anzi, le è già successo il giorno prima, anzi: proprio in quei momenti in cui sono lì a spiare Marì che non è venuta e io non ci trovo niente di strano, visto quello che mi hanno raccontato che le è successo col Laser e il Quattrini e l'avvocato Pezzulli Fulgenzio, in quei momenti lì che io spio Marì che non c'é, Marì sta morendo, forse è già morta sul trattore... perché all'indomani della rapina le succede, le è successo, qualcosa di infinitamente più umiliante: uno stupro fra le mura domestiche. IL Fincasa Lamberto, dunque, il giorno dei Re Magi o della Befana che dir si voglia, alle otto e quindici lascia la madre distrutta per la perdita del Rolex, lascia la Marì prostrata a forza di chiedere scusa alla suocera e monta in macchina per passare alla Inchelpost Assicurazioni a denunciare il nuovo furto e poi per andare al Consorzio Agrario, arriva invece al bar della piazza, apre il giornale, si fa andare il caffé di traverso, rimonta in macchina e alle otto e trenta arriva di corsa a casa con La Leonessa d'Italia in mano e non fa nemmeno in tempo a entrare dentro a sventolarglielo sulla faccia che ecco fuori dal cancelletto arriva Laser, in compagnia dell'avvocato Pezzulli Fulgenzio, fratello del notaio, anche lui sventolando Il Bugiardino fuori dal cancelletto e poi sotto le finestre, e mentre l'avvocato entra in casa e confabula con i due coniugi, Laser, che non è stato fatto entrare, grida e minaccia e riempie di brutte parole sia la Ermenegilda sia la Marì saltando da una siepe all'altra, sradicando le piante di peonie, spaccando i vetri con le sassate, cercando di mirare ai Nani e a Biancaneve, e grida, «Voglio mezzo miliardo di danni! Voglio mezzo miliardo di danni! Ve la do io a rovinare la reputazione di una persona perbene! Puttanoni!», tanto che la gente »a Si ferma per strada e qualcuno si avvicina a Laser, scuote la testa in direzione della terrazza della giovane coppia e poi gli stringe la mano in segno di solidarietà. Ecco cosa scrive il Quattrini Achille il giorno dell'Epifania sei di gennaio, quindi un mese e mezzo fa, sulla Leonessa d'Italia, Marì ritaglia il pezzo di giornale e lo inserisce dentro uno dei quaderni, eccolo qui che fa capolino: «Dopo essere stata avv~,~inata da uno sconosciuto Costretta a salire in auto viene rapinata dei gioielli Minacciata con un coltello deve consegnare alcuni bracciali e due catene d'oro e il Rolex della suocera ignara - Un episodio di violenza che presenta non pochi inquietanti interrogativi sui quali stanno indagando gli organi investigativi della Questura di Brescia è stato denunctato da una donna di Pieve di Lombardia, certa Maria Monteciaresi-Sttierpali Fincasa che gestisce con i famigitari della parte maritale un negozietto di pantaloni in corso Fratelli d'Italza nel centro della cittadina. Alle indagini stanno contemporaneamente partecipando gli organi investigativi privati dell'Inchelpost Assicurazioni poiché tale rapina presenta troppe analogie con quella denunciata dalla suocera della donna l'estate scorsa, visto che entrambe le rapine per l'incongruità del racconto di entrambe presentano aspetti di tentativo di frode ai danni dell'assicurazione medesima. Secondo il racconto della Maria Monteciaresi-Fincasa Siderpali, verso le ore 13 di ieri venerdt' cinque, all'uscita dell'Ospedale Nuovo di Pieve, dove si era recata per salutare il padre stremato da una storza di adulterio della stessa unica ftglia con un insegnante di Matematica di Castenedolo e qui degente da alcuni giorni per complicazioni cardiache e di colite, mentre stava recandosi al parcheggio per salire sulla sua auto e rin casare (la donna abita in periferza, in via Tre Innocenti al 35, quarto campanello dall'alto) veniva seguita ed avvicinata da un giovanotto che, da lei identificato, non è stato ancora identificato, perché quello da lei identificato ha un alibi di ferro che qui in fondo si provvede a dargli d'ufficio e secondo coscienza dello scrivente. «Sempre secondo il delirante resoconto della donna, calatosi costui in testa un passamontagna nero alla Mandrake e proferendo minacce di ogni tipo con un coltello da cucina, avrebbe costretto la Monteciaresi a salire sulla vettura e, fattesi consegnare le chiavi dell'avviamento, metteva in moto la macchina a velocità irrisoria dirigendosi verso Brescia. Il rapinatore, dopo aver dalla stessa ricevuto i preziosi, alcuni bracciali e due catene d'oro e un Rolex, avrebbe abbandonato la donna in una selva del monte della Maddalena nonché l'auto, subito ritrovata, nei pressi della galleria del Castello. Il Rolex, di notevole valore, era stato sottratto dalla derubata, per sua stessa ammissione, alla suocera il tempo per far visita al padre ricoverato e cost' tranquillizzarlo che tutto era ritornato normale dopo la sua crisi matrimoniale dovuta alla sua fuga con un altro uomo. La donna, riavutasi dal comprensibile sempre che non simulato spavento, dopo essere stata accompagnata in casa propria dal cacciatore che l'aveva ritrovata di tardo pomeriggio che girava mezzocongelata dal freddo e, sembra, dopo averla scaldata per bene, tutta scarintgliata, coi capelli metà per sorte, biondi dalle orecchie in giù e castano scuro dalle orecchie in su, raggiungeva la Questura dopo aver raggiunto il Pronto Soccorso del Sant'Orsola e ivi denunciava l'accaduto incolpando della rapina a mano armata il stgnor Gigliolo Santacroce, mentre le indagini, grazie al sottoscritto, sono immediatamente procedute verso Castenedolo, dove sembra che la donna avesse insano cercato di convincere l'amante Ingegner G.G. a ritornare con lei, dandogli di sua spontanea volontà tutti i gioielli più l'orologio della suocera, a costei da colei intenzionalmente, come già detto, sottratto. Di quest'ultimo episodio fa fede l'insegnante di disegno Marisa G., moglie dell'Ingegner G.G., da noi subito contattata e che, per comprensibili ragioni; ha chiesto che non se ne scrivesse il cognome. Il signor Gigliolo Santacroce ha sporto immediatamente controquerela per diffamazione e lesione di immagine pubblica e a ragione, poiché dalle 12,30 alle 17,30 di ieri venerdì cinque si trovava a pranzo proprio a pochi piani dal ricoverato Monteciaresi Pierotto e dalla figlia Maria in visita, e cioé nella Sala Conferenze dell'Ospedale Nuovo di Pieve con, fra,,gli altri, i signori Nocivetti del negozio Psicotrappole, ssor Lucia delle Immacolatine di Torino responsabile dell'Ospizio Macina dei Morti di Pieve, la dottoressa Mercede Bentivoglio primario del Reparto Analisi col consorte l'amico Sindaco dottor Milancio e la di lei sorella dottoressa Fede e il di lei consorte l'amico Chiarissimo Professor Angelucci attorniate da tutte le zie Donne Bentivoglio, il fisio-prangterapista l'amico Polpastrini Gino e signora di Fontanelle in Pieve, donna Velia Belindi-Piedini, nonché la neo Presidentessa della Caritas Matris Dei e benefattrice etrica Luciana Chitari, la signora Donna Mina Benedetti MichelangeliPezzulli in rappresentanza della Famiglia Pezzulli e del figlio onorevole l'amico Giovanni, pranzo benedetto dal nostro amatissimo abate l'amico don Pierino Puripurini, che noi tutti, seppur a malincuore perché significherebbe dover rinunciare alla sua bontà e clemenza, vorremmo vedere assurgere a più alta carica pontificia, pranzo cui seguiva una conferenza durante la quale il signor Gigliolo Santacroce rilasciava un'intervista, di prossima pubblicazione, sul disagio giovanile e sui problemi del reinserimento degli ex tossicodipendenti e su quelli del restauro codici miniati in generale al sottoscritto: Achille Quattrini». E prima il nome e dopo il cognome, il moderno scrivano ! Per Marì, a questa umiliazione fa seguito l'altra più annichilente di tutte, e dall'uscita di scena dei tacitati avvocato Pezzulli e Laser Santacroce, e, neanche mezz'ora dopo, all'uscita da casa del Boss che la pianta lì per terra, Marì ha preso la sua decisione semplice, irrevocabile: si suiciderà. Dal Santellone ha portato via i quaderni e si mette a scrivere l'ultima stazione di questo calvario, poco prima di aver espresso il desiderio di essere sepolta vestita così come la troveranno, col mio scialle verde fondo bottiglia rimasto là sul fienile dai Monteciaresi insieme alla sua vestaglietta cilestrina: «E ieri sera che il Boss viene a prelevarmi in Questura a Brescia col suo compagno di grana Agostino per salire sulla mia auto mentre l'Agostino ripartiva con la sua io mi sono tenuta la cuffia in testa fino a che ho potuto. Lui in auto, dopo avermi insultata e dato della scema davanti a tutti i questurini e anche della ladra per via del Rolex di sua mamma e avermi rinfacciato cosa gli ho causato in senso del ridicolo coi suoi colleghi del Consorzio e che gli ho quasi certamente fatto perdere il posto alla Regione e che se non fosse per Ridge mi lasciava a marcire là sul fieniletto, una volta a casa che mi lascio andare sul letto sfinita mi dice, 'Adesso vai a letto anche con la scuffia, non sei già matta abbastanza? Toglietela', io ho resistito fino a che ho potuto e poi lui con una manata me l'ha tolta di brutto e quando m'ha visto che ero bionda solo a metà mi ha mollato uno schiaffo che sono rotolata per terra, ma bastava molto meno, perché io ero più di là che di qua, poi io volevo andare a dormire nella stanza di Ridge che era dai miei ma lui non me lo ha permesso, ha detto che potevo essere infetta e che potevo stare in quella casa solo con ogni precauzione fino a che non avevo fatto tutti gli esami del sangue perché lui non si fida e pretende che uso la doc cia nella tavernetta o ancora meglio la canna dell'acqua nel garage, pretende che mangio con le posate di plastica e i piatti di carta, e allora io mi sono messa la vestaglia e sono andata a mettermi di là sul divano e lui ha detto mettiti un lenzuolo sotto che tocchi il divano con le mutande, non si sa mai, lì mi devo sedere anch'io e mio figlio, e domani guai a te se vieni alla cena delle Botteghe con i capelli così metà per sorte, biondi devono essere, biondi li voglio... fa niente se è chiuso, altrimenti vai dalla Siderpali Fincasa e ti fai dare una fiala del suo henné e ti fai arlecchinata, a tre colori è come essere bionda come piaci a me. Io volevo d,grgli, sì, vendicati, vendicati pure, io i capelli non me li tingo come vuoi tu, io voglio essere io, non come piaccio a te. Tu non mi fai più girar come fossi una bambola e mi butti giù e mi tiri su come fossi una bambola. E poi oggi i parrucchieri sono chiusi sul serio ma per fortuna le Poste sono aperte fino alle 13 e 30 anche se è l'Epifanìà, questi quaderni... «E poi stamattina... mezz'ora fa. .. e adess~ lui è uscito, è tornato in Consorzio, ma mezz'ora fa... io non pensavo che arrivava a tanto, ma nel vedermi di nuovo sbiancare completamente vinta, distrutta dalle testimonianze contro di me di tutta la gente che conta a Pieve, con Laser che gridava fuori 'Puttanone' anche a me e 'sto avv. Pezzulli che entrava e usciva come Ridolini e andava avanti e indietro a contrattare in privato col suo cliente, perché il Lamberto non mollava una cifra simile, e l'avv. ha convinto Laser a scendere e poi ha convinto mio marito a sborsare a Laser trenta milioni per chiudere la faccenda, trenta milioni mica briciole, perché oggi toccare un drogato pentito e contrito significa toccare la più grande industria in Italia dopo la Moda, tutta la ghenga di preti e guru e dottori e benefattori che sopra il suo recupero del menga ci specula, io ho cominstato a piangere e non so perché, per fortuna Ridge non era presente e le scuole riaprono lunedt, ho pianto e trascinandomi per terra ho cominciato a chiedergli perdono perdono perdono perdono lui mi trascinava per i capelli attorno al tavolo, io ero stramazzata e non reagivo, mi sembrava fin troppo buono per punirmi con così poco, ma io sentivo che nella mia mente c'era un fuoco strano, un fuoco fatto di cenere, ormai, e quando stavo forse per svenire e lui mi ha sentito totalmente vinta e sua, mi ha preso, mi ha buttato sul divano e schiacciandomi la testa contro un cuscino mi ha violentata premendomi sul collo una sciarpa ed era lui a gridare come un ossesso, godeva, godeva tanto, mi strapazzava come una bestia da macello, e poi mi ha spinta di nuovo sul pavimento e mi ha penetrato dove io non ero mai stata consenziente, 'Chi è meglio, eh, io o lui, io o lui? Chi ce l'ha più grosso, eh?', gridava, e poi s'è messo a fare un discorso minaccioso sulla superiorità delle nane o di una certa nana, non ci ho capito niente, e pressappoco ringhiava così...» - tralascio il resoconto di Marì, perché troppo violento e senza alcun senso, probabilmente era ancora troppo sconvolta quando scriveva cosa le stava dicendo il marito al culmine dello stupro «... ho perso parecchio sangue, anche dalla bocca perché ho sbattuto i denti contro una gamba del tavolo, poi che ha consumato e mi ha lasciato lì, è andato in camera a cambiarsi e è uscito dicendo, 'E adesso va' a denunciare anche me, che poi ti denuncio io per le feste. Qui dentro, d'ora in poi, fai come dico io e mi fai chiavare quando voglio io e come voglio io e dove voglio chiavarti io e zitta e mosca, troia'. Allora lui se n'è andato e io che cosa dovevo fare? Ho preso i miei quaderni e eccomi qui a scrivere. Rimpiango solo di non avergli detto una cosa: che non lui, non Galeazzo, ma il mio cugino di terzo grado Melchiorre è l'unico che m'ha mai fatto godere, e non quando mi faceva la corte dieci anni fa perché io a lui allora non gliel'ho mai data, ma tre settimane fa, quando sono stata ospite di sua madre cugina seconda della mia e lui ha ricominciato a farmi la corte e io ci sono stata un po' perché non sapevo dove andare, un po' per dispera%ione, un po' perché mi piaceva, ma poi abbiamo deciso di comune