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Ellipticon
Favola Metafisica

Immagine in copertina:
“Vescica Pisces” - di Alysha Bonini

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Prefazione

Non saprei come definire questo racconto, ricorda certamente un


romanzo fantasy, con creature fantastiche, luoghi magici, e altri
elementi classici di quel tipo di narrativa.

Tuttavia, ciò che di solito caratterizza le storie fantasy è una lotta


tra il bene e il male, con buoni e cattivi e un malvagio da
sconfiggere affinché il bene trionfi.

In questa che preferirei, se mi è concesso, definirla una “favola


metafisica”, invece, non ci sono eroi da celebrare.

Il protagonista non è un essere umano, ma un luogo, un


misterioso lago dalla forma ellittica che sembra essere dotato di
una saggezza intrinseca e che interagisce empaticamente con chi
riesce a raggiungere le sue acque.

Preferisco non aggiungere altro in questa breve prefazione al


racconto, lasciando al lettore, se lo vorrà, il piacere di scorgere
per conto proprio e senza ulteriori suggerimenti, le metafore che,
sottilmente, la storia lascia intravedere.

Buona lettura.

A.B.

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Prologo

La notte giunse, buia e profonda. I sussurri delle sue creature


erano coperti dal crepitio delle fiamme delle torce e di un piccolo
fuoco di ramoscelli.

Solo la voce del vento tra le fortificazioni di legno, teneva accesa


la certezza che il mondo era ancora vivo.

La pioggia del giorno prima aveva lasciato fango ed un odore di


fresco sul terreno.

La primavera si rifiutava di arrivare; come se il respiro della Morte


avesse permeato gli Elementi: Madre Natura stessa, offesa, era
avara di doni.

Troppe erano state le ingiurie arrecate a Lei e ai suoi figli; la sola


nobile risposta a tanta infamia fu freddo e silenzio.

Lacrime fredde di pioggia il giorno e l’urlo di un vento ribelle la


notte.

Troppo sangue innocente nella terra, troppo dolore nell’aria,


troppe grida nel cielo.

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1 – Beltram e Kildakel

L’odio non alimentava più l’animo di Kildakel; il suo corpo era


ancora forte, la sua spada corrosa dal sangue, il cuore solo una
pompa, la mente fredda come la neve.

Il turno di guardia era quasi finito, la luna stava annegando tra le


oscure cime di Green Torr; Kildakel sentiva il bisogno di un po’ di
riposo.

Gettò qualche pezzo di legna sul fuoco, e si preparò a soffiare nel


corno, una volta soltanto.

Era il segnale che tutto era tranquillo e che per lui era giunta l’ora
del cambio.

Il corno era piacevole al tatto. I fini ceselli nell’argento gli


evocavano ricordi di un tempo migliore, l’amore e la nobiltà della
sua gente.

Lanciò solo una breve nota di richiamo, anche se la maggior parte


degli uomini non riusciva a dormire in quelle notti.

Un rumore di passi sulla scala di legno gli fece capire che il


cambio stava arrivando.

Prese saldamente la torcia che illuminò il volto di Beltram.


Nemmeno lui aveva dormito, i suoi occhi erano accesi dall’attesa.

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- “Salve Kildakel.”
- “Salve.”
- “Sempre di poche parole, eh?”
- “Non ho niente da dire, Beltram.”

Troppe parole avevano saturato l’aria, da mesi; la maggior parte


di esse erano precipitate a terra, ed ora giacevano frammiste al
fango e al sangue.

- “So cosa vuoi dire. Hai bisogno di riposarti.”


- “Ci proverò….Tieni gli occhi e le orecchie bene aperti, e non
suonare quella tua dannata arpa come al solito; sentiresti una
freccia solo se ti trapassasse le orecchie.”
- “Ti preoccupi troppo, rilassati, non attaccheranno mai di notte.”

Kildakel lo fissò negli occhi per un istante e scese dalla torretta.

Quello che aveva detto Beltram non era vero: solo poche
settimane prima alcuni di quei porci si erano insinuati, di notte,
fino al villaggio e avevano gettato della carne putrida nei pozzi; in
più, tre donne erano state attaccate, pochi giorni dopo, mentre
raccoglievano l’acqua al ruscello.

I Druidi ed i Vecchi Saggi avevano a lungo discusso, cercando di


capire perché quegli uomini si ostinassero ad attaccare il loro
villaggio. La risposta era soltanto una: odio.

Un odio inspiegabile contro la bellezza e la pace. Laggiù non


c’erano né oro né gioielli da depredare, solo le ricchezze
dell’animo.

Cercavano di sottrar loro la bellezza, uccidendoli.

- “Le forze del Oscure odiano la Luce! Eravamo troppo luminosi;

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stanno cercando di oscurarci con nuvole d’angoscia e di terrore.
Non dobbiamo ascoltare la paura se vogliamo vincere!” – diceva
spesso Grimdell, un vecchio con una lunga e nobile barba. I più lo
credevano pazzo, ma sarebbe stato più saggio ascoltare le sue
parole, talvolta il divino si esprime attraverso la bocca dei folli.

Giunse il mattino, e trovò Kildakel addormentato da poche ore.


Giaceva in un sonno profondo, senza sogni.

Il martellare del fabbro lo svegliò, come al solito e, come al solito,


si domandò come quell’incubo sarebbe finito.

Un po’ di pane al miele addolcì i suoi pensieri.

Un nuovo giorno ebbe inizio; un tappeto di bruma sfiorava il


suolo, creando uno scenario irreale. Il martello del fabbro sul
ferro, scandiva il mattino in funerei rintocchi.

Beltram era ancora sulla torretta di guardia:

- “Ehi, Beltram, come va?”

Beltram smise di suonare l’arpa; chiuse le palpebre per un attimo


e scosse la testa come se stesse uscendo da una trance.

- “E’ una bella mattinata, non è vero?” – disse Beltram


- “Davvero bella! Non sarei sorpreso se uno spettro spuntasse
fuori della nebbia!” - replicò Kildakel
- “Sei sempre troppo drammatico!” – Beltram ricominciò a
suonare la sua arpa.
- “Stavo scherzando, chiama il cambio col corno e vieni giù da
quella torretta.”
- “Hoplà!”

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Un breve suono e Beltram saltando l’ultimo gradino della scaletta,
scese a terra senza aspettare il cambio.

- “Ma bel salto!” – lo schernì Kildakel – “Durante il prossimo


attacco, cosa farai? Suonerai per loro l’arpa cercando di
spaventarli? O forse gli canterai una canzone, saltellandogli
attorno ?”
- “Perché no!” – rispose Beltram con un sorriso – “Forse questo
potrebbe fargli cambiare idea.”

Beltram era un buon guerriero. In più, anche nei momenti


peggiori, era capace di strappare un sorriso dal volto.

Il tempo in cui la gente del villaggio viveva in pace era lontano.

Ormai da anni la furia di Dalmar attraversava il mare cercando di


sottomettere il popolo di Pahseron.

- “Questa sera ci sarà un altro Consiglio” – disse Beltram


- “Sì, l’ho sentito. Hai mangiato qualcosa?”
- “Non ancora. La musica è il mio cibo.”
- “Andiamo a mangiare?”
- “Andiamo!”

Raggiunsero presto il Dragon’s Inn. Il proprietario sicuramente


stava ancora dormendo; ma era un divertimento per i due tirarlo
giù dal letto e fargli preparare la colazione in pochi minuti: in quei
tempi i guerrieri erano molto rispettati, e la gente gli concedeva di
buon grado la licenza di essere sgarbati.

Prima di bussare alla porta Kildakel guardò la torretta: un altro


uomo era già montato di guardia.

C’erano quattro torrette nel villaggio, da due di esse era possibile

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controllare il mare, dalle altre due le sentinelle potevano avvistare
gli attacchi dalla vicina foresta.

Alte ed insormontabili cime rocciose proteggevano i fianchi del


villaggio.

Brunfir, l’oste, si era appena svegliato e stava per aprire la


locanda.

- “Salve Brunfir! Uova al formaggio e prosciutto… e latte con


miele, grazie!” – ordinò Beltram.
- “Sono costernato Signore … il formaggio è partito … solo latte e
uova ancora … il miele è finito. Tutto finito.”

Brunfir era originario delle Terre del Sud; non parlava ancora
molto bene la Lingua del Nord.

- “Oh Brunfir! Quand’è che rinnovi il menù?” - lo stuzzicò Beltram.

La solita pantomima, un mattino ordinava una torta di mirtilli, un


altro un arrosto di maiale. Sempre col medesimo risultato: latte e
uova.

- “Ho sentito delle strane voci ieri in strada.” - disse Kildakel


sedendosi al tavolo.
- “Che tipo di voci.” – chiese Beltram.
- “Un uomo proveniente dalle Terre dell’Ovest sosteneva di avere
visto gruppi di Orck muoversi sulle Colline Blu; temeva che
avessero l’intenzione di unirsi all’esercito di Dalmar.”
- “Orck? Ma sono mostri!”
- “Sì e non suonano l’arpa.”
- “Kildakel, ascolta un attimo! Come mai ogni tanto sei ostile verso
di me?”
- “Non sono ostile… dai, mangiamo qualcosa…”

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Arrivò Brunfir con uova e latte.

- “Orck!” – Sputò Beltram con un uovo in bocca.- “Li ammazzo


tutti!”
- “E’ solo una supposizione per il momento; sapremo di più
questa sera al Consiglio. Gli scouts sono tornati oggi dalla
perlustrazione. Avranno sicuramente notizie più attendibili.”
- “Sicuramente non buone…”
- “Ovviamente…!”

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2 – Dalmar

Il sole spuntò anche a Dalmar, nonostante buie nubi si stessero


radunando numerose sopra quelle terre.

Il vento non soffiava, un odore di putrefazione impregnava l’aria.

I fiumi sembravano stanchi di scorrere. L’acqua cadeva dalle


rocce senza scosciare.

Il muschio stava abbandonando la sua presa sulle pietre, ansioso


di raggiungere la pace del mare.

In quelle terre desolate Re Herrick si trastullava la mente con i


suoi sogni di potere.

Il suo castello raggiungeva il cielo dalla cima di un picco roccioso


come un urlo pietrificato.

Tutt’intorno, paludi e terrificanti abissi lo rendevano


irraggiungibile.

Egli aveva conquistato quasi tutte le Terre dell’Est, dal Pozzo


della Morte alle Colline Blu.

Fiumi di sangue erano stati fatti sgorgare dalle vene di gente


innocente dalle lame delle sue armate.

Non poteva ammettere come uno stupido villaggio nel nord


stesse ancora resistendo ai suoi attacchi.

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Questo bruciava la sua mente.

Una leggenda narrava che quel villaggio era protetto dal potere di
un lago sacro inscritto in un cerchio d’altissime montagne, col
potere di donare forza e saggezza, ma il Re non aveva mai
creduto a tali sciocchezze.

Nel corso della sua vita aveva imparato bene che il vero potere si
conquistava e manteneva solo con temibili armate e con le
capacità della mente.

Quella mattina si svegliò di pessimo umore e con una sete


terribile, come sempre.

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3 – Le Creature

La bellezza incantata delle Colline Blu era sfigurata da orde di


mostri.

Gli uomini usavano chiamarli “Orck”. Erano creature dell’Oscurità,


una leggenda raccontava che fossero usciti a migliaia un giorno
dal Pozzo della Morte, nel Sud Ovest.

In seguito si erano spostati nelle paludi delle Terre Occidentali.


Gli Orck erano molto corpulenti, non molto alti e puzzolenti.

Mangiavano prevalentemente animali morti, ma non lasciavano


da parte nemmeno ogni piccola creatura che riuscivano a
catturare. Per questo non era difficile convincerli ad unirsi ad un
esercito di soldati in cambio di buon cibo e un po’ di birra.

Anche se non era loro costume cacciare per nutrirsi erano terribili
in battaglia.

Molte strane creature abitavano quelle terre; la razza umana era


forse la meno popolare.

La più strana era certamente l’Obscurno, un mix tra un vampiro,


un demone e l’Ombra.

Non era del tutto cattivo; si nutriva di ragni, servivano al suo


organismo per secernere un veleno paralizzante.

Raramente attaccava per primo; ma quando lo faceva,

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paralizzava le vittime col suo veleno, quindi con denti eterei
succhiava loro parte della forza vitale, lasciandole quasi morte per
alcuni giorni.

Il tutto senza infliggere danni permanenti alle sue prede.

Poteva volare leggero, dato che non aveva un vero e proprio


corpo fisico; era materiale ed etereo allo stesso tempo, come
un’ombra.

Fortunatamente per gli umani e per le altre creature, anche se


completamente nero, il suo corpo emanava una luminescenza
che lo rendeva visibile la notte.

In accordo con la sua natura, durante il giorno dormiva, per lo più


in caverne umide, dove poteva trovare con facilità ragni per
colazione.

C’erano anche molte pacifiche creature, come i Gup.

Questi piccoli ma intelligenti esseri vivevano vicino ad un laghetto


riscaldato da geyser.
Amavano restare tutto il giorno, e buona parte della notte,
immersi nell’acqua, anche se non sapevano nuotare. Usavano
restare seduti nell’acqua tiepida mangiando i piccoli granchi che
vivevano tra le rocce, sgranocchiandoli con i loro denti aguzzi.

Ai Gup non dispiacevano neppure le bacche ed i frutti che


abbondavano nel vicino bosco.

La sola cosa che odiavano era vestirsi ed uscire dalla


confortevole acqua calda.

Era loro costume indossare soltanto stupendi gioielli con gemme

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e pietre preziose che trovavano tra le acque del lago.

I Gup erano amichevoli di carattere, eccezion fatta nei confronti


degli Obscurni e dei granchi.

Vicino a chiare cascate e in boschi puliti vivevano le Etheridi,


piccole e fragili creature dotate di poteri magici.

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4 - Il Viaggio di Dana

Dana stava spingendo il suo cavallo senza pietà. I suoi lunghi


capelli biondi danzavano nel vento come le onde di un mare
d’oro.

Era la figlia del Governatore di Dantaria, una contea nel Sud


Ovest.

Aveva sempre creduto nei benefici poteri d’Ellipticon, il Tempio


nell’isola di Pahseron.

Le voci che quelle terre fossero in pericolo avevano raggiunto le


porte di Dantaria.

Per molti giorni aveva implorato suo padre di mandare dei soldati
in difesa di quel sacro luogo.

Ma il vecchio uomo si era sempre dimostrato sordo alle sue


preghiere.

- “E’ troppo pericoloso.” – diceva – “Il viaggio e troppo lungo,


perderei metà del nostro esercito durante il viaggio. Conosco il
tuo cuore, cara, ma ho bisogno dei miei uomini qui per difendere
Dantaria.”

Così la fiera giovane scelse di partire per conto suo.

Dana decise giovanissima di diventare una guerriera; ora era una

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donna molto pericolosa, bravissima con l’arco e i pugnali da
lancio.

Stava spingendo oltre i limiti il suo cavallo per giungere a


Wernenstall prima del tramonto.

Là avrebbe trovato un letto per riposare e dell’acqua per


l’animale.

Era partita da casa una settimana prima in gran fretta, lasciando


soltanto poche parole scritte per il padre, nel timore di essere
fermata nel suo intento.

In pochi giorni avrebbe raggiunto il villaggio di Pahseron, laggiù


avrebbe potuto finalmente seguire i dettami del suo cuore per
difendere ciò in cui da sempre credeva.

Cavalcava dall’alba al tramonto attraverso boschi e foreste,


evitando sentieri e strade dove era probabile incontrare una delle
truppe di Herrick; scegliendo sempre la luce del sole, poiché la
notte non era più sicura.

Fino ad ora non aveva incontrato problemi di sorta.

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5 – Il Lago

Beltram e Kildakel uscirono dalla locanda. La bruma del mattino


aveva lasciato gocce luminose sull’erba.

Il vento era silenzioso. Un pallido sole lanciava i suoi raggi


attraverso i rari squarci tre le onnipresenti nuvole basse.

Il piccolo villaggio stava ancora resistendo poiché era costruito in


un punto strategico.

Da un lato la fitta foresta non poteva essere attraversata da una


grossa armata; dall’altro, il mare.

Dalle torri le sentinelle erano in grado di scorgere una nave anche


molto distante, in questo modo i guerrieri potevano prendersi il
tempo necessario per organizzare le dovute difese.

Grosse catapulte erano mantenute sempre efficienti sulla


spiaggia, e molte navi erano affondate in quelle acque.

- “Temo che quelle voci siano vere.” – disse pensieroso Kildakel.


