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LINGUISTICA E FILOSOFIA

DEL LINGUAGGIO
STUDI IN ONORE
DI DANIELE GAMBARARA

MIMESIS / SEMIOTICA E FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO


LINGUISTICA E FILOSOFIA
DEL LINGUAGGIO
Studi in onore di Daniele Gambarara
a cura di
M. W. Bruno, D. Chiricò, F. Cimatti, G. Cosenza,
A. De Marco, E. Fadda, G. Lo Feudo, M. Mazzeo, C. Stancati

MIMESIS
Volume pubblicato con un contributo del Dipartimento di Studi Umanistici
dell’Università della Calabria

MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)


www.mimesisedizioni.it
mimesis@mimesisedizioni.it

Collana: Semiotica e filosofia del linguaggio, n. 20


Isbn: 9788857547985

© 2018 – MIM EDIZIONI SRL


Via Monfalcone, 17/19 – 20099
Sesto San Giovanni (MI)
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INDICE

Per discutere ancora insieme a daniele 11

Pubblicazioni di daniele Gambarara 13

il seGno zero, saussure, bally e Gli altri (Gauthiot e Jakobson).


una nota
Federico Albano Leoni 33

attualità del metodo storico-Genetico


Francesco Aqueci 47

la nozione di abitudine nelle riflessioni linGuistiche


di ferdinand de saussure
Grazia Basile 57

saussure et Proust face aux effets du temPs:


quand les « intermittences du cœur » éclairent l’évolution
de la déclinaison latine
Marie-José Béguelin 71

obJet et statut Possibles d’une linGuistique diachronique


Jean-Paul Bronckart 87

Polemos e fiction. il testo asociale di roland barthes


Marcello Walter Bruno 99

la nature PraxéoloGique du lanGaGe: aPPorts d’euGenio coseriu


Ecaterina Bulea Bronckart 111

fascisti malGrado noi. tutta colPa della linGua?


Donata Chiricò 125
dentro la linGua, sotto la loGica. storia e fortuna del concetto
di “subloGica”
Lorenzo Cigana 133

il brusio della linGua. saussure (chomsky) e lacan


Felice Cimatti 149

dalla biblioteca di saussure alla sala di ricerca tullio de mauro:


le oPere di consultazione tra teoria e Pratica scientifica
Giuseppe Cosenza 159

i seGnali discorsivi nel contatto linGuistico: il caso di allora


Anna De Marco 173

il Parlante come “uomo totale”


Marina De Palo 185

«Sīmantini, di chi Sei la SpoSa ?»


Giuseppe D’Ottavi 199

sentimento, Prassi e Prodotto sociale. résumé di una teoria


delle istituzioni (Post-)saussuriana
Emanuele Fadda 213

«lorsque l’on Parle de ‘faute’ que veut-on dire Par là?»


Claire A. Forel 225

kant e la questione del contenuto non-concettuale nella


critica della facoltà del Giudizio
Luca Forgione 237

creatività e oriGini della semiosi umana


David Gargani 251

a ProPosito di zoosemiotica: l’ inizio della storia


Stefano Gensini 263

ferdinand de saussure (e la filosofia del linGuaGGio)


al temPo del web 3.0
Elisabetta Gola 283
from saussure to rask: the curious traJectory of louis hJelmslev
John E. Joseph 295

se l’enunciatore non Parla. note sulla nozione ducrotiana


di «Punto di vista»
Francesco La Mantia 307

reale e virtuale tra Percezione e comunicazione. alcune brevi


considerazioni
Giorgio Lo Feudo 321

dire l’indicibile. dante, wittGenstein, lucrezio


Franco Lo Piparo 331

breve nota sul termine e la nozione di “simbolo” in saussure


Giovanni Manetti 335

ancora sulla datazione di Phonétique


Maria Pia Marchese 355

“Giurai con la linGua, non con la mente”: iPPolito e il Pirata


Marco Mazzeo 363

PrinciPio di cooPerazione, razionalità arGomentativa, felicità


Marco Mazzone 375

Problemi metodoloGici nella filoloGia saussuriana.


l’aPPorto delle raPPresentazioni semantiche dell’informazione
Francesca Murano 387

bioloGia del falso. cateGorie Per lo studio della “viralità”


nel linGuaGGio Politico
Raffaella Petrilli 397

semioloGia saussuriana e semiotica della traduzione


Susan Petrilli 415

la linGuistica di saussure Prima dei suoi corsi di linGuistica


Generale. Gli écrits de linGuistique Générale
Augusto Ponzio 429
questioni di forma
Massimo Prampolini 437

alle oriGini della filosofia del linGuaGGio: una ProsPettiva eterodossa


Mauro Serra 447

la PluPart des linGuistes font de la PhiloloGie: le cas italien


Claudia Stancati 459

sulla lettura e la scrittura: ciò che benveniste ha letto in saussure,


e ciò che non ha letto
Pierre-Yves Testenoire 475

«l’inconscient saussurien». a ProPos d’une dissolution bilatérale


Anne-Gaëlle Toutain 491

il cramPo aGostiniano sul temPo secondo wittGenstein


Sebastiano Vecchio 503

l’oGGetto di una nuova scienza: condizioni ePistemoloGiche


della linGuistica educativa
Massimo Vedovelli 511

le triomPhe du structuralisme et le triomPhe du cours


de linGuistique Générale en urss dans les années 1950-1960
Ekaterina Velmezova 525

cartesio e il PriGioniero
Paolo Virno 535
francesco la mantia*1

SE L’ENUNCIATORE NON PARLA


NOTE SULLA NOZIONE DUCROTIANA
DI «PUNTO DI VISTA»

