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Santo Peli Storie di Sy SUE te he EINAUDI [i Hinaudi Storia ie I primo vero resoconto stoi patriottica» nella Ke: Warchivio no complesse o dei Gap. i «Grupp ai: partendo da doc Peli rieostrui n fenome- oe storiografia 2 dun hate i Gap ecm Gap, component CUPELIO UT post nesistenziale Due ragioni spiegano tale battono secondo be medalita classiche ¢ mirate di simgoli individui econ a ganizzati ¢ diretti dal Partito comuni: Rhesisten: rrbemite be altire: fe percep con Lecisiontt tall’ dumque restand en rnc repo tes point que in prevaleriza J analemi con virulenza che sulla Resistenza in get ine collettiva, aleuni det pit intricati modi politic’ ed etici della botta resistenziale mes- si in evidenza a. a del terrorismo urbane comtine ancor gi. ad essere schiacciali tra deprecazioni calunniose ¢ acnitiche esaltazio- ni. che presemndono da una reale conosecnza det fatti. Per la prima ve origini, sviluppo, difficolta, suwecessie fallimenti dei Gap vergore anali zati nell unico contesto che lirende comprensibili, nella storia della Re ua. Le condizion: esistenziali ¢ materiali nelle quali i Gap agi edi cui dispongone, la difficile decisione di wecidere a sat doe idiversi medi in cui si pongene il problema delle rappresaglic, tortura, della me nite dal mite ¢ dalla dere liquidatoria. irante edo- nakeioni partis Curb: escono final dowa. to La Resistenze in Italia. Storia e critica (2004 Storia della Resistence in Italia (2006 arto Peli bia ine all Univers: Per Einaudi ty Sloria conbemporanes SBN 978 A866 22286-7 € 30.00 a 1 i © 2014 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino www.einaudi.it ISBN 978-88-06-22285-7 Santo Peli Storie di Gap Terrorismo urbano e Resistenza Giulio Einaudi editore Indice p. vit Elenco delle abbreviazioni Storie di Gap 3 Introduzione Parte prima 1. Nascita dei Gap a2 Creare un’atmosfera di guerra 26 «La costituzione dei Gap fu voluta ed attuata solo dal partito comunista» a9 «Fare del nostro partito il fattore predominante» 34 Difficili esordi della lotta armata 2B «Siamo in quattro o cinque» 53 «Ma perché siamo cosi pochi?» 54 «E difficile - mi disse - uccidere a sangue freddo un uomo che non si conosce» u. La prima fase: dicembre 1943 -maggio 1944 63 I primi attentati oa Gino Gobbi: Firenze, 1° dicembre 1943 5 «Ci premeva soprattutto incoraggiare alla ribellione i giovani» 79 Aldo Resega: Milano, 18 dicembre 1943 80 Italo Ingaramo: Firenze, 29 aprile 1944 82 Inafferrabili? 89 «Gentile portava male i suoi 67 anni, mi sembrava mio nonno» 95 Camillo Nicolini Santamaria: Milano, 3 febbraio 1944 98 Sesto San Giovanni, Casa del fascio, x0 febbraio 1944 tor Genova, gennaio 1944 tor Torino, maggio 1944 109 114 124 131 135 141 145 157 166 17t 183 188 195 203 207 214 218 225 231 233 239 244 256 260 264 271 Ol. Iv. Vv VIL vil. Indice . L’ora delle «grandi masse» Gap e scioperi Nascita e sviluppo delle Sap La «giornata delle spie» . Dall’estate alla primavera. La seconda fase «In montagna, piano piano, sono tornata a vivere» Crisi, ripresa, ancora crisi Il canto del cigno La solitudine di Visone «Non si fa terrorismo senza rischiare di colpire anche degli innocenti» «Milano era in macerie ed era pelata» La brigata Balilla Parte seconda . Gappismo all’emiliana «Duecentocinquanta ciclisti armati, nella notte» Gappisti di campagna La battaglia di porta Lame Quelli di Bulow «L’era propi lo’ ch’a zarchéva» . La tortura «Sotto un incubo di terrore» «Sotto le torture non era facile essere muti» «E se non resistessi a tutto questo?» «Al di sopra di tutto, di noi stessi, vi é la vita del Partito» . Violando le regole Capodanno 1943 «Una cosa talmente anormale» «I Gap erano veramente soli, proprio soli» «Mi ripugnava l’idea di essere pagato per fare il partigiano» Gap, rappresaglie e guerra di Liberazione Un archetipo: le Fosse Ardeatine «Incoraggiate i deboli, insegnate loro come si deve morire» «Decisi ad ogni costo a liberarle, siamo penetrati nel carcere» Indice dei nomi Elenco delle abbreviazioni ACS ACS, MI, DGPS Alnsmli Alsec Alsrt Alstoreto Alvsr ASM IG, APC, DN 1G, BG Archivio centrale dello Stato, Roma Archivio centrale dello Stato, ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica sicurezza Archivio dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia, Milano Archivio dell’Istituto di Storia e dell’et& contempo- ranea, Sesto San Giovanni (Mi) Archivio dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana, Firenze Archivio dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza, Torino Archivio dell’ Istituto veneto per la storia della Resi- stenza Archivio di Stato di Milano Fondazione Istituto Gramsci, Archivio del Partito comunista, Direzione Nord, Roma Fondazione Istituto Gramsci, Archivio delle Brigate Garibaldi Storie di Gap A lla, la fata Introduzione Dalle belle citta date al nemico fuggimmo un di su per ’aride montagne cercando libertad tra rupe ¢ rupe contro la schiavitt del suol tradito. In questa canzone partigiana, cosi come in quelle pid diffuse, la scelta di combattere per la Liberazione coincide con I’ascesa ai monti, gesto definitivo e catartico, ingresso in una nuova vita co- munitaria, fatta di «stenti e di patimenti», e perd anche ricca spe- rimentazione di una rinnovata dimensione esistenziale e politica. La guerra partigiana che abbiamo scolpita nella memoria ha co- me teatro privilegiato la montagna, da sempre «patria del ribelle», perché If ’asprezza della natura diventa alleata preziosa, indispen- sabile risorsa per compensare la grande sproporzione di forze che caratterizza le guerre di liberazione, per definizione asimmetri- che. Quando possenti eserciti regolari combattono contro guer- riglieri approssimativamente armati e ancor peggio addestrati, la sproporzione pud essere in parte compensata solo dalla scelta di un terreno favorevole, da una tattica «mordi e fuggi» e da un di pit di coraggio e di nobili motivazioni. Quella che sara la narrazione epi- ca della guerra partigiana trova in questa sproporzione, nella mor- tale battaglia fra Davide e Golia, una componente indispensabile. Nell’immaginario della mia generazione, che si é nutrito di que- ste canzoni, e ancor piti delle opere dei grandi romanzieri-partigiani (Fenoglio, Calvino e Meneghello sopra tutti), «le bell al nemico» restano sullo sfondo, lontane dai luoghi mi guerreggia, sfocate, possedute da un nemico feroce e incontrasta- to. Le citta sono soprattutto il luogo della fame, del mercato ne- ro, delle retate improvvise, delle deportazioni di ebrei e operai, dei bombardamenti. Nel quadro generale della Resistenza le citta entrano con qualche rilievo specialmente in due occasioni: i gran- di scioperi del marzo 1944 e le giornate insurrezionali, quando le maggiori formazioni partigiane scendono ad anticipare gli Alleati, ormai dilaganti nella pianura padana. 4 Introduzione Eppure, é nelle citta che si trova la direzione politico-militare della guerra di Liberazione: da li partono soldi, armi e quadri in- dispensabili allo sviluppo delle bande, alla loro graduale trasfor- mazione in brigate e divisioni. In particolare é lf, negli attentati gappisti, che quella guerra trova i suoi primi atti concreti. Il lungo e laborioso processo che sfocera in una guerra partigia- na dalle proporzioni pit che ragguardevoli, per tutta la prima fase @ caratterizzato da battaglie difensive, da rastrellamenti disastrosi, da incertezze sul modello di guerra da adottare, da forti divisioni tra i maggiori partiti antifascisti. Per cinque-sei mesi, sono i pochi gappisti che operano in citta a dimostrare che la Rsi non é in grado di proteggere nemmeno i suoi maggiori esponenti, e che si possono attaccare i temutissimi soldati tedeschi. Le loro imprese sul piano strettamente militare sono pic- cola cosa, non c’é dubbio, ma sul piano simbolico la rottura dell’ or- dine nazifascista parte soprattutto da qui. Eppure, i Gruppi di azione patriottica, componente esigua ma rilevante del movimento di resistenza, occupano un posto tutto sommato marginale nella memoria collettiva, come anche nella sto- riografia della Resistenza. Senza le ricorrenti polemiche connesse alla strage delle Fosse Ardeatine, ¢ le mai sopite deprecazioni del «delitto Gentile», dei gappisti si sarebbe forse persa la memoria. Spiegare, pur in modo sommario, questa marginalita, richiede- rebbe di immergersi nell’ analisi delle varie fasi che hanno caratte- rizzato la storiografia, e gli intricati nessi tra ricerca storica, fasi politiche e memoria pubblica della Resistenza'. Qui bastera qualche cenno alle due questioni che piti hanno contribuito a confinare la vicenda dei Gap in un cono d’ombra, e che molto schematicamente possono essere cosi sintetizzate: i gappisti combattono secondo le modalita classiche del terrorismo, cioé sia con uccisioni mirate di singoli individui sia con attentati dinamitardi; inoltre, i Gap sono organizzati e diretti dal Pci, e dunque restano, durante la Resisten- zae anche nei decenni successivi, connotati politicamente in modo * Tra le poche riflessioni storiografiche in senso proprio sui Gap, cfr. C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralita nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991, PP. 493-505; M. Giovana, I Gruppi di azione patriottica: caratteri e sviluppi di uno strumen- to di guerviglia partigiana, in P. P. Poggio e B. Micheletti (a cura di), La guerra partigiana in Italia e in Europa, in «Annali Fondazione Luigi Micheletti», n. 5, Brescia 1998, pp. 201- 215; S. Peli, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Einaudi, Torino 2004, pp. 259-68 e Id., 1 Gruppi di azione patriottica, in M. Isnenghi (a cura di), Gli italiani in guerra. Conflitti, identita, memorie dal Risorgimento ai nostri giorni, Utet, Torino 2008, vol. III, tomo II, pp. 369-75. Sui nessi che s'intrecciano fra storiografia e memoria pubblica della Resistenza, cfr. gli atti del recente convegno torinese pubblicati a cura di A. Agosti e C. Colombini, Resistenza e autobiografia della nazione. Uso pubblico, rappresentazione, memoria, Edizioni Seb 27, Torino 2012. Introduzione 5 molto pid marcato di quanto accada per tutte le altre formazioni partigiane, che progressivamente subiscono un parziale processo di fusione nel Corpo Volontari della Liberta (Cvi). Per quanto riguarda la prima questione, cioé i problemi con- x nessi alle tecniche di combattimento specifiche dei Gap, le loro modalita operative non possono che essere assimilate a pratiche terroristiche, cosa del resto ovvia e ammessa senza remore dai di- retti protagonisti, e dalla direzione unitaria della guerra partigia- na incarnata dal Comando generale del Cvl, che definisce i Gap «formazioni di pochi uomini aventi per compito |’azione terrori- stica contro i nemici e i traditori, azioni di sabotaggio contro le vie di comunicazione, i depositi del nemico ecc.»?. Anche Claudio Pavone, nel suo fondamentale saggio sulla moralita nella Resisten- za, sottolinea che «le parole “terrore” e “terrorismo” si trovano usate promiscuamente nelle fonti resistenziali, senza inibizioni e senza gli echi oggi suscitati dalle vicende italiane e internazionali degli ultimi due decenni»’. Tutto cid é documentabile ed é vero che la pratica del terrorismo comporta forme di lotta assai lontane dall’immagine tradizionale , del guerriero che combatte «a viso aperto». Che anche la guerra partigiana in montagna sia di necessita combattuta con un susse- guirsi di imboscate, di agguati e precipitose ritirate, poco importa; in montagna si fa vita collettiva, si dibatte, si scrivono giornaletti, si sperimentano nuove forme di partecipazione alle decisioni. Le bande partigiane, almeno tendenzialmente «microcosmo di demo- crazia diretta», sono aperte a tutti, a prescindere dalle adesioni a un partito (e del resto all’inizio sono ben pochi i partigiani con una sufficiente alfabetizzazione politica). Nulla di tutto cid pud accadere nell’organizzazione e nella pratica della lotta armata in citta: né lo consentono le regole della clandestinita e la stretta di- pendenza dal Partito comunista. A differenza di quanto accade in montagna, il «valor guerrie- ro» di un gappista non si misura dalla resistenza fisica alle marce e alle privazioni, dal coraggio che mostra sfidando i proiettili ne- mici in battaglia. II guerrigliero di citta si applica allo studio me- todico delle abitudini dell’avversario da colpire: pit che lo slancio ardimentoso gli serve sangue freddo e la resistenza alla tensione nervosa per le attese, per la prospettiva della tortura, per la solitu- 2 Clr. G. Rochat (a cura di), Atti del Comando generale del Corpo Volontari della Li- hertd: yiugno ro4g aprile 1945, Franco Angeli, Milano 1972, p. 252 CG. Pavone, Una guerra civile cit., p. 495. 6 Introduzione dine. Bersaglio degli attentati sono le truppe tedesche e i gerarchi della Rsi, le spie e i collaborazionisti: piti che sul campo di batta- glia, i nemici vengono colpiti mentre sono al cinema, al ristorante, al bordello, mentre escono di casa o vi fanno ritorno. I gappisti vivono - o almeno dovrebbero vivere - in perfetta clandestinita, separati e sconosciuti alla classe operaia da cui in generale provengono; non hanno volto né nome, non hanno vita collettiva e dimensione sociale; i pochi tra di loro che assurgono al ruolo di eroi eponimi della guerra di Liberazione escono dall’ano- nimato in virtt di una morte atroce che sopraggiunge quasi sem- pre a pochi mesi dal passaggio alla clandestinita. Sono «soldati senza uniforme», secondo la celebre definizione di Giovanni Pe- sce, non hanno né divisa né distintivi; nemmeno i loro bersagli, a volte, sono armati*. Per queste e numerose altre ragioni sulle quali si tornera nel corso dell’esposizione, quella dei Gap viene in prevalenza perce- pita come un’a/tra storia, un drammatico a parte, sul quale si sono esercitati anatemi e giudizi di illegittimita con molta piti virulenza che sulla Resistenza in generale. Con il trascorrere degli anni, gli attentati gappisti hanno rappresentato, decontestualizzati e isolati dalla guerra partigiana di cui sono stati strumento, il pit ghiotto argomento per incursioni giornalistiche e giudiziarie che dal 1948 in poi hanno scandito le mai sopite polemiche e delegittimazioni della Resistenza. Seconda questione. Grazie ai Gap, l’immagine di sé che il Par- tito comunista offre, fin dagli esordi della lotta armata, @ quella di un partito monolitico, impermeabile a ogni opportunismo e anche a ogni infiltrazione. Per il Partito che lancia la parola d’ordine dell’attacco immediato al «terrorismo nazifascista», costi quel che costi, i Gap rappresentano un formidabile strumento di propagan- da della possibilita di iniziare, da subito, una guerra di Liberazione, nel momento in cui scarsita di mezzi e di vocazioni guerriere ne rendono problematico e incerto !’avvio. L’orgogliosa rivendicazio- ne di una diversita e di una superiorita comunista nella determi- nazione alla lotta é perd inscritta in un progetto politico che - con forte accentuazione dopo il rientro in Italia di Togliatti e la «svol- ta di Salerno» dell’aprile 1944 - spinge a mettere in risalto gli aspetti unitari della guerra di Liberazione, e a togliere legittimita e rilevanza alle componenti pit assimilabili alla lotta di classe e al- * G. Pesce, Soldati senza uniforme. Diario di un gappista, Edizioni di cultura sociale, Roma 1950. Introduzione 7 la guerra civile, che proprio le azioni dei Gap pongono in maggior evidenza. Benché la lotta armata in citta sia l’aspetto della guerra di Liberazione in cui questi fattori sono pid presenti, il Partito, fin dalla sigla che li designa, & proteso a sottolinearne soprattutto gli intenti patriottici. Non a caso, |’interpretazione della Resisten- za come «Secondo Risorgimento» e il netto rifiuto di una sua de- finizione come guerra civile troveranno in prima fila dirigenti e storici comunisti. A partire da queste contraddittorie premesse, una storiogra- fia disposta a ripercorrere criticamente genesi, strutture, concre- te condizioni di lotta, evoluzione del ruolo dei Gap nella guerra partigiana, avrebbe dovuto cimentarsi con la decostruzione di un pantheon popolato solo di eroi, e ripulito da ogni debolezza e con- trasto (all’interno del partito stesso e con gli altri partiti antifa- scisti), pur continuando a valorizzare |’ efficace funzione di incita- mento e di stimolo indubbiamente svolta nel corso della lotta sia dalle imprese gappiste sia dalla loro mitizzazione. Invece, quando nei primi anni Settanta prende avvio un profi- cuo rinnovamento della storiografia della Resistenza e si affina un approccio scientificamente rigoroso e meno subalterno a logiche di partito, la vicenda dei Gap ne viene solo sfiorata, perché a bloc- care una revisione critica delle prime eroicistiche narrazioni inter- viene la stagione delle Brigate Rosse’. Fin dalla nascita, le organiz-: zazioni terroristiche di sinistra si autorappresentano come avan- guardie rivoluzionarie ed evocano la Resistenza «rossa», di cui i Gap sarebbero stati i piti decisi esponenti, come un sentiero miti- co sul quale tornare. In proposito é significativo il caso del libro di Giovanni Pesce, Senza tregua. La guerra dei Gap. Il volume, stam- pato da Feltrinelli alla vigilia del 1968, ebbe una larghissima dif- fusione e contribu ad alimentare il mito di una Resistenza rivolu- zionaria: esito paradossale per un’ opera il cui autore, comandante gappista e poi memorialista e storico della guerra dei Gap, era in realta un fedele della linea ufficiale, attento a preservare un’im- * Va dato atto ai dirigenti comunisti di aver fornito un valido contributo al rinnovamen- to degli studi con una messe consistente di documenti e di memorie che vede la luce, forse non casualmente, nel!’«anno mirabile» 1973. Cfr. P. Secchia, I/ Partito comunista italiano « la guerra di Liberazione. Ricordi, documenti inec testimonianze, in « Annali dell’Istitu- 10 Giangiacomo Feltrinelli», XII (1971), Feltrinelli, Milano 1973; G. Amendola, Lettere a Milano. Ricordi e documenti 1939-1945, Editori Riuniti, Roma 1973; L. Longo, I centri dirigenti del Pci nella Resistenza, Editori Riuniti, Roma 1973. Di importanza decisiva, dopo qualche auno, la pubblicazione a cura di G. Carocci, G. Grassi, G. Nisticd e C. Pavone, Le brigate © ribaldi nella Resistenza. Documenti, Istituto nazionale per la Storia del movi- mento di Liberazione in Halia- Istituto Gramsci, Feltrinelli, Milano 1979, 3 voll. (d’ora in poi BG 1, [Lo TH, aseconda del volume citato). 8 Introduzione magine tradizionalmente nazional-patriottica della Resistenza‘. E ancora: nel 1970-71 una serie di attentati dinamitardi ha per pro- tagonisti gruppi clandestini, finanziati da Giangiacomo Feltrinel- li, il cui nome, Gap, @ un richiamo del tutto trasparente all’espe- rienza del 1943-45, anche se ora la sigla viene sciolta in «Gruppi di azione partigiana». A partire da questi anni, un anatema colpi- sce il termine «terrorismo», ormai sinonimo di follia omicida sen- za giustificazioni. Alle indebite e anacronistiche genealogie varia- mente rivendicate dai clandestini degli anni Settanta, si sarebbe forse dovuto rispondere stimolando ricerche storiche rigorose e dettagliate; !’ansia autodifensiva del Partito comunista si limitd a stizzite e preoccupate precisazioni, tese a ribadire owvie differen- ze tra le due epoche e i due fenomeni: da quel momento «le me- morie delle componenti terroristiche della guerriglia urbana (quel- le dei Gap) sono state abbandonate ad aree culturali periferiche sospette di collusioni con il brigatismo rosso»’. A distanza di qua- rant’anni, il vuoto di ricerche sulle opere e i giorni dei Gap conti- nua a essere vistoso, e oppone un ostacolo consistente alla possi- bilita di scriverne una storia che aspiri a un’ accettabile completez- za ed esaustivita; difficolta aggravata dal fatto che l’oggetto stesso della ricerca, avvolto nelle precauzioni imposte dalla clandestinita, é di per sé caratterizzato da un’opacita che né le carte d’archivio né le memorie dei protagonisti sono in grado di penetrare sino in fondo. La scelta del titolo, il plurale «Storie di Gap», piuttosto che il pit impegnativo «Storia dei Gap», @ prima di tutto una dichia- razione d’intenti, tesa a definire i limiti della mia ricerca. Man- ca tuttora un’adeguata mole di studi locali criticamente fondati, e dunque un tentativo di sintesi generale é costretto ad avanzare per approssimazioni e semplificazioni, assumendo la responsabili- tae il rischio di scegliere alcune situazioni, alcune figure e alcuni episodi giudicati esemplari ed emblematici. «Storie di Gap», appunto. Cid non significa, perd, rassegna- zione ad approntare una semplice collazione di casi e di situazioni. Ogni singola vicenda del terrorismo urbano acquista senso e com- prensibilita solo se inserita nel contesto sociale, politico e militare in continua e rapida evoluzione nel frenetico triennio 1943-45: a partire da questa ovvia considerazione, collocare origini, svilup- * G. Pesce, Senza tregua. La guerra dei Gap, Feltrinelli, Milano 1967. ” G. Perona, La resistenza come problema storiografico, in Istituto milanese per la storia della Resistenza e del Movimento operaio (Imsrmo), «Quaderno» n. 4-5, p. 7- Introduzione 9 po, difficolta, successi e fallimenti dei Gap nella storia della Re- sistenza mi é parso imprescindibile. A questo compito é dedicata la prima parte del libro. Nella seconda parte s’intraprende un corpo a corpo piti ravvi- cinato con i gappisti e le condizioni esistenziali e materiali nelle quali la loro esperienza é inscritta: le risorse di cui dispongono, le mutevoli circostanze nelle quali affrontano la clandestinita, il trauma di uccidere a sangue freddo, e i diversi modi in cui si pon- gono il problema delle rappresaglie, della tortura, della morte... Nell’immaginario collettivo, «alcuni dei pit intricati nodi poli- tici ed etici della lotta resistenziale» messi in evidenza dalla pratica del terrorismo urbano continuano, ancor oggi, a essere schiacciati fra deprecazioni calunniose e acritiche esaltazioni’. Contribuire a una conoscenza meno superficiale di questi «no- di», e di coloro che vi si sono trovati coinvolti, la principale aspi- razione che ha guidato la lunga fatica dalla quale ora mi congedo. * C. Pavone, Una guerra civile cit., p. 494. Parte prima Capitolo primo Nascita dei Gap Della necessita di dotare l’opposizione al fascismo di agili for- mazioni armate, in grado di portare a termine attentati contro esponenti del regime, si comincia a discutere in Italia parecchi mesi prima dell’8 settembre; fino al tardo autunno del 1943, pe- rd, non se ne fara nulla. A parlare per primo di Gruppi di azione patriottica (Gap) é uno dei tre responsabili del centro interno del Partito comunista, Antonio Roasio, rientrato clandestinamente in Italia dalla Francia nel gennaio 1943: in una lettera «strettamente riservata», inviata alla fine di aprile alle organizzazioni regionali del Pci, Roasio spiega a tutte le strutture di partito l’urgente necessita di attrezzare «i militanti alla lotta armata a mezzo dell’ organiz- zazione di Gruppi di azione patriottica, Gap, capaci di condurre azioni di sabotaggio delle attrezzature militari e contro i massimi dirigenti del partito fascista»'. Anche se ancora mancano i pre- supposti per una lotta dispiegata contro il regime fascista, la crisi profondissima di consenso alimentata dagli esiti disastrosi della guerra é gia ben visibile dalla primavera, e il grande sciopero del marzo 1943 ne ha offerto una prova eloquente. Passare dalla crisi di consenso a una lotta armata diffusa non potra accadere che in maniera graduale: la creazione dei Gap dovrebbe essere il primo passaggio da compiere in questa direzione. ' A. Roasio, Figlio della classe operaia, Vangelista, Milano 1977, p. 206. Su Antonio Roasio si veda anche Enciclopedia dell’ Antifascismo e della Resistenza (d’ora in poi Ear), La Pietra, Milano 1968, ad nomen; Ernesto Ragionieri cita, oltre alla testimonianza di Anto- nio Roasio, anche una «circolare segreta» della Direzione del Pci del maggio 1943, in Id., Il partito comunista, in L. Valiani, G. Bianchi ed E. Ragionieri, Azionisti, cattolici e comu- nisti nella Resistenza, FrancoAngeli, Milano 1971, p. 329. La sigla Gap venne interpretata in molti e diversi modi: nella pubblicistica resistenziale, allora e in seguito, non & raro che la sigha Gap sia sciolta in Gruppi di azione partigiana, ad esempio nel classico M. De Mi- cheli, La VII Gap, Edizioni di cultura sociale, Roma 1954, p. 57; la stessa interpretazione della sigla ricorre anche in comunicati tedeschi («Corriere della Sera», 1° agosto 1944); tra le interpretazioni piti fantasiose si segnala Gruppi per azioni punitive, come si legge in un documento del Sicherheitsdienst pubblicato in E. Collotti, Documenti sull'attivita del «Sicherbeitsdienst» nell’ alia vecupata, in «1] Movimento di Liberazione in Italia», XVIII (aprile gingno 1966), 1. 