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CAP.

3 – LA COMUNICAZIONE DI MASSA-
Metà del XX secolo, nel panorama degli studi sulla comunicazione si affaccia un nuovo termine: MEDIA. È il
plurale della parola latina medium , a cui viene in genere attribuito il significato di “mezzo”, “strumento”. La
forma plurale “media” è stata assorbita dalla lingua corrente inglese, in genere precedute dalla parola
“mass”. L’accezione “mass media” è entrata anche nel vocabolario italiano con il significato di “mezzi di
comunicazione di massa”.
I media si sovrappongono alle pratiche comunicative , senza sostituirle.
Nelle società occidentali contemporanee una quota crescente della comunicazione che si produce ogni
giorno è di tipo mediato. Questa significa che alla comunicazione interpersonale così come l’abbiamo
analizzata finora, costituita dalla sinfonia di strumenti espressivi offerti dal corpo umano, si affianca la
comunicazione che utilizza e attraverso artefatti tecnologici più o meno sofisticati.
Non si tratta solo di un cambiamenti quantitativo, ma anche e soprattutto di un cambiamento relativo alla
qualità della conoscenza: alcuni saperi sono andati perduti, soprattutto quelli di tipo immediatamente
pratico mentre molti altri ci lasciano perplessi o insicuri.
L’avvento dei media rappresenta quindi un problema e una nuova sfida per chi intende comprendere a
fondo il mondo della comunicazione.

-MEDIA E MUTAMENTO SOCIALE-


LA SCRITTURA
Ogni mezzo di comunicazione è accompagnato da importanti cambiamenti sociali. È solo a partire
dall’introduzione della SCRITTURA che la società umana ha iniziato a prendere una forma alquanto diversa
da quella che ha caratterizzato l’homo sapiens per millenni, a partire dalla sua comparsa sulla Terra.
La specie umana è caratterizzata da sempre dalla facoltà di esprimersi attraverso il linguaggio verbale:
affermare che non sono mai esistiti uomini privi della parola. L’uomo nasce dotato di parola ma anche di
una qualche forma di espressione grafica: i primi segni incisi sulla roccia, a metà tra arte, comunicazione e
la magia, risalgono anch’essi a circa 35000 anni fa.
La SCRITTURA “ è un sistema codificato di marcatori visivi per mezzo del quale lo scrivente poteva
determinare le parole esatte che il lettore avrebbe prodotto a partire dal testo”. La scrittura così intesa
permette ciò che non è possibile con sistemi più semplici di espressione. Una trasformazione così
importante ha potuto avvenire solo con lenti passaggi successivi, tanto che non è possibile datare momento
esatto in cui da semplici graffiti si passa a qualcosa di più sofisticato.
L’ALFABETO presente una caratteristica ben precisa: ogni singolo segno non rimanda a un significato in sé
concluso bensì a uno dei suoni che compongono la lingua parlata, ovvero a un fonema o , nelle forme
alfabetiche più arcaiche, a insiemi di fonemi (sillabe).
(I numeri arabi costituiscono un sistema di ideogrammi particolarmente semplici ed efficace, perché con
solo dieci segni diversi opportunamente combinati tra loro, noi siamo in grado di comporre qualunque
numero.)
L’alfabeto semplifica l’apprendimento, favorisce la diffusione sociale della scrittura e accompagna
mutamenti molto estesi e profondi nella struttura della società, permettendo ad esempio la nascita di
sistemi sociali articolati e diversificati su ampie zone geografiche, come l’impero romano. La prima funzione
della scrittura – prima ancora di diventare una strumento di conoscenza a disposizione della popolazione- è
sostenere gli apparati burocratici, economici e repressivi delle istituzioni dominanti.
In ogni caso, quando una certa società conosce il passaggio dalla cultura orale alla CULTURA CHIROGRAFICA
( cioè conosce l’uso della scrittura) avvengono dei cambiamenti sostanziali che sono stati analizzati nel
dettaglio da diversi autori.
Walter Ong ha sintetizzato questi cambiamenti in una serie di punti:
CULTURA ORALE/SCRITTURA ( riquadro)
Il senso privilegiato della cultura orale è l’udito, mentre quello della scrittura è la vista; questo spostamento
del senso principale attraverso il quale ampliamo la nostra conoscenza è collegato a ulteriori, importanti
cambiamenti: esempio con la scrittura la conoscenza viene fermata e può essere osservata con un certo
distacco, dove invece la trasmissione orale della conoscenza è volatile ( verba volant, scripta manent) e può
essere vissuta solo un momento;
 Nella cultura orale l’apprendimento avviene in genere tramite un apprendistato diretto
mentre con la scrittura nasce lo studio sui libri come esperienza che può essere anche
esclusivamente privata, introspettiva e solitaria, senza l’ausilio di un maestro in carne ed
ossa;
 La trasmissione della conoscenza nella cultura orale prevede sempre una partecipazione
attiva di tutti gli interessati e un coinvolgimento personale, spesso accompagnato dal
piacere di essere presenti in quel momento e in quel luogo con altre persone, maestri e
discepoli; la scrittura rende la conoscenza più distaccata e meno socializzante;
 Gli anziani sono tenuti in particolare considerazione nella cultura orale; questa loro
funzione si indebolisce con la diffusione della scrittura, che permette di oggettivare la
conoscenza e di conservarla con minimo sforzo semplicemente conservando l’oggetto fisico
su cui è trascritta;
 La cultura orale deve investire risorse per conservare il passato e non perdere le proprie
radici, mentre scrittura libera queste risorse e permette di investirle piuttosto
dell’innovazione; la cultura orale tende ad avere paura della novità, mentre la cultura
scritta ne è attratta;
 La cultura orale vive in un tempo presente multiforme, che comprende anche il passato e il
futuro nella dimensione del mito; con la scrittura l’uomo entra nella storia e acquista una
percezione cronologica degli eventi;
 Il lessico della cultura scritta è andato arricchendosi;
 Il discorso orale è ridondante , ricco di ripetizioni che servono a sottolineare particolari
passaggi oppure a correggere eventuali errori; la scrittura invece , concisa, essenziale, è
possibile cancellare parole o farsi sbagliate così come è possibile fare delle pause anche
lunghe per pensare alla costruzione migliore delle frasi;
 Il discorso orale è costruito in modo paratattico, ovvero con frasi brevi e coordinate tra
loro; il testo scritto è invece ipotattico, con diverse proposizioni principali e subordinate; la
struttura ipotattica consente espressioni del pensiero complesso ed articolate.
Anche l’introduzione della scrittura ha avuto i suoi critici : il più famoso è Platone, depositare degli
insegnamenti di Socrate ( esclusivamente orali). Nel Fedro, Platone fa enunciare a Socrate quali accuse egli
rivolge alla scrittura. per Socrate la scrittura accresce solo l’apparenza di conoscere, ma non la vera
conoscenza che si acquisisce solo tramite l’insegnamento orale diretto; la scrittura non rafforza la memoria,
ma anzi la indebolisce; il lettore accanito è saccente , ma non sapiente, perché è solo capace di ripetere ciò
che ha letto in modo fisso e immutabile.