0. La nozione di «punto di vista» (d’ora in poi pdv) è un costrutto teori-


co che appartiene al codice formulare di discipline differenti: narratologia,
teorie dell’enunciazione, analisi del discorso (cfr. Nonnon, 1996). Sarebbe
interessante procedere a un raffronto sistematico degli usi di pdv codificati
all’interno di ciascun dominio. Da un esame dei diversi impieghi emerge-
rebbero informazioni preziose sia sullo statuto epistemologico del costrutto
sia sui rapporti che ne hanno permesso la transizione da una cornice teorica
all’altra. Tuttavia, gli obiettivi di questo lavoro sono più modesti. Si prove-
ranno a definire solo tre usi di pdv previsti da quel ramo delle teorie dell’e-
nunciazione che si è sviluppato grazie ai lavori di Oswald Ducrot. La scelta
è motivata da una ragione fondamentale: a partire dalla prima metà degli
anni ottanta del secolo scorso, il laboratorio della linguistica ducrotiana (o
LED) ha costituito un punto di riferimento costante per quasi tutti i program-
mi di ricerca che si sono misurati con pdv. Dalla narratologia enunciativa
(cfr. Rivara, 2000) alla semantica dei punti di vista (cfr. Raccah, 2000), dalle
pragmatiche enunciative (cfr. Patron, 2011) ai dialogismi di più varia pro-
venienza (cfr. Birkelund et alii, 2008), LED ha rappresentato una fonte di
ispirazione per moltissimi Autori, che, spesso nel dissenso, hanno sviluppa-
to nuove versioni del costrutto. Un’analisi sistematica di pdv che non fosse
preceduta da un chiarimento preliminare dell’apparato ducrotiano sarebbe
esposta al rischio di parecchie opacità. Ecco perché le note seguenti mireran-
no a un’analisi di pdv che abbia LED come campo esclusivo di indagine. Nel
rispetto dei vincoli metodologici delineati, si tenterà di abbozzare un ritratto
del costrutto che possa fungere da punto di partenza per ricerche future. In
particolare, verranno messi a fuoco tre concetti, ciascuno corrispondente a
un uso specifico di pdv: a) «contenuti proposizionali»; b) «discorsi virtuali»;
c) «rappresentazioni possibili». Nelle conclusioni, dopo un riepilogo delle

* Università di Palermo, la_mantiafrancesco@hotmail.com


308 Linguistica e filosofia del linguaggio

principali questioni, si argomenterà a sostegno dell’ipotesi secondo cui pdv


è soggetto in LED a numerose fluttuazioni di significato. Da qui un aspetto
altamente problematico: nonostante i tentativi di chiarificazione compiuti
nell’arco di oltre vent’anni, il programma di ricerca non sembra aver rag-
giunto un grado di maturità sufficiente per garantire una determinazione
univoca di pdv.

1. Per cominciare, un esempio: «No, Francia e Germania non sono in


competizione» [1]. Da un simile enunciato è possibile risalire a due opinio-
ni antagoniste. Per via della negazione, cioè, l’opinione secondo cui «Fran-
cia e Germania sono in competizione» richiama l’opinione opposta. Si dirà
allora che [1] è un caso esemplare di enunciato polifonico. Con polifonia (o
poliscopia), LED intende riferirsi a quella singolare proprietà di linguaggio
per cui è possibile reperire nei testi o negli enunciati di una lingua qualsiasi
le tracce di «micro-dialoghi» tra unità di contenuto differenti. Simili unità
costituiscono l’universo di riferimento principale di pdv. Più in dettaglio,
LED adopera pdv in almeno due contesti: nella definizione di «enunciazio-
ne» e nella descrizione dei rapporti tra «locutori» ed «enunciatori». In un
caso, la nozione è funzionale a una metafora teatrale: l’enunciazione è pre-
sentata come «messa in scena» di pdv differenti (cfr. Ducrot, 1998, p. 27).
Nell’altro, supporta una distinzione formale: «locutori» ed «enunciatori»
sono presentati come quei ruoli semiotici (o «esseri di discorso») che iden-
tificano, rispettivamente, i «responsabili» dell’enunciazione e i «responsa-
bili» dei pdv espressi dall’enunciazione. Così a partire da [1] sarà possibile
identificare un locutore (chi risponde di quanto detto) e due «enunciatori»
(chi risponde dei pdv messi in scena in [1]). Le istanze differiscono rispet-
to a un dettaglio fondamentale: i primi «parlano» nel senso materiale del
termine; i secondi, no: «gli enunciatori non parlano» (cfr. Ducrot, 2001, p.
3). Per dirla con Dendale & Coltier (2006, p. 276): «Il locutore si definisce
rispetto all’occorrenza di parole. […] Gli enunciatori non si definiscono
rispetto all’occorrenza di parole».1 Sulla scia di Rabatel 2008, si può os-
servare che la distinzione proposta non è perspicua – e che la mancanza di
chiarezza sia da imputare principalmente a pdv. Se vi è un senso per cui
l’enunciazione esprime qualcosa senza che ciò comporti dei proferimenti
verbali, esso va ricercato in quel che pdv rappresenta per LED. Vi è solo un
problema: «Ducrot non dice nulla sul contenuto del punto di vista in quanto
tale» (cfr. Rabatel, 2003, p. 11). Non è difficile però disporre di un identikit