83, p. 64. 14 Capitolo primo La struttura organizzativa dei gruppi armati - secondo Roasio - deve essere semplice, basata su piccoli gruppi di combattenti entra- ti in clandestinita, selezionati fra i militanti comunisti di massima affidabilita e audacia; la mancanza di armi e di esperienza militare non deve costituire un freno; le armi si prendono al nemico, nel catturarle ci si allena «con azioni piti facili», fino a essere in grado di colpire «i massimi dirigenti» del regime fascista. L’ organizzazio- ne militare dev’essere separata da quella di partito, fra i combat- tenti si deve instaurare «una disciplina rigida e solida», gli uomini «devono essere preparati a tutti i rischi e quindi dotati di un alto spirito di sacrificio». E probabilmente questo il primo documento nel quale si parla esplicitamente dei Gap, la cui struttura é mutuata dalla tipologia organizzativa dei gruppi di Francs-tireurs et partisans (d’ora in poi Ftp)’, che nella Francia del Sud, in particolare tra Lione e Mar- siglia, hanno sperimentato |’efficacia di azioni di tipo terroristi- co sotto la guida di numerosi dirigenti comunisti italiani, forgiati dall’esperienza della clandestinita e della guerra civile spagnola. Forse i «rivoluzionari professionali» provenienti dall’esilio, co- me Roasio, si fanno soverchie illusioni sullo stato del Partito in Italia, e sulle concrete possibilita di mobilitare rapidamente sul!’ obiet- tivo della lotta armata le federazioni, in gran parte scompaginate dalla repressione e prive di qualunque esperienza che non fosse di tradizionale propaganda e organizzazione politica. Gli esempi del terrorismo urbano francese e della guerra partigiana jugoslava, ben noti ai dirigenti tempratisi nella guerra civile spagnola e nella scuo- la di partito a Mosca, restano assai lontani dalla cultura e dall’espe- rienza di cid che del Partito era sopravvissuto in Italia, cioé molto poco. Prima del rientro dalla Francia e soprattutto dalle galere e dalle isole dei dirigenti comunisti, i progetti di costituzione di gruppi armati capaci di praticare il terrorismo urbano non hanno evidentemente terreno fertile sul quale crescere, tanto che la let- tera di Roasio non ha alcun effetto immediato, tranne la creazione di piccoli nuclei partigiani in Friuli. Alla decisione di impegnare tutto il Partito nell’organizzazione della lotta armata, che diviene da quel momento la priorita assolu- ta, si giunge ben cinque mesi dopo, quando !’occupazione del ter- ritorio nazionale da parte delle truppe tedesche e la disgregazione dell’esercito hanno impresso un brusco cambiamento alla situazio- ne generale, e posto all’ordine del giorno la necessita di organiz- ? D. Peschanski, «Francs-tireurs et partisans de la Main-d' ceuvre immigréen, in F. Marcot (acura di), Dictionnaire historique de la Résistance, Robert Laffont, Paris 2006, pp. 187-88. Nascita dei Gap 15 zare concretamente la guerra di Liberazione. A fine settembre, in una riunione a Milano presieduta da Luigi Longo, appena giunto da Roma per prendere in mano, assieme a Pietro Secchia, l’orga- nizzazione della resistenza armata nell’Italia del Nord, viene creato il Comando delle nascenti brigate Garibaldi; nella stessa riunione, viene anche decisa la costituzione dei Gap. Mentre le brigate Ga- ribaldi saranno aperte a combattenti di qualunque opinione e cre- do politico, purché decisi a lottare contro i nazifascisti, nei Gap saranno ammessi solamente i comunisti piti sperimentati. Fino al giugno dell’anno successivo, brigate Garibaldi e Gap, nella strate- gia del Pci, saranno i due fondamentali strumenti della lotta di Li- berazione, con funzioni e strutture assai diverse: alle Garibaldi il compito di essere il nerbo dell’esercito partigiano, attestato soprat- tutto sulle montagne, ai Gap quello di costituire il detonatore della lotta armata, colpendo in citta, con azioni «esemplari», uomini e simboli del neonato regime e dell’ esercito di occupazione tedesco. Anche se concepiti contestualmente, @ del tutto evidente che questi due strumenti avranno tempi di realizzazione diversi. Creare le brigate Garibaldi presuppone infatti di censire, aggregare, politi- cizzare, convincere i gruppi di militari sbandati a passare a una re- sistenza armata attiva: non é progetto di immediata realizzazione, e occorreranno parecchi mesi prima che le bande partigiane, assai varie nella composizione e nelle intenzioni, si trasformino in orga- nismi dalla fisionomia ben definita. Né i partiti, confluiti dopo !’8 settembre nei Comitati di liberazione nazionale (Cln), hanno in ge- nerale idee chiare sulle forme da dare alla lotta di Liberazione, pur proclamata senza indugio all’indomani della fuga ingloriosa del re. I comunisti, da subito, optano per un modello basato sulla guerra per bande, sull’esempio jugoslavo, che prefigura una lotta di popolo; i dirigenti del Pda (Partito d’azione), o almeno una par- te di essi (Ferruccio Parri in particolare) preferirebbero la creazio- ne di un esercito piti tradizionale, guidato da quadri militari pro- fessionali. I] primo modello rimanda a un’idea di popolo in armi, e dunque anche a una vasta mobilitazione politica che affida ai par- titi un ruolo centrale; il secondo modello continua a privilegiare la professionalita dei militari, che devono guidare la guerra di Libe- razione con criteri tecnicamente sperimentati. Per i comunisti il dilemma non si pone: la scelta dello scatena- mento di una guerra di popolo, della creazione di un esercito po- polare, é confortata dalle sonanti vittorie del maresciallo Tito nel- la vicina Jugoslavia. Si tratta perd, realisticamente, di una strategia che necessita di tempi lunghi. Nell’immediato, il vertice del Parti- to, collaudato stato maggiore a capo di un esercito con pochi uffi- 16 Capitolo primo ciali e scarsissime truppe, ha bisogno urgente di un detonatore, di una struttura operativa, capace, con azioni di grande risonanza, di dimostrare che la lotta armata, non piti solo contro i fascisti ma anche contro i tedeschi, & possibile, da subito, e proprio nelle cit- ta, dove piti radicata é la presenza operaia, e piti denso il controllo delle autorita fasciste e dei comandi tedeschi. Alla «lotta popolare di massa», alle brigate e divisioni partigiane, si sarebbe arrivati pit avanti, quando la guerra di Liberazione fosse davvero iniziata, e finalmente accantonate le titubanze che paralizzano gran parte dei Comitati militari dei Cln. Per il momento, solamente |’ organizzazione di «piccoli nuclei particolarmente audaci», pur basati su una logistica quasi inesisten- te, selezionati e diretti da alcune decine di quadri di partito speri- mentati, di «rivoluzionari professionali», avrebbe permesso di pas- sare immediatamente all’ attacco, di iniziare «una lotta spietata»’. Le circolari diramate negli ultimi mesi del 1943 dai dirigenti comunisti sono scandite da un avverbio ripetuto in modo osses- sivo: immediatamente! Nulla, pitt dell’insistenza sulla possibilita/ necessita dell’attacco immediato, mette in luce la specificita della posizione comunista rispetto a quella degli altri partiti antifasci- sti relativamente ai tempi e alle forme della guerra di Liberazione. I rappresentanti comunisti partecipano, piti o meno convin- tamente, ai Comitati militari che ogni Cln va costituendo, in os- sequio alla linea ufficiale del Partito che ribadisce la necessita di coinvolgere unitariamente gli altri partiti antifascisti. Nello stesso tempo da queste estenuanti riunioni ricavano la conferma - que- sto almeno il loro giudizio - di essere i soli a volere una guerra di liberazione che coinvolga «le masse», indirizzandole verso «una rivoluzione democratica». L’urgenza della «messa al lavoro» dei Gap, in attesa che si con- solidino le brigate Garibaldi, é ampiamente attestata dalla ricca documentazione prodotta dalla Direzione del Partito comunista‘, che da Milano coordina le varie federazioni provinciali e regiona- li. L’interpretazione della situazione politica e sociale che sorregge questa strategia é radicata nella stessa storia del Partito, e pud es- sere schematicamente ricondotta a un paio di capisaldi che verran- no tenuti fermi durante tutta la guerra di Liberazione: le masse, in > R. Scappini (Giovanni), Relazione da Torino del 30 settembre 1943, in P. Secchia, I! Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione cit., p. 122. “ Il riferimento é all’archivio del Pci alla documentazione delle brigate Garibaldi, conservati presso I’Istituto Gramsci di Roma, parzialmente pubblicati in P. Secchia, I/ Par- tito comunista italiano e la guerra di Liberazione cit., e in G. Carocci, G. Grassi, G. Nisticd eC. Pavone (a cura di), Le brigate Garibaldi nella Resistenza cit. Nascita dei Gap 7 particolare la classe operaia del Nord, hanno un grande potenziale di lotta, che solo la guida e l’esempio del Partito comunista é in grado di attivare; compito prioritario del Partito é quello di dare esempi e strumenti di organizzazione a questo potenziale di lotta. La combattivita delle masse, la disponibilita alla lotta costi- tuiscono verita assiomatiche e indiscutibili, accompagnate perd dalla consapevolezza che senza |’intervento attivo di una sparuta avanguardia determinata ad assumersi rischi e sacrifici, a mettere in gioco la vita, prevarranno |’arrendevolezza, la scelta del male minore, la rassegnazione o |’attesa compromissoria. Trasformare la presente passivita delle masse in una combattivita dispiegata: questo il compito storico del Partito, questa l’irripetibile occasio- ne che solamente esempi concreti di lotta potranno rendere realta. Date queste premesse, i centri urbani rappresentano un terre- no di lotta privilegiato: qui si sono gia svolti i grandi scioperi del- la primavera del 1943, e la mobilitazione operaia dopo i 45 giorni seguiti alla caduta di Mussolini; qui il Partito, pur in grandi diffi- colta organizzative e con strutture ancora assai precarie, sente di poter affermare un’effettiva egemonia, fondata soprattutto su un legame con la classe operaia, affievolitosi durante il regime fascista, ma mai venuto meno completamente; e qui, secondo |’ orgogliosa affermazione di Secchia, «solo la superiore efficienza organizza- tiva del Partito comunista ed il pit elevato spirito combattivo dei suoi militanti poteva dar luogo a quel tipo di lotta»’. Per mettere in moto questo processo, come continuamente ri- petono i dirigenti comunisti, i Gap.costituiscono uno strumento di grande importanza, anzi !’unico. Nella prima fase della guerra di Liberazione, a dimostrare che la lotta possibile, non bastano le migliaia di soldati sbandati e le bande partigiane che si vanno atte- stando sui monti; a limitarne l’affidabilita concorrono molte cause: scarsa consistenza militare, orientamenti e preparazione politica quasi inesistenti, assai incerti legami con i Cla, a loro volta privi di esperienza e spesso lacerati al loro interno. Ma soprattutto, le azio- ni delle bande in via di formazione, anche quando non si limitano alla pura sopravvivenza, si svolgono in zone lontane dalle citta, in territori dove le notizie possono diffondersi con molta difficolta. In montagna, il localismo che caratterizza da secoli comunita chiu- se @ agpravato dall’assenza di «masse operaie», che il Partito con- tinua a ritenere il principale soggetto da attivare politicamente e militarmente. *P.Secchiae Fras rags, Heitor’ Riuniti, Rom Storia della Resistenza. La guerra di liberazione in ltalia 1943- tabs, Pp. 407 18 Capitolo primo Nell’autunno-inverno 1943-44, mentre i piccoli borghi di mon- tagna e le vallate alpine sono il teatro prevalente delle rappresaglie terroristiche perpetrate dai tedeschi sulla popolazione civile, so- spettata a torto o ragione di essere connivente con i primi nuclei partigiani, in citta, di cid che accade nelle vallate e sulle monta- gne, giungono poche e confuse notizie. La stampa ufficiale occulta e tace, la stampa clandestina - che i partiti antifascisti riescono a diffondere affrontando enormi rischi - ha una ben scarsa circola- zione, e dispone in generale di notizie monche e approssimative. Per esemplificare la situazione, non v’é che ’imbarazzo della scelta. Una delle prime stragi perpetrate dalle truppe tedesche avviene a Boves, in provincia di Cuneo, alla base delle Alpi Marittime, do- menica 19 settembre. La distruzione dell’intero villaggio, circa 350 case incendiate, ventitre civili, donne vecchi e bambini compresi, massacrati: tutto cié resta pressoché ignorato nel resto d'Italia’. Negli stessi giorni si consuma la strage di un gruppo di fami- glie ebree rifugiatesi sul lago Maggiore, poi nota come |’eccidio dell’hotel Meina’. Di questi, e dei moltissimi episodi analoghi che insanguinano VItalia occupata, arriva nelle citta un’eco flebile, o addirittura nulla’. Di questa circolazione asfittica delle notizie, affidate al passa- parola, fornisce molteplici esempi uno straordinario documento: il diario di Carlo Chevallard, torinese, uomo d’affari di buona cul- tura, che gode di una mobilita e di relazioni molto al di sopra della media. In data 6 ottobre 1943 la strage di Meina viene registrata nel suo diario, solo dopo che un testimone de visu (la madre) pud confermare una notizia che fino a quel momento evidentemente era circolata in modo frammentario: Mamma é stata ieri al Lago Maggiore. Avevo gia sentito dire quanto ades- so riferird, ma ho atteso a sctiverne, volendo averne la certezza: tanto enor- me e spaventosa era la notizia. Sul Lago Maggiore, in special modo a Meina, @ cominciato un massacro sistematico degli ebrei: non per niente radio Mo- © R. Aimo, I prezzo della pace. La gente bovesana e la Resistenza 1943-1945, L’ Arcie- re, Cuneo 1989. 7 La strage ebbe Iuogo tra il 22 e il 27 settembre in diverse localita del lago Maggiore, ¢ il conto delle vittime accertate fu di trentasei. Cfr. G. Mayda, Ebrei sotto Salo. La perse- cuzione antisemita 1943-1945, Feltrinelli, Milano 1978; M. Nozza, Hotel Meina. La prima strage di ebrei in Italia, Mondadori, Milano 1993; L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia, 1943-1944, Donzelli, Roma 2006 (1" ed. 1997), pp. 60-79. * Anche sul piano storiografico bisogna attendere i tardi anni Novanta perché !’at- tenzione si concentri sulla devastante politica stragista messa in atto dalle truppe tedesche in ritirata verso la linea Gustav. Cfr. in proposito G. Gribaudi (a cura di), Terra bruciata: le stragi naziste sul fronte meridionale, collana «Per un atlante delle stragi naziste in Italia», vol. I, L'ancora del mediterraneo, Napoli 2003; Id., Guerra totale. Tra bombe alleate e vio- lenze natiste. Napoli e il fronte meridionale 1940-1944, Bollati Boringhieti, Torino 2005. Nascita dei Gap 19 naco ha detto iersera che la colpa di questa faccenda @ in gran parte degli Israeliti. Famiglie intere sono state sterminate, in gran parte col sistema del- le noyades. Portati in mezzo al lago su una barca e poi scaraventati dentro. E dire che siamo in Italia e in pieno secolo xx: povera umanita, che devi assi- stere muta a simili orrori’. Un evento ancor piti stupefacente e orribile, la deportazione de- gli ebrei romani del 16 ottobre, sfugge anche al pur attento lettore di giornali Chevallard. Roma é lontanissima, a una distanza incol- mabile. Della deportazione degli abitanti del ghetto di Roma del 16 ottobre, nel diario non v’é traccia: «Se Radio Londra ha preso cos{ piede é perché tutti in Italia sanno di non sapere niente, di non essere informati», annota lo sconsolato Chevallard il 16 dicembre 1943". Dove avrebbe potuto attingere informazioni sul dramma degli ebrei romani, se persino la stampa antifascista non ne parla? «Italia libera», organo del Pda, ne fa un cenno il 17 ottobre, poi piti nulla, cos{ come nei verbali del Cln romano non c’é traccia di una discussione in proposito". «La Liberta», periodico toscano del Partito d’azione, ne da notizia solamente nel dicembre 1943, peral- tro fornendo la cifra del tutto inesatta di 4000 deportati. Gli abitanti delle citta vivono in una quasi assoluta ignoranza di cid che accade nella propria regione e tanto piti nel resto d’Italia; la censura postale e il soporifero trionfalismo dei giornali allinea- tial regime fascista non ingannano nessuno, ma sono quasi impe- netrabili. Sono piuttosto i pendolari, chi ha la famiglia sfollata in collina o in paesi di montagna, i viaggiatori di commercio, gli uo- mini d’affari, a far filtrare qualche confusa e angosciante notizia di cosa comporti l’occupazione tedesca e la reviviscenza fascista. Dunque la percezione della brutalita dell’occupazione e del- la guerra civile a essa strettamente intrecciata non é chiara, nelle citta, fino a quando non iniziano gli attacchi gappisti. 1 comandi militari tedeschi nelle citta tengono un profilo, se non concilian- te, in generale alieno dal prendere drastiche misure d’ordine pub- blico, a meno di essere direttamente attaccati, mentre rispondono con ferocia annichilente alla formazione dei primi nuclei partigia- ni in montagna. * Diario di Carlo Chevallard 1942-1945, in R. Rocciae G. Vaccarino (a cura di), Torino in querra tra cronaca e memoria, Archivio storico della Citta di Torino, Torino 1995, p. 130. "© [bid., p. 164; sulla deportazione degli ebrei romani, oltre al classico G. Debenedetti, 16 ottobre 1943, il Saggiatore, Milano 1961, cfr. anche F. Coen, 16 oftobre 1943: la grande razzia degli ebrei di Roma, La Giuntina, Firenze 1993, che ricorda come nessun giornale della capitale diede novia della deportazione. orcella, La Resistenza in convento, Einaudi, Totino 1999, pp. 104 € 107. "Che, Criminalitd nazivta, in ala Liberty, 15 dicembre 1943), 2. 3. 20 Capitolo primo Inizialmente, sono soprattutto i fascisti a imporre ed eseguire rappresaglie in citta, e i tedeschi nicchiano, forse consapevoli che i Gap sono lo strumento scelto per «creare un’atmosfera di guer- ra», che é contraria al loro desiderio di sfruttare le risorse indu- striali e la forza lavoro concentrata nel triangolo industriale con il minor dispendio possibile d’energie. Perseguendo questo scopo, esercito occupante inizialmente sara piuttosto restio a ricorrere a misure repressive molto dure, che avrebbero, tra !’altro, l’effetto di rendere ancor piti complicato lo svolgersi delle attivita produt- tive, alle quali i tedeschi sono massimamente interessati. Anche Lallungamento del coprifuoco, o il divieto di transito per le bici- clette, sono risposte agli attacchi dei Gap prese controvoglia, che gli occupanti vorrebbero evitare se appena possibile. La percezio- ne della barbarie, della brutalita del «nuovo ordine», é dunque af- fievolita sia dalla sapiente regia tedesca, capace di atteggiarsi co- me ragionevole e lungimirante freno alla truculenza del fascismo repubblichino, sia dalla specifica condizione di una nazione che vent’anni di fascismo hanno abituato alla privazione di ogni forma di liberta, all’assenza di ogni certezza del diritto. I primi attentati contro esponenti della Rsi sembrano non desta- re negli occupanti eccessiva preoccupazione; in alcuni casi, si regi- strano addirittura dure proteste da parte tedesca per la violenza e la totale assenza di regole che caratterizza le reazioni fasciste. Gli esempi di questa strategia tedesca tesa a sopire, piti che a esaltare icontrasti con la popolazione, sono abbondanti. La spedizione punitiva attuata a Ferrara a meta novembre 1943 dopo l’uccisione del federale della citta, Igino Ghisellini?, termina con la fucilazione in piazza di undici cittadini, i cui cadaveri per due giorni vengono esibiti per terrorizzare la popolazione; |’epi- sodio suscita una secca presa di posizione del generale Carl von Alten, comandante militare territoriale, che ordina al prefetto di Ferrara «di impedire in ogni modo il ripetersi di simili orrori»™. Un paio di settimane dopo, per reagire all’uccisione del tenen- te colonnello Gino Gobbi, comandante del Distretto militare di » Che Igino Ghisellini sia stato ucciso da un’azione gappista, o invece sia caduto vit- tima di una faida interna all’ambiente fascista, resta tuttora una questione estremamente controversa sulla quale le numerose ricerche in atgomento non forniscono, a mio giudizio, elementi irrefutabili per scegliere |’una o |'altra interpretazione. Cfr. A. M. Quarzi e D. Tromboni, La Resistenza a Ferrara 1943-1945. Lineamenti storici e documsenti, Clueb, Bolo- gna r980, pp. 27-35; A. Guarnieri, Ferrara 1943. Dal 25 luglio a Sala. Interpretazione della Junga notte, Grafis, Casalecchio di Reno 1993; Id., Ferrara 1943. Dal 25 luglio a Salo. Nuo- va interpretazione della lunga notte, 2G Libri, Ferrara 2005. “ L. Klinkhammer, L'occupazione tedesca in Italia, 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 1996, p. 298 (1* ed. 1993). Nascita dei Gap 21 Firenze, le autorita fasciste vorrebbero rispondere con dieci fuci- lazioni, decise da un improvvisato Tribunale speciale, ma hanno a portata di mano solo cinque prigionieri; gli altri cinque li chiedono alle autorita tedesche, che perd si rifiutano di consegnare i cinque membri del Comando militare del Comitato toscano di Liberazio- ne nazionale (Ctln), da loro detenuti. I fascisti si dovranno accon- tentare di fucilare gli unici cinque prigionieri a loro disposizione”’. Anche nel febbraio 1944 il Comando delle SS di Bologna, in- siste con forza perché vengano eliminate la Polizia federale e le altre formazioni irregolari al servizio delle federazioni fasciste, che agiscono, al di fuori di ogni legalita, con tale virulenza da su- scitare reazioni che rendono pit difficile il controllo delle citta emiliane’’. Giorgio Agosti, tra i principali organizzatori delle formazioni partigiane di Giustizia e Liberta in Piemonte, nel novembre del 1943, scrivendo a Livio Bianco a proposito delle strategie di com- battimento pit utili in quella fase, constata che attaccare da subito itedeschi, data la debolezza delle forze partigiane, non conviene, mentre assai utile é eliminare quante pit spie e fascisti sia possibile, perché tanto «i tedeschi se ne fregano delle uccisioni dei fascisti»’”. Non a caso la prima fase della lotta contro i Gap, dal punto di vista investigativo, ricade sulla Pubblica sicurezza e sulle varie po- lizie fasciste. Per quanto riguarda i tedeschi, la rappresaglia, lungi dall’essere una costante rigorosamente regolamentata, viene eser- citata con tempi e modi assai variabili: feroce da subito sulle mon- tagne, ma schiva e, spesso, addirittura assente in citta; almeno fin quando non vengano direttamente attaccati. E soprattutto nella gestione dell’ordine pubblico delle gran- di citta che é pit visibile quanto i tedeschi siano interessati a in- centivare la sensazione che nulla sia cambiato, quanto a essi stia '* I] Tribunale, autocostituitosi nella notte stessa dopo l’attentato, era cos{ composto: il prefetto Manganiello, il maggiore Carita, il generale Adami Rossi, il luogotenente gene- rale della Milizia Marino, il generale dei carabinieri Carlino, il questore Manna, l’avvo- cato Meschiari «e qualcun altro». Cfr. C. Francovich, La Resistenza a Firenze, La Nuova Italia, Firenze 1961, pp. 101-2. ACS, MI, DGPS, 1943-1945, Rsi, b. 6, fasc. Parma, Relazione dell’ispettore D. Co- co al capo della polizia, 3 marzo 1944, cit. da M. Becchetti, I giorni ner. Parma 1943-1945, in F, Sicuri e R. Montali (a cura di), Storia di ieri. Parma dal regime fascista alla Liberazione 1927-1945, Diabasis, Reggio Emilia 2011, pp. 36-53; anche in precedenza il Comando mi- litare tedesco aveva cercato di impedire la rappresaglia decisa dal capo della provincia di Parma e reggente del Pfr Valli in risposta a un presunto attentato avvenuto il 3r gennaio 1o44 (in realta si trattava di un incidente provocato dalla stessa imperizia di un gruppo di militi della Muti), Cfr. ibid. ""G. Agostie D. L. Bianco, Un'amicizia partigiana. Lettere 1943-1945, Albert Mey- hier, Torino 1990, p. 72. 