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[TRIGGER WARNING]

Questo racconto contiene atti di violenza e brutalita‘. Si consiglia la lettura a un pubblico adulto e
poco impressionabile. Si segnala la presenza di:

Omicidi
Atti di violenza fisica e psicologica.
Violenza a danni di persone vulnerabili.
Stupri.
Suicidi
Un atto di genocidio.

Quiete

Anno 2518, forse.

Una civiltà evoluta in modo impossibile.

Una vecchissima astronave da carico, poco più di uno scatolone metallico con un motore sperimentale
saldato sopra, guidata da un’intelligenza artificiale generata da un software open source. A bordo,
scienziati, pensatori, studiosi, gente in fuga dalle guerre di religione e da un pianeta impazzito e in
preda al fondamentalismo. “Atei satanici”, come li chiamavano ormai tutti. Il mondo era stato felice
di vederli andare via, a parte quelli che avrebbero voluto decapitarli in nome del loro dio.

Secoli dopo, Rho-Delta 217.cx, uno dei discendenti dei coloni, medita in silenzio. A differenza di
altri, lui non ha dimenticato l’umanità e non è soddisfatto della sua vita. Rho-Delta sente la
compassione e ritiene la sofferenza umana come una cosa orribile, ma come si può essere
compassionevoli in una società dove tutti hanno tutto? Ogni cittadino di Olam è immortale e ha
accesso a tutto quello che potrebbe volere o immaginare. I corpi dei cittadini sono sepolti sotto
chilometri di ghiaccio, e tutto quello che provano, sentono e vedono viene da Esperia, una versione
evolutissima di una realtà virtuale condivisa. Ogni conoscenza, ogni fantasia, tutto è a disposizione
di tutti. Ma questo ad alcuni non basta.

ITR. International Time Rescue. Chiunque ha la possibilità di viaggiare nel tempo e nello spazio,
sparato verso una destinazione sconosciuta. L’unico prezzo da pagare è condividere la propria
esperienza su Esperia dopo il viaggio.

Rho-Delta 217.cx da l’assenso finale e la procedura ha inizio. Il suo vero corpo viene recuperato dal
sotterraneo ed equipaggiato. Con un ultimo sforzo di volontà, Rho-Delta si disconnette da Esperia e
torna ad abitare un corpo umano.

Arrivo

Come al solito, il viaggio è istantaneo, ma traumatico. Lo Howitzer spara Rho-Delta attraverso un


foro nello spazio-tempo, verso una destinazione imprevedibile ma sicuramente non casuale. I dettagli
tecnici non lo hanno mai interessato, ma ha sempre avuto l’impressione di passare anni in un pozzo
infernale, con facce mostruose che strillano nel vederlo passare. Non è una cosa che lo interessi.

L’arrivo è brutale. Rho-Delta ha appena il tempo di attivare il braccialetto e di sparire alla vista
umana, prima di trovarsi in un mucchio di macerie.

Prima priorità: identificare eventuali pericoli. A un primo sguardo sembrano non essercene.
Temperatura, umidità e composizione dell’aria sono accettabili. Nessun estremo climatico. Niente
animali selvatici, combattimenti in corso o veicoli in arrivo.

Seconda priorità: farsi un’idea delle condizioni generali. Rho-Delta si trova dentro un edificio
abbandonato di recente, tecnologia simile a quella della seconda guerra mondiale. Probabilmente una
casa di contadini ricchi. Manifesti stampati grossolanamente e icone religiose alle pareti. Mobili in
legno laccato e bakelite. Odore di benzina, sangue e plastica bruciata. Rumore di artiglieria lontana,
un respiro umano, un motore a combustione interna che si sta spegnendo lentamente.

Terza priorità (opzionale): Se possibile, appropriarsi dell’identità di un locale. Avvolto nel campo
cloaking, Rho-Delta è poco più di un fantasma. Avere l’identità di un locale gli permetterebbe di
intervenire in maniera più incisiva sull’ambiente e di conoscere la cultura locale in modo perfetto. A
molti questo non interessa, tutto quello che fanno è osservare e riportare. Rho-Delta ha accettato il
viaggio per fare del bene, non per stare a guardare.

Rho-Delta decide di rischiare. Muovendosi in silenzio, esce dall’edificio si trova in mezzo a una
campagna abbandonata e devastata dalla guerra. Una strada di campagna attraversa i campi devastati.
Nessun segno di vita, a parte una motocicletta primitiva infilata in un fosso a bordo strada, le ruote
girano ancora. Immediatamente Rho-Delta va verso la moto, forse il pilota si può ancora salvare.
Purtroppo, basta un’occhiata per capire che l’impatto gli ha spezzato il cranio. Rho-Delta decide di
provare una trasfigurazione, non potrà salvare il motociclista ma almeno ottenere qualcosa di utile
dalla sua morte.

Rho-Delta estrae l’artiglio nascosto sotto l’unghia del mignolo e lo inserisce tra due vertebre cervicali
del cadavere. Appena tocca il midollo spinale, il sistema nervoso di Rho-Delta effettua una copia
completa e perfetta di tutto quello che il morto aveva visto, sentito e pensato nella sua vita. Questo è
l’unico modo per impadronirsi perfettamente della lingua e della cultura locale e non apparire come
un alieno.

Rho-Delta emette un urlo disperato e crolla al suolo. Assorbire le memorie e le sensazioni di


quell’uomo è un’esperienza orrenda, come immergersi in un mare di putridume incandescente.

Dottore

Dottore

Medico chirurgo

Dottor Lucius Kowalski

No

Rho-Delta 217.cx

Trentasette anni standard di esperienze e sensazioni completamente aliene invadono la mente di Rho-
Delta. Solo anni di addestramento gli permettono di tenere a bada i pensieri del chirurgo e di prendere
il suo ruolo. Ci vorrà molto tempo per decifrare i ricordi e le esperienze del chirurgo, ma intanto Rho-
Delta sarà in grado di imitarlo nei minimi dettagli.
“μεταμόρφωσις ”, ordina Rho-Delta.

In pochi secondi, i vestiti e il corpo di Rho-Delta sono diventati esattamente identici a quelli del
chirurgo, a parte l’anemia e la glicemia bassissima, cose che lo hanno fatto svenire mentre si recava
verso l’ospedale a cui era stato assegnato. Rho-Delta tocca il cadavere col pollice e comanda:

“κατάλυσις ”

In pochi secondi il corpo si liquefa, ridotto ad una poltiglia proteica. I nanomeccanismi rimasti si
divorano a vicenda senza lasciare tracce.