- “Cosa te lo fa pensare?” – domandò Beltram.
- “Semplicemente questo: da un esercito di esseri umani il nostro
villaggio è una fortezza inespugnabile, da forze oscure siamo
ancora vulnerabili. Gli Orck non temono la Foresta.”
- “Mi chiedo cosa abbia Herrick nel cuore.” – Beltram sedette su
una roccia e cominciò a suonare la sua arpa.
- “… e nella sua mente.” – pensò Kildakel – “Vado al lago, ho

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bisogno di respirare un po’ d’aria pulita.” – disse dirigendosi verso
la porta sul muro settentrionale.

Il portale era costruito con pesante e robusto legno di quercia;


grossi catenacci di ferro lo assicuravano permanentemente
chiuso. Due guardie pesantemente armate sorvegliavano
l’ingresso.

- “Salve Kildakel!” – disse una di loro.


- “Salve Ross, devo raggiungere il lago, stasera ho bisogno di
rinfrancarmi la mente per il Consiglio di stasera.”

Le guardie aprirono la porta.

Un lungo tunnel scavato nelle roccia era l’unica via che


conduceva ad Ellipticon. Molte trappole era disseminate lungo la
galleria.

Profondi pozzi nel pavimento, lame affilate nascoste nei muri. In


più, un meccanismo era stato costruito in modo tale da poter far
crollare il soffitto e chiudere definitivamente il tunnel.

L’estrema difesa per proteggere il Tempio.

Kildakel accese una torcia anche se ricordava la posizione d’ogni


roccia della galleria.

Nessuno sapeva chi lo avesse costruito, forse l’origine del lago


non era naturale.

Forse una razza antica, forse Dèi.

Il lago era scavato in un unico enorme blocco di marmo bianco e


il suo perimetro descriveva un’ellisse perfetta, come l’orbita di un

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pianeta.

Nel fuoco settentrionale una colonna di marmo sorgeva dalle


profondità dell’acqua fino a pochi centimetri sopra la superficie.
Fini intagli decoravano la roccia levigata.

Chi dormiva in quel mistico luogo spesso aveva sogni molto


particolari.

Nelle sue acque vivevano milioni di creature di una specie molto


particolare, erano animali molto simili ai calamari, ma erano
trasparenti come meduse; il loro corpo aveva la forma di un lungo
prisma.

Quando il sole illuminava l’acqua, una luce iridescente inondava il


lago e la roccia bianca della montagna che lo circoscriveva.

Entrando in quel luogo in un giorno di sole era come annegare in


un mare di colori.
Là tutti i dolori e le sofferenze svanivano, e la mente poteva
galleggiare sopra le nuvole della tristezza raggiungendo quelle
alte a sicure zone dove lo spirito degli uomini diventava capace di
osservare le vicende mortali con saggezza e sapienza.

Kildakel raggiunse la fine del tunnel.

Sistemò la torcia nel suo supporto sul muro. Di fronte a lui la porta
che conduceva ad Ellipticon. Complicati disegni dipinti con colori
incredibili decoravano il portale privo di chiavistelli.

Depositò le sue armi in un cesto ed entrò in Ellipticon.

Un raggio di sole stava per tagliare le nubi e raggiungere le


acque.

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Kildakel si sedette vicino al lago e attese.

In pochi minuti i colori inondarono la montagna, l’acqua, e l’aria.


Una sottile cortina di nebbia sopra il lago creava un soffitto
d’arcobaleno.

La mente di Kildakel cominciò a danzare con i colori. Dietro i suoi


occhi rosso e nero, sopra il lago, una luce iridescente.

Le preoccupazioni circa il possibile attacco di Herrick avevano


creato una nebbia rosso sangue nella sua mente.

Un respiro.

L’aria fresca nei suoi polmoni gettò scintille azzurre nel rosso.

Un gran dolore salì dal suo cuore fino al cervello…oscurità.

Sbatté le palpebre in cerca della luce davanti a lui.


Un altro respiro … scintille viola dietro i suoi occhi.

Aspettò qualche secondo prima di espirare l’aria.

Una grande forza salì dai suoi piedi fino alla sua mente. Ora il
rosso e il nero stavano acquistando consistenza, luci bianche e
blu in essi.

Improvvisamente la nebbia di sangue rovinò dietro i suoi occhi;


soffiò fuori l’aria.

Il suo corpo era attraversato da scariche elettriche. Un balenio di


luce rossa uscì dalla sua bocca, galleggiò sopra il lago, virò al
violetto e quindi al bianco … inspirò di nuovo.

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Dentro … fuori!

Luci indaco e bianche nel suo respiro.

Ora la mente di Kildakel era pura come una cascata.

Una gran pace calò in Ellipticon.

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6 – Herrick e Drusilla

Era mezzogiorno passato e Re Herrick era ancora a letto mezzo


addormentato.
Si era svegliato per alcuni minuti poche ore prima, giusto il tempo
per tirare lo stola appesa sopra il letto per chiamare Drusilla. Lei
arrivò subito con il caffè, caldo e dolce.

Il suo corpo nudo e abbronzato era quasi invisibile nella stanza


buia, ma Herrick lo conosceva come le sue tasche, e poiché il Re
amava dormire nudo, trovò presto un posto caldo e piacevole
dove rinfrescarsi la memoria.
Ora lei giaceva tra le sue braccia; il caffè stava cominciando a
fare effetto. Re Herrick aprì gli occhi lentamente.
Il soffice seno di Drusilla sul suo petto lo aiutò a svegliarsi del
tutto.

- “Buon giorno.” – disse il Re.


- “Ciao schifoso…” – sussurrò Drusilla con un lungo, profondo
bacio.
- “Hmm… tesoro, non pensi che sarebbe meglio se mi lavassi i
denti prima?”

Drusilla lo fissò negli occhi per un attimo e gli sussurrò


nell’orecchio: - “Lo sai che non ci bado.”
Herrick sorrise e le diede un altro profondo bacio. Quindi scese
dal letto e aprì le finestre.

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- “Tutti i giorni questa merda di tempo! Nebbia, nuvole e vapori
puzzolenti dalle paludi. Uno di questi giorni dovrò ordinare a quei
vermi di buttare giù tutto e di costruire una bella serra di palme da
cocco.”
- “Sì.” – disse piano Drusilla dal letto – “Faremo l’amore tutto il
giorno tra i fiori tropicali.”
- “Puah!” – sputò Herrick – “Mettiamoci al lavoro! Per favore
chiama Hugo, voglio sapere se quei maiali degli Orck stanno
arrivando o se sputtanano il loro tempo per fottersi tutte le Etheridi
che incontrano per strada.”
- “Va bene. Vuoi mangiare qualcosa prima?”
- “No, cara, grazie. Ho una fogna nello stomaco. Magari più tardi.”
- “Non dovresti bere così tanto.”
- “E’ solo stress Drusilla, non ti preoccupare… sto bene.”

Hugo entrò nella stanza dopo pochi minuti con una pila di carte.

- “Buon giorno Sire. Avete dormito bene?”


- “Come un topo nel letame. Cosa sono quei pezzi di carta
Hugo?”
- “Il bilancio mensile, Sire.” – tremò Hugo.
- “Non ho bisogno di accendere il caminetto adesso, Hugo.” –
sussurrò il Re.
- “Ehm… Io penso che dovreste dargli un occhiata Sire, le uscite
stanno diventando parecchio pesanti, dovete sapere, tutti quegli
strani macchinari che avete comprato per Lady Drusilla…”
- “Mmhh…” – lo interruppe Herrick – “Io penso che la tua testa
stia diventando ogni giorno troppo pesante per il tuo sottile e
delicato collo, Hugo."
- “…chiedo venia, Vostra Maestà.” – Hugo cominciò a tremare
visibilmente. – “Di cosa Vostra Maestà aveva bisogno?” – riuscì a
spiccicare nascondendo il bilancio.
- “Ora va molto meglio, Hugo. Cosa sai degli Orck?”
- “Ottimo!” - riprese, sollevato – “I nostri messaggeri ci hanno

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comunicato che hanno accettato di buon grado di unirsi al Vostro
esercito, hanno lasciato le Montagne Nascoste una settimana fa.
Possiamo presupporre che attualmente stiano attraversando le
Colline Blu…”
- “Le Colline Blu?”
- “ … Vostra Maestà, gli Orck sono creature molto pigre, in più la
maggior parte di loro non hanno cavalli, il viaggio è molto
lungo…”

Il Re si alzò dal letto e si avvicino la sua bocca al naso di Hugo.


La cena della sera prima mista al vino arricchì il suo nobile alito.

- “Hugo, noi ABBIAMO tanti cavalli” – alitò il Re.


- “Si, Vostra Maestà, ho capito.”

Hugo s’inchinò e raggiunse la porta. Il Re raggiunse il letto.

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7 – Dana e l’Obscurno

Dana dovette fermare il cavallo. Un impetuoso fiume ruggiva di


fronte a lei.
Secondo le sue mappe doveva esserci un ponte da qualche
parte, ma da quel punto poteva vedere solo acque e rocce
scivolose.

Costeggiò per un po’ il fiume finché raggiunse una radura nel


bosco con una zona d’acqua ferma.

Dana approfittò di quell’opportunità per abbeverare il cavallo. La


sua pelle era madida di sudore; anche lei aveva bisogno di un po’
di riposo.

I suoi capelli erano pieni di foglie: aveva dovuto attraversare un


tratto di foresta e molti alberi stendevano bassi i loro rami; con il
suo vestito di pelle leggera Dana sembrava una ninfa.

Solo arco, frecce e pugnali rivelavano la sua vera natura.

Nella sua borsa c’erano carne secca, formaggio e acqua. Si


sedette vicino all’acqua per mangiare qualcosa.

La radura sembrava un posto sicuro, il vento sussurrava


gentilmente tra gli alberi, e un sole caldo brillava nel cielo.

Dana discendeva da un’antica stirpe di nobili guerrieri; i suoi

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antenati avevano sempre combattuto in difesa dei deboli e per il
giusto trionfo della libertà.

Non aveva mai visto Ellipticon, molti uomini anche in Dantaria


credevano fosse un luogo fantastico, solo una leggenda, ma lei
non era mai stata di questo parere; in più, gente innocente stava
soffrendo senza motivo nel Nord.
Dana aveva sentito nel suo cuore il desiderio di raggiungerli e
questo fu più che sufficiente a muovere il suo spirito.

Sfogliò la mappa masticando un po’ di formaggio. Poteva anche


non essere precisa: quell’area era lontana dai percorsi abituali.

Dana stava controllando la mappa, quando un rumore dietro di lei


le fece voltare la testa.

Un rumore di passi sui rami caduti.

Si alzò in piedi rapidamente ed estrasse i pugnali.

Da un cespuglio apparve un grosso lupo grigio. Dana si domandò


per un istante come mai quell’animale stesse cacciando da solo;
poi notò i suoi occhi: erano bianchi e vuoti come due fori nel
cranio.

- “Ciao carina.” – disse il lupo. La sua voce era dolce, come una
melodia.

Dana arretrò di un passo impugnando un pugnale per la lama


pronta a lanciarlo.

- “Che cosa sei?” – esclamò Dana.


- “Stai cercando il ponte, carina?” – cantilenò la bestia muovendo
pochi passi verso la ragazza.

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- “Fermo dove sei! Un altro passo e la tua vita è finita!”
- “Perché sei così spaventata. Ti posso guidare io, il ponte non è
lontano, solo pochi minuti in quella direzione.”

Il lupo indicò il luogo con una zampa come se fosse una mano; la
sua voce era davvero affascinante e catturò la mente di Dana
come un incantesimo.

Dana abbassò la guardia per un istante.

Immediatamente il lupo spiccò un salto nella sua direzione.

La ragazza restò abbagliata dai denti aguzzi bramosi del suo


collo; una strana luminescenza balenava tra le fauci del lupo.

Non c’era tempo per lanciare il pugnale, il lupo era troppo vicino
ormai, un altro salto e sarebbe stato sopra di lei.

Dana osservò le sue mosse.

L’animale spinse sulle gambe posteriori per spiccare l’ultimo


balzo fatale.

Dana si abbassò e quando la bestia le fu sopra, gli affondò il


pugnale nel petto trapassandogli il cuore.

L’animale cadde al suolo senza emettere un lamento.

Un’ombra nera fuoriuscì dal corpo dell’animale morto.

- “Un Obscurno!” – realizzò in un lampo Dana.

L’oscura creatura era ancora viva, evidentemente non era riuscita


a raggiungere una caverna quel mattino, e si era vista costretta a

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nascondersi nel corpo di un lupo.

Gli Obscurni potevano possedere le creature prive di volontà


anche se ciò costava loro un notevole dispendio di forze.
Essendo ormai esausto, aveva scorto in Dana una fonte
d’energia; raramente gli Obscurni attaccavano gli umani.

Ora la creatura era esposta al sole, il suo corpo d’ombra non


poteva esistere nella luce; così si accasciò al suolo e cominciò a
dissolversi.

Un triste lamento uscì dalla sua bocca, ma in pochi secondi fu


tutto finito.

La prossima pioggia avrebbe lavato via le poche tracce nere


rimaste sull’erba.

Dana inspirò profondamente e si lavò il viso nell’acqua fresca del


fiume.

Dopo pochi minuti trovò il ponte. Era proprio dove l’Obscurno


aveva detto

- “In fondo non era del tutto cattivo.” – pensò.

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8 – La Foresta

La foresta vicino al villaggio era molto antica; alberi secolari


salivano alti centinaia di metri nel cielo, coperti di spesso
muschio.

Tra gli alberi, incantevoli ruscelli scrosciavano gentilmente. Non


c’erano sentieri visibili per attraversarla.

La gente del villaggio nutriva un profondo rispetto per la Natura.


La foresta era rimasta intatta da secoli.

Per questo motivo tutte le creature che vivevano laggiù, compresi


alberi e cespugli erano grati di questo, ed ognuno di loro
mostrava il proprio amore in accordo con la loro natura.

Il Popolo delle Etheridi che un tempo viveva in quasi tutti i boschi


e le foreste di quelle terre, aveva trovato un rifugio sicuro nella
Grande Foresta; solo un altro piccolo gruppo ancora viveva sulle
Colline blu.

Quelle creature erano molto gentili e aggraziate.

Avevano un aspetto umano ma erano un po’ più piccole di


dimensioni. Le loro ossa erano cave. Sulle spalle delle femmine
un paio di ali iridescenti si spiegavano nell’aria.

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I maschi non potevano volare.

Le Etheridi avevano anche poteri magici; erano in grado di privare


della vista, e per parecchie ore, qualsiasi creatura vivente,
compresi gli esseri umani.
Usavano i loro poteri con saggezza ma a volte anche per puro
dispetto.

Avevano inoltre il dono della telepatia ed erano in grado di lenire il


dolore e di curare alcune malattie.

Al termine della foresta si stendevano le grandi pianure.

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9 – Il Consiglio

Beltram stava accordando l’arpa quando Kildakel ritornò al


villaggio.

- “Com’era l’acqua, fredda?” – chiese Beltram.


- “Colorata.” – rispose Kildakel
- “Hai preso qualche seppia?”
- “Cosa ti succede Beltram?”

Beltram abbassò lo sguardo, pensoso.

- “Senti, la nostra vita non ha senso, stiamo sprecando il tempo


aspettando di morire nella prossima battaglia.”
- “Se hai qualche piano dillo questa sera al consiglio.”
- “Penso che dovremmo andare nelle Terre del Sud e cominciare
un’altra vita.”
- “Credo che faresti meglio ad andare al lago, Beltram.”
- “Preferisco le donne.”

Kildakel non rispose.

Erano in corso i preparativi per il Consiglio.

Un grosso braciere era già stato piazzato nella piazza principale.


Tutt’intorno erano stati sistemati i posti a sedere, in modo da
descrivere un gran cerchio.

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Quello era un consiglio pubblico; tutti potevano partecipare ed
esprimere il loro pensiero.

I posti a sedere erano riservati ai Druidi, ai Vecchi Saggi e ai


guerrieri più valorosi.
Tutti gli altri, uomini e donne, potevano assistere in piedi.

Grossi falò con enormi spiedi erano sparsi un po’ dappertutto


pronti per essere accesi.

Qualunque fosse stato l’esito dell’assemblea, alla fine ci sarebbe


stata una gran festa, con buon cibo e musica per tutti.

La gente del villaggio non avrebbe permesso che piani di Herrick


intaccassero il loro amore per la vita.

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10 – Dana e Theodore

Dana viaggiava velocemente.

Il tramonto era prossimo quando raggiunse una piccola città sotto


il Monte Wernen.
Se fosse riuscita a mantenere questo ritmo, sarebbe arrivata alla
Foresta la sera dopo.

Il Governatore di quella città era un vecchio amico di suo padre,


anche se quella contea era caduta da anni sotto il dominio di
Herrick.

Le porte della città erano aperte, ma due guardie con gli emblemi
di Herrick sulle uniformi la guardarono minacciose.