1 Grassetti e corsivi nel testo.


F. La Mantia - Se l’enunciatore non parla 309

provvisorio della nozione. Pur non elaborando una definizione formale di


pdv, l’Autore dissemina nei testi prodotti un certo numero di tracce che
permettono di delineare un primo ritratto metalinguistico della categoria.
A mio avviso, un buon punto di partenza è costituito da una serie di an-
notazioni ducrotiane sulla negazione. Mi riferisco alle pagine sui cosiddetti
«fenomeni di polarità negativa» (cfr. Ducrot, 1984, pp. 218 e sqq.). A scopo
di esemplificazione, Ducrot ricorda che esistono locuzioni che occorrono solo
nel contesto di «enunciati morfologicamente o semanticamente negativi». Per
esempio, «fare granché» in «Piero non ha fatto granché». Il rilievo, pur cen-
trato su un contesto locale, ha portata generale e prelude alla determinazione
di una caratteristica peculiare di pdv. Se, per un verso, esso mira a chiarire una
specificità formale delle polarità negative, per un altro è parte integrante di
osservazioni che delucidano un aspetto fondamentale della nozione, e cioè di
riferirsi a «unità di contenuto astratte». Lo spunto per il chiarimento è offerto
dal caso specifico. Una proprietà degli enunciati in cui ricorrono locuzioni si-
mili è di non avere come controparte enunciati affermativi equivalenti. L’Au-
tore osserva che questa peculiarità non costituisce affatto un contro-esempio
all’ipotesi secondo cui dalla maggior parte degli enunciati negativi sia pos-
sibile risalire a un’affermazione soggiacente. Basta accordarsi sul formato
dell’affermazione. Se, di certo, essa non è identificabile con una sequenza di
parole – poiché «fare granché» ricorre solo nel contesto di enunciati negativi
– dall’altro, però, nulla vieta di ricondurla a unità di contenuto prive di forma
specifica. Nel lessico dei logici: a «contenuti proposizionali»; anzi, parafra-
sando Rabatel (2008, p. 49 n.2), a «embrioni di contenuto proposizionale».
Ebbene, il passo che porta a riconoscere tanti pdv in simili «embrioni proposi-
zionali» è brevissimo. Non a caso, l’Autore ne discute in termini di contenuti
i cui responsabili, nell’ottica di LED, non sono locutori, ma enunciatori:

Sappiamo che, in un gran numero di lingue, certe espressioni non posso-


no essere inserite in un enunciato affermativo, bensì soltanto in un enunciato
morfologicamente o semanticamente negativo. […] Fatti simili sembrano met-
tere in crisi la mia descrizione della negazione polemica, che porta a leggere
un’affermazione sotto la negazione. In effetti, l’affermazione soggiacente all’e-
nunciato «Piero non ha fatto granché» non costituisce un enunciato francese
possibile. Tuttavia, ci si accorge subito […] che l’obiezione non va a segno
– nella misura in cui l’elemento positivo da me dichiarato soggiacente all’e-
nunciato negativo non è un enunciato (vale a dire una successione di parole),
imputabile a un locutore, bensì un atteggiamento, una posizione assunta da un
enunciatore rispetto a un certo contenuto, ossia rispetto a un’entità semantica
astratta. Quando parlo di una proposizione soggiacente a «Piero non ha fatto
granché», non intendo una proposizione grammaticale, bensì una proposizione
310 Linguistica e filosofia del linguaggio

nel senso logico, cioè un oggetto di pensiero, un’opinione secondo cui Piero ha
fatto invece molto. (Ducrot, 1984, pp. 218-219)

Dendale & Coltier (2006, p. 277) riassumono eccellentemente questo


primo aspetto della nozione:

la nozione di punto di vista (d’ora in poi, pdv) [è] spesso associata da Ducrot
a quelle di posizione e di atteggiamento. […] Un pdv per Ducrot non è un enun-
ciato nel senso di una «successione di parole» […] bensì esso è una «proposi-
zione nel senso logico», «un’entità semantica astratta» – non necessariamente
legata dunque a un significante.2

Fin qui Ducrot (1984). Un altro importante contributo alla descrizione di


pdv è offerto da Ducrot (2001).