accordo che dovevamo smettere, la cosa si stava ingrossando, è sposato anche lu*t, con tre figli, e non volevo altre grane. E poi non c'era sentimento. «Allora io stasera, quando mia madre va a cena con mio marito per far vedere che non è successo niente fra di noi, piuttosto di ritornare dalla Lidia parrucchiera che è anche chtusa e ch*tederle di fare uno strappo e rifarmi la tinta tutta bionda, mi ucciderò. E adesso vado in Posta a Brescia e mando i miei quader~- al Professor Acchiappa. Qualcuno deve sapere. Tanto lui, ingenuo com'é, tonto com'é, non saprà mai che farsene e acqua in bocca. Mandarli a lui è come mandarli a nessuno, una mezza via tra il tenerli e bruciarli. Se li legge è come se non li legge nessuno e se non li legge è come se li ha letti il mondo. Indifferente. Addio RiSge, addio amore mio, so di essere stata più la tua amichetta del cuore che tua madre, m4 non volevo fare di te un mammone come tuo padre: anche se sei italiano battezzato e quindi un figlio di puttana come tuo padre, sono s~cura che dtventerai un vero uomo. Stasera tutti mi aspetteranno sul monte dalla Ballina Cattiva a cena...», e siccome la stanno aspettando tutti da un bel po' alla cena dalla Ballina Cattiva e lei non arriva e al telefono non risponde né dalla Siderpali né dai Fincasa né dai Monteciaresi, il Boss, intanto che la suocera Monteciaresi Olga è andata a portare gli avanzi al marito degente accompagnata coll'auto dalla Lella, va a casa e non la trova, entra dalla madre che ha in custodia Ridge e men che meno, va al Santellone e non la trova, ma vede l'automobile fuori dall ex granaio, si avvicina alla rimessa dove chiuso a parte sta il trattore, trova accostata la porta di ferro ma sente subito l'esalazione che gli chiude i polmoni e poi trova la Marì morta sul trattore nella sua vecchia vesta glina di terital cilestrino sotto il mio scialle verdone, e poi quelli della cena, avendo accompagnato la Monteciaresi tutti quanti per un ultimo bicchiere a casa sua, uno dopo l'altro trovano anche lui, in piena notte abbracciato a lei, come abbandonato, che piange, e vallo a pensare che il trattore funzionava ancora, era lì come ferramenta, chi l'avrebbe pensato che c'era dentro ancora nafta e infatti dopo salta fuori che la Marì si era fermata alla pompa del figlio della Zorro a prenderne un canistro apposta. E così ho fatto io, colla mia tanica extra di benzina. La Marì lo scrive chiaro qui nell'ultimo quaderno: «Ecco, mi sembra di vedermi: mi sono tolta la pelliccia e tutti gli altri orpelli, scarpe di raso, braccialetti, anelli nuovi e biancheria intima costosa, mi sono messa addosso la mia vestaglia di quando ero ragazzina e lo scialle verde che mi ha fatto quel povero ciuco dell'Acchiappa e sono andata a buttare tutto il mio finto lusso nella concimaia e adesso accendo il trattore. La casa è deserta, nessuno sente niente. Addio Ridge, amorino mio, addio di nuovo e per sempre. Volevi tanto una sorellina, te la darà qualcun'altra, io no di certo, anzi. Sarebbe stata troppo bella e quindi troppo usata. Fa' il bravo, RiSge, non frequentare gente di nessuna Chiesa, sono bacati e vogliono bacare anche te, preti in primis. La vita è un mistero troppo bello per sciuparlo con una cosa meschina come la fede e chi nella vita non trova niente, trova Dio. E grazie a questa nuova creatura che mi porto in grembo da una settimana di troppo, in lei trovo la forza definitiva di farla finita: data la gente che mi circonda, sarebbe stato un gesto di troppo sia abortire che metterla al mondo. E addio anche a te, Melchiorre, facevo meglio a sposare te o uno come il mio caro Professor Pigliacielo piuttosto. . . » Addio Melchiorre, facevo meglio a sposare te o uno come il mio caro Professor Pigliacielo piuttosto... non è che lo scriva proprio lei, ma è come se l'avesse scritto di suo pugno. Io sono bravo a imitare la calligrafia degli altri. E poi, quando l'ho scritto, non avrei mai immaginato che il Lamberto e la Fincasa Siderpali Ermenegilda avrebbero fatto la fine, seppur giusta, che hanno fatto. La pagina di questo quaderno di Quinta B è stata diligentemente rotta a metà: la parte mancante sarà servita a Marì per scrivere il biglietto di istruzioni funerarie ai suoi cari... che sappiamo come l'hanno poi conciata nella cassa da morto. E che dire dei suicidi che seguono a quello di Marì come le ciliegie che uqa tira l'altra? Non fai in tempo a sapere che è morto uno che devi fare i funerali a un altro mentre nessuno sa, anche se tutti hanno cominciato a chiederselo, chi sarà il prossimo o se nel mentre non gli è già toccata. Io vado a tutti i funerali, anche a quello di Laser, che è il primo a suicidarsi, si fa per dire perché cop l'overdose non Si sa mai se c'era intenzione o no, treZgiorni che Marì è stata sepolta, sono proprio io a trovarlo riverso in fondo ai gradini del Suffragio venerdì dodici gennaio che andavo a fare la mia funzione in onore dei Caduti, elegante nel suo gessato da conferenza ma riverso, il Laser. Vado a tutti i funerali e guardo la gente, e anche don Pierino, con un modo nuovo di guardare, li guardo dritti negli occhi un attimo, quanto basta a costringerli a deviare lo sguardo per primi, e il mio dice, "Non farti domande sciocche. A chi tocca, tocca e amen. Forse tocca a te. Se tu avessi un po' di coscienza per ciò che di malvagio hai fatto nella vita, come lasci il camposanto per questo suicida qua vai a casa e fai in modo di ritornare qui al più presto in prima persona, non più al seguito di qualche bara, ma dentro la tua...". A parte un po' per la Siderpali Gilda, la quarta persona a suicidarsi Marì esclusa, e a parte il Tita della Biblio teca, non ho provato pena per nessuno, e il Galeazzo e la Marisa Gallizzi, secondo e terza, poi, non li conoscevo neanche, ho visto solo la foto sul giornale. Chissà che è venuto in mente alla Siderpali di darsi quella fine orribile, non mi risulta fosse una cinefila di cassette porno, guardava solo la televisione, ma il riferimento d'uopo per il Quattrini Achille per riportare la cronaca sul Bugiardino è stato Arancia meccanica, film di certo Staniio Kubrick, alla libreria delle Paoline reparto CD-rom e affini non s'e venduto altro nell'ultimo mese e ormai la suorina commessa conosce a colpo d'occhio anche me oltre a un qualunque abitante di Pieve di Lombardia che vi entri, perché non c'è mai una cosa che uno abbia comprato senza che l'abbiano comprata in cinquanta. Se non fosse grazie alla morbosità, qui a Pieve non ci sarebbe alcuna cultura. Costo della macabra operazione del suicidio della Gilda, a parte la benzina per l'ossido di carbonio che non l'avrà calcolata... be', tre falli vibratori a occhio e a croce un mezzo chilo, i prezzi me li ha detti la cassiera del Pace un giorno che passavo di lì. E povera Chitari Luciana, tutti quei cosi da rimuovere, così innaturali per lei, che scena spaventosa per lei, capitata per prima nel garage del sinistro, che contatti del terzo tipo aveva mai la sua cliente e amica! Grida, la Chitari, chiama a squarciagola il Boss, nessuna risposta, lo cercano, chiamano l'Agostino e la Volpedo Emiliana, niente, al Consorzio niente, dai Monteciaresi niente, al Club Cacciatori Ecologici niente e poi l'atroce scoperta: suicidatosi anche lui nel garage accanto. E cinque. Un paio di giorni dopo, tocca a questi loro amici Volpedo, l'Agostino e la Emiliana, ossido di carbonio anche loro, ho fatto appena in tempo a dare sfogo al mio unico contenzioso con loro chiedendo a lei, «Ma quel bel naso le serve per prendere le mosche al volo o che?» che erano bell'e serviti entrambi. E sei e sette. E otto con il Bertucci Ettorino, che si è gettato dal cavalcavia di Ponte San Marco sulle rotaie che stava passando il rapido per Milano delle ventidue e quarantadue, avrebbe detto lui con maniacale precisione aggiungendo il tipo di motrice. E pOi, dieci giorni fa, succede l'affare del rogo giù ai Garletti dove abita la notaia Giu Domenica e l'affare del tagliacarte d'argento infilzato nell'occhio cibernetico dell Alice quasi in contemporanea... Io lo so come la cosa della minaccia di cambiare testamento è andata avanti con l'Alice e oggi come oggi anche don Pierino lo sa, ma allora, a fine festeggiamenti centenario e loro diEputa sulla messa da dire a don Diana, lui credeva di averla tacitata per sempre - e senza alcuna conseguenza rilevante per il miliardario obolo testamentario considerato come in tasca - dicendole che li avrebbe ricordati nelle sue preghiere e basta, quel prete e sua madre, ma io, due giorni dopo che lui non aveva detto quella messa a suffragio, io sopo venuto a conoscenza per caso dell'ulteriore sviluppo Uella cosa, e lui no, perche o lo veniva a sapere da me che lo sapevo o non c'era nessun altro che poteva aggiornarlo, e certamente anche il notaio Pezzulli si è chiesto fino a pochi mesi fa, fino al maggio scorso, che cosa stava succedendo a quella cuciniera del diavolo che doveva farsi viva ancora un anno e passa prima per cambiare testamento secondo minaccia e non s'è fatta viva mai ma che, grazie a Dio, s'è fatta morta dieci giorni fa; fra la minaccia di non lasciare un centesimo di eredità alla diocesi e il disgraziato decesso dell'Alice undici giorni fa, venerdì nove febbraio, il notaio conte Pezzulli deve essersi pur chiesto che cosa stava bollendo in pentola quella ex cuoca improvvisata che ha fatto ufficialmente fortuna nelle cascine a servire il Pranzo della Regina Margherita chiamato più familiarmente dagli anfitrioni, i vecchi concussi della semplice impiegata all'Ufficio Tributi, La Penultima Cena dell'Evasore ahahah! anche il notaio Pezzulli sapeva che a questo punto, visto che la Alice non è mai andata né a cambiare né a ritirare il suo vecchio testamento, se c'era qualcosa da sapere avrebbe già dovuto saperlo e se non lo sapeva lui doveva essere perché lo sapeva qualcun altro, perché la vecchia Alice non ha mai detto una sola parola a vanvera e se diceva, se minacciava qualcosa era perché la cosa era come compiuta: niente messa a don Diana, niente eredità; il notaio Pezzulli non avrà messo don Pierino al corrente di queste sue riflessioni pessimistiche ma lui il sospetto che a quello in suo possesso dovesse essere subentrato un nuovo testamento presso un altro notaio ce l'ha avuto per ben due lunghi anni quasi... e dunque si immaginava senza difficoltà chi avrebbe potuto essere al corrente di qualcosa al suo posto... e chi era questo qualcun altro, sentiamo. E chi poteva essere mai? la sua rivale notaio Giu Domenica, notaio sarda di sinistra, che in un lustro di attività qui a Pieve, sola come un cane nel suo studio privo anche di una donna in proprio delle pulizie, avrà sbrigato due pratiche all'anno incaricata per compassione da quei tre in croce di comunisti poveri, e tuttavia comunisti, perché quelli che possono permettersi di essere comunisti convinti, cioé quelli già ricchi, vanno dal notaio Pezzulli, mica andavano da lei, primo perché era di sinistra e i comunisti fra di loro in fatto di soldi non si fidano, secondo perché, pur essendo di sinistra, non andava in chiesa, terzo perché una bruta teruna l'è una bruta teruna anche se l'è notaia, quarto perché era una donna e un notaio donna quando mai a questo mondo e a Pieve di Lombardia poi, e quinto, pur chiudendo un occhio sul sesso della donna nelle arti liberali, quando mai un notaio che si rispetti è stato comunista visto che tutti i più importanti palazzi e centri commerciali e sedi bancarie delle città italiane sono del clero che non può di fatto permettersi nemmeno una delle debolezze ecumeniche che predica? E sesto, una notaia che si chiama giù porterà mica sfi... sgafi? Mio Dio, Pino, ma cosa sta scivolando fuori dal tuo cervello in discesa? Stai diventando eretico proprio adesso? E due anni fa, alla chiamata dal Bahrain, la carrozzella dell'Alice si mosse per non fare più ritorno nel salone con gli avanzi del rinfresco e gli echi delle marcette di auguri, e non Ci sono stati sviluppi visibili a occhio nudo, don Pierino ha sibilato a ganasce strette, «Vecchia ipocrita!», ma poi in segutto è andato a benedirle la casa come a ogni Pasqua, sapeva che veniva al mio rosario, lui ha continuato a ricevere la sua non modesta offerta semestrale e, preoccupato, ha continuato a chiederle per telefono come stava giorno sì giorno no. Insomma don Pierino dormiva sonni tranquilli immerso in qualche tonnellata di tonnellata di barili di petrolio fissatisdall'Alice tanto per vivacizzare un po' di liquidi stagni, {e anche la vecchia Alice si svegliava di buon umore e presto, e fino a venerdì l altro ha dovuto pensare, "La Giu mi vendicherà, lei mi compererà e ristrutturerà la vecchia ferriera e anche le torme di cani randagi e di gatti della Gioma si sveglieranno in una Reggia Degli Animali Abbandonati gestita per conto di quella barbona della Gioma da una sarda notaio di sinistra col vizio delle donne e quindi amante degli animali", perché io dall'oblò del campanile ho sentito tutto. Tre giorni dopo il centenario che la messa in onore del prete assassinato dalla 'ndrangheta non era stata celebrata, ho visto il notaio Giu Domenica fare avanti e indré dentro e fuori la porta dell'Alice e finalmente a testa meno bassa dello sterno come al suo solito che sembra una mula in groppa a un fantino e io ho avuto un brivido inaudito al pensiero che capendo la gravità non correvo ad avvisare don Pierino, che me ne stavo zitto e mosca, ma già, io non conto, io sono troppo buono, io dico o di sì o di no agli altri ma non dico mai di no a lui, già. Io sono l'emblema del fascismo peggiore, secondo lui, io sono il fascista vinto! Una bugia finalmente alla mia portata per non dire né di sì né non di no: una bugia bianca. Sapere ma tacere. Omisi. E io lo presi