22 Capitolo primo a cuore un clima di normalita, nel quale i cittadini italiani, purché laboriosi, obbedienti e inoffensivi, non abbiano nulla da temere. Accanto ad una Milano operaia che fa la fame, ne esiste anche un’altra: una Milano che sembra non voler pensare a quanto sta succedendo, una Mi- Jano che vuole stordirsi, che vuole o finge di illudersi che tutto stia tornando alla normalita. Ed i tedeschi, che di questa pseudo-normalita hanno bisogno, ne incoraggiano gli aspetti piti frivoli concedendo autorizzazioni a tutto spiano alla riapertura di cinema e teatri. I sete cinematografi rimasti aperti nei gior- ni dell’armistizio diventano ventotto alla fine di ottobre, piti quattro teatri™, - Creare un'atmosfera di guerra. I Gap sono lo strumento messo in campo dal Partito comuni- sta per distruggere proprio questa «pseudonormalita», prima che si stabilizzi in abituale, passiva normalita. Per questo l’attacco de- ve essere immediato, costi quel che costi, valutando che questa sia lunica strada per imprimere una svolta decisiva alla situazione, per bruciare ogni possibilita di accomodamento. La massa ha bisogno di guida e di organizzazione, ma soprattutto essa ha bisogno di esempi [...] queste masse perd sono passive, manca l'atmosfera di «guerra», di lotta contro i tedeschi e i fascisti. Ed & questa atmosfera che biso- gna creare con |’esempio dell’azione’’. Creare l’atmosfera di guerra, significa in primo luogo impedire che venga accettato un modus vivendi che garantirebbe ai tedeschi un comodo sfruttamento delle risorse, e ai fascisti di accreditarsi come governo legittimo, invece che come un «alleato occupato», secondo la pertinente definizione di Lutz Klinkhammer. Per i co- munisti @ dunque indispensabile che fascisti e tedeschi vengano percepiti come esercito occupante, che deve difendersi, vivere as- serragliato, a Firenze, Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna. Creare l’atmosfera di guerra é il compito che il Partito comunista affida ai Gap, «gli arditi della guerra di liberazione, i soldati sen- za divisa, i pit audaci, i pit rapidi e pronti», che devono «portare la guerra e la morte in casa del nemico»™, attraverso azioni spet- tacolari, sabotaggi e attentati diretti contro esponenti di un certo tilievo delle milizie fasciste, sedi dei comandi tedeschi, ristoranti e bordelli frequentati dalle truppe di occupazione. L. Borgomaneri, Due inverni, un'estate ¢ la rossa primavera. Le brigate Garibaldi a Milano e provincia (1943-1945), FrancoAngeli, Milano 1985, p. 30. ® R. Scappini (Giovanni), Considerazioni sulla situazione generale in Piemonte, in P. Secchia, I Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione cit., p. 120 (corsivi miei). * M. De Micheli, La VII Gap cit., p. 58. Nascita dei Gap 23 Farlo senza suscitare reazioni terroristiche, fucilazione di ostag- gi, di detenuti antifascisti, non é possibile. Accettare il ricatto della rappresaglia sui civili, come da subito sostengono tutti i dirigenti della guerra partigiana, significa rinunciare a combattere. Questa considerazione, del tutto condivisibile nella sua ovvieta, non esaurisce perd la complessa questione del nesso fra attentati e rappresaglia, cui é dedicato un capitolo a parte. Ma intanto, per quanto riguarda soprattutto i primi attentati, non si pud tralascia- re il punto di vista di chi, come Giorgio Bocca, ha sostenuto che il terrorismo nelle citta, «atto di moralita rivoluzionaria», [...] non é fatto per prevenire quello dell’occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso é autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le puniziqni, le rappresaglie, per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell’odio. E una pedagogia impietosa, una lezione feroce. I comunisti la ritengono giustamen- te necessaria e sono gli unici in grado di impartirla subito”. Dungque, le azioni dei Gap hanno come prima finalita lo scatena- mento della rappresaglia? L’interpretazione della rappresaglia come un obiettivo consapevolmente perseguito dai Gap; e non solo co- me un’inevitabile conseguenza della guerra di Liberazione, ha pre- so nuovo vigore negli ultimi anni, e pud ben essere funzionale a un giudizio liquidatorio, tendenzialmente criminalizzante dell’ attivita dei gappisti, e in definitiva del Partito comunista da cui dipendono. Se applicata all’intera vicenda dei Gap, questa interpretazione si ri- vela assai schematica e riduttiva, oltre che tendenziosa. Per quanto riguarda invece gli inizi, le primissime azioni, il momento in cui ci si applica a distruggere la pseudonormalita, questa interpretazione una verita parziale la contiene: per creare un clima di guerra, per co- stringerli a mostrare anche nelle citt del Centronord il vero volto dell’occupazione, i tedeschi vanno attaccati, subito e duramente, e la rappresaglia é un elemento dolorosamente utile, che serve a bru- ciare gli spazi di mediazione, i tentennamenti. Un esempio probante di questa dinamica é offerto da una delle prime aggressioni verso tedeschi compiute a Milano. Carlo Camesa- sca (Barbistin), elemento di punta del gappismo milanese, nella sua autobiografia, sintetica e piuttosto precisa, ricorda di aver ricevuto l’ordine dal Comitato militare del Pci milanese di «operare su obiet- tivi volanti, preferibilmente ufficiali tedeschi, in modo di vedere quale sara la rappresaglia dato che fino ad allora il Comando tede- sco aveva sempre incassato senza prendere delle misure ufficiali»”. ™ G. Bocea, Storia dell’ltalia partigiana, Laterza, Roma-Bari 1967, p. 135. * 1 Autobiagrafia del compagno Camesasca Carlo (Barbistin) & consultabile presso l’ar- chivio dell'Isee, Piccoli fondi, carte A. Mantovani, b. 5, fase. 9, $i deve al lavoro dei ri- 24 Capitolo primo L’urgenza della missione affidatagli é tale che lui e il suo com- pagno decidono di entrare in azione benché, in quel momento, le uniche due pistole di cui dispongono siano in riparazione. L’ucci- sione di due ufficiali tedeschi che passeggiano per piazza Argenti- na, il 3 novembre 1943, viene portata a termine a colpi di martello edi lima. I] compagno di Barbistin, in questa e altre azioni ben pit eclatanti, come l’uccisione del federale di Milano Aldo Resega il 18 dicembre 1943, ¢ Renato Sgobaro (Lupo Mannaro): anch’egli come Barbistin e in generale il nucleo principale del gappismo milanese, proveniente dal mondo operaio di Sesto San Giovanni. Specialmente nei primi mesi di attivita, fra I’ottobre 1943 e linverno 1944, la scelta dei bersagli da colpire rivela un’attenzio- ne particolare alla spettacolarita, al loro valore simbolico: si va in guerra al centro delle citta, sotto gli occhi dell’intera cittadinanza; le azioni devono essere clamorose, sono fatte, ancor prima che per uno scopo militare, per impressionare, per convincere i titubanti e gli indifferenti che si pud e si deve combattere, e per conforta- re e confermare i propositi dell’esigua minoranza degli abitanti delle citta che intendono scendere in lotta. Fra gli obiettivi pid colpiti dalle azioni dinamitarde gappiste, non a caso, vi sono bar, ristoranti, bordelli, situati nel centro delle citta e frequentati dal- la truppa tedesca e dalle prime raccogliticce milizie fasciste. Non é questione militare, ancora, e in fondo la lotta armata dentro la citta non avra mai un impatto rilevante in termini stret- tamente militari, o ne avra uno decisamente minore del sabotaggio ai treni e al sistema dei trasporti nel suo insieme. La posta in gio- co & soprattutto simbolica. Anche per chi non é stato testimone oculare di un attentato, sara impossibile ignorare che la guerra contro l’occupazione é iniziata: a ogni attentato corrisponde una reazione, un allungamento delle ore di coprifuoco, un divieto di circolazione delle biciclette, una rappresaglia, che con modalita molto variabili pud coinvolgere passanti occasionali o detenuti po- litici delle carceri cittadine. Dopo i primi attentati, che si abbattono del tutto inaspettati su uomini e sedi delle istituzioni fasciste e dei comandi tedeschi, cavalli di frisia, reticolati e garitte con sentinelle armate modifi- cano il paesaggio dei centri storici, aggiungono un inusuale arredo cercatori dell'Isec, Giuseppe Vignati e Luigi Borgomaneri in particolare, la pit importan- te raccolta di testimonianze dei protagonisti dei Gap e delle Sap attualmente disponibile. Un quadro vivo e preciso sulla formazione del primo gappismo milanese e sulle sue impre- se in L. Borgomaneri, Due inverni cit., pp. 22-44; cft. il profilo biografico di Barbistin ibid., P. 23. Nascita dei Gap 25 urbano che lancia un esplicito messaggio: anche all’interno delle citta é in corso una guerra. A Torino, ricorda Giovanni Pesce, «il nemico ritiene di avere di fronte un battaglione. Ogni comando viene circondato da ca- valli di frisia, ogni distaccamento deve mobilitare molte sentinelle per vigilare contro gli attentati»”. A Milano l’elegante albergo Regina, scelto dalle SS come loro sede nel centro cittadino, si mostra ai milanesi «circondato da bar- riere di filo spinato, casematte in cemento armato, e illuminato di notte da potenti cellule fotoelettriche»™. La creazione dei Gap rappresenta dunque, negli ultimi mesi del 1943, l’unico strumento immediatamente utilizzabile per mostrare che la resistenza armata é possibile, anzi & gia dispiegata, ben pri- ma che |’organizzazione e la diffusione delle bande partigiane si consolidi. Le prime azioni dei Gap, del tutto inattese, anticipano un effettivo radicamento della guerra partigiana in montagna; que- sto é un dato riscontrabile in Piemonte come in Lombardia e in Toscana. In Liguria, ¢ a Genova, e nei principali centri delle due riviere, che gli attentati organizzati dai Gap comunisti destano cla- more quando ancora le campagne e le zone montuose della regione rimangono sostanzialmente estranee alla lotta”. Fra |’autunno del 1943 e i primi mesi del 1944, i mesi descritti da Ferruccio Parri come quelli delle «tremende incertezze», «la stagione del dubbio, perché non sapevamo se questa volta le radici della guerra per ban- de avrebbero attecchito», le azioni gappiste svolgono una decisiva funzione di propaganda: sono i loro attacchi a fornire l’esempio che il dominio nazifascista sulle citta non é affatto incontrastato. Di cid sono evidentemente ben consapevoli i Comitati di libe- razione nazionale: pur divisi al loro interno sulla produttivita e in molti casi sulla legittimita di tali attentati, non faranno mancare pubblici elogi delle azioni gappiste. Nello stesso modo si regolera, dal giugno 1944, il Comando generale del Corpo Volontari della Liberta (Cvl), che dirige unitariamente le brigate partigiane orga- nizzate sotto l’egida dei partiti antifascisti. Nelle prese di posizio- ne ufficiali, il Comando generale approvera sempre |’operato dei Gap, benché questi, formalmente aderenti al Cvl, di fatto conti- nuino a dipendere esclusivamente dal Partito comunista. » G. Pesce, Senza tregua cit., p. 9t. * Cfr. L. Borgomaneri, Hitler a Milano: i crimini di Theodor Saevecke capo della Ge- stapo, Datanews, Roma 1997, p. 57- * C. Gentile, Tra cittd e campagne: guerra partigiana e repressione in Liguria, in «Storia ce memorias, VI (1997), 8. 2, pp. 62-63. 26 Capitolo primo «La costituzione dei Gap fu voluta ed attuata solo dal Partito co- munista». E con questa perentoria affermazione che Pietro Secchia inizia il capitolo della sua Storia della Resistenza dedicato all’organizza- zione dei Gap*. Affermazione incontestabile, a patto di non dimenticare che in alcune citté (Roma, Firenze, Torino) non mancano da parte del Partito d’azione e del Partito socialista importanti apporti logistici. A Firenze il Servizio documenti organizzato dagli azionisti sotto la guida di Nello Traquandi, provvede alla fabbricazione di documenti falsi, fotografie, timbri, carte annonarie, tessere e tutto cid che é indispensabile per permettere di vivere e circola- re in citta clandestinamente: «La sede di questa organizzazione é in una piccola stanza di una casa di Borgo Pinti, nel centro della vecchia Firenze. Animatore infaticabile di tutta questa attivita é Tristano Codignola»”. Anche a Roma il Pda é attivo nella produzione di documenti, e nella preparazione dei due importanti attentati della Resistenza romana ai treni militari sulle linee Roma-Formia e Roma-Cassino del 20 dicembre 1943, realizzati dai Gap comunisti con I’esplo- sivo fornito dall’organizzazione del colonnello Luca Cordero di Montezemolo*. A Torino, @ l’aiuto di vecchi socialisti, meglio inseriti fra la borghesia cittadina, a favorire la disponibilita di qualche alloggio sicuro. Secondo Raimondo Luraghi, «le garconniéres che i torinesi danarosi, specialmente industriali, avevano lasciate sfitte, causa sfollamento», divengono basi gappiste relativamente sicure, per- ché sono i soli alloggi affittabili senza che proprietari e portinai % P. Secchiae F. Frassati, Storia della Resistenza cit., p. 391. ” Cfr. O. Barbieri, Ponti sull’Amo. La Resistenza a Firenze, Editori Riuniti, Roma 1975, p. 87, € anche C. Francovich, La Resistenza a Firenze cit., p. 77- * G. Amendola, Lettere a Milano cit., p. 228; secondo Emilio Lussu, un ufficio del Pda romano procurd migliaia di carte d’identita, e «tutti i documenti necessari per ogni sicuro controllo, anche i piti riservati dei moduli tedeschi: questo ufficio rese certamente grandi servizi». "A suo giudizio, perd, pitt consistente fu l’attivitd gappista degli azionisti a Firenze: «I] Pda [romano, N.d.A.] non fu in grado di creare neppure uno dei piccoli grup- pi d’azione cittadina, i Gap, che i nostri compagni di Firenze seppero invece organizzare € mettere in condizione di agire»; E. Lussu, Su/ Partito d’Azione e gli altri. Note critiche, Mursia, Milano 1968, p. 63. Sulla figura di Luca Cordero di Montezemolo, cfr. M. Ava- gliano, Il partigiano Montezemolo. Storia del capo della resistenza militare nell’Italia occupata, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2012; accenni alla collaborazione con Giorgio Amendola ibid., p. 210; conferme di questa collaborazione anche in A. Portelli, L’ordine é gid stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, Roma 1999, p. 170, € in P. Levi Cavaglione, Guerriglia nei Castelli romani, G. Einaudi, Roma 1945, p. 170. Nascita dei Gap 27 assumano noiose e pericolose informazioni. In realta, il problema di alloggi sicuri per i gappisti rimane drammaticamente non risol- to, e tanto meno a Torino, in questa fase e anche in seguito. Maé senz’altro vero che il principale dirigente comunista in Piemonte, Arturo Colombi, trova alloggio in un appartamento di proprieta di un dirigente socialista, Alfonso Ogliaro”. Non mancano dunque significativi sostegni logistici da parte di azionisti e socialisti, ma per quanto riguarda attacchi diretti a strutture e uomini, sono quasi esclusivamente i gruppi organizzati dal Partito comunista a sparare su gerarchi fascisti e ufficiali tede- schi, a fare attentati dinamitardi contro i ristoranti e i bordelli fre- quentati dai nazifascisti, insomma a praticare direttamente quello che senza remore i dirigenti dei partiti antifascisti impegnati nella guerra di Liberazione definiscono «terrorismo partigiano»”. Di Gap delle brigate Matteotti, e delle formazioni Giustizia e Liberta, si trovano pochi e fugaci cenni in parecchi autori, che si limitano a citare progetti ed episodi saltuari™, atti pit a confermare che a smentire una primogenitura e un sostanziale monopolio comunista. Secondo Giorgio Amendola, responsabile del Comitato milita- re del Cln romano con Riccardo Bauer e Sandro Pertini, il futuro presidente della Repubblica, «nel suo ben noto patriottismo di par- tito, era geloso delle prove crescenti di capacita e di audacia date dai Gap», tanto da chiedere che si progettasse un’azione unitaria, peraltro mai realizzata. L’azione, progettata per il 23 marzo 1944, lo stesso giorno dell’attacco a via Rasella, venne annullata perché il corteo - che avrebbe dovuto celebrare |’anniversario della fon- dazione dei fasci - fu vietato dalle autorita tedesche”. Il dirigente del Pda Leo Valiani, pur concedendo che i comu- nisti furono i primi ad attrezzarsi per condurre un «terrorismo an- tifascista e antihitleriano», ha sostenuto che questa forma di lotta » Cfr. R. Luraghi, I! movimento operaio torinese durante la Resistenza, Einaudi, To- rino 1958, p. 124. » A evitare ricorrenti diatribe nominalistiche, il Comando generale del Cv! nel novem- bre 1944 dispose di chiamare «Gruppi di azione speciale le formazioni del tipo Gap, e cio (ormazioni di pochi uomini aventi per compito Iazione tertoristica, contro i nemici e i tra- ditori, azioni di sabotaggio contro le vie di comunicazione, i depositi del nemico ecc.», inG. Rochat (a cura di), Atti del Comando generale del Corpo Volontari della Liberté cit., p. 252. * Rosario Bentivegna accenna a un progetto concordato con i Gap delle Matteottie di GI di attaccare il carcere nazista di via Tasso a Roma, progetto rimasto tale. Cfr. Id., Senza Jure di necessita virtd. Memorie di un antifascista, Einaudi, Torino 2011, p. 169. ” Cf. G. Amendola, Lettere a Milano cit., pp. 290-91. All’episodio fa riferimento anche una lettera di Amendola a Leone Cattani, pubblicata in R. De Felice, Mussolini, Ei- naudi, 'Torine 1997, vol. IV, L'alleato, tomo II, La guerra civile, p. 565. In proposito, R. Bentivegna, Senza fare di necesita virtd cit., p. 140, accenna a un Gap di Giustizia e Li- herta che avrebbe dovuto partecipare all'attacco contro il corteo fascista che non ci fu, ma nenzionn gruppi socialist 28 Capitolo primo «si estese e ispird i militanti di tutti i partiti democratici»”. Af- fermazione che, pur basata su qualche elemento concreto, non va assunta senza una necessaria precisazione: al di la delle collabora- zioni di cui si é fatto cenno, non si rintracciano notizie di attenta- ti riconducibili direttamente a Gap organizzati da formazioni di- pendenti dal Pda, se si escludono le importanti azioni di sabotag- gio condotte dal gruppo capeggiato da Otello Pighin in provincia di Padova’, giustamente ricordate con orgoglio azionista da Leo Valiani®. A me pare che le notevoli imprese dinamitarde del gruppo or- ganizzato dall’ingegner Pighin nel padovano restino un’eccezione, mentre le modalita operative della brigata guastatori Silvio Tren- tin, di cui Pighin é artefice, paiono difficilmente assimilabili a quelle di un’organizzazione gappista. La stessa denominazione di brigata «guastatori» fornisce un elemento di distinzione non trascurabile. Quando i dirigenti comunisti dedicano uno sporadico cenno ai Gap azionisti, assumono il tono dei seri professionisti che dileg- giano i dilettanti: l’unica volta che il dirigente comunista Arturo Colombi accenna ai Gap del Pda torinese, lo fa per informare che «una squadra di una decina di Gap che il Partito d’ Azione ha sti- pendiato per molti mesi tenendoli inattivi per conservarli per do- mani, richiesti di passare all’azione, se la sono squagliata»*. Nei documenti delle formazioni GI nella Resistenza pubblicati negli anni Ottanta non si trovano notizie di Gap dipendenti dal Pda, tranne una di un certo interesse: in occasione della cattura » L. Valiani, Tutte le strade conducono a Roma, il Mulino, Bologna 1947, p. 1725 nell’edizione successiva del 1983, come ha notato per primo Luciano Canfora, Valiani ap- porta un cambiamento significativo a p. 183, trasformando «di tutti i partiti democratici» in «anche di altri partiti democratici» e aggiungendo una significativa postilla: «pur dub- biosi dell’utilita degli attentati». A determinare queste piccole quanto sostanziose modi- fiche, che valgono di fatto come presa di distanza a posteriori, @ probabile che abbia con- tribuito il clima di lotta al terrorismo, di cui Valiani & stato vivace protagonista. Cfr. L. Canfora, La sentenza: Concetto Marchesi e Giovanni Gentile, Sellerio, Palermo 1985, p. 156. * Sulle imprese della brigata Gl guastatori Silvio Trentin, organizzata e diretta da Otel- lo Pighin, cfr. Archivio dell’Istituto veneto per la storia della Resistenza (Aisvr), b. 9, doc. 24. Sulla figura di Otello Pighin si veda la scheda di C. Saonara, in E. Collotti, R. Sandri e F, Sessi, Dizionario della Resistenza, Einaudi, Torino 2001, vol. II, pp. 616-17. » L. Valiani, I/ Partito d’azione, in Id., G. Bianchi ed E. Ragionieri, Azionisti, cattolici e comunisti nella Resistenza cit., p. 98. C. Francovich, La Resistenza a Firenze cit., pp. 161- 162, attribuisce al Pda toscano l’eliminazione di una spia che si era infiltrata tra gli azioni- sti di Arezzo, e di un fascista di Borgo San Lorenzo; presso !’archivio dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana (Alsrt) a Firenze si conserva un fascicolo intitolato Gap Pda di Pisa, che perd testimonia solamente di moderate azioni di supporto alla resistenza ar- mata, tanto da rendere il titolo di Gap decisamente abusivo. Cfr. Alsrt, fondo Resistenza armata in Toscana, b. 4, fasc. 3 Pisa, sfasc. 7, Gap Pda. » Archivio dell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza di Torino (Alstore- to), fondo Arturo Colombi, fasc. 8 (giugno 1944), Rapporto d’informazione dal Piemonte, 12 giugno 1944. Nascita dei Gap 29 di Ferruccio Parri, leader del Partito e vicecomandante del Cvl, arrestato dai tedeschi a Milano il 2 gennaio 1945, un documen- to «riservatissimo», stilato dal comando delle formazioni Gl del- la Lombardia, ordina che «la dozzina di Gap a nostra disposizio- ne», «ben preparati, bene armati e con la promessa di un grosso premio individuale se il colpo riesce (anche superiore alle 10000 lire)» provvedano al sequestro di un prestigioso ostaggio, tanto prezioso da rendere possibile uno scambio con Ferruccio Parri”. Noi ignoriamo il motivo per cui il progetto non ebbe seguito, ma quella promessa di denaro sonante non sembra alludere a gruppi selezionati in base a criteri esclusivamente ideologici. L’affermazione di Secchia che rivendica di fatto un monopolio del Partito comunista nell’ organizzazione dei Gap sembra dunque sostanzialmente corretta. Vale la pena a questo punto di chiedersi: perché solo il Partito comunista? «Fare del nostro partito il fattore predominante». Remo Scappini*, responsabile militare del Pci per il Piemonte fino al suo trasferimento in Liguria, in una missiva di fine settem- bre 1943 indica con estrema chiarezza gli obiettivi, immediati e strategici, dell’azione comunista: Senza esitazioni condurre immediatamente una lotta spietata contro i tedeschi e fascisti, spingere la classe operaia, i soldati, i contadini e il resto della popolazione sul terreno dell’azione energica e decisa sulla base delle direttive del partito e sul terreno della politica del Comitato di liberazione nazionale [...] facendo del nostro partito il fattore predominante nella lotta per la liberazione dell’Italia da tutti i nemici stranieri e nostrani, assicurando al partito e alla classe operaia un ruolo decisivo nel futuro riordinamento politi- co e sociale del paese”. Che la scelta di scendere immediatamente sul terreno della lot- ta armata in citta coincidesse con la politica del Comitato di libe- ” G. De Luna, P. Camilla, D. Cappelli e S. Vitali (a cura di), Le formazioni Gl nella Resistenza, FrancoAngeli, Milano 1985, p. 300. ™ Remo Scappini, fin da giovanissimo impegnato nella militanza politica, ha il classi- co curriculum de! «rivoluzionario professionale»: frequenta la scuola leninista a Mosca, ¢ sconta nove anni di carcere in Italia; dopo l’armistizio viene inviato a dirigere il Partito in Piemonte, e dall’ottobre 1943 diviene coordinatore di tutta I’attivita di partito in Liguria; di niotevole interesse 'autobiografia: Id., Da Empolia Genova (2945), La Pietra, Milano 1988. ” R. Scappini (Giovanni), Considerazioni sulla situaxione generale del Piemonte, 30 settembre iP, Secchi, Id Partito comunista italiano ¢ la guerra di Liberazione cit., p. 122 (corsive iio) 30 Capitolo primo razione nazionale é per verita affermazione ripetutamente smen- tita dallo stesso Scappini e dagli altri esponenti comunisti, impe- gnati in contrastate e faticose riunioni con i Cln provinciali. Di fatto, innumerevoli sono le lamentele e le denunce dei rappresen- tanti comunisti nei Cln che sottolineano il proprio isolamento, e la precisa contrarieta dei rappresentanti cattolici e liberali a scate- nare da subito la guerra in citta. Scappini, in una relazione di po- co successiva, avrebbe commentato cosi la posizione assunta dal Cln di Torino nella riunione del 2 ottobre 1943: «La posizione po- litica del Comitato militare € sempre la stessa: “attendere, nel frat- tempo lottare contro i fascisti, non disturbare i tedeschi per non provocare reazione e repressione” ». A proposito della riunione successiva, 9 ottobre, Scappini annota: La loro (tutti gli altri partiti) € sempre quella di attendere ora che «i te- deschi ci lasciano lavorare un po’ tranquilli», colpire solo i fascisti e le spie. A questo punto il