2. Questo saggio propone un ritratto metalinguistico di pdv diverso da


quello elaborato in Ducrot (1984). Le ragioni all’origine di un mutamento
simile sono evidenti: buona parte delle osservazioni enucleate è il frutto di
revisioni avviate da LED in risposta alle obiezioni di programmi di ricerca
rivali – tra cui la Teoria Scandinava della Polifonia Linguistica (o ScaPo-
Line). Un cenno alle circostanze del cambiamento prospettico è reperibile
in Nolke (2009, p. 13): «[…] l’articolo del 2001 […] è stato redatto come
risposta all’approccio scandinavo (ScaPoLine)». Tuttavia, il dettaglio so-
ciologico è molto povero. Il dibattito tra LED e ScaPoLine nel merito di
pdv copre una rete di concetti fittissima. Per quanto ricostruire le fasi che
ne hanno scandito la genesi non rientri tra gli obiettivi di questo paragrafo,
potrebbe essere utile disporre di alcune informazioni di sfondo.
Anzitutto, però, è necessario chiarire le difformità principali tra i due
ritratti metalinguistici. La più profonda interessa l’universo di riferimento
di pdv. Per Ducrot (1984, pp. 218-219), esso consta di «proposizioni» (cfr.
§ 1). Per Ducrot (2001, p. 14), di «prese di parola virtuali» (paroles virtuel-
les). Il divario tra le due versioni è radicale. Il minimo che si possa dire di
una proposizione («nel senso logico del termine») è che essa (1) soddisfa
certe «condizioni di verità» e che (2) «non è fatta di parole» (cfr. Russell,
1903 [2005], p. 48). Il primo rilievo, tutto sommato, potrebbe coesistere
con gli assunti di Ducrot (2001); il secondo, invece, se integrato, porrebbe
seri problemi di coerenza all’impianto generale dell’opera.

2 Corsivi nel testo.


F. La Mantia - Se l’enunciatore non parla 311

Sebbene sfuggente e mal definita, la nozione di «presa di parola virtua-


le» presenta, nel resoconto dell’Autore, un aspetto assolutamente incom-
patibile con la caratterizzazione prescelta delle proposizioni logiche. Se
queste ultime sono «astratte», ossia indipendenti da qualsiasi «significan-
te», le «prese di parola virtuali», invece, sono unità di contenuto disponibili
a «costituirsi» in forma di testi o enunciati – ove, per inciso, nessuna delle
unità preesiste al processo che la informa. A tal proposito, è indicativo che
Ducrot (2001) introduca una differenza fondamentale: quella tra «esprime-
re» e «costituire» contenuti. L’enunciazione «esprime» contenuti nel senso
di manifestarli – ossia, come suggerisce l’etimo, di portarli in superficie.
Al contrario, essa li «costituisce» nel senso di «porli in essere» (o «farli
sussistere») nella forma di testi o enunciati. Se, in un caso, quanto espresso
esiste indipendentemente dal processo che lo manifesta; nell’altro, inve-
ce, quanto costituito esiste solo nel contesto del processo costituente. La
divergenza principale tra Ducrot (1984) e Ducrot (2001) è che il secondo
prevede come unica modalità operativa dell’enunciazione la «costituzio-
ne» di unità di contenuto – le quali sono nel contempo unità di forma. Per
converso, i pdv di Ducrot (1984) sono esclusivamente unità di contenuto.
Insomma, sono «espressi» (cfr. Carel, Ducrot, 2009, p. 36) (e non «costitui-
ti») dall’enunciazione. Da qui il mutamento radicale di prospettiva su PDV.

3. Tuttavia, contributi più recenti di LED, tra cui Carel & Ducrot (2009),
hanno accantonato buona parte dei propositi originari di Ducrot (2001).
Anzi, ad una prima analisi, si può dire che abbiano avviato una ripresa
ragionata delle tesi di Ducrot (1984). Sebbene superficiale, il dettaglio so-
ciologico gioca, sotto questo aspetto, un ruolo fondamentale.
La scelta di identificare l’universo di riferimento di pdv con la sfera dei
«discorsi virtuali» non ha avuto eco in lavori successivi di LED perché
probabilmente legata a necessità contingenti. Nel paragrafo precedente, ho
accennato alle rivalità di LED e ScaPoLine nel merito di alcuni concetti.
Rivalità simili hanno, se non determinato, certamente accompagnato l’in-
sorgenza di mutamenti radicali di LED; non ultimi, quelli relativi al ritratto
metalinguistico di pdv. Per ammissione non solo di LED, ma anche di Sca-
PoLine, all’origine del cambiamento vi sarebbe un disaccordo di fondo sul
ruolo da attribuire all’«enunciatore». Va rilevato che il medesimo problema
è avvertito da Carel & Ducrot (2009). In questo contesto, però, ogni riferi-
mento esplicito a ScaPoLine è stato eliminato. Pur non conoscendo le ragioni
dell’omissione, sono del parere che si tratti di un fatto quanto meno sospetto.
312 Linguistica e filosofia del linguaggio