alla lettera don Pierino, una volta tanto, e non gli dissi niente di quegli incontri segreti, del resto alla luce del sole, fra la possidente centenaria e l'esecutrice delle sue ultimissimissimissime volontà, ho voluto essere buono fino in fondo, anche se ho sempre odiato gli animali, cani, gatti, topi, piccioni, zanzare, galline, e da piccolo anche i pulcini col loro piopìo. Io sono troppo buono, io non conto, sì, don Pierino chiama così la mia vigliaccheria portata all'estremo e da lui tradotta nella bellezza dell'asino senz'anima per darci un taglio. Ma, grazie al sacrificio di Marì, ho osato in un fiat il coraggio che mi è sempre mancato per essere davvero meno buono di come sono per snaturata rassegnazione al mio destino. Ma che crisi di coscienza ho attraversato vedendo la mia Chiesa derubata legalmente di tanti miliardi sotto i miei occhi per darli alla tutela della Giu, povero don Pierino anche lui, mi dicevo per sconvincermi, certo non deve essere facile per nessuno rinunciare alla propria testa per pensare con la testa di Dio... ma poi quel brivido in fondo alla colonna vertebrale risalì in tanto orrore al pensiero che Dio ha la testa come la sua. Ma quanto mi vergognai di me, di quel pensiero a tradimento che mi era sfuggito chissà da dove... me ne vergognai tanto e tanto e tanto, fino a vergognarmi di non averlo pensato prima. Questo sì. Bene. Certo è che quando don Puripurini avrà saputo che la vecchia Alice in maggio si era fatta accompagnare a New York per l'operazione all'occhio anche dalla notaia Giu Domenica oltre che dalla vedova Paleocapa, gli si saranno aperti gli occhi e... no, io penso che è stato quel mammasantissima di notaio conte Pezzulli ad aprirglieli a don Pierino e... ed è scattato il duplice piano. Tanto, qui a Pieve di Lombardia non ci si chiede neanche più per chi suona la campana, ultimamente le morti strane sono talmente tante e tutte insieme come i funghi chiodini che LUI o ne approfittava adesso o forse non avrebbe mai più potuto confondere tre omicidi, subito ridotti a due, insieme a una mezza dozzina di suicidi a catena, tutti stranamente correlati con quello originario, quello di Marì... Ma le mie sovo solo malignità, ben inteso, la morte della vecchia Alice sarà anche dovuta a mera disgrazia, ma che le altre due morti siano suicidi a sfondo passionale tra Dame della Salvezza! verosimile quanto si trattasse di suicidi a sfondo passionale tra equine confinate nella stalla della solitudine. Cervello mio, taci, tu non sai niente di speciale. Quello che so io, in verità, lo sanno tutti gti altri: che la beata Alice - esequie di Stato, cardinal Luttignucchi ha lasciato tutto alla Basilica della Santissima Vergine Maria Assunta In Cielo di Pieve di Lombardia come predisposto già vent'anni fa. Quello che so io, solo io, a parte quei tre o quattro direttamente interessati, è che ai cani e ai gatti della Gioma giù alla ferriera in disuso non è restato neanche un osso da rosicchiare. Caduta dalle scale del primo piano con la sua sedia a rotelle due venerdì fa, il mio giorno lecito per tirare le campane, 1 Alice è andata a infilzarsi l'occhio bionico nel suo amato tagliacarte d'argento, e così riversa l'ha trovata l'infermiera del turno di notte quando è rientrata alle sei e trentacinque coi giornali, l'Alice resta sola soltanto in quel quarto d'ora lì, disgrazia accidentale e morta lì con i rilievi medici di prassi, ma io alle sei e venti prima ho visto l'infermiera involarsi su per la scalinata della chiesa del Suffragio e scomparire giù per la discesa verso piazza Garibaldi e alle sei e ventidue ho visto un'ombra nella nebbia nerastra scendere dalla scalinata, dallo spiraglio del portale ho visto chi era e dove si dirigeva, io conosco molto bene quel tabarro col cappuccio con l'orlo di castorino, toh, il fantasma del Giacomone, ho pensato, e poi che non bisognerebbe mai buttare via niente davvero, come dice... come diceva la vedova Fincasa Siderpali a proposito dei vestiti, che tutto ritorna di moda, anche la Morte... ma malgrado il buio nebbioso, all'altezza del lampione, ho visto rilucere sulla fronte del fantasma intabarrato un che di biondo, una frangetta, è stato un lampo, sono corso dentro il campanile, ho sentito la Alice che diceva al videocitofono, «Come fai a essere già qui? Hai dimenticato i soldi?», ma nessuno fuori ha fatto il proprio nome, e poi lo scatto automatico del portoncino e la vecchia Alice dopo nemmeno un minuto ha gridato più volte qualcosa che non riuscivo a capire bene, ma mi sembrava fare tutt'uno con quelle invocazioni al contrario di certe donne nei film con le luci rosse quando terrorizzate incitano a essere terrorizzate ancora di più supplicando, «No! Dài! No! Dài», e finalmente la frase s'è dipanata diventando «Nooo! Batti! Nooo! Batti!», ho sentito bene, e ho sentito anche il fragore della carrozzella che ruzzolava violentemente per le scale perché la sua voce quasi ultraterrena per pervasività e lo schianto finale hanno oltrepassato anche i vetri della sua finestra chiusa, e sarebbe bastato chiedersi perché quel venerdì io ho suonato le campane cinque minuti prima del Lunardoni Batti... Batti...sta e lui cinque minuti dopo le sei e trenta per capire chi è andato a farle le feste. Solo che il Battista non ha una frangia a caschetto e non è di certo biondo. Sia come sia, se il Battista non ha fatto fuori l'Alice, ha dato fuoco alla Giu, mentre la Chitari Luciana, se non ha dato fuoco alla Giu Domenica, ha latto fuori l'Alice col tagliacarte. Tanto, chi se ne frega? morto me, Pieve potrà contare su almeno altri due suicidi: i loro. I sicari sono preziosi, ma, una volta fatto il loro lavoro di manovalanza, mai preziosi come dei testimoni scomodi fatti sparire. Io non credo che la ghenga Chiesa e Notariato li lascerà vivi a lungo. Suicidi loro. Io figuriamoci se ho detto niente, non potevo certo mettermi a fare l'invidioso sui delitti perfetti altrui, mentre, quasi contemporaneamente al suicidio della vecchia Alice, o forse appena prima, secondo l'autopsia, nel rogo della sua jeep, «la dottoressa Domenica Giu, di origine sarda, e una torcia umai ancora non identificata, di rob?wsta costituzione, enorme coda di cavallo e sesso femminile, decidevano di cospargersi di benzina e di immolarsi al loro amore proibito dentro la stalla della cascina località Garletti di Sotto dove la notaia, addetta di Lesbo, viveva sola con una purosangue araba...», e tutti 'sti pettegolezzi del Quattrini Achille perché la Giu Domrnica aveva un po' di pelazzi ostinati sotto il naso e delltro il neo e attorno al mento e, come la signorina Bentivoglio Giuseppina, era nota per aver protetto alcune giovani sbandate dalla lingua ingrata e lunga. Ah? il modo che ha di scrivere il Quattrini Achille! o~viamente un decesso di qui e due di là un articolo per parten e se era il caso di farne uno unico invece di due ben distinti separando la morte della notaia dalla morte della magnate ultracentenaria era proprio stavolta... "Mi raccomando...", gli avrà detto Qualcuno dall'ombra di un cappello cardinalizio imminentissimo, "per non creare panico e strane associazioni sulla nostra ridente cittadina non mettere entrambi 'sti suicidi sul giornale nello stesso giorno, non creare morbosi inanellamenti, concatenamenti fra di loro...", e il Quattrini, malgrado tutto il daffare che aveva a scrivere articoli su articoli, avrà detto, "Ma don Pierino, si figuri se mi metto a fare una sintesi! ". E tutti qui a Pieve di Lombardia hanno pensato per due giorni che la non meglio identificata torcia umana di robusta costituzione là dentro la stalla-garage della Giu altri non poteva essere se non la povera triduista veliabelindianapiedinista Chitari Luciana (che uno se la ricorda con la coda di cavallo anche se lei non la porta più da un lustro circa) e lui, quello scemoridens del Quattrini, quando hanno scoperto chi era (tre quintali e trenta di carne pur se arrostita e quindi senza contare lo strutto colato), mica si è dato la pena di rettificare sullo stesso Bugiardino qual era l'amore proibito della povera notaia Giu Domenica, no. Non pago di essersi immaginato una foggia di capelli rossi ormai rinnegata dalla Chitari Luciana per taglio corto a caschetto e biondi e robustina, sì, ma mai della stazza più da baraccone delle meraviglie che da donna umana trovata abbracciata nel rogo alla sua proprietaria, il Quattrini aveva confuso l'inesistente coda di cavallo con l'esistente coda del cavallo, la Tusnelda, la purosangue araba della Giu. E, suicidi o no, disgrazie o no, con queste due morti sono dieci, Marì esclusa. E poi, però, il Quattrini deve essersi lasciato travolgere dalla vergogna: piuttosto che rettificare il lunedì sull'enormità equina scambiata per un'enormità saffica fatta apparire la domenica - mentre la cronaca sul decesso dell'Alice è apparsa il sabato -, martedì scorso, tredici scorso, anche se l'hanno ritrovato quasi due giorni dopo, si è suicidato anche lui col tubo di scappamento del vecchio Sidecar di Leone e col gas di scarico di tre berline d'epoca. Nella bocca spalancata aveva i ritagli del Bugiardino riguardanti la rapina alla vedova Siderpali, la rapina alla Marì, la morte dell'Alice e il falò delle due amanti e neanche una cavalla. Più, traboccante e sconfinata su per le narici, la recente intervista a piena pagina fatta al Santacroce Gigliolo. Deve essere stato questo ultimo dettaglio a destare qualche sospetto persino nei carabinieri, a far scattare le indagini in una qualche direzione: un giornalista che si rimangiasse le fandonie scritte non stava né in cielo né in terra, c'arrivava anche il maresciallo Nonsonoelegante? La cronaca che ne è stata fatta d'ufficio sulla Leosessa d'Italia, mancando proprio lui, non dice niente di come il Quattrini Achille e il suo compare Busetti Antonio, il locale bibliotecario detto Tita e da tutti amato qui a Pieve sono stati ritrovati nel salone del noto giornalista presidente del Rotary Club SudEst di Pieve di Lombardia Nessuno, a parte me e il Lunardoni Battista che ne ha sco perto e rivestito i cadaveri prima che arrivassero gli altri, sa che il Quattrini Achille sta sella del Sidecar era vestito da donna tutta con trine nere e una corona in testa che la faceva assomigliare alla Regina Elisabetta d'Inghilterra Madre più che alla attrice dannunziana Duse Eleonora come avrà preteso nostalgicamente lui, e che il povero Tita, una palla di lardo sfatto pieno di pustole e pustoline con peletti esausti, giaceva a gambe aperte col gattX d'angora morto in braccio e in mutande sporche di uEina su un sedile divelto che era lì per terra; perché dentro la carrozzella del Sidecar non ci stava. Perché mica ho suonato e il Quattrini vestito cost è venuto ad aprirmi e mi ha detto, «Pino, che sorpresa, entra, accomodati, c'è anche il Tita!», no, perché li ho colti entrambi di sorpresa; alla terza sera che suonavo e mi annunciavo e quello con una scusa o con l'altra non mi apriva, ho capito che non mi avrebbe aperto mai, che aveva... sì, lui aveva paura di me a quattr'occhi e senza testimoni, e alla quarta, senza suonare, ho dovuto scavalcare la muraglia, attraversare il giardino e che odorino di muffa e crosta di formaggio rancido in quel salone che portava giù nello scantinato dell'orrore! e cosa dire di quella Croce in cui mi sono imbattuto prima delle scale? La Croce era formata da sette grandi ritratti i tre orizzontali, facenti luogo delle braccia distese e inchioda te di Nostro Signore Gesù Cristo, erano costituiti a destra da quello di Hitler, a sinistra da quello di Mussolini e in mezzo quello del caro Papa Pacelli che non aveva fatto in tempo a farci l'autografo perché arrivati a Roma era già morto ed esposto in San Pietro, mentre i ritratti in verticale rispettivamente facenti luogo della corona di spine, del costato trafitto e dei piedi inchiodati di Nostro Signore Gesù Cristo erano di Almirante Giorgio, del buon Cavalier Mipermetta, del già citato Pio XII, dell'Andreotti Giulio e, sorpresa, dulcis in fundo a sorreggere il tutto, come se fosse la base di tutto quel Sistema, una facciona di donna dal grande turbante. In un primo momento non l'ho riconosciuta, io mica la seguivo nelle sue turné come tanti, mi sono avvicinato, mi sono chinato, ho acceso la mia torcia da campo, la facciona portava quel grande turbante, aveva un sorriso smagliante, le guance pienotte e un ventaglio di rose le sosteneva il mento volitivo da pugile, mah, ho pensato, eppure mi sembra di averla vista, ma dove l'ho già vista, e poi, siccome c'era una dedica, l'ho letta e ho capito, «Al mio beneamato e focoso Achille, con fervida simpatia dal profondo del Cuor sua Wanda Osiris». Un po' discosto, sbilenco ai piedi della Croce contro il muro, un ritratto che ancora non doveva aver trovato posto, quello di Papa Wojtyla, e fin qui tutto bene, ma intanto, senza far rumore, prendevo giù per le scale da dove proveniva un filino di musica, come suonata da un vecchio grammofono a manovella. Nella fioca luce del sotterraneo con tutte le berline collezionate dal vecchio Quattrini, ho seguito le parole della canzone, «Amore, amor, portami tante rose, ma tante ancor, porta le più prezzziòse...» e non ho capito subito, tanto che io nel vedere cosa il Tita, fez e gambali neri, stava facendo con un coso nero in mano nel didietro di quella elegantissima signora con le trine nere ri baltate sulla testa e nel sentire la Ella Medesima che accompagnava il movimento del Tita declamando, ma più che altro enunciando senza la dovuta enfasi secondo me, «... Giovinezza... Giovinezza... Giovinezza...», come se le si fosse inceppata la puntina sulla lingua, ho pensato, "IL Quattrini potrebbe arrivare da un momento all'altro, devo trovare un altro nascondiglio", e