LA STAMPA
L stampa in Europa era conosciuta già intorno al XIV secolo. Ciò che si utilizzava era il metodo della
xilografia: una tavoletta incisa con il testo o le immagini da riprodurre.
Quando si parla di “grande rivoluzione della stampa” inventata intorno 1456 dall’orafo tedesco Gutenberg
ci si riferisce quindi, ad una particolare tecnica: LA SCRITTURA A CARATTERI MOBILI. Ciò che rende questa
tecnica di stampa così importante è essenzialmente il fatto che i singoli caratteri sono riposizionabili e
riutilizzabili a piacere in modo semplice e rapido, permettendo la produzione di opere su vasta scala e
iniziando l’avvicinamento a quelli che diventeranno i mezzi di comunicazione di massa.
Anche nella loro veste esteriore i primi libri stampati ricordando le opere manoscritte e solo in un secondo
momento vengono introdotte quelle caratteristiche che rendono un libro facile e piacevole da leggere.
Il libro manoscritto costituisce un’opera unica, diversa da qualsiasi altra, irripetibile. Al contrario, il libro
stampato rappresenta ciò che è stata definita “ la prima merce uniforme e ripetibile” : può essere prodotto
in una serie attraverso un procedimento sempre uguale, che garantisce risultati omogenei e gli elevati costi
di impianto dei macchinari vengono ammortizzati con la creazione di un alto o altissimo numero di
prodotti. Il libro si trasforma così da oggetto sacro a oggetto di consultazione e consumo.
Pubblicare un libro diventa quindi anche un’attività economica regolata dal mercato e dall’apprezzamento
del pubblico più che dalla generosità di qualche mecenate.
La diffusione della stampa a carattere mobili si accompagna, oltre che al mutamento economico, anche a
una trasformazione di enorme portata delle forme di conoscenza e del sistema culturale. La tradizione
vuole che il primo libro a essere stampato sia stata la Bibbia : la diffusione popolare di quello che è anche
considerato il testo più antico conosciuto dall’uomo rappresenta il primo caso di generalizzazione della
conoscenza.
Attraverso la diffusione di libri stampati in lingua volgare si costruirono le varie LETTERATURE NAZIONALI; le
stesse lingue volgari conobbero una standardizzazione tale che le condusse a proporsi come collante
capace di unificare un intero popolo, che poteva in questo modo “immaginarsi” come un’unica comunità
pur non conoscendosi direttamente tra singole persone. Si tratta dell’alba del concetto moderno di STATO-
NAZIONE e, in seguito, del sentimento nazionalista.
La scienza prese nuovo slancio, sull’onda di un generale spinta all’innovazione. Grazie alla stampa divenne
possibile riprodurre testi tecnici senza gli errori frequenti nella ricopiatura a mano. Divenne possibile anche
un vero archivio della conoscenza, la sua accumulazione e l’idea di progresso scientifico per passi successivi.
Tutto questo, sommato alla crescente alfabetizzazione dovuta alla diffusione dei libri su larga scala, permise
la nascita della SCIENZA MODERNA separata dalla magia e dalla religione.
La cristallizzazione del sapere nella forma di un libro stampato, riproducibile all’infinito in copie sempre
uguali, introduce un concetto per noi scontato, ma all’epoca del tutto nuovo: quello di AUTORE. Prima della
stampa questa figura era del tutto marginale.
Accanto al concetto di autore nasce quello di PROPRIETA’ INTELLETTUALE: copiare un libro, a lungo
considerato un’opera meritoria in quanto contribuiva a diffondere un patrimonio di conoscenza raro e
prezioso, diventa un abuso. Modificare a proprio piacimento il testo di un libro aggiungendo glosse o
commenti, anch’essa pratica comune degli amanuensi, diventa a sua volta esecrabile portando, nel1709,
alla nascita in Inghilterra della prima legge su copyright.
Oltre alla letteratura e alla pubblicazioni scientifiche, la stampa prese presto anche la strada
dell’informazione, ma si usa far risalire i primi notiziari risalgono all’antica Roma“ acta diurna” affissi nella
città. Il primo vero periodico compare solo alla fine del Cinquecento a Venezia.
Tra il XVII e il XVIII sec. Si diffondono giornali quotidiani e settimanali che riportano regolarmente notizie
provenienti da paesi lontani. Successivamente la stampe periodica iniziò ad ospitare anche la
comunicazione di idee e programmi politici, proponendosi come un’arena virtuale di discussione aperta
potenzialmente a tutti i cittadini.
Fine del Settecento si può già iniziare a parlare di SITEMA DEI MEDIA riferendosi all’insieme di libri,
giornali, riviste ma anche alla rete della loro distribuzione e ai luoghi della lettura: locande, caffè e salotti.
Questo sistema rappresenta l’atto di nascita dell’OPINIONE PUBBLICA , intesa come dibattito razionale,
liberale e critico animato da alcuni settori della società civile indipendentemente l’autorità statale, su
argomenti di politica e attualità.
La nozione habermisiana di sfera pubblica come “luogo” intermedio tra società civile e stato costituisce il
punto di partenza della società occidentale propriamente moderna; tale nozione è indissolubilmente legata
alla diffusione della nuova tecnologia di comunicazione rappresentata dalla stampa.
La censura non era mossa esclusivamente da motivi religiosi: le autorità secolari potevano bandire un libro
sulla base di motivi morali o più spesso politici. La Rivoluzione francese affrontò anche questo problema,
tentando di tutelare una sfera pubblica libera e liberale.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, afferma che: “la libera comunicazione dei pensieri e
delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare scrivere, stampare
liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”. Lo stesso
diritto è ribadito dall’art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana. Nonostante ciò , ancora oggi il
diritto di stampa è imbrigliato ovunque da una serie di dispositivi di legge che prevedono per i trasgressori
reati come quello di stampa clandestina.
LA TELECOMUNICAZIONE
Agli inizi del XIX secolo, la diffusione delle notizie su lunghe distanze subiva inevitabilmente abissali ritardi
rispetto a oggi. Qualunque informazione doveva essere trasportata con il suo supporto fisico fino a
destinazione. Un evento, di qualunque importanza o gravità, poteva rimanere sconosciuto per interi mesi
alla popolazione dei cittadini vicini.
La storia della comunicazione umana vede diversi tentativi di superare il pesante vincolo della distanze
fisiche allo scopo di comunicare più velocemente.
Uno degli apparecchi più efficienti era il telegrafo ottico: un sistema di segnalazione costituito da grandi
lanterne semaforiche poste in cime ad apposite torri erette in successione a distanza opportune.
Lo sviluppo delle reti ferroviarie, associato alle prima applicazioni della nascente elettricità, rese possibile
un nuovo, grande salto qualitativo negli strumenti di comunicazione: il TELEGRAFO. Le linee telegrafiche
resero possibile la separazione tra il modo dei trasporti fisici e quello della comunicazione. Le ripercussioni
sulla percezione delle distanze e sulle relazioni commerciali e politiche furono enormi.
Da quel momento in poi, il mondo della comunicazione cambia sempre più rapidamente, conoscendo
numerosi strumenti basati sull’elettricità, il primo dei quali è il TELEFONO (Antonio Meucci).
Rispetto al telegrafo, l’uso del telefono è più facile ed intuitivo. Non c’è quasi nulla da imparare: per
utilizzarlo è sufficiente la voce umana, non è richiesto personale specializzato nella trasformazione dei
messaggi in codici particolari e l’unico intermediario umano fu, nei primi tempi, la centralinista alla quale si
chiedeva il collegamento con l’utente desiderato. Con il tempo il telefono si è rilevato anche uno strumento
di comunicazione domestico, diffondendosi nelle abitazioni private e coinvolgendo categorie sociali spesso
escluse dalle tecnologie di comunicazione, come le casalinghe.
Nel loro complesso le reti ferroviarie, telegrafiche e telefoniche sviluppate nel corso XIX secolo hanno
comportato, una repentina riduzione delle distanze geografiche.
Il passo successivo fu quello del “telegrafo senza fili”, cioè la RADIO, proposta agli inizi del Novecento da
Guglielmo Marconi; le prime applicazioni della radio furono orientate al mondo militare.
Il segnale radiofonico, viaggiando liberamente nell’etere, era potenzialmente ricevibile da chiunque, era
visto come uno spiacevole inconveniente: le comunicazioni strategiche militari necessitavano ovviamente
di grande riservatezza, che si tentò di raggiungere ricorrendo a tecniche crittografiche sempre più
sofisticate in grado di rendere incomprensibili i messaggi che raggiungevano gli apparecchi riceventi del
nemico.
Solo dopo la prima guerra mondiale che ci si rese conto di come la diffusione delle onde radio potessero
costituire la base di un nuovo modo di fare comunicazione: “ BROADCAST” ( termine agricolo: l’atto di
seminare gettando i semi a spaglio , in modo casuale intorno a sé). La comunica zio broadcast, getta il
messaggio nell’ambiente circostante, senza avere un destinatario preciso. Negli anni ’20 furono trasmesse
le prime emittenti radiofoniche : ulteriore tassello nel nascente panorama dei MASS MEDIA.
Si può dire che la radio rappresenta il primo vero mass medium: la sua pervasività la fa entrare in tutte le
case a qualsiasi ora, si rivolge a persone di qualsiasi estrazione sociale, il suo ascolto non impegna
eccessivamente e non è incompatibile con i normali lavori quotidiani.
Il passaggio alla TELEVISIONE, il mass medium per eccellenza del XX secolo, fu quindi quasi scontato.
Il sistema televisivo conobbe una crescita molto rapida, potendo adottare in buona misura soluzioni e
strutture già sperimentate con la radio. Nel panorama dell’offerta televisiva l’Italia si avviava a diventare un
“caso atipico”, con la quasi totalità delle frequenze occupate da due soli soggetti, uno pubblico Rai e uno
privato Mediaset.
Attraverso una successione di innovazioni nelle tecnologie comunicative durata diversi secoli si arriva così,.
Finalmente, a definire il processo della COMUNICAZIONE DI MASSA come qualcosa di fondamentale
distinto dagli altri tipi di comunicazione. Essa si basa normalmente, su organizzazioni complesse per
produrre e diffondere messaggi indirizzati a pubblici molto ampi e inclusivi, comprendenti settori
estremamente differenziati della popolazione.