cristiano sociale ha posto la questione della coscienza: & legittimo uccidere? [...] Bisogna dare degli esempi e marciare diritti alla me- ta; sara questo l’unico modo per far decidere in un modo o nell’altro questi attendisti: o se la squaglieranno, lasciando libero il campo o saranno spinti ad agire con noi* La sintesi di Scappini, pur molto schematica, mette a fuoco le due questioni sostanziali che nell’immediato spingono «gli altri», in particolare democristiani e liberali, a una decisa contrarieta verso lo scatenamento del terrorismo urbano: il timore delle rap- presaglie e le remore morali, le perplessita, 0 il rifiuto di uccidere, soprattutto i tedeschi. La guerra dei Gap é l’aspetto della guerra di Liberazione in cui piti si evidenzia la diversita comunista nel panorama dell’an- tifascismo italiano; non a caso, come vedremo, sara la pratica del terrorismo urbano a mettere a dura prova la scelta e la necessita di condurre la lotta in modo unitario. Una stretta collaborazione, sia pure segnata da forti disarmonie“, con le brigate Giustizia e Li- berta egemonizzate dal Partito d’azione, e anche con le formazioni autonome, le Fiamme verdi, le Matteotti, si realizza faticosamen- te nel corso della guerra partigiana. Invece proprio nella scelta di creare i Gap e di lanciarli «subito», «immediatamente>», in azione, si evidenzia senza mediazioni la contraddizione della strategia co- munista fra scelte convintamente nazional-patriottiche, orientate a privilegiare l’unita d’azione, el’ orgogliosa rivendicazione di una © Relazione di Giovanni (Remo Scappini), ro ottobre 1943, in BG, I, pp. 104-6. “ §, Peli, colori della Resistenza. Divisione e scontri fra bande partigiane, in M. Isnen- ghie G. Albanese (a cura di), Gi italiani in guerra, Utet, Torino 2008, vol. IV, tomo II, pp. 609-16 Nascita dei Gap 3I diversita comunista che ne autorizza evidenti e ribadite aspirazio- ni egemoniche*. Gli altri partiti antifascisti con i quali i comunisti si confron- tano, con una certa asprezza, nei nascenti Cln non sono convin- tidella produttivita, in termini di consenso da parte dei cittadini, e della praticabilita, in termini morali, del terrorismo urbano. A far paura sono soprattutto le rappresaglie tedesche, feroci sempre, e particolarmente spietate quando a essere colpiti sono soldati 0 ad- dirittura alti ufficiali tedeschi. I tre anni d’occupazione dell’ Euro- pa da parte delle truppe hitleriane avevano gia offerto abbondanti prove, forse ignote alle persone comuni, ma gia entrate nel pesante bilancio della resistenza armata europea. Tra i numerosi esempi in proposito, basti ricordare un paio di episodi. La rappresaglia per l’attentato al protettore di Boemia e Mo- ravia, il Gauleiter Reinhard Heydrich (27 maggio 1942), costata la totale distruzione del villaggio di Lidice, oltre all’uccisione di 199 abitanti di sesso maschile sopra i quindici anni; inoltre 184 donne internate a Ravensbriick, e 88 bambini a Litzmannstadt®. In Francia, dopo l’ennesimo attacco condotto dai Ftp contro le truppe tedesche di stanza a Marsiglia, nel gennaio 1943, l’intero quartiere del vecchio porto (14 ettari) viene raso al suolo, e 2400 abitanti dei quartieri operai deportati*. A impedire una concreta partecipazione all’ organizzazione del terrorismo urbano, oltre alle remore morali, concorre la totale man- canza d’esperienza in questo campo. Anche i militanti comunisti in generale ne sono privi ma, a differenza degli altri partiti, quel- lo comunista dispone di un nucleo ristretto di militanti e dirigen- tiche sono stati diretti protagonisti del terrorismo scatenato con- tro le truppe tedesche, soprattutto nella zona di Lione e Marsiglia. I Francs-tireurs et partisans-Moi (Main-d’ oeuvre immigrée) aveva- no compiuto impressionanti attentati terroristici nella zona di Pa- rigi, fino alla cattura dell’intero gruppo di combattenti capeggiati dall’armeno Missak Manouchian; nel gruppo, divenuto famoso co- * S, Peli, Comunisti italiani nella Resistenza, in P. P. Poggio (a cura di), L’Altronove- cento, Comunismo eretico e pensiero critico, Jaca Book, Milano 2010, vol. I, tomo I, L'eta del comunismo sovietico: Europa 1900-1945, PP. 113-30. ” G. Ricchezza, L’occupazione nazista in Europa, Ferni, Ginevra 1972, vol. IV, pp. 44-57. Si deve al regista Fritz Lang (su soggetto di Bertolt Brecht), un film di straordinaria sugestione sull'attentato a Heydrich, Anche i boia muoiono, Usa, 1943- “G s:Picat, [.'innacence ct la ruse. Des étrangers dans la Résistance en Provence, rage tog, Kalitions Tirésins, Paris 2001, pp. G4 65, 32 Capitolo primo me «quelli dell’ Affiche rouge», erano presenti anche cinque italia- ni, ma non risulta una diretta collaborazione dei dirigenti del Pci*. E invece nella Francia del Sud, fra l’autunno 1942 e i primi mesi del 1943, che l’organizzazione dei Ftp vede in posizione pre- minente numerosi dirigenti e militanti del Pci, reduci dalla guerra civile spagnola, che qui perfezionano !’allenamento alla vita clan- destina e all’uso delle tecniche di una guerra condotta in ambito urbano con attentati dinamitardi e alle persone“. Su tutti, per il ruolo avuto in Francia, e ancor piti in seguito nell’organizzazio- ne dei nuclei gappisti nell’Italia settentrionale, Ilio Barontini”, e poi, fra gli altri, Ateo Garemi*, Francesco Scotti”, Egisto Rubi- ni”, Alighiero Bonciani*. © L'Affiche rouge @ il nome con il quale diviene famoso il manifesto con i volti dei membri del gruppo Manouchian, affisso in tutta Ia Francia dalle forze di occupazione tede- sche nell’intento di dipingerli come volgari assassini al soldo del nemico. Cfr. Ph. Robrieux, L’ Affaire Manouchian. Vie et mort d’un héros communiste, Fayard, Paris 1986; M. Lévy, Les enfants de la liberté, Robert Lafont, Paris 2007; B. Rayski, L’Affiche rouge, Denoél, Pa- ris 2009. Il regista francese Robert Guédiguian ha dedicato recentemente alla vicenda del gruppo Manouchian un film notevole, L’Armaée du crime (Francia, 2009). “ G. Amendola, Marsiglia 1942, in «Rinascita», XXII (marzo 1965) n. 12, ripubbli- cato in Id., Comunismo, antifascismo, Resistenza, Editori Riuniti, Roma 1967, e T. Noce, Rivoluzionaria professionale, La Pietra, Milano 1974, pp. 245-56. ” G, Amendola, Comunismo, antifascismo, Resistenza cit., p. 364; per la biografia di Ilio Barontini e per il suo ruolo decisivo nella costituzione e nel funzionamento dei Gap, non solo a Bologna, ma anche in Liguria, a Milano e in altre sedi, cfr. E. Barontini e V. Marchi, Dario: Ilio Barontini, Nuova Fortezza, Livorno 1988, ¢ anche Ear, ad nomen. “ Nato a Genova nel 1921, Ateo Tommaso Garemi emigra giovanissimo in Francia, ea diciassette anni partecipa alla guerra di Spagna nelle Brigate internazionali. Rientrato in Francia, partecipa agli attentati nella zona di Marsiglia organizzati dai Ftp; tornato a Torino dopo I'armistizio dell’8 settembre 1943, inizia la militanza in un gruppo anarco- comunista, ¢ con l’anarchico Dario Cagno, la mattina del 25 ottobre 1943 tende un ag- guato al seniore della Mvsn Domenico Giardina, capo dell’ufficio Matricola e Arruola- mento; arrestato con Cagno due giorni dopo, assieme vengono fucilati il 21 dicembre 1943. Da lui prende il nome la XLV brigata Garibaldi operante nel Veneto che, in seguito, di- viene gruppo divisioni Garemi. Cfr. www.anpi.it/donne-e-uomini/ateo-tommaso-garemi/ (salvo indicazioni diverse, tutti i siti web citati sono stati consultati !’ultima volta nel giu- gno 2014). © Francesco Scotti, dirigente comunista con anni di carcere alle spalle, un ruolo di comando sia nell’esercito repubblicano durante la guerra civile spagnola sia nell’organizza- zione dei Ftp nel Sud della Francia; dal suo rientro in Italia ispettore generale delle brigate Garibaldi. Di Francesco Scotti si veda La nascita delle formazioni, in Aa.Vv., La Resistenza in Lombardia, Labor, Milano 1965, pp. 69-71. ® Egisto Rubini, muratore, volontatio in Spagna, poi comandante dei Ftp nel Lot- Garonne, e poi a Nizza e nelle Alpi Marittime, infine comandante del primo distaccamen- to Gap di Milano, fino alla cattura, il 19 febbraio 1944: seviziato atrocemente, si suicida il 25 febbraio per non dover cedere alle torture. * Alighiero Bonciani, nato a Castellina (Firenze) il 27 agosto 1903, si trasferisce in Francia nel 1923 per sottrarsi alle persecuzioni dei fascisti. Allo scoppio della guerra di Spagna combatte con la centuria Gastone Sozzi della brigata Garibaldi. Rientra in Fran- cia dopo essere stato ferito, e dal r9q2 partecipa agli attentati dinamitardi organizzati dai Ftp; giunge a Milano nel giugno 1944, dove @ nominato capo di stato maggiore delle Sap, collaborando anche con la III Gap di Giovanni Pesce. Sorpreso da militi della Muti, viene Nascita dei Gap 33 E dalle esperienze compiute in Francia che il Partito comuni- sta trae i militanti decisivi per la creazione dei Gap e anche per la realizzazione delle prime spettacolari imprese™. Sono questi militanti a importare in Italia l’esperienza france- se, e a renderla possibile, assumendosi il compito di selezionare e di istruire le nuove reclute disponibili a combattere un tipo di lot- ta che in Italia non ha precedenti”. Senza questi quadri dirigenti, senza l’esperienza della concreta organizzazione della lotta arma- ta di citta a Lione, a Marsiglia, progettare la formazione dei Gap sarebbe stato impensabile. La disponibilita di un nucleo di esperti organizzatori crea mol- to probabilmente delle illusioni sulle possibilita di allestire i Gap puntando esclusivamente sui militanti comunisti. Convincere il 15 per cento degli iscritti al Partito a lasciare la vita civile per de- dicarsi alla lotta armata, come deciso nella riunione milanese di fi- ne settembre 1943, si rivela ben presto un’utopia™: per molti mesi i dirigenti comunisti invieranno esortazioni e lavate di capo a tut- te le federazioni provinciali, che in generale incontrano molte pitt difficolta di quelle previste nel mobilitare i propri militanti. L’indefettibile determinazione del gruppo dirigente comunista si trova nei primi mesi della lotta clandestina a scoprire una veri- ta che dal carcere, dal confino, dall’esilio non era stata preventi- vata: la paura fisica, e le perplessita morali, non sono affatto una prerogativa degli altri partiti antifascisti. Anche la base comuni- sta, di cui i dirigenti provenienti dalle patrie galere o dall’esilio hanno una conoscenza assai ridotta, non é in fondo molto diversa da quella degli altri partiti antifascisti, quanto a scarsa propensio- ne a intraprendere la via del terrorismo urbano. ucciso il 21 ottobre 1944. Cfr. Biografia del compagno Bonciani Alighiero (Nano), in Archi- vio Isec, fondo Anpi Milano, b. 2, fasc. 2; cfr. inoltre Alla commissione Riconoscimento Qualifiche partigiane, dati richiesti per il riconoscimento della III brigata Garibaldi Gap Rubini, in Alnsmli, fondo Cvl, busta 120, fasc. 1; J.-L. Panicacci, Gii italiani nella Resi- stenza del dipartimento delle Alpi Marittime, in «Storia e memoria», IV (1995), n. 2, p. 855 Associazione nazionale partigiani d'Italia (a cura di), I martiri della liberta, Milano, Anpi, s.d. (ma 1945), p. 406. Devo a Luigi Borgomaneri le indicazioni bibliografiche e archivi- stiche su Alighiero Bonciani. ™ G. Perona, Gl'ltaliani nella Resistenza francese, in «Mezzosecolo. Materiali di ricer- ca storican, n. 9, Annali 1990-92, pp. 339-40. » G. Amendola, Lettere a Milano cit., p. 60. ™“ Cf, Direttive di lavoro, documento dalla datazione incerta ma attribuibile al 27 set- tembre 1943, con il quale la Direzione del Pci ordina alle federazioni comuniste di «dare i inigliori compagni al lavoro militare diretto; dare degli elementi capaci a fare i comandanti ed i conmmissari. Rat(orzure le unita esistenti con invio in esse di operai e di compagni; in- viare almeno il quindici per cento degli iscrittiv: BG, 1, p. ror, 34 Capitolo primo Difficili esordi della lotta armata. In montagna. A partire dall’armistizio dell’8 settembre 1943, e dalla repen- tina dissoluzione dell’esercito italiano, in montagna si vanno ad- densando folti gruppi di soldati sbandati, reduci dalle disastrose campagne militari che hanno preceduto |’armistizio: alcuni decisi acombattere, molti, nelle fasi iniziali, intenzionati a sottrarsi alla cattura e all’internamento loro riservati dai tedeschi. Ai militari in fuga che si attestano sulle montagne, destinati in buona parte a essere travolti dai primi rastrellamenti autunnali, si aggiungono via via nuove schiere di giovani chiamati al servizio militare dalla neonata Rsi. Tra loro ci sono quelli animati dal desiderio di bat- tersi contro i fascisti e i tedeschi, ma anche quelli semplicemente in fuga dai bandi di leva della Rsi, mossi dal desiderio di sottrarsi alla guerra. Alcuni tornano presto in pianura, altri aderiscono a una banda; la selezione spetta agli organizzatori, ai pochi quadri dei partiti antifascisti, ai comandanti, ai partigiani della prima ora, e, pit di tutto, ai primi combattimenti. Non tutti i militari sbandati, e tanto meno tutti i renitenti alla leva diverranno partigiani; ma é da questa imponente massa di giovani uomini variamente motiva- ti che le strutture organizzative della resistenza armata distillano, nel corso del 1944, i veri partigiani. I comandanti, i commissari politici delle formazioni di montagna devono affrontare, piti che un problema di reclutamento, complessi problemi di selezione, e poi di organizzazione: il numero di partigiani sara sempre notevol- mente superiore alle reali possibilita di armare, nutrire, alloggiare gli aspiranti tali. Accogliere tutti coloro che salgono in montagna? Anche se disarmati, incerti, inesperti? Questo sara uno dei dilem- mi, risolto variamente dalle formazioni Garibaldi, Gl, autonome, quando il flusso si fara poderoso, nell’estate del 44”. Pid che trovare reclute, la principale difficolta sara sempre quella di ageregare, coordinare, disciplinare e poi, soprattutto, controlla- re politicamente la crescente massa di uomini che salgono in mon- tagna, in gran prevalenza giovani. Non sono i partiti antifascisti a dover cercare adepti: il vero problema é censire, rifornire di viveri e armi, coordinare. Le potenziali truppe si recano in montagna in buona parte spontaneamente: la maggior difficolta é trovare qua- * Cr. S. Peli, Dimensioni militari e politiche della Resistenza, in «Italia contempora- nea», XXXII (dicembre 2004), n. 237, pp. 569-79- Nascita dei Gap 35 dri militari e di partito in grado di assumerne il comando, l’istru- zione militare, la guida politica. Sono i primi rastrellamenti, e i primi colpi organizzati contro i fascisti, il decisivo vaglio, che se- taccia, che decide chi diverra effettivamente partigiano e chi no. Ma chi vuole evitare l’arruolamento, nell’esercito fascista o nel la- voro coatto per i tedeschi, per prima cosa deve lasciare cittadine e metropoli dove massimo é il pericolo di essere catturati, e andare a ingrossare il flusso di giovani che si dirige verso le montagne. Li si trovano i primi nuclei partigiani, irresistibile polo di attrazione, reso piti allettante dalle confuse informazioni e dalle leggende che circolano sul loro conto. Per quanto riguarda il sostentamento e le sistemazioni di fortu- na, i partigiani in montagna possono, nei casi migliori, fruire di al- loggiamenti presso comunita contadine, degli alpeggi abbandonati durante |’inverno, di rifugi improvvisati. I viveri sono direttamente prelevati dalle risorse locali, contando sugli aiuti - sempre insuffi- cienti, in verita - convogliati in montagna dai Cln; ancor pit impor- tante é la solidarieta contadina, a volte spontanea, a volte incorag- giata anche dalla capacita di convincimento, dalle promesse di futuri pagamenti, o dalla minacciosa vista di uomini affamati e armati*. Privazioni, fame, freddo e pidocchi sono i costanti compagni della vita partigiana, ma le possibilita di arrangiarsi anche con po- chi denari sono numerose, specie laddove i partigiani sono origi- nari del luogo, e possono contare su reti di protezione incentrate sulla famiglia, sul clan, sulla comunita. A queste risorse locali si aggiungono poi gli aiuti degli Alleati, dopo molti mesi in cui essi sono restii a incoraggiare la formazione di brigate partigiane mili- tarmente efficaci. A frenare gli aiuti, specialmente da parte degli inglesi, concorrono tradizionali diffidenze nei confronti di bande irregolari, costituite da ex soldati e civili, per di pit antimonarchi- cio addirittura comunisti. Per un piano organico di aiuti in armi, denaro, divise, viveri, bisogna attendere gli assai tardivi accordi tra i vertici della Resistenza italiana e |’Alto comando alleato del dicembre ’44. Fino ad allora, i lanci hanno una scarsa consistenza, generando, allora e nei decenni successivi, ricorrenti polemiche da parte delle brigate garibaldine, che si ritengono discriminate rispet- to alle formazioni autonome, solo in teoria apolitiche”. ™ Per una esposizione piti articolata e documentata delle varie fasi dello sviluppo del- lu guerra di Liberazione, rinvio al mio La Resistenza italiana. Storia e critica, Einaudi, To- rine 2004. * Oltre al pionicristico P. Secchia e F. Frassati, La Resistenza e gli Alleati, Feltrinelli, Milano 1962, sulla complessa vicenda dei rapporti Alleati-Resistenza, eft. E. Aga Rossi, Mleatie Revistenza in Matia, in Vd. L'ltalia nella sconfitta, Politica interna e situazione inter. 36 Capitolo primo In sintesi, le risorse recuperate dai Cln, quelle prelevate piti o meno regolarmente dal territorio locale e quelle fornite dagli Al- leati riusciranno, quasi sempre, a coprire una parte dei bisogni di armi, viveri, vestiario delle bande. A partire soprattutto dalla primavera del 1944 i presidi fasci- sti devono abbandonare consistenti zone alle bande partigiane, capaci ormai di indurli a ritirarsi a valle, in pianura, dove devono limitarsi al controllo costante dei maggiori centri abitati. Da qui, alternando successi e insuccessi, ripartono spedizioni punitive e rastrellamenti, nel tentativo di riprendere il controllo dei territori perduti, martoriando soprattutto la popolazione civile. Pit che un impossibile e definitivo controllo di tutto il territo- rio, il vero obiettivo dei nazifascisti é fare terra bruciata di ogni possibile solidarieta verso il movimento partigiano. Per chiudere un insieme di vallate in un rastrellamento a tappeto é sempre ne- cessario mobilitare imponenti schieramenti di truppe e mai, senza il diretto coinvolgimento dell’esercito tedesco, le truppe scarsamente motivate della Rsi sono in grado di riprendere un pieno controllo dei territori «infestati» dai partigiani, nonostante i reiterati pro- clami. Anche nelle fasi pit disperate della guerra in montagna, nei pit terribili rastrellamenti, per gli attaccanti & impossibile circon- dare perfettamente, fino a sigillarla, una zona partigiana. Non é certo un idillio: brutalita e orrori, torture e massacri non sono prerogativa esclusiva della citta; ma nella memoria di molti partigiani, che si trovano per la prima volta a «respirare quell’ aria libera»*, la montagna e la vita di banda divengono esperienza indi- menticabile e vivificante. Agli antifascisti e ai renitenti in fuga dalle polizie nazifasciste la montagna si offre insomma come iniziale rea- lizzazione di un sogno di liberta, di rinascita etica e fisica; la vastita dei luoghi aperti sembra garantire rifugi e sicurezze, e la possibili- ta di affrontare rischi e battaglie in gruppo, assieme ai compagni. L’esperienza della guerra partigiana, in moltissime testimonian- ze, ¢ caratterizzata da un senso di liberazione, in nulla paragona- bile all’estenuante, costante tensione del gappista: Arrivi e provi un senso di liberazione rispetto a quello che hai fuggito. La tua incolumita é sicuramente pit certa di prima. Invece di essere da solo, ti trovi con altri nella tua stessa situazione tra cui alcuni che hanno maturato nazionale durante la seconda guema mondiale, Esi, Napoli 1985; M. De Leonardis, La Gran Bretagna e la Resistenza partigiana in Italia (1943-1945), Esi, Napoli 1988, e il recente T. Piffer, Gli Alleati e la Resistenza, il Mulino, Bologna 2010. * Riprendo espressione, che giudico assai pregnante, da una frase che il regista Da- niele Gaglianone fa dire a un partigiano protagonista del suo I nostri anni (Italia, 2001), che rappresenta a mio giudizio un vertice dell’ asfittico cinema italiano dedicato alla Resistenza. Nascita dei Gap 37 una certa esperienza e ti danno un bel mitra, pistole, bombe a mano. Hai la possibilita di vendere cara la pelle. Una situazione materialmente e psicolo- gicamente molto diversa rispetto all’ essere nascosto in qualche appartamento dove arriva uno che da un calcio alla porta e ti spara o ti porta a Mauthausen”. L’esperienza di partigiano alla macchia sui monti di Palestrina é stata mol- to diversa dalla guerriglia condotta in citta, nei Gap. La notte (seppure all’ad- diaccio) potevamo dormire sonni tranquilli, in localita isolate, avendo a dispo- sizione un armamento consistente e potendo contare sulla solidarietd della gente, e con la garanzia di cibo quasi tutti i giorni fornitoci dai contadini del- le zone limitrofe. La vita in banda ci faceva sentire al sicuro®. In citta. In citta accade esattamente il contrario. I candidati a entrare nei Gap vanno trovati, contattati con estrema cautela, vagliati nelle loro motivazioni e nella loro affidabilita, e sono esclusivamente i re- sponsabili comunisti del «lavoro militare» a intraprendere laboriose ricerche fra i militanti. L’onere di reclutare, e di trovare le risorse finanziarie e logistiche indispensabili ricade soltanto sulle strutture del Pci, particolarmente gracili almeno fino all’ estate del 1944. Il reclutamento é quantomeno problematico, nonostante si tratti di avviare al gappismo decine, e non migliaia di militanti: i candidati gappisti in generale non sono renitenti alla leva, anzi la condizione operaia che li accomuna pressoché tutti (a eccezione del gappismo romano) garantisce documenti in regola e tessere annonarie; al fu- turo gappista si chiede di abbandonare queste certezze, minime ma fondamentali, per immergersi nella clandestinita, nell’isolamento di una lotta pericolosissima, da combattere in solitudine o quasi. Inoltre, nel territorio urbano il controllo da parte delle truppe d’occupazione e delle varie polizie tedesche e italiane che si van- no moltiplicando @ incomparabilmente pit soffocante e capillare di quello realizzabile fuori citta. La citta, i quartieri, i caseggiati, le strade, si trasformano via via in un incubo claustrofobico per tutti gli abitanti, e ancor pitt per chi vi intraprende la via della lotta armata e della clandestinita: tutte le testimonianze dei gappisti ne recano tracce inequivocabi- li. E la citta il centro del potere, dove avviene la concentrazione delle risorse militari e poliziesche della Repubblica, dove l’esercito d’occupazione tedesco sistema i comandi militari e le proprie po- ” Gf. la testimonianza di Ezio, in M. Calegari, La sega 4i Hitler, Selene, Milano 20045 P. 93. R. Bentivegna, “op enza fare di necessita virti cit., p. v7. Seechin, Gap, in Kar, p. 475 38 Capitolo primo lizie. Quello metropolitano, per tutta la durata dell’ occupazione tedesca, sara l’unico territorio realmente controllato dalla Wehr- macht e dalle varie polizie e bande fasciste al servizio dei tedeschi. In citta, le scale di un condominio, un appartamento, un ci- nema, un tram sono trappole dalle quali é impossibile fuggire. La vita di ogni cittadino, ancor piti se maschio e giovane, é continua- mente sottoposta a un’infinita di controlli, di filtri, di ostacoli alla circolazione: capiscala che scrutano e controllano ogni inquilino, retate improvvise nei locali pubblici, nelle strade, documenti da esibire a ogni passo, carte annonarie per il vitto sempre piti scarso per l’intera popolazione, bombardamenti e coprifuoco. La mia vita di partigiana in montagna é stata molto pit facile della vita in cospirazione. In citta eravamo circondati da spie. In ogni scala c’era un respon- sabile di scala, quello degli allarmi, che denunciava chi non andava al rifugioe poi in ogni palazzo c’era un informatore della questura. Noi, in via Pertinace, in una delle nostre residenze «coperte», siamo stati segnalati perché eravamo una famiglia «che non corrispondeva all’ambiente», cioé una famiglia di ope- rai in una casa di piccoli borghesi. Uno dei colpi piti gravi lo abbiamo ricevuto cosf, per uno che ha detto: If c’é gente che non appartiene a questo ambiente L...] In cospirazione sei solo, sempre; lassi eravamo tanti, sicuri di vincere; lottavamo contro un nemico visibile, concreto, in una guerra vera. Puoi cam- minare per ore nella neve, affamata, con i piedi gelati ma é bello perché sei gia proiettata nel futuro, nel mondo della giustizia, dove tutti sono fratelli. C’era un desiderio di futuro perché tutti, i ragazzi piti degli altri, conosceva- no la miseria delle loro famiglie. Parlo di quella morale. Lassi erano trattati da adulti, comandavano, vivevano, assaporavano la libert&. A casa invece...