quando mi sono reso conto che il Quattrini era la stessa signora in nero, la prima cosa che ho pensato è stata, "Ah, se è così, la prossima volta che voto cambio partito". IL relativo articolo del Bugiardino non dice che era in corso un'orgia fra i due uroisti trasformatasi in un tragico rito satanico a base di bevanda avvelenata e ossido di carbonio. Dice solo che sono in corso le indagini per chiarire la dinamica del tragico gesto, imputata per il momento alla solitudine di entrambi più la depressione del bibliotecario Busetti Antonio a causa delle due parenti ammalate croniche ma ostinatamente irricoyerabili e a causa del fatto, sembra, che di tante belle opeXe indispensabili tipo La colonna infame di Manzoni Alessandro con prefazione del sindaco di Brescia e tipo i sempre attualissimi Ricordi istriani di Stuparich Giani o tipo il fondamentale Madre Teresa di Calcutta: una vita gli chiedevano sempre e solo libri superflui che non aveva e che non voleva neanche sentire nominare. Tanto per dire come muore anche ufficialmente uno come il Quattrini che farciva i suoi ruffianeschi pezzi con la parola «amico» anteposta al nome o al titolo di tutti i grossi papaveri di sua conoscenza: muore per solitudine. Per fortuna non è così: muore per stronzitudine, a Dio piacendo. Se non ho esagerato né col gas di scarico di tutte le tre berline più il Sidecar da collezione che ho messo in moto né ho esagerato col mio cocktail di derattizzanti, forse ho esagerato coll'ipnotismo, quegli articoli di giornale che gli ho comandato di ficcarsi giù in gola a uno a uno erano di troppo, e pensare che a tutt'oggi lo so solo io che, infilato su nell'ano, l'Achille nella bara s'è portato anche il commutatore del suo computerino portatile: gliel'ho infilato su io, visto che il Tita si limitava a farcelo andare solo su e giù, avanti e indietro senza mai decidersi una buona volta se doveva stare o tutto fuori o tutto dentro. Indecisi! Povero Tita, lui non c'entrava, era lì solo per caso, per vizio, niente di personale, ma era lì, mica gli potevo dire di togliere il disturbo intanto che sistemavo la sua bella e segreta amante scribacchina. E ho cominciato a sentirmi un po' braccato, anche se la molla del mio suicidio non ha niente a che vedere con la remota possibilità che mi scoprissero. Ho programmato questa mia fine doverosa nell'istante stesso in cui, davanti alla salma di Marì, decidevo di suicidare Laser e il Quattrini, non sapevo di tutti gli altri che, dopo la lettura dei suoi quaderni, sarebbero venuti a ruota. E comunque meglio non avere mai e poi mai a che fare coi carabinieri, a ogni costo, anche a costo di suicidarsi. Acciufferanno anche stavolta l'unico colpevole che la Giustizia in Italia sia mai stata capace di acciuffare: un cadavere. Un cadavere è sempre il colpevole. Ma io non c'entro, e lo so io il perché, non devo più spiegazioni a nessuno. Questo sì. Bene. E allora, quella sera che in chiesa del Suffragio alle nove e tutti se ne sono andati e mi risistemo i banchi e per terra trovo un coso nero di lana coi buchi davanti ma non è un guanto coi buchi e poi, con quello sotto la maglia, sto chiudendo il portone, ritorna il Bertucci Ettorino trafelato e mi fa, «Non hai trovato niente in giro?», io lo guardo interrogativo, «Un coso nero...», «No, ho anche rimesso i banchi a posto, no, se vuoi che diamo un'occhiata...», «Sì, sì», caspita come sembrava preoccupato, io ho acceso la luce e poi anche la mia pila da campo, abbiamo guardato, ma niente, «Se salta fuori mi chiami? A qualsiasi ora, tanto io non dormo», io mi sono stretto nelle spalle e, anche se avevo già capito tutto, ho voluto avere conferma dalla vedova Siderpali, e già che c'ero ho messo nella mia borsa sulla canna della bici alcuni articoli freschi di compera al Sexdiscount dietro il Cinema Pace. Le luminarie dei nanetti erano spente in segno di lutto, splendeva solo quella di Biancaneve: l'ho guardata, così fosforescente nel bui(l lattiginoso, sembrava sorridermi e farmi l'occhiolin4,F era Marì che volteggiava nei miei occhi, la tragedia non aveva estinto la fiaba del suo spirito allegro. Sono arrivato pedalando la mia bici contromano per non essere investito, un buio, una nebbia! Ho rallentato e mi sono bloccato con un piede a terra davanti alla palazzina, dall'altra parte della strada, perché proprio in quel momento ho visto uno spiraglio di luce nella porta che si chiudeva del Boss e poi dan'entrata, che non era stata illuminata per la bisogna, stava uscendo una bambina tutta imbacuccata che camminava un po' goffamente a gambe eccessivamente larghe faccia a terra e ho pensato dove va una bambina con questo buio e a quest'ora e non poteva il Fincasa Lamberto accenderle almeno la luce del ballatoio per uscire? Quando la bambina è salita su un'auto posteggiata lì davanti e ha messo in moto, siccome subito m'è venuta in mente quella che non mi viene mai in mente, la Fede, ho pensato per esclusione che non poteva essere che sua sorella Mercede, la biologa di fiducia del Boss, visto che era da lei, solo da lei che il Boss aveva spedito il Gallizzi Galeazzo a farsi fare il test del sangue in cambio di un risvolto di fortuna con tanti zeri... E ho capito ciò che non aveva capito Marì quando scrive che il Boss all'apice della violenza carnale...« ringhiava pressappoco così: 'D'ora in poi devi lasciarti scopare come una nana, capito? Una nana, non una bella fighetta di porcellana. Una nana! E mi devi dire ancora, toh, di più, spaccami tutta, toh, s~, mi devi dire, anche lì, riempimi tutti i buchi, toh, capito? Toh. Capito? Toh e toh e toh e toh', ho perso parecchio sangue, anche dalla bocca perché...». Ho suonato, la vedova Fincasa, in vestaglia di broccato bianco con ricami d'argento, stava guardando la televisione e si è molto meravigliata di vedermi e sono entrato, ho tirato fuori da sotto il cappotto il coso nero, che al Cinema Pace avevo visto penzolare fuori dal tascone del lurido montgomery del figlio della farmacista e che avevo scambiato per dei guanti pieni di buchi, e gliel'ho messo davanti agli occhi, «IL passamontagna di Laser!», ha esclamato, e io le ho detto, «Non è mai stato Laser a rapinarvi, cara te, è stato il Bertucci tutte e due le volte, sia con te sia con la povera Marì. L'ha perso lui nella mia chiesa del Suffragio», e lei bofonchia, «Ma come è possibile?», e io, «Lui imitava le voci e i comportamenti degli altri, il Bertucci. Se tu venivi al mio rosario, l'avresti capito subito che uno che va ai trenta all'ora è il Bertucci Ettorino anche se fa la voce di Laser, il Bertucci che fa finta di andare in trance», lei s'è lasciata andare sulla sedia senza parole e senza fiato, e poi abbiamo cominciato a parlare un po' : non sapeva neanche del suicidio dei Gallizzi marito e moglie di Castenedolo, e io mica gliel'ho rammentato, e la Gilda nemmeno sospettava che la tragedia imprevista, il suicidio della Marì, era tutto un canovaccio della porta accanto, una commedia messa per gioco in cartellone dal marito Boss, annoiato, dal Boss senza dirlo alla moglie eroina che moriva sul serio e gratis mentre il tristo eroe del nostro tempo, il Gallizzi Galeazzo, recitava la sua passione dietro cachet. Io quasi quasi volevo andarmene, ma ormai avevo con me gli attrezzi nella borsa e la Fincasa ha cominciato lei un suo discorso, io non le ho chiesto niente, «... pazza la Gallizzi Marisa? Non solo era pazza», alla televisione si misero a dare notizie sulla guerra nell'ex Jugoslavia, lei sospirò scocciata, cambiò canale automaticamente, dopo la carne umana maciullata in un mercato di Sarajevo arrivò il maggiordomo che dentro la Rolls Royce porge alla gran signora in giallo un vassoio di Mon Chéri e per trenta secondi la Gilda ritrovò un interesse nella vita e lasciò cadere una pausa corrispondente, e poi che la gran signora in giallo ebbe scartato e morsicchiato il boero, la Gilda uscì dall'incanto e disse, «La Gallizzi era anche d'accordo col marito, secopdo me, per incastrare la Marì, per ricattarla... non so bene, una cosa così...», la Gilda aveva subodorato lo zolfo di qualcosa di strano, di interessato in tutta la faccenda, ma non sospettava la ben più atroce verità che io avevo in tasca, «Lei andava a scuola vestita come una regina, la mia Marì, e ingioiellata come la Madonna di Caravaggio che io le dicevo sempre., guarda che c'è Laser in giro e lei squassava le spalle..t Come fai te, professore spiantato di Matematica che la vedi tutte le sere con un abito diverso, una pelliccia diversa, a pensare che una così non ha una lira di suo da portare via? e per fortuna, perché secondo me glieli avrebbero mangiati tutti, come i due Paragnosta delle Fontanelle col figlio della farmacista, ah, ma domani, domani lo denuncio io il Bertucci, con tutti i soldi che ha, cattiveria pura, solo voglia di farci del male... Se lui non la rapinava, se non la spaventava ancora di più, perché tutto è partito di nuovo da lì, il Boss l'aveva già bell'e che perdonata, e la mia Marì non... e pensare che però io glielo avevo detto, perché io ero al corrente della sua relazione col profesur di Castenedolo, li avevano visti in macchina e erano venuti a dirmelo e io l'ho presa in disparte a quattrocchi e le ho detto, Marì, fatti furba, se proprio vuoi, fa' le tue cose ma falle bene, non mettere la fami glia di mezzo, prima o poi sarà troppo tardi, perché io al Boss non ho detto una sola parola che ero al corrente, io non ho mai messo zizzania, e poi pensavo che era un'infatuazione passeggera, per ravvivare la coppia, lo dice anche Rita della Chiesa», e io, «Una Beata nuova?», e lei, «No, no, come si fa a non sapere chi è Rita della Chiesa?... e la Marì non viene a dirmi che avrebbe chiesto il divorzio e che, intanto, andava via a stare a Salò con l'altro? Ho cercato di convincerla, gli ho detto a lei, ma guarda quante donne sposate di Pieve che hanno un amante, guarda quanti uomini che hanno un amante, e ho cominciato a fargli i nomi, e lei diceva, io quello che sento sono, io quello che sento sono, io non sono un'ipocrita, io non ho niente da nascondere, non voglio nascondermi come gli altri, ma io gli dicevo a lei il Boss ti toglie tutto, sei tu a essere in torto, e non pensi a tuo figlio, al nostro Ridge? Sì, che ci penso, farà anche lui come tanti, verrà a vivere con me, mi arrangerò, cosa?», squillò il telefono, sollevò la cornetta, «Sì, sto bene, è venuto il Pigliacielo a trovarmi... sì, a quest'ora, sì, che male c'é, sì, sto bene, sì, ciao, dorme Ridge? ah, è dai Monteciaresi... sì, ciao, te lo saluto...» mise giù la cornetta, «Era il Boss, ti saluta... e gli ho detto io a Marì, Marì, pensi che il Boss ti lascia suo figlio? Tu devi essere proprio matta, matta nella testa», la Gilda fece una breve pausa, poi si animò, si alzò di scatto, «Ma perché devo aspettare domani a denunciare quel rapinatore, ci vado subito, tu te la senti di venire in caserma con me a testimoniare? Povera, povera la mia Marì, che brutta fine... E magari entro mezzanotte salta fuori anche il mio Rolex d'oro. Non per dire, neh, ma ventotto chili sono sempre ventotto chili...», e a quel punto io ho messo su di nuovo quello sguardo, da matto secondo la Volpedo Emiliana, che a Forlì non aveva soccorso Marì e per questo era stata punita insieme al marito formaggiaro, e l'ho fissata dicendole, «Ma Gilda, non è affatto una brutta fine quella fatta dalla mia... dalla Marì, che scampo le avete lasciato tutti voi uno per uno?», ho detto, l'ho fissata un trenta secondi e le ho detto, rimettendomi in tasca il passamontagna nero, sì, figuriamoci se adesso mi lasciavo sfuggire il Bertucci, se gliela facevo passare liscia con la Giustizia Italiana, e le ho chiesto, «Dove hai la macchina?», «Giù, in garage...», e io, «Andiamo a darci un'occhiata. Fammi strada», così, proprio così liscio liscio, più semplice di così si muore, siamo arrivati in garage e lì ho aperto la mia cartella nera, le ho detto, «Mettiti nuda dentro la macchina», intanto che si s~»pogliava ho girato la testa dall'altra parte, ho tirato fuon i tre falli vibratori, un'offerta speciale tre per due suggeritami dalla cassiera del Cinema Pace, e le ho detto, «Dai, non fare la pollastrella, Gilda, slargatela e accendi l'avviamento e mettiteli uno per buco fino in fondo, io non ti posso aiutare sei troppo vecchia spussi di piscia. Di' parblé...», e lei, «Parblé», «D. i' parross», e intanto accese, «Parross», «Di' pafvert», «Parvert», e me ne sono andato, e nel riemergere sul vialetto del giardino, facendo il giro sul marciapiede che gira attorno alla costruzione, ho pensato, "Lui sa che sono qui, e già che ci sono...", e ho suonato al campanello del Boss, «Volevo salutare anche te, Lamberto...», lui era in pigiama, la casa mi pareva tutta sottosopra, un odore, un tanfo di zezzo e di mosto ne impestava l'aria, il minibar era rovesciato per terra, c'erano rivoli di liquore fuori da un paio di bottiglie, ho trattenuto il fiato al pensiero che per l'aria vagavano ancora le spore della gafi maistanca della piccola vecchia Bentivoglio, e poi l'ho fissato, ho tirato fuori dalla mia cartella il test di sieronegatività del Gallizzi Galeazzo, il foglio di carta con la frase minacciosa battuta a macchina, i due assegni postdatati e gli ho detto, «Allora prima della Volvo e di questi altri venti milioni volevi una garanzia di salute, neh?», e lui, «Sì, eravamo d'accordo, sì, volevo una garanzia col test prima, sì», e io gli ho detto, «Andiamo nel tuo garage», che è proprio attaccato a quello della madre, lui mi ha seguito, gli ho detto, «IL motore che senti ancora in funzione è quello della suocera di Marì, tua madre si è suicidata... Ti piaceva violentarla, neh, la Marì?», e lui, «Sì, mi piaceva violentarla», e io, «Come si violenta una