LE GRANDI PROSPETTIVE TEORICHE


Ogni individuo socializzato della nostra società, in quanto tale “sa” che il controllo sui grandi mezzi di
comunicazione garantisce anche in una certa misura il controllo su opinioni e atteggiamenti di vaste masse
di individui. Purtroppo però tali conoscenze di senso comune tendono a rivelarsi insoddisfacenti da un
punto di vista scientifico: si tratta di luoghi comuni, stereotipi, “chiacchiere” incapaci di scendere con
successo nei dettagli del complicato mondo dei mass media. La sociologia della comunicazione propone
una forma di conoscenza meno banale, più riflessiva e meditata.
Alcune tra le PROSPETTIVE TEORICHE con cui i sociologi hanno affrontato lo studio scientifico della
comunicazione di massa:
L’AGO IPODERMICO: LA TEORIA “MAI ESISTITA”
La teoria dell’ago ipodermica, o del “proiettile magico”, costituisce un caso un po’ particolare. Deve essere
considerata come una modalità di lettura dei media intuitiva e immediata, molto vicina al sentire della
gente comune. Il contesto storico della teoria ipodermica risale ai primi decenni del Novecento, ovvero al
periodo in cui i mass media – e in particolare la radio- raggiungono effettivamente una frazione di massa,
estesa all’intera società.
La massa costituiva così il “bersaglio” dei magici proiettili mediali, sparati da abili controllori della pubblica
opinione mossi da interessi personali o comunque di parte. La grossolana semplicità della teoria ipodermica
permette di riassumerla in una tesi di poche parole:” i media manipolano le persone”.
Tale tesi poggia le sue fragili fondamenta sociologiche sui cambiamenti che attraversavano in quel periodo
le società occidentali: la definitiva affermazione del capitalismo industriale, l’urbanizzazione, la dissoluzione
dei legami tradizionali comunitari.
L’idea dominante era quindi quella della rapida ascesa di una società atomizzata costituita da una
moltitudine di singoli individui alienati, privi di legami significativi tra loro e sostanzialmente soli di fronte ai
messaggi dei media: in altre parole, una SOCIETA’ DI MASSA.
Su questo modello sociologico della società di massa, la teoria ipodermica innesta un modello comunicativo
altrettanto semplice, mutato dalla psicologia comportamentista: il MODELLO STIMOLO-RISPOSTA ( S-R).
applicato al mondo della comunicazione, il comportamentismo riconosceva in ogni messaggio mediale uno
stimolo in grado di produrre una risposta identificata nei comportamenti del pubblico. Nel modello S-R ,
rappresenta un’unità indissolubile: non esistono stimoli che non producono risposte, così come non
esistono risposte che non siano state provocate da stimoli ben precisi. Il rapporto tra i due elementi è
caratterizzato dalla causalità, dell’immediatezza e dalla necessità: nel caso della comunicazione di massa,
ogni messaggio è destinato a provocare senz’altro un preciso comportamento nelle persone “colpite”,
concedendo ben poca autonomia al pubblico.
La prospettiva ipodermica ha rappresentato il primo approccio sistematico di studio dei mezzi di
comunicazione di massa. Pur con tutti i suoi limiti, nel suo ambito troviamo validi studiosi che ancora oggi
vengono ricordati come i padri della MASS COMMUNICATION RESEARCH. Tra questi non si può dimenticare
Harold Lasswell, precursore in particolare degli studi sulla comunicazione politica, del quale si utilizza
ancora oggi il cosiddetto “ MODELLO DELLE CINQUE W”: costituisce il tentativo di mettere ordine negli
studi sui mass media, scomponendo l’oggetto di studio nelle sue variabili principali. Tali variabili sono
identificate nelle “cinque W” ( Who, What, Whom, Where, What effects). Hanno dato origini, negli anni
successivi, alle cinque principali branche specialistiche della ricerca sui media. “Chi” riguarda le emittenti;
“Cosa” riguardano il contenuto dei messaggi mediali; “a chi” si rivolgono i media significa studiare il
pubblico, la sua composizione, le sue preferenze, le sue abitudini; il “come” rimanda a questioni in rapida
evoluzione come gli aspetti tecnologici dei media, la convivenza tra vecchie e nuove tecnologie, i linguaggi e
i codici permessi dai diversi mezzi di comunicazione; il tema degli “effetti” intende valutare in quale misure
e con quali tempi i comportamenti e le opinioni del pubblico vengono effettivamente modificati
dell’esposizione ai messaggi mediali.
Tuttavia tale modello ripropone i limiti della prospettiva ipodermica, nei seguenti punti:
1) La comunicazione è intesa come un processo lineare che trasferisce una informazione
dell’emittente al ricevente. In questo senso il modello di Lasswell rappresenta un’applicazione ai
media del più generale modello matematico della comunicazione di Shannon del quale conserva
l’inadeguatezza a concepire la comunicazione nel suo significato più profondo di costruzione
collettiva e di condivisione di senso.
2) È fortemente asimmetrico: tutto il potere è concentrato sull’emittente, che ha la possibilità di
progettare, organizzare a produrre il messaggio-stimolo. Il pubblico non può fare altro che esserne
colpito passivamente, manifestando una reazione-risposta.
3) La comunicazione è concepita esclusivamente nei suoi aspetti intenzionali e consapevoli: l’obiettivo
dei media è osservabile e misurabile, così come il comportamento-risposta del pubblico. Non sono
contemplati gli eventuali effetti imprevisti, inconsapevoli o di lungo periodo.
4) Il ruolo dell’emittente, quello del pubblico, appaiono isolati da qualsiasi contesto sociale. Seguendo
l’idea della società di massa, i singoli individui vengono concepiti come privi di relazioni
interpersonali significative e sostanzialmente soli e indifesi di fronte ai media.
La teoria ipodermica nel suo complesso si dimostra insostenibile: ognuno di noi può rendersi conto
facilmente di come le persone scelgono in modo autonomo cosa guardare o cosa leggere , di solito
interpretando ciò che guardano e leggono sotto influenza di altre persone per loro importanti, presentando
infine “effetti” imprevisti e qualche volta addirittura opposti a quelli desiderati dalle emittenti.

GLI “EFFETTI LIMITATI” E IL FLUSSO DI COMUNICAZIONE A DUE STADI


La prospettiva ipodermica ha rappresentato, malgrado la sua grossolana semplicità, una base di partenza
per le ricerche degli anni successivi. Negli anni ’40 prende avvio una vasta mole di studi empirici sulle
comunicazioni di massa che conduce al definitivo superamento dei presupposti scientifici tipici della
prospettiva ipodermica. Essi possono essere sintetizzati in due punti: la concezione dell’azienda dei media
in termini di relazione stimolo-risposta e l’avvento della società di massa.
Il primo punto, il superamento avviene tramite a una serie di ricerche di psicologia sperimentale miranti a
valutare la possibilità che tra stimolo e risposta si nascondesse qualche variabile non considerata.
Comparare , in un contesto sperimentale di laboratorio, due gruppi di soggetti ai quali veniva proposto lo
stesso messaggio; i due gruppi avevano caratteristiche simili, tranne che per la variabile di cui si voleva
valutare l’importanza. In questo modo si riuscì a capire qualcosa di più circa il fatto che qualunque
messaggio mediale, per risultare efficace, deve essere costruito attorno a una figura ideale di destinatario
ben precisa. Il messaggio va calibrato sulla base del fatto che si rivolga a un pubblico “amico”, piuttosto che
“nemico”.
Si tratta di considerazioni che oggi appaiano quasi scontate, ma che all’epoca hanno permesso di avviare il
rigetto dell’idea stessa di una comunicazione di massa, ovvero indistinta e insensibile alla tipologia di
destinatario.
Questa tradizione di studi sperimentali condotti da Carl Hovalnd, provvide a inserire un nuovo elemento.
Il nuovo schema diventa S-IV-R ovvero STIMOLO-VARIABILI INTERVENIENTI- RISPOSTA. Le variabili
intervenienti mediano l’impatto del messaggio-stimolo e spiegano la varietà delle risposte individuali,
l’inefficacia di alcuni messaggi nei confronti di certi pubblici e i casi di effetti “ boomerang” non previsti e
non voluti. L’insieme delle variabili intervenienti racchiude elementi diversi: in primo luogo le
caratteristiche psicologiche del pubblico e gli aspetti socio demografici. Viene data importanza alla
SELETTIVITA’ dei destinatari, che scelgono a quali messaggi esporsi e che di questi messaggi percepiscono e
memorizzano solo determinati aspetti.
S-IV-R rappresenta insieme l’evoluzione e il superamento della psicologia comportamentista, il secondo
pilastro della teoria ipodermica –l’idea di società di massa- viene demolito da una serie di lavori
prettamente sociologici, non più condotti in contesti sperimentali di laboratorio ma direttamente “sul
campo”.
Queste ricerche concordavano su un punto molto importante: non è possibile analizzare né comprendere
gli effetti dei mass media senza considerare il contesto sociale in cui agiscono. Questa filone di ricerche sul
campo aveva carattere più marcatamente sociologico: il CONTESTO SOCIALE era inteso principalmente
come l’insieme organizzato delle relazioni sociali che avvalgono ogni membro di una comunità. Uno dei
risultati più eclatanti fu la cosidetta “TEORIA DEL FLUSSO DELLA COMUNICAZIONE A DUE STADI”: il pubblico
recepisce il contenuto dei mass media grazie all’aiuto di particolari categorie di persone che occupano i
posti-chiave nei reticoli di relazioni interpersonali. Queste figure costituiscono i LEADER D’OPINIONE:
individui molto attivi a livello di partecipazione sociale e politica, interessati agli argomenti trattati dai
media, informati e motivati a comprendere le questioni in gioco; sono persone molto conosciute e
particolarmente stimate , ritenute degne di fiducia e competenti da parte delle persone comuni. I “due
stadi” del flusso di comunicazione sono riferiti al fatto che i messaggi mediali raggiungono in primo luogo i
leader d’opinione; questi interpretano, elaborano e “metabolizzano” i messaggi, diffondendo quindi in un
secondo momento il risultato di questi processi cognitivi alle persone comuni. A loro volta, le persone
comuni si rivolgono ai leader d’opinione per ricevere conferme e rassicurazioni circa la corretta
interpretazione di ciò che hanno visto in televisione o letto sui giornali.
Gli effetti maggiori sono relativi al contatto tra leader d’opinione e gente comune, più che ai contenuti dei
messaggi mediali in sé. Le relazioni interpersonali risultano più importanti dell’influenza diretta dei media.
Secondo la teoria del flusso di comunicazione a due stadi , gli effetti dei media sono limitati non solo
“quantitativamente” ma anche “qualitativamente”. I media sono efficaci nel rafforzare le convinzioni che la
gente già possiede, mentre si dimostrano impotenti nel farle cambiare idea. Con questo si conclude un
primo processo di revisione critica degli effetti dei mass media, concepiti inizialmente come
MANIPOLAZIONE della teoria ipodermica, poi come PERSUASIONE dagli studi sperimentali, infine come
semplice INFLUENZA della teoria del flusso di comunicazione a due stadi.
Se il flusso viene concepito, anziché a due stadi , ma a molti stadi non si parla di leader d’opinioni ben
precisi, quanto piuttosto di reticoli complessi di relazioni interpersonali che mediano le informazioni su più
livelli; ognuno di noi ha differenti e mutevoli capacità di leadership su diversi argomenti, fungendo da
intermediario e da ausilio interpretativo nei confronti di altre persone.
Scompare l’idea di massa intesa come aggregato di individui isolati: al suo posto compare quello di un
PUBBLICO costituito da persone in costante relazione tra loro e tutt’altro che passive o indifese nei
confronti dei media.

