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ALBERT CAMUS SULL'INSURREZIONE DI BUDAPEST DEL 1956

Sui fatti di Ungheria del '56 vorremmo riportare parte di un discorso che Albert
Camus (il quale non era n� un uomo politico n� uno storico filosofo o intellettuale
di partito ma solo un uomo che fortunatamente pensava con la sua testa)
pronunci� il 15 marzo 1957 alla Salle Wagram di Parigi:
�Il sangue ungherese si � rivelato troppo prezioso all'Europa ed alla libert�
perch� noi non ne siamo avari sino alla pi� piccola goccia . Ma non sono di coloro
che pensano che possa esservi un arrangiamento, sia pur provvisorio, con un regime
di
terrore che ha il diritto di chiamarsi socialista come il boia dell'Inquisizione
aveva il diritto di chiamarsi cristiano (...). Si tratta di uno Stato
controrivoluzionario. Come si pu� definire in un altro modo un regime che obbliga
il padre a denunciare il figlio , il figlio a chiedere il supremo castigo per il
padre, la moglie a testimoniare contro il marito e che ha posto la delazione
all'altezza della virt�? I tank stranieri, la polizia, le giovani di vent'anni
impiccate, i consigli di operai assassinati ed imprigionati, la campagna di
menzogne, i campi di concentramento, la censura, i giudici arrestati, i criminali
che legiferano e la forca ancora e sempre, � questo il socialismo, la grande festa
della libert� e della giustizia? No, noi abbiamo conosciuto, conosciamo questo:
sono i riti sanguinosi e monotoni della religione totalitaria! Il socialismo
ungherese �
oggi in prigione o in esilio. Nei palazzi dello Stato, armati sino ai denti, errano
i tiranni mediocri dell'assolutismo, impauriti dalla parola stessa di libert�,
inferociti dalla parola di libert� (...). Lo stesso popolo ha preso la parola ed ha
parlato a Berlino, in Cecoslovacchia, a Poznan ed in ultimo a Budapest. Ed in
questa citt�, contemporaneamente al popolo, gli intellettuali si sono strappati il
bavaglio. Ed entrambi, ad una sola voce, hanno detto che non si camminava in avanti
ma che si
indietreggiava, che si era ucciso per niente, deportato per niente, asservito per
niente e che ormai per essere sicuri di avanzare sulla buona strada era necessario
dare a tutti la verit� e la libert�. Cos� al primo grido dell'insurrezione in
Budapest libera, chilometri di falsi ragionamenti e di belle dottrine ingannatrici
di scienziati e di povere filosofie sono stati ridotti in polvere . E la verit�
nuda, cos� troppo tempo
oltraggiata, � apparsa agli occhi di tutti. Dei padroni sprezzanti, che ignoravano
persino di insultare la classe operaia, ci avevano assicurato che il popolo
facilmente faceva a meno della libert� se soltanto gli si dava del pane. E lo
stesso popolo
rispondeva loro improvvisamente che non aveva neppure il pane, ma anche supponendo
che ne avesse avuto, esso vorrebbe ancora qualcos'altro. Perch� non � un professore
sapiente ma un fabbro di Budapest che scriveva: �Io voglio che mi si consideri come
un adulto che vuole e sa pensare. Io voglio poter dire il mio pensiero senza aver
niente da temere e voglio che mi si ascolti anche� . Quanto agli intellettuali, ai
quali era stato predicato ed urlato che non vi era altra verit� che quella che
serviva agli obbiettivi della causa, ecco il giuramento che essi prestavano sulla
tomba dei loro compagni assassinati per la suddetta causa: �Mai pi�, neppure sotto
la minaccia e la tortura, n� per un amore mal compreso della causa, dalle nostre
bocche non uscir� altro che la verit� (Tibor Meray sulla tomba di Rajik) . Dopo
questo la causa � chiara: questo popolo massacrato � nostro. L'Ungheria sar� oggi
per noi ci� che fu la Spagna venti anni fa. Le sottili sfumature, gli artifici di
parole, e le considerazioni sapienti con le quali si cerca ancora di mascherare la
verit� non ci interessano. La concorrenza tra Rakosi e Kadar con la quale vogliono
intrattenerci non ha importanza. Sono tutti e due della stessa razza. Differiscono
soltanto per i loro titoli di gloria di caccia e se quelli di Rakosi sono pi�
sanguinanti non lo saranno per molto tempo. In ogni caso o che sia l'uccisore o il
perseguitato persecutore, non cambia niente alla libert� dell'Ungheria. Mi dispiace
a questo