nana?», e lui, «Sì, come vuole una nana», e io, «Tutte le nane indistintamente?», e lui, «No, una nana di Chiesa», e io, «La Fede?», e lui, guardando nel vuoto, «No, la Mercede Bentivoglio stufa di quello spompato del sindaco Milancio. E la tiro e la mollo e la butto in alto e per il lungo e per il largo, e la incateno e la picchio di culo e la trapano a piacere e mi dice anche grazie-tu-sì». Gli ho ordinato con le buone, «Adesso entra in macchina e accendi il motore, bravo, e adesso bevi questo pian pianino, è il mio elisir di corta morte», «Sì», ha eseguito quei pochi ordini, io ho tirato giù la saracinesca e sono ritornato a casa. Dei due di Castenedolo, non vale neanche la pena di parlare, mi sono avvicinato al Gallizzi che tutto tronfietto usciva dall'auto, nuova di zecca, una Volvo duemila, caspiterina, gli ho detto, «Ho qualcosa da parte di Marì... un ricordo... no, non qui. Allora ha dato dentro la Triumph vecchia eh? Gli affari girano bene, ultimamente», e a ritroso, senza mai mollarlo con gli occhi, ho fatto le scale e sono salito su nell'appartamento sopra i portici con la mia borsa in mano, in casa c'era anche lei, la Gallizzi Marisa, già impasticcata di suo, con lo sguardo li ho immobilizzati entrambi su due sedie fino a che non perdevano bava come due bachi da seta e intanto io sono andato in cucina, ho preso due di quei calici a stelo per lo spumante, tipo brindisi di cerimonia, ho tirato fuori dalla mia borsa il termos con la bevanda a base di veleno per topi, piccioni, aironi, e tanta, tanta stricnina extra che avevo comperato ancora quindici anni fa, quando dopo la faccenda della Leprina avevo pensato di farla finita, «E adesso portate i bicchieri alla bocca», hanno preso i calici, c'era uno sguardo di terrore nello sguardo di lui, dentro non ero riuscito a immobilizzarlo per bene ma comunque non aveva la forza fuori di resistermi, «E adesso bevete piano fino in fondo, bene, così», lei invece è stata docile fino all'ultima goccia, sembrava non aspettasse altro, era come ingorda, ho sentito le due sedie cadere all'indietro e il tintinnio dei bicchieri per terra, ho sorvolato i due che si dibattevano sul pavimento emettendo dei mugugni come vi soffocamento, lui ha girato gli occhi verso la credenzas e ho capito che si sforzava di comunicarmi qualcosa all'ultimo minuto, un posto, un luogo, una chiave, e intanto che aprivo il primo cassetto della credenza e lui faceva di no col mento e aprivo il secondo cassetto e lui rifaceva no col mento e aprivo il terzo dall'alto e lui non faceva più alcun segno né dava più alcun segno di vita e frugavo senza cercare rtente in particolare ho contato fino a cento. A cento e uno avevo tra le mani un test dell'Hiv intestato al suo nome, fatto al Civile di Pieve di Lombardia, contrassegnato dalla dottoressina primario Bentivoglio Mercede, che lo dichiarava sieronegativo dal retrovirus A al retrovirus E, uno sano insomma, il Gallizzi Galeazzo, voleva forse garantirmi che Marì con lui era andata sul sicuro, che era morta in perfetta salute senza correre alcun rischio? Loro due intanto hanno esalato l'ultimo rantolo avvinti di schiena, una vera coppia, io ero già sulla porta, non capivo, ho pensato che al test l'avesse obbligato la moglie dopo la sua storia con la Marì o che glìel'avesse chiesto la Marì stessa prima di concederglisi, ma mi sembrava strana tutta quella burocrazia del sangue, e poi guardo la data, prelievo giovedì tredici risultato lunedì sedici ottobre, il professor Gallizzi Galeazzo l'ha fatto per cavoli suoi, non certo per Marì o a causa sua, Marì aveva cominciato le serali lunedì nove e mai più il Gallizzi era già così sicuro di sé e di conquistarla che intanto si portava avanti per avere il test pronto da mostrarle non appena si fosse presentata l'occasione mutande in mano, no, non vidi alcun collegamento fra quel test e la Marì, restava il perché il Gallizzi prima di morire avesse voluto indirizzarmi verso quel documento, non c'erano spiegazioni, a meno che il cassetto non contenesse altro, a parte il contratto dell'acquisto della Volvo pagata in contanti il... sulla porta, tornai dentro in casa, riguardai il contratto della concessionaria e... la data era... ma vi rendete conto, ho pensato, in ventiquattro ore illude e pianta e rovina una madre di famiglia e lui quarantotto ore dopo, due giorni!, che fa invece di suicidarsi dalla vergogna? si fa l'auto dei suoi sogni! e i soldi, dove è andato a prenderli cinquantacinque milioni pagati in contanti? ho continuato a rovistare, ho trovato quattro vecchie cambiali scadute un giornalino dei protesti con il suo nome e, in fondo ai cassetto, dentro un foglio di carta piegata e tenuti assieme da una clip, due assegni postdatati uno al ventisette febbraio e l'altro al quindici marzo 1996 per un importo di dieci milioni l'uno firmati in sigla e quindi di indecifrabile provenienza per chiunque a parte il firmatario, per chiunque ma non per me. Indimenticabile quel ghirigoro con triplo svolazzo e comignolo: il Boss quella firma l'aveva fatta proprio sotto i miei occhi alla cena a casa sua staccando un assegno per il suo amico Volpedo. All'interno del foglio di carta c'era scritto a macchina in stampatello, «Provati a incassare anche quegli altri due e ti faccio fuori con le mie mani», niente firma qui mi sono messo il tutto in tasca e una volta fuori in strada ho visto un gruppo di bambini e bambine che giocavano a nascondino nel crepuscolo malgrado il freddo pungente, ho pensato che fra quelli lì c'erano anche i loro due figli, e che energia i giovani per non sentire neanche che tempo che fa. Quando alcuni giorni dopo ho sistemato la faccenda anche col Boss, tanto per dire come sono poco o niente curioso, non gli ho nemmeno chiesto se, quanto alla Marì, si era messo d'accordo col Gallizzi sia per prenderla che per lasciarla, se il Gallizzi, infine, non si fosse innamorato davvero di Marì e avesse alzato la posta per sbeffeggiarlo, se sua moglie Marisa era d'accordo, se era stata lei a ricattare il Fincasa; io non ero più curioso di niente. Forse al Boss, già così ricco sfondato di suo, della carriera alla Regione Lomprdia non importava più di tanto, o era un tipo di carriera così inane che poteva farla persino lui e a prescindere dalla pubblicità dei suoi giochini erotici sulla pelle della bella ma sempre più sfuggente moglie, del resto guardiamo quanti bravi uomini politici travolti dalle corna delle loro mogli sono poi stati facilitati invece che ostacolati nel raggiungimento di un traguardo in cui principalmente si chiede di cotnificare lo Stato, gli importava di più la sua vita privata, al Boss, e, temendo a un certo punto di perdere Marì per davvero dopo aver avviato lui quel gioco perverso o essersi comunque saputo inserire fra i due amanti al momento giusto, ha voluto fare qualcosa per salvare il suo matrimonio e, già che c'era, per ravvivarlo un po' , far ballare al suo giocattolo preferito una marcetta insolita a folle velocità. E la rapina di Laser, la perdita del Rolex di sua madre, la conseguente smentita pubblica del Quattrini sul rapinatore denunciato dalla Marì, l'avvocato Pezzulli Fulgenzio e la mazzetta da lui pretesa perché il suo cliente Santacroce Gigliolo ritirasse la denuncia, tutto ciò ha rappresentato per il Fincasa il miracoloso cacio sui maccheroni che gli dava l'autorità, il meschino alibi, il diritto maritale di coronare il suo sogno di bimbo unico viziato: violentare Marì una prima volta per violentarla ogni volta che ne avrebbe avuto voglia, violentarla come piace a una nana di una volta, una nana veramente cattolica come si deve, e poi sarebbero vissuti felici e contenti per sempre fino alla fine dei loro giorni in un insospettabile tran tran di stupri domestici nel chiuso della loro abitazione con tutte le comodità. Ma il giocattolo s'era rotto, lui questo non l'aveva previsto, era armato delle migliori intenzioni, lui, voleva solo rinsaldare il suo amore per Marì. In fondo, lui non era cattivo, o forse sono io eccessivamente romantico; a ben pensarci nessuno è mai cattivo in fondo, lo sono tutti là dove la cattiveria è insanabile e senza fondo: in superficie. Di Laser, che dire... stava lì elegante nel suo gessato, elegante e riverso per terra che si stringeva la pancia con le braccia e scalciava la gambina poliomielitica, erano circa le sei e qualcosa di mattina, buio pesto, per fortuna che era venerdì, altrimenti occasione più splendida non c'era, aveva la siringa ancora nel braccio, c'era dentro ancora un centimetro buono di liquido, diceva, «Chiama il medico, chiama l'ambulanza, è una over...», mi sono chinato, gli ho detto piano piano, «Ti piace vedere gli altri in tuo potere e del tuo cane, neh?», «No, no, sto male...», «E anche le donne sole, ti piace rapinarle, neh? Come la Gilda, la Marì...» e lui si dibatteva per terra in una pozzanghera, «Non sono stato io... non sono stato io... aiutami... perdono... perdono...», poveretto, stavolta aveva ragione per tutte e due le volte ma io ancora non lo sapevo e comunque uno cost ha ragione per due donne e torto per altre duecento, e nel sentire che riattaccava con questa lagna del pentimento ho schiacciato del tutto il compressore della siringa fino in fondo, sono andato a suonare le mie campane e, con comodo, sono riuscito, l'ho ritrovato stecchito come un baccalà e ho avvisato il commercialista T. che stava uscendo da casa, se poteva rientrare a telefonare che c'era un cadavere, secondo me proprio un cadavere, non uno che stava male, lì a fianco al Suffragio, rotolato in fondo alla stradina dalla fontanella dell'asilonido Mafalda di Savoia. Col Bertucci è stato un po' più difficile, ho aspettato alcuni giorni, non sapevo come fare, poi gli telefono da Calcinatello da una cabina telefonica, viene la madre farmacista defenestrata, «Sei tu, Giovanni delle Bande Nere, mio forzuto onorevole? Forza igiene! Me la sono lavata con la tetra Ciclina, sai... perché non parli e non favelli? E' igienica come piace a te», dice la pazza, riattacco senza dire niente, e così per un paio di volte, «Sei tu, Giovanni delle Bande Nere...? Me la sono... tetra... per... par... fave...» eccetera, come un disco, sempre coi cicli e ricicli di questa tetra, eh lo credo bene, lavanda intima vaginale, io che vado avanti e indietro da Calcinatello-Ponte San Marco per niente per stare nei paraggi del tunnel ferroviario a lui tanto caro, e una sera al telefono finalmente, anche stavolta erano le nove di domenica c,uell'altra, viene lui, «Oh», gli dico, «ieri sera al rosari~ mi sono dimenticato di dirle che avrei trovato...», e lui, «L'hai trovato? l'hai trovato?», e io, «Io non so se è quello che cercava lei é...», e lascio cadere una pausa che riempie lui con ingordigia, «Un passamontagna nero?», e io, «Non saprei, non ho mai passato le montagne», «Vengo a prenderlo, sei lì all'Ancr?», «No, ecco, io sono a Ponte San Marco, c'ho un coscritto che sta spirando, povera anima, e non toccherebbe neanche a me ma a Lonato...», e lui, «Vengo subito io», e io, «Ma no, non si disturbi, glielo do con calma domani o dopodomani... ce l'ho in macchina», «Ma no, neanche per sogno, vengo a prenderlo io, dimmi dove ci incontriamo. Sei in una cabina?», «No, sono in casa di questo coscritto» - c'era un tale silenzio religioso nella notte - «Dove, l'indirizzo?», «Ma io non so se qui, se disturbiamo, se... io... io... io», lui non ne poteva più ma si tratteneva dal mandarmi al diavolo, improvvisa mente senza più ombra di flemma, e tutto compagnone mi fa, «Ma Pino, allora dimmi tu. Sai dov'è il cavalcavia sopra la ferrovia?», ecco, ho pensato, ci siamo, lì ti volevo portare, dove tu vieni a guardare i treni che passano dando osceno spettacolo di te alle ore più impensabili, masturbandoti sotto il montgomery di cui hai dato l'uguale a Laser per far cadere su di lui le colpe delle tue scorribande a mano armata, «Sì, lo so», dico; dice, «Ti va bene fra quindici minuti?», caspita, come contava di correre a tutta birra, normalmente ce ne avrebbe impiegato venticinque, «D'accordo, ma facciamo alle ventidue e trenta, sa, qui, una veglia funebre...», «Grazie e a dopo, ma diamoci del tu, no, e scusa, sai, per quella volta della strada che pioveva...», «Quale strada?», ho detto io, cadendo dalle nuvole per finta, «Ma quando eri lì a piedi a Vighizzolo...», «Ah, non so, non ricordo, se ero a piedi avrò voluto essere a piedi...». Ricordavo, eccome, ma non volevo che in me, nei miei sentimenti di giustizia, subentrassero sfumature personali: non stavo vendicando me, non stavo suicidando nessuno per tornaconto, ma per senso di umana carità. Non lo facevo per me, ma per il loro bene, innanzitutto, e per il bene di coloro che così sarebbero stati risparmiati dal loro male. Il Bertucci era già lì, forse da un bel po' , io avevo aspettato in un anfratto della campagna, non volevo essere in anticipo io se lo fosse stato lui, accostai accanto alla sua Maggiolino nera, saranno state le dieci e trentotto circa, ho fatto finta di aver difficoltà ad accostare sul ciglio fra i platani con la mia Cinquecento, persi altri due minuti, lui prese a correre verso di me, gli sono andato incontro col passamontagna in mano, il buio non mi permetteva alcun illusionismo, lui prende in silenzio quel suo strumento di lana e di tortura e fa per andarsene senza nemmeno dirmi grazie, di nuovo arrogandosi tutte le attenuanti di chi potrebbe avere una crisi epilettica da un momento all'altro, gli sto dietro finché rimonta sul cavalcavia, lo agguanto di dietro con quanta forza ho e con le due mani, una al collo l'altra alla cinta dei pantaloni, lo metto quasi di peso sul muretto che dà sui binari e sulla galleria, «E adesso parla, perché vai in giro ad attaccare le donne sole e le