USI E GRATIFICAZIONI TAR FUNZIONI E DISFUNZIONI


I mezzi di comunicazione di massa si affiancano alle altre istituzioni, diventano agenti di socializzazione a
fonti di mutamento nella loro azione quotidiana, al di là di specifici obiettivi o degli interessi strategici delle
singole emittenti.
Definire il loro ruolo complessivo in un sistema sociale ormai avviato a vedere nella comunicazione una
delle sue risorse principali. A fronte di queste rinnovate esigenze scientifiche, la MASS COMUNICATION
RESERCH statunitense evolve all’interno della corrente sociologica dominante del periodo: lo STRUTTURAL-
FUNZIONALISMO.
La sociologia funzionalista “legge” i media alla luce delle loro FUNZIONI, ovvero di quanto e come riescono
a soddisfare i bisogni dei vari sottoinsieme della società, è importante lo spostamento di prospettiva che il
concetto di “funzione” innesca rispetto a quello di “obiettivo “ . Il concetto di “funzione” introduce la
possibilità che l’azione dei media abbia delle conseguenze di portata più generale, non sempre
direttamente musicabili e soprattutto potenzialmente difformi dalle aspettative di chi costruisce messaggi.
Un qualunque prodotto mediale può avere. Oltre agli effetti per i quali è stato esplicitamente realizzato,
anche effetti imprevisti o indesiderati che si possono manifestare su periodi medi o lunghi e non solo a
breve termine.
Nell’ambito di questo quadro generale nasce un particolare approccio alla comunicazione di massa: LA
PROSPETTIVA USI E GRATIFICAZIONI.
La prospettiva usi e gratificazioni si sviluppa in modo relativamente autonomo presentandosi come una
delle principale teorie sui mass media della seconda metà del XX secolo. La funzione dei media viene
assimilata all’uso strumentale che il pubblico fa dei mezzi di comunicazione di massa, al fine di soddisfare i
propri bisogni e di riceverne così una gratificazione. Comporta un rovesciamento del punto di vista adottato
finora: il problema della mass communication reserch non è più capire “ cosa fanno i media alle persone” ,
bensì “cosa fanno le persone con i media.
I media soddisfano bisogno di affermazione di valori condivisi, sia che si tratti di valore tradizionali, sia che
si tratti di valori specialistici e di nicchia. Ci si può rivolgere ai media per rispondere a bisogni di relazione,
che vengono vissute icariamente attraverso le vicende personali dei protagonisti dei tanti programmi che
giocano sulle emozioni e sugli affetti.
Il bisogno che trova la giustificazione nei media può anche essere semplicemente quello di passare il
tempo, di intrattenersi , divertirsi evadere dallo stress quotidiano. La gratificazione dei bisogni avviene
attraverso la fruizione di prodotti mediali ben precisi ma può avvenire anche attraverso la fruizione mediale
in sé indipendentemente dal contenuto effettivamente fruito.
Dal punto di vista degli “usi e giustificazioni”, quindi, gli effetti della comunicazione di massa non
dipendono semplicemente dal contenuto dei messaggi ma sono strettamente legati ai contesti materiali
soggettivi della loro fruizione.
La comunicazione , anche nel caso dei mass media, inizia a essere vista come una costruzione condivisa di
significato, cui il pubblico partecipa a pieno titolo.
Il processo in base al quale il pubblico usa strumentalmente i media per gratificare i suoi bisogni è
rappresentabile come un processo circolare di influenza reciproca tra struttura sociale, caratteristiche
individuali, modelli di consumo dei media e comportamenti sociali in genere. Se è vero che il pubblico
diventa parte attiva, è altrettanto vero che i suoi gusti e le sue preferenze mediali derivano anche dalla
società nei suoi vari sottosistemi, la quale a sua volta è influenzata dalle azioni individuali, ivi comprese le
modalità di fruizione dei media.

LA TEORIA CRITICA E L’INDUSTRIA CULTURALE


Mentre la prospettiva “usi e gratificazioni” può essere eletta ad “ambasciatrice” della ricerca sui mass
media di stampo statunitense, la sociologia della comunicazione segue in Europa altri percorsi. Viene
fondato un istituto per la ricerca sociale a Francoforte, con l’obiettivo di sviluppare un centro di ricerca
indipendente in grado di occuparsi di tematiche non sufficientemente trattate.
Nel XX secolo, prende forma uno dei più importanti sistemi teorici non solo della sociologia della
comunicazione, ma delle scienze sociali nel loro complesso: la TEORIA CRITICA elaborata dalla SCUOLA DI
FRANCOFORTE.
L’istituto si propone come centro di ricerca interdisciplinare, riunendo studiosi di estrazione diversa e
attingendo a discipline come la filosofia, la storia, la psicologia, la psicanalisi e la sociologia. Vengono
utilizzati per applicare alla società contemporanea l’impianto teorico fondamentale cui faceva riferimento
l’istituto, ovvero il pensiero di Karl Marx.
Il marxismo, riveduto e adattato, costituisce la chiave per comprendere un sistema sociale in rapido
cambiamento, nel quale i media occupano un posto sempre più importante. L’attenzione nei confronti dei
media, rispecchia l’esigenza di comprendere , attraverso i processi della comunicazione di massa, il
funzionamento del sistema sociale nella sua indissolubile complessità.
La teoria critica, può essere considerata come una proposta unitaria di riorganizzazione della società
secondo caratteri di uguaglianza e giustizia, perduti sia dalla Germania nazista, sia nel capitalismo alienante
americano.
La scienza e la cultura vengono problematizzate: i dati empirici su cui si basa la ricerca scientifica, così come
i suoi stessi risultati, non sono “dati di fatto” oggettivi, ma sono al contrario socialmente e storicamente
costruiti.
La denuncia dell’utilizzo strumentale della scienza da parte del potere si accompagna a un simile
atteggiamento critico anche rispetto alla cultura in generale, considerata sempre più vuota di contenuti e
sostanzialmente sempre più asservita alle necessità del capitalismo. Da qui prende forme la poderosa
analisi dei mass media, condotta nei termini di un complesso atto di accusa a ciò che la Scuola di
Francoforte ha chiamato INDUSTRIA CULTURALE, rappresentata dal complesso armonizzato dei mezzi di
comunicazione di massa.
Il sistema dei media, concepito come una vera e propria industria, richiede standardizzazione e
organizzazione capillare del lavoro; i suoi prodotti sono altrettanto standardizzati e omologati alle necessità
di un consumo culturale di massa, cioè esteso a tutta la popolazione. L’industria è diversa dalle forme di
cultura popolare dei secoli passati: produce “merci” culturali che non nascono direttamente dal basso, dal
popolo, ma sono invece pianificate e organizzate dall’alto, dalle singole emittenti, dai network formali e
informali che le riuniscono, fino ad arrivare alle strutture economiche fondamentali del sistema capitalistico
delle quali i media costituiscono una costola importante.
I destinatari della comunicazione di massa sono concepiti come consumatori di prodotti preconfezionati.
Non rimane più nemmeno la possibilità di scelta, perché i prodotti dell’industria culturale sono in fondo del
tutto simili tra loro, esattamente come le altre merci della macchina produttiva capitalista, efficacemente
simbolizzata dall’immagine della catena di montaggio. Il loro scopo non è quello di produrre cultura, bensì
consumo. La manipolazione del desiderio avviene quindi con l’intento di conseguire un profitto e in questo
senso l’industria culturale, , non diversamente da qualsiasi altra industria capitalista, è analizzabile con le
classiche categorie teoriche el marxismo, dal lavoro alienato alla contrapposizione tra valore d’uso e valore
di scambio delle merci.
Il pubblico viene anche manipolato nei suoi valori, nei suoi atteggiamenti e nelle sue opinioni allo scopo si
far sembrare giuste e inevitabili le contraddizioni e le disuguaglianze del sistema capitalista.
È in questo contesto che nasce la denuncia dell’UOMO A UNA DIMENSIONE narcotizzato dai media, indotto
a soddisfare i falsi bisogni creati dei media stessi e offuscato da una falsa coscienza che gli impedisce di
liberarsi dalle sue catene.
La scuola di Francoforte ha portato alla sociologia un fondamentale contributo di consapevolezza critica,
mostrando come il sapere scientifico non possa rinunciare a interrogarsi sulle proprie responsabilità e sulle
condizioni della sua esistenza. Ha anche mostrato alcuni limiti sia nel passare dall’elaborazione teorica alla
ricerca empirica, una semplificazione dei processi della comunicazione di massa che oggi appare eccessiva.