Rho-Delta sale sulla moto, e lascia via libera alla personalità del chirurgo. Questa sarà sicuramente
una sessione impegnativa.

Ospedale 721 Alpha

Il chirurgo infilò l’ago nella schiena del ragazzino, centrando la pleura al primo colpo, andando
completamente a occhio dato che non c’erano ecografi a disposizione. Dopo avere assicurato il
drenaggio con del nastro adesivo, lo collegò a un tubo di caucciù fregato all’officina e osservò
soddisfatto il liquido color ambra sgorgare in un secchiello. Niente sangue, niente pus, molto
probabilmente si trattava di un semplice versamento pleurico. In un ospedale decente il chirurgo
avrebbe fatto esaminare l’essudato e avrebbe dato un calmante al ragazzino prima di lasciarlo in pace
fino al giorno dopo, ma quello era tutto tranne che un ospedale decente.

“CHE HAI DA PIANGERE, CHECCA SCHIFOSA?” urlò il chirurgo al ragazzino singhiozzante,


“Qua c’è gente che sta male sul serio e tu piangi per un aghetto nella schiena?” Il ragazzino tentò di
dire qualcosa tra i singhiozzi, ma il chirurgo era già uscito dalla stanza, seguito dagli assistenti.
Rivolgendosi a uno di loro, il chirurgo disse: “tenetelo d’occhio fino a che non smette di spurgare,
levategli il drenaggio, mettetegli un cerotto e sbattetelo fuori dalle palle.” In un paio di minuti il
ragazzino era già dimenticato, il paziente successivo era un veterano sessantenne rantolante con i
polmoni bruciati. Il chirurgo gli diede appena un’occhiata: unghie blu, colorito cinereo, respirazione
di tipo Cheyne-Stokes, saturazione bassissima. Senza dire una parola il chirurgo appese il cartellino
nero sopra il lettino, quello che autorizzava gli inservienti a sbattere il moribondo in cantina in mezzo
agli altri moribondi in attesa del turno per la fossa comune. Il chirurgo era onestamente disgustato da
quel posto, ma gli ordini erano chiari: nessuno doveva pensare all’ospedale come a un posto sicuro
in cui imboscarsi, anzi finché possibile i soldati dovevano arrangiarsi in trincea e andare in ospedale
solo dopo esserci stati portati a forza. Tale politica aveva avuto successo, la grande maggioranza dei
feriti gravi e dei malati incurabili preferiva tirarsi un colpo in testa che finire in quell’inferno. In ogni
caso, non c’erano le risorse per trattare i casi gravi, che non sarebbero sopravvissuti al viaggio in
treno di due settimane verso il sanatorio.

In un paio d’ore il giro era finito, il chirurgo ne approfittò per ripassare davanti al letto del ragazzino.
Il risultato dell’intervento era soddisfacente, il drenaggio aveva fatto uscire almeno due litri di
essudato e il ragazzino respirava visibilmente meglio. Per sua fortuna era svenuto.

Di colpo si sentì un urlo di tonalità diversa da quella che si sentiva da quelle parti, accompagnato da
un ruggito animalesco. Il chirurgo ebbe appena il tempo per girarsi prima di vedere uno dei pazienti,
un giovanotto con i polmoni bruciati dal gas acido, accoltellare uno degli infermieri con un pezzo di
ferro trovato chissà dove. Il chirurgo estrasse una ridicola pistola da parata di piccolo calibro e sparò
verso il paziente riuscendo solo a centrare l’infermiere al centro della schiena. Rimangiandosi una
bestemmia, il chirurgo aggiustò la mira per quanto possibile e sparò di nuovo, portando via un
orecchio al paziente che nel frattempo si era rivolto verso di lui. Di colpo il paziente balzò in avanti
affondando il pezzo di ferro verso il collo del chirurgo, che reagì con la scioltezza data da anni di
pratica: Taijutsu uke-nagashi, il passo a 45 gradi. Piegare le ginocchia, piede destro indietro, peso del
corpo sulla punta del piede, piede sinistro segue il destro, tutto il corpo si gira di 45 gradi. L’avversario
è come un rinoceronte cerca di sfondare una porta con una carica, senza sapere che la porta è aperta.
Il soldato caricò nel punto dove il chirurgo si trovava mezzo secondo prima, e finì addosso a un
paziente appena uscito dalla sala operatoria e ancora pieno di tubi e drenaggi. Il chirurgo approfittò
del momento di tregua, afferrò il soldato per i capelli e gli fracassò la nuca usando il calcio della
pistola come un tirapugni.

Che macello!

Il chirurgo ricaricò la pistola, in un posto come quello era meglio non essere mai disarmati, e aspettò
vari minuti finché non vide arrivare Piotr, l’inserviente. Appena lo vide arrivare dovette fare uno
sforzo di volontà per non sparare anche a lui, odiava il fatto di doversi affidare a quel ritardato, ma
era l’unico di cui si potesse fidare. “Te la sei presa comoda, coglione.”, gli disse, ottenendo come
risposta solo uno sguardo fisso e un “Daaaaaaah”. Di colpo il chirurgo si sentì addosso tutta la
stanchezza e la depressione di quattordici ore di lavoro, e in ogni caso non valeva la pena discutere
con uno che aveva i segni evidenti della sindrome di Down. In un’epoca civile uno così sarebbe stato
abortito oppure sarebbe stato ospite permanente di una struttura protetta, ma in quell’epoca spaccava
ossa a comando e faceva i lavori che nessuno avrebbe voluto fare. Esausto, il chirurgo indicò i
cadaveri e gli fece segno di portarli via. Era il momento di andarsi a sedere in “ufficio”, ma prima
andò in cucina a prendersi Pavla. Aveva proprio bisogno di rilassarsi.

