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Frammento

Il sole tramonto' dietro le alture che circondavano il paese nel medesimo istante in cui K. vi
giungeva. Fu subito avvicinato da un uomo basso, con una barba scura; voleva denaro.
-Non ne ho- rispose K.-Sono qui per guadagnarmelo-.
Il paese non era altro che un paio di strade anguste ai cui bordi, come escrescenze
muschiose su un muro umido, erano cresciute le case. Erano basse, antiche di costruzione e
ormai scheggiate e dirute. -C'e' un gran lavoro da fare- penso' K. Non riusciva ad
immaginare cosa potesse esserci dietro le finestrelle alte a strette che costituivano l'unica
via di contatto fra le case e l'esterno. -Forse bussando- si disse K., ma decise che l'avrebbe
fatto dopo. Bisognava per prima cosa trovare un tetto per passare la notte. Cerco' a lungo
una locanda, percorrendo le viuzze del villaggio nella foschia della sera, ma non la trovo'. Il
paese, all'apparenza di scarsa estensione, sembrava moltiplicare se stesso man mano che lo
si attraversava. Pochi insignificanti particolari distinguevano i viottoli fra loro, e solo con
molta fatica K. riusci' a riconoscere nelle ombre del crepuscolo l'archeggiato di pietra che
costituiva l'unico ingresso del paese. Dovette decidersi a bussare da qualche parte. Scelse
una casa in fondo alla strada e picchio' alla porta.
-Apritemi, per amor del cielo!- grido'. La sua voce interruppe il silenzio che stagnava
nell'aria della sera. Scosto' il rumore via da se' con un gesto spazientito della mano. Busso'
ancora, poi gli venne aperto. Era una giovane donna vestita molto umilmente, con bei
capelli arroccati sulla testa.
-Sono forestiero- disse K. -Ho bisogno di passare la notte qui in paese, ma non trovo una
locanda. Se lei fosse cosi' gentile da indicarmela...vede, quando si e' forestieri come me,
tutto appare sotto una luce diversa. Ad esempio, io sono sulla porta di casa sua, fermo sulla
soglia, e vengo da fuori. Chi passasse, potrebbe essere indotto a credere cose non vere-.
-Entri- disse lei. -Viene da H.., lei?- chiese poi.
-No, non sono di queste parti- rispose K. muovendo alcuni passi e tentando di mettere a
fuoco la stanza.
-Certo- disse -capisco la sua situazione. Ospitare stranieri e' illegittimo. Non e' scritto da
nessuna parte che non si possa, ma si sa che e' cosi'. Lei dovrebbe sentirsi in colpa-
aggiunse squadrando la ragazza. Visto che ella non parlava, si guardo' attorno. Una donna
anziana era seduta lontano, in un angolo buio della stanza. Aveva uno scialle sulle ginocchia
e si sarebbe detto che dormiva davanti al fuoco.
-E' sua madre, vero? Le assomiglia, anche se non riesco a vederla bene- noto' K.
-Ho perso mia madre quando ero bambina- rispose la ragazza. -Quella donna e'...-
Fu interrotta. K. cercava un posto dove appendere il soprabito inzuppato.
-Dia qui- disse lei, e lo fece scomparire in una cassapanca dal coperchio pesante.
-Adesso mi spieghi. Non trova la locanda; lei e' forestiero, quindi mi sembra plausibile. La
locanda, quand'anche ce ne fosse una, e' tanto nascosta e inarrivabile, che per lei sarebbe
impossibile persino sfiorare l'idea di poterla vedere. Inoltre, non vi e' nulla che la distingua,
ne' esternamente ne' internamente, dalle abitazioni comuni. Si sa soltanto che quella e' la
locanda. Non vi sono letti per dormire, non vi si trovano birra e vino, ne' vi si puo' cenare.
Eppure, in qualche modo, quella e' la locanda. Capisce?-
K. stava per essere vinto dal sonno e, cullato dalla voce della ragazza, era nel torpore del
dormiveglia.
-Si', capisco- rispose con un vistoso sbadiglio. -Ma io preferirei restare qui da lei, sempre se
non reco troppo disturbo. Sua madre dorme?- chiese poi, guardando la vecchia immobile
davanti al fuoco. La ragazza annui'.
-E suo padre?- K. si guardo' in giro, ma non vide altro che una porticina socchiusa che dava
su una cucina, piena di attrezzi di uso incomprensibile. Era buio, e non si vedeva altro.
-Dorme anche lui, di la'- rispose la ragazza, che sembrava dare scarso peso al fatto che non
ci fossero altre stanze. K. sembro' non badarci e si sedette sulla cassapanca in modo che il
suo viso restasse nell'ombra. Lei gli ando' accanto.
-Non le ho ancora chiesto come si chiama- disse K.
-Non ha importanza. Mi chiamo Grete- rispose ella.
K. le disse il suo nome, poi la strinse a se' con forza e la bacio'.
-Non posso, davanti a mia madre- disse Grete con poca energia. -E poi, a momenti,
potrebbe tornare mio padre da fuori- aggiunse.
-Non ti preoccupare- disse K. -conosco tuo padre. Egli lavora per me ed e' stato lui ad
invitarmi qui.-
Questo la calmo', e sul suo volto comparve un vago sorriso. Era bella, dopotutto. Passo'
qualche minuto in cui si ebbe l'impressione che nulla si muovesse, neanche il fuoco
crepitava. Si addormentarono.
All'alba K. si alzo' dal giaciglio scostando il braccio con cui Grete lo stringeva. La vecchia
donna non c'era piu'.
-Svegliati. Non voglio che la gente ci veda insieme prima del tempo. Dovro' cominciare il
mio lavoro, stamane. Accompagnami in paese.
Grete si lamento' di avere freddo e non volle alzarsi. K. si vesti' e usci' da solo. La strada era
in salita e lui era ancora intorpidito dal sonno e stanco per il viaggio. Davanti a lui, immerso
nel mare della nebbia mattutina, si ergeva il Castello. Era formato da una lunga serie di
torri, poggiato come un trofeo sulla cima della colline che circondavano l'abitato.

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