I CULTURAL STUDIES: LA CULTURA COME TERRENO DI CONFLITTO


I Cultural Studies si sviluppano in Inghilterra a partire dagli anni Cinquanta e prendono definitivamente
forma presso il Centre for Contemporary Cultural Studies dell’Università di Birmingham, come per la scuola
di Francoforte, anche in questo caso si può parlare di una “scuola” raccolta attorno a un’istituzione ben
precisa in grado di fungere da fucina di idee e da stimolo reciproco per ricercatori posti a lavorare
fisicamente fianco a fianco.
I cultural studies pongono la dimensione culturale al centro dei loro interessi scientifici. La CULTURA non è
vista come un patrimonio fisso e immutabile, sviluppato da intellettuali e scienziati, ma come un insieme di
processi socialmente e storicamente situati, attraverso i quali le persone comuni attribuiscono un senso alla
realtà. La cultura così intesa prende forma nelle pratiche quotidiane di ognuno di noi e le pratiche
esprimono i significati e i valori condivisi.
La teoria generale di riferimento è quella marxista che pone il conflitto di classe, le disuguaglianze sociali ed
economiche e le contraddizioni del capitalismo al centro della propria analisi. La tradizionale
interpretazione del materialismo storico marxista considerava la cultura come semplici riflessi della
struttura economica della società. Questa concezione rigidamente determinista viene rivista dai Cultural
Studies, che a questo scopo attingono sia ad altre grandi riflessioni critiche comunemente considerate
antagoniste del marxismo come quella di Max Weber, sia alle interpretazione del marxismo più flessibili ed
attente all’importanza della cultura, come quelle di Walter Benjamin.
L’affermazione di una certa forma culturale avviene sempre attraverso un faticoso processo di negoziazione
e conflitto nel corso del quale le classi dominanti esercitano il potere che deriva dalla loro condizione
privilegiata, ma le classi subalterne a loro volta dispongono della possibilità di rifiutare, mediare, modificare
o rielaborare ciò che viene loro proposto : cruciale per la rappresentazione di questo processo è la nozione
di EGEMONIA , così come i contributi dei modelli semiotici della comunicazione.
La cultura e la comunicazione vengono viste come il terreno di incontro ( e scontro )tra dominio e
resistenza. Nella loro applicazione pratica alla comunicazione di massa, i Cultural Studies hanno prodotto
lavori e ricerche sulla produzione e sul consumo materiale.
Per quanto riguarda la produzione, i testi mediali ( es. programmi televisivi..) vengono analizzati in quanto
veicoli più o meno diretti dell’ideologia dominante. Il loro contenuto è problematizzato: non esiste,
secondo questi autori, un manipolare occulto che impone direttive esplicite circa ciò che i media devono
dire o non dire. I prodotti mediali vengono considerati come prodotti complessi di particolari condizioni
storiche e sociali.
Per quanto riguarda gli studi sul consumo materiale, l’analisi si basa sulla scoperta di meccanismi
differenziati di interpretazione da parte del pubblico. Il modo in cui il pubblico legge i testi mediali è
considerato parte della lotta delle classi subalterne per l’affermazione della propria specifica identità.
Il modello proposto da Hall e conosciuto come modello ENCODING-DECODING sottolinea questa duplice
prospettiva sui mass media: qualsiasi prodotto mediale nasce come risultato di un processo si “MESSA IN
CODICE” (encoding) da parte di un’organizzazione al cui vertice possiamo porre la figura ideale dell’autore.
La fase di encoding, tende a proporre una visione del mondo particolare, conservatrice e favorevole alle
posizioni delle classi dominanti, ma il cui risultato è pur sempre frutto di un processo di negoziazione in cui
giocano il loro ruolo diverse variabili.
Una volta diffuso al pubblico, il prodotto mediale subisce il processo di DECODING ovvero di DECODIFICA,
che lo porta a essere letto e interpretato in almeno tre modalità principali.
1) In questo caso la lettura si dice “egemonica-dominante”: il punto di vista si chi ha messo in codice il
messaggio appare l’unico possibile anche per il lettore.
2) La lettura può essere “negoziata” quando, accanto alla comprensione del codice utilizzato
dall’emittente, il lettore attribuisce al messaggio anche interpretazioni almeno parzialmente
autonomo.
3) la lettura “ oppositiva” avviene quando il messaggio, pur compreso nei significati che l’emittente
vorrebbe gli fossero attribuiti, viene letto in modo antagonista e inserito in un contesto di senso
completamente opposto a quello dell’emittente.
Se la messa in codice rappresenta il momento di espressione del potere dei media, con la nazione di
“decodifica” i Cultural studies riconoscono al pubblico un ruolo attivo che, seppur asimmetrico rispetto alle
emittenti, è in grado di condurre la fruizione mediale verso ambiti di significato assolutamente inattesi e
imprevisti , talvolta addirittura divergenti da quelli voluti. Gli effetti dei media nascono quindi dall’incontro
di encoding e decoding come risultato di processi complessi e mai interamente prevedibili.
I cultural studies sono interessati non tanto al pubblico quanto AI PUBBLICI, declinato al plurale. Il processo
di decoding avviene infatti in modo differenziato seguendo i valori e gli schemi interpretativi di specifiche
culture o più spesso , SOTTOCULTURE. Le sottoculture metropolitane contemporanee costituiscono uno dei
temi classici della ricerca empirica sviluppata dai cultural studies: gang giovanili , punk.. , sono tutti
consumatori di comunicazione di massa che dimostrano come lo stesso prodotto mediale può essere
caricato di ambiti di senso molto diversi. Queste ricerche sui pubblici intesi come comunità interpretative
hanno dato origine a un filone di cultural studies denominata AUDIENCE STUDIES e caratterizzato da
metodologie di tipo qualitativo come l’etnografia, l’osservazione partecipante o le interviste in profondità.

LA SCUOLA DI TORONTO
La scuola di Toronto vede la sua figura centrale in McLuhan. Le basi di partenza possono essere riassunte in
un approccio allo studio dei media fortemente interdisciplinare, in un’ attenzione nei confronti dei mezzi di
comunicazione concepiti come “ambiente ecologico umano”, ma soprattutto in una decisa tendenza a
considerare la tecnologia come una variabile indipendente nello studio dei processi di mutamento sociale.
La tecnologia viene vista come il motore del mutamento, una forza autonoma capace di spingere la società
in una direzione piuttosto che in un’altra o addirittura di determinare la direzione del mutamento.
La scuola di Toronto ha esercitato un’influenza molto estesa in numerosi studiosi di estrazioni molto
diverse.
Innis studia l’evoluzione storica della civiltà umana collegandola allo sviluppo successivo delle diverse
TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE . Ogni tecnologia porta con sé un BIAS , cioè una tendenza verso una
specifica organizzazione delle forme trasmissive del sapere, che a loro volta condizionano le strutture
politiche ed economiche della società. Tali tendenze possono favorire una trasmissione della conoscenza
che predilige la dimensione dello spazio o quella del tempo.
L’analisi storico-economia di Innis trova la sua naturale continuazione nell’opera di McLuhan, esaminando i
mutamenti impliciti nelle forme di tecnologia a livello psichico e sociale. In particolare, studia l’impatto
della stampa e dei media elettrici sulla psiche umana, impatto che si manifesta a un livello molto profondo.
McLuhan non si limita a considerare l’evoluzione delle forme di organizzazione politiche ed economiche ,
ma arriva a presentare il passaggio dalla cultura orale a quella alfabetica, alla stampe e infine ai media
elettrici come vere e proprie mutazioni antropologiche della specie umana. I media vengono considerati
cvome estensioni dell’uomo, come prolungamenti dei suoi sensi. Tutti i media sono, quindi considerati
estensioni dle sitema nervoso e fisico dell’uomo, ma anche ESTENSIONI DI CONSAPEVOLEZZA.
I media elettrici ed elettronici, oggi, innescano ulteriori cambiamenti che McLuhan identifica nella fine delle
grandi narrazioni e delle grandi ideologie, nella riduzione della vita sociale del pianeta e quella di un unico,
grande villaggio: è la metafora del VILLAGGIO GLOBALE.
Accanto al villaggio globale troviamo la suddivisione in MEDIA CALDI e MEDIA FREDDI.
I media caldi sarebbero quelli che saturano un solo senso con informazioni molto dettagliate, lasciando
poco spazio alla libertà di percezione del fruitore, come il cinema o la radio. Al contrario i media freddi
offrono informazioni che si potrebbero definire a bassa definizione, colpiscono tutti i sensi umani ma
richiedono la partecipazione attiva e il coinvolgimento del destinatario per dare un senso alla
comunicazione. ( suddivisione la cui applicazione pratica rimane incerta)
La “temperatura” di un medium è legata non solo alle caratteristiche tecnologiche ma anche al contesto e
al tipo di esperienza con cui tale mezzo viene vissuto.
L’espressione di McLuhan in assoluto più famosa è “il medium è il messaggio”, intendeva richiamare
l’attenzione sul fatto che il vero messaggio di un medium è nel mutamento che produce,
indipendentemente dal suo contenuto.
Allo stesso modo, secondo la Scuola Di Toronto, i mezzi di comunicazione moderni come la radio, la
televisione e Internet hanno modificato e stanno modificando la società in un modo che non dipende dal
loro contenuto.
McLuhan si mostra in generale poco interessato ad analizzare nei dettagli il contenuto dei media, per lui il
contenuto di un medium consiste sempre, semplicemente, in un altro medium. Ogni nuovo mezzo di
comunicazione che fa la sua comparsa nella società non sostituisce i media già esistenti ma tende piuttosto
a inglobarli.
L’opera McLuhan risulta difficile da accostare al resto degli studi sulla comunicazione. Un’eccezione è
rappresentata da Meyrowitz, che attinge a due autori così distanti come McLuhan e Goffman per mostrare
come i media elettronici modifichino la nostra percezione dello spazio, permettendoci di accedere a
SITUAZIONI nuove o precedentemente precluse.
La Scuola di Toronto ha sempre mostrato il fianco a una Critica fondamentale: quella di essere permeata da
un forte DETERMINISMO TECNOLOGICO, ovvero una tendenza a trovare nella tecnologia in sé le cause
sufficienti e necessarie del mutamento sociale.
La relazione tra tecnologia e società è ben lontana dall’assumere una forma causale in cui la prima
determina la seconda, configurandosi piuttosto come un sistema complesso all’interno del quale la
comunicazione continua a svolgere un ruolo affascinante e multiforme.