Secondo ScaPoLine, quella dell’«enunciatore» è un’istanza superflua,


vale a dire «una complicazione inutile dal punto di vista dell’economia del
sistema» (cfr. Nolke, 2001a, p. 17). LED (nella versione di Ducrot, 2001)
chiarisce nitidamente il rilievo critico. Per Nolke e i suoi epigoni – osserva
l’Autore – l’«enunciatore» può essere scaricato a vantaggio di altri «esseri
di discorso», tra cui il cosiddetto «locutore dell’enunciato»: «la ScaPoLi-
ne associa [i punti di vista] direttamente al locutore dell’enunciato» (cfr.
Ducrot, 2001, p. 13).3 Il riferimento ai «discorsi virtuali» segue immedia-
tamente l’osservazione. Poche righe dopo leggiamo dell’accostamento tra
questo genere di discorsi e pdv. Ma, contrariamente a quanto ci si potrebbe
aspettare, l’istanza chiamata in causa come supporto dei «discorsi virtuali»
non è il «locutore dell’enunciato» (assimilabile, dal canto suo, al «locu-
tore» di LED) (cfr. Nolke, 2001a, p. 17; Nolke, Flottum, Norén, 2005, p.
25), bensì un altro «essere di discorso» previsto da ScaPoLine: il «locutore
virtuale». Al riguardo, è affermato che «In questa prospettiva, che effetti-
vamente è la mia, è a un locutore (virtuale) che bisogna attribuirlo» (cfr.
Ducrot, 2001, p. 14).
Nel lessico di Nolke (2001a: 25 n. 10), la locuzione «locutore virtuale»
designa un ruolo che identifica il responsabile «potenziale» di un’enuncia-
zione possibile: «Un locutore virtuale ha tutte le proprietà di un locutore
autentico, solo che non se ne serve». Il passo, di per sé interessante, prelude
a una concessione nei confronti di ScaPoLine ancor più profonda. Dopo
aver accennato a questa figura peculiare della scuola scandinava, l’Autore è
disposto a riconoscere che lo statuto epistemologico dell’«enunciatore», se
confrontato con altri ruoli enunciativi, risulta fragilissimo. Si tratterebbe di
un «personaggio fantomatico» (cfr. Ducrot, 2001, p. 14). Tuttavia, la con-
cessione, sebbene considerevole, è provvisoria e pone, in realtà, le condizio-
ni per una riabilitazione parziale del ruolo appena liquidato. In particolare,
il recupero dell’«enunciatore» passa attraverso un’analisi approfondita della
sfera verbale. Al fine di reintegrarne le funzionalità specifiche nell’apparato
metalinguistico di LED, Ducrot (ibid.) distingue per le parole due funzioni.
Una, è «perlocutiva»; l’altra, «prospettica» – o «rappresentaziona-
le». La prima spetta ai responsabili effettivi dell’enunciazione: dunque,
ai «locutori». La seconda, invece, è prerogativa degli «enunciatori». A
un’analisi superficiale, la distinzione potrebbe suggerire una forma di
dualismo. In effetti, si potrebbe supporre che, per Ducrot (2001), fun-
zione prospettica e funzione perlocutiva delle parole siano separate. Ma

3 Integrazione tra parentesi quadre nostra.


F. La Mantia - Se l’enunciatore non parla 313

i dualismi, in questa fase particolare dello sviluppo storico di LED, sono


estranei allo spirito dello studioso.
Per l’Autore, semmai, si tratta di associare a funzioni correlate dell’at-
tività di parola ruoli enunciativi specifici, su cui identificare tipi di re-
sponsabilità differenti. La funzione perlocutiva è assegnata al «locutore»
perché la possibilità di agire linguisticamente sull’allocutario spetta al re-
sponsabile giuridico, oltre che empirico, dell’enunciazione. Al contrario, la
funzione prospettica è assegnata all’«enunciatore» perché la possibilità di
presentare (o «vedere») la realtà attraverso le parole spetta ai responsabili
giuridici di pdv costituiti dall’enunciazione (e detti «rappresentazioni). La
«polifonia» – in questo caso, «poliscopia» (Brès, Nowakowaska, 2007, p.
118) – dell’attività di linguaggio è il risultato dell’«articolazione» di tali
istanze e delle responsabilità correlate:

Per le parole occorre distinguere due funzioni possibili. Una è di costituire


una rappresentazione per così dire linguistica della realtà – che è quella nella
quale viviamo e a cui si riferiscono i deittici come gli anaforici (da notare che
ho detto “costituire” e non “esprimere” una rappresentazione ritenuta anterio-
re e caratterizzata come “mentale”). Sono rappresentazioni del genere che io
assegno agli enunciatori: essi non fanno che “vedere” le cose, ma lo fanno
attraverso le parole. La seconda funzione possibile delle parole è l’attività di
comunicazione, attività che consiste nell’agire sugli allocutari tramite i discorsi
che gli si rivolge. È questa seconda funzione che, per me, spetta al locutore e
che costui assolve assumendo una posizione rispetto alle rappresentazioni che
costituiscono i “discorsi” degli enunciatori. (Ducrot, 2001, p. 14)

4. Vi è da supporre che le espressioni «discorso virtuale» e «rappresen-


tazione» siano equivalenti. Altrimenti, le scelte di Ducrot (2001) sarebbero
incomprensibili. Ma, pur accettando l’equivalenza, il progetto di LED resta
esposto al rischio di opacità. Se diamo per buone le affinità tra «discorsi
virtuali» e «rappresentazioni (linguistiche)», le differenze tra «locutore vir-
tuale» ed «enunciatore» si assottigliano notevolmente. Così, il proposito di
salvaguardare le peculiarità formali dell’ultima istanza risulta quantomeno
problematico. Eppure, se c’è una costante nel cammino teorico di LED,
questa è rappresentata dal fermo intento di conservare le peculiarità me-
talinguistiche dell’«enunciatore». Al riguardo, le osservazioni di Carel &
Ducrot (2009) confermano le tendenze generali del programma di ricerca.
Tuttavia, il saggio, che pure aspira, sin dal titolo, a presentarsi come un
lavoro di sistematizzazione e messa in chiaro delle tesi principali di LED,
rende ancor più difficoltoso il raggiungimento dell’obiettivo program-
314 Linguistica e filosofia del linguaggio