- “Alt!” – le guardie incrociarono le lance – “Chi va là!”


- “Il mio nome è Rose. Vengo da Sinthia.” – mentì Dana.

Sinthia era una città molto amata da Herrick.

- “Ho un messaggio per Sir Theodore, il Governatore.”


- “Che tipo di messaggio?” – domandò la guardia.
- “Niente che possa interessarti! Conducimi dal Governatore.”

La guardia la osservò pensosa per un istante, quindi urlò


qualcosa ad un altro soldato dentro le mura.

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- “Hail!” – urlò di rimando il soldato.
- “Vai al palazzo del Governatore e chiedigli se conosce una certa
Rose da Sinthia.” – ordinò la guardia.
- “Aspetta!” – disse Dana scendendo da cavallo – “Per favore
soldato, puoi dare questo a Sir Theodore.” – sorrise porgendogli
un anello.
- “Aha!” – rise la guardia, posso immaginare che tipo di
messaggio hai per Theodore…

L’anello era il dono che il Governatore le aveva fatto il giorno della


sua nascita.

Il soldato era ancora in attesa di ordini.

- “D’accordo!” - decise la guardia dopo aver osservato


attentamente l’imperturbabile viso di Dana – “Consegna l’anello al
Governatore.”

Il soldato scomparve dietro le imponenti mura di Wernenstall. Le


due guardie sulla porta risero fragorosamente mostrando
impunemente i loro pensieri.

Dana attese pazientemente l’arrivo di Theodore accarezzando il


suo cavallo. Non dovette aspettare a lungo.

- ”Dana!” - sorrise Theodore – “Quale sorpresa!”


- “Ehi!” - trasalì una delle guardie – “Un momento! Ha detto di
chiamarsi Rose non Dana!” - incalzò piantando i suoi occhi fissi
sul Governatore.

Theodore realizzò immediatamente di aver commesso un grave


errore.

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- “Soldato!” - rispose impassibile – “Non hai il permesso di
indagare nella mia vita privata!”
- “Chiedo scusa, Signore. Ma sto eseguendo le direttive di Re
Herrick.” – replicò prontamente, sbarrandogli la strada con la
lancia.
- “Soldato!” - ruggì Theodore – “Sono ancora io il Governatore
di questa città! Non dimenticartelo...! Ho ancora il potere di
sbatterti in una segreta!”

Theodore si avvicinò di un passo alla guardia scostando la lancia


e cambiò il tono della sua voce:

- “Apprezzo molto il tuo senso del dovere, soldato, ma non


permetto a nessuno di sbarrarmi la strada!”
- “Chiedo scusa Signore.” - disse la guardia ritirando l’arma.
- “Dana è soltanto un nomignolo, soldato, ed è mia ospite.”
- ”Agli ordini Signore!” - bofonchiò la guardia.
- “Carissima Rose, che tu sia la benvenuta in Wernenstall!” -
disse il Governatore afferrando le briglie del suo cavallo.
- “Un bel giorno ti taglierò le palle!” - Sussurrò Dana nell’orecchio
della guardia, ora di nuovo impassibile, attraversando la porta.

Al soldato non rimase che masticarsi i denti.

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11 – Il Tempio

Al villaggio tutto era pronto per il Consiglio; ogni sedile era


occupato.
Un lungo, profondo suono del corno radunò la gente nella piazza.

Un’altra lunga nota echeggiò nell’aria; l’assemblea ebbe inizio.

Un grosso falò era stato acceso alcune ora prima. Ora il carbone,
rosso e vivo, stava pulsando nel braciere.

Un Druide si avvicinò. Pochi grani d’incenso furono sufficienti a


profumare l’aria.

- “Per la Saggezza degli Anziani!” - sussurrò.

Quindi prese alcune erbe e le lasciò cadere sul carbone ardente.

- “Per la Forza dei Guerrieri!” - disse.

Da una brocca versò alcune gocce d’acqua sul fuoco.

- “Per la Conoscenza delle Donne!”

Ora una cortina di fumo profumato stava galleggiando sopra


l’assemblea.

Il Druide si spostò di fronte al braciere, e con un piccolo


ramoscello di nocciolo tracciò alcuni segni nell’aria ad ogni punto
cardinale, sussurrando parole incomprensibili per i presenti.

Quindi ritornò descrivendo nell’aria un gran cerchio.

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Dopo una breve preghiera batté il suolo con un lungo bastone.

- “Che la Luce discenda su quest’assemblea!” - disse, solenne.

Un’altra profonda nota uscì dal corno; il Consiglio ebbe inizio.

Grimdell prese per primo la parola.

- “Le forze Oscure detestano la Luce! Eravamo troppo luminosi;


stanno cercando di oscurarci con nubi cariche di paura! Non
dobbiamo ascoltare la paura se vogliamo vincere!” - questo
spesso diceva Grimdell, un vecchio uomo con una lunga barba. –
“Molta gente pensa che io sia pazzo, ma farebbero meglio ad
ascoltare le mie parole. Talvolta il divino parla attraverso la bocca
dei folli!”

- “Per cortesia, Grimdell...” - disse il Druide sorridendo – “... prova


a dire qualcosa di diverso qualche volta.”

- “Le Forze Oscure...” - riprese il vecchio.

Grimdell fu accompagnato a casa con il conforto di una bottiglia di


birra per la notte.

Il Druide versò altro incenso sul carbone.

Beltram iniziò a suonare l’arpa.

Tutti i membri del Consigli voltarono la testa nella sua direzione.

- “Sono un musicista!” - disse il guerriero senza smettere di


suonare.

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Beltram fu accompagnato fuori dell’assemblea con una bottiglia di
sidro.

Il Druide bruciò altre erbe profumate.

Due sedili erano vuoti ora, e due donne, dopo aver chiesto
licenza al Druide presero parte all’assemblea.

- “Mi domando...” - iniziò una di loro – “...se Herrick abbia una


mamma...”

Il Druide iniziò a mostrare segni di nervosismo.

- “Lo dico...” - continuò – “...perché potremmo scriverle una


lettera...”

La donna fu condotta via dall’assemblea con una bottiglia di vino.

Il Druide verso l’intero contenuto della brocca sul carbone.

Il fuoco si spense.

- “Forse sto diventando troppo vecchio per questo lavoro.” -


pensò.

- “No, non sei troppo vecchio.” - una bellissima Etheride stava


volando sopra le loro teste. – “Tutti voi siete vittime di un potente
incantesimo. Herrick vi sta attaccando con forze oscure; per
questo la vostra mente non è lucida come dovrebbe.”

- “Cosa dici?” - protestò il Druide – “Herrick non ha la più pallida


idea di cosa sia la magia!”

- “No, ma ha un potente Mago al suo servizio; noi Etheridi

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possiamo sentire la malvagità di quell'uomo. E’ molto forte;
incenso ed erbe non sono sufficienti! Questa magia è potente! Se
non trovate presto una soluzione, le vostre menti non
riconosceranno più la Vera Luce ...posso dirvi di più: quel Mago
ha un esercito d’Obscurni al suo comando. Tutto ciò mi è stato
riferito dalle nostre sorelle che abitano le Colline Blu. Siate
prudenti! Devo andare ora; questo posto sta diventando troppo
tetro per i miei gusti.”

L’Etheride volò via.

Il Druide sembrò improvvisamente molto stanco.

Cadde sulle ginocchia, sembrava assorto in una silenziosa


preghiera.

Kildakel si alzò in piedi: “Basta!” - esclamò – “Il Consiglio


proseguirà in Ellipticon!”

Udendo queste parole il Druide si riprese e disse:

- “Hai avuto un’idea molto saggia, guerriero! Nessun potere


oscuro non ha mai turbato la sacra pace d’Ellipticon. Uomini,
prendete cinque grandi bracieri! Uno di essi deve essere più
grande degli altri, e portateli nel Tempio!” - ordinò.

Tutti i trabocchetti posti lungo il tunnel che conduceva al lago


sacro furono resi inoffensivi per permettere alla gente di passare.

Ellipticon non aveva mai visto una folla così grande radunarsi
attorno alle sue acque.

La notte era fredda e silente.

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Tutti tacevano.

Il braciere più grande fu posto nel punto più a nord del Tempio,
così come aveva disposto il Druide.
I rimanenti quattro furono posti in punti equidistanti tra loro vicino
al perimetro del lago.

Il Druide, dal Portale, sorvegliava che tutto fosse svolto nel


migliore dei modi.

- “Ben fatto!” - disse.

Intanto nubi minacciose si stavano radunando sopra il lago. La


luna fu presto oscurata. Solo una debole luminescenza
proveniente dalle sconosciute profondità del lago ancora
rischiarava il Tempio.

- “Dobbiamo accendere ora i fuochi nei bracieri, nobile Druide?” -


domandò un uomo.
- “Non ancora.” - rispose – “Solo le torce per ora.”
- “Che cosa pensi di fare?” - chiese Kildakel.
- “Dobbiamo contrastare quelle nubi, non sono naturali. Ellipticon
ha molti poteri segreti.”

Il Druide chiuse il Portale, dietro di se. Sul lato interno erano


incise frasi scritte in una lingua dimenticata. Quindi ricopiò alcune
di esse su di una pergamena. Poi si avvicinò alle acque del lago.

- “Silenzio!” - tuonò – “Che nessuno parli!”

Molti trattennero il respiro. Aprì la pergamena ed iniziò a parlare


al lago in una strana lingua.

- “Allosh ta! Rgash kayeuta! Seeashh! Olma ta gore! Itta itta

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lincxss! Allosh ta! Allosh ta!”

Quindi ordinò di accendere il braciere a Nord, poi tutti gli altri.

Altre incomprensibili parole ruppero il silenzio.

- “Efsalem! Ori to kaileh!”

Un rumore cupo e profondo salì dalle profondità del lago.

La luce dell’acqua mutò di colore, dal blu pallido al violetto


brillante.

Improvvisamente la colonna di roccia emerse dall’acqua.

La folla osservava incredula.

Con una rapidità sconcertante, in pochi secondi la punta


dell’immane colonna sormontava la montagne, rivelando che la
parte sommersa non fosse di marmo, ma di cristallo.

Sembrava toccare le nuvole.

Un cristallo luminoso.

Era di un materiale capace di conservare nella sua struttura i


colori del lago di giorno.

Ora, un vortice di scintille colorate stava salendo dall’acqua


descrivendo una spirale intorno al cristallo. In pochi secondi i
colori raggiunsero il cielo. Scintille rosse e blu illuminarono le
nuvole.

Un assordante rombo di tuono squarciò l’aria.

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Le nubi scure implosero, come risucchiate dalla colonna di roccia.
Due spirali ora si muovevano rapide attorno ad esso: una
luminosa saliva verso l’alto, ed una nera, dal cielo, s’inabissava
nelle profonde acque di Ellipticon.

In pochi minuti il cielo divenne chiaro, illuminato da un balenio di


luci; l’acqua del lago, invece, divenne nera come l’inchiostro.

La superficie cominciò a contrarsi, come se l’acqua stesse


ribollendo.

Un possente rombo salì dalle profondità d’Ellipticon e un cono di


luce scaturì dal lago illuminando il cielo, un arcobaleno di colori.

Le acque tornarono di nuovo limpide e cristalline; nel cielo iniziò


un’aurora boreale.

- “Ci sono riuscito!” - sussurrò il Druide – “L’incantesimo è


spezzato!” - gridò – “Quel mago avrà presto un gran brutto mal di
testa.” - pensò.

Tutta la gente gridò di gioia. Ci sarebbe stata una gran festa al


villaggio, quella notte.

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12 – Il Mago Duregall

Drusilla stava osservando lo strano marchingegno davanti a lei,


l’ultimo regalo di Herrick.

Un gran letto di soffici e colorati cuscini era stato approntato nel


centro della Stanza della Sera, una delle nove camere del
castello riservate per lei.

Da laggiù poteva comodamente osservare il tramonto, ma questa


volta era molto più interessata al suo nuovo giocattolo.

Sospeso sopra il letto vi era uno schermo zeppo di cristalli,


collegato ad una misteriosa e strana macchina costruita dal mago
Duregal. Quell’impianto era in grado di immagazzinare la luce del
sole, durante il giorno, in un contenitore nella torre meridionale
del castello; quindi un intricato sistema di tubi di cristallo la
incanalava dalla torre allo schermo sopra il letto.

Drusilla aveva sempre avuto molta cura della sua pelle dorata.
Ma ultimamente in Dalmar il sole splendeva sempre più di rado;
per questo, Herrick aveva ordinato al mago di trovare subito una
soluzione.

Quel macchinario era il risultato di mesi d'esperimenti, ed ora


Drusilla poteva avere il sole anche durante la notte. Eccitatissima,
girò la manopola su “Luce di Mezzogiorno”.

Immediatamente una calda luce solare fuoriuscì dai cristalli.


Drusilla lasciò cadere distrattamente i pochi vestiti leggeri che
aveva addosso e si accoccolò tra i cuscini, facendo le fusa in quel

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piacevole tepore.

Herrick entrò nello studio di Duregal. La stanza era illuminata solo


da candele nere.

- “Salve mago!” - disse Herrick – “Disturbo?”

Duregal si trovava in piedi davanti a una mappa in rilievo


raffigurante il villaggio in miniatura; in essa il lago mancava:
evidentemente egli non ne conosceva l’esatta posizione.

Mentre Herrick entrò, il mago stava facendo sgocciolare della


cera nera da una candela sul villaggio, sussurrando strane parole.
Sollevò la testa dalla scena per un istante, giusto per dire:

- “Sì, disturbate!”

Quindi riprese a lavorare sul suo incantesimo.

Herrick si avvicinò al tavolo.

- “Che bel plastico” - disse il Re – “Lo hai fatto tutto da solo?” -


Herrick era ubriaco come la maggior parte delle sere.

Duregal lo fissò per un istante negli occhi; il lampo d’odio che


scoccò tra i due avrebbe potuto accendere una candela.

Il Re cominciò a ridere; amava prendersi gioco del mago, come di


chiunque altro.

Duregal non si curò di lui a lungo; versò altra cera nera, delle
misture d’erbe e carbone e tuonò:

- “Che l’Oscurità avvolga Pahseron!”

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Quindi spense le candele e accese le torce appese alle pareti.

Il Re stava ancora ridendo.

- “Ti stai allenando o cosa?”


- “Non mi stavo allenando, Vostra Maestà. Ho appena scagliato
un potente attacco contro la sanità mentale dei vostri nemici.
Vostra Maestà non dovrebbe scherzare su queste cose.” -
Rispose Duregal con un tono minaccioso.

- “Vedo... So che sei un esperto in queste questioni.”


- “Esattamente. Conosco i segreti della Magia Nera sin da
quand’ero ragazzo, oggi posso affermare...”
- “Non mi riferivo alla magia.” – lo interruppe Herrick.
- “A cosa si riferiva, sire?”

Herrick cominciò a passeggiare su e giù per lo studio con


un’espressione pensierosa in volto.

- “Mi sono appena reso conto...” – proseguì il Re – “... che ora so


con certezza in cosa sei veramente esperto.”
- “In cosa, Vostra Maestà?”
- “In malattie mentali!”

Duregal stava bruciando di rabbia quando un assordante rombo


di tuono ruppe il silenzio.

Herrick non riusciva più a trattenere le risate.

- “Duregal! Che succede? Hai fatto la danza della pioggia?”

Il mago aprì le finestre pensoso. Un poderoso vento invase la


stanza spegnendo le torce.

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- “Aha! Un’altra magia! E’ andata via la luce! Che l’Oscurità
avvolga Dalmar!” - continuò il Re.
- “Vi ho già detto di non scherzare sulla magia; tutto ciò ha l’aria di
essere un vile contrattacco!” - disse gravemente Duregal.

Herrick smise di ridere.

- “Di che diavolo parli, mago?”


- “Guardate quelle luci nel cielo: non sono lampi naturali; questa
è magia! E sembra anche molto potente.”

Il vento crebbe d’intensità; gli alberi si piegavano sotto la sua furia


impetuosa.

Un altro profondo tuono squarciò l’aria.

Le candele e i quadri appesi alle pareti caddero.

- “Questo è un terremoto” - esclamò Herrick – “Dov’è Drusilla?”

Drusilla era sotto la lampada mezza addormentata; sdraiata sul


letto di cuscini non si era ancora accorta del terremoto.

Quando Herrick raggiunse la sua stanza, il cielo s’illuminò a


giorno: bagliori colorati stavano provenendo da nord, illuminando
le nuvole del cielo di Dalmar, mentre la terra tremava
pericolosamente.

Il grosso cristallo posto sulla torre meridionale e collegato col letto


solare di Drusilla, cominciò a vibrare.

Quando il mare di luce nel cielo raggiunse il castello di Herrick, un


unico potente fulmine colpì il cristallo.