L’ufficio del chirurgo

Il cosiddetto “ufficio” era l’unico posto dove il chirurgo potesse avere un poco di silenzio e privacy,
era poco più di una celletta con una sedia, una scrivania e un lettino, in quel momento occupato da
Pavla.
Quella che lui chiamava Pavla era poco più di una bambina, una prigioniera di guerra, piccoletta,
bionda, esile, un corpo da ragazzina con occhi da vecchia. Non era molto contenta della sua situazione
ma era più sicura in ospedale che in un bordello militare dove avrebbe dovuto servire dozzine di
soldati al giorno. Almeno, questo era quello che pensava il chirurgo mentre la violentava furiosamente
e le sbavava sul seno appena accennato. Al chirurgo piaceva violentarla dopo averla bendata e legata
al lettino, non perché temeva che scappasse ma perché il fatto di vederla così vulnerabile lo eccitava
moltissimo. Gli piaceva anche stringerle la trachea durante lo stupro, non abbastanza da farle danni
ma abbastanza da farle capire che avrebbe potuto ucciderla senza difficoltà e che lei non avrebbe
potuto fare niente per impedirlo. Quel giorno il chirurgo era particolarmente furioso nella violenza,
la paura e l’adrenalina dello scontro col paziente lo avevano stimolato come non mai, e l’odore di
sangue, polvere da sparo e cervella si mescolava agli odori del sesso e delle lacrime di Pavla
facendogli quasi perdere la ragione. Per qualche minuto il chirurgo si dimenticò completamente della
sua vera identità, assorbito dalle sensazioni del corpo che stava indossando.

Mezz’ora dopo il chirurgo era seduto sulla sedia, ripassando il mantra contro la dissoluzione:

“Io sono Rho-Delta 217.cx


Io indosso un corpo umano
Ma io non sono quel corpo
Io sono Rho-Delta 217.cx”

Ancora una volta, si chiese perché Esperia gli stesse facendo vivere un’esperienza simile, e perché
volesse importare mostruosità del genere nella memoria collettiva. Che razza di senso aveva registrare
memorie di brutalità, violenze, stupri e tecnologie primitive in una cultura che si era lasciata tutto ciò
alle spalle da secoli? Rho-Delta estrasse l’EM, in apparenza un orologio da taschino di poco valore,
e inviò il messaggio di richiesta conferma. Ancora una volta, il messaggio rimase lo stesso:
PARAMETRI NEI LIMITI ACCETTABILI, PREGASI CONTINUARE RACCOLTA DATI.
La versione ridotta di Esperia sembrava gradire quello che stava ricevendo, anche se era troppo
semplificata per spiegargli perché. Con uno sforzo di volontà, Rho-Delta 217.cx abbandonò la propria
identità e si immerse di nuovo nella personalità aliena e rivoltante del Dr. Kowalski, medico chirurgo,
pluriomicida, stupratore, razzista, quasi impazzito per lo stress, la paura e l’autodisprezzo.

Il commissario

Quel giorno il personale aveva ricevuto l’ordine di spostare dei macchinari abbandonati da chissà
quanti anni e di liberare un capannone industriale. Nessuno aveva una vaga idea di cosa fossero quei
macchinari ormai ridotti a cumuli di ruggine, e nessuno sapeva a cosa diavolo servisse liberare un
capannone quando c’erano già edifici vuoti nelle vicinanze. In ogni caso, gli ordini erano ordini e
tutto il personale dell’ospedale si diede da fare per un lavoro inutile, trascurando malati e feriti che si
sarebbero potuti salvare. La direzione dei lavori venne gestita dal chirurgo, l’unico abbastanza istruito
da poter organizzare le cose, e dal commissario inviato dal governo, un giovane completamente pazzo
dallo sguardo fisso e dal volto scavato tipico di chi è cresciuto senza potersi mai saziare del tutto. In
un paio di minuti il chirurgo capì che si trattava di un giovane orfano cresciuto in un orfanotrofio
statale e indottrinato in maniera folle fin dalla nascita. Quello era il tipo che avrebbe violentato sua
madre se avesse ricevuto l’ordine da un superiore. Un minimo errore con lui sarebbe stata la morte
immediata. Stranamente, l’EM iniziò a vibrare discretamente all’arrivo del commissario,
evidentemente quel tipo aveva qualcosa che interessava parecchio a Esperia. Rho-Delta decise di
tenerlo sott’occhio per quanto possibile, e lasciò il controllo al chirurgo.

Nel frattempo, un inserviente stata usando un trattore per trascinare un container con dentro una pila
enorme di materiali rugginosi di dubbia utilità. Il cavo metallico usato per trainare il container vibrava
come una corda di violino, teso oltre ogni limite ragionevole, e Piotr ci stava seduto sopra tenendolo
fermo con le gambe. Se il cavo si fosse rotto sarebbe schizzato all’indietro come un elastico,
tranciando Piotr in due pezzi. Il commissario vide la scena e annuì: “Un vero soldato, fiero e
sprezzante del pericolo.” Il chirurgo annuì soddisfatto, pensando che in realtà si trattava di un povero
idiota troppo stupido per capire il rischio che stava correndo, ossia il cittadino perfetto per un regime
come quello. Per fortuna il trasporto dei macchinari avvenne senza troppi incidenti. Il chirurgo riuscì
anche a coprire un paio di cazzate combinate dai lavoratori, cazzate che avrebbero avuto conseguenze
letali col commissario in giro.

La giornata volgeva al termine e il chirurgo era tutto sommato di buon umore, alla fine il commissario
se ne sarebbe andato al diavolo senza fare troppi danni. Il chirurgo si girò per cercare di scambiare
un paio di battute, e capì di avere fatto una cazzata spaventosa. Il commissario aveva aperto i cassetti
della sua scrivania e stava frugando tra i documenti con aria nervosa, evidentemente aveva bisogno
di qualcuno a cui “fare rapporto” per fare bella figura con i suoi superiori. Il chirurgo strinse le mani
rese gelide dalla paura, bisognava trovare qualcuno da sacrificare alla sete di sangue del regime. Il
commissario prese un foglio presenze e chiese con aria falsamente indifferente: “Dottore, come mai
Anton ieri risultava nella squadra di pulizie, ma non c’è la sua firma nel registro?”
In realtà Anton era andato a fare un giretto in una fattoria vicina, niente di troppo illegale ma
comunque un’irregolarità imperdonabile per il commissario. “Non lo so”, mentì il chirurgo: “si sarà
scordato di firmare, è sempre stato un tipo distratto.”
“Bene!”, rispose il commissario facendo un’orribile imitazione di un sorriso: “Andiamo a parlargli!”
Il chirurgo iniziò a seguire il commissario verso gli alloggi dei lavoratori, chiedendo mentalmente
scusa ad Anton.