LA PRODUZIONE DELLE NOTIZIE


Fin dalla loro nascita i mass media hanno svolto, tra le altre, una funzione importantissima: quella di
INFORMARE il proprio pubblico circa ciò che accade nel mondo.
Si può parlare ,quindi, di una vera e propria attività di PRODUZIONE DELLE NOTIZIE ( ciò che nel mondo
anglosassone viene chiamato NEWSMAKING) che si inserisce nel sistema complessivo delle società
contemporanee, innescando talvolta reazioni di portata imprevedibile.
Il processo di produzione delle notizie può essere utilmente studiato con gli strumenti della sociologia della
comunicazione.
Esistono i GATEKKEPERS, i guardiani all’ingresso ( la comunità dei giornalisti), che selezionano in base a
criteri professionali, fra cui la rilevanza, l’interesse che può suscitare nel pubblico e la notiziabilità, quei fatti
che poi si convertiranno in notizia. La NOTIZIABILITA’ potrebbe essere definita come la possibilità che ha un
evento di trasformarsi in notizia in termini sia di contenuto, sia di mezzo , sia d’interesse del destinatario.
Questa proprietà si compone di quei requisiti legati ai processi di routine produttive e ai canoni della
cultura professionale giornalistica, richiesti a un evento per acquisire l’assistenza pubblica come notizia. La
notiziabilità si lega al concetto di prospettiva della notizia che screma gli eventi in base a ciò che i giornalisti
reputano importante.
Le redazioni sono organizzazioni produttive che trasformano il dato grezzo ( gli accadimenti del mondo) in
un prodotto confezionato ( le notizie ). Queste organizzazioni, nonostante le singole specificità, presentano
un organigramma in cui spiccano diverse figure , tra cui l’editore e il direttore responsabile. L’editore è il
proprietario dell’azienda; il direttore è il responsabile della linea editoriale della testata e gode di una larga
autonomia. In una redazione di medie-grandi dimensioni trovano locazione anche il vicedirettore e il
caporedattore , che si occupano della gestione della macchina organizzativa e del coordinamento delle
singole sezioni. Ogni sezione si occupa di un tema particolare ( politica , economia , sport..) ed è
rappresentata da un caposervizio che struttura la sezione, affidando gli argomenti ai diversi giornalisti. I
giornalisti sono iscritti ad un albo nazionale ( in IT l’ordine dei giornalisti ). Il loro operato prevede la
gestione dei rapporti con le fonti ( cioè il recupero delle notizie) e la scrittura dei pezzi. In italia ci sono due
categoria di giornalisti : professionisti e pubblici. Il professionista è colui che svolge la professione in modo
esclusivo e continuativo; i pubblicisti sono i praticanti, i freelance. A queste figure si affiancano la segreteria
di redazione, i grafici editoriali, i fotografi e gli operatori di ripresa.
I soggetti istituzionali forniscono quotidianamente ai giornalisti le informazioni. Il mezzo di contatto
principale fra queste organizzazioni e i giornalisti è il comunicato stampa. Si tratta di un testo sintetico, che
risponde alle regole della concinnitas e della brevitas dettate da Fedro, strutturato in paragrafi e
caratterizzato da un titolo ed un sommario; riporta notizie relative ad eventi di particolare interesse.
Le realtà organizzative suddette rappresentano quelle che in gergo si chiamano le fonti di primo livello.
Dette anche ufficiali o primarie, si caratterizzano per autorevolezza istituzionale e competenza specifica:
esse comprendono figure della pubblica amministrazione, della magistratura, del governo ecc… rientrano in
questo tipo anche i prodotti finiti: le variabili delle sedute parlamentari. Le fonti di primo livello
normalmente si dotano, per mantenere la relazione con i media da cui ottengono visibilità e quindi
maggiore credibilità e trasparenza, di uffici stampa interni o esterni che curano i rapporti con i giornalisti
stipulando rapporti di fiducia reciproca.
Le fonti di secondo livello, sono quelle la cui attendibilità è affidata alla citazione giornalistica: il dar voce
all’uomo della strada che ha visto o partecipato s un evento o che lo commenta. Le fonti secondarie devono
essere sempre verificate e diventano efficaci per la notiziabilità di un evento se sono messe in relazione con
altre fonti; le prime invece si giudicano attendibili data la loro ufficialità e non necessitano di una
controprova.
C’è una seconda tipologia che distingue le fonti dirette da quelle indirette.
Le fonti dirette sono quelle che forniscono alla redazione il materiale grezzo in diverso formato, da cui, una
volta “plasmato” dal giornalista, emergerà il pezzo giornalistico. Le fonti indirette per eccellenza sono le
agenzie di stampa, organi importanti e complessi che gestiscono quanto accade nel mondo. ( in Italia c’è
l’ANSA, è contemporaneamente una testata giornalistica, un archivio elettronico e una banca dati) Lo scopo
delle agenzie di stampa è diminuire il “costo” delle notizie e fare in modo che i prodotti informativi
confezionati giungano al maggior numero di testate giornalistiche e radiotelevisive.
Oltre al mantenimento del rapporto con le fonti, la fase di raccolta dei fatti prevede altre attività per la
redazione. Il “giro” , ovvero un recall continuativo ai centro nevralgici di ogni realtà urbana significativa,
quali la questura e l’ospedale, per verificare in tempo reale ciò che accade.
Una redazione giornalistica è un’organizzazione che compie le suddette operazioni di routine, per mettere
insieme le informazioni che occuperanno gli spazi del format finito. Ogni giorno, in una redazione si
raccolgono migliaia di storia; è in questa fase che ha luogo l’operazione di filtraggio compiuta dalla
comunità dei giornalisti, orientata dai cosiddetti “CRITERI NOTIZIA” o “VALORI NOTIZIA”, cioè le regole
pratiche comprendenti un corpus di conoscenza professionale che implicitamente, e spesso esplicitamente,
spiegano e guidano le procedure lavorative redazionali”. I valori notizia sono criteri per SELEZIONARE dal
materiale disponibile alla redazione gli elementi degni di essere inclusi nel prodotto finale. Essi funzionano
come linee guida per la presentazione del materiale, suggerendo cosa va enfatizzato, cosa va omesso, dove
dare priorità nella preparazione delle notizie da presentare al pubblico.
Un evento in cui elementi più significativi possono essere veicolati brevemente troverà spazio più
facilmente nel prodotto finito, alla stregua di un accadimento già convertito in notizia che continua a
suscitare l’interesse pubblico.
Sarà selezionato un evento che ha frequenza simile alla cadenza del mezzo (frequenza) e sarà preferito un
evento che rientra nei limiti spazio-temporali del formato finito e del mezzo che lo riproduce (aderenza al
mezzo e al formato).
Anche la concorrenza diventa un valore notizia, in quanto la preoccupazione di non bucare un evento porta
a una omologazione dell’informazione da una parte e all’innalzamento degli standard professionali
dall’altra. Il buco, è il contrario dello scoop , ovvero quella notizia trattata da una sola redazione e
trascurata da tutte le altre.
Alla selezione segue la fase dell’ editing. È un’operazione sostanzialmente linguistica, atta a massimizzare il
prezzo dal punto di vista della brevità, chiarezza contenutistica e stilistica. Solo alla fine si procede
all’aggiunta del titolo e quindi alla collocazione nel medium, cui il prodotto informativo finito è destinato.
Nel mondo del giornalismo è sempre in agguato la “distorsione involontaria, ovvero una variabile endogena
alla produzione delle notizie.
La notizia appartiene al mondo della parzialità e della relatività
IL PUBBLICO E LA FRUIZIONE MEDIALE
Chiunque si occupi di comunicazione, è interessato al destinatario. Il PUBBLICO quindi, si conferma come
entità interessante e oggetto di studio sia della ricerca applicata commissionata dai privati, sia della ricerca
accademica. Dagli anni Trenta fino a oggi la maggior parte degli studi riguardanti le comunicazioni di massa
si è occupata, riprendendo la famosa formula delle “cinque W” di Lasswell , proprio del Whom cioè della
ricezione, oltre che del What effects, ovvero degli effetti dei media sui riceventi.
Parlare di pubblico significa evocare un concetto ambiguo: questa sua ambiguità è imputabile al fatto che
esso richiama diversi tipi di entità, per cui è più opportuno parlare di PUBBLICI. Questi insiemi sono sia il
prodotto del contesto sociale sia la risposta a un particolare modello di offerte mediali e sovente sono
entrambe le cose contemporaneamente; possono avere origine tanto nella società quanto nei media e nei
loro contenuti.
Tra le immagini offerte si impongono il pubblico come MASSA, il pubblico come INSIEME DI
GRATIFICAZIONI, il pubblico come GRUPPO, e il pubblico come MERCATO. A queste si aggiungono le
considerazioni dei Cultural Studies e dell’etnografia del consumo dei media. I primi focalizzano la loro
analisi sulla relazione fra testo e lettore, sia in termini di comprensione/lettura, sia nella predilezione di un
canale, di un programma, o di un genere. La seconda conferisce maggiore importanza al contesto di
fruizione, capace di incidere sulle scelte del lettore/spettatore: la pratica della lettura, dell’ascolto e della
visione si un determinato messaggio è influenzato dalle caratteristiche del luogo e delle dinamiche
relazionali che si innestano nel gruppo dei lettori, ascoltatori o spettatori, per lo più rappresentano dal
nucleo famigliare o dal gruppo di amici.
Per PUBBLICO s’intende l’insieme di coloro che possono essere raggiunti dai messaggi di un medium. Si
tratta di una realtà potenziale e aleatoria, difficilmente definibile in termini precisi. L’AUDIENCE , ascolto, si
riferisce invece a un pubblico reale , quantificato , numericamente rilevato e non più a un’entità potenziale
o immaginaria. Questa entità è descritta attraverso variabili sociodemografiche che ne specificano il
carattere e in termini di utilizzo dei medium. ( non è accettata ad unanimità dagli studiosi : Ang considera
l’audience una mera costruzione discorsiva, che oggettivizza qualcosa che in realtà non esiste).
Quando invece ci riferiamo a un gruppo specifico, un gruppo “bersaglio” cui indirizzare un prodotto, è più
corretto parlare di TARGET. Esso presenta caratteristiche particolari, in termini di variabili
sociodemografiche sia per gli stili di vita: è un sottoinsieme specifico.
Le prime espressioni di pubblico nascono nell’antica Grecia e nell’antica Roma in occasione di riunione
fisiche situate in un certo luogo. È una collettività localizzata nello spazio e nel tempo, accomunato da uno
stesso background, che condivide la visione di uno stesso spettacolo ed è capace di determinare la sorte dei
suoi eroi. Si tratta di un fenomeno prettamente urbano, durante il quale si registrano le prime espressioni
di fandom ( termine che designa la comunità di appassionati di un particolare genere mediatico o di un
particolare programma).
Per FOLLA ESPRESSIVA , si intende quella particolare aggregazione che si forma quando una moltitudine di
individui è riunita in modo temporaneo in uno stesso luogo, difficilmente capace di costituirsi una seconda
volta con la medesima forma. È un’entità instabile, la cui consistenza non è valutabile precisamente e che
necessita di un leader da seguire. Tale aggregazione può essere atomizzata e involontaria. Opposto al
concetto di folla è quello di GRUPPO SOCIALE, che è formato da un insieme più ridotto di individui, che
interagiscono fra di loro e condividono valori e credenze comuni con continuità, secondo schemi stabilizzati
di azione, i ruoli.
Tutti i membri si conoscono; la struttura è più stabile: tale insieme è identificato socialmente e al suo
interno ciascun elemento ha un peso, più o meno forte a seconda del ruolo occupato, nelle decisioni prese
dall’insieme. In determinate situazioni, un gruppo può evolvere in comunità.
Il primo pubblico di massa si registra fra il Quattrocento e il Cinquecento con l’introduzione del libro
stampato. Solo allora il pubblico, ubicato tendenzialmente in città, può disaggregarsi, liberarsi da una
pratica collettiva e consumare il testo privatamente all’interno delle mura domestiche. Col passare del
tempo la readership (ovvero il bacino dei lettori) di molti periodici si fa sempre più regolare e il pubblico,
ormai ampiamente diversificato, viene distinto sia per i contenuti scelti sia per le sue caratteristiche di
classe , status e istruzione. Questo processo segue uno sviluppo costante nei secoli, fino a quando, alla fine
dell’Ottocento, il ristretto mondo dell’editoria si trasforma in un’industria su larga scala.
Contemporaneamente, si sviluppa l’industria della pubblicità, i cui proventi rendono più accessibile i
quotidiani, le riviste popolari e anche i libri, abbassandone i costi.
È soltanto con l’invenzione del cinema e della distribuzione cinematografica che si parla ufficialmente di
pubblico di massa. Viene meno l’interazione fisica con l’oggetto di attenzione, in quanto il messaggio non
può essere condizionato direttamente, ma rimane una sorte di coinvolgimento emotivo di cui la
commozione e le risa sono equivocabili espressioni. Si mantiene l’interazione con coloro i quali condividono
localmente l’esperienza mediale. Si tratta di una ricezione su larga scala, poiché milioni di spettatori
condividono potenzialmente la stessa visione.
La grande rivoluzione avviene con la radio e la televisione, che rendono il concetto di ricezione totalmente
disperso, privatizzato e , in un certo senso, libero da qualsiasi forma di controllo oggettivo.
Herbet Blumer, della Scuola Di Chicago, usa per la prima volta il termine MASSA per descrivere la nuova
collettività emergente, figlia delle condizioni delle società moderne e quindi dei nuovi mezzi di
comunicazione. Mentre il pubblico può essere considerato un insieme attivo di persone, le quali si
confrontano liberamente su uno stesso problema, di natura per lo più politica, avanzano opinioni, interessi
e/o proposte per risolverlo, la massa è vista come una vasta aggregazione di individui, isolati, anonimi e
tuttavia accomunati nel tempo da medesimi oggetti di interesse, al di fuori del proprio ambiente personale
o del proprio controllo. Si tratta di un’entità incapace di agire autonomamente, priva di qualsiasi identità e
forme di controllo, disaggregata al suo interno perché eterogenea, composta da individui che non si
conoscono e non interagiscono fra di loro e che hanno rapporti impersonali con la fonte dei messaggi.
La massa si differenzia anche dalla FOLLA: quest’ultima, pur essendo caratterizzata da atteggiamenti
prevalentemente reattivi e ricettivi piuttosto che attivi, è un’entità concreta e osservabile, ubicata in un
luogo. Il pubblico massa è quell’entità amorfa, passiva, irrazionale, senza spessore e capacità critica, vittima
dei mezzi di comunicazione di massa, cui si riferiscono gli studiosi della Scuola di Francoforte.
Con le prima ricerche empiriche degli anni Cinquanta il mito del pubblico-massa crolla, travolto alla
scoperta che i riceventi formano un’aggregazione diversificata, che reagisce agli stimoli dei media in modi
diversi e personali: la teoria del flusso di comunicazione a due stadi , dimostrando il ruolo di mediazione
che gli opinion leders svolgono tra i media e gli individui.
Inizia far breccia l’idea del PUBBLICO ATTIVO, diversificato al suo interno e composto da insieme omogenei
in base a caratteristiche rilevanti: è un pubblico che sceglie e che condiziona con i suoi gusti anche la stessa
offerta mediale.
Il riscatto del pubblico continua con gli studiosi dei cultural studies, secondo i quali questa entità viene
considerata una COMUNITA’ INTERPRETATIVA, caratterizzata da interessi comuni durevoli, condivisione di
caratteristiche sociodemografiche e da legami reciproci diretti. In tal modo si conferma l’esistenza di diversi
pubblici, guidati nelle loro scelte da specifiche preferenze e dal proprio capitale culturale e in cui risulta
fondamentale la cornice sociale in cui avviene la fruizione.
Prendono l’avvio da questo momento ricerche che mirano a investigare: le scelte dei diversi generi mediali
compiute da varie categorie sociali.
Si inizia a considerare, attraverso l’approccio etnografico, il consumo dei media come pratica sociale,
inserita e riutilizzata nel quotidiano, che acquista significato se relazionata ad altre attività che
caratterizzano “il giorno per giorno” di ciascuno.
Il pubblico come mercato, è l’insieme dei consumatori dei prodotti mediatici. Questi vengono stratificati
alla luce delle differenti strategie di marketing delle agenzie. L’importanza di conoscere l’audience per le
istituzioni mediali è dettata dal fatto che i membri del pubblico sono due volte consumatori potenziali, in
quanto consumano i programmi televisivi e in quanto acquistano i prodotti pubblicizzati attraverso quegli
stessi programmi.
È chiaro quindi quanto sia importante per i programmatori televisivi raccogliere e mantenere l’audience. Il
costo di uno spot televisivo dipende dalla fascia orario, dal canale, dall’evento editoriale cui è legato e dalle
stime riguardanti l’audience prevista per quello spazio.
Per questo, parallelamente al concetto di FLUSSO TELEVISIVO elaborato da Raymond Williams , esiste
anche un FLUSSO DELL’ASCOLTO TELEVISIVO, a cui i programmatori sono profondamente interessati. In
relazione al flusso dell’ascolto emergono tre modalità attraverso le quali i programmatori sperano di
ingabbiare l’audience e mantenerla: il traino, l’ascolto ripetuto e la fedeltà.
IL TRAINO è il trasferimento del pubblico da un programma a quello immediatamente successivo e dipende
da una continua disponibilità di ascolto, che muta nelle differenti fasce orarie.
L’ASCOLTO RIPETUTO, sul cui reale effetto ancora si discute, si verifica invece quando le stesse persone
seguono ripetutamente una serie televisiva: si tratta di una forma di fedeltà a un evento editoriale.
LA FEDELTA’ si riferisce infine a un canale ed evidenzia fino a che punto le stesse persone rimangono
ancorate a una medesima emittente televisiva. La fedeltà si lega maggiormente al background del pubblico,
ai suoi gusti e al riconoscimento di questo nella programmazione offerta. La fedeltà non è propria solo del
mezzo televisivo, ma anche della stampa, sebbene la due siano evidentemente diverse.