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Un acre odore di pelle bruciata inondò la Stanza della Sera.

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13 – La Festa al Villaggio

Era quasi l’alba, ma al villaggio la festa non era ancora finita.

Anche molte Etheridi e alcuni Gup avevano partecipato ai


festeggiamenti, attratti dalla musica e dal profumo del maiale
arrosto.

I flauti di Pan delle Etheridi stavano ancora riempiendo di gioia i


cuori degli uomini.

Per tutta la notte avevano volteggiato sopra il villaggio suonando


canzoni che risollevavano lo spirito.

Le ragazze più giovani ancora danzavano, sorridendo ai guerrieri.

Il sole stava sorgendo. Una leggera brezza dal mare non


permetteva alla nebbia di condensarsi come al solito. Cielo e aria
erano cristallini quella mattina.

Poi le donne cominciarono a spegnere i falò. La festa era finita.

Grimdell era seduto sotto un albero con un largo sorriso dipinto


sul volto. I suoi vecchi occhi brillavano di felicità.

Kildakel non stava ridendo per nulla, aveva ancora nelle narici
l’odore del sangue dell’ultima battaglia.

Saltò sul cavallo; sapeva benissimo che un periodo molto duro lo


stava aspettando.

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Aveva combattuto soltanto una volta sino ad ora contro un Orck.

Non aveva mai temuto gli uomini; nel momento in cui un altro
guerriero decideva di sfidarlo, Kildakel non aveva alcun pensiero
oltre la sua sopravvivenza.

Non aveva tempo di pensare al coraggio del suo antagonista.


Non attaccava mai per primo; se qualcuno decideva di farlo,
costui aveva già messo in conto la possibilità di morire. L’aveva
scelto; in qualche modo.

Per questo Kildakel non sentiva colpe nel suo cuore.

Contro gli Orck era diverso.

Ogni uomo, anche il più malvagio, manteneva sempre una


scintilla di coscienza nel suo cuore, e Kildakel aveva sempre la
possibilità di scoprire il suo lato debole.

Gli Orck erano meno degli animali; così per vincere si doveva
essere più bestiali ancora per intuire in anticipo le loro mosse.

Come Kildakel, gli Orck non temevano la morte. Gli Orck non si
curavano neppure della stessa vita.

Per trovare pace nei suoi pensieri, cavalcò per un po’ sulla
spiaggia, respirando la fresca aria del mattino.

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14 – Lutracon

Dalle abissali profondità di un’umida caverna, Lutracon stava


dormendo nel silenzio.

Le gocce dalle stalattiti erano le uniche cose che indicavano lo


scorrere del tempo.

Da secoli il grande drago non aveva trovato nel suo cuore una
buona ragione per svegliarsi.

L’ultimo terremoto aveva staccato una piccola candela di roccia,


che dal soffitto della caverna rovinò sulle suo possenti spalle.

Una scossa elettrica attraversò la sua immensa spina dorsale.


Lutracon socchiuse occhio e la sua lingua incontrò il profumo
dell’aria.

Un profondo ruggito gli scaturì dai polmoni.

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15 – La Ricerca di Dana

Dana dormì solo poche ore. Passo la maggior parte del suo
tempo a parlare con Theodore circa gli ultimi avvenimenti.

Il vecchio uomo appariva molto preoccupato circa l’impresa che la


giovane donna aveva iniziato. Ma una fiera luce balenava anche
nei suoi occhi mentre ne ascoltava le parole, mostrando così i
suoi più sentimenti profondi.

- “Lo so che sto rischiando la mia stessa vita in questo viaggio.


Mio padre mi ha tramandato il sentimento di combattere per i miei
ideali. Quando una persona è capace di conservare nel suo cuore
la forza di seguire i propri princìpi, significa che ama veramente la
vita. Mentre è impegnato a fare questo non teme la morte.
L’amore diviene eterno in questo modo, e l’eternità non conosce
la morte.” - sentenziò Dana.

- “Cara, tu parli bene. Ma hai considerato che Ellipticon potrebbe


essere solo una leggenda?” - domandò Theodore.
- “Ellipticon è sempre esistito nel mio cuore! Per ora è la cosa più
reale di tutte. Questo è più che sufficiente per me. Se non esiste
significa che il mio errore sarà stato quello di cercare un luogo
sacro nel mondo invece di cercarlo nella mia anima. Se Ellipticon
esiste veramente non riuscirò mai a perdonarmi se un giorno
dovesse cadere nelle mani di Herrick. In entrambe le ipotesi non
avrò sprecato il mio tempo!”

Queste furono le sue parole prima di andare a dormire. Theodore


rimase senza parole, con un fiero e soddisfatto sorriso sulla
bocca.

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Il cavallo di Dana stava lappando un po’ d’acqua, quando la
giovane guerriera si avvicinò. L’animale alzò di scatto la testa
scrollando gocce tutt’intorno a se.

Ora c’era una guardia diversa sulla porta.

- “Ti ritroverò sulla strada del ritorno.” - pensò, spronando il


cavallo.

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16 – Gli Orck

Un lurido sentiero di sporcizia attraversava le Colline Blu; resti


d’ossa masticate ed escrementi erano la palese traccia del
passaggio dell’esercito degli Orck.

Stormi di mosche prosperavano nell’immondizia, nascendo e


morendo a migliaia in quella disgustosa fogna sotto il cielo aperto.

Gli Orck avevano raggiunto la grande pianura, alla base delle


colline blu. Di quel passo, in pochi giorni avrebbero raggiunto la
foresta.

Uno dei loro sergenti gorgogliò alcuni ordini. Metà dell’armata


stava ancora dormendo, sbavando saliva e altri liquidi sull’erba
blu.

L’altra metà stava scavando tra gli escrementi del giorno prima in
cerca di qualcosa di commestibile per colazione.

All’orizzonte una nube di polvere si stava avvicinando. Il sergente


gorgogliò più forte.

Gli Orck potevano parlare, ma preferivano usare la lingua in altri


modi.

In pochi minuti i soldati di Herrick raggiunsero l’armata degli Orck.

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17 – L’Armata di Dalmar

Herrick era ancora sveglio quella mattina; per tutta la notte


Drusilla si era lamentata a causa della sua pelle bruciata.

Il Re era fuori di sé. Più di una volta si era domandato in che


modo avrebbe potuto ucciderla.

Oltre ai lamenti aveva dovuto sopportare l’odore di menta


dell’unguento di Drusilla. Non aveva dormito una singola ora, e
questo non accadeva da anni.

Si alzo dal letto gettando distrattamente le lenzuola sulla pelle


rossa di Drusilla.

- “Idiota!” - urlò – “Deficiente!”

E riprese a spalmare unguento alla menta sulla pelle arrossata.

- “... Re dei miei coglioni!”


- “Drusilla, meglio che la smetti...”
- “... sovrano della puzza del mio culo!”

Il Re apri la porta:

- “HUGO!” - urlò nel corridoio.


- “... Imperatore delle mie... “
- “Drusilla...” - sussurrò il re – “Sto perdendo il mio regale
autocontrollo.”
- “... povero scemo!”

Drusilla saltò fuori del letto e raggiunse il bagno sbattendo la

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porta.

Herrick stava bruciando di rabbia quando Hugo infilò la testa nella


porta.

- “Buongiorno Sire.”

Il Re girò la testa nella sua direzione senza profferire parola.

Immediatamente Hugo si sentì in imbarazzo.

- “... volevo dire ... spero abbia trascorso una buona notte, Sire.”

Herrick si avvicinò al viso di Hugo sorridendo silenzioso.

- “... ehm... forse Vostra Maestà gradirebbe... un po’ di... caffè?”


- “Sua Maestà gradirebbe una tazza del mio piscio!” - urlò Drusilla
dal bagno.

Il Re fermò un respiro in gola e parlò molto calmo.


- “Hugo, hai fatto il bilancio dei danni?”
- “Naturalmente Signore.” - estrasse una pergamena – “Dunque,
la Torre Settentrionale reca una lunga crepa, credo che in un
mese potrebbe essere restaurata. La macchina di Lady Drusilla è
completamente distrutta; Sir Duregal ha detto che non può
ripararla perché non ha più cristalli. Il terremoto ha inoltre rotto i
condotti fognari; per due mesi saranno inutilizzabili. Se aprite le
finestre vi renderete conto del perché. Il ponte meridionale è
anch’esso inutilizzabile; potrà essere riparato in pochi mesi. Una
parte del tetto del castello è caduto, credo che... “

- “Basta così! Grazie Hugo. Leggerò il resto del bilancio da solo.”


– lo interruppe Herrick – “Prepara il mio cavallo, voglio parlare ai
soldati.”

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- “Sempre ai vostri ordini, Vostra Maestà.” - replicò Hugo
- “Baciami il culo!” - rispose Drusilla dal bagno.

L’esercito era schierato in attesa del Re.

Herrick arrivò sul suo cavallo bardato, indossando un’armatura


scintillante.

Duregal assisteva alla scena dalla balconata.

Il Re cominciò a trotterellare su e giù esaminando la formazione.

Sulla prima linea la fanteria: grossi scudi con il muso di un lupo


dipinto su di essi. Sulla seconda gli arcieri, quindi la cavalleria.

Lunghe lance mostravano le loro terribili lame taglienti sullo


sfondo. Gli stendardi rossi con il lupo nero si stavano muovendo
lentamente nel debole vento del mattino.

- “Soldati!” - gridò – “Il tempo è giunto!”

Girò il cavallo tenendo gli occhi fissi sull’armata silenziosa.

- “Tutti voi sapete bene che da anni un villaggio di vili contadini


resiste al potere di Dalmar.”

Un mormorio percorse le linee.

- “Tutti voi ricordate quanti fratelli avete perso nell’ultima


battaglia.”

Molti cavalli colpirono il terreno con gli zoccoli, percependo il


nervosismo degli uomini.

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- “Bene! E’ giunta l’ora della riscossa!”

Herrick fermò il cavallo e rimase in silenzio per alcuni minuti;


analizzò l’umore dei soldati. Gli uomini avevano lo sguardo fisso
nel vuoto.

- “Lo so che abbiamo già tentato di attraversare la foresta


perdendo molti dei nostri uomini, ma ora le cose sono cambiate!”

La maggioranza dei soldati stava guardando a lui, ora, dal


balcone Duregal assentiva in silenzio, ben cosciente che molti
uomini lo stavano osservando.

- “Sapete anche che nemmeno il mare è una buona via, e che


non possiamo dividere l’esercito per attaccare su entrambi i fronti.
Ma siatene certi! Questa volta non rischierò di perdere neanche
un soldato per sottomettere quelle merde fottute.”

Ora aveva la totale attenzione dell’esercito. Spronò il cavallo e


parlò più forte.

- “Un altro esercito farà il lavoro sporco al posto nostro! Esatto! Il


potente esercito degli Orck si sta avvicinando alla foresta,
cavalcando sotto le bandiere di Dalmar.”

Un altro mormorio percorse le linee dei soldati.

- “Toccherà agli Orck di morire in battaglia questa volta; a noi non


resterà altro che sferrare l’attacco finale dal mare, quando
l’esercito dei nostri nemici sarà decimato. Gli altri moriranno, a noi
resteranno i tesori ... e le loro donne!”

Molti soldati risero con approvazione.

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- “E non è tutto!”

Ora tutti i soldati lo guardavano in silenzio.

- “Abbiamo un altro asso nella manica.”

Il Re fermò il cavallo nel mezzo della formazione, mostrando un


intrigante sorriso.

- “Sir Duregal, con i suoi magici poteri, è riuscito ad incantare


centinaia d’Obscurni! Ora sono nostri schiavi....succhieranno la
vita dagli assassini dei vostri compagni!”

- “Yeah!” - Urlarono all’unisono i soldati.

- “La vendetta sarà molto dolce questa volta!”

Ora tutti i soldati erano eccitati.

- “Soldati di Dalmar! Siete pronti a seguirmi?”


- “Sì!” - Ruggì l’armata.
- “Per la Gloria di Dalmar!” - urlò il Re.
- “Per il Potere di Dalmar!” - tuonò l’armata.

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18 – Il Sogno del Drago

Lutracon dormiva nel suo antro.

Nei suoi sogni di drago, il lento movimento delle galassie era


costante e magnifico nella sua incredibile maestosità.

In tutta la sua lunga vita avevo visto la nascita di migliaia di stelle.

Aveva visto sistemi planetari formarsi dalla polvere.

Innumerevoli forme di vita intelligente nascere e morire.

Poteva estendere la sua mente fino ai limiti estremi dell’Universo;


sempre aveva trovato ordine e perfezione, ovunque.

Questo fino la notte scorsa.

Il terremoto non era riuscito a svegliare Lutracon, ma qualcosa


nel suo sogno millenario cambiò.

L’immagine dell’Universo si duplicò, per in istante, come se le


stelle ed i pianeti si riflettessero in uno specchio.

Nell’immagine riflessa il tempo accelerò, vide in pochi minuti le


stelle esplodere in supernova, intere galassie collassare in
giganteschi buchi neri.

In pochi minuti l’Universo riflesso nello specchio divenne buio e


statico.

La visione originale dell’Universo era sempre là.

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Ruggì inconsciamente e tastò l’aria con la sua lingua. I suoi sensi
svegliarono una piccola porzione della sua coscienza quiescente.

Aprì un occhio, vide per un secondo la lieve luminescenza della


caverna. Il profumo della terra sulla sua lingua gli ricordò che era
ancora vivo.

Quando gettò i suoi occhi attraverso lo spazio infinito di nuovo, il


riflesso oscuro era sparito.

Le orbite ellittiche di stelle e pianeti erano ancora là, con la loro


intera, indescrivibile bellezza.

Scivolò dolcemente nel suo sogno eterno ancora una volta.

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19 – Il Tormento di Beltram

Beltram entrò nella sua abitazione. Appese la sua arpa ad un


uncino sul muro e sedette sul letto, pensoso.

Stava diventando ogni giorno più triste, ultimamente; poteva


trovare sollievo solo dalle corde della sua arpa.

Da mesi si rifiutava di entrare in Ellipticon per lasciare che la sua


tristezza gli defluisse dall'animo.

Il Druide gli aveva insegnato che nutrire il dolore col dolore era
molto pericoloso, ma in quei giorni era sordo ad ogni buon
consiglio.

Aveva lasciato la moglie pochi mesi prima, poiché aveva sentito


che questa non lo amava più; ora si stava domandando se lei non
l’avesse mai amato.

La sua mente era piena di dubbi e sprecava il suo tempo


giocando con essi.

Rivisitava con la mente tutti i momenti in cui era stato con lei,
rivivendo gli episodi in cui aveva avuto torto, in cui lei aveva avuto
torto.

Cercava disperatamente un altro punto di vista, una nuova


prospettiva capace di salvificare gli eventi passati, ma non
riusciva a fare atro che sovrapporre artificiosamente nuove tinte
ad un passato troppo invadente, che d’istante in istante stava
ottenebrando il suo presente.

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Ogni nuovo pensiero creava un altro filo nella ragnatela di
pensieri: Beltram era il ragno e la mosca nel medesimo istante.

Il suo animo stava scendendo lentamente nel regno delle ombre;


e un giorno non lontano avrebbe dovuto combattere una dura ed
aspra lotta.

L’unica battaglia dove spade e scudi erano inservibili: la guerra


contro sé stessi e i fantasmi della propria mente... la sola battaglia
nella quale i suoi compagni non avrebbero potuto aiutarlo.

Si strofinò gli occhi e si alzò in piedi. Guardò fuori dalla finestra e


vide alcune persone del villaggio occupate nelle loro mansioni.
Il conciatore di pelli stava asciugando larghe pezze di pellame,
alcune donne stavano chiacchierando mentre facevano il bucato.

Beltram, incredulo della loro serenità, riusciva solo a pensare a


quanto stupidi e incoscienti fossero; inconsapevoli che un giorno
sarebbero morti in qualche modo e che in un breve istante la loro
miserabile vita sarebbe finita senza significato.
Una lunga, asciutta lacrima. Prese l’arpa e cercò di suonare il
migliore epitaffio per il suo cuore morente.

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20 – L’Ira di Kildakel

Kildakel stava cavalcando attraverso la foresta, quando un ramo


radente gli graffiò il volto; un semplice piccolo graffio fu sufficiente
a scatenare il lui una furia di emozioni represse. Estrasse la
spada da dietro le spalle e spronando il cavallo cominciò a
tagliare tutti i rami e i piccoli alberi che incontrava sul suo
cammino, spingendo il cavallo al limite delle sue forze.

Una rabbia immensa crebbe nel suo cuore, continuò a correre


distruggendo tutto ciò che intralciava la sua marcia, in preda di
un’euforica, incontrollabile follia.