°. Gli infiniti ostacoli alla circolazione rendono la situazione dei clandestini estremamente pericolosa; le autorita nazifasciste rispon- dono invariabilmente agli attentati gappisti con divieti di circolare in bicicletta senza speciali permessi (o addirittura con il totale di- vieto di farlo per chiunque) e con I’allungamento del coprifuoco®. Per i clandestini, ospiti silenziosi e invisibili di appartamenti che debbono sembrare disabitati, e dunque impossibilitati a raggiun- gere i rifugi durante i bombardamenti, non v’é tregua e tranquillo rifugio: la strada é di per sé rischiosa, la casa pure. ® Testimonianza di Marietta, Angela Berpi, fra i principali protagonisti della resistenza armata in Liguria, prima staffetta dei Gap di Genova e dal Tuglio 1944 inviata in montagna dopo la disfatta della resistenza armata in citt& nella prima settimana di quello stesso mese. Manlio Calegari ha intervistato Marietta fra maggio e ottobre 1987, ricavandone un saggio di grande interesse, Cara Marietta, caro professore, consultabile nel sito www.quaderni.net/ WebMarietta/Mariooindex.htm/. © Essendo la bicicletta il principale mezzo di trasporto degli operai, un’applicazione tigida e costante dei divieti fu perd irrealizzabile, perché recarsi al lavoro sarebbe stato impossibile per la maggior parte di loro. Cenni, esempi e testimonianze sui divieti di cir- colazione per le biciclette in F. Giannantoni e I. Paolucci, La bicicletta nella Resistenza, Edizioni Arterigere, Varese 2008. Nascita dei Gap 39 La fame che attanaglia tutta la popolazione italiana, a esclu- sione di chi pud accedere ai prezzi astronomici del mercato nero, trova nelle citta la sua massima diffusione, ma per chi passa alla clandestinita non ci sono tessere annonarie: vanno procurate, co- me tutti gli altri documenti falsi (permessi di circolazione, fogli matricolari, carte d’identita ecc.). Senza consistenti reti organizzative, e abbondanti risorse fi- nanziarie, non si possono avere né armi, né alloggi, né viveri, né documenti. A tutto cid dovrebbero provvedere esclusivamente le magre raccolte nelle quali si impegnano le federazioni comuniste, che lanciano, nelle angustie della segretezza, collette presso i pro- pri tesserati, in stragrande maggioranza di estrazione operaia; non vi sono altre forme di finanziamento, specie agli esordi. A Torino la federazione riscuote 5 lire al mese da ogni iscritto, il costo della tessera é di 10 £; nel mese di febbraio 1944, in presenza di una grande espansione del numero di iscritti (2310, il doppio rispetto a due mesi prima), la federazione di Torino raccoglie 11905 £%. Per avere un’idea di cosa significhino queste cifre, pud essere utile tener presente che nel gennaio 1944 a Torino con 5 lire si pud acquistare un cavolo, o un litro di latte o un chilo di patate, mentre il pane bianco arriva a 30 £ al kg, un litro di olio a 400-500, e un paio di scarpe di cuoio a 1500. La legna da riscaldamento varia, a seconda della qualita, da 100 a 200 £ al quintale®. Nemmeno da parte dei Cln possono arrivare aiuti consistenti, perché le azioni dei Gap iniziano quando ancora la maggior parte dei Cln é in generale assai inefficiente; anche in seguito le risor- se raccolte dai Cln non saranno facilmente convogliabili verso le strutture gappiste, di fatto sottratte a ogni forma di controllo e di comando che non siano quelle del Partito comunista. Non pud stupire che l’estrema scarsita di finanziamenti indu- ca progressivamente parecchi nuclei gappisti a reperire risorse con «azioni di recupero», eufemismo che indica di solito rapine a dan- no di commercianti «fascisti», o di banche. Pratiche che espon- gono, naturalmente, al rischio di degenerazioni: sulla questione tornerd piti avanti. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, mi pare di poter sostenere che, se la scelta della lotta armata, di per sé scelta estre- ma, é di una ristretta minoranza della gioventt italiana, la scelta di combattere in citta ne rappresenta probabilmente la forma pit "Clr. Situazione attuale dell’organizzazione di Torino, 25 matzo 1944, in Alstoreto, fondo Arturo Golombi, fase. 5 © Diario di Carla Chevallard cit, 24 potnuic Hl 1B. 40 Capitolo primo ardua. Prima di analizzare le difficolt’ incontrate dai comunisti nel reclutamento dei Gap, é utile soffermarsi sulle specificita e le di- verse implicazioni del modo di combattere, in montagna e in citta. a) Il modo di combattere dei partigiani di montagna e dei gap- pisti, diverso per molti motivi abbastanza ovvii, ha in realté anche significativi punti in comune, che non vanno trascurati. I piti chiaro & che, sia per i Gap sia per le bande partigiane, la lotta va combattu- ta prima di tutto sottraendosi allo scontro diretto, puntando invece sul «mordi e fuggi». Quel che in citta sono attentati s o su gruppi di nemici, in montagna e nelle strade di pianura sono imboscate: in tutti e due i casi, si tratta di colpire per primi un ne- mico colto di sorpresa, ¢ ritirarsi per evitarne la reazione. In tutti e due i casi, lo scontro viene ricercato, é il risultato di una scelta d’attacco. Stare all’agguato, per colpire un gerarca o una sentinella in citt&, o restare acquattati sui bordi di una strada di montagna o di campagna, attendendo un camion militare, in fondo non fa mol- ta differenza: si tratta di un’esperienza dalla quale possono sorge- re riflessioni anche amare, come quelle che il giovane intellettuale comunista Mario Spinella rievoca nella sua autobiografia. Entro pochi minuti, tra noi loro, si giochera, rapidissima, la partita mortale. Non dovrebbe assillarmi il pensiero di una casa tedesca, di una donna, dei bambini biondi che giocano in un giardinetto. La crudelta di tutto questo é senza veli; siamo noi, € loro, soltanto mostri che ci muoviamo nelle tenebre. Eppure cid é, oggi, inevitabile. Altri hanno scelto per noi, non c’é che da stare alla mira, in silenzio, all’ agguato [...] Quando scendiamo, piti tardi, sulla strada, tutto é compiuto: una macchina nera e riarsa, qualche striscia di sangue, i volti contratti dal terrore. L’esperienza mi ha reso, purtroppo, familiare alla morte, e sono io che frugo per trovare un portafogli, una lettera, un segno di riconoscimento. I due soldati del primo camion sono stati ridotti, dal fuoco, a un ammasso di stoffe e di carni; gli altri, invece, piti composti, neanche stupiti. Cosi, torniamo al campo. Nessuno di noi @ contento, e non parliamo, quasi non ci guardiamo 1’un !’altro. Non abbiamo fatto nulla di cui essere fieri: al contrario, solo un gesto necessario che ora ci pesa, ma che domani o dopo dovremo di nuovo ripetere®. Non tutti i combattenti hanno la stessa reazione a un agguato ben riuscito: possiamo immaginare che in molti prevalga, sulla tri- stezza di cui é vittima Mario Spinella, la fierezza, l’orgoglio guer- riero, il sollievo di essere ancora vivi ecc. Per il partigiano, come per il gappista, il nodo di implicazioni etiche che comporta la scel- ta di uccidere, volontariamente e deliberatamente, non é elimina- bile una volta per tutte, ed é un nodo che deve essere ogni volta affrontato nell’intimo della propria individualita. “ M. Spinella, Memoria della Resistenza, Einaudi, Totino 1995, pp. 170-71- Nascita dei Gap 4r Cid che conta peré é la diversita del contesto nel quale la stessa esperienza pud essere elaborata: da una parte una vita collettiva, dall’altra l’isolamento, sia pure, quasi sempre, non del tutto indi- viduale; non a caso vedremo quanto spesso il gappista che ha com- piuto un’azione non resista a tornare sul luogo, a tendere !’orec- chio, al bar, in tram, per strada, per sentire i commenti che la sua azione ha suscitato; e quante volte, e quanti rischi o drammi abbia comportato l’incoercibile bisogno di narrare le proprie imprese: & Ja mancata socializzazione della propria vita, tanto pit opprimente quanto piti questa é tesa allo spasimo, a costituire uno dei massimi problemi del gappismo, e una ragione intima della sua scarsa durata. Il partigiano della montagna é immerso in una condizione esi- stenziale inusuale, e una delle caratteristiche di questa nuova con- dizione é quella della totale condivisione della quotidianita. La struttura della banda, la vita in comune, il rapporto diretto con la popolazione montanara, il «laboratorio politico», che attraver- so corsi, giornali, commissari, a volte le bande diventano: tutto questo in citta non é nemmeno immaginabile. Quando una serie di arresti a catena distrugge una rete gappista, i responsabili del «lavoro sportivo»®, alla ricerca di spiegazioni, tra le maggiori de- bolezze elencano la mancanza di vita politica, di controllo, la scar- sa opera di educazione rivolta ai combattenti. Autocritica ben fon- data, e nello stesso tempo paradossale, visto che la prima regola della clandestinita esclude qualsiasi forma di attivita collettiva, o riunione; persino il fatto che molti gappisti si conoscano tra di lo- ro é giudicata una terribile leggerezza, foriera di molti pericoli; dunque, é |’insieme di regole che la vita dei Gap dovrebbe rispet- tare, a impedirne la socializzazione e la «crescita politica». b) Molto spesso i partigiani si trovano a combattere dovendosi difendere dai rastrellamenti ai quali non é possibile sottrarsi: in questo caso combattere é una assoluta necessita, si combatte per salvarsi da un nemico che cerca di annientare la banda. La guerra partigiana é in buona parte, forse nella sua gran parte, una guer- ra di difesa. Ai gappisti é invece riservata, direi, esclusivamente una strategia d’attacco: per loro non ci sono battaglie difensive. Quan- do un gappista viene scoperto, non ha via di scampo, né armi suf- ficienti a reggere uno scontro. E la paura di restare «intrappolati» lVangoscia pit ricorrente, e del tutto motivata, che logora pit di qualunque altra i nervi dei gappisti. Fa eccezione la battaglia di por- ta Lame, sostenuta dai gappisti della VII Gap nella Bologna del no- "Termine verve a indica 1A in use presso i Ftp, che nei documenti interni al Partito comunista Je attivitd pretiamente milituri 42 Capitolo primo vembre 1944; ma qui, come vedremo, siamo in presenza di uno scontro dalle proporzioni cos{ inusuali da farne un unicum nella sto- ria della Resistenza italiana. Delineato il contesto nel quale prende avvio la lotta armata, & ora il momento di concentrarsi sulle concrete difficolta che il Par- tito comunista incontra anche al suo interno, nel selezionare e poi mantenere attivi nuclei gappisti in grado, con i loro attentati, di innescare e rendere irreversibile la lotta armata in citta. Per sottrarsi a immagini semplificatorie e a ricostruzioni agio- grafiche, nelle quali rischiano di scomparire |’intensita delle pro- ve affrontate e la drammaticita delle condizioni in cui il gappismo prende avvio, @ indispensabile tener ben presente che il Partito comunista é ancora lontanissimo dal radicamento e dalla diffusione che raggiungera via via nel corso della Resistenza. Né va dimen- ticato che se per alcuni combattenti la militanza, la fede politica e la scelta ideologica sono state la principale ragione della scelta, per la maggior parte di loro «é venuta prima la resistenza, cioé la lotta armata, e poi l’antifascismo, ovvero la consapevolezza etico- politica e l’adesione a un’area politica definita, vale a dire, nella maggioranza dei casi, al Partito comunista»®. Il Partito che lancia nel settembre del 1943 la parola d’ordine della lotta armata, da iniziare immmediatamente! , pud contare su un agguerrito gruppo dirigente, in grande maggioranza proveniente dall’esilio, dal carcere e dal confino, e su poche migliaia di iscritti, quasi tutti di estrazione proletaria. L’esame dei problemi incontrati dai responsabili comunisti del «lavoro sportivo» nel reclutamento dei gappisti offre l’opportuni- ta di valutare quanto variegato e complesso fosse ’universo della militanza comunista, troppo spesso evocato come un compatto e possente strumento gia forgiato e pronto a essere utilizzato nella lotta armata. Con alcune eccezioni significative, il bacino di reclutamento dei gappisti é anzitutto quello della classe operaia, dato che la mi- litanza comunista é considerata fin dall’inizio una precondizione per diventare gappisti, e visto che gli iscritti al Partito sono quasi esclusivamente operai. Il primo passo per entrare in clandestinita consiste nel lasciare il lavoro e le condizioni di assai relativo privilegio che avere un la- Cfr. M. Bellonotto, I compagni di Stefano. Storie di partigiani di citta (Savona 1943- 1945), Elio Ferraris, Savona 2005, p. 17 (sottolineature dell’autore). Questa citazione rap- presenta una sintesi dell’importante ricerca di M. Calegari, Comunisti e partigiani. Genova 1942-1945, Selene, Milano 2001 Nascita dei Gap 43 voro comporta in tempo di guerra, specialmente se svolto in un’azien- da d’interesse bellico: permessi di circolazione, esenzione dal ser- vizio militare, e tessere annonarie. Per chi abbia una famiglia a carico, si tratta di una scelta ancor piti ardua, e infatti il gappista- tipo @ di giovane e giovanissima eta, e in prevalenza non ammo- gliato. Costituisce un’eccezione di particolare rilievo il fatto che il primo nucleo di gappisti milanesi sia composto da uomini gia maturi e in prevalenza ammogliati®. In generale sono giovani sen- za carico di famiglia a entrare nei Gap; e non sono davvero molti quelli disposti a una scelta cosi ardua. «Siamo in quattro o cingue»”. A Milano, verso i primi di ottobre, dopo intense ricerche nell’ambiente degli operai comunisti milanesi, e soprattutto di Se- sto San Giovanni, Francesco Scotti ed Egisto Rubini riescono a selezionare dodici compagni particolarmente audaci, fra trenta o quaranta candidati”. Dopo |’arrivo a Milano di Vittorio Bardini” e Ilio Barontini, ispettore e istruttore itinerante di decisiva impor- tanza, si ha un certo incremento di numero, e a meta novembre 1943 i gappisti milanesi costituiscono il gruppo piti consistente nel panorama nazionale, tanto che é divenuto tradizionale parlare im- propriamente di una vera brigata, quella che entrera nel mito co- me la terza brigata Gap: si tratta in realta di squadre distribuite nelle diverse zone della citta, dirette per il momento dal Comitato militare del Pci per la Lombardia, e raggruppate formalmente nel XVII distaccamento Gap Gramsci”. Nell’altra grande citta operaia dell’epoca, Torino, ufficialmente la storia dei Gap inizia !’8 ottobre, con |’incontro fra Ilio Baron- tini, Remo Scappini, ispettore del Partito per i] Piemonte, e Ateo Garemi; dopo quindici giorni, tocca allo stesso Garemi, assieme © Cfr. L. Borgomaneti, Due inveri cit., p. 23. ” G. Pesce, Senza tregua cit., p. 91. ™ L, Borgomaneri, Due inverni cit., p. 21. ” II senese Vittorio Bardini (n. 1903), muratore dai dodici anni, da giovane militante del Pci sconta una condanna a otto anni di carcere; dopo l’espatrio, e dopo aver frequen- lito una scuola militare in Unione Sovietica, combatte in Spagna ¢ dopo I’internamento in Francia resta al confino a Ventotene fino al 25 luglio 1943. Inviato a Milano a dirigere i primi Gap, dopo la cattura & internato a Mauthausen. Sopravvive anche questa volta e ul suo rientro ricopre importanti cariche di partito e diviene deputato per tre legislature, dopo aver fatto parte dell’ Assemblea Costituente. Presso Peditore Guaraldi di Firenze ha pubblieate nel 1977 an natevole interesse, Storia di un comunista. "OL. Borgomuneri, Due iverni vit, p77 44 Capitolo primo all’anarchico Cagno, compiere il primo attentato, e anche questa @ una conferma di quanto il reclutamento non abbia portato frutti abbondanti. Catturato Ateo Garemi™, i Gap restano in uno stato di impotenza, tanto che il responsabile per il lavoro militare per il Piemonte, Francesco Leone, in una relazione del 4 novembre scri- ve: «Scarsi i mezzi offensivi per i Gap. Si deve provvedere [...] Siamo in ritardo, & evidente. Deficienti i risultati. Inutile accam- pare giustificazioni»”. A novembre si contano in teoria non pit di dieci gappisti® e circa un mese dopo, la situazione non é mutata; Arturo Colombi, subentrato a Remo Scappini come principale diri- gente del Partito in Piemonte, scrive nei primi giorni di dicembre: «Se avessimo Gap e oratori potremmo prospettarci la possibilita di comizi volanti davanti alle officine, ma per ora non disponia- mo di forze sufficienti»”. All’inizio del 1944 a Torino, Giovanni Pesce, subentrato nel comando dei Gap ad Ateo Garemi, ricorda che «eravamo ben pochi: potevamo raccoglierci tutti in una stan- za, superstiti, scampati agli arresti e sfuggiti agli agguatin”™. Da al- cune affermazioni fatte da Pesce, sembra di poter desumere che a febbraio dipendessero da lui tre squadre (potenzialmente dodici elementi), di cui perd solamente una di effettivi, essendo gli altri «rinforzi» privi di esperienza”. La scarsa consistenza numerica é destinata a restare una costante del gappismo torinese anche nei mesi successivi®. Mentre il numero di aspiranti partigiani torinesi sara sempre superiore a quello che le brigate Garibaldi sono effet- tivamente in grado di armare, per le formazioni cittadine il proble- ma si pone sempre in termini opposti, perché nulla é pit difficile che «combattere a Porta Nuova, da solo o con due o tre compagni in un campo dominato dal nemico, fidando solo in una calibro 9 e nella bicicletta»™. ™ R. Luraghi, I/ movimento operaio torinese cit., p. 121. ” Relazione di Sandrelli (Francesco Leone), 4 novembre 1943, in BG, I, pp. 117-19. ™ G, Bocca, Storia dell'Italia partigiana, Mondadori, Milano 1995, p. 147; secondo Rai- mondo Luraghi, prima della costituzione dei Gap non mancarono a Torino episodi di lot- ta armata con protagonisti «anziani comunisti di base», rapidamente sbaragliati con dure perdite per mancanza di mezzi e d’esperienza: cfr. I/ movimento operaio torinese cit., pp. x19-20. Di «prima esperienza di guerriglia urbana, esauritasi nell’arco di poche settima- ne» praticata da comunisti internazionalisti, anarchici e comunisti dell’area di Stella rossa parla anche Nicola Adduci nel recente saggio I mito e la storia: Dante Di Nanni, in «Studi Storici», LIII (2012), n. 4, p. 960. ” Alfredo (Arturo Colombi) alla Direzione del Pci, dicembre 1944 (doc. databile a pri- ma del 6 dicembre), in BG, I, p. 163. % G. Pesce, Senza tregua cit., p. 62. ” [bid., p. 69. N. Adduci, I! mito e la storia cit., p. 962. " Alfredo alla Direzione del Pci cit., p. 164; Luraghi, senza chiarire su quali basi si fon- di, sostiene invece che «i gappisti furono scelti tra i giovani operai che si potevano trova- Nascita dei Gap 45 Inoltre, fenomeno piuttosto diffuso, «molti compagni, che poi divennero degli ottimi partigiani, rifiutavano all’ultimo momen- to di entrare in azione come gappisti dicendo che ripugnava loro sparare all’improvviso su un tedesco o su di un fascista»™ A Firenze, nonostante la Commissione regionale toscana di ri- conoscimento dei partigiani fissi la data di nascita ufficiale dei Gap al 15 ottobre 1943, essi non sono operativi prima di dicembre. Di- versamente, é difficile comprendere perché nell’ultima settimana di novembre il compito di uccidere il comandante del Distretto mi- litare venga affidato, pare dal Comando militare del Comitato to- scano di Liberazione nazionale (Ctln), a quattro partigiani della prima ora (Cesare Massai, Bruno Fanciullacci, Faliero Pucci e Rindo Scorsipa) in quel momento di base a Greve. Rimasti per piti di due ore fuori dall’abitazione del colonnello, infreddoliti e zuppi di piog- gia, i quattro partigiani devono rientrare, delusissimi, alla base: questa volta il colonnello ha dormito fuori, inconsapevole di sal- varsi cos la vita, almeno per un’altra settimana. Sono proprio que- sti partigiani, dopo la dissoluzione della loro piccola banda, a costituire, dal mese di gennaio, il nucleo decisivo del gappismo fio- rentino. Fino al 15 gennaio (numerose bombe fatte esplodere con- temporaneamente in citta) non si ha notizia di operazioni gappiste di rilievo, e anche a questo iniziale successo segue una nuova di- spersione di forze; solo con |’aggiungersi ai gappisti «permanenti» di partigiani di montagna utilizzati saltuariamente per colpi in cit- t&, si possono formare cinque gruppi di quattro persone”. A Bologna, nell’autunno non ci sono pit di 14 uomini divisi in quattro Gap; secondo [lio Barontini «!’apporto delle cellule e dei settori di uomini per i Gap é assolutamente insufficiente al biso- gno e alle possibilita»™. Da Trieste, a fine gennaio, si segnala che: re senza difficolt’ nella grande e generosa schiera del proletariato torinese»: I! movimento operaio torinese cit., p. 122. ® A. Colombi, Prefazione a G. Pesce, Soldati senza uniforme cit., p. 7. ” C. Massai, Autobiografia di un gappista fiorentino, Associazione Centro documen- tazione di Pistoia, Pistoia 2007, pp. 39-42. Massai, operaio fiorentino di San Frediano, nato nel 1911, comunista dal 1938 € per questo condannato nel 1939 a sette anni di carce- re, dopo una breve esperienza partigiana assume il comando dei Gap fiorentini fino al suo trasfetimento a Pisa nel maggio 1944, resosi necessario dopo che viene individuato come la maggior parte dei gappisti; secondo C. Francovich a Firenze «i gappisti non superarono mai il numero di venti o al massimo trenta»: La Resistenza a Firenze cit., p. 99. Pid pru- denti le stime di Gianni Zingoni, secondo il quale i veri gappisti non furono piti di dieci o dod La lunga strada: vita di Bruno Fanciullacci, La Nuova Italia, Firenze 1977, p. 95. Barontinie V. Marchi, Dario: Ilio Barontini cit., p. 27; per il testo completo del rapporto, clr. Da Bologna. Rapporto del Triangolo dal settembre al dicembre 1943, in P. Sec- chin, 1 Partito comunista italiano ¢ la guerra di Liberazione cit., pp. 127-33 “ 46 Capitolo primo [...] i Gap é l’elemento negativo del nostro lavoro; si difetta di compagni ca- paci di dirigere ]’azione; pensavamo che questa lacuna poteva essere supera- ta dai contatti con i compagni sloveni, ma anche loro per ora non ci hanno dato nessun aiuto. Per ora in questo campo si sono limitati a fare un lavoro organizzativo e cid é male perché la passivita crea dei malcontenti e delle gra- ne. Vi preghiamo, se avete la possibilita, di mandarci un elemento gia speri- mentato in questo lavoro perché qui sara difficile trovarlo”. Anche dalla federazione di Rimini si rende noto che molti vec- chi compagni sono contrari a passare sul terreno della lotta armata; a Santarcangelo di Romagna e a Cattolica si giunge all’espulsio- ne di parecchi vecchi compagni, cosf come a Rimini, dove «alcuni elementi opportunisti [...] criticarono anche la distribuzione del manifesto rivolto ai tedeschi perché avrebbe portato la reazione»™. Per la situazione genovese Remo Scappini a novembre consta- ta che a Genova «i Gap, che pure si dice esistano, sono del tutto inattivi»”, osservazione forse troppo severa, visto che un paio di giorni dopo, il 27 novembre 1943, alle 7.15 del mattino a Sestri, undici colpi di pistola freddano lo «squadrista fascista repubbli- cano Bertazzini, responsabile di numerosi misfatti, e di denuncie ai danni dei propri compagni di lavoro»™. Non tutte le informazioni desumibili dalle relazioni che i re- sponsabili militari inviano periodicamente alla Direzione del Par- tito vanno prese per oro colato: ad esempio, rispetto alle prime relazioni inviate da Genova, é possibile che Giovanni, trasferito da poco da Torino a Genova, citta che gli é pressoché sconosciu- ta, non disponga ancora di un quadro esatto della situazione. In ossequio alla tradizione che privilegia la critica e ]’autocritica, a volte i giudizi suonano particolarmente impietosi, quasi dimenti- chi delle enormi difficolta del contesto dove si sta cercando di im- piantare la lotta armata. E uno stile rivendicato con comprensibile orgoglio da Pietro Secchia: [...] non abbiamo mai rinunciato ad esaminare |’azione che conducevamo giorno per giorno con spirito critico e autocritico, denunciando pubblica- mente le debolezze, i ritardi, gli errori. Le vittorie le chiamavamo vittorie e le sconfitte sconfitte, come appunto Lenin ci insegna”. ” Comitato direttivo della federazione di Trieste del Pci a «cari compagni», fine gennaio 1944, in BG, I, p. 245; un giudizio altrettanto negativo in una precedente Relazione da Trieste di Giordano Pratolongo (Oreste) dei primi di gennaio, in P. Secchia, I/ Partito co- munista italiano e la guerra di Liberazione cit., p. 163 ™ Situazione della federazione di Rimini, Rapporto del funzionario, s.d., ma presumibil- mente del gennaio/febbraio 1944, in IG, APC, DN, 8.13.15. Considerazioni dello stesso tenore anche in Rapporto di Giulio sulla Romagna, ibid. , 8.13.16. © Relazione del 22 novembre, in BG, I, pp. 131-33. " Cr. Relazione sulla Liguria, 20 dicembre 1943, doc. senza firma, ibid., pp. 172-73 ® P. Secchia, I! Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione cit., p. xvi. Nascita dei Gap 47 Resta il fatto che i risultati del reclutamento sono di gran lun- ga inferiori alle aspettative, nonostante l’impegno degli organiz- zatori e le pressanti richieste che pervengono dalla Direzione del Partito. Lo stato della documentazione rende problematica una precisa quantificazione, ma probabilmente gli autori degli attentati che nel tardo autunno del 1943 mettono a rumore le maggiori citta ita- liane non arrivano al centinaio in tutta Italia; né la selezione, ne incontreremo pit avanti numerosi esempi, é cosi rigorosa come la difficolta dei compiti assegnati ai Gap richiederebbe. Un bacino di reclutamento assai esiguo comporta la rischiosa necessita di prendere in considerazione anche candidature di aspi- ranti gappisti che successivamente non si sarebbero rivelati all’al- tezza. L’urgenza dell’azione a tutti i costi, le pressioni che i re- sponsabili regionali ricevono continuamente dalla Direzione del Partito, non consentono, o almeno limitano fortemente la possibi- lita di ponderare, di studiare carattere, esperienze precedenti, ma- turita politica, affidabilita. Ne fornisce un buon esempio il diffi- cile esordio gappista di un «rivoluzionario professionale», Leonar- do Speziale (lo Zolfataro, per i suoi trascorsi di «caruso»), reduce dall’emigrazione e dagli attentati compiuti con i Ftp nella zona di Saint-Etienne e Marsiglia. Inviato dalla Direzione del Partito a Brescia, importante centro operaio dove il «lavoro sportivo» é pressoché inesistente, Speziale sperimenta con stupore che non necessariamente una grande concentrazione operaia coincide con un fertile bacino di reclutamento per la lotta armata: I primi contatti, presi tramite Grilli, per la formazione dei Gap li ebbi con alcuni operai. Ero io stesso un operaio e avevo raccomandato che il re- clutamento avvenisse nelle fabbriche. Quando spiegai che si trattava di ar- marsi per cacciare i tedeschi si dissero d’accordo, salvo poi andare da Grilli e dirgli «Questo qua vuole farci ammazzare la gente. Ma ¢ pazzo?» Per supe- rare le resistenze emerse in citta, il 31 ottobre organizzammo la nostra prima azione. A renderla possibile fu un incontro del tutto fortuito. Una mattina, mentre camminavo per strada, mi trovai di fronte un compagno che avevo conosciuto nella resistenza francese. «Che fai tu qui?» «M’hanno rilasciato € son tornato al mio paese» (un centro della pianura bresciana). Gli parlai della mia attivita e si disse disponibile a collaborare con me. Uno era luie un altro ero io, bisognava trovare il terzo. Riuscii a convincere uno degli operai che mi aveva presentato Grilli”. * Cfr. L. Speziale, Memorie di uno zolfataro, Micheletti, Brescia 1980, pp. r11-12. Giovanni Grilli era il responsabile della federazione comunista di Brescia, poi sostituito in questo ruolo da Carlo Camera ai primi di gennaio del 19443 cf. M. Magri, Un corsunista della volta, Bingrafia politica di Carlo Camera, Michelet, Brescia 1988. La prima azione cui te entato al diret tore delle carceri cittadine, che suscita grande one del vescove di Brescia, monsignor Giacinto Tredici seulpore in cit), ¢ la violenta 48 Capitolo primo Anche !’esperienza di Arrigo Boldrini, prima che il gappismo ravennate cresca fino alla dimensione di massa di cui ci occupere- mo piti avanti, é segnata dalla difficolta di trovare reclute dispo- nibili e veramente affidabili per formare il primo Gap a Ravenna: 3 Novembre (1943) decidiamo di assestare un duro colpo al triumvirato fascista ravennate. La zona prescelta, dopo un accurato pedinamento, é via Baccarini, a Ravenna, presso |’abitazione del dott. Guelfo Negri, membro del triumvirato. L’azione, preparata per colpire in una notte dei primi di no- vembre il triumviro al rientro con Ja sua scorta, non riesce per lo stato di shock di alcuni compagni. Abbandoniamo sul posto le armi e in due dobbia- mo recuperarle con qualche difficolta. Un insegnamento anche questo: non si improvvisano i combattenti”. Non basta l’autorevolezza di un comandante a vincere !’ansia paralizzante, che affonda le radici in un insieme di fattori non ri- conducibili semplicemente alla mancanza di esperienza. Nel giu- gno 1944 Giovanni Pesce, a conclusione del periodo trascorso a Torino al comando dei Gap, scrive nel suo rapporto: Una sera tre Gap dovevano attaccare una pattuglia composta di sei te- deschi; il piano era stato studiato nei suoi minimi particolari, i tre Gap do- vevano attaccare alle ore 8. Avevano a disposizione sei bombe, due inglesi, quattro tedesche, tre bombe dovevano tenerle di riserva in caso di bisogno; i Gap sul posto dieci minuti prima. Nel frattempo che la pattuglia arrivava uno dei Gap comincia a tremare, a dire non si deve fare, eccetera eccetera. Quindi fa fallire l’azione; potrei citare altri casi. Ogni qualvolta che uno & esitante l’azione non riesce™. Per tutti i potenziali gappisti, la prova del fuoco é la prima azione, vero e autentico vaglio, momento in cui i comandanti pos- sono capire chi ce la fara, chi restera e diverra affidabile, e chi scomparira alla prima occasione. Questo é vero anche per i parti- giani, e lo é ancor piti per chi come i gappisti compie azioni indi- viduali, o in gruppetti di due-tre, dunque senza il conforto del numero, che possa mascherare un personale cedimento. Prima di un’azione la paura é esperienza che riguarda tutti, ma solo l’azio- ne compiuta permette di verificare se il gappista possiede la dote decisiva, la capacita di dominarla. Le sensazioni provate durante la prima azione sono destinate a restare scolpite indelebilmente nella memoria dei combattenti: [...] mi ricordo che la prima arma che mi ha dato era una Beretta calibro 9 corto, me |’ha data nelle mani e non faceva tanto caldo, ho messo una pallot- % A. Boldrini, Diario di Bulow. Pagine di lotta partigiana 1943-1945, Vangelista, Mi- lano 1985, pp. 26-27. » Relazione di G. Pesce, Conclusione del lavoro svolto in permanenza a Torino, 4 giu- gno 1944, in BG, II, pp. 14-15. Nascita dei Gap 49 tola in canna perché sono pratico di armi, sono sempre andato a caccia € poi a soldato, ho maneggiato delle pistole anche a soldato, insomma non era che vedevo una pistola per la prima volta, ero ben conoscitore delle armi e anche come sparatore. Solo che trovarmi con un’arma in mano, di sera, durante il coprifuoco, io non so quella «beliscimmu»” di 9 corto in mano mi sudava tanto che non riuscivo a tenerla. L’avevo in tasca e avevo il colpo in canna, sempre la rivoltella in mano, non riuscivo a tenerla, ogni tanto nelle braghe mi asciugavo il sudore [...] La tensione, sai, cosa andavi incontro, cosa face- vi. Va bene, insomma l’abbiamo fatta felicemente, siamo andati, non abbia- mo trovato niente, siamo ritornati, abbiamo messo a posto. Niente, quella volta Ii, niente. Allora capisci é stata un po’ la prova del fuoco, capisci. An- che Siri [il comandante, N.d.A.] voleva un po’ vedere un «pettin» come ci comportavamo™. Le direttive, impartite gia dal settembre 1943, ribadiscono pe- rentoriamente la [...] necessita dell’azione immediata e diretta contro i tedeschi e i fascisti, cose e persone. Combattere ogni resistenza, ogni rinvio dell’azione, ogni idea «prima l’organizzazione e poi |’azione». I gruppi di partigiani, i Gap si de- compongono se non agiscono [...] piti attenzione e pitt serieta nella scelta e nella costituzione dei Gap”. In modo piti vivace e colorito, Francesco Leone ribadisce dal Piemonte un eguale frenetico ottimismo della volonta: Quello che conta, oggi, 2 ’azione. Su questo terreno siamo maledetta- mente in ritardo e di questo bisogna rispondere seriamente di fronte al Par- tito il quale ci giudica non in base all’elenco delle difficolta che possiamo pre- sentare, ma in base all’elenco dei successi ottenuti [...] La scopa dell’azione getta in aria sedie e tavolini e mette ognuno veramente di fronte al compito dell’ora, che non é quello di cavillare”*. La contraddizione, tra urgenza indilazionabile dell’azione im- mediata e necessita di una selezione meditata e rigorosa, acuita dal fatto che i compiti cui sono chiamate le nuove leve reclutate in gran fretta sono del tutto nuovi, e piuttosto complessi. Costruire bombe, procurare i materiali, attrezzare depositi, so- no tutti problemi che mai erano stati affrontati in precedenza: la maggior parte dei comunisti tornati dalle carceri e dalle isole ha una certa dimestichezza con il lavoro politico clandestino, ma non con lorganizzazione di gruppi armati che combattono in citta un tipo di guerra mai sperimentato. » Espressione gergale ligure che, eufemisticamente, pud essere resa con «cavolo, ac- cidenti» ™ ‘Testimonianza di Giovanni De Benedetti sulla sua prima azione armata e notturna 8 Savona, in M, Bellonotto, | compagni di Stefano cit., p. 75- * Direttive di lavoro della Direzione del Pei, 27 settembre 1943, in BG, 1, doc. 5, pp. r00-r. * Hresponsabile del lavorn militare per il Piemonte, Sandrelli (Francesca Leane) a «caro compagioe, Lvevembre toy, ibid. pp ues a5 50 Capitolo primo Cid spiega perché Ilio Barontini, e i pochissimi che come lui hanno esperienza diretta di una lotta del genere, debbano sotto- porsi a terribili tours de force, spostandosi continuamente fra Bo- logna, Torino, Genova, Milano, Firenze, insegnando, spiegando, sedando incertezze e correggendo errori e, soprattutto, spronan- do all’azione immediata. Né vi é il tempo per fare una programmazione rigorosa degli obiettivi da colpire, e spesso sono iniziative dal basso o estempo- ranee a guidare la mano degli attentatori. Vittorio Bardini, inviato a dirigere i Gap di Milano, citta a lui ignota, ricorda che (...] Ilio Barontini ormai non mi lasciava pit. Ritornando dai suoi viaggi in Liguria veniva subito a cercarmi. Alla sera andavamo alla ricerca di obiet- tivi per i giorni successivi [...] Durante la giornata eravamo alla ricerca di obiettivi per la sera. Non ho mai camminato tanto quanto ho camminato a Milano in quattro mesi”. Camminare, evitando i mezzi pubblici, é prassi per gli organiz- zatori comunisti, visto il consistente rischio di incappare in reta- te. La stessa procedura, aggirarsi in attesa di scovare un possibile obiettivo, é diffusa anche tra i gappisti di base, in teoria esecutori di ordini e di piani accuratamente predisposti, ma sovente guida- ti dall’ispirazione del momento, e dal caso; Maria Teresa Regard, gappista romana diciannovenne, ricorda cosf la sua prima azione, il 16 dicembre 1943, che la getta comprensibilmente L...] in un profondo sconforto. In via Cola di Rienzo Francesco, Pasquale ed io seguimmo per un tratto di strada un fascista in divisa. Fu Pasquale a spa- rare. Vedendo il fascista accasciarsi sul marciapiede, e accorgendosi che si trattava di un giovane piti o meno della nostra eta, invece di allontanarsi Pa- squale resté immobile, scosso da un tremito convulso e da conati di vomito. Toccd a me e a Francesco prenderlo sottobraccio e trascinarlo via a forza [...] Dopo questa esperienza sconvolgente fu deciso, di comune accordo, che il nostro compito era di colpire le forze di occupazione tedesche o fascisti noti, mai in modo indiscriminato”. Sempre, su tutto, la necessita di colpire, comunque e subito; molte osservazioni dei dirigenti — fra i quali spicca per il tono iper- critico sulla situazione ligure Giancarlo Pajetta (Luca) - stigma- tizzano, assieme all’ esiguita, l’improvvisazione che caratterizza le azioni dei Gap: l’urgenza di «fare» tende a prevalere su una rigorosa progettazione. A Genova «tutte le azioni dal 17 al 19 dicembre», quando i gappisti attaccano i tram per incoraggiare lo sciopero in atto, «hanno carattere d’improvvisazione e corrispondono all’or- ” V, Bardini, Storia di un comunista cit., p. 69. * M. T. Regard, Autobiografia 1924-2000. Testimonianze e ricordi, FrancoAngeli, Milano 2010, cap. vi. Nascita dei Gap 51 dine di agire a qualunque costo contro i fascisti e contro i tedeschi per dimostrare 1’ ostilita della massa contro le forze reazionarie»”. Ed é sempre Giancarlo Pajetta, analizzando l’impatto sull’organiz- zazione ligure delle ispezioni a Genova di Ilio Barontini (Dario), a osservare, ai primi di febbraio del 1944: Gli sportivi non marciano molto. Manca anche qui un capitano. Quel- lo che c’ é un buon sottotenente; per intanto lamenta la leggerezza con cui Dario sceglie gli obiettivi, trova che tutto é facile e se ne va. II fatto & che per la dinamicita di D. sono troppo molli da queste parti’. L’insoddisfazione dei dirigenti comunisti per la scarsa consi- stenza raggiunta dai Gap nei primi mesi, nonostante costanti con- sigli, direttive e reprimende, attraverso un autentico tourbillon di responsabili militari, non significa affatto che i risultati conseguiti sul campo siano stati irrilevanti. La qualita e quantita degli obiet- tivi colpiti dai Gap nei primi mesi di attivita sono di assoluto ri- lievo, ¢ lo sono ancor pit considerando l’esiguita del loro numero, e delle risorse messe a loro disposizione; ma all’interno del Partito serpeggia la delusione, perché le grandi difficolta incontrate nel reclutamento, pur renderido possibile un impressionante numero di attentati, non permettono ai Gap di garantire un’efficace pro- tezione degli scioperi e delle proteste sociali. La previsione di una rapida crescita dei Gap si rivela presto ingenuamente ottimistica: i Gap deludono perché «sono in ritardo», perché rispetto a un pro- cesso di generale mobilitazione, alla cui testa i gappisti dovrebbe- ro porsi, non si stanno sviluppando a sufficienza. La questione centrale é che tra gli stessi comunisti pochi sono disponibili a intraprendere la vita del terrorista di citta nell’autunno del 1943; né la situazione é destinata a migliorare dopo i durissimi colpi che le polizie nazifasciste cominciano a infliggere a partire dal gennaio-febbraio 1944, quando la difficolta di rimpiazzare i gap- pisti, caduti o costretti a fuggire in montagna, risulta drammatica. Per aggirare la difficolta nel trovare militanti disposti a divenire gappisti, gia dalla fine del 1943, e via via con maggior frequenza nei mesi successivi, si ricorre anche a piccoli nuclei di partigiani delle formazioni di montagna, scelti per rapide incursioni tra co- loro che hanno gia dimostrato sangue freddo e spirito combattivo. Un rapporto sulla Liguria del 4 dicembre del 1943 segnala l’esi- stenza di «uomini a mezza strada tra i Gap e i partigiani che rien- ” Relazione sulla Liguria, 20 dicembre 1943 cit. J ica (Giancarlo Pajetta) a Francesco (Umberto Massola), Rapporto di Genova, 3 feb- brain toqa, in P. Secchia, If Partito comunista italian ¢ la guerra di Liberazione cit, B23. 52 Capitolo primo trano al lavoro dopo le azioni in montagna», autori tra |’altro di un attentato a un deposito di munizioni sopra Pontedecimo™. A Pavia, secondo la delegazione per la Lombardia, proprio perché i Gap sono ancora inesistenti, vi é la tendenza a impiega- re un distaccamento di venti uomini dislocati lontano dalla citta [...] in azioni Gap in Pavia e altri centri della provincia. Attraverso un nostro ispettore, siamo intervenuti per correggere tale orientamento ed interverremo presso il federale, indicando che la necessita attuale é quella di incrementare la formazione dei distaccamenti partigiani i quali non debbono trasformarsi in Gap. A Pavia, sono i patrioti locali che debbono agire™. In questi casi si tratta di arrivare in citta per un colpo, e riparti- re subito dopo. Operazione molto rischiosa, che presenta perd l’in- dubbio vantaggio di poter fare a meno della logistica indispensabile ai Gap di citta, e di non farne avvertire la scarsita, o l’inesistenza. La delegazione delle brigate Garibaldi per il Piemonte, nell’apri- le 1944, scrive a «cari compagni» (cioé alla Direzione del Partito): I Gap rimangono ancora il punto debole del nostro lavoro, abbiamo preso alcune iniziative per superare in brevissimo tempo, almeno in parte, questa debolezza: nelle valli saranno costituiti dei gruppi di quattro uomini addestrati alle armi, ai colpi di mano, eccetera che verranno impiegati di volta in volta in azioni in citta e poi rinviati alle formazioni; dalle formazioni stesse reclutere- mo una serie di elementi per la formazione di gruppi fissi in citta, che per ora saranno limitati nel numero e cos{ pure una maggiore attenzione sara data al reclutamento di elementi delle squadre di difesa operaie, per quanto abbiamo delimitato con la federazione le rispettive funzioni di direzione del lavoro”. Un mese dopo, l’ispettore generale sul lavoro militare in Pie- monte, Liguria e Lombardia ribadisce che a Torino «non é ancora risolto il problema degli effettivi. 1 pochi attuali sono attivissimi. Si stanno organizzando gruppi speciali che dalle formazioni parti- giane scenderanno a fare colpi in citta»'. Dalla primavera del 1944 si intensificano due flussi contrari: dalla montagna scendono squadre «volanti» per tentare azioni in citta'®; dalla citta salgono in montagna, presso le «piti sicure» for- mazioni, i gappisti costretti alla fuga, perché identificati, o perché sfiniti dalle tensioni e dai rischi quotidiani della lotta. " Rapporto sulla Liguria, 4 dicembre 1943, in BG, I, pp. 162-63. " Rapporto dellattivita del mese di maggio della Delegazione per la Lombardia al Co- mando generale, x0 giugno 1944, ibid., Il, pp. 24-25. 1% Delegazione per il Piemonte a «cari compagni», 19 aprile 1944, ibid., I, p. 358. \% Relazione dell'Ispettore generale sul lavoro militare in Piemonte, Liguria e Lombardia, maggio 1944, ibid., p. 387. \ TI vicesegretario del fascio di Cesena, Pier Francesco Moreschini, viene ucciso alla fine di gennaio da due partigiani discesi «appositamente dalla montagna». Cfr. M. Bale- stra, Id passaggio del fronte e la Resistenza a Cesena e dintomi, Tosca, Cesena 2005, p. 210. Nascita dei Gap 53 «Ma perché siamo cosi pochi?»'™. E questa la domanda che Giovanni Pesce immagina continui a rivolgergli Dante Di Nanni, anche dopo essere stato ucciso. «Co- sa rispondergli? Che in citta, la nostra é una battaglia di tipo nuo- vo, che dalla selezione delle forze concentrate in montagna, sareb- bero uscite le nuove leve di gappisti»"”. Caduti, con Dante Di Nanni, anche Antonio Bravin e Francesco Valentino, Ivaldi - nome di battaglia di Giovanni Pesce a Torino - é praticamente |’unico sopravvissuto del Gap di punta torinese, e sta per lasciare la citta, spedito dal Partito a Milano. Nella risposta immaginaria al defunto Di Nanni, é implicita la constatazione di un mancato sviluppo dei Gap cittadini; il suo trasferimento a Mi- lano, reso indilazionabile dalla disfatta dei Gap torinesi, dovrebbe servire a riorganizzare i Gap della citta capitale della Resistenza, scompaginati ormai da tre mesi. Osservando l’esperienza gappista con sguardo retrospettivo, la constatazione di un esordio diffici- Je, e di uno sviluppo molto al di sotto delle previsioni, @ pacifica. Anche la spiegazione che idealmente Pesce fornisce a Di Nanni, molto riduttiva, contiene indubbiamente una verita: prendere le armi in citta, nel tardo 1943, significa iniziare un’esperienza che in Italia nessuno ha mai compiuto, dove le singole capacita, con- vinzioni, energie, saranno sottoposte a prove di cui é impossibile preventivare la durezza. Gli operai da cui dovrebbero uscire le file dei gappisti, esentati dalla leva militare, proprio perché operai, dovrebbero lasciare vo- lontariamente lavoro, relazioni, casa, famiglia, quartiere, fabbrica, entrando in una dimensione d’isolamento, e accettando il rischio altissimo della morte, e della tortura, e del timore di non saper re- sistere. A tutte queste difficolta, che rendono assai comprensibile che «cosi pochi» si sentano all’altezza di questa scelta, vanno perd aggiunti anche freni, timori e divieti di carattere etico, sui quali Pesce qui non si sofferma, dall’intensita e dagli esiti estremamente variabili, ma ai quali nessun combattente pud sottrarsi, e che hanno lasciato abbondanti tracce nella memoria di molti protagonisti. An- che di queste remore, liquidate da alcuni responsabili militari come «sentimentalismi» sui quali non merita attardarsi, ¢ indispensabi- le occuparsi, per rispondere alla domanda del giovane Di Nanni. «Ma perché siamo cost pochi?” mi chiedeva Dante Di Nanni»: G. Pesce, Senza regia cits, p. 148 " thid, 54 Capitolo primo «E difficile - mi disse - uccidere a sangue freddo un uomo che non si conosce»'™. Nelle relazioni che i dirigenti del Partito dedicano all’ organiz- zazione dei Gap, |’analisi delle difficolta incontrate é drastica e impietosa, non vi sono limiti oggettivi e scarsita di risorse umane e materiali bastevoli a evitare rampogne e pressanti sollecitazioni; a essere principalmente messe in dubbio sono la buona volonta, le capacita dei singoli responsabili: «Cosa avete fatto finora?», «il Partito si aspetta molto di piti», «siamo terribilmente in ritardo». Dall’ ottobre 1943 alla tarda primavera del 1944 la Direzione Nord milanese fa piovere sulle federazioni martellanti incitamenti e giu- dizi a volte urticanti e l’accusa di «attendismo», che la stampa di partito riserva agli altri partiti del Cln, nei documenti interni é ri- corrente anche verso molti «vecchi compagni», giudicati tituban- ti, incerti, e soprattutto non disponibili a impegnarsi immediata- mente e direttamente nella lotta armata. L’attendismo degli «altri partiti», oggetto di una costante de- nuncia, diventa anche la principale spiegazione delle difficolta nel passare all’offensiva. Meno attenzione é stata riservata, dalla storiografia e da buona parte della memorialistica, alla battaglia contro l’attendismo che viene combattuta, con toni molto aspri, proprio all’interno del Par- tito. Le relazioni provenienti dalle federazioni provinciali per mesi denunciano con estremo vigore l’attendismo dei vecchi militanti comunisti, paragonandolo anche al tradimento. A distanza di ven- ticinque anni Pietro Secchia accenna alla questione in modo molto sfumato, nei suoi peraltro preziosi Ricordi, sostenendo che «]’at- mosfera dell’attesismo non poteva non avere una qualche influenza anche in seno al Pci ed in alcune sue organizzazioni si manifestaro- no talune posizioni, sia pur rapidamente superate, di attesismo»'”. In realta la battaglia contro l’attendismo interno al Partito di- viene indispensabile e urgente da quando si comincia a constatare che tra i «vecchi comunisti» assai scarsa é la disponibilita a im- pugnare le armi; per «vecchi comunisti» si devono intendere non tanto i rivoluzionari professionali, i reduci dagli anni di esilio, di guerre e di carcere, quanto i militanti di base, di fede antica, ma completamente privi di esperienze di lotta armata. Ed é questa una mancanza che Pietro Secchia, dall’autorevole posto che oc- ™ G. Amendola, Lettere a Milano cit., p. 225. P. Secchia, I! Partito comunista italiano e la guerra di Liberazione cit., p. 114. Nascita dei Gap 55 cupa nella Direzione Nord del Partito, non manca di sottolinea- re, imputandola implicitamente alle scelte strategiche che hanno storicamente condizionato l’opposizione del Partito comunista nei confronti del fascismo fin dalle origini. Tornando a riflettere in sede storica sui limiti e le difficolta a intraprendere la lotta ar- mata che la tradizione del movimento operaio italiano si portava dietro almeno dalla nascita del Partito comunista, Secchia mette l’accento proprio sul fatto che [...] non esisteva tra i lavoratoti italiani una sufficiente preparazione mentale, psicologica e ideale alla lotta armata. Appunto perché si tratta del mezzo piti avanzato e pit duro di lotta non vi si arriva facilmente se non vi sono predi- sposizioni, allenamento, abitudine. La resistenza italiana ha avuto i suoi limi- ti: almeno in parte questi sono stati la conseguenza della mancanza nel popo- lo e nella sua stessa avanguardia di tradizioni insurrezionali, di esperienze e attitudini alla lotta armata. I] che era gia stato