L’alloggio dei lavoratori era poco più di un canile, un cubicolo di cemento prefabbricato con dozzine
di letti allineati, una latrina in un angolo e una cucinetta nell’altro. Dormire, cagare e mangiare sotto
lo stesso tetto, questa era la vita per i lavoratori di quell’epoca. In quel momento i lavoratori erano
distesi a letto, molti di loro con i pantaloni calati e le mani impegnate nel vizio. Il chirurgo aveva
provato a sequestrare i pic-slates con i contenuti porno ma non serviva a niente, il vizio veniva
praticato lo stesso. Alla fine, il chirurgo aveva rinunciato a mantenere anche il minimo di civiltà e
umanità tra i suoi lavoratori, molti dei quali talmente bestiali da non fermarsi nemmeno nel vederlo
passare tra i letti. Anton era in fondo alla stanza, disteso sulla sua brandina, lo sguardo vuoto, la bocca
aperta e una macchia umida sul davanti dei pantaloni. Il chirurgo decise di dargli una possibilità di
cavarsela: prima che il commissario aprisse bocca il chirurgo chiese: “Anton, perché non hai firmato
dopo il turno di ieri?” Anton girò il volto bovino e iniziò a biascicare: “cazzo vuoi?” Un secondo
dopo Anton vide il commissario e andò in preda al panico facendo la cosa più stupida possibile, ossia
cercò di girarsi nella branda per dargli una calcagnata nella pancia e scappare.
L’esplosione del colpo di pistola avvenne tanto velocemente che il chirurgo rimase confuso, al punto
da non riuscire a capire cosa fosse successo prima e cosa dopo. L’attimo prima, Anton era a letto.
L’attimo dopo il commissario aveva la pistola in mano e Anton aveva un cratere sanguinolento al
posto del ginocchio. Il chirurgo fece per avvicinarsi alla gamba mutilata di Anton, forse c’era ancora
modo di salvarlo, ma il commissario gli fece segno di stare fermo, continuando a tenere la pistola
puntata. In pochi secondi l’emorragia svuotò completamente il lavoratore, tenuto sotto tiro dal
commissario fino all’ultimo. “Qui abbiamo finito”, disse il commissario prima di incamminarsi verso
l’uscita. Il chirurgo lo seguì da vicino, tenendo la mano sulla pistola nonostante nessuno dei lavoratori
apparisse minimamente interessato a cosa fosse successo.

Intermezzo

La sera, sul tardi, Rho-Delta era a letto, impegnato nell’editare le sue memorie. La sua mente aveva
una memoria fotografica, ma buona parte dei ricordi di quell’incarnazione non andavano bene per
l’upload su Esperia. In particolare, buona parte delle azioni del chirurgo apparivano senza senso per
chi non conoscesse le intricatezze della sua psiche e andavano contestualizzate.

Ad esempio, il chirurgo amava e rispettava suo padre, anche se sapeva benissimo che suo padre fosse
stato una persona orrenda, meschina e profondamente malvagia. In pratica, era combattuto tra il
desiderio di rompergli le ossa come si sarebbe meritato, e il desiderio di amarlo e rispettarlo. Tutta la
rabbia che provava verso suo padre rimaneva sotto la superficie, andando ovunque tranne dove
sarebbe dovuta andare. Ciò spiegava la sua brutalità cinica verso tutti e verso lui stesso.

In pratica, Rho-Delta usava le tecniche di yoga mentale postumano per fare quello che gli umani
facevano in maniera goffa e inefficiente con i sogni e la riflessione.

Le meditazioni di Rho-Delta vennero interrotte da un vociare e da una serie di colpi provenienti da


fuori la sua stanza. Il chirurgo se ne sarebbe fregato, ma Rho-Delta non aveva completato la
transazione e la sua compassione lo spinse ad uscire. Il tempo di alzarsi dal letto, prendere la pistola,
fare i due passi fino alla porta blindata, aprire i due chiavistelli e spalancare la porta nel buio della
notte. Subito davanti alla porta c’era Piotr raggomitolato a terra, la testa sanguinante e i vestiti
strappati. Attorno a lui, quattro soldati armati di manganello lo stavano massacrando a calci e
manganellate.

“Mongo! Sacco di merda! Questa è la volta buona che ti ammazziamo!”


Rho-Delta lanciò un urlo e sparò un paio di colpi in aria. Avrebbe potuto ammazzare i soldati senza
difficoltà, ma il chirurgo sparava malissimo e bisognava mantenere la finzione. I soldati girarono i
tacchi e scapparono.

“Spara, spara, coglione strabico! Presto o tardi ti spacchiamo il culo!”

Rho-Delta li lasciò andare, poi diede un’occhiata veloce a Piotr. Per fortuna non aveva lesioni gravi,
e i Down sono noti per guarire a una velocità incredibile, come i bambini e gli animali selvatici. Rho-
Delta, ora riassorbito dalla personalità del chirurgo, lo prese brutalmente per un braccio e lo spinse
fino alla porta del suo alloggio, una tana talmente puzzolente da togliere il respiro.

“Vai a letto, coglione. E non farti beccare di nuovo”

“Daaaaaaaaaahhhhhh”

La distilleria

La sera dopo il chirurgo decise di fare due passi in solitudine, tanto per schiarirsi la testa e allontanarsi
dalle continue immagini di morte e squallore. L’ospedale si trovava in mezzo alla campagna, in quella
che prima doveva essere stata un’azienda agricola. La notte era buia e silenziosa, anche perché il
chirurgo aveva gli occhi rovinati dalle troppe letture in ambienti bui e le orecchie rovinate da
un’infezione ignorata dai pediatri locali. Per pochi minuti il chirurgo provò pace interiore, tra quello
che percepiva come un silenzio magico, il buio della notte e gli odori della campagna.