La forma contorta d’alcuni alberi nodosi gli ricordarono le


sembianze degli Orck. Saltò giù dal cavallo e sfogò la sua ira su
quei manichini vegetali.

Con gli occhi rossi di rabbia e odio, perse totalmente il controllo.


Anni di duro e severo allenamento sembravano non avere avuto
alcun’utilità; svanirono nella sua mente in un attimo.

Il suo maestro di combattimento gli aveva insegnato di non odiare


il proprio nemico.

- “L’odio ti fa disperdere energie e concentrazione e dona un gran


vantaggio al tuo antagonista.” - gli era stato insegnato.

- “Queste tecniche vanno bene per gli esseri umani, non per le
bestie!” - pensava mentre tirava fendenti alle piante – “Non posso
rispettare una bestia!” - urlava la sua anima.

- “Che cosa stai facendo? Miserabile!” - disse un’Etheride alle sue

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spalle.

Kildakel girò la testa brandendo la spada. Alcune meravigliose


foglie verdi e rosse erano ancora attaccate sulla lama.

L’Etheride lo osservò, pensosa; una luce smeraldina brillò nei


suoi occhi verdi.

Senza ulteriori ripensamenti sbatté le mani; volò sopra Kildakel e


lo rese cieco.

- “Questo ti calmerà per un po’, stupido umano!” - disse l’Etheride


con una voce carica di disprezzo.

Kildakel perse la vista immediatamente: la foresta, il cielo, il sole


scomparvero assieme al mondo intero.

- “Dio!” - sussurrò.

Cadde sulle ginocchia perdendo la spada.


La rabbia mutò in paura.

Kildakel si strofinò le palpebre... oscurità, ovunque; poteva solo


sentire il rumore del suo respiro e del cuore che pulsava rapido
nel petto.

Cercò rialzarsi, non ricordava minimamente in quale punto della


foresta si trovasse, dove fosse rimasto il cavallo, dove fosse la
strada del ritorno.

Mosse un passo in avanti e cadde sull’erba inciampando sulla


sua stessa spada. La afferrò rapido.

Toccando la famigliare impugnatura della sua arma provò

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sollievo.

Il suo volto sprofondò nello spesso muschio che ricopriva il


terreno.

L’odore dell’erba, il vento tra gli alberi, un gentile ruscello


mormorava in lontananza.

La Foresta, la millenaria Foresta lo stava sovrastando.

Vergogna...

Il rispetto verso la natura era un sacro precetto da secoli. Il suo


odio l’aveva condotto a violare una sacra regola.

- “Ho violato il Sacro Giuramento!” - disse Kildakel, disperato,


affondando le sue dita nel muschio soffice.

Il rumore delle foglie mosse dal vento echeggiò nelle sue orecchie
trasformandosi in un fastidiosissimo ronzio, il mormorio del
ruscello divenne un tuono.

Kildakel si mise a piangere, il sapore amaro del muschio nella sua


bocca era l’unica certezza in quel mondo d’oscurità.

Si sentì esausto. Presto la sua mente ebbe pietà del corpo


spossato, e Kildakel cadde addormentato tra i singhiozzi.

Il disprezzo verso se stesso crebbe nei suoi sogni: l’intoccabile,


sacra bellezza della foresta era stata violata.

Vide macchie rosse di sangue sui tronchi, sull’erba, sul muschio.

Aveva rotto uno dei Sacri Giuramenti. Era colpevole di avere

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permesso che le passioni prendessero il controllo sulle sue
azioni.

Nel sogno vide i rami degli alberi come braccia disarmate anelanti
a raggiungere la salvezza, nel cielo limpido.

Si vide sollevarsi dalla sella del cavallo e come un terribile


demone, raggiungere i rami più alti con la lama della sua arma.

Tagliò ogni cosa che riusciva a raggiungere.

Mani nel cielo, occhi sui tronchi, volti sulle rocce.

Sentì di nuovo l’esaltazione cui poteva condurre l’odio.

Gocce di sangue nell’aria, sul suo viso, sul suo corpo.

Divenne un gigante, sovrastante la foresta. Gli alberi millenari


sembravano miseri giunchi sotto di lui; Kildakel tagliò, tagliò e
tagliò ancora!

Vide i ruscelli, i laghi e i fiumi inondarsi di sangue rosso sotto la


sua furia.

Distrusse montagne con un calcio; vide meravigliose sculture di


roccia diventare polvere sotto il maglio della sua spada.

Continuò, dirigendo il suo odio contro ogni cosa viva e degna di


rispetto.

Tagliò, uccise, distrusse, polverizzò ogni cosa nella sua vista, fino
a quando intorno non rimase altro che un desolato deserto di
polvere. Quindi puntò la sua spada al cielo e ruggì una diabolica
risata di vittoria.

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Stava ancora dormendo quando l’odio saturò completamente la
sua mente.

Kildakel provò una sensazione sconosciuta fino allora, una


profonda, oscura, piacevole soddisfazione.

Si svegliò poco dopo, col corpo madido di sudore.

Apri gli occhi; l’Etheride era vicino ad un albero, stava


accarezzandone gentilmente il tronco.

Le profonde ferite sulla pianta si rimarginavano sotto il suo tocco


delicato.

Kildakel si soffermò ad osservare il verde e nudo corpo


dell’Etheride muoversi flessuoso nella natura incantata.
Eccezion fatta per le ali e la pelle verde, quella creatura sembrava
una bellissima giovane donna.

Kildakel era così impegnato ad osservare la levigata e soffice


verde pelle dell’Etheride che non si era reso ancora conto di non
essere più cieco.

Si sedette meglio sull’erba; la testa gli girava un po’, ma non


riusciva a distogliere lo sguardo dal corpo dell’Etheride.

Stava mostrando le spalle a Kildakel, muovendo le mani lente e


lievi sulla pianta; di tanto in tanto si spostava indietro di un passo,
inclinando la testa da un lato per osservare meglio i risultati del
suo lavoro.

Kildakel dimenticò tutto circa il suo sogno, incantato dai gentili


movimenti di lei.

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Il suo morbido e seno danzava, invitante; i lunghi capelli color
smeraldo, mossi dal vento, lasciavano intravedere la schiena
delicata.

Le gambe erano assolutamente perfette. Lunghe e toniche, la


pelle verde aggiungeva un tocco d’intrigante mistero a quella
creatura.

- “Ehi!” - disse l’Etheride, senza voltarsi – “Sembra che ti sia


dimenticato che sono telepatica.”

Quindi girò la testa nella direzione di Kildakel e lo scrutò


profondamente negli occhi per alcuni secondi, sorridendo.

La sua risata trillò nell’aria come il suono di mille campanelli.

- “Ho visto che sei molto coraggioso contro degli alberi disarmati.”
- disse l’Etheride dando l’ultima carezza lenitiva all’albero ferito.

Kildakel si guardò intorno: tutte le piante erano state guarite


dall’Etheride. In fondo non aveva procurato grossi danni alla
Foresta; si rese conto che la maggior parte degli ultimi
avvenimenti erano stati ingigantiti dalla sua fantasia.

Rincuorato, cercò di liberarsi il volto dall’erba e dal muschio che vi


si erano appiccicati, e si accorse d’avere entrambe le mani
profondamente ferite. Un albero millenario non era un bersaglio
molto adatto per allenarsi con una spada.

- “Non parli molto...” - disse l’Etheride.


- “Sei telepatica...” - replicò Kildakel.

L’Etheride volò attorno agli alberi per controllare se tutte le piante

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fossero guarite. Quindi, soddisfatta del proprio lavoro, volò in
direzione di una roccia vicino a Kildakel e vi si sedette accanto,
con un’espressione interrogativa dipinta sul volto.

- “Io sono telepatica...tu no!” - sorrise di nuovo.

Il suo volto era bellissimo, così come il corpo; gli occhi color
smeraldo erano profondi ed intelligenti, e terribilmente sensuali.

- “Mmhh...” - mormorò l’Etheride – “Forse dovrei accecarti di


nuovo!”
- “Perdonami.” - rispose Kildakel girando la testa.
- “No!” - l’Etheride gli prese il volto tra le mani e lo girò verso di lei
di nuovo – “Non aver timore delle tue sensazioni.”
- “Le mie sensazioni! Hai visto a cosa possono condurmi le mie
sensazioni!” - disse Kildakel indicando gli alberi.

L’Etheride vide la mano sanguinante.

- “Non ti preoccupare di quello, ora...” - disse – “Cerca di


rilassarti...non pensare a nulla...”

Si sedette più vicino a Kildakel e mise le sue mani sopra quelle di


lui.

Le ferite smisero di sanguinare. l’Etheride accarezzò gentilmente


la pelle lacerata.

Poi si fermò un istante ad osservare attentamente le ferite con i


suoi incredibili occhi verdi: quindi riprese a curarlo.

I sensi di Kildakel erano avvolti dal profumo selvaggio che


emanava la pelle di quella creatura; il suo seno danzava
gentilmente a pochi centimetri dagli occhi del guerriero. Di colpo

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dimenticò tutto: la guerra, il dolore, la sofferenza; la vergogna per
quello che aveva fatto poche ore prima svanì come d’incanto.

Il tempo sembrava essersi fermato.

Era incapace di realizzare per quanto tempo fosse rimasto a


contemplare quella creatura ed il suo incredibile sorriso.

Dopo pochi minuti le mani non sanguinavano più.

- “Domani sarai in grado di impugnare di nuovo la tua spada.”


- “Ti ringrazio.”
- “Solo un’ultima cosa...” - ora l’Etheride lo stava fissando
profondamente negli occhi – “Conosco i tuoi pensieri più profondi
... non temere mai le tue emozioni ... nemmeno quelle che hai
provato nel tuo sogno!”

Kildakel rimase senza parole; l’unica cosa che riuscì a fare fu


quella di perdersi dentro quegli immensi, intelligenti occhi verdi.

- “Hai ancora molto da imparare da te stesso...” - disse lei


sorridendo.

L’Etheride volò via.

Kildakel la guardò scomparire tra gli alberi della fitta foresta.

Ripensò al sogno, contemplando quella foresta d’incanto.

Ora l’amava più di prima.

Respirò l’aria, un senso di piacere gli scaturì dai polmoni.

Ora sapeva come vincere gli Orck.

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21 – Una sosta per Dana

Il tramonto era prossimo quando Dana scorse i rami più alti della
Foresta crescere lentamente sopra l’orizzonte.

Si era avvicinata molto alle terre del nord; nelle sue speranze
avrebbe dovuto già essere ai margini della Grande Foresta.

La sottile, fredda aria le tagliava i vestiti leggeri. Doveva


assolutamente fermarsi per un po’.

Da molte ora non aveva incontrato alcun fiume o piccolo lago


dove far abbeverare il cavallo.

Vicino ad un imponente spuntone di roccia trovò un luogo sicuro


dove sostare. Alcuni grandi alberi creavano una zona ombrosa
dove era possibile riposarsi senza troppe preoccupazioni.

Secondo le sue mappe avrebbe dovuto esserci un piccolo lago


nelle vicinanze.

Si sedette per un istante; le dolevano le spalle e stava per


terminare il cibo.

Il suo cavallo marrone sembrava parecchio stanco; stava


annusando un po’ d’erba senza mangiarla. Anche lui aveva
bisogno di una pausa dopo la lunga corsa.

Assicurò le briglie ad un cespuglio ed osservò la roccia di fronte a


lei. Era abbastanza alta, ma non impossibile da scalare.

Bevve un po’ d’acqua e si avvicino allo spuntone.

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Gli appigli taglienti sulla roccia sembravano solidi sotto le sue
dita, e stimò che avrebbero retto il suo peso senza problemi.

Dana si decise. Dalla cima avrebbe goduto di un meraviglioso


punto d’osservazione: in questo modo avrebbe guadagnato
parecchio tempo, piuttosto che continuare a decifrare mappe
imprecise in suo possesso. In più il cavallo avrebbe avuto a
disposizione tutto il tempo necessario per riposarsi a dovere.

Attaccò la roccia con le mani nude e cominciò ad arrampicarsi.

Dopo circa mezz’ora raggiunse la cima, senza troppe difficoltà.


Recava soltanto alcuni nuovi graffi sulle gambe.

Era proprio come aveva supposto. Da lassù poteva vedere molto


lontano. A nord la foresta: buia e misteriosa nella debole luce del
tramonto. A nord ovest, mezzo nascosto da una fitta cortina di
nebbia, c’era un piccolo lago, approssimativamente a due ore di
distanza.

Ad est, poco sopra l’orizzonte, una nube di polvere saliva nel


cielo.

- “Una tromba d’aria?” - Si domandò – “Impossibile...”

Rabbrividì quando realizzò di cosa si trattava: era un’imponente


armata.

Cercò di osservare meglio, ma era troppo distante e il sole stava


calando velocemente.

Il vento proveniente da nord le stava gelando i vestiti umidi di


sudore sulla pelle, così decise di scendere. Aveva già visto

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abbastanza.

Trovò il cavallo ben riposato al suo ritorno, così partì


immediatamente.

Doveva raggiungere il piccolo lago che aveva scorto dalla roccia,


finche c’era luce sufficiente per viaggiare in sicurezza.

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22 – La Sala del Vino

Herrick era nella Sala del Vino; stava riflettendo sopra una
raffinata bottiglia di Rosso di Dantaria.

Più che alla guerra era molto più interessato a come pareggiare le
questioni con Drusilla.

Il Re amava il temperamento della sua amante, ma non poteva


tollerare di essere sottomesso da una donna.

In ogni caso non voleva agire in fretta. Aveva tutto il tempo per
lasciare che la rabbia scavasse i giusti canali nel suo cervello,
rivelandogli il modo migliore di agire su di un piatto d’argento.

Sapeva benissimo che dopo alcune bottiglie di vino avrebbe


trovato un’ottima strategia per farle rimangiare le parole che
aveva vomitato la sera prima.
Un’impresa davvero ardua, dato che Drusilla, in tutta la sua vita,
non aveva mai chiesto scusa per nulla.

Duregal entrò nella stanza.

Il Re lo fissò negli occhi da dietro la bottiglia; da quella prospettiva


il vecchio mago era più piccolo della bottiglia di vino.

Il mago si avvicinò silenzioso verificando con cautela l’umore del


sovrano.

Gli occhi di Herrick erano intelligenti ma freddi. La gelida, forte


determinazione che guidava la sua mente diventava nettamente
visibile quando aveva bevuto un bicchiere in più.

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Di tanto in tanto si stancava di recitare la parte del “Nobile Re”.
In quei momenti, soprattutto quando pensava a Drusilla, perdeva
volentieri ogni controllo, rendendo manifesta agli altri la sua totale
assenza di pietà.

Lo stesso mago si sentiva in soggezione, a volte.

Infatti, quando poté osservare meglio il volto del Re dietro la


bottiglia, e udì il tamburellare ritmico delle sue dita sul robusto
tavolo di rovere, sentì pressante il desiderio di correre
rapidamente fuori da quella stanza.

- “Ciao, mago!” - il Re, impassibile come una statua di marmo, lo


colpì con una voce fredda e tagliente, guardandolo fisso negli
occhi.

Herrick era uno specialista nel percepire la paura negli altri e nel
trovare l’esatto istante quando colpire e sentirla crescere.

- “Buona sera, Vostra Maestà.” - Duregal mantenne le distanze –


“Forse Vostra Maestà preferisce restare da solo per qualche
ora...ho scelto un momento sbagliato...?”
- “No, Duregal...” - sorrise il Re, mantenendo inalterata
l’espressione degli occhi – “Siediti che beviamo un bicchiere in
compagnia...non hai scelto un momento sbagliato...”
- “Pessimo inizio...” - pensò il mago.

Quando Herrick permetteva a qualcuno di sedere al suo stesso


livello e ripeteva le ultime parole del suo interlocutore, significava
che il re aveva bisogno di una vittima.

- “Volevo solo comunicare a Vostra Maestà che, d’accordo con i


suoi ordini, una carovana di cibo e birra sta raggiungendo

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l’esercito degli Orck nella pianura ai margini della foresta. Le due
navi ammiraglie della Flotta Reale sono pronte per l’attacco dal
mare.”

Il Re ascoltò il mago senza muovere lo sguardo, sempre con un


leggero sorriso sul volto.

Tuttavia, nemmeno Duregal era un bambino, conosceva bene


Herrick e non lo temeva più del dovuto.

- “Questo è tutto, Vostra Maestà, col suo permesso, ritornerei ai


miei appartamenti.”
- “Non andartene, Duregal, bevi un po’ di vino con me...”
- “Vi ringrazio, Vostra Maestà, ma mi duole un po’ la testa questa
sera, perdonatemi.” - mentì Duregal – “Se me ne date licenza,
chiedo congedo.”

Herrick versò un altro goccio di vino nel bicchiere attendendo la


prossima mossa del mago.