matico. Le cause del peggioramento sono ancora da ricondurre al ritratto


metalinguistico di pdv. Secondo gli Autori, l’universo di riferimento della
categoria è fatto di «rappresentazioni possibili». L’«enunciatore» è perciò
identificato nel ruolo di «responsabile» di tali rappresentazioni (o «conte-
nuti») – e prende il nome di «Persona». Questo è quanto si può ricavare da
alcuni passi del saggio:
L’enunciato secondo il critico del Mondo, l’ultimo film di Woody Allen è un
totale fallimento presenterebbe così un «punto di vista» su una situazione (l’ul-
timo W. Allen) che potrebbe essere vista sotto altri mille modi. Ora, chi dice
«punto di vista» nel senso che abbiamo appena dato all’espressione, quello di
rappresentazione possibile, presuppone, nello stesso tempo un «angolo visivo»
(angle de vue) – il che rimanda a un’altra accezione, difficilmente distinguibile
dalla prima, dell’espressione del linguaggio ordinario «punto di vista». (Carel,
Ducrot, 2009, p. 40)

[…] ci basterà […] dichiarare l’enunciatore «responsabile» del contenuto


[…] (ivi, p. 39). ciò che conta sotto il profilo semantico [è] […] la maniera
particolare nella quale essi (scil. gli enunciatori) assolvono il ruolo generale
che gli è conferito. Consideriamo tale ruolo come quello di garanti e chiamere-
mo «Persone» il tipo di garante a cui si è fatto ricorso (d’ora in poi, il termine
«Persona» rimpiazzerà, almeno in questo saggio, quello di enunciatore o re-
sponsabile). (ivi, p. 42)4

Tuttavia, l’espressione «rappresentazione possibile» è ambigua. L’ag-


gettivo non dà informazioni sufficienti per stabilire a quale entità il vo-
cabolo alluda. Né il testo nel suo complesso offre al riguardo occasioni
significative di chiarimento. Dunque, in linea di principio, tutte le inter-
pretazioni sono legittime. Per «rappresentazione possibile», gli Autori
potrebbero intendere qualcosa di affine a una «rappresentazione menta-
le» – e con ciò riferirsi a una sorta di entità cognitiva preverbale. Ma
quest’ipotesi va scartata perché in netto contrasto con uno dei presuppo-
sti non negoziabili di LED. Da Ducrot (2001, p. 14) apprendiamo infatti
che le «rappresentazioni mentali» non sono ammesse nell’universo di
riferimento di pdv. Il rifiuto è motivato dall’Autore tramite l’adesione
a uno dei princìpi fondamentali dello strutturalismo linguistico, secon-
do cui tutto ciò che attiene alla sfera della lingua va spiegato in termi-
ni esclusivamente linguistici. Il ricorso alle «rappresentazioni mentali»
(oggetti misteriosi ed «indefinibili», secondo l’Autore) costituirebbe, nel
caso particolare, una violazione palese del principio:

4 Integrazione tra parentesi quadre nostra.


F. La Mantia - Se l’enunciatore non parla 315

Tuttavia, e con ragione, non prendo in carico alcuna nozione di rappresen-


tazione mentale, che trovo perfettamente indefinibile, e che sembra chiara solo
fino a quando non si pongono le domande giuste sul suo conto. Inoltre, lo strut-
turalismo a cui aderisco mi proibisce di descrivere la lingua tramite entità che
si suppone siano extra-linguistiche. Dunque, sarebbe incoerente, da parte mia,
giustificare i miei “enunciatori” tramite l’esistenza di “pensieri” soggiacenti al
discorso.

Pertanto, a meno di mutamenti radicali di prospettiva, è improbabile


che gli Autori riconducano pdv a una sfera particolare della cognizione
preverbale. Si potrebbe allora ripiegare sull’ipotesi dei «discorsi virtuali»
e supporre che Carel & Ducrot (2009) intendano per «rappresentazione
possibile» qualcosa di affine a una «rappresentazione linguistica» nel sen-
so di Ducrot (2001). Neanche quest’ipotesi però sembra convincente. In
primo luogo, perché i pochi dettagli disponibili non suggeriscono nulla di
simile. In secondo luogo, perché l’adozione dell’ipotesi avrebbe ricadute
sull’«enunciatore» analoghe a quelle già evidenziate nel contesto di Du-
crot (2001). Ma le complicazioni non finiscono qui. L’«enunciatore» (o
«Persona») è presentato da Carel & Ducrot (2009) come quel «ruolo» che
identifica il responsabile di taluni «contenuti» – o, al più, come «una certa
maniera di garantire quanto detto (le dit)» (Carel, Ducrot, 2009, p. 43).
Ebbene, se il riferimento ai «contenuti» è sufficientemente generico per in-
cludervi i cenni che gli Autori riservano all’ambito delle «rappresentazioni
possibili», il riferimento conclusivo alla sfera del «detto» impone una serie
di restrizioni che modificano radicalmente lo spettro delle interpretazioni
disponibili. Le ragioni di tutto ciò sono complesse. Non a caso, nell’ultima
indicazione, vi sono almeno un paio di dettagli che riconfigurano l’assetto
generale di LED.
Il primo riguarda ciò di cui l’«enunciatore» sarebbe responsabile (o «ga-
rante»). Se si trattasse effettivamente della sfera del «detto», le alternati-
ve sarebbero soltanto due: o l’«enunciatore» non è più il responsabile di
pdv – ma questo contraddirebbe uno dei capisaldi fondamentali di LED, e,
non ultimo, il proposito degli Autori di mantenerne ruolo e tratti peculiari;
oppure, nell’ottica di Carel & Ducrot (2009), l’universo di riferimento di
pdv consta principalmente di «discorsi effettivi». Nonostante anche l’ulti-
ma opzione comporti dei problemi, sarei propenso ad accoglierla, o per-
lomeno ad accordarle una certa legittimità. Quanto al secondo dettaglio,
invece, esso interessa direttamente l’istanza dell’«enunciatore». Se questa
si risolve in «una certa maniera di garantire quanto detto» – o, nel verso op-
posto, «di confutarlo» (ibid.); allora il termine «enunciatore» non designa
un ruolo, i.e. un «posto vuoto», ma una serie di scelte lessicali, prosodiche,
316 Linguistica e filosofia del linguaggio