rilevato e aveva pesato anche negli anni 1921-1922 [...] La stessa polemica contro il terrorismo individuale era mal impostata. Si adoperavano i giudizi dati dai marxisti sul terrorismo individuale in periodo «pacifico», in periodi in cui non esistevano neppure le organizzazioni di massa del proletariato, per una situazione completamen- te diversa com’era quella della dittatura fascista. Si adoperavano contro il terrorismo gli argomenti impiegati da Lenin e dai marxisti contro i populisti e contro gli anarchici che vedevano nell’attentato individuale la panacea, la jue soluzione di tutti i mali e di tutti i problemi". E ben vero che gia negli scioperi del marzo 1943, e ancor piti in quelli duramente pagati con arresti e deportazioni, del dicembre e poi della primavera 1944, la classe operaia del triangolo industriale mostra determinazione e capacita di sfidare la (il)legalita nazifasci- sta con grande coraggio. Ma scioperare rientra in un insieme di tra- dizioni, di comportamenti vissuti come legittimi, mezzi ritenuti da sempre degni e onorevoli, momenti decisivi di autoaffermazione, individuale e di classe. La volonta e la capacita di sparare, di ucci- dere degli uomini, e senza esserne aggrediti, é tutt’altra cosa, estra- nea alla formazione, alla cultura, alle tradizioni operaie: ]’onere di compiere questo arduo passaggio viene dunque delegato a esigue avanguardie, verso le quali si pud essere solidali, anche complici, dalle quali magari ci si aspetta di essere difesi durante le lotte, o guidati nell’insurrezione finale. Entrare a farne parte, perd, é, per la stragrande maggioranza degli operai, anche dei pit politicizzati, impensabile. Molti comportamenti di collaborazione con la lotta armata sono diffusi in ambiente operaio; se si trata di procurare nascondigli o "0 Id, Llazione svolta dal purtito comunista in Malia durante ilfascismo 1926-1932. Ri- condi, dacumenti inediti, tevimoniance, in «Annali dell'Istitno Giangiacomo Feltrinellin, XI GoGo), Kelirinelli, Milan t9 70, pp. 019 18 56 Capitolo primo di far circolare la stampa clandestina, o di versare contributi a fa- vore dei combattenti, la solidarietd operaia @ una realta: a Torino, nel febbraio 1944, la somma raccolta con una colletta durata sei mesi nelle grandi fabbriche a sostegno della stampa comunista é di ben mezzo milione di lire, cifra enorme se commisurata all’esi- guita dei salari operai, e anche alle ridottissime cifre procurate dal tesseramento della federazione comunista"'. Solidarieta non signi- fica affatto, perd, disponibilita e desiderio di impugnare le armi. Tra le memorie dei responsabili dell’ organizzazione dei primi Gap pit attenti ad analizzare senza mezzi termini la distanza che separa la cultura dei vecchi militanti e le necessita della lotta arma- ta, sono particolarmente preziose quelle di Osvaldo Poppi, autore- vole quadro di partito, reduce da anni di carcere, cui viene affidato il compito di reclutare i primi Gap a Modena: Trovai una grande difficolta a far passare i vecchi compagni sul terreno della lotta armata. Il vecchio compagno era un eroe, in quanto, disarmato, lottava in condizioni disperate, con il foglietto, attraverso la raccolta di fon- di: non mancava certamente di coraggio! Perd quello stesso individuo non trovava lo stato d’animo per sparare addosso ad un altro uomo. Io ho dovu- to cambiare per ben tre volte il comandante dei nostri Gap, che non riusci- vamo a far scendere sul terreno dell’azione. Uragano mi diceva: «E vero, come tu dici, che il comandante dell’ Accademia, il comandante del distretto, il comandante del Tribunale militare sono dei traditori e sono dei delinquen- ti. Perd io non ho I’animo di ucciderli a sangue freddo»'”, Altre energie, altre storie personali, altra determinazione ri- chiede la lotta armata in generale, e soprattutto la particolare for- ma di lotta basata sugli attentati, dove appunto é indispensabile «uccidere a sangue freddo». Saranno le lucide osservazioni di un altro dirigente gia esperto nell’organizzazione dei Gap, Vittorio Ghini'?, a mettere Osvaldo Poppi in grado di reclutare i combat- tenti adatti: Mi disse Ghini: «Tu non devi ricorrere al vecchio compagno. II vecchio compagno é ormai anchilosato. Tu ti devi rivolgere ai giovani, anche se so- no giovani ex fascisti devi avere fiducia in loro. Devi rivolgerti ai giovani, ™ Cfr. Situazione attuale dell’ organizzazione di Torino, 25 marzo 1944, in Alstoreto, fondo Arturo Colombi, fasc. 5. 2 ©. Poppi, I! Commissario. Intervista sulla Resistenza a Modena, a cura di L. Casali, Anpi, Modena 1979, pp. 18-19. ™ Vittorio Ghini, milanese, nato nel 1904, subisce il primo arresto nel 1927; parteci- pa alla guerra civile spagnola come commissario politico della brigata garibaldina Gastone Sozzi. Rientrato in Francia, viene internato al Vernet, e, dopo il rimpatrio forzato, a Ven- totene. Dopo |’8 settembre assume !incarico di responsabile del Comitato militare del Par- tito comunista, per Bologna, Modena e Ferrara, e successivamente di ispettore delle brigate Garibaldi in Lombardia. Catturato durante una missione in Piemonte, viene fucilato a No- vara il 14 giugno 1944. Cfr. Ear, ad nomen; inoltre M. De Micheli, La VII Gap cit., p. 43. Nascita dei Gap 57 in quanto solamente il giovane pud essere un buon combattente che non ri- fugge dalle azioni. Poi, invece di portarli a sparare direttamente sull’uomo, portali sul terreno dell’azione attraverso gli attentati con la dinamite. Psico- logicamente, per un giovane, é piti facile collocare una mina su una rete fer- toviaria (provocando poi la morte anche di innocenti) piuttosto che sparare direttamente contro un colpevole». In questo modo iniziammo a Modena le prime azioni’™. Non tutti i responsabili militari comunisti sono disposti a pren- dere in considerazione problemi psicologici e remore morali come credibile e sufficiente freno alle adesioni ai Gap: frequentemente, la spiegazione delle difficolta a trovare reclute per i Gap viene rin- tracciata in motivazioni pit elementari. Luigi Banfi, l’ispettore che invia un rapporto dall’Emilia del Nord a meta dicembre del 1943, constatato che fra i vecchi militanti «l’attendismo annebbia ancora il cervello di molti», fornisce una spiegazione non infondata, anche se riduttiva: «Secondo me alla base di tutto cid devesi individuare, comunque mascherata, la paura di lasciarci la pelle nella lotta». La paura, spesso, viene tradotta, nel linguaggio fortemente ideologizzato utilizzato all’epoca, con il termine «opportunismo». Esemplare, in proposito, la relazione di un ispettore delle briga- te Garibaldi, secondo il quale a Mantova «possiamo dire che nel- le organizzazioni locali del Partito, vi é un opportunismo molto forte. Alcuni elementi vecchi membri di Partito hanno ritardata Vazione dei giovani minacciandoli perfino di denunciarli qualora avessero agito»"*, «Opportunismo» e «paura di lasciarci la pelle» sono termini uti- lizzati in queste relazioni come sinonimi, e indicano un sentimento reale, profondo, da nessuno ignorato, che per la maggioranza degli ulomini forse é in ogni circostanza la principale guida delle proprie azioni, ma che in questo caso non basta per comprendere come mai molti militanti esitino, o si rifiutino di entrare nei Gap, visto che poi imboccano la strada della guerra partigiana in montagna. Cer- (amente va tenuta presente la specificita della guerra condotta dai Gap, e della particolare paura che ingenera nei protagonisti; a quel- la di morire si aggiunge, gravida di terrorizzanti immagini, quella di essere torturati, e il timore di non saper reggere, trasformando in una infamia una scelta troppo superiore alle proprie forze, per- ché nessuno pud essere certo di resistere a una prova del genere: "4 (), Poppi, If Commissario cit., p. 19. "" Clr. Rapporto al centro del partito dall’ Emilia del nord, 16 dicembre 1943, in P. Sec- chia, Hf Partito comunista italiano c la guerra di Liberazione cit., p. 231 © La Delegazione per la Lombardia al Comando generale, 10 giugno 1944, in BG, II, p. 25. 58 Capitolo primo Perché il terrore a quei tempi If non era tanto di morire, che molto pro- babilmente a vent’anni non si ha paura di morire, il terrore era di andare a finire nelle mani di quella gente, per quello che si era venuti a conoscere € asentire, la fine che ti facevano fare. Difatti l’ordine era: «Guarda non par- lare perché tanto ti uccidono, tanto vale che cerchi di resistere finché puoi perché intanto la festa te la fanno lo stesso»"”. Tutto cid, peraltro, non basta a comprendere i tentennamenti ei fallimenti di chi, dopo aver accettato di partecipare a un atten- tato, all’ultimo momento non ce la fa, non spara, mettendo ancor pit a rischio la propria vita e quella dei compagni. Dobbiamo a Giorgio Amendola il ricordo illuminante di una situazione che, con poche variazioni, ¢ stata esperienza condivisa da molti orga- nizzatori comunisti: Vidi un compagno (non importa il nome) tornare tutto avvilito da un’azio- ne: era arrivato vicino a un tedesco, il viale era vuoto, si poteva sparare senza eccessivi pericoli, ma all’ultimo momento il dito si era fermato sul grilletto. E difficile, - mi disse, - uccidere a sangue freddo un uomo che non si conosce"™. Accanto, spesso piti forte dell’elementare paura di lasciarci la pelle, o di essere catturati e seviziati, in molti militanti rimasti sospesi tra il dovere di aderire alla lotta armata e l’incapacita di uccidere a sangue freddo, non va dimenticata «|’abitudine a con- siderare l’uomo come qualcosa di sacro, di profondamente degno d’amore e di difesa, gli ideali stessi di alta umanita contenuti nel messaggio socialista». Spesso é proprio quest’abitudine a «creare stati d’animo inadatti a portare a termine con decisione azioni ar- mate sull’uomo». Per questo, [..-] creare la mentalita dell’attacco armato sull’uomo fu oltremodo diffici- le [...] se pud essere abbastanza semplice nel fuoco del combattimento, «a sangue caldo» diciamo, colpire ed uccidere, non é altrettanto semplice col- pire con studio, premeditazione e calcolo”’. Da Novara un rapporto firmato Valbruna, senza data ma riferi- bile ai primi mesi del 1944, informa che «i Gap segnano un vero e proprio fallimento [...] Trattavasi di un tedesco. Due che dovevano fare la loro azione, ritornano presso il loro capo dicendo che non se la sentivano di colpire col pensiero che non fosse altro che un figlio del popolo tedesco! »!, ___™’ Testimonianza di Lodovico Lanfranchi, in M. Bellonotto, I compagni di Stefano cit., p. 79. {0 'G, Amendola, Lettere a Milano cit., p. 225. . M. De Micheli, La VII Gap cit., p. 55. " Cfe. Considerazioni sul lavoro della montagna, in 1G, APC, DN, 11.4.20 (prima- vera 1944?) Nascita dei Gap 59 Anche Rosario Bentivegna ha ricordato le intime resistenze che inizialmente portano i giovani gappisti romani a non attaccare i tede- schi, in considerazione del fatto che si tratta di soldati dotati di una loro umanita, e dunque anche vittime di un sistema e degni di pieta. Solo alla fine di lunghi dibattiti, «ma soprattutto girando per Roma, vedendo com’era ridotta la nostra citta, le obiezioni a po- co a poco cadevano»; prima di allora ci si era limitati ad attaccare i fascisti, e i tedeschi «sembrava che non se la fossero presa trop- po per gli attacchi che avevamo condotto contro i repubblichini», mentre da quel momento si comincia a progettare anche azioni contro i tedeschi™. La difficolta dell’ uccidere vis-a-vis coinvolge direttamente chiun- que si appresti a varcare la soglia di un gesto terribile sempre, e an- cor piti in quanto mai compiuto prima, né la militanza comunista basta di per sé a neutralizzare scrupoli, paure e resistenze, anche se essere in possesso di una solida preparazione politica, e di profonde motivazioni, pud essere d’aiuto. Cid nonostante, mentre per molti combattenti dotati di formazione e fede politica questo passo ri- sulta impraticabile, altri, pur privi di questo retroterra, lo possono compiere senza eccessive ambasce. Ogni generalizzazione in questo campo sarebbe indebita e fallace, mentre é facilmente constatabile quanto il problema sia diffuso e lacerante; cos{ come sembra accer- tata la maggior facilita nel portare all’azione i giovani, e la maggior resistenza incontrata presso vecchi militanti™. Elio Vittorini chiude il suo Uomini e no narrando di un aspi- rante gappista, di cui ci fornisce solo un’indicazione generica: & «un operaio», entusiasta della lotta contro tedeschi e fascisti, vuo- le partecipare alla lotta armata, si sente pronto, deciso, sicuro. L’operaio ottiene di compiere un viaggio in camion con due spe- rimentati gappisti milanesi; nel corso del viaggio spara su due mo- tociclisti tedeschi, uccidendoli da notevole distanza, e la prosa di Vittorini evidenzia l’assoluto distacco con il quale il neofita, qua- si divertito, sperimenta una sorta di tiro al piccione. I] successo dell’impresa, compiuta stando a bordo di un camion, e sparando a due motociclisti in lontananza, entusiasma |’operaio, che, alla vista di una motocicletta della Wehrmacht parcheggiata davanti a una bettola, decide di perfezionare il suo apprendistato, entrando " R. Bentivegna, «Achtung Banditen!» Roma 1944, Mursia, Milano 1983, pp. 91-93. “ Per alcune considerazioni sulla questione della difficolt& di uccidere, limitatamen- erierza partigiana, rinvio al mio Rendere il colpo, in S. Peli, La Resistenza diffici- Milano 1999. Sulle implicuzioni e gli effetti della violenza nella guerra iherazione restano insuperate le considerazioni di CG, Pavone, Una guerra civile cit., in juticolare il exp. vi 60 Capitolo primo a uccidere il motociclista. Ma «é faccia a faccia, stavolta», lo av- vertono i piti esperti gappisti con i quali sta viaggiando: a dire «scoprirai che non é la stessa cosa». E cosf accade: la faccia triste del soldato tedesco, «forse un operaio», forse «un minatore», gli rende impossibile portare a termine |’impresa. La motocicletta re- sta l’unica preda; al tentativo del neogappista di giustificare la sua impossibilita di uccidere facia a faccia, i due piti esperti ribatto- no: «Non devi spiegare nulla». Cid che viene qui messo in scena é una difficolta quasi ovvia, e comprensibile per «i vecchi», per chi «ci é gia passato». Ma la lapidaria frase conclusiva, che chiude anche Uomini e no, indica un progetto, apparentemente semplice, di facile realizzazione: «“Imparerd meglio”, disse l’operaio»™. Conclusione secca e senza sfumature, com’é nelle intenzioni e nello stile del Vittorini di Uomini e no. In realta il problema non é affatto risolvibile in modo cosi semplice e immediato, e la guida di capi esperti, capaci di incoraggiare, o di scartare gli indecisi, che finiscono per rappresentare un grande rischio aggiuntivo, é un ele- mento indispensabile nella formazione dei Gap. Nei ricordi dei comandanti dei primi gruppi armati, si rintrac- cia una chiara consapevolezza delle difficolta di chi non ha mai ucciso, e della necessita di guidarne pazientemente un graduale apprendistato: Molto importante per questi giovani inesperti che non avevano veri con- tatti con il nemico, era prendere dimestichezza con le armi, con la notte e soprattutto con la paura. Quando si facevano gli appostamenti per attacca- re le autocolonne nemiche, si stava in attesa finché spuntavano i fari della prima macchina nemica; noi eravamo, di solito, dai dieci ai quindici uomi- ni armati, alcuni dei quali si sapeva che non sarebbero riusciti a sparare, ma venivano portati in queste azioni per addestramento, per prendere contatto con la notte, per vivere di persona I’ azione e soprattutto perché si sentissero gia dei combattenti con obiettivi importanti da colpire. Dopo ogni scontro a fuoco, c’era l’ordine di ritirarsi in un determinato punto dove si passava all’esame |’arma di ognuno, per vedere chi aveva sparato echi no. Uncontrollo, in sostanza, che serviva di incitamento e anche di emu- lazione tra i giovani. Cosf si capiva se qualcuno non era riuscito a superare la prova e venivano fuori diverse giustificazioni, mentre la vera ragione era che sparare non é una cosa facile, proprio per quella ripugnanza che c’é nell’uo- mo onesto, nell’essere umano costretto dalla guerra a colpire altri uomini™. Renato Romagnoli, gappista giovanissimo, e poi prolifico e acu- to memorialista, ha ricordato che: E. Vittorini, Uomini e no, Bompiani, Milano 1945. ™ T. Scalambra, La scelta da fare. Dalla clandestinita alla Resistenza nel Modenese, Edi- tori Riuniti, Roma 1983, p. 75; si tratta di un’ autobiografia preziosa anche perché arricchi- ta da testimonianze di molti protagonisti del gappismo modenese. Italo Scalambra é stato il comandante della LXV brigata Gap Walter Tabacchi di Modena. Nascita dei Gap 61 [...] non bastavano la carica ideale, la preparazione militare, la scalata pro- gressiva nell’importanza dei compiti affidati, l’esempio di coloro che «gia Pavevano fatto», o il «vederlo fare», perché premere il grilletto di una pi- stola contro un obiettivo umano prestabilito costava una somma di valuta- zioni enorme, tale da rendere quell’azione gravosa quanto mai, e implicante una trasformazione psicologica e morale che non poteva non lasciare tracce indelebili in colui che la compiva’™. Né la questione dell’esitazione nel colpire a sangue freddo pud dirsi risolta dopo i primi mesi, perché il ricambio nei nuclei gappi- sti é assai intenso: coloro che hanno accumulato esperienza devono essere sostituiti troppo spesso, o perché uccisi o perché, nel timore o nella certezza che siano stati identificati, debbono essere messi in salvo nelle formazioni di montagna; e saranno nuovamente dei neofiti a prendere il loro posto. Uccidere @ gesto estremo, irreversibile, che nel compiersi fac- cia a faccia ha la sua forma pitt drammatica; non riguarda solo i gappisti, anche se per chi pratichi il terrorismo urbano questo é il modo di operare «normale». Per Luigi Meneghello, partigiano e studente, «sparare addosso alle persone, se capita per incidens, non fa impressione», mentre uccidere un uomo inerme, vis-a-vis, ¢ espe- rienza terribile, quasi indicibile, per una ineludibile compassione- identificazione con la vittima: «Gli abbiamo legato le mani con lo spago in questa piccola dolina di roccia [...] Si in piedi, quasi ci si tocca. In una specie di scossa pare di morire insieme»™. I partigiani dell’ Appennino reggiano, anche dopo mesi di duri scontri, mostrano ancora, a giudizio del loro comando, una certa resistenza a terminare i combattimenti vittoriosi dando il colpo di grazia ai caduti nemici, il che comporta sia il rischio di essere colpi- tida un ferito che finga di essere morto, sia la rinuncia a prendersi le armi dei caduti; solamente grazie alle reiterate raccomandazioni del comando «é da sperare che in seguito i nostri partigiani si con- solidino nella decisione di gettarsi addosso al nemico dopo averlo vinto con raffiche a brevissima distanza onde spogliarlo dell’arma- mento e dell’equipaggiamento»”’. " R. Romagnoli, Gappista. Dodici mesi nella Settima Gap «Gianni», Vangelista, Mi- lane 1974, p. 84. ' L. Meneghello, I piccoli maestri, Feltrinelli, Milano 1964, p. 207. Vale la pena di ri- vordare per contrasto un altro personaggio di I piccoli maestri, il Tar (capo parti iano mitico « popolare, abituato per estrazione sociale e cultura a ben altro rapporto con la violenza), ‘ie narra con compiaciuti tecnicismi e dovizia di particolari gli strumenti da lui utlizrati per uno «stringente interrogatorio»: «Si fa un cetchio con questo filo di ferro intorno alla testa |... con questa pinza si da una giratina ai capi attorcigliati [...] ¢ alla seconda girati- nw [...[ € quando gli ossi della testa fanno cric [...]». Ibid., p. 200. “" Comando unico di Reggio Emilia della Montagna al comando Piazza e al Cln di Reg- qo Emilia, 22 ottobre 1944, in BG, Hl, pp. 472-79. 62 Capitolo primo Ci siamo fin qui occupati sia delle difficolta incontrate dagli organizzatori comunisti nel reclutamento dei Gap, sia delle sog- gettive ansie e remore morali che impediscono |’adesione al gap- pismo, o determinano il fallimento di vocazioni subito revocate in dubbio; é ora il momento di vedere che cosa questo gappismo, co- sf arduo da creare e cosi terribile da sostenere, riuscf a realizzare in concreto. Capitolo secondo La prima fase: dicembre 1943 - maggio 1944 I primi attentati. Abbiamo fin qui descritto i molti problemi che dovettero af- frontare i dirigenti comunisti incaricati di formare i primi nuclei gappisti. E proprio tenendo conto di tutti questi limiti che la quan- tita di attentati portati a termine fra il tardo autunno 1943 e la primavera del 1944, e l’importanza degli obiettivi colpiti, risulta- no impressionanti. Benché condotti con mezzi rudimentali, da gappisti quasi sem- pre privi di esperienze significative nel maneggio di armie nell’ ar- te della guerriglia urbana, |’effetto delle prime uccisioni é dirom- pente, perché del tutto inattese, e perché, dall’ottobre-novembre 1943, sono soprattutto esponenti di spicco della neonata Repub- blica sociale a essere colpiti. Fino a quel momento, le precarie aggregazioni partigiane sui monti erano state intercettate e in buona parte distrutte con re- lativa facilita; l’esistenza di un primo, caotico moto di ribellione cra stata percepita come un fenomeno disorganizzato e senza pro- spettive, confinato in zone lontane dalle citta. L’attacco portato proprio la dove il potere nazifascista si sente piti forte, dove sono massimamente concentrate le forze di polizia, le amministrazioni militari, i centri d’arruolamento e di propaganda, é del tutto ina- spettato. Non a caso, lo vedremo prendendo in esame da vicino alcuni dei primi attentati che colpiscono figure di spicco della Rsi, i gerarchi fascisti si muovono in citta senza particolari precauzio- ni. Gli attentatori restano sconosciuti; la struttura organizzativa, la loro consistenza, del tutto ignote. Come sempre accade, il nemico senza volto assume proporzio- ni gigantesche. Le sue imprese vengono rabbiosamente descrit- te come frutto di vilta, di tradimento, opera di sicari prezzolati dall’oro nemico, delinquenti che odiano la patria assassinandone proditoriamente i figli migliori. Lo stupore con il quale le autori- 11 fasciste registrano i primi omicidi «eccellenti» & accentuato dal 64 Capitolo secondo fatto che mai, in vent’anni di regime poliziesco e repressivo, alcun gerarca era stato colpito. Non tutte le azioni dei Gap avvengono in esecuzione di preci- si piani e direttive: gli attentati, se frutto di iniziative individuali, colpiscono qualche automezzo militare, o soldati in libera uscita; quando invece sono programmati e decisi dall’organizzazione, so- no diretti soprattutto contro consoli della Milizia, podesta, e per- sino alcuni responsabili delle federazioni fasciste. A Torino il primo attentato portato a termine dai gappisti & quello contro il seniore della Milizia Domenico Giardina il 24 ot- tobre del 1943, per mano di Ateo Garemi e dell’anarchico Dario Cagno, di lf a poco catturati e successivamente giustiziati. Il 28 ottobre 1943, ricorrenza della marcia su Roma, a Geno- va, a Savona, a Ravenna, vengono uccisi elementi di spicco delle camicie nere e della Milizia fascista: a Genova Manlio Ottone, capomanipolo delle camicie nere d’assalto; a Savona, il console della Milizia Oggioni'. A Ravenna il gruppo gappista guidato da Mario Gordini inaugura la sua attivita con un attentato al conso- le della Milizia Troiano*; a Roma viene attaccata una caserma in via Brenta’. Per la prima volta, nella fatidica ricorrenza della conquista del potere, sotto attacco sono le autorita fasciste, incredule davanti al sanguinoso rovesciamento dei loro riti autocelebrativi, inaudita profanazione di una data da vent’anni solennizzata con imponen- ticortei, orazioni magniloquenti, e con l’arresto preventivo degli antifascisti schedati. Ora un pugno di attentatori, audaci quanto improvvisati, basta per rendere clamorosamente evidente la debo- lezza della neonata Repubblica, il suo isolamento, e sono decine i gerarchi fascisti eliminati dalle pistole dei gappisti. A Imola il 1° novembre !’attivita gappista inizia con !’uccisione del console della Milizia*; a Roma, il 18 novembre, il maresciallo d'Italia Rodolfo Graziani fa la sua prima uscita ufficiale da mini- stro della Difesa nazionale della Rsi con un discorso al teatro Adria- no: solo un difetto tecnico impedisce |’esplosione della bomba a tempo collocata sotto il palco. Se fosse andato a buon fine, questo * Cfr. G. Gimelli, La Resistenza in Liguria. Cronache militari e documenti, a cura di F. Gimelli, Carocci, Roma 2005, vol. I, p. 6r. ? Cfr. G, Belletti, L’armata della pianura, La XXVIII Brigata Gap «Mario Gordini, Anpi, Ravenna 2013, p. 49. > M. Musu ed E. Polito, Roma ribelle. La Resistenza nella capitale 1943-1944, Teti, Milano 1999, p. 309. * Cte, Rapporto del Triangolo dal settembre al dicembre 1943, in IG, APC, DN, 8.2.7, pubblicato anche in P. Secchia, I! Partito coraunista italiano e la guerra di Liberazione cit., PP. 127-33. La prima fase 65 attentato sarebbe stato probabilmente il pit clamoroso dell’intera esperienza gappista’. A La Spezia, ai primi di dicembre, una squadra guidata da Ar- turo Baccinelli attacca all’uscita dal Comune il nuovo podesta, Michele Rago‘. Il 18 dicembre viene ucciso il federale di Milano, Aldo Resega, al culmine di un’ondata di scioperi iniziata il 13. A Bologna, il 26 gennaio 1944, alle ore 12.40, il federale del fascio Eugenio Facchini, mentre sale la scala di accesso alla mensa universitaria in via Zamboni insieme ad altri camerati, @ freddato da due partigiani che gli si fanno incontro spatando alcuni colpi di arma da fuoco’. A Forlf, il 10 febbraio 1944, un gappista uccide il federale, «nota figura di squadrista violento e persecutore spietato di anti- fascisti forlivesi»*. I responsabili delle federazioni incarnano localmente il verti- ce del rinato potere fascista, e la loro uccisione desta enorme im- pressione. Fin dai primi mesi, in citta non mancano gli attentati contro militari tedeschi, perd sono decisamente meno numerosi, a eccezione forse di Roma, dove gli attacchi alle forze di occupazio- ne sono particolarmente fitti: in questo caso gli attacchi non sono mirati a colpire persone ben definite, l’obiettivo @ quell’insieme, facilmente identificabile e nello stesso tempo indefinito, costituito dall’esercito occupante, «i tedeschi». A volte si colpiscono obietti- vi importanti, con azioni pianificate, come per esempio le bombe fatte esplodere sui davanzali dell’hotel Flora, sede del Tribunale di guerra tedesco di Roma, il 19 dicembre, da Franco Calamandrei (Cola), da Maria Teresa Regard (Piera) e da Ernesto Borghesi’. In generale, e questo vale ancor piti per il gappismo romano, non é sempre facile capire quali azioni siano condotte in esecuzione di piani preordinati, e quali siano frutto di iniziative estemporanee, che a volte, per inesperienza e matto coraggio dei giovani e giova- nissimi protagonisti, assumono i colori di un’avventura picaresca. Molto spesso sono «azioni affidate alle iniziative dei singoli, una > M. Musu ed E. Polito, Roma ribelle cit., p. 310. * Cf. G. Gimelli, La Resistenza in Liguria, vol. | cit., pp. 64-65; Baccinelli verra ucciso il 18 marzo 1944 dai fascisti che gli tendono un agguato vicino alla sua abitazione. Che un sappista vivesse o frequentasse la propria abitazione era contrario alle direttive, e anche al huion senso, ma, come vedremo pidi avanti, non infrequente. Cfr. www.anpipianoro.it/memoria-nazionale/|-fucilati-del-27-gennaio-1944.html/. * Adamo Zanelli (Giovanni), La Resistenza nel Forlivese, Cappelli, Rocca San Cascia- ho 1962, p. 39- ° Chr. F. Calamandrei, La vita indivisibile. Diario 1941-1947, Editori Riuniti, Roma 198.4, pp. 123-26. 