Duregal aspettò qualche istante, quindi, dopo un breve inchino, si


avvicinò all’uscita.

Il Re sorrise dentro di sé accorgendosi dell’imbarazzo di Duregal.

Aspettò che il mago scomparisse fuori della porta, quindi gridò:

- “Sir Duregal!”

Il mago trasalì; l’ultima mossa del re lo colse impreparato.

Suo malgrado si vide costretto a rientrare nella Stanza del Vino in


una condizione di sudditanza.

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Fortunatamente per Duregal il vino stava cominciando a far
sentire i suoi effetti, e Herrick si stava annoiando di quella
pantomima.

- “Raccontami qualche novità sugli Obscurni.” - disse il Re


sorseggiando il vino.

Duregal si sentì decisamente sollevato.

- “Sì, Vostra Maestà. Sono riuscito a radunare un centinaio di


quelle creature nella Grande Caverna nella penisola di Booga, a
sud di Dalmar, quella tra le paludi e...”
- “Conosco quel posto...Duregal...” - interruppe il Re cominciando
a fissarlo negli occhi di nuovo.
- “...chiedo venia, Vostra Maestà...” - Duregal dovette umiliarsi di
fronte al crescente sorriso del sovrano sotto gli impassibili, sottili
occhi semichiusi – “...tuttavia, gli Obscurni sono sotto un
incantesimo particolare di cui non Vi posso parlare dettagl...”
- “Non m’interessano i tuoi pasticci, mago!” - lo interruppe di
nuovo il Re.

Duregal accusò il colpo, ma tento di non darlo a vedere.

- “Sono ben nutriti e in attesa dei Vostri ordini.” - continuò


nonostante la voce strozzata.

Adesso il sorriso del re era smagliante.

- “Vi ringrazio, Sir Duregal, potete andare, ora.” - rispose Herrick.

Il mago uscì dalla stanza lasciando il Re nell’umore giusto per


meditare sulla personale vendetta contro Drusilla.

Quella donna era l’unica persona al mondo capace di metterlo in

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difficoltà.

Herrick la amava e la odiava al contempo.

Bevve un altro sorso di vino.

I pensieri scorrevano veloci nella sua mente, ora.

Uno di essi gli stava rammentando che tutte le terre che aveva
conquistato, tutte le persone che aveva ucciso, tutti gli
avvenimenti che gli erano occorsi e ogni azione che aveva
compiuto sembravano finalizzati ad incontrare e conoscere
Drusilla.

Poteva ricostruire una lunga linea nella sua mente.

Aveva tagliato la gola al suo insegnante quando era poco più di


un ragazzo; se non l'avesse fatto allora, non avrebbe mai più
trovato il coraggio necessario per uccidere un altro essere
umano.

Aveva odiato quell’uomo a prima vista; aveva avuto, subito, la


sensazione che stesse cercando di insegnare precetti in cui non
credeva lui stesso, un disgustoso coacervo di regole slegate e
prive di significato da seguire pedissequamente.

Era molto giovane a quel tempo, ed aveva sentito in cuor suo che
se avesse continuato a subire quella situazione passivamente,
tutta la felicità della gioventù sarebbe svanita, lentamente, sotto
l’azione erosiva degli ipocriti insegnamenti di quell’uomo stanco
della vita. Avrebbe permesso, prostrato, che le radici della
tristezza attecchissero, profonde, nel suo animo.

Così un giorno decise di seguire il suo istinto, la sola cosa sulla

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quale poteva ancora contare: lo uccise senza pietà né rimorsi.

Divenne presto Re, ed imparò che il dar valore di verità alle


opinioni altrui, equivaleva ad intraprendere di buon grado il
sentiero che conduceva lentamente alla morte. Altrettanto presto,
si rese conto che non poteva fidarsi di nessuno.

I suoi istinti di predatore si affinarono con gli anni.

Scoprì che tutte le persone che incontrava lungo il suo cammino,


avevano una lama nascosta, pronta per la sua schiena.

Nessuno l’aveva ancora ucciso soltanto perché era molto temuto,


e perché gli altri avevano bisogno della sua intelligenza per
soddisfare le loro brame di potere.

Herrick era più che consapevole di essere attorniato da pericolosi


parassiti, di cui non si poteva liberare per motivi contingenti.

Sicuramente non avrebbe esitato un singolo istante ad eliminarli


tutti quanti senza pensarci, se necessario.

Bevve un altro sorso di vino.

Drusilla...

Incontrò quella donna per puro caso. Non era di nobili origini, ma
nei suoi occhi aveva provato un sentimento a lui sconosciuto: la
pace.

Quella ragazza era l’unica persona in tutte le migliaia di terre che


aveva esplorato in tutta la sua intera vita, col potere di donare
pace al suo spirito.

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Per quello non si rammaricava di tutti gli omicidi che aveva
commesso.

Se non avesse ucciso il suo tutore da ragazzo, non avrebbe


avuto, in seguito, il coraggio e la prontezza necessari per
uccidere il povero messaggero di Wernenstall, così non avrebbe
avuto un pretesto per dichiarare guerra a quelle terre.

Non avrebbe avuto la chance di conquistare altri territori.

Non avrebbe mai conosciuto l’ebbrezza del potere.

Non avrebbe mai costruito i meravigliosi palazzi e castelli in


Dalmar; le incredibili delicate sculture di cristallo nei giardini di
Wernenstall.

Non avrebbe mai sentito il piacere, l’ebbrezza della vittoria, che lo


aveva spinto a conquistare la maggior parte delle terre conosciute
... non avrebbe mai avuto la possibilità di incontrare Drusilla in
quello sconosciuto villaggio nel sud.

Probabilmente sarebbe diventato un vecchio e triste Re, in grado


soltanto di ordinare quanta merda bisognava spostare dalla stalla
al letamaio.

Ora il suo regno era immenso, solo Dantaria e quel piccolo


villaggio nel nord stavano ancora resistendo.

Dantaria era una nobile terra; da secoli i suoi sovrani


governavano con giustizia e saggezza.

Re Randall IV temeva la brama di potere di Herrick, e, con


un’intelligente diplomazia, era riuscito a mantenere la pace tra i
due reami.

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Per il momento tale comportamento aveva soddisfatto Herrick.

Per lui, il solo fatto di prevenire le sue mosse, equivaleva ad una


dichiarazione di sottomissione.

Ciò che Herrick non poteva mandare giù era la ragione per cui gli
abitanti di quel villaggio nel nord preferissero morire piuttosto che
innalzare una semplice bandiera di Dalmar sulle sue porte.

Herrick non era un tiranno; avrebbero avuto la possibilità di


continuare a vivere esattamente come prima, sotto il suo dominio.
Non riusciva a spiegarsi il perché di quella strenua resistenza.

La bottiglia di vino era quasi vuota.

Drusilla...

Herrick sorrise; si sorprese ad immaginare come avrebbe potuto


fare l’amore con lei senza toccarle la pelle arrossata.

Scese le scale ed entrò nella camera da letto.

Drusilla stava dormendo; il suono del suo respiro riempiva l’intera


stanza.

Nella luce tremula delle candele appariva tranquilla e al sicuro


come una bambina nella sua culla.

Un delicato sorriso addolciva il suo splendido viso.

- “Sta facendo dei bei sogni.” - pensò Herrick.

Il Re si sdraiò vicino a lei, piano, per non svegliarla; rimase a

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fissarla a lungo, aspettando di addormentarsi ascoltando il suo
respiro.

Ancora una volta, sentì nel suo animo, che avrebbe potuto
sterminare il mondo intero senza esitazioni per quella donna e
che la felicità di quella meravigliosa creatura era l’unica cosa per
la quale sarebbe stato felice di morire.

Domani avrebbe strapazzato Duregal, ordinandogli di trovare una


cura rapida per la sua soffice, vellutata, preziosa pelle.

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23 – Piccoli Geyser

Dana raggiunse il lago quand’era notte inoltrata. Il sentiero si era


rivelato troppo stretto per il suo cavallo, ed era stata costretta a
camminare lentamente.

Laggiù l’aria era stranamente tiepida, anche se una fitta nebbia le


permetteva di vedere solo pochi metri innanzi a sé.

Tuttavia, dal punto in cui si trovava, poteva intuire la presenza del


lago dal rumore delle onde e da uno strano gorgoglìo.

- “Probabilmente una piccola cascata...” - suppose.

Il terreno era in discesa, ora, ed il sentiero si stava diventando


sempre più stretto.

Dana scese da cavallo e lo condusse a piedi tenendolo per le


briglie.

Dopo alcuni metri si accorse che poteva vedere più chiaramente il


paesaggio intorno a sé; anche se non era in grado di stabilire con
certezza se ciò dipendesse dal diradarsi della nebbia o se stesse
semplicemente scendendo sotto la coltre di nebbia stessa.

In breve raggiunse il lago, lo strano gorgoglìo si sentiva più


distintamente, ora.
Toccò l’acqua.

- “...è calda!” - Pensò – “Geyser ..!” - Realizzò dopo un istante.

Lego il cavallo ad un albero, e si avviluppo in una spessa coperta

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per trascorrere la notte. Tuttavia non riusciva a prendere sonno,
l’aria era troppo calda per rimanere vestita nella coperta di lana.

Così si spogliò, si liberò della leggera armatura di pelle e si


accucciò nuda nella coperta di lana, godendosi quell’inatteso
tepore.

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24 – Una Nuova Arpa

Beltram era solo, nella sua casa vuota. Stava osservando il


soffitto sdraiato sul letto con la sua arpa tra le mani.

Il soffitto di legno nascondeva strane figure oscure nelle sue


ombre.

Le sue dita litigavano con le corde dell’arpa.

Il suo suono gli appariva stranamente poco famigliare, come se


avesse uno strumento diverso tra le mani.

Gettò l’arpa sul letto e si mise a sedere tenendosi la testa tra le


mani.

I suoi polmoni sembravano rifiutare l’aria che inspirava.

Si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro nella


stanza chiedendosi se avrebbe fatto meglio a ritornare da sua
moglie.

- “No!” - urlò – “Mai!”

L’indifferenza di quella donna aveva offeso irreparabilmente la


sua dignità, e gli stava prosciugando l’animo degli ultimi buoni
sentimenti, uccidendo, lentamente il suo fiero cuore.

La musica non era più sufficiente a consolarlo.

Aveva provato a conoscere altre donne, ma il suo cuore era


diventato troppo arido; poteva provare emozioni, sensazioni per

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esse ... non l’amore.

Ultimamente soltanto la musica e i suoi sogni erano stati in grado


di donare un po’ di pace alla sua mente.

Anche il compito di difendere Ellipticon non lo interessava più di


quel tanto.

Ellipticon... si ricordò della prima volta che aveva visto il lago, da


bambino.

I meravigliosi colori danzanti lo avevano reso incredibilmente


felice; si ricordò di quante volte avesse pregato suo padre di
ricondurlo di nuovo al Tempio.

Ricordava che ogni volta aveva ritrovato la medesima gioia.

- “Sì, c’è ancora una speranza...” - pensò – “Non posso restare


immobile ad aspettare che i vermi mi divorino il cervello.”

Si rivestì in fretta e corse fuori di casa.

La luna era alta nel cielo.

Si sentì invadere dalla disperazione: Ellipticon mostrava i suoi


poteri solo di giorno, sotto la luce del sole.

Rientrò nella sua stanza e sedette di nuovo sul letto; la sua arpa
gli giaceva a fianco.

Aveva dato un nome a quello strumento, il nome di una giovane


donna che aveva amato molto tempo addietro.

Forse la sola che fosse stata in grado di dargli ciò di cui aveva

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veramente bisogno. Ma non era con lui ora...

Accarezzò l’arpa sentendo forte il desiderio di piangere, ma i suoi


occhi rimasero asciutti, come lo era il suo cuore.

Beltram sentì un inquietante senso d’urgenza crescere dentro di


se; non poteva esitare un altro istante...meglio annegare nelle
acque del lago, piuttosto che continuare a vivere in quella
maniera.

Afferrò l’arpa e corse in direzione dell’entrata del tunnel.

Le due guardie trasalirono alla vista di Beltram, sconvolto.

- “Beltram! Cosa sta succedendo?” - chiese una di loro.


- “Apri quella porta!” - gli urlò Beltram nelle orecchie.
- “Ehi, guerriero! Calmati, lo sai bene che di notte non...”

Beltram non aveva tempo da perdere in chiacchiere. Sferrò un


pugno al suo compagno e afferrò le chiavi.

L’altra guardia si mosse nella sua direzione, col chiaro intento di


bloccarlo, ma una voce, chiara e imperiosa la fermò.

- “Lascialo passare!”

Il Druide era in piedi dietro di loro, stava fissando Beltram.

La guardia stordita si alzò da terra, infuriata.

Le mani di Beltram iniziarono a tremare, stava brandendo la


grossa chiave come fosse una spada, un’inquietante luce di follia
balenava nei suoi occhi.

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La voce del Druide li calmò.

- “Apri pure la porta, Beltram, ed ascolta il tuo cuore!”

Beltram inserì la chiave nella toppa, stringendo con l’altra mano


l’arpa così forte che le dita divennero esangui.

Aprì la porta. L’aria fresca proveniente dalla galleria gli riempì i


polmoni; riuscì a respirare meglio ora.

Mosse alcuni passi nel tunnel. Era passato molto tempo


dall’ultima volta che aveva calpestato le grigie rocce della
montagna d’Ellipticon. Non ricordava bene dove fossero collocate
le innumerevoli trappole per fermare gli intrusi.

- “Ascolta il tuo cuore!” - le ultime parole del saggio Druide ancore


echeggiavano nella sua mente.
- “Quale cuore?” - pensò.

Si sentì invadere dalla rabbia. Si voltò per ritornare sui suoi passi,
ma vide il Druide chiudere la porta, bloccandogli l’uscita.

Lo sferragliare del grosso catenaccio gli diede la certezza che la


via del ritorno gli era preclusa.

Immediatamente capì il significato del comportamento del nobile


Druide.

Egli aveva tentato di violare un luogo sacro con la violenza, ora


doveva dimostrare di avere avuto una buona ragione per sanare il
misfatto.

Prese una torcia ed esplorò il tunnel. Grosse pietre formavano il


pavimento.

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Toccando quella sbagliata avrebbe attivato un meccanismo che lo
avrebbe ucciso, una lama avrebbe potuto trapassargli il cuore,
oppure una voragine avrebbe potuto aprirsi sotto i suoi piedi.

- “Il mio Cuore!” - pensò di nuovo.

In una mano teneva la torcia, nell’altra la piccola arpa.

- “Fino a pochi istanti fa ero pronto a morire, ora ho paura...di che


cosa?!”

Lasciò cadere la torcia e afferrò l’arpa con entrambe le mani.

- “Tu sei la cosa che ho amato più di tutto!” - disse.

La sua voce echeggiò lungo il profondo tunnel.

Paura...

La sua stessa voce lo spaventava.

Beltram stava cercando una scintilla di luce nella sua coscienza


quando la torcia rotolò in una piccola pozzanghera e si spense.

Oscurità; ora il tunnel era completamente buio. I trabocchetti


anelavano una sua mossa falsa.

Inaspettatamente una forte determinazione crebbe dentro di lui.

- “Ho attraversato questo tunnel centinaia di volte, posso farlo di


nuovo! - pensò - «Da qualche parte nella mia mente, conosco il
giusto percorso.”

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- “Ascolta il tuo cuore!” - la voce del Druide echeggiò di nuovo
nella sua testa.

Di colpo trovò la soluzione.

Beltram cominciò a suonare l’arpa, lasciando che le sue dita


scorressero liberamente sulle corde.

Quando sentiva che la musica gli rasserenava l’animo mosse un


passo in avanti.

Improvviso, un sentimento di paura s’impadronì di lui, una nota


fuori luogo stava ancora rimbalzando tra le pareti del tunnel
tagliandogli il cervello come una lama affilatissima.

Non doveva assolutamente forzare la musica.

Un altro passo, ora le sue dita correvano sicure lungo le corde


tese.

Un passo ancora.

Non appena si accorgeva che la melodia che stava suonando


diventava incerta o indeterminata, si fermava e, come l’ago di una
bussola, cercava la giusta direzione muovendosi soltanto quando
le note scaturivano di nuovo piacevoli.

In pochi minuti raggiunse le porte del Tempio.

L’acqua era immobile, il lago sembrava un gigantesco specchio


che rifletteva la dolce e mistica luna nel cielo.

Beltram osservò il Tempio con tristezza. Si sedette vicino alla


riva: l’acqua era priva di colori.

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Riprese a suonare il suo dolce strumento, fissando l’immagine
della luna riflessa nell’acqua...suonò la più triste melodia che
Ellipticon non avesse mai udito prima di allora.