derubi, perché vai in giro a fare Laser?», lo lasciai sporgere di bel po' nel vuoto, per essere più convincente, sapevo di avere solo pochi secondi fino al fischio fatale, «Perdono perdono perdono», cominciò anche lui a dire con una vocina querula da bambino sgridato e messo in castigo, «Tirami su da qui, voglio la mia mamma...», io lo presi con entrambe le braccia da sotto le asSelle e lo lasciai penzolare del tutto sull'imbocco del tunnel, «Dimmi la verità, macaco, non so per quanto tempo posso resistere così...», il volo non era molto alto, ma un quattro metri tutti lo stesso, «Perché volevo la mancia extra dalla mia mammina per comperarmi i trenini... i trenini... i trenini elettrici... ma la mia mamma la mancia non me la dà più, ta mia mammina non mi vuole più bene, la mia mammina mi ha scassato tutti i trenini, le palette, i fischietti...», «E la Paragnosta delle Fontanelle ti vuole bene?», «A volte mi vuole bene, a volte mi vuole male... dipende dai gioielli che le porto... aiuto... aiuto... il trenino... il trenino vivo...», mi resi conto che non avevo mai avuto alcuna curiosità di far sputare né a lui né agli altri la verità, stavo solo prendendo tempo, così come un fornaio non ti chiede ragione della michetta e la fruttivendola della cipolla e carota che comperi, suicidarli uno per uno era stato come arrivare in fondo alla lista della spesa senza interrogare il perché delle singole voci, erano tutte necessarie, ovvie, e quando i fari schiumanti di vapore si sono avvicinati fino a ingrossarsi col sibilo del superapido, ho mollato del tutto quel lurido montgomery e quello che c'era dentro, ho preso la mia fedele Cinquecento, ho buttato il passamontagna sul sedile della sua Maggiolino nera e me ne sono tornato a casa. Avrei dovuto pentirmi perché Laser non c'entrava davvero niente nella morte di Marì, ma non mi sono pentito: diciamo che si è trattato di un previdente suicidio dovuto, previdente per un'altra volta... Salve! Salve! Salve! Salve Regina! a te rico... ricorico... ricorì... Sa... Sa... Sassà... sassà... .. Bum ! No, non è il tuono che precede il temporale, è un botto lanciato contro la mia saracinesca, lo fanno all'ultimo di ogni carnevale, un anno mi hanno rotto anche tutti e quattro i vetri della finestrella sopra che dà sulla stradina, è il gruppo di ragazzine e di ragazzini della piazzetta del Teatro che impazzano nei vicoli. Sento addirittura il loro vociame malgrado il rumore del motore che mi assorda e il gas di scarico che mi ottunde i sensi... Ma come? io ho sentito tutto dei loro fruscii infantili e adolescenziali, nulla mi è sfuggito del loro strisciare e impennarsi nella vita, le sorelle Setolini che fanno branco con la T. Annalisa, Gena la figlia della merciaia, Cristina la figlia del fisioterapista a domicilio insieme a tutti gli sgrandiglioni che gli fanno la corte su motorini a razzo avanti e indietro dalla mia stradina, e nessuno di loro, nessuno, sente che qui dentro c'è il motore di un'auto che va senza andare né fare ritorno... A nessuno che venga in mente di picchiare fuori sulla saracinesca, di accertarsi che cosa mi sta succedendo, nessuno che muova un dito per venire a salvarmi? Certo, io lo sapevo che non mi sarei mai potuto permettere il lusso di un tentato suicidio per attirare l'attenzione su di me, perché qualcuno venisse a salvarmi all'ultimo minuto per dirmi quanto la mia presenza sulla Terra sia importante o almeno gli sia cara! E di là dalla parete, possibile che questo rumore di ruote ferme non si sia tra sformato in un brusio assordante, in un segnale che insospettisce, almeno per la maestosa Leonora dallo sguardo etrusco e dai begli orifizi sericei di viola dorato fatti per giocare all'ammalata e al dottore e all'Estrema Unzione fatta in casa alla buona, un po' di saliva e via? Nulla. E la D. Cleo, l'altra mia gallina dello schermo preferita, certo non preferita alla mia Aida, ma come Aida non ne ho trovate più, Aida era speciale come Neutra da Compagnia, unica, lei trasmetteva eco al mio stesso battito del cuore, raddoppiava tutto, l'eccitazione e la demoralizzazione... e Cleo ora, truccandosi il bel viso da principessa indiana per andrare al Veglione Mascherato, non sente che sto morenNo? O lei e la T. Leonora sono entrambe concentrate davanti ai rispettivi tavolini da toilette a inviarsi maledizioni su maledizioni, pensieri d'odio insanabile per amore non della mia fasulla ma di quell'altra tonaca, quella vera? Non è la stessa, in fondop Possibile che non capiscano che non è questione o meno di gettarla alle ortiche per amore di una de4e due, che c'è qualcosa di superiore anche alla Santa Chiesa Romana Apostolica anche nei visceri di un prete, cioé sua mamma? ... Bum!... Bum! ... già, come l'indecifrabile bum bum bum pio pio pio catigulì catigulì gridato a don Pierino dalla Tilde come dall'oltretomba là nella stanzina della Pro Loco... e la busta arancione infilata nel nastro del cappellino adagiato sul cuscino e poi in mano mia... e quel modulo telegrafico... sì, «Geranio...», la prima parola che riesco a leggere se mi concentro sulla radiografia del mio stomaco e sullo spettrale facsimile di telegramma che ingollai come un automa è «Geranio», no... no, è «Germoglio...», mi ricordo quella gabbia di pulcini accanto al nostro letto improvvisato quella notte sotto Natale che la Tilde mi raccontò del germoglio di geranio qualità dop pia negato dalle Bentivoglio a mia madre e... ma che mi viene in mente ora? «Germoglio STOP Temporale STOP Tuono STOP Pigolio Pio Pio Pio STOP...», ecco comincio a leggere e a vedere e mi prende... che mi prende? rido convulsamente, no, smettila di farmi il solletico, Tilde, smettila, ti prego, o tossirò, smettila, o sputerò sangue, ma lei mi si mise sopra e mi disse, «Sputa qualcos'altro, fratellastro, sei o non sei un uomo vero? Lo dice anche la Bibbia: conoscere vuol dire chiavare. Conosci!», ma io non ricordo niente di particolare, mi sembrò di non essere lì, come se del mio corpo rispondesse un'altra mente e io non ho avuto di quel fatto, di quel ricordo che l'equivalente in una non esperienza, in una non conoscenza, nient'altro che il corrispettivo oblio... ed ecco la radiografia diventa una gigantografia nelle mie interiora ridicolmente usate da una donna senza che io me ne rendessi conto... La memoria dell'amore con una donna, dunque, era in fine un solletico solo un po' meno intenso di quando la natura dell'uomo segue il suo corso nel sonno e si svuota irrelata? E una cosa così veniva chiamata conoscenza? «Germoglio STOP Temporale STOP Tuono STOP Pigolio Pio Pio Pio STOP Solletico STOP Aida è tua figlia STOP.» Resto un po' così fra me e me, poi, forse per colmare il buco nello stomaco lasciatomi da quel messaggio espulso fino in fondo, prendo il mazzolino di viole e comincio a mandarle giù una per una senza sfiorarle coi denti, continuando a respirare piano e a lagrimare qualche lacrima congiuntivale perché gli occhi mi danno fastidio, poi prendo quelle che sono restate e le mastico tutte assieme, ecco l'ostia che ho sempre sognato di masticare e non ho mai osato perché era peccato spezzare il Signore coi denti, le maciullo coi pochi molari che mi restano e le schiaccio contro il palato e ne succhio steli e foglie e le viole condite di spray chimico per dargli odore, non è un bel cibo, sa di brodo primordiale, di ributtante linfa per fare la materia prima, sanno di Dio... quindi anch io, Pigliacielo Pino il vergine, sarei stato con una forma di donna, anch'io avrei conosciuto carnalmente l'altra metà della carne umana, anch'io sarei stato lo strumento per procreare e per desiderare di peccare con la propria procreazione... dunque, che uno lo voglia o no, sia presente o no all'atto impuro, abbia avuto gli orecchioni o no da piccolo, abbia sedotto o sia stato stuprato, anch'io ho avuto la mia piccola parte in prima persona sul set della vita, da La Resistenza delle donne attraverso Tra Salò e salotto, Candelotti nelle calde foibe e altre cinquantasei proJuzioni fino alla più recente Eva e Irene, dall Eden alla Camera, anch'io c'avrei messo il mio zampino virile nella continuità del vivere umano... Anch'io ho alimentato la pornografia della vita. Col pas...sa...to adesso ho chiu...iuso del tu..tt...to. C'è un pro...ver..verbio... Ci... ci...nese - ma quanti proverbi hanno i cine...si- che dice che qua...ndctla casa è fi...ni...ta è ora di mo...ri...re... Qua...ndo hai chiu...so col pas...sato vuol di...re che hai chiu...so anche col pre...sente... Ohi Marì! Le lacrime in solitudine costano molto ma valgono di più... E adesso ho preso a sbattere le gambe contro i pedali come un pollastro strangolato... Salve Regina, Madre di miserzcordza, vita dolvezza speranza nostra salve a Te ricorriamo noi esuli figli di Eva... ma è inutile, non riesco più a rivo...lgere nessu...n pen...siero a Dio, solo uno all uomo che sto per non es...sere più... a Te ricorriamo gementi e ptangenti in questa valle di lacrime orsù dunque avvocata nostra rivolgi a noi gli occhi tuoi misericordiosi e mostraci dopo questo esilio Gesù il frutto benedetto del ventre Tuo o clemente o pia o dolve vergine Marl... eerronfeesgnoc... eesgnofeeronf.. ... Bum! Sfinge! E' bel...lo all'ul...ti...mo di questo ca... carne... vale... darsi la... Ma che succede? oddio, si è spento il motore, si è spento tutto e io sono ancora vivo... Finita la benzina. Te lo dicevo io che non te la stavi raccontando giusta, spinino... Be', se è per questo ho sempre una tanica di scorta. Tanto vale uscire di qui e riempire il serbatoio... oddio, ma hai dimenticato aperta anche la botola, furbacchione di un Pinocchietto, giochi a fare il Gatto e la Volpe con te stesso? Vado su di sopra e, fatti due gradini, vedo che ho dimenticato aperta anche la finestra. Mi sembra di vedere uno stormo di angeli fuggire del tutto fuori, nel buio e lattiginoso cielo aperto, angeli, angeli dappertutto che mi voltano le ali. Don! Don! Don... Oh nooo! Il campanile, i rintocchi... che ore saranno? Guardo la sveglia prima che me lo faccia sapere il Lunardoni Battista: le dieci. Appena smette di tirare la campana, prende su e lui e la sua scrofetta di moglie e mamma Puripurini - che da sempre viene al Gran Ballo travestita da Penna Bic - e tutti assieme con don Pierino arrivano in picchiata al Teatro Sociale per il Veglione dell'Ultimo di Carnevale e stasera il Battista salterà le mezze e fino alle tre correrà un attimo in campanile solo per le ore piene... è l'unico che non abbia ancora adottato le campane elettroniche, dice a che serve mettere su la filodiffusione con le campane se poi devi andare ad allenarti in palestra cogli Juniores e i Pulcini, loro sono esigenti quanto a energia fisica che richiedono da te, specialmente nel corpo a corpo, tanto vale tenersi in allenamento tirando la corda... sento già le prime note di Volare entrare dal Teatro Sociale nella mia finestra, sento le auto che scendono giù dalla strada che costeggia la chiesa del Suffragio e si arrestano in piazzetta, sento lo scalpiccio della gente che affluisce al botteghino, e la Direttrice Didattica T. che dice al marito commercialista T., «Raddrizzati il farfallino e andiamo, Leonora con Virgilio e Annalisa sono già entrati prima, che la Caroli li ha fatti passare di dietro», «Gratis?», dice il T. e lei, «E' già tanto che paghiamo noi», e il mobiliere D. che dice alla Cleo fuori dal cancello, «Aspetta tua madre e tuo fratello, io vado avanti a vedere se riesco a entrare di sfruscio che mi conoscono tutti e a farmi dare il palco gratis, e tu vestiti normale o torniamo indietro subito», e la signora del suo mobiliere D. esce nel giardino e si lamenta col marito alzando la voce, «Ma io volevo mettermi in maschera!», e il D., «Sei già abbastanza in maschera così», nel senso che lei vivendo vestita di pepli da schiava nubiana dalla mattU1a alla sera tutti i santi giorni nella sua Esposizione Arredamenti vorrebbe tanto almeno stasera travestirsi con un semplice tailleur senza far necessariamente coppia col marito mascherato da Faraone d'Egitto, chiudo bene la finestra, mi tiro dietro la botola e, di nuovo giù, sono già lì che svito il tappo e verso la tanica di benzina nel serbatoio, l'orchestra a bell'e che pronta, è partita col Valzer Imperiale, mi fJrmo con la tanica a mezz'aria... potrei fare qualcosa anche per me oltre che aver fatto tutto quello che ho fatto per il bene generico dell'umanità... la mia cara vedova Paleocapa Bocchino d'Oro lì non c'è andata di sicuro al veglione di Pieve, lì non la farebbe ballare nessuno una come lei e la Aminta neanche a parlarne, ha da lavorare a pieno ritmo, deve lavorarsi dal Re dei Gnocchi ad Arlecchino stanotte... e dall'oblò sopra la grande e ripida scala esterna del teatro al tetto della cupola ai palchi all'atrio sarebbe un attimo di fuoco... chissà se ce la farei come a quarant'anni a tirarmi su con le braccia e a... certo non con questo peso fra le mani... però potrei lasciare la tanica giù sul pianerottolo in cima alla scala e legarla ben bene a una corda, una corda non è difficile da impugnare e arrivare su, anzi, me la lego attorno alla vita e poi tiro su la tanica fino all'oblò... e i fiammiferi, dove sono i fiammiferi... Dio caro, devo andare di nuovo su di sopra e prendere la scatola degli zolfanelli... aspetterò un poco, è troppo presto, devo aspettare che il Lunardoni faccia la sua scappatina in campanile a tre minuti alle undici per andare a suonare le ore e poi accompagnare qui don Pierino e la sua ambiziosa, cannibalesca piccola cartolaia al settimo cielo per lo scatto aziendale del figlio, presto all'ottavo e definitivo cielo delle gerarchie ecclesiastiche... e poi potrei andare con la bici al Chiese, io so fare tutti i nodi di questo mondo, li