66 Capitolo secondo “caccia libera” individuale»”. A Bologna il primo attentato gap- pista viene effettuato contro un gruppo di soldati tedeschi la sera del 4 novembre", davanti al ristorante Fagiano in via Calcavinaz- zi, senza che lobiettivo sia stato scelto e studiato preventivamen- te; possiamo seguire da vicino la dinamica dell’ attentato grazie al racconto — vivido e confermato da numerosi riscontri - che ne ha fornito a molti anni di distanza uno dei protagonisti, il comunista Libero Romagnoli”, allora operaio della Ducati, e in seguito co- mandante della LXII brigata Garibaldi: La sera del 4 novembre 1943, Vittorio Gombi (Libero), Libero Baldi ed io (tutti tre, per caso, ci chiamavamo Libero), decidemmo per conto nostro di tentare un’azione diretta contro i tedeschi che da poco avevano consoli- dato il loro potere nella citta. I Gap erano appena all’inizio e bisognava «rompere il ghiaccio». Ricordo che dapprima noi volevamo lanciare una bomba dentro a un caffé del centro ma passando sul posto vedemmo che la cosa era impossibile perché attorno a gruppi di tedeschi c’erano troppi civili. Allora ci spostammo verso via Ugo Bassi ed aspettammo che alcuni tede- schi si concentrassero e cid accadde vicino al ristorante Fagiano, in via Cal- cavinazzi, nel pieno centro della citta. Noi ci appostammo all’angolo della strada con via Montegrappa e quan- do vedemmo il gruppo di tedeschi davanti all’ingresso del ristorante, Gombi staccd la sicura di una bomba a mano e la buttd nel gruppo: assistemmo un attimo all’esplosione e vedemmo che avevamo fatto centro e poi, via di cor- sa, ognuno per la sua strada. Dal giornale apprendemmo il giorno dopo che tre erano stati i feriti gravi ¢ altri leggeri, ¢ poi i tedeschi se la presero coi fascisti perché non sapevano mantenere l’ordine e fu messa una taglia di 50 000 lire sulle nostre teste (un operaio comune guadagnava 1000 lire al mese), ma non contd nulla perché nessuno ci scopri [...] Dopo il fatto io ritornai normalmente alla «Ducati» dove, dal 1940, lavoravo come operaio rettificatore”. Decidemmo per conto nostro. E un’affermazione di grande in- teresse, perché ci permette di intravedere come |’organizzazione * A. Portelli, L’ordine é gid stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Don- zelli, Roma 1999, p. 155. ™ Secondo Mario De Micheli la prima azione gappista viene realizzata il 18 dicembre, con un attentato a villa Spada, «sede del comando tedesco»: La VII Gap cit., p. 58. Secondo Luciano Casali ¢ Dianella Gagliani l’attacco a villa Spada del 15 dicembre, e villa Spada é sede non del comando, ma del centro cartografico del comando: cfr. il loro Presenza comu- nista, lotta armata e lotta sociale nelle relazioni degli «ispettori»: settembre 1943 - marzo 1944, in L. Arbizzani (a cura di), L’Emsilia Romagna nella guerra di Liberazione, De Donato, Bari 1976, vol. III, p. 537 ¢ L. Bergonzini, Bologna 1943-1945. Politica e economia in un centro urbano nei venti mesi dell occupazione nazista, Clueb, Bologna 1980, p. 39. ® Libero Romagnoli nasce a Minerbio nel 1913. Operaio nell’officina Ducati, poi co- mandante della LXII brigata Garibaldi, membro della VII Gap dopo la battaglia di porta Lame del 7 novembre 1944 € successivamente membro del comando della Divisione «Bo- logna». Una rica testimonianza autobiografica di Libero Romagnoli é disponibile in www. anpipianoro.it/memoria-locale/libero-romagnoli.html/ (ultima consultaz. 4 gennaio 2014). ” Testimonianza di Libero Romagnoli, ibid. (ultima consultaz. ro settembre 2073). La prima fase 67 dei Gap, segnatamente all’inizio ma non solo allora, fosse carat- terizzata da un’aspirazione, piti che dalla realizzazione di un con- trollo rigoroso sulle iniziative individuali. Nello stesso tempo, la precarieta e la fragilita dell’ organizzazione trovano nella determi- nazione e nell’iniziativa di singoli militanti una decisiva risorsa. A Bologna, mentre si verifica il fallimento dei primi tentativi di insediare gruppi partigiani sull’Appennino, il compito di «rom- pere il ghiaccio» spetta all’iniziativa individuale, e certamente il primo rudimentale attentato non viene preparato, studiato e di- retto, piuttosto é frutto dell’audace intraprendenza di tre mili- tanti comunisti: l’organizzazione, per il momento, @ ancora un progetto pit che una realta. Non é difficile rintracciare dinami- che del tutto simili anche a Roma, Milano, Torino, Firenze, Ge- nova. Franco Calamandrei, comandante dei Gap centrali di Ro- ma, sotto la data del 28 febbraio annota nel suo diario: «I] Centro non ci autorizza alla caccia ad anonimi»", dal che é possibile de- sumere che fino a quel momento questo modo di procedere non fosse inconsueto. Solamente nei mesi successivi, nella fase di massimo sviluppo dei Gap, il perdurare d’iniziative prese individualmente, all’insa- puta dell’organizzazione, viene censurato perché si trasforma in una seria minaccia per la sicurezza dell’intera struttura gappista. Torniamo alle conseguenze dell’attentato davanti al ristorante a Bologna, dove la reazione tedesca é piuttosto blanda, limitandosi aun’anticipazione del coprifuoco dalle 21 alle 18": anche qui, co- me a Milano dopo i due attentati contro ufficiali della Wehrmacht in largo Argentina gia evocati, e come a Roma, dove in dicembre si intensificano gli attacchi alle truppe d’occupazione, la scelta dei comandi tedeschi é quella di non enfatizzare gli attacchi, perché «la citta non si deve accorgere della guerriglia, il mito dell’invul- nerabilita non deve essere intaccato»"’. A Milano, come a Torino, come a Bologna non sono gli attacchi contro i tedeschi, ma gli at- tentati contro autorita fasciste a scatenare le prime feroci rappre- saglie: il giorno dopo I’uccisione del federale di Bologna Eugenio “ B. Calamandrei, La vita indivisibile cit., pp. 131-32. " In occasione del secondo attentato gappista contro villa Spada del 15 dicembre, il coprifuoco viene esteso dalle 18 alle 6, la cittd viene multata di 500000 lire, viene messa una taglia di 100000 lire. Cfr. L. Bergonzini, Bologna 1943-1945 cit., p. 39. Secondo Bergonzi- ni, l'azione del 3 novembre é opera di «tre gappisti che subito si erano diretti in tre diverse “basi” protette da civili, pronti a ospitarlin: Id., La svastica a Bologna. Settembre 1943 -apri- le 1945, il Mulino, Bologna 1998, p. 45. E evidente che questa versione, a differenza «quella del protagonista, esplicitamente colloca l’operazione in un contesto gid organizzati- ente strutturate, "A. Portelli, L'ordine ¢ pid stato eseguito cit., pp. 195-57 68 Capitolo secondo Facchini (25 gennaio 1944), un improvvisato tribunale decreta la fucilazione di Alessandro Bianconcini e di altri nove patrioti di Bologna e di Imola’’. A Milano la prima violenta rappresaglia per un attentato gappista (otto antifascisti prelevati dal carcere e fu- cilati all’Arena), viene effettuata dai fascisti in seguito all’ atten- tato contro Resega’*. A queste rappresaglie la stampa fascista da il massimo risalto, perseguendo il duplice scopo di suscitare terrore e di dare un’im- magine possente e implacabile del regime. L’uccisione dei fede- rali di Milano e di Bologna, come del colonnello Gobbi a Firen- ze, occupa le prime pagine dei giornali nazionali. Un comunicato dell’agenzia Stefani, e anche «La Nazione» di Firenze, danno la notizia dell’avvenuta fucilazione di dieci «colpevoli» in seguito all’uccisione del tenente colonnello Gino Gobbi, quando in realta i fucilati sono solo i cinque sfortunati antifascisti detenuti in quel momento a disposizione dei fascisti. Dietro la trasparente bugia che raddoppia il numero dei fucilati effettivi, si cela la bruciante umiliazione subita dai tedeschi, che si rifiutano di consegnare i cinque antifascisti loro prigionieri (e che verranno scarcerati di lf a poco)'*. La decisione di fucilare dieci detenuti era stata presa nella notte del 1° dicembre, sotto la pressione del maggiore Carita e del capo della Provincia Raffaele Manganiello, e con un tentativo di opposizione del questore Manna, da un sedicente Tribunale straor- dinario, nome con il quale si tenta di legalizzare una riunione con- vocata da Manganiello nel suo ufficio di palazzo Medici Riccardi per ratificare la decisione, gia presa, di dare una risposta durissima e immediata all’attentato di poche ore prima. Come abbiamo gia accennato, a Firenze - e nelle maggiori citta italiane - i tedeschi cercano, in questa fase, di instaurare un clima di collaborazione, *” Alessandro Bianconcini, comunista dal | 1929, combattente nella XII brigata Garibal- di in Spagna, incarcerato prima a Parigi e poi in Italia, primo comandante della VII Gap di Bologna, catturato il 9 gennaio, passato per le armi insieme ad altri nove antifascisti. Cfr. A. Albertazzi, L. Arbizzani e N. S. Onofri, GH antifascisti, i partigiani e le vittime del fasci- smo nel bolognese (1919-1945). Dizionario biografico, Comune di Bologna, Bologna 1985, vol. II, p. 252; M. Franzinelli (a cura di), Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza, 1943-1945, Mondadori, Milano 2005, p. 97; nella scheda biografica curata all’ Anpi i patrioti fucilati con Alessandro Bianconcini sono sette. ** Si tratta di Carmine Capolongo, Giovanni Cervi, Fedele Cerini, Luciano Gaban, Alberto Maddalena, Giuseppe Ottolenghi, Carlo Mendel, Amedeo Rossin. Cfr. L. Borgo- maneri, Due inverni cit., p. 42. ¥ Sono cinque componenti del Ctln, arrestati dalla banda Carita: Fosco Frizzi, diri- gente de] Partito comunista clandestino; Guido Frassineti, tenente colonnello del Genio; Paolo Barile, magistrato; Leonardo Mastropierro, avvocato e colonnello della riserva; Adone Zoli, avvocato e futuro presidente del Consiglio e ministro democristiano. Raffaele Man- ganiello viene ucciso dai partigiani il 14 settembre 1944 mentre @ in viaggio da Milano per raggiungere Torino, che avrebbe dovuto essere la sua nuova La prima fase 69 a costo di sconfessare le rappresaglie indiscriminate con le quali i fascisti reagiscono ai primi attentati. Non a caso Carlo Chevallard, il nostro attento diarista torine- se, che pure non aveva avuto notizia della deportazione degli ebrei romani del 16 ottobre 1943, a proposito della prima rappresaglia fascista a Bologna, annota in data 29 gennaio: «In seguito all’as- sassinio del federale di Bologna sono stati condannati a morte no- ve imputati e a trent’anni di reclusione il decimo [...] contempo- raneamente é stata annunciata una taglia di un milione sugli assas- sini. Giustizia fascista é fatta! »”. Nei mesi successivi, lo spazio dedicato dalla stampa di regime agli attentati e alle rappresaglie tende a diminuire. All’inizio le autorita s’illudono di essere di fronte a un fenomeno isolato e transitorio, e decidono di dare la massima pubblicita sia agli attentati, attribuiti ad agenti al soldo del nemico, sia alle rappresaglie, frettolosamen- te legalizzate da sentenze di tribunali insediati ad hoc che fingono di aver giustiziato i colpevoli. Con il passare dei mesi, mentre 1’ at- tivita dei Gap s’intensifica, alle notizie sugli attentati viene messa la sordina (tranne casi eccezionali, come per esempio l’uccisione di Giovanni Gentile a Firenze il 15 aprile 1944). Alle uccisioni indi- scriminate e alle rappresaglie le cronache locali riservano uno spazio via via minore, fino a quando diventera prassi corrente sequestrare ed eliminare antifascisti detenuti o prelevati nottetempo da casa, senza clamore e sentenze, abbandonandone il cadavere crivellato di colpi per strada o in campagna. L’ampiezza del dissenso verso il regime, la modesta partecipazione popolare alle esequie dei caduti, il perdurare e il crescere dell’attivita gappista non sono notizie da diffondere. Va da sé che dare risalto alle rappresaglie, tacendo su- glj attentati messi a segno dai Gap, non é possibile. Ancor meno, sarebbe possibile informare correttamente su rappresaglie ormai condotte in puro stile criminale, eseguite al di fuori di ogni par- venza di legalita dalle varie bande al servizio delle SS, sulle quali le autorita politiche non hanno di fatto alcun controllo. Quasi tutti i primi attentati sono relativamente «facili», nel senso che le vittime vengono colte del tutto impreparate, cos{ co- me farraginose e inadeguate sono le forze che avrebbero dovuto contrastare i gappisti. Federali, consoli della Milizia e comandan- ti dei Distretti militari girano senza scorta; a volte, come nel caso di Gobbi e di Resega, si recano in ufficio in tram. Attrezzature rudimentali quelle dei gappisti, ma scalcinate e precarie anche le dotazioni dei fascisti, che si atteggiano a nuovi padroni delle citta. *® Diario di Carlo Chevallard cit., p. Bo. Jo Capitolo secondo Devono passare tre-quattro mesi prima che esiziali leggerezze cospirative, il ricorso sistematico alla tortura da parte delle varie polizie politiche e un piti deciso impegno degli apparati polizieschi dell’esercito tedesco riescano a dare volti, e nomi agli attentatori, aintuire strutture e gerarchie dell’ organizzazione gappista, fino a ridurla al lumicino, a scompaginarla, sterminando o costringendo alla fuga la grande maggioranza dei gappisti della prima ora. Un’ altra caratteristica comune a questi attentati é che in buona parte i gappisti in azione sono clandestini per modo di dire. Libe- ro Romagnoli che, dopo aver lanciato la bomba verso i tedeschi assiepati davanti al ristorante Fagiano a Bologna, torna al lavoro alla Ducati, é forse un caso isolato? E il fatto che abbia agito, as- sieme ai suoi due compagni, autonomamente, «per rompere il ghiac- cio», @ eccezionale? Quando la documentazione permette di rico- struire in modo sufficientemente preciso l’organizzazione di un nucleo gappista, e la dinamica degli attentati messi a segno, |’im- pressione che se ne ricava é che precarieta dell’organizzazione e poverta di mezzi a disposizione del terrorismo urbano siano piti la ‘norma che l’eccezione, anche se l’immagine del gappismo che si é via via stratificata nella memoria collettiva ha sempre teso a sot- tolinearne l’efficienza, la precisione rigorosa dei preparativi, e so- prattutto l’isolamento. L’immagine dei silenziosi esecutori di progetti studiati nei mi- nimi particolari, che escono e subito rientrano nella pid rigida clandestinita é un’immagine in parte mitologica, che merita di es- sere arricchita e complicata. Per farlo, pud essere utile prendere le mosse dall’analisi ravvicinata di alcuni attentati, del contesto nel quale vengono realizzati, delle modalita di esecuzione, delle conseguenze di questi attentati. Dare conto delle centinaia di at- tentati messi a segno, e di quelli, forse altrettanti, solamente pro- gettati o tentati, fra l’inverno 1943 e la primavera del 1944 @ im- presa che sovrasta di gran lunga le mie forze e le mie intenzioni: per il momento mi accontenterd di usare come filo d’ Arianna al- cuni attentati, vicende e biografie, indispensabili per penetrare nel labirinto delle opere e dei giorni dei gappisti della prima ora. L’obiettivo che mi prefiggo é quello di bucare lo strato di opacita che la natura stessa del nostro oggetto, e l’abbondante dose di mi- tizzazione che lo ha accompagnato, hanno frapposto a una serena comprensione. Tra i molti esempi possibili, mi soffermerd su quattro attenta- ti. I primi due presi in esame sono quelli che destano la massima La prima fase hs impressione nella fase degli esordi: l’uccisione di Gobbi a Firenze e quella di Resega a Milano”. Successivamente prenderd in considerazione i due attentati che, a Firenze e a Milano, per difficolta di realizzazione e importanza degli obiettivi colpiti, segnano il punto piti alto dell’ organizzazione gappista, e anche, paradossalmente, |’inizio della fine della prima fase del gappismo: |’attentato al colonnello Italo Ingaramo a Fi- renze (29 aprile 1944) e l’attentato al questore di Milano Camillo Nicolini Santamaria (3 febbraio 1944). Come ogni scelta di casi esemplari, anche questa é opinabile, e in buona parte influenzata dallo stato della documentazione disponibile; gli attentati contro Ingaramo e Nicolini Santamaria, relativamente al contesto nel qua- le vengono realizzati, sono esemplificativi non solo del momento di massima efficienza raggiunta dai Gap, ma anche di quel sen- so di potenza e di fiducia ormai acquisita nella propria abilita che precede di pochissimo, e favorisce, il primo e principale tracollo di gran parte delle strutture gappiste. Gino Gobbi: Firenze, 1° dicembre 1943”. L’attentato che costa la vita al comandante del Distretto mili- tare rappresenta la prima impresa gappista a Firenze. La scelta di quello specifico obiettivo @ riconducibile all’apparato militare del Partito comunista; a provarlo, un manifesto, intitolato Chi era Gi- no Gobbi, diffuso in citta dal Pci dopo |’attentato: Era il capo delle SS fasciste, il riorganizzatore delle formazioni militari al servizio di Hitler; era colui che aveva conservato e messo a disposizione del Comando tedesco tutti i documenti del Distretto militare; era il comandante di tutte le ritorsioni che i fascisti e i carabinieri esercitavano verso i genito- ri dei giovani del 1924-25 che non si presentavano alle armi; era l'aguzzino, il carnefice che dirigeva gli interrogatori e le torture dei cittadini arrestati [...] mentre rincasava per godersi tranquillamente gli agi della sua dimora, soddisfatto di aver avviato al macello tante giovani vite per combattere la causa di Hitler, le mani del popolo lo hanno raggiunto e colpito come si con- viene ai traditori”. * Un elenco delle Attivita dei Gap dal settembre 1943 al febbraio 1944, pet quanto ri- guarda Milano, si trova in Alsec, carte Cesare Roda, fasc. r. » Le azioni dei gappisti fiorentini sono elencate, con lievi discordanze, in tre successi- ve ricerche: G. Verni, L opera dei gappisti fiorentini, Arti grafiche il cenacolo, Firenze 1964, pp. 41-43; C. Francovich, La Resistenza a Firenze cit., pp. 160-72, e G. Zingoni, La lunga trada cit., passim; cfr. inoltre l'articolo a firma Sergio, pubblicato in «Rinascitan, II (set- tenibre-ottobre 1945) € ripubblicato identico in «Mercurio», II (dicembre 1945), n. 16, ela Reluzione sullattivita svolea dai Gap nella zona di Firenze, in Alsrt, fondo Carlo Francovich. » TL testo del manifesto & pubblicato da ©. Barbieri, Ponti sull’Amo cit., pp. 80-81. 72 Capitolo secondo Come gia accennato, I’attentato a Gobbi coronato da successo @ preceduto, una settimana prima, da un tentativo andato a vuoto, compiuto con le stesse modalita, cioé attendendo sulla porta di ca- sa il colonnello di rientro dal Distretto militare. Ne erano stati protagonisti quattro partigiani, sperimentati militanti comunisti, richiamati appositamente in citta dal Partito: Cesare Massai, Rin- do Scorsipa, Bruno Fanciullacci e Faliero Pucci. Ritroveremo i primi tre fra i principali protagonisti del gappismo fiorentino. An- che in parecchi altri casi, per formare i primi Gap, il Pci deve ri- correre a elementi che hanno gia sostenuto le prime prove nelle bande partigiane degli inizi, e che spesso sono rimasti delusi dal- la confusione e dall’inazione che le caratterizza: ad esempio Dan- te Di Nanni e Francesco Valentino, destinati a divenire elementi di punta del Gap guidato a Torino da Giovanni Pesce, hanno pre- cedenti partigiani nella zona di Boves. Il fatto che il Partito, per compiere la prima importante azio- ne a Firenze citta, ricorra a un gruppetto partigiano, permette di ipotizzare che l’organizzazione dei Gap cittadini non fosse an- cora ben funzionante. Eppure una settimana dopo, il 1° dicem- bre 1943, un altro gruppo, utilizzando la stessa tattica, raggiunge Lobiettivo. Chi sono gli autori del secondo attentato? Da pit fonti sappiamo che, del primo gruppo, tra di loro era rimasto solamen- te Rindo Scorsipa™. Di questo attentato troviamo una descrizione dettagliata nell’ autobiografia del gappista Aldo Fagioli, secondo il quale l’uccisione di Gobbi fu L...] progettata ed eseguita da giovani di San Frediano, e condotta in una pre- carieta incredibile. Erano in quattro e disponevano solo di due vecchie bici- clette. Avevano quattro pistole cosf malandate che decisero di usare solo le due meno vecchie e malgrado cid una di esse si inceppd. Attesero il colonnello Gobbi all’uscita del Distretto militare in Piazza S. Spirito. Due salirono sul tram dietro a lui mentre gli altri due, con le biciclette, seguivano il convoglio. Quando il Gobbi scese dal tram, vicino alla sua abitazione, in via Pagnini, i gappisti che lo seguivano appiedati aprirono il fuoco con le loro pistole. Una si inceppd dopo il primo colpo, |’altra spard tutto il caricatore. I due compa- gni in bicicletta erano rimasti ai lati per fare la copertura. Dopo aver ucciso il colonnello i due che avevano sparato salirono sulla canna della bicicletta dei loro compagnie con tale mezzo abbandonarono la zona”. Secondo Alvo Fontani (Sergio), commissario politico dei Gap di Firenze, Gobbi, «giustiziato» per decisione del comando dei ™ Rindo Scorsipa (Mongolo), tra i gappisti fiorentini pit audaci, 2 famoso soprattutto perché il 3 marzo entra travestito da milte fascista nella sede dei sindacati fascist, ¢ innesca le bombe che distruggono l’archivio contenente le liste degli operai destinati alla deporta- zione in conseguenza dello sciopero generale della prima settimana di marzo. » A. Fagioli, Partigiano a 15 anni, Edizioni Alfa, Firenze 1984, p. 198.

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