Una lieve brezza discese dalle rocce della grigia montagna


increspando dolcemente l’acqua del lago; solo alcune leggere
onde.

L’immagine della luna tremò. Beltram stava contemplando il


pallido disco argenteo quando questo mutò, lentamente,
sollecitato dalle dolci onde, assumendo, prima indistintamente,
poi sempre più nitidi, i lineamenti del viso della ragazza che aveva
amato.

Si mise a piangere silenzioso, continuando a suonare.

Le sue dita stavano colpendo le corde con violenza.

Il suo animo si stava riempiendo di nuovo d’odio.

Il vento si fermò, repentino, e la luna ritornò ad illuminare le acque


d’Ellipticon con il suo volto d’argento.

All’odio seguì la paura. Un gelo atroce s’impossessò dell’anima di


Beltram. Una tristezza infinita gli inondò il cuore.

Si alzò in piedi, osservando l’arpa che recava il nome della sua


amata.

- “Il mio cuore è morto.” - pensò.

Gettò l’arpa nel lago mandandole un silenzioso, invisibile bacio.

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Una singola nota scaturì dal piccolo strumento quando questo
toccò l’acqua.

Il suono echeggiò tra le imponenti pareti di roccia del Tempio,


rotolò sulla superficie del lago, cambiò di frequenza, sembrava
non finire mai.

Beltram ascoltava incredulo, c’era qualcosa di impercettibilmente


famigliare in quel suono. L’eco, imprevedibilmente, crebbe
d’intensità.

- “Ascolta il tuo cuore!” - le parole del Druide risuonavano nella


sua mente.

Beltram cadde in ginocchio cercando di scorgere l’arpa sotto la


superficie dell’acqua... era troppo profonda.

La luna era sempre là, uno splendido disco d’argento sull’acqua.

Una lacrima scivolò sulla guancia di Beltram, incantato dalla


bellezza del pianeta.

Improvvisamente il suono del Tempio si rivelò, limpido. Ellipticon


stava urlando il nome della sola donna che Beltram aveva
davvero amato.

Il suo nome risuonò chiaro. Era da sempre racchiuso nel suo


cuore.

Quel cuore che ultimamente si era ostinato a non ascoltare.

Ritornò verso la porta del Tempio, l’animo era sereno, ora; decise
di dare un’ultima occhiata a quel luogo incantato, e con sua gran
sorpresa vide, vicino alla riva del lago, la sua arpa.

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Corse vicino a lei e s’inginocchiò. E nonostante la sua enorme
eccitazione, non poté far a meno di notare che adesso le corde
sembravano d’argento.

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25 – L’Iwiri

Kildakel era ancora nella foresta. L’esperienza dello scorso


pomeriggio l’aveva scosso profondamente.

Aveva trascorso tutto il giorno cavalcando lentamente tra i


rigogliosi alberi della Grande Foresta.

Riscoprì numerosi luoghi dove usava recarsi quando era più


giovane; l’enorme salice sotto il quale incontrava la sua ragazza,
la radura ricoperta di muschio incredibilmente verde e soffice, il
lago limpido vicino la cascata. I funghi violacei crescevano ancora
rigogliosi sulle rocce bagnate dall’acqua come dieci anni prima.

Il tramonto era vicino quando raggiunse l’Iwiri.

L’Iwiri era l’unica zona della foresta dove gli uccelli non
cantavano. Era un luogo molto silenzioso, con alti alberi scuri. Il
terreno era povero d’erba, e il muschio sulle rocce era scuro e
secco.

Il cavallo di Kildakel si fermò prima di entrare in quel luogo,


nitrendo in segno di protesta. Kildakel lo spronò, costringendolo a
proseguire.

Gli animali non amavano quel luogo.

Il soffitto di foglie divenne presto molto folto. Kildakel si rammentò


di quanto si fosse spaventato quando, da giovane, era entrato
nell’Iwiri per la prima volta.

Era poco più di un bambino a quel tempo.

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Una leggenda narrava che l’Iwiri fosse un luogo abitato da
presenze malvagie, e ogni ragazzo del villaggio doveva, prima o
poi, trascorrere una notte intera da solo per dimostrare la propria
virilità.

Era l’iniziazione dei guerrieri. Il superamento di quella prova era il


primo passo richiesto prima di avere l’onore di imparare l’arte del
combattimento.

Prima di affrontare il nemico, i giovani aspiranti guerrieri


dovevano dare prova di essere in grado di vincere le paure del
loro stesso inconscio.

Kildakel sorrise, pensando al sogno che aveva fatto quel giorno


nella foresta, quando l’Etheride lo aveva accecato: aveva ancora
molto da imparare dal suo personale Iwiri.

Ora la sola emozione che provava in quel tetro luogo, era una
profonda nostalgia della sua giovinezza.

La luna viaggiava alta nel cielo quando Kildakel decise di


ritornare. Girò il cavallo e si diresse verso il villaggio.

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26 – L’incontro con i Gup

Dana si svegliò, aprendo gli occhi in una splendida alba rosata.

La nebbia notturna era stata spazzata via dalla brezza mattutina.


Richiuse gli occhi, gustando ancora un po’ il piacevole calore che
fuoriusciva dai geyser; un lusso più che meritato dopo il lungo e
faticoso viaggio.

Stava per riprendere sonno, quando alcuni rumori provenienti dal


lago poco distante, attirarono la sua attenzione; qualcosa si
muoveva nell’acqua.

Sollevò la testa, ma alcuni cespugli non le consentivano di vedere


bene il lago; così si alzo in piedi in fretta... dimenticando d’essere
ancora completamente nuda.

Con grande sorpresa, vide che numerose piccole e grassocce


creature stavano facendo il bagno nell’acqua.

La maggior parte di esse indossava gemme colorate. Avevano


tutta l’aria d’essere pacifiche ed inoffensive.

Il loro viso assomigliava vagamente al muso di un procione, ma


erano prive di pelo. La loro pelle era completamente glabra,
eccezion fatta per un piccolo ciuffo sul petto dei maschi.

I piedi e le mani erano molto simili a quelle degli uomini. ma le


loro gambe erano incredibilmente corte.

Avevano notato la sua presenza, ma non ne sembravano molto


interessati.

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Dopo alcuni istanti Dana si rese conto di essere completamente
nuda; arrossì e si chinò per raccogliere i vestiti.

Alcune di quelle creature ora la stavano osservando; e quando si


resero conto che era sul punto di rivestirsi, mostrarono la loro
disapprovazione scuotendo la testa.

Dana iniziò ad infilarsi la piccola gonna di pelle leggera senza


distogliere lo sguardo da essi, insospettita dal loro
comportamento. Una di quelle creature si staccò dal gruppo. Era
un giovane maschio, con una pesante espressione di
disapprovazione dipinta sul buffo muso da procione.

Dana, svelta afferrò il pugnale; la creatura si fermò, scuotendo


forte la testa in segno di diniego. Quindi sollevò entrambe le
braccia mostrando di essere disarmato. Disse anche qualcosa,
con una voce sproporzionatamente forte, rispetto alle sue
dimensioni; ma parlava una lingua che Dana non conosceva.

Improvvisamente Dana si sentì molto stupida, seminuda con un


pugnale, di fronte ad una piccola indifesa creatura; così lasciò
cadere l’arma sulla coperta ai suoi piedi.

Il Gup le sorrise, e si avvicinò; annusò Dana col suo naso umido,


e quindi le toccò la gonna, dicendole, a gesti, di toglierla.

Dana sulle prime si stupì, poi si rese conto che era assurdo
pensare che quella piccola creatura potesse essere
sessualmente attratta da lei; sicuramente stava cercando di
comunicarle qualcos’altro.

Incuriosita, e spinta dalle insistenze del Gup, che ora stava


parlando in modo concitato, lasciò scivolare la gonna a terra.

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La creatura sorrise felice, e la prese per mano. Entusiasta, la
condusse saltellando, al lago.

L’acqua era calda e piacevole. Il Gup si sedette, lasciando


soltanto la testa fuori dell’acqua; molte altre creature si stavano
avvicinando, ora, incuriosite dall’arrivo della nuova ospite.

Dana decise di sedersi nell’acqua anche lei, onorando quella che


sembrava essere un usanza dei suoi ospiti; inoltre, dopo il
faticoso viaggio, aveva davvero bisogno di un bagno.

L’acqua era davvero confortevole. Il Gup le offrì un piccolo


granchio: sorridendo.
Dana si vide costretta a rifiutare, nascondendo abilmente il
disgusto. La creatura rise forte e sgranocchiò il granchio con i
suoi denti aguzzi.

- “Mi chiamo Dana.” - disse, cercando di stabilire una forma di


conversazione un po’ più articolata.
- “Dana!” - ripeté ancora colpendosi il petto con una mano....

La creatura assentì, sembrava aver capito.

- “Gup!” - disse lui battendosi a sua volta il petto irsuto.

Una femmina si avvicinò e le offrì una meravigliosa gemma dai


colori iridescenti. Era davvero molto bella; Dana notò che molte di
quelle creature ne indossavano una simile.

- “Grazie.” - disse, accettando il dono.


- “Dana!” - disse ancora battendosi di nuovo il petto
- “Gup!” - rispose la nuova arrivata sorridendo.

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Dana intuì il significato dei loro gesti; rivolse lo sguardo alle atre
creature e domandò.

- “Gup?”

Il Gup assenti muovendo la testa. Dana realizzò in un attimo:


“Gup” era il nome di quelle le creature, come la parola “uomini”
per gli umani.

Era troppo difficile continuare a comunicare in quella maniera,


così si alzo in piedi per muoversi verso acque più profonde dove
era possibile nuotare liberamente.

I Gup restarono ad osservarla dalla riva, stupiti: avevano le


gambe corte e non erano in grado di nuotare.

Dana, immergendosi sott’acqua, notò che dal fondo roccioso del


lago scaturivano innumerevoli colonne di bollicine d’aria; era
proprio come aveva immaginato: piccoli geyser.

Al suo ritorno trovò vicino alla riva una grande foglia piena di frutti,
per lo più mirtilli. Li mangiò con supremo piacere.

Quindi ringraziò tutti i Gup con cui aveva “parlato”, con un piccolo
bacio sulla guancia.
Loro la ricompensarono con sorrisi colmi di felicità.

Dana doveva continuare il viaggio; era già in tremendo ritardo.

Si rivestì e balzò sul cavallo. Lasciò quel luogo meraviglioso


sperando di potersi fermare di nuovo lungo la strada del ritorno.

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27 – Dragon’s Inn

Kildakel raggiunse le porte del villaggio quando era già mattino


inoltrato.

- “Salve Kildakel.” - urlò una guardia da una torretta.

Kildakel guardò in alto; non sembrava la voce di Beltram.

- “Salve!” – disse di rimando Kildakel.

Sulla grande porta di ingresso erano scolpiti nel legno i simboli


del villaggio; al centro di essa un grande quadrato con un cerchio
inscritto. Nel cerchio una runa rappresentava il susseguirsi delle
stagioni: Inverno ed Estate. La runa aveva la forma di un rombo
separato da una linea verticale che univa i due vertici.

A sinistra di questo simbolo vi era un enorme scudo con un


cavalluccio marino sbalzato nel metallo. A destra un altro grande
scudo con un cigno stilizzato.

Sulla cima del portale, con colori brillanti erano dipinti altri simboli.

Un grosso cerchio arancione sopra una «M» verde smeraldo;


sotto di essi, erano dipinte delle brillanti onde blu.
Questi simboli rappresentavano rispettivamente, il Sole, i Monti, e
il Mare, e quindi i quattro elementi, Fuoco, Terra, Aria, Acqua.

Tutto questo era stato dipinto sul portale, anche per ricordare a
tutti i visitatori che in quel villaggio era possibile entrare solo nel
rispetto di Madre Natura e delle Sue creature.

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La guardia apri il portale, Kildakel entrò.

L’onnipresente martellare del fabbro lo riportò in una dimensione


più quotidiana, dopo le esperienze del giorno prima.

Si diresse in direzione di Dragon’s Inn. Era affamato.

Legò il cavallo di fronte alla locanda ed entrò.

Immediatamente vide Beltram seduto di fronte a un piatto di uova


e una scodella di latte.

- “Salve Beltram.” - disse Kildakel – “Brunfir! Porta un’altra


colazione!”
- “Salve Kildakel.” - rispose Beltram.

Kildakel depositò le sue armi vicino al tavolo e si sedette; Beltram


era stranamente silenzioso quel mattino.

- “Com’è il bacon oggi?” - scherzò Kildakel.

Beltram non rispose subito.

- “Non male.” - rispose dopo un po’ – “Brunfir! Aggiungi qualche


fetta di salmone sul pane al burro!” - Urlò in direzione della
cucina.
- “Certo, signore.” - replicò Brunfir, rassegnato.

Kildakel si sentì sollevato vedendo il suo amico scherzare,


benché avesse notato che si sforzava visibilmente per farlo.

Quindi vide l’arpa e decise di cambiare argomento, cercando di


metterlo di buon umore.

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- “Vedo che hai cambiato le corde dell’arpa.” - Disse Kildakel

Beltram trasalì. Il suo volto si rabbuiò di nuovo.

- “E’ una lunga storia.”

Kildakel lo guardò attento, sicuramente aveva detto qualcosa di


sbagliato, ma non riusciva ad individuare che cosa.

- “Sono stanco di combattere, Kildakel.” - Disse Beltram


continuando a mangiare.

Kildakel respirò a fondo.

- “Sono stanco anch’io, ma non vedo alternative.”


- “Potremmo andare a lavorare in una fattoria.” - rispose Beltram
sorridendo.
- “Sì, io e te, soli, sull’erba.”
- “Sì, amore.”

Entrambi risero. Brunfir si stava avvicinando con la colazione,


aveva un’espressione stupita in volto; probabilmente aveva udito
le ultime parte della conversazione.

- “Oh Brunfir! Che cosa pensi sia più importante, l’amore o


l’amicizia?” - gli domandò brusco Beltram.
- “Non so, signore, è una domanda difficile ... ci sono molte cose
importanti...”
- “Devi solo scegliere una delle due, svelto!” - lo interruppe
Beltram.
- “... ehm... l’amore... suppongo...” - Brunfir stava cominciando a
sentirsi in imbarazzo.
- “Bravo!” - disse Beltram – “Bisogna essere svelti!”
- “Sì signore!” - Brunfir raggiunse rapidissimo la cucina.

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Kildakel stava ridendo forte.

- “Ecco cosa vuole la gente: l’amore, non combattere!” - disse


Beltram, ironico.

Kildakel cercò di mangiare qualcosa, ma gli passò subito


l’appetito; finì la colazione solo perché doveva farlo.

- “Che cosa pensi che accadrà se Herrick riuscirà ad


impossessarsi d’Ellipticon?”

Beltram trasalì di nuovo, pensando agli eventi della notte scorsa.

- “Può darsi che non sia cattivo come dicono.” - rispose Beltram
dopo qualche istante.
- “D’accordo, non sei obbligato a combattere se non lo vuoi.”
- “Sono un musicista!” - Beltram prese la sua arpa e suonò alcune
note.

Il suono dell’arpa era alquanto diverso con le nuove corde; suoni


di campanelli, onde del mare, vento tra le foglie, centinaia di
sonorità differenti stavano uscendo da quel singolo, piccolo
strumento di legno.

Kildakel era attonito.

- “Cos’è successo a quell’arpa?” - domandò Kildakel.


- “E’ successo la scorsa notte nel Tempio.”

Kildakel trasse un altro profondo respiro.

- “Devo riposare un po’. Sono rimasto sveglio tutta notte.”

Beltram assentì, continuando a suonare. Brunfir dalla cucina lo

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osservava in silenzio.

Kildakel raggiunse la porta e si diresse verso casa.

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28 – Misteriosi Presagi

Drusilla svegliò Herrick lavandosi molto rumorosamente nella


stanza da bagno, vicino alla camera da letto. Era mezzogiorno
passato; la prima cosa che il re notò svegliandosi, fu l’odore di
menta.
Evidentemente la sua pelle non era ancora guarita.

Si sedette meglio nel letto maledicendo il sapore amaro sulla


lingua che ogni mattina lo aspettava, implacabile, al risveglio.

Caffè caldo! Ecco di cosa aveva bisogno. Tirò una delle stole che
pendevano sopra il letto per chiamare Hugo.

Drusilla entrò nelle stanza coperta solo da un asciugamano, la


sua pelle era molto meno arrossata.

- “Buon giorno!” - le sorrise Herrick.

Lei non rispose. Si sedette sul letto e cominciò a spalmarsi


dell’altra crema.

- “Puoi mettermi un po’ di crema sulla schiena?” - domandò lei,


senza guardarlo.
- “Certo.” - rispose il re.