ho imparati e dai boyscout e dalle tubercolose con me nei sanatori, me la annodo io al ramo come mi pare e piace, sarà un gioco da bambini impiccarsi... Allora esco fuori, la mia stradina è deserta e intanto preparo la bicicletta dietro il terrapieno della scala antincendio del Teatro dove, manco a dirlo, non c'è ombra di pompiere, c'è ancora parecchia gente che continua ad affluire, la volta dell'ex Municipio è illuminata a cento visto che sta passandovi sotto tutta l'anagrafe che conta a Pieve di Lombardia, e fuori dall'entrata del Teatro hanno messo due lampioni extra vecchio stile, ecco che fuoriescono dalle grotte e dalle capanne dei pagi tutte le genti rurali e rupestri e collinari delle più belle famiglie cittadine, i pagani che per rendere non più attaccabile la loro atavica idolatria al sole e alla luna e al soldo si sono convertiti al cristianesimo, eccoli tinti di fresco i sepolcri imbiancati, Arlecchini, Colombine, Vedove Nere e Scheletri, Damine e Cavalieri, Maghi e Fatine, ma ecco che incedono il Paragnosta delle Fontanelle e sua moglie vestiti normali, semplici ma eleganti, lei in un abitino azzurro cielo molto accollato con colletto di pizzo da educanda, dal colore rosso-farmaceutico ha spremuto tutto quello che c'era da spremere, il Paragnosta in uno smoking un po' stretto per la sua stazza ma bello e, lei da una parte lui dall'altra, tengono a braccetto e a doppio laccio al soggolo suor Lucia agghindata da Struzzo delle Pampas, con dietro al trio una sfilza di vecchietti e di vecchiette, i più meritevoli dentro gusci di cartapesta e ciuffetto di penna di struzzo legato attorno alle orecchie, e dietro ancora, oh, ma che bella combinazione, i due gestori delle Psicotrappole di piazza Duomo a Brescia in tutù di stretta ordinanza scaligera, anche questi coi gonnellini tutti in penne di struzzo bianche e acconciature di pari materiale alte sopra la nuca... ecco che arriva tutto il corteo a piedi delle donne Bentivoglio, plumbee e severe, con loro naturalmente ci sono il sindaco Milancio Primo e il dottor Angelucci con rispettive consorti naneF progenie così così, ecco poi il corteo più vincente di Ltti, quello della vedova Piedini Velia, la Benita dei miei due, lei avvolta nel Tricolore Italiano ma contemporaneamente vestita da Angelo con apertura di ali di penne vere di un metro e mezzo per parte a braccetto del Longamano vestito da Diavoletto forca e lunga coda in mano, lei che lo straitona per tenerlo in piedi a suon di «Ma perquindi, aQimo!», e, dietro, le sue pie di Borgosopra vestite da TeleVita, tutine d'argento per fare lo schermo e l'antennina a Croce in testa circondata da una specie di aureola, sempre che veda giusto perché potrebbero anche fare i terrestri planati in Blocco in Paradiso e... ma chi si vede? quest'anno è venuto anche il conte notaio Pezzulli, accompagnato dalla segretaria e da una marea di figli e nipoti avvocati e magistrati e gastroenterologi di fama vestiti da Gorilla Azzurri con in mano i gagliardetti di Forza Igiene e alla testa lui, il deputato Pezzulli Jean Claude Gioan vestito da Tarzan e al suo fianco una insensibile, stralunata non dalla morte del figlio ma dal freddo - farmacista Bertucci che fa Jane in una calzamaglia leopardata di rosso ciliegia e cappellino rosso con spruzzo incorporato a forma di Igienico Bidet, si direbbe che partecipano nella sezione gruppi, certo è un assaggio della spettacola re campagna elettorale per le imminenti elezioni politiche, ed ecco arrivare la neo Presidentessa della Caritas Matris Dei e già insigne mariologa Chitari Luciana, la maschera più folle di tutti, metà donna dove non poteva esserlo altrimenti, cioé davanti, e metà cavallo di cartapesta dove poteva farne anche a meno, di dietro, grande criniera di fili di rame del bel tempo che fu, gliela vuole far vedere lei, adesso, che volevano darla per morta nel rogo con la Giu Domenica, e dietro l'immenso deretano due gruppi di lavoranti della sua florida impresa di pulizia, rumene, jugoslave, ungheresi, polacche e generiche passeggiatrici dell'Est, un gruppo di Ragni che con le braccia alzano sopra la testa e chiudono alle ginocchia la ragnatela a fisarmonica e l'altro gruppo di Acari della Polvere Defecanti, direi... oh che meraviglia, tutto materiale che prende fuoco alla svelta... questo, oh sì, ohi ohi, ohi Marì... ecco... don don don don don don don don don don dooon! tempo di andare a prendere la tanica, ormai sono entrati tutti in Teatro, musica, Maestro! non c'è più anima in giro, no, mi sbaglio, ecco giù dalla discesa verso il vecchio mulino il dottor Dioticuri, chissà che fa in giro a quest'ora, forse non si ricorda più in che baracca e in che Lager l'hanno assegnato, canticchia la prima strofa di Lilì Marleen e scompare giù per la discesa, deve aver bevuto un po' , è sempre così meravigliato di poter aprire ancora gli occhi alla sua età, il Lager allunga la vita che è una vergogna per ogni sopravvissuto, senza un po' di alcol per compatirsi non riuscirebbe più neanche a chiuderli... Una folata di vento mi investe mentre mi arrampico sul muretto di cinta della scala esterna del Teatro tenendomi saldo al rientro della porta che dà sul loggione, sarebbe un bel capitombolo di una decina di metri se cadessi sotto, poggio l'altro piede sulla maniglia arrugginita, slancio in alto un braccio, mi aggrappo al bordo dell'oblò, vedi la magrezza quanto serve, poi mi aggrappo con l'altro, stacco i piedi, mi tiro su su su, fatto, sono dentro il sottotetto, la mia vecchia forza non mi ha tradito, non direi che ero come uno scoiattolo, ma mi sono inerpicato su e ho poi sollevato la tanica fino a me con una certa destrezza, bravo Pigliacielo Giuseppe... l'antico nocchio nelle assi c'è ancora, uno sguardo sui ballerini e sull'eterno gioco di potere fra gli uomini al bar del loggione, oh, ecco la Bocchino Rosa, ha osato farsi accettare dunque, travestita da Diversa al Massimo, da Negra spalmata di nocino con le banane vere attorno ai fianchi che lei andrà in giro a offrire fino a che no~ resta in perizoma rosa, povero Bocchino a vita, mi dispiace che il mio vaso di orchidee le arrivera per il suo funerale ammesso e concesso che riescano a riconoscerla nelle macerie dalle tibie d'osso di coniglio che s'è ficcata nei capelli, e comincio a versare la benzina intorno in uno scricchiolio che pare squittio di topi, ci sono delle travi verticali che perforanq il soffitto e che altro non sono che il proseguimento, ofalmeno il combaciamento, delle colonne prospicienti ogni palco, il liquido le imberrà lentamente ma inesorabilmente fino a giu, alla prima fila di palchi... oh, la T. Leonora e la D. Cleo che si voltano sdegnate le spalle ma gomito a gomito in due palchi vicini... mai più potevo credere a una cosa del genere, a che fossero pazze d'amore per LUI, e la stretta al cuore che ne ho avuto, ah, la stretta al mio povero cuore quando non sono più riuscito a non tenere gli occhi chiusi del tutto! Mentre io le sognavo, LUI le conosceva una dopo l'altra, le portava ai tiri e ritiri spirituali, LUI... Una sera di fine primavera scorsa don Pierino, credendo di aver intravisto un'allusione provocatoria allorché gli chiesi se almeno una volta prima di morire mi portava con sé che non avevo mai visto il mare, mi rispose, «Prendi esempio da lui, tu. Bisogna imparare», e con un cenno del mento ben rasato e profumato diresse la mia attenzione verso il vecchio ma ben piazzato Lunardoni Battista che, alle nove di sera, stava venendo nella nostra direzione con un braccio attorno alle spalle del sedicenne D. Ramsete e l'altro attorno a quelle dell'ancor più giovane T. Virgilio, entrambi della squadra Juniores, e tutti e tre, una volta che il Battista l'aveva schiavardata sotto gli occhi benedicenti dei pievensi che passavano e gli indirizzavano un caloroso saluto, entravano con serafica disinvoltura per la porta blindata della Sede Calcio con annesso lettino massaggi, attaccata alla canonica, sotto l'appartamentino di mamma Puripurini. Don Pierino salutò i tre, aspettò che si chiudessero dentro a chiave, e poi mi disse distrattamente, «Che santuomo! IL Battista si porta il lavoro di proselitismo perfino a casa e perfino due per volta, sempre differenti, due volte al giorno e nessuno ha niente da ridire, perché è un sagrestano vero lui, come suo padre il buon Giacomone, uno sputo di saliva sui polpastrelli e via! un vero allenatore di cristiani, lui, non te. Li massaggia dentro il buco e fuori dal buco e poi, da calciatori imbranati, potrebbero sempre diventare degli ottimi uomini di Chiesa o per male che vada dei buoni padri di famiglia, capito? Se vuoi vedere il mare prima di morire, prendi la corriera, ce n'è una giorno sì giorno no per Cattolica. A Santa Margherita Ligure non c'è nessun bisogno di te, che ti ci porto a fare, ho già le mie Pie Mercedarie che mi aiutano nei ritiri spirituali della merce di Pieve. E chiudiamo l'argomento per sempre», disse lui, io volevo dirgli che avevo capito tutto già da un bel po' , e che il solo fatto che lui facesse discendere le Mercedarie da merce e quali prossenete di merce umana e non dalle religiose della Beata Maria Vergine della Mercede la diceva lunga di come trattava le ragazzine affidate ai suoi esercizi mariani sulla marina là, a Santa Margherita Ligure con la mia Teresì a fargli da badessa ruffiana intanto che allevava il loro piccolino dottorino Angeluccino fatto trovare probabilmente nella ruota del convento, quel figlio di nessuno che assomigliava a un angeluccio e che da grande, da dottore, avrebbe fatto fuori missionariamente tutti quelli che rischiavano di diventare come lui, un aborto non andato a monte, e infatti dissi all'Immondo Vecchio «Ha ragione, don Pierino, e poi il mare non mi farebbe neanche bene ai polmoni»... toh, ecco laggiù in pista la dottoressina Bentivoglio Mercede che si asciuga la fronte e guarda in su, deve averla colpita una goccia di benza, la stava per annusare, devR fare più alla svelta, ma ecco arrivare il cognato dottor Angelucci e rubarle il gesto a mezz'aria e trascinarla in una mazurka che fa risucchiare di peccaminosa delizia le vizzissime guance a tutte le sue amabili Zie nel palco d'onore e che manda però in visibilio la vecchia Puripurini che, si sa, fra un po' chiederà al figlio di farla ballare com'è tradizione qui me tre tutti batteranno le mani a tempo... è tutto così inn( cente, il figlio ecclesiasta ultrasettantenne ultragiovanile al passo coi tempi della liposuzione e del gerovital a chili e della lambada il quale balla l'ultimo twist con la sua cara mamma novantenne prima di insediarsi quale arcivescovo nella diocesi di San Giovanni in Laterano a Roma, ma di innocente fra quei due non c'è proprio niente, a meno che 1 incesto non sia un'innocenza perduta dell'umanità visto quel che li ho visti fare io nel retro della cartoleria Puripurini una volta che ci si era messo anche il diavolo e il vetro della porta riversava in strada tutto, la tonaca alzata tenuta fra i denti di lui, la sottana sulla testa di lei che lo premeva a sé... il giovane consacrato di fresco ormai era sulla buona strada della carriera, non valeva più la pena che desse via il culo ai sagrestani e ai Padri della Congregazione, e men che meno per il proprio piacere, bisognava rimetterlo santamente in piega... forse in un raptus incoercibile la mamma voleva salvarlo dal vizio del Giacomone, o far sì che non lo rimpiangesse troppo, cosa non farebbe mai una mamma per il bene ultimo della sua creatura? e se è per questo ci è riuscita proprio bene: a parte far eccezione con lei a comando, non solo non si è più dato agli uomini ma gli è venuto come a me il disgusto delle vecchie e il gusto delle giovani, con la differenza che mentre io allevavo galline sognando puttine o raccogliendole nei prati a fine marzo e ad aprile perché chi si contenta gode, lui non si accontentava, se le coglieva nel fiore degli anni a letto, se le godeva prendendosi dai miei sogni la sua realtà e non lasciandomi niente, a parte quei coccodé che tanto mi davano sui timpani, perché anche le galline, dopo un po' , per amor del becchime imparano a recitare la commedia come le donne vere... Don Pierino forse non s'è mai reso conto, ma giurerei su Dio che le piattole primordiali le ha prese proprio dalla sua mamma Bic e che da lei è venuta alla luce la progenie delle piattole che tanto l'hanno fatto grattare e che, dalle bambine d'oggi del Centro Giovanile sue dilette discepole, si perpetueranno a Pieve di Lombardia nei secoli saeculorum... Non voglio versarc la benzina tutta qui nel sottotetto, mi calo fuori, raggiungo il pianerottolo con un piccolo balzo, mi tolgo la corda dalla vita e la riavvolgo, su tutte le lamiere parcheggiate è calata la nebbia che le luci fredde dei due lampioni laterali al botteghino del Teatro Sociale tinteggiano premendo sulle cose e anche sulle voci e sulla musica un soleggio lattiginoso che attutisce il presente, mi sembra che il presente ora sia una cosa del passato, una nebbia non vera, come ricordata un attimo fa e poi più. Che vento all'improvviso scende dal clivo! Do fuoco. IL piancito lassù ha preso al primo zolfanello buttato dentro nell'oblò, ho visto la fiammata, sento il rapido sfre golio del fuoco sul legno marcio, corro giù dalle scale con la tanica, spargo il resto della benzina davanti al portone dell'uscita di sicurezza, accendo un altro zolfanello «Ehi», mi fa una voce alle spalle, oddio, sono beccato, «fa accendere anche me?», mi giro e era il vecchio Setolini, lo stesso che conosceva bene mia madre, vestito da Maiale con un pezzo di toscano spento fra le labbra, certo voleva essere l'ultimo a entrare per fare un figurone della madonna, «Ah, sei tu», mi fa, «con la nebbia non ti avevo