proposito di dover fare ancora da Cassandra e di deludere le nuove speranze di
certi colleghi infaticabili, ma non c'� evoluzione possibile in una societ�
totalitaria. Il terrore non evolve , se non verso il peggio, la forca non si
liberalizza, la ghigliottina non � tollerante. In nessuna parte del mondo si �
visto un partito o un uomo che, disponendo del potere assoluto, non ne abbia fatto
un uso assoluto. Ci� che definisce
la societ� totalitaria di destra o di sinistra � innanzitutto il partito unico ed
il partito unico non ha nessuna ragione di autodistruggersi. E' per questo che la
sola societ� che deve conservare la nostra simpatia sia critica che operante �
quella in cui vige la pluralit� dei partiti. Essa sola permette di denunciare
l'ingiustizia ed il delitto, quindi di correggerli . Essa sola oggi permette di
denunciare la tortura, l'ignobile tortura,
abominevole tanto in Algeria quanto a Budapest. Le tare dell'Occidente sono
innumerevoli, i suoi delitti ed i suoi errori sono reali. Ma, infine, non
dimentichiamo che noi siamo i soli detentori di quel potere di perfezionamento e
d'emancipazione
che risiede nel libero pensiero. Non dimentichiamo che mentre la societ�
totalitaria, coi suoi stessi principi, obbliga l'amico a denunciare l'amico, la
societ� dell'Occidente, nonostante i suoi errori, produce sempre quella razza di
uomini che conservano l'onore di vivere, voglio dire la razza di coloro che tendono
la mano allo stesso nemico per salvarlo dal dolore o dalla morte. Quando il
ministro Chepilov, proveniente da Parigi, osa scrivere che �l'arte occidentale �
destinata a squartare l'anima umana ed a formare dei massacratori di ogni specie� �
tempo di rispondergli che i nostri artisti ed i nostri scrittori, almeno essi, non
hanno mai massacrato nessuno e che hanno abbastanza generosit� per non accusare la
teoria del realismo socialista dei massacri coperti o ordinati da Chepilov e da
coloro che gli
assomigliano. La verit� � che c'� posto per tutti, tra di noi, anche per il male,
ed anche per gli scrittori di Chepilov, ma anche per l'onore, per la via libera del
desiderio, per l'avventura dell'intelligenza. Mentre non c'� posto per niente nella
cultura staliniana, se non per i sermoni di patronato, la vita grigia e il
catechismo della propaganda. A coloro che potevano ancora dubitarne gli scrittori
ungheresi gliel'hanno gridato recentemente, prima di manifestare la loro scelta
definitiva perch� preferiscono tacere oggi piuttosto che mentire per ordine. Non ci
sar� facile essere degni di tanto sacrificio. Ma dobbiamo cercare di esserlo in
un'Europa infine unita,
dimenticando le nostre querele, facendo giustizia dei nostri stessi errori,
moltiplicando le nostre creazioni e la nostra solidariet�. A coloro, infine, che
hanno voluto umiliarci e farci credere che la storia poteva giustificare il
terrore, rispondiamo con la nostra vera fede, quella che noi condividiamo, ora lo
sappiamo, con gli scrittori ungheresi, polacchi ed anche, si, con gli scrittori
russi, imbavagliati essi pure. La nostra fede � che c'�, in cammino nel mondo,
parallelamente alla forza della costrizione e della morte che oscura la storia, una
forza di persuasione e di vita che si chiama cultura e che si costruisce nello
stesso tempo con la creazione libera ed il lavoro libero. Il nostro compito
quotidiano, la nostra lunga vocazione � di
accrescere con il nostro lavoro questa cultura e non di toglierle qualcosa, sia
pure provvisoriamente. Ma il nostro dovere pi� fiero � di difendere personalmente,
e sino in fondo, contro la forza della costrizione e della morte, da qualunque
parte venga, la libert� di questa cultura, cio� la libert� del lavoro e della
creazione . Gli operai e gli intellettuali ungheresi ai quali oggi siamo vicini con
tanto impotente dolore, hanno compreso questo e ce l' hanno fatto meglio
comprendere. Ecco perch� se il loro dolore � il nostro anche la loro speranza ci
appartiene. Nonostante la loro miseria, il loro esilio, le loro catene, ci hanno
lasciato un'eredit� regale che noi dobbiamo meritare: la libert�, che non hanno
scelta, ma che in un sol giorno ci hanno resa!

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