GLI EFFETTI DEI MEDIA


MEDIA FORTI O MEDIA DEBOLI?
L’assenza di fondamenta teoriche comuni ha trovato una rappresentazione di largo successo presso il
grande pubblico nell’opposizione tra APOCALITTICI e INTEGRATI. Tale contrapposizione , presentata da
UMBERTO ECO, ha finito con gli anni per indicare più in generale due modi antitetici di accostarsi ai
problemi originati dai mass media.
La posizione degli APOCALITTICI è quella di chi attribuisce ai mezzi di comunicazione di massa il potere di
manipolazione la mente delle persone e di sostituirsi alla cultura vera e propria. Essi si appellano a eventi
eclatanti o a miti come quello della pubblicità subliminale per denunciare l’azione nefasta dei media sul
tessuto sociale, sulla democrazia e sulla facoltà di pensiero autonomo individuale.
Gli INTEGRATI sono coloro che celebrano entusiasticamente l’utilità sociale dei media e i loro meriti
nell’informare, educare e intrattenere i cittadini . l’entusiasmo finisce per negare qualsiasi responsabilità a
carico dei media o almeno a carico di chi gestisce.
Si può affermare che il problema degli effetti dei mass media esiste, anche se non può essere declinato nei
termini ingenui con cui lo si pensava un tempo.
Entrambe le posizioni, sono chiaramente dei tipi ideali sociologici: sono cioè delle descrizioni esagerate di
atteggiamenti che non si riscontrano davvero nella realtà con questa evidenza.
La posizione degli apocalittici e degli integrati rappresentano una dicotomia ( separazione) che si riscontra
con toni sfumati sia nei discorsi della gente comune, sia nella ricerca scientifica.
L’alternanza tra le posizioni degli apocalittici e degli integrati ha prodotto un’analoga alternanza nel livello
di potere attribuito ai media , considerati ora come portatori di EFFETTI POTENTI, ora come portatori di
EFFETTI DEBOLI o limitati. Si può collegare l’idea di media potenti alla teoria ipodermica e, più
limitatamente, alla teoria critica. Gli effetti limitati sono individuati dalla teoria del flusso di comunicazione
a due stadi, dall’approccio “usi e giustificazioni” e “ricerca amministrativa” di stampo statunitense.
A queste due fasi a partire dagli anni Settanta se ne è aggiunta una terza e una quarta, sintetizzabile in un
“ritorno al concetto di media potenti”.
La ricerca si muove in direzione degli EFFETTI SU SCALA COLLETTIVA e nel MEDIO-LUNGO TERMINE. Più che
i comportamenti o le credenze delle singole persone, a subire gli effetti dei media sono i valori, le ideologie,
la morale, il patrimonio di senso comune dell’intera società. Tali effetti si producono nell’arco di molti anni
di fruizione costante del sistema mediale nel suo complesso.
Gli EFFFETTI A BREVE TERMINE sono quelli che si manifestano immediatamente dopo l’esposizione ( notizia
sciopero dei trasporti). Gli EFFETTI A MEDIO TERMINE sono quelli cercati ( campagne elettorali). Gli EFFETTI
A LUNGO TERMINE si manifestano dopo diversi anni di esposizione ai media coinvolgono variabili spesso
difficili da misurare come i valori o gli schemi cognitivi.