modali, deittiche e anaforiche che permettono di risalire a «un certo modo


di parlare» (ivi, p. 42). Anzi, nel lessico di Lescano (2009), a un «tono»
(Carel, Ducrot, 2009, p. 42). Tendenzialmente sarei portato a prediligere
la prima interpretazione del vocabolo. Ritengo infatti che assimilare gli
«esseri di discorso» a «posti vuoti» sia il modo più corretto di introdur-
re tanto l’istanza del locutore quanto quella dell’enunciatore. Tuttavia, le
preoccupazioni che affliggono Carel & Ducrot (2009) sono di ben altro
tenore. Per gli Autori, ciò che potrebbe viziare lo statuto metodologico del-
l’«enunciatore» non è il rischio di essere scambiato per una sorta di fan-
tomatica entità immateriale, bensì di essere ricondotto a un «individuo»,
ossia a un’entità «di tipo referenziale» (ivi, p. 43).
Dal canto mio, credo che l’assimilazione dell’«enunciatore» a un «posto
vuoto» possa costituire di per sé un ottimo rimedio anche per questo genere
di inconvenienti. In particolare, essa garantisce la possibilità distinguere gli
«individui» dai «ruoli funzionali» che incarnano. Orbene, una distinzione
simile, a mio avviso, è del tutto conforme ai desiderata epistemologici
di Carel & Ducrot (2009). Gli Autori pensano infatti l’«enunciatore» nei
termini di un «ruolo» di qualche tipo – e un ruolo è senz’altro associabile
a un «posto vuoto».
Ma, a una lettura più approfondita del saggio, emergono almeno un paio
di aspetti che ridimensionano la portata di quest’intuizione: (1) la metafora
logica del «posto vuoto» non è immune da derive referenziali nel senso di
Carel & Ducrot (2009); (2) l’idea di «tono» permette di salvaguardare le
peculiarità formali dell’«enunciatore».
I due aspetti sono intrecciati. Un «posto vuoto» non è certo un «indivi-
duo». Tuttavia, è qualcosa che si definisce in funzione dei suoi «riempi-
menti» – ossia rispetto agli individui (reali o immaginari) in grado di satu-
rarlo. Dunque, se per l’«enunciatore» occorre evitare qualsiasi «allusione
agli individui» (ibid.), l’immagine del «posto vuoto» è da scartare perché
senza dubbio compromessa sotto quest’aspetto. Un posto vuoto evoca
sempre «individui» – foss’anche nella forma della loro «assenza».
Ben più riuscito invece è l’accostamento al «tono». Stando a Lescano
(2009, p. 47), il vocabolo designa «la maniera di presentazione del conte-
nuto» enunciativo. La terminologia, che – per ammissione di Ducrot (2010,
p. 171) – risente vagamente di certe ascendenze fregeane, allude all’insie-
me di vincoli formali che costituiscono una certa «postura enunciativa»
(cfr. Lescano, 2009, p. 48). Insomma, per riprendere i termini di Carel &
Ducrot (2009), il «tono» equivale a «una certa maniera di parlare». Ebbene,
che l’«enunciatore» coincida, in ultima analisi, con qualcosa del genere, è
un fatto vantaggioso per LED. Lungi dal ridursi a una sorta di variante del
F. La Mantia - Se l’enunciatore non parla 317