riconosciuto», tira un numero infinito di volte, «Suicidi in vista? Nessuno di nuovo?», mi fa, «Non che io sappia», dico e lo zolfanello m,si si spegne in mano, «Ma tu da quand'è che fumi?», «Io...» e lui tira su un paio di volte col naso, dice, «Originale il tuo travestimento... anche la bicicletta... Fai don Trenta, eh? Eh eh, dove c'è un prete c'è puzza di bruciato...», e finalmente il vecchio porco impiccione se ne va, oddio, non mi sono neanche accorto che sono uscito così com'ero, vestito da prete csi una volta, la tanica è rimasta lì dietro un'auto, c'è puzzaXdi bruciato sì, ma il Maiale non s'è accorto di niente intanto che andava dentro in teatro così tardi perché così, oltre al figurone inaSpettatO, Ci va a scrocco. Intorno non c'è proprio nessuno. E se non c'è nessuno, vuol dire che ci sono io. Ma cos'è che sta scendendo a precipizio giù dalla discesa del fornaio Bertoni? La camionetta dei carabinieri! che entra nel senso unico e si installa davanti al mio vicolo, mi accoccolo dietro un'auto e strisciando con la tanica in pugno arrivo a coglierne la visuale, dal finestrino dell'auto, illuminato dagli stessi fari della jeep, vedo il maresciallo Nonsonoelegante? Vanvitello Santino, elegantissimo nella chiara foschia che lo fa sembrare un ufficiale snoò delle SS, e adesso anche altri due carabinieri e lui che dice, «Voi dall'altra parte, il Pigliacielo non Ci deve scappare, anche se zoppica...», scompare dalla visuale e poi lo sento gridare nella stradina, eviden temente sotto la mia finestrella, «Pigliacielo apri... non ti facciamo niente... esci di tua spontanea volontà... sappiamo che sei stato tu... apri...», e la voce di un altro che dice, «Maresciallo, è aperto...», e lui, «Va' a vedere... sta' attento... E matto», «Non c'è nessuno...» grida l'altra voce e adesso sento i loro passi avvicinarsi, mi accuccio del tutto, e il maresciallo dice, «Tu resta di guardia e tu vieni con me... Forse il maniaco è in teatro a offrire frittelle avvelenate...» ed entrambi scompaiono dalla mia visuale, sento che saluta la cassiera, mio Dio, è entrato anche lui... Tredici! ho fatto tredici! Oh, i complimenti che il Maresciallo Vanvitello si lascia fare a ogni Ultimo di Carnevale per il suo ricercatissimo costume che indossa tutti i giorni e che qui, in questa occasione, risalta in tutta la sua voluta ricercatezza veglionistica che come fai a non pensare che sia una maschera della Commedia dell'Arte? una volta la signorina Giuseppina, incaricata di distribuire insieme al sindaco Milancio i ricchi premi e i cotiglioni e i gagliardetti alle migliori maschere, voleva dargli un premio di consolazione e lui, lui l'ha accettato! Chissà se anche quest'anno la Signorina, dopo essersi buttata da sé alcuni coriandoli fra i capelli, farà in tempo a scendere in pista dalla scalinata centrale senza prima prendere fuoco mentre l'Orchestra, al suo superiore apparire, ha l'ordine di attaccare, «Tu sei romanticaaa amica delle nuvoleee...», mentre la Signorina si schermirà tutta scuotendo la testa e il petto in segno di tollerante disapprovazione... vedo un fumo denso sollevarsi sulla piazzetta e le prime fiamme lambire il cielo fuori dal tetto, sfrego un altro zolfanello riparandolo col palmo dal vento ormai lancinante, l'orchestra attacca una specie di tarantella e tutti in coro si sono messi a cantare, «Ohi Marì ohi Marì quante notti aggiu perso pe' ttee, famme durmì una notte abbracciato cu' ttee... Ohi Marììì». Lo sapevo io, si fanno beffa di Lei anche dopo morta. Ridò fuoco. Dall'altra parte dei battenti chiusi so che c'è una spessa cortina di antico velluto tarmato, sarà una fiammata unica che bloccherà tutto l'atrio e l'uscita regolare, c'è un improvviso turbinio di coriandoli e stelle filanti che trascina le fiamme e addirittura la nebbia sotto la loggetta di legno sull'entrata principale che avvampa in un fiat, questo è culo, mio Dio, è un culo grande così, quel culo che il buon Giacomone, mosso a pietà tanto tutto mi andava storto e forse spinto dallo stesso don Trenta, cercava di inculcarmi palpandomi a letto mentre giacevo in sanatorio e certo già prq,nto a sodomgomorrarmi per il mio bene e, umanizzato fino in fondo, conoscente e riconoscente, insegnarmi le giuste vie nonché le vie giuste della gerarchia della Santa Chiesa, e io che non l'ho capito e io che l'ho poi giudicato male quando invece il suo era un ultimo disperato tentativo di portarmi ecclesiasticamente fortuna come l'aveva portata al più pvono ma più intraprendente, al più sveglio mio quasi {oetaneo carnefice Puripurini Pierino... e adesso perché questo profumo di viole che mi sfrigola intorno? sarà mica la Violetta di Parma in cui si è immersa la farmacista Bertucci per far leva sui sensi ottenebrati dell'onorevole contino Pezzulli Gioan e garantirgli igiene assoluta? Un urlo, un altro, della cassiera che vedo gridare e fissarmi terrorizzata dietro la mezzaluna di vetro del botteghino inforco la mia bici, faccio dietrofront e giù dalla discesa delle vedove Cherubini e Serafini e Cinguetti! poverette molto probabilmente periranno anche loro, l'incendio s'è già appiccato alle vecchie casette a schiera, ma tanto dormono, loro sono pie, non si accorgeranno di niente, e giù con la bici, frenando con la sinistra sulla manopola e facendo attrito con un piede a terra per non perdere l'equilibrio, giù verso Borgosotto, il Chiese, verso la mia Sacra Nicchia. Certo il vento facilita tutto, si estenderà il 1 [ d, fuoco, forse prenderà anche il maniero dei D. e la dimora dei T. e anche la mia casetta, peccato per l'Aminta, oh, si arrangerà, altrimenti che Giuda sarei? questo renderà lei ancora più Giuda di Giuda... farle andare la casa appena comprata in cenere è il tocco finale che ci vuole per renderla spina perfetta sino alla fine dei suoi giorni... E se il fuoco attecchisce lì, si attacca anche al Museo Risorgimentale, alla chiesa del Suffragio, con una giravolta prenderà sotto l'asilo Mafalda di Savoia, scenderà di nuovo in piazzetta del Teatro Sociale e per non lasciare indietro niente, invierà una scintilla anche all'Ancr, e da lì all'ex Municipio, il quale essendo dirimpetto alle suore del Sacro Cuore di Gesù arriverà alla farmacia e da lì alla Basilica, al Sacro Redentore d'oro sulla cupola... Sento il sibilo di una sirena, oh, è certamente quella dei vigili del fuoco di sosta lì fuori, io lo so bene, hanno il camion ma senza cisterna d'acqua, e l'idrante-master non è mai stato previdentemente infilato in alcuna bocca di emissione idrica, è tutta una messinscena: lungo più di cento metri, pronto sul palco vicino all'orchestra, sembra incredibile ma si sa dove è infilato: nel rubinetto della ex cucina della Caroli, che di pressione ha la mia, tre atmosfere in tutto ! Mi giro sulla sella: il fuoco ha già scoperchiato i tetti del teatro, si leva alto sparando via la cappa di nebbia e di vapore industriale, come mi dispiace non sentire le grida dei pievensi, io pedalo deciso ma tranquillo, come se niente fosse successo, e non posso fare lo spericolato perché sulla canna della bici con la mano destra devo reggere la tanica vuota ma ingombrante, mi servirà da sgabello. Bisogna voltarsi indietro solo per vedere il fuoco, non il rimpianto, non la vendetta, solo il puro fuoco che dà una mano agli empi a farsi fuori. E' triste avere rimpianti ma è ancora più triste non averne come me: non c'era una goccia di sangue da portar via dall'u manità, come pretendere di spremere sangue da una rapa, alla fine ti rendi conto del malinteso e non odi più niente e nessuno, non puoi odiare le rape perché per tutta la vita le hai scambiate per delle angurie che si ostinavano ad avere il sapore di rapa, no, non è che le creature umane di Dio non volessero darti il loro sangue, non potevano perché di sangue gli esseri umani non ne hanno neanche a sufficienza a fingere per sé, il sangue della vita vera era il mio, il sangue che ho visto era il mio, mio quello che usciva nel mondo, mio quello succhiato e da me e da loro, il sangue ce l'ho messo io, tutto io, solo io... Io... io... io... Arrivato sul vecchvio ponte sbarrato del Chiese, freno e smonto dalla bici e mi metto a guardare Pieve di Lombardia nella sua interezza al di là del cartellone stradale: al centro, di lato al cupolone della Basilica che esplode di una luce ramata, una massa immane di fiamme nella notte avvolge la Statua d'Oro del Cristo Redentore e nell'aria un odore strano arrivi sin qui, di buon augurio, ma non voglio farmi troppe speranze: qualcuno che scampa c'è sempre anche nel migliore incendio. Guarda come divampa, come si allarga e il fatto che nessuno sia andato a tirare i dodici rintocchi della mezzanotte è un buon segno. Fa proprio freddo, stanotte, facevo meglio a mettermi un cardigan anche sulla tonaca. Slaccio le due cinghie e sgancio la mia cartella dalla canna della bici, tiro fuori la mia fedele bomboletta spray e sul cartellone «Pieve di Lombardia» spruzzo a senso perché ci vedo poco D'io ce n'è uno solo. Ohi, Pino, ohi. Rieccomi in sella, giù per il sentiero che costeggia l'argine del fiume, e mi sembra di essere guidato, di non sentire sbalzi, di dominare le tenebre anche senza il fanale e la gemma della bici, poiché i miei occhi convergono sul paesaggio l'ordine di non farmi resistenza ed esso si apre a me livellando ogni ostacolo. Mi addentro nella mia nìcchia, faccio bene il cappio, salgo sulla forcella dell'ulivo, butto la corda e faccio bene il nodo attorno al ramo più grosso calcolando l'altezza mia e del ramo, scendo, salgo sulla tanica mantenendo l'equilibrio con una mano contro il tronco, certo un fico mi sarebbe tornato più a fagiolo di un olivastro, porco Giuda, mi infilo il cappio al collo, do un colpetto alla tanica con la punta della scarpa... .. Bum ! E adesso che ci fa mia madre in pista lì al Veglione Mascherato del Teatro Sociale travestita da Gallina Coccodé tutta spennata, nuda e livida di spuntoni strappati a forza e con la testa dentro il pentolone buono per il minestrone e le tinte e io che ci faccio accanto a lei sotto quella pioggia di coriandoli che cade dal cupolone del Duomo? E perché mamma Puripurini e suo figlio don Pierino non la smettono di ballare il twist e non le mostrano un po' di pietà? E adesso perché la signorina Bentivoglio Giuseppina avanza col gagliardetto indecisa se darlo a me o a don Pierino? E mia madre si toglie il pentolone mostrando la sua cresta rossa e io, al microfono che mi porge nonna Trenta Andreina, dico, «Mamma, è morto don Trenta», e la Pigliacielo che non aveva neppure un nome di battesimo, la Pigliacielo e basta, sembra non ascoltarmi, avvicina i bargigli al microfono, allunga il braccio destro e puntando l'indice verso mamma Puripurini scandisce, «Va' a dirlo alla cartolaia Bic», e io mi sento mancare ma don Pierino continua a dimenarsi nel twist e a far finta di niente, «E' merce, è tutta merce, ce n'è per tutti, non è successo niente!», grida tutto allegro nel microfono e mamma Puripurini si avvicina a sua volta al microfono e risponde a mia mamma, «Io, cara la mia Pigliacielo, con don Trenta non mi posso lamentare di niente. Guardalo: fra un po' mi va Papa! Mica come il tuo, che sbaglia persino a tirare le campane di una chiesa minore...», Let's twist again like you did last year!, canta la vecchia cartolaia dimenandosi tutta... ma io muoio... muoio... il profumo di viola ha ripreso a vibrare nelle narici del mio cervello... sono le viole infilate nel cruscotto davanti a me qui dentro la mia Cinquecento? è stata dunque tutta un'allucinazione? E dall'alto della cupola giù, dentro il Teatro Sociale improvvisamente deserto, cala la voce tuonante di Dio su me ormai a terra morente e su don Pierino bello lustro ritto in piedi, «CAINOOO, CAINOOO, che hai fatto?». Ma nessuno di noi alza la testa in su e a chi di noi due fratellastri Dio s'è rivolto non lo saprò mai, perché poi non soddisfatto Dio tuona, «Abele, diletto Abele, che ti hanno fatto?», ed entrambi abbiamo alzato la testa di scatto verso la volta del Teatro Sociale ma Dio non perde un istante e mi fa, «Ma non eri morto, tu, Pinocchio? Se non sei morto, non sei Abele, sei Caino, Caino sei tu, maledetto!», ed ecco Dio scendere dalla scalinata centrale del palcoscenico con la Creazione per fobdale... Dio bacia in fronte don Pierino, non me, e insieme se ne vanno via a braccetto... ed ecco, ora muoio del tutto, ma è troppo tardi per fare Abele, Dio ha già fatto la sua scelta finale... so per certo che non sono mai uscito dal mio posto di guida nella Cinquecento, che anche come Giuda sono imperfetto... il fuoco della vendetta che distrugga il sangue marcio degli umani e purifichi l'umanità... lo slogan a spruzzo sul cartellone «Pieve di Lombardia»... tutto un sogno... il sogno della mia esistenza senza più perché... il sogno del coraggio mai avuto... in cui non ci sia più posto per le grandi, meschine domande dell'umanità ingrata che vuole sapere che c'è al di là della morte e che alzando gli occhi al cielo o vede Dio o lo trova vuoto... oh, aver vissuto una vita in cui alzando gli occhi al cielo avessi visto non Dio ma molto di più, il cielo in cielo... muoio... muoio qui stroz zato nel chiuso del mio cer...vello, Pieve di Lombardia non è bruciata e distrutta, non è neppure scalfita e per tutti continuerà a esserci baldoria, per tutti ma non per me... per me solo Quaresime e... E... Eva E...va sì sì sì abbh ah abbhahabb sì anco...ra sì sì Eva Ficabonda ohi E... vafi... ga...fi gafi sì sì ahahah sì sì... Destra, dammi un ultimo Segno della Croce, alzati ancora, destra! Alalà! Nel nome della Figa, della Figa e della Figa... ohiohiohi vengo del tutto ! vengooo a Te, Sfinge... oh com' è bello... all'ultimo di quest... carne... vale... darsi la mor... l'amor. fine