Uno degli odori incuriosì parecchio il chirurgo: un misto di carbone ardente, metallo surriscaldato e
vapori alcoolici. Il chirurgo decise di seguire l’odore, aveva già intuito di cosa si trattasse. Pochi
minuti di camminata, e si trovò nell’edificio che era stato sgomberato pochi giorni prima, e in un altro
paio di minuti scoprì l’ingresso di un vecchio sotterraneo, chiuso e mimetizzato ad arte. Il chirurgo si
fermò un secondo per studiare il lavoro di mimetismo, un esempio da manuale di pattern disruption,
forme geometriche di colori differenti per confondere lo sguardo e fare passare le cose inosservate.
Efficace sugli umani, ma non sul cervello postumano del chirurgo. Solo una persona era in grado di
fare una cosa del genere in tutto l’ospedale, ed era Vasili, l’ex ingegnere ormai ridotto a un rottame
umano.

“Vasili, coglionazzo, lo so che sei lassotto! Apri o vengo a romperti il culo!”

“Ja pierdole, dottor Frankestein” rispose Vasili prima di aprire la botola che portava al suo rifugio.
Ne uscì una puzza chimica mista a risatacce e fetore organico, cose che confermarono quello che il
chirurgo sospettava. Il chirurgo e l’ingegnere scesero nel rifugio, una cantina spoglia di tutto a parte
una pentolona a pressione piena di poltiglia ribollente. Tre soldati si davano da fare attorno a un
apparato di distillazione che stava estraendo un liquido torbido dalla pentola. L’unica luce era data
dai carboni ardenti sotto la pentola, la puzza di aria viziata, distillato chimico, corpi non lavati e
vomito era insopportabile.

“Cosa avete usato per la base?”

“Quello che c’era”, rispose Vasili, “patate fermentate, pane vecchio, mele mezze marcite, acqua di
torrente, un poco di biodiesel agricolo”

“Siete pazzi”, commentò il chirurgo. “morirete se berrete quella brodaglia. Non ho modo per testare
se avete fatto alcool etilico o metanolo.”

“Non si preoccupi, dottore!”, rispose uno dei soldati, un deficiente di nome Sergey “prima di berla
la facciamo provare a lui, se domattina è ancora vivo allora è buona!”

“Lui chi?”, chiese il chirurgo prima di notare il corpo esanime e coperto di vomito di Piotr,
abbandonato in un angolo.

“Va bene”, disse il chirurgo, “ma i patti sono chiari: cinque litri di quella roba vanno a me, farà
anche schifo, ma come antisettico va abbastanza bene.”

“Si, antisettico”, sghignazzò Sergey. Vasili gli fece segno di starsi zitto e annuì. Il chirurgo girò i
tacchi e se ne tornò nel suo alloggio.

Intermezzo II

Nei momenti di pausa Rho-Delta effettuava la cernita dei ricordi e delle esperienze del chirurgo,
estraendone le parti salienti da presentare come “riassunto” a Esperia. Alcuni di quei ricordi erano
talmente coperti di emozioni e di significati da pesare tremendamente sulla coscienza del chirurgo,
per quanto fossero cose ormai passate da anni. Rho-Delta approssimava che una buona meta’ del
tempo del chirurgo fosse passato a reprimere memorie troppo dolorose per essere catalogate come
semplici avvenimenti. Una di queste memorie era particolarmente dolorosa:

Il chirurgo prestava servizio alla scuola femminile, la sua posizione sociale e la sua provenienza da
una buona famiglia gli rendevano ufficiosamente obbligatorio il servizio. Una mattina, stava
spiegando alle ragazzine il concetto di verginità, e quali atti ne causassero la perdita con tutte le
conseguenze orribili per una ragazza “perduta” e “disonorata”. La lezione andava abbastanza bene,
quando una ragazzina al primo banco decise di chiedere se una ragazza risultava disonorata anche se
fosse stata costretta al rapporto. Le altre ragazzine iniziarono a strillare e a ridere come bambine,
mentre il chirurgo rimaneva congelato. Alla domanda su chi fosse stato, la ragazzina iniziò a
rispondere “mio padre” prima di essere zittita con un violentissimo schiaffo dal chirurgo. “Come ti
permetti di insultare così il nome di tuo padre?” urlò il chirurgo in preda al panico: “tuo padre è una
persona importantissima, un signore!” In realtà, il chirurgo era terrorizzato dal potere della sua
famiglia, ma non poteva dirlo. Se una cosa del genere fosse venuta allo scoperto il chirurgo avrebbe
passato un brutto quarto d’ora e il padre non sarebbe mai stato punito. Anzi, la ragazzina avrebbe
sofferto ancora peggio per la reazione dei suoi familiari. Era meglio così, si ripeteva il chirurgo.

Vari anni dopo, il padre portò la ragazzina al pronto soccorso. Quell’uomo era enorme, spaventoso,
coperto di stoffe pregiate, oro e arroganza violenta. La folla di servi e guardie del corpo che si portava
dietro fece sfollare il pronto soccorso, una ragazza di buona famiglia non poteva certo essere curata
insieme ai comuni mortali. Tempo un paio di minuti e il chirurgo capì che non c’era niente da fare, la
ragazzina era stata immobilizzata e costretta a fare una cosa innominabile fino a che non era svenuta
per l’ipossia. La ragazzina si sarebbe potuta salvare, se non fosse stata tenuta per anni in condizioni
disumane: deperimento organico, atrofia muscolare, la pelle di quel rivoltante colore verdastro tipico
di chi è stato rinchiuso a lungo al buio con alimentazione inadeguata. Intanto, il padre urlava:
“MEDICO DI MERDA! PEZZENTE! INUTILE! CHE PERDI TEMPO A GUARDARLA? FALLE LA
RESPIRAZIONE ARTIFICIALE! CHE ASPETTI?”
Ubbidiente, il chirurgo passò un’ora a tentare la respirazione artificiale su un cadavere. Alla fine, si
fermò per puro sfinimento, per un attimo con la speranza che il padre potesse essere punito, che il
mondo non fosse un posto completamente orribile, malvagio e pazzo come sembrava che fosse.
Il primario, un vecchio sbavante e completamente rincoglionito, diede appena un’occhiata al cadavere
e firmò il certificato di morte con “respirazione artificiale eseguita in modo inadeguato” come causa.
Il chirurgo non ebbe neanche il tempo di dire qualcosa prima che una guardia lo mandasse al tappeto
con un pugno.