I DIFFERENZIALI DI CONOSCENZA
IL MODELLO DEI DIFFERENZIALI ( O SCARTI ) DI CONOSCENZA è stato tra i primi ad attribuire nuovamente ai
media effetti potenti.
Il modello trova le sue premesse nell’idea che l’informazione sia diventata essa stessa una risorsa
fondamentale.
Secondo questo modello la sempre maggiore diffusione dei media accentua le disuguaglianze tra gruppi
sociali poveri e gruppi sociali ricchi di informazione.
I motivi per cui i divari di conoscenza crescono invece di diminuire vanno ricercati in diversi fattori,
acquisire nuove informazioni, la capacità di elaborare in modo utile le informazioni che si ricevono e
l’accesso a tecnologie che garantiscono “rifornimenti supplementari” di risorse informative. Questi fattori si
presentano in misura maggiore tra chi ha già accesso a notevoli quantità di informazioni, innescando
quindi un processo di feedback positivo a un accrescimento ulteriore delle conoscenze. Le nuove
tecnologie, se da una parte hanno rappresentato i protagonisti principali dell’abbondanza informativa di
questi ultimi decenni, dall’altra parte secondo questo modello hanno paradossalmente accentuato il
processo di ampliamento degli scarti. Le Tecnologie complesse sono utilizzate da chi ha già accesso a un
buon numero di altre tecnologie. Al contrario chi è escluso, per motivi culturali o economici, dalle
tecnologie di base, lo sarà ancora di più da quelle maggiormente sofisticate.
Tale modello non afferma: “ poveri diventano sempre più poveri, i ricchi ancora più ricchi”, ma denuncia il
fatto che il generale accrescimento delle conoscenze (che riguarda tutti gli strati sociali) avviene con
velocità diverse. I divari crescenti si manifestano soprattutto sui temi ignorati dai media a grande
diffusione, le formulazioni più sofisticate di questo modello non assumano come base degli scarti la pura e
semplice disponibilità di informazioni, ma considerano piuttosto le capacità cognitive di utilizzare le
informazioni in modo critico senza restarne sommersi; ovvero la capacità di far fronte al cossi detto
SOVRACCARICO INFORMATIVO.
Il DIVARIO DIGITALE di cui tanto si parla in questi anni non è altro che una rivisitazione in chiave telematica
del vecchio modello degli scarti di conoscenza.

LA SPIRALE DEL SILENZIO


L’idea di un ritorno al concetto di media potenti è stata proposta esplicitamente, per la prima volta da
Elisabeth Noelle-Neumann, la principale ideatrice del MODELLO DELLA SPIRALE DEL SILENZIO (ispiratrice
della nuova fase di ricerca sugli effetti).
Questo modello si pone in esplicita discontinuità con le teorie degli effetti limitati, affronta il problema
degli effetti alla luce di un nuovo, evidente elemento che ha radicalmente mutato il panorama dei mass
media rispetto alla prima metà del secolo: l’avvento della televisione. La televisione ha infatti, determinato
un cambiamento sostanziale nell’offerta e nella fruizione di prodotti mediali. In particolare, ha neutralizzato
almeno in parte il potere del pubblico di fruire selettivamente dei media, potere sul quale le teorie degli
effetti limitati basavano buona parte delle proprie considerazioni. La televisione sottrae al pubblico la
possibilità di selezionare tempi, modi e contenuti della propria fruizione mediale grazie a due
caratteristiche peculiari: la CONSONANZA e la CUMULATIVITA’.
La consonanza nasce dalla rappresentazione omogenea o addirittura unanime presentata dalle varie
emittenti televisive. La cumulatività è legata alle caratteristiche pervasive del mezzo e al carattere di
serialità e ripetitività dei suoi contenuti. In breve: il pubblico non è più in grado di esercitare il suo potere di
scelta, semplicemente perché non ci sono più alternative tra cui scegliere e perché i contenuti televisivi
vengono proposti ovunque, ripetitivamente , in modo continuo.
Gli individui hanno naturale paura di essere socialmente isolati nelle loro opinioni. Questa paura li spinge al
conformismo: esprimono pubblicamente ciò che pensano solo se ritengono che si tratti di opinioni
maggioritarie o almeno ampliamente diffuse; al contrario, si astengono dall’esprimersi se ritengono che si
tratti di opinioni minoritarie o perdenti. L’opinione pubblica diventa quindi semplicemente l’opinione
dominante, sostenuta da una pressione sociale che riduce al silenzio tutte le altre.
Per un individuo il modo più semplice per sondare l’orientamento dell’opinione pubblica è costituito dalla
rappresentazione dei media ( in particolare dalla tv). Ecco: LA SPIRALE DEL SILENZIO, ciò che è forte lo
diventa ancora di più, mentre le voci anche solo lievemente più deboli sono portate, dal meccanismo di
costante sostegno popolare all’opinione dominante, a farsi sentire sempre di meno.
La teoria della spirale del silenzio è utile per spiegare la comunicazione politica, e a comprendere quelle
occasioni in cui un’opinione, una moda, un insieme di comportamenti sembrano balzare all’improvviso agli
oneri della cronaca, come se fossero apparsi dal nulla ( magari, fenomeni sociali già esistenti).
La teoria della spirale del silenzio mostra diverse debolezze che inducono a limitare la sua applicazione. Il
fatto di considerare la televisione come un medium monopolistico e dai contenuti omogenei contraddice la
progressiva differenzazione che è invece una sua caratteristica di questi ultimi anni. La televisione ipotizzata
dalla spirale del silenzio appare difforme rispetto a quella della realtà. Il concetto di opinione pubblica
adottato è troppo semplicistici, poiché essa non è semplicemente l’opinione della maggioranza, ma il
risultato di un complesso processo sociale e comunicativo, largamente imprevedibile e costituito da
componenti diverse.
Infine, la teoria non tiene conto dei nuovi media e in particolare di Internet ; poiché, le reti telematiche
offrono a chiunque la possibilità di far sentire la propria voce.

LA COLTIVAZIONE TELEVISIVA
La TEROIA DELLA COLTIVAZIONE si rivolge agli effetti a lungo termine del mezzo televisivo, inteso come più
potente degli altri media a causa delle sue caratteristiche peculiari. La “coltivazione” si riferisce alle
rappresentazioni della realtà graduali e cumulative elaborate nel corso del tempo in seguito alla fruizione
televisiva. Secondo i sostenitori di questa teoria il pubblico assorbe gradualmente nel tempo le concezioni
della realtà presentate dalla televisione, che vanno a sostituire la realtà vissuta nella vita di tutti i giorni.
Questa sostituzione di realtà avviene in misura proporzionale al consumo televisivo: i forti consumatori di
televisione mostrano gli effetti più evidenti.
La teoria considera in modo particolare la fiction, ovvero l’insieme di film, telefilm, soap opera e sit-com, in
quanto propone un mondo fatto di ruoli stereotipi, emozioni, comportamenti, situazioni, rapporti
interpersonali di un certo tipo. Questi vengono “coltivati” negli spettatori, che finiscono per credere di
vivere nella realtà proposta dalla televisione, applicando nella loro vita quotidiana quegli stessi modelli.
I risultati: chi guarda molta televisione sembra mostrare una percezione della diffusione della violenza
largamente sovrastimata, riconducibile alla quantità di violenza rappresentata nella fiction dal mezzo
televisivo.

La teoria della coltivazione televisiva ha il merito di spostare l’attenzione dagli effetti di singoli programmi
mediali, all’azione complessiva dei media come AGENTI SOCIALIZZAZIONE e COSTRUTTORI DI REALTA’ a
lungo termine.
Il pubblico non è mai completamente passivo, ma la contrario sottopone i contenuti di cui fruisce a
molteplici processi di interpretazione, rielaborazione e mediazione, tramite le proprie reti di conoscenza
interpersonali. Sostenere un puro e semplice effetto di sostituzione della realtà appare dunque
anacronistico, se non vengono coinvolte altre variabili. La stessa funzione non può essere descritta in
termini solamente quantitativi ma è necessario interrogarsi sulle modalità qualitative di questa fruizione e
sui rapporti tra fruizione del mezzo televisivo e consumo di altri mezzi di comunicazione. Rimane il
problema metodologico di imputare una direzione causale precisa: si sostiene che la televisione provoca
nelle persone una maggiore ansia, ma si può sostenere che sono le persone già ansiose a guardare più a
lungo la tv.

L’AGENDA SETTING
Essa è un’ipotesi, perché costituisce in realtà una parola chiave che unisce molteplici programmi di ricerca e
prospettive teoriche di diversa ispirazione. L’agenda setting ipotizza sì effetti potenti, ma con un
orientamento più aperto e meno deterministico.
Il punto di partenza è costituito dalla constatazione del crescente divario che separa la realtà vissuta in
prima persona dalla realtà di cui si viene a conoscenza attraverso i media. Per i cittadini delle società
occidentali una quota crescente di patrimonio cognitivo non proviene più da esperienze condotte in prima
persona, bensì dalle rappresentazioni offerte dai mezzi di comunicazione di massa.
L’effetto agenda setting si attua su due punti: in primo luogo, i media dicono alla gente quali sono i temi, gli
argomenti, i problemi veramente importanti e di cui bisogna occuparsi; in secondo luogo, i media
impongono un ordine di priorità, che rispecchia il grado di importanza assunto da ogni tema sia con la sua
collocazione all’interno delle diverse impaginazioni, sia con il tempo o lo spazio a esso dedicato, sia con la
costanza con cui viene trattato in un certo arco di tempo.
Con la parola “ agenda” si intende, quindi, semplicemente l’elenco degli argomenti degni di ricevere
l’attenzione.
L’effetto di agenda setting ( o impostazione dell’agenda) consiste nel fatto che l’agenda dei modelli finisce,
dopo un certo periodo di tempo, per riflettersi fedelmente nell’agenda del pubblico.
In questo caso l’effetto non riguarda il merito di ciò che la gente è indotta a pensare in seguito all’azione
dei media, ma “solo” il fatto che su alcuni argomenti sia indotta a pensare qualcosa, mentre altri argomenti
non vengono nemmeno presi in considerazione.
Se è vero che la stampa “può non riuscire per la maggior parte del tempo nel dire alla gente cosa pensare,
essa è sorprendentemente in grado di dire ai propri lettori intorno a quali temi pensare qualcosa.
Sono state condotte numerose ricerche sull’ampiezza del periodo di tempo necessario ( time lag) affinchè
determinati argomenti nell’agenda dei media si riflettono in quella del pubblico. Altre ricerche hanno avuto
come obiettivo la misurazione del differente potere di agenda da parte dei diversi media, scoprendo che la
stampa sembra avere un potere maggiore della televisione.
L’effetto di agenda è massimo su quegli argomenti sui quali il pubblico non ha alcuna possibilità di farsi
un’esperienza in prima persona.
L’avvento dei nuovi media contribuisce a mutare il quadro della situazione: la possibilità di accesso a media
in qualche modo alternativi sottrae ai media tradizionali una buona fetta di potere agenda.

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