«locutore», l’istanza dell’«enunciatore» risulta, per così dire, disseminata


nelle varietà di «tracce» che costituiscono il senso degli enunciati – e dalle
quali è possibile identificare l’«orientamento argomentativo» (cfr. Torde-
sillas, 2016, p. 15) dei discorsi che li inanellano. Ora, a meno di un simile
accorgimento formale, il rischio di una riduzione al «locutore» sarebbe
molto alto. Vorrei ricordare che, nella versione di Ducrot (1984), il «lo-
cutore» è quel «ruolo enunciativo» che identifica il responsabile giuridico
dell’enunciazione, ossia l’istanza che risponde di quanto detto. Pertanto,
se si fosse disposti effettivamente a identificare l’universo di riferimento
di pdv con la sfera di «quanto detto», l’«enunciatore» sarebbe destinato a
collassare sul «locutore». Ma le scelte di Carel & Ducrot (2009) evitano,
per le ragioni esposte, un rischio simile. Da qui la possibilità di conservare
le specificità formali dell’«enunciatore». Bisogna però intendersi. In effet-
ti, nelle tappe intermedie che portano da Ducrot (1984) a Ducrot (2010), il
ritratto metalinguistico dell’«enunciatore» muta più volte. Dunque, sotto
questo profilo, è azzardato asserire che LED ne conservi le peculiarità. Il
rilievo però non costituisce un’obiezione. Nonostante le variazioni, l’istan-
za dell’«enunciatore» rimane uguale a sé stessa rispetto alle differenze che
la separano dal «locutore».
Quando parlo di «costanti» nello sviluppo ondivago di LED, intendo
riferirmi a casi simili – ove, nello specifico, l’invarianza è attestata dalle
differenze macroscopiche tra un’istanza e l’altra. Resta il fatto però che le
problematicità rilevate interessano principalmente le variazioni a cui è sog-
getto il programma di ricerca. Nel caso dell’«enunciatore», quelle indotte
dai diversi formati di pdv.

5. La ricognizione effettuata ha permesso di isolare almeno tre versioni


di pdv. Per ognuna è stato identificato un universo di riferimento corrispon-
dente: 1) i «contenuti proposizionali» (cfr. Ducrot, 1984); 2) i «discorsi vir-
tuali» (cfr. Ducrot, 2001); le «rappresentazioni possibili» (cfr. Carel & Du-
crot, 2009). Di conseguenza, il campo di azione dell’«enunciatore», istanza
associata comunemente a pdv, è mutato rispetto agli universi individuati. La
trasformazione più radicale però è avvenuta in Carel & Ducrot (2009). Gli
Autori hanno apportato delle modifiche sostanziali al ritratto metalinguisti-
co dell’«enunciatore». Per evitare il rischio di ridurre l’istanza a individui (o
«entità referenziali») di qualche tipo, si è scelto di descriverne le proprietà
formali nei termini di «maniere di parlare», ossia come «modi di garantire
o confutare quanto detto». La descrizione ha avuto ricadute notevoli sia
sulle forme di codifica dell’«enunciatore» sia sull’universo di riferimento
318 Linguistica e filosofia del linguaggio

di pdv. Quanto al primo aspetto, la presentazione dell’«enunciatore» come


«modo di garantire o confutare quanto detto» ha comportato l’identifica-
zione di tale istanza con una varietà di vincoli formali che costituiscono un
«tono» nel senso di Lescano (2009). Quanto al secondo, invece, le allusioni
alla sfera «del detto» hanno implicato per pdv un nuovo universo di riferi-
mento costituito, presumibilmente, dalla totalità dei «discorsi pronunciati».
Ho osservato che l’accostamento suggerito è di per sé problematico, perché
fonte probabile di assimilazioni che paiono compromettere le differenze
macroscopiche tra «locutore» ed «enunciatore». D’altra parte, credo di aver
mostrato che l’identificazione dell’«enunciatore» con una serie di vincoli
formali attenui il rischio paventato. Ad ogni modo, l’ultima versione di pdv
conferma un aspetto di LED altamente problematico: nonostante i tentativi
di chiarificazione compiuti nell’arco di oltre vent’anni, il programma di ri-
cerca non sembra aver raggiunto un grado di maturità sufficiente per garan-
tire l’elaborazione di categorie metalinguistiche univoche. A tal proposito,
il caso di pdv è emblematico. Il costrutto offre un esempio di entità metalin-
guistica soggetta a variazioni di significato profonde, che si accompagnano
spesso a rimaneggiamenti sensibili dell’apparato concettuale complessivo
del programma. Una parte significativa di simili modifiche interessa le in-
tersezioni tra pdv e un’altra categoria metalinguistica di LED: la voce. Ma
questa è un’altra storia.

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Finito di stampare
nel mese di marzo 2018
da Digital Team – Fano (PU)
La vita scientifico-accademica di Daniele Gambarara coincide in gran parte con quella
dell’Università della Calabria, in cui arrivò nel 1974, a poca distanza dalla fondazione. Da allora,
non ha mai lasciato l’Unical. Questo non significa che si sia votato all’isolamento: la cifra del
suo lavoro è esattamente opposta. Il compito che egli si è assegnato in tutti questi anni è stato
quello di porre l’Università della Calabria (e il gruppo che attorno a lui negli anni si è formato –
rappresentato dai curatori di questo volume) al centro di una rete che non si limita ai contatti più
stretti, e nemmeno alla variegata galassia demauriana, ma si apre al dialogo, alla collaborazione
e allo scambio con le realtà più diverse. Di questo dialogo, che dura da più di quarant’anni, il libro
è una testimonianza e un rilancio.

Iimmagine di copertina: Bruno La Vergata

Mimesis Edizioni
Semiotica e filosofia del linguaggio ISBN 978-88-5754-798-5
Collana diretta da Felice Cimatti
e Claudia Stancati
www.mimesisedizioni.it

36,00 euro 9 788857 547985

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