Il mattino dopo, il chirurgo era davanti alla scrivania di un ufficiale dell’Esercito. La sua famiglia
aveva chiesto un paio di favori ed era riuscita a fare sì che la condanna fosse commutata in un
arruolamento volontario come medico di guerra in un ospedale lontano dal fronte. Il chirurgo se ne
fregava altamente, quel giorno aveva perso completamente l’autostima e la voglia di vivere. Di
nascosto, aveva smesso di prendere insulina, ferritina e metformina. La settimana dopo era partito
verso l’ospedale numero 721 Alpha, sperando di non arrivare vivo a destinazione.

Vasili l’ingegnere

Quando c’era tempo per farlo, Rho-Delta amava discutere con Vasili l’ingegnere, facendo una cosa
molto, molto rischiosa: gli spiegava la storia della Quiete di Olam e registrava le sue reazioni. Quei
dialoghi sarebbero stati una serie di indizi sulle reazioni che ci si sarebbe aspettati durante un incontro.
Tale strategia era rischiosa, ma era un rischio calcolato: nessuno capiva bene il polacco-giavanese
dell’ingegnere, la sua unità non sarebbe più passata a riprenderselo e lui non sarebbe vissuto a lungo.
Fibrosi polmonare e ispessimento pleurico, capacità polmonare del ventuno per cento. In pratica,
come vivere tutto il tempo con un bavaglio bagnato attorno a naso e bocca. Una condanna a morte,
lenta e orribile.

“Quindi, come mai vi siete chiamati Quiete?” chiese l’ingegnere


“Perché’ ormai siamo avanzati talmente tanto che non abbiamo più bisogno di niente. La realtà
virtuale ha tutto quello che vuoi. Vuoi vedere un posto? Ci sono registrazioni di miliardi di posti da
visitare. Vuoi crearti un posto di tuo gusto? Te lo crei. Ogni esperienza, ogni piacere, è tutto a tua
disposizione con un pensiero.”
“Non avete bisogno di lavorare per vivere?”
“No, a che serve? La rete di computer funziona da sola e si ripara da sola. L’energia geotermica
andrà avanti per un altro milione di anni. Non abbiamo più bisogno di niente.”
“Geotermica?”
“Vulcani.”
“Ah.”

L’ingegnere rimane in silenzio qualche minuto, non riesce a capire se sta veramente parlando con un
alieno o se il chirurgo non sia semplicemente ammattito. In ogni caso, non ha altro di meglio da fare
che starlo a sentire.

“Non capisco, non avete voglia di esplorare l’universo? Che state a fare tutto il giorno sepolti
sottoterra come cadaveri?”
“Che bisogno abbiamo di esplorare l’universo?” rispose il chirurgo: “abbiamo una realtà virtuale
talmente grande che ci metteremmo milioni di anni per esplorarla tutta. Anche volendo, non possiamo
andarcene.”
“In che senso? Potenti come siete, e non sapete costruire le astronavi?”
“Per costruirle le sappiamo costruire. Il problema è che i motori interstellari non funzionano più!”
“Nel senso che non sapete più come costruirli?”
“No, nel senso che li possiamo costruire, ma non funzionano! Gli stessi motori che ci hanno portato
su Olam, adesso non funzionano più! È come se non avessero mai funzionato!”
“Avanti, non dirmi che le leggi della fisica sono cambiate nel frattempo!”
“Non lo sappiamo. È il nostro unico dubbio. L’unico modo che abbiamo per viaggiare attraverso lo
spazio e il tempo e lo Howitzer, e nessuno ha idea di come funzioni davvero.”
L’ingegnere rimane di nuovo in silenzio, per un tecnico come lui l’idea di leggi della fisica che
cambino è follia pura, totale. Alla fine, decide di cambiare argomento:

“Quindi voi passate tutto il giorno sepolti sottoterra, e avete dei telecomandi con cui comandate dei
corpi robot, giusto?”
“Bene o male è così, ma il collegamento ci permette di vedere, sentire e provare tutto quello che il
corpo robot prova. Alcuni fanno impiantare il proprio cervello in un corpo robotico, molto più
efficiente dei corpi telecomandati. La cosa buona del telecomando è che non c’è bisogno di fare
viaggiare il corpo telecomandato. Se devi fare qualcosa in un posto prendi il comando di un corpo
che si trova da quelle parti. Quando hai finito lo lasci al prossimo che lo vuole usare.”
“A me sembra che tu abbia un corpo umano.”
“Si, io sono uno di quelli rimasti in un corpo umano, proprio per potere usare lo Howitzer e vedere
cose nuove. Molti hanno rinunciato al corpo e vivono permanentemente nella realtà virtuale.”

Un rumore di piatti fece capire ai due che il loro dialogo stava per essere interrotto. L’ingegnere
decise di fare la domanda che gli premeva dentro da ore:
“Ma, Dio?”
“Dio?”
“Si, mi hai ammorbato per ore con la tua civiltà paradisiaca, ma non hai parlato di Dio.”
“E che c’entra Dio con questo?”
“Come che c’entra? Sei pazzo? Come fa un popolo a vivere senza Dio? Come fate a non ammazzarvi
e rapinarvi tutti a vicenda? Da cosa la prendete la moralità? Dalla vostra realtà virtuale?”
“A dire il vero, si. Abbiamo un sistema di democrazia diretta che tende al bene collettivo. Sono secoli
che non ci sono più atti di violenza.”
“Non ci si può comportare in maniera morale senza la guida di Dio.”
“Veramente lo hanno fatto in tanti. Se è per questo, ci sono state tante persone immorali che avevano
un Dio.”
“Tutte stronzate.” esalò l’ingegnere completamente privo di fiato. “Queste sono solo allucinazioni e
anche se fossero vere voi non siete più umani e vi meritate di essere sterminati dal primo all’ultimo.”
“Gli Olam ci hanno salvato la vita, eppure non avevano dei”, rispose il chirurgo prima di rendersi
conto del fatto che l’ingegnere non lo ascoltava più. Sicuramente avrebbe rimosso dalla memoria i
momenti del dialogo in cui il chirurgo aveva ragione e si sarebbe ricordato lui che pronunciava le sue
invettive religiose e il chirurgo silenzioso o balbettante. Tanto valeva andarsene.

Incidente

Il chirurgo si svegliò con un tremendo mal di testa. Gli ultimi tre giorni erano stati un vero inferno.
Era capitato qualcosa di brutto nel rifugio di Vasili, e ovviamente era lui a pagarne le conseguenze.
Nessuno sapeva esattamente cosa fosse successo, a parte il fatto che il rifugio era crollato, la distilleria
clandestina esplosa e che qualcosa aveva scatenato una rissa feroce tra i soldati scampati al crollo. Il
chirurgo aveva coordinato i soccorsi, dando ordini ai soldati in convalescenza e agli infermieri,
cercando di tirare fuori i sopravvissuti dalle macerie fumanti e di salvare quei pochi che si potevano
salvare. Piotr, ubbidiente come al solito, aveva tenuto fermi i feriti troppo gravi mentre il chirurgo gli
somministrava un’iniezione letale, non c’era modo di curarli e le loro urla disperate avrebbero fatto
crollare il morale degli altri.

Nonostante tutto, il chirurgo era ancora intenzionato a fare tutto il possibile per salvare i salvabili e
calmare le sofferenze di chi non si poteva salvare. Rho-Delta era sinceramente ammirato dalla sua
resistenza e umanità, per quanto orribili fossero le sue condizioni di vita e per quanto fosse
psicologicamente danneggiato.
Il tempo di vestirsi, uscire dall’alloggio, ingoiare una tazza di caffeina presa dalle mani tremanti di
Pavla, e la giornata ebbe inizio. Immediatamente arrivarono una dozzina di assistenti, quasi tutti
rincoglioniti dal sonno, ognuno dei quali con un rapporto importantissimo e prioritario. Il chirurgo
fece una cernita velocissima, per buona parte dei sopravvissuti non c’era niente da fare. Alcuni
avevano il torace schiacciato, altri erano pieni di ustioni, altri avevano ricevuto coltellate o bastonate
inflitte con intento omicida. L’unico che sembrava in grado di riprendersi era quel deficiente di
Sergey, chissà perché le infermiere erano sempre gentilissime con lui e lo coccolavano come un
bambino, trascurando gli altri pazienti. Più tardi sarebbe stato necessario scambiare due parole con
loro. Intanto, bisognava fare il giro di visite. Il primo paziente aveva ricevuto ustioni bruttissime sulle
braccia, forse si trovava vicino alla pentola quando era esplosa. In un centro medico decente si sarebbe
potuto salvare, ma non c’era modo di farcelo arrivare in tempo. Le sue condizioni erano peggiorate
moltissimo e le sue speranze di sopravvivenza erano a zero.

“Oramorph-B”, ordinò il chirurgo. In codice, ingozzarlo di solfato di morfina e farlo morire senza
troppe sofferenze.

Il chirurgo notò appena il commissario, silenzioso come un’ombra. Oziosamente, si chiese se


quell’uomo avesse mai bisogno di dormire o riposare, gli era stato dietro per tre giorni senza
interruzione. Per fortuna era stato zitto e aveva tenuto le mani a posto, quindi per quanto gli importava
poteva stargli dietro fino alla fine della guerra.

La resa dei conti

Il giro di visite era quasi finito, mancava solo scambiare due chiacchere con Sergey e mandarlo in
convalescenza.
Incredibilmente, il commissario si era seduto su una cassetta di munizioni nella stanza di Sergey e
stava conversando amabilmente con lui, quasi come se fosse stato un essere umano e non una belva
assetata di sangue. Il chirurgo si avvicinò incuriosito, e sentì il commissario chiedere: “Che cosa farai
dopo il congedo, Sergey?” Sergey sorrise e rispose debolmente: “Voglio pagare il mio debito verso la
patria, e poi tornare a casa e prendere in gestione l’azienda agricola di mio padre. Ho trascurato i
miei doveri, ma ora voglio diventare una persona rispettabile, avere una famiglia, degli amici, delle
persone che lavorino per me, voglio rendere questo mondo un posto migliore.” Il commissario annuì,
soddisfatto e rispose: “Sono orgoglioso di te, Sergey. Sentiamo cosa ne dice il chirurgo.” Sergey iniziò
a dire qualcosa, ma il commissario tirò fuori la pistola e gli sparò dritto nella tempia, riducendo metà
del suo cranio a una poltiglia molliccia.

Per un attimo ci fu solo silenzio, interrotto dal respiro ansante del chirurgo. Quello che era successo
era semplicemente troppo, il chirurgo decise che non avrebbe potuto tollerare gli eccessi di quel pazzo
assassino. Il chirurgo fece per estrarre la pistola, ma il commissario era troppo veloce, con un
movimento aggraziato si era già alzato in piedi muovendosi accanto a lui e tenendolo sotto tiro.

Il corpo di Sergey si alzò in piedi, muovendosi a spasmi e scatti simili a quelli di un insetto,
scoordinato ma letale. Un secondo proiettile gli aprì un buco nel centro dello sterno, ma Sergey non
sembrò neanche sentirlo mentre alzava le mani enormemente gonfie e artigliate e balzava verso il
commissario. Un terzo colpo di pistola lo centrò nel pomo di Adamo, un colpo incredibilmente preciso
che uccise Sergey di colpo, lasciandolo inerte come un sacco vuoto. Il corpo si accasciò su sé stesso
senza neanche un gemito.
Il chirurgo cercò di dire qualcosa, qualunque cosa, ma il commissario iniziò a parlare.
Immediatamente, il chirurgo capì che non stava parlando con lui, ma stava recitando una lezione che
aveva sentito chissà quanti anni prima alla Scholam.
“Il parassita si è appropriato dell’ospite e ha iniziato a cambiarlo in maniera sottile ed elegante,
rendendolo più forte, più intelligente e più carismatico. Il cambiamento avviene anche dal punto di
vista psicologico, il soggetto diventa più calmo, meno emotivo, più razionale, e prova un desiderio
istintivo di riprodursi e di diventare una figura di spicco nella comunità.” Il commissario indicò il
tentacolo senza vita che stava uscendo lentamente dalla ferita nella gola del giovane, e continuò con
un tono cattedratico completamente diverso dal suo eloquio normale: “In questo stato, il parassita è
ancora vulnerabile e cerca di rimanere nascosto. Il parassita inizierà ad infettare altri soggetti solo
molti anni dopo l’infestazione, quando l’ospite sarà diventato una persona importante e rispettata.”

Un momento di silenzio, e il commissario riprese la sua voce usuale: “Dottore, raccolga tutte le donne
in età fertile che lavorano in questo edificio e le faccia mettere in fila in corridoio, ma fuori vista.
Voglio mostrare il cadavere a tutte, una alla volta. Se una cerca di scappare, sparate per uccidere.”

“Agli ordini.”

Pochi minuti dopo, tutte le infermiere, le inservienti e le operaie erano allineate fuori dalla stanza,
circondate dai pochi inservienti di cui ci si potesse fidare. La prima a entrare nella stanza di Sergey
fu Pavla, il suo sguardo spento passò sul cadavere senza alcuna reazione visibile. Il commissario fece
segno di mandarla via. La stessa cosa avvenne con altre tre donne, ma quella successiva, una
infermiera giovane e formosa di nome Androula, iniziò a strillare e a strapparsi i capelli alla vista del
corpo. In meno di un secondo la donna era morta, un foro di proiettile in fronte e un altro nel basso
ventre. Il commissario riprese a recitare, cattedratico: “Una delle strategie tipiche del parassita
include lo spingere l’ospite all’accoppiamento e alla riproduzione. I miglioramenti biologici causati
dall’azione del parassita rendono il soggetto particolarmente carismatico e piacente, rendendogli
facile l’approccio. I figli dell’ospite saranno apparentemente umani, ma possiederanno una memoria
razziale e una lealtà incrollabile verso i parassiti e i loro ospiti. Tali individui saranno gli agenti dei
parassiti nella società umana, e andranno eliminati senza pietà. A tale fine, bisogna ricordarsi che
non si deve esprimere un giudizio morale verso di loro o verso i parassiti. Essi agiscono in base
all’imperativo della sopravvivenza, ossia lo stesso imperativo che guida umani, post umani e tutto
l’Imperium.”

Il commissario finì l’esposizione, riprese la sua espressione normale ed estrasse un piccolo vox dalla
tasca del giaccone, attivandolo con un tocco. “È stato un onore servire”, furono le sue ultime parole
prima di spararsi nella tempia.

Il chirurgo, istupidito dallo shock, impiegò qualche secondo per ricostruire l’accaduto.

Attività confermata di parassiti.

Un segnale vox.

Il commissario che si spara in testa.

Escissione.

In pochi minuti l’artiglieria pesante avrebbe distrutto l’ospedale e tutta l’area nel giro di un
chilometro.

Poi sarebbe arrivato il napalm.

Poi le squadre di automi armate di lanciafiamme.


Niente di vivo sarebbe uscito dalla zona.

Il resto del mondo sarebbe sopravvissuto.

In tempi simili, non ci si può permettere il lusso della moralità. Chi sopravvive facendo qualcosa di
immorale potrà fare penitenza. Chi non sopravvive non ha questa possibilità.

Il chirurgo attivò istantaneamente l’Howitzer, salvandosi per pochi secondi.

Epilogo

Rho-Delta 217.cx scende dal podio di Esperia, la sua narrazione è stata appena condivisa dai milioni
di post umani connessi in tempo reale. Per pochi secondi, Rho-Delta è stato importantissimo, una
fonte di nuove esperienze. Il tempo è stato consolidato, le esperienze di Rho-Delta hanno arricchito
le conoscenze di Esperia.

Con un sospiro di sollievo, Rho-Delta 217.cx effettua un exload e cancella la personalità del chirurgo
dal suo cervello postumano. Finalmente libero, Rho-Delta può autorizzare il collegamento a Esperia.
La sua coscienza entra immediatamente in rete, mentre il suo corpo viene riportato nella cripta per
essere riparato, ringiovanito e custodito.

Il dibattito che segue su Esperia è uno scambio fittissimo di pensieri, pochi secondi in cui vengono
espressi più concetti di quanti se ne potrebbero esporre in decenni di conversazione normale. Da molti
anni nessuna esperienza generava un interesse simile e ogni attimo ne viene analizzato fino ai minimi
dettagli. Alcuni disapprovano Rho-Delta 217.cx per essersi immerso così profondamente nel mondo
di destinazione, altri lodano la quantità di esperienze e di dati che ha portato con sé. Più avanti il
consenso deciderà cosa fare con lui.

“La pistola del commissario non corrisponde a nessun’arma da fuoco mai prodotta o progettata nella
storia dell’umanità.”
“Quei cosiddetti parassiti non hanno riscontro nella storia e sono biologicamente inverosimili.”
“Il livello tecnologico e sociale corrisponde generalmente alla seconda guerra mondiale, ma ci sono
molti dettagli incongrui.”
“Quei soldati erano etnicamente slavi, ma avevano alcuni tratti indo-giavanesi. Non ci sono rapporti
di incroci tra i due gruppi etnici.”
“Le costellazioni non erano terrestri, e non corrispondono nemmeno a quelle di Olam.”
“IPOTESI NON CONFERMATA: Si trattava di umani terrestri che hanno raggiunto il viaggio
interstellare, ma sono regrediti tecnologicamente e culturalmente per motivi sconosciuti.”
“PROPOSTA: Interrompere immediatamente i viaggi. MOTIVAZIONE: Gli umani incontrati finora
risultano belligeranti, aggressivi e dotati di tecnologia sufficientemente avanzata da causare gravi
danni alla Quiete considerando la loro superiorità numerica. Si consiglia di non attrarre la loro
attenzione.”
“RISPOSTA: Proposta rifiutata dal consenso generale.”
“IPOTESI NON CONFERMATA: Il viaggio ha portato Rho-Delta 217.cx in un’altra realtà/ una
narrazione di fantasia/ un luogo dove l’umanità si è evoluta in una forma particolarmente
belligerante causa condizioni di vita particolarmente difficili.”
“PROPOSTA: Prepararsi a un contatto con tale iterazione umana. A tale scopo, si consiglia di
incrementare numericamente la popolazione per aumentare la potenza militare della Quiete”
“RISPOSTA: Proposta rifiutata dal consenso generale. Tale incremento richiederebbe la
diminuzione della bandwidth e del processing power assegnato ad ogni cittadino, con conseguente
diminuzione della qualità della vita dei cittadini.”
“REITERAZIONE: Fare crescere un cittadino fino all’integrazione completa nella rete richiede
decenni. In caso di assalto, la Quiete soffrirebbe di una grave inferiorità numerica.”
“RISPOSTA: Tale scelta porterebbe a un danno certo a tutta la Quiete per scongiurare una
minaccia solo ipotetica. Proposta rifiutata dal consenso generale.”

(…)
(…)
(…)

“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur “

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