Herrick abbassò l’asciugamano, scostò i suoi capelli e accarezzò


le sue spalle con l’unguento.

Hugo infilò la testa nella porta.

- “Buon giorno.” - sorrise – “Vostra Maestà gradisce un po’ di

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caff...”

Non riuscì a terminare la frase realizzando di aver appena


commesso un grave errore.

Herrick si accomodò meglio sul letto.

Hugo si ritirò, sfilando la testa dalla porta semiaperta.

- “Hugo!” - urlò il Re – “Puoi entrare ... con il Vostro permesso,


Lady Drusilla.”
- “Sì, non m’importa di quell’eunuco.”

Hugo entrò tremante, con lo sguardo chino sul pavimento.

- “Guardami.” - ordinò il Re.

Hugo ubbidì, sorpreso dal largo sorriso sul volto di Herrick.

- “Lo sai, caro Hugo, cosa dovrebbero fare le persone educate


prima di entrare in una camera da letto?”

Hugo assentì con la testa, terrorizzato.

- “Puoi parlare, Hugo.” - continuò il Re – “Per favore, rispondi:


cosa fanno le persone educate prima di entrare in una stanza?”
- “Buss...”
- “Troppo tardi!”

Il pugnale che Herrick teneva sotto il cuscino raggiunse in un


lampo la fronte di Hugo.
Cadde a terra senza il tempo di esalare l’ultimo respiro.

- “Un altro omicidio!” - esclamò Drusilla – “Perché lo hai fatto?

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Non ce n’era alcun bisogno.”
- “Ho sempre odiato quella rana.” - disse Herrick sorridendo.
- “Quando uccidi i tuoi occhi diventano più verdi, lo sai?” - disse
Drusilla dandogli un profondo bacio.

Herrick si alzò dal letto, e spinse il corpo di Hugo fuori della porta.

- “Per piacere, lanciami l’asciugamano, detesto il sangue.”

Drusilla glielo lanciò e il Re cominciò a pulire il pavimento dal


sangue tenendo l’asciugamano sotto i piedi; quindi con un calcio
gettò tutto quanto fuori della camera e richiuse la porta.

- “Ora abbiamo un grosso problema col caffè.” - disse il Re a


Drusilla.

Lei rise.

- “Vedo che la tua pelle va molto meglio, oggi...”


- “Scordatelo! Non puoi ancora toccarmi, per oggi...Ti dispiace
finire con la crema?”
- “Va bene...”
- “Quando parti per quella guerra?”
- “Stasera?”
- “Sei sicuro di voler partire?”
- “No.”

Drusilla si girò e scrutò Herrick profondamente negli occhi.

- “Leggerò i tarocchi per te.”

Herrick non era dell’umore giusto per quello, ma dato che Drusilla
amava leggere i tarocchi, la lasciò fare.

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Drusilla stese le carte e le osservò attentamente.

- “Strano.” - disse – “Non vedo la vittoria, no, per niente....no!


Chiaro? Ma alla fine le carte non sono male, c’è l’inizio di una
nuova vita per te.”
- “Così non morirò.” - la stuzzicò Herrick. Non riusciva a
spiegarselo: ma non era mai riuscito prenderla sul serio quando
leggeva i tarocchi; poteva solo pensare che l’amava.
- “No, non muori.”
- “Bene... allora, quand’è che faremo di nuovo l’amore?” - questa
era la classica domanda di Herrick durante uno dei suoi consulti.

Normalmente Drusilla rispondeva “presto” senza leggere le carte.


Questa volta, invece, i suoi occhi si rattristarono. Stese le carte di
nuovo e scrutò di nuovo Herrick senza rispondergli.

- “Vado a prendere un po’ di caffè.”

Corse fuori della stanza saltando il corpo di Hugo, lasciando


Herrick di pessimo umore.

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29 - Duregal e gli Obscurni

Duregal partì con due soldati in direzione della caverna degli


Obscurni alcune ore dopo l’alba.

D’accordo con gli ordini di Herrick, gli Obscurni avrebbero dovuto


sferrare il primo attacco per indebolire le difese del villaggio, la
notte.

Gli Obscurni potevano volare molto velocemente: partendo da


Dalmar al tramonto avrebbero raggiunto il villaggio prima
dell’alba, e prima del sorgere del sole avrebbero succhiato via la
maggior parte della forza vitale a molti uomini.

L’attacco finale dal mare avrebbe completato l’opera.

Sfortunatamente per gli Obscurni vicino al villaggio non c’erano


caverne dove nascondersi prima dell’alba; ma a Duregal questo
non dispiaceva per nulla.

Non poteva tenerli incantati per sempre; temeva che una volta
ritornati in sé, potessero pianificare una vendetta contro di lui.

Duregal fremeva di mettere le mani sui poteri d’Ellipticon.

Con i sacri poteri del lago, Herrick non sarebbe stato altro che
una misero bambolotto alla sua mercé.

110
30 – Trundle e gli Orck

Gli Orck si accamparono a circa cinquanta miglia dalla foresta.

Avevano bisogno di riposare almeno un giorno prima di affrontare


la fitta e misteriosa Foresta.

- “Temo che i cavalli avranno dei problemi a muoversi tra quegli


alberi.” - disse Grumble, uno dei soldati inviati da Herrick per
guidare gli Orck attraverso la Foresta.
- “Non ti sbagli! Già un’alta volta siamo stati costretti ad
abbandonare i cavalli ... dopo alcune ore di cammino è difficile
mantenere il giusto sentiero laggiù. Se si sbaglia percorso, dopo
poche miglia la vegetazione diventa talmente intricata che è
impossibile proseguire cavalcando. Però c’è Trundle … conosce
la Foresta come le sue tasche: ci guiderà lui.” - Rispose Fruntir,
un altro soldato.
- “Che tu sappia, Re Herrick ci ha dato qualche indicazione
precisa a tale proposito?”
- “No. Ha solo ordinato di condurre gli Orck al villaggio. Questa
notte gli Obscurni partiranno dalla penisola di Booga e ci
prepareranno il terreno: quando raggiungeremo il villaggio, la
maggior parte degli uomini saranno incapaci di reagire.”
- “Quanto tempo credi occorrerà per superare la foresta?”
- “Se partiamo questa sera raggiungeremo il villaggio nella notte
di domani... se camminiamo svelti.”

Trundle conosceva Herrick da sempre, era stato l’unico a restare


sempre fedele al Re senza chiedere nulla, anche quando
quest’ultimo commetteva i peggiori delitti.

Era l’unica persona sulla quale Herrick si sentiva di riporre la sua

111
totale fiducia.

I suoi vecchi occhi brillavano ancora d’intelligenza; non si era mai


chiesto perché il suo re aveva gettato tanta sofferenza nel mondo.
L’aveva visto nascere; aveva provato amore nel suo petto
vedendo quel bambino nella culla, e da allora lo aveva sempre
appoggiato senza porre questioni.

Ora stava osservando gli Orck con curiosità.

Quelle strane creature stavano banchettando col cibo fresco


inviato da Herrick, sprecandone buona parte,

Gli Orck non avevano alcun senso del dovere, e nessuna


percezione del futuro.

Oggi avevano cibo in abbondanza, quindi potevano sprecarne in


quantità nella fretta di gustare sempre nuovi sapori;
probabilmente il giorno dopo si sarebbero svegliati e si sarebbero
visti costretti a ripiegare sulla carne avariata rimasta attaccata alle
ossa mezze masticate del giorno prima.

Trundle stava osservando la scena, stupito e divertito del loro


strano comportamento.
Raccolse un grosso pezzo di prosciutto arrosto e lo lanciò agli
Orck: immediatamente uno dei sergenti balzo sul pezzo di carne
e lo addentò.

Trundle si allontanò ridendo.

112
31 – La Caverna degli Obscurni

Il tramonto si stava avvicinando; Duregal stava aspettando


pazientemente, di fronte all’entrata della grande caverna, che
l’ultimo raggio di sole scomparisse dietro l’orizzonte.

L’ingresso della caverna era stato ostruito da una grande porta di


legno.

Dentro gli Obscurni stavano dormendo, nell’inconsapevole attesa


del loro ultimo viaggio.

Duregal aveva già incantato le loro menti con un ordine preciso:


una volta aperta la porta non avrebbe dovuto far altro che
pronunciare una particolare parola e cento Obscurni avrebbero
coperto il cielo come una gran nuvola nera.

Il sole tramontò.

- “Aprite la porta!” - ordinò Duregal.

I soldati spostarono il grosso e pesante catenaccio e aprirono


l’entrata.

Duregal si avvicinò alla caverna; la sua torcia emetteva una luce


insufficiente per quella grande antro, ma i corpi fluorescenti degli
Obscurni erano chiaramente visibili, appesi al soffitto di nuda
roccia.

Duregal mosse alcuni passi tremanti nella caverna, gli Obscurni si


svegliarono e iniziarono a discorrere con la loro strana voce
melodiosa.

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La sola parola intelleggibile in quella cacofonia era una soltanto:
Duregal.

Il mago era inquieto. Decise di non attendere ulteriormente, si


schiarì la voce e gridò:

- “Okaum!”

Immediatamente le oscure creature presero il volo nella direzione


del villaggio.

114
32 – La Tomba Profanata

Dana stava viaggiando in direzione della foresta; era in forte


ritardo secondo i suoi piani, quando vide un piccolo casolare con
un camino fumante.

Girò il cavallo in quella direzione, da giorni non parlava con un


essere umano: per lei poteva essere un’ottima occasione per
sapere qualcosa in più circa gli sviluppi della situazione. .

Legò il cavallo vicino alla porta e bussò. La porta era aperta.

Un puzzolente, disgustoso odore fuoriusciva da quella casa.

Impugnò i suoi pugnali da lancio e spinse con un piede la porta,


sicura di trovare un corpo decomposto e peggio all’interno.

La stanza si rivelò vuota, eccezion fatta per poche candele


consumate su un tavolo marcio, di fianco ad un piatto sporco.

Sul pavimento c’erano soltanto muchi di paglia sporchi


d’escrementi.

L’odore in quel casolare era insopportabile, Dana dovette tapparsi


il naso per non vomitare i deliziosi frutti che aveva mangiato
poche ore prima al villaggio dei Gup.
Sulla tavola alcuni strani segni erano disegnati con un pezzo di
carbone; intorno ad essi giacevano delle ossa bianche.

Dana stava tremando di paura, un dubbio le attraversò la mente.

Si avvicinò al tavolo ed esaminò più da vicino le ossa.

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- “Sono ossa umane.” - trasalì.

Improvvisamente, un acuto grido di donna tagliò il silenzio. Quindi


una lunga risata.

Dana si concentrò cercando di percepire da dove provenissero


quei rumori; sembravano provenire dal sottosuolo.

Con un piede spostò la paglia sul pavimento e scoprì una botola.

Con circospezione la aprì. Vide una scala che scompariva


nell’oscurità sottostante.

Le voci erano cambiate, ora, sembravano mugolii di piacere,


sicuramente di una donna.

Per Dana quella situazione era troppo strana: non poteva girarsi e
ritornare sui suoi passi. Trasse un profondo respiro ordinando
mentalmente al suo stomaco di tenere duro, ed iniziò a scendere
le scale.

Le voci erano molto più chiare, ora; almeno due donne stavano
facendo qualcosa di veramente piacevole, ovviamente per loro,
da qualche parte, giù, nell’oscurità.

La scala terminò in una piccola stanza; una torcia era accesa


laggiù. Un breve, umido e buio tunnel sulla destra terminava in
un’altra stanza debolmente illuminata da una luce fioca.

Dana osservò meglio la stanza: si trovava sicuramente


nell’anticamera della tomba di un antico guerriero.

Le rune scolpite sui muri descrivevano la sua lunga e gloriosa

116
vita.

I colori sbiaditi dal tempo riuscivano ancora ad illuminare lo


splendido, grande sole intagliato sulla nuda roccia sovrastante
l’ingresso del tunnel, garantendo luce e pace al riposo dei resti
mortali del nobile guerriero.

Dana non osava pensare cosa avrebbe potuto trovare nella


stanza in fondo al tunnel.

Si mosse di pochi passi e udì una nuova voce; da quel punto


sembrava il pianto di una bambina.

Dana impugnò uno degli stiletti che portava alla cintola tenendolo
per la lama, pronta a lanciarlo se necessario; lo stingeva così
forte che alcune gocce di sangue caddero nella polvere di quel
luogo sacro.

Non se ne accorse neppure: tutta la sue energie erano dirette a


mantenere vigile la sua concentrazione. Trovò il coraggio di
muovere un altro passo in avanti in quel tetro tugurio.

Finalmente raggiunse la fine del tunnel; quello che vide superava


ogni sua immaginazione.

Due donne, completamente nude, stavano facendo l’amore sulla


tomba del guerriero.

I sacri simboli dipinti sulle pareti che avevano protetto la sua


anima da secoli erano stati grattati via.

La sua gloriosa lama che aveva salvato il suo popolo dalla morte
era conficcata nel terreno, il suo nobile teschio era stato
malamente fissato sull’elsa della spada e sfigurato con macchie di

117
sangue.

Sul lato destro, una piccola bimba stava piangendo in una gabbia
metallica; le sue braccia erano rosse di sangue. Sedeva sul
pavimento lurido, con la testa nascosta tra le ginocchia, per non
vedere la scena che si stava svolgendo innanzi a lei.

Contro il muro a sinistra rispetto all’entrata, un nobile grifone era


legato alla parete.

Le sue enormi ali raggiungevano il soffitto, legate con robuste


corde a degli anelli di metallo; i suoi potenti artigli pendevano
inerti a pochi centimetri dal terreno.

Sembrava morto, ma Dana si accorse che stava ancora


respirando.

Dietro la spada e il teschio sorgeva un altare di marmo.

Candele nere accese sopra simboli misteriosi illuminavano, tetre,


quello scenario da incubo. Sopra i lumi, uno strano fumo si stava
addensando in forme oscure, come se fosse dotato di vita
propria.

Tutto questo era troppo innaturale per Dana.

- “Cosa state facendo?” - urlò.

La sua voce apparì strana a lei stessa, rotta da un misto di


disperazione ed incredulità; sentì forte il desiderio di piangere.

Una delle due donne girò la testa nella sua direzione, sorridendo;
aveva una strana luce negli occhi.

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- “Abbiamo un ospite Booassa.” - disse la giovane donna
accarezzando il seno dell’altra.
- “Vedo...” - sussurrò l’altra – “...cosa ce ne facciamo di questo
pezzo di carne fresca, Sqooassa?”
- “...hmm...non saprei ...” - rispose Sqooassa, sorridendo, la sua
voce era modulata come in una cantilena.

Booassa si sedette sul corpo nudo della sua compagna per


osservare meglio l’aspetto che il fumo stava assumendo sopra le
candele accese.

- “Non abbiamo tempo da perdere, Sqooassa, il nostro ospite


d’onore sta per arrivare.” - cantilenò l’altra, indicando la forma
sopra le candele – “Falla fuori!” - la sua voce era molto profonda
ora, come quella di un uomo.

Dana era terrorizzata, ma riuscì a trovare il coraggio necessario


per alzare il pugnale e mantenere la voce ferma e chiara.

- “Ditemi che cosa state facendo.” - intimò loro.

Sqooassa rise fragorosamente; un rantolo profondo rotolò nel suo


respiro.

- “Ora te lo mostro... carina...” - cantilenò sorridente.

Alzò la testa e chiuse gli occhi, trasse un profondo respiro


accarezzando il suo corpo e quello della compagna; quindi riaprì
le palpebre. Al posto degli occhi ora ardevano due pezzi di
carbone ardenti.

- “Fuoco!” - disse ridendo.

Immediatamente due palle di fuoco fuoriuscirono dalle orbite,

119
volando rapide nella direzione di Dana.

Dana si gettò a terra, cercando di ripararsi col braccio destro, ma


le due masse infuocate erano troppo grandi, e la colpirono al viso.

I capelli le presero fuoco.

Dana cadde sul pavimento dolorosamente ustionata, sotto le risa


delle due donne.

- “Povera ragazza” - disse una di loro avvicinandosi al corpo di


Dana – “Non è possibile che tu sia già morta.” - la colpi con un
calcio.

Dana stava soffrendo terribilmente, metà del suo viso era


sfigurato, le braccia ferite pulsavano di dolore; teneva gli occhi
chiusi. Il pugnale era ancora saldamente stretto in mano.

Accasciata sul pavimento calcolò la posizione di una delle due


streghe basandosi solo sul suono della voce; anni di disciplinato
allenamento erano ancora immagazzinati nella sua mente.

Sollevò per un istante la palpebra ancora intatta, giusto il tempo


per individuare la giusta posizione del bersaglio; in meno di un
secondo il suo pugnale da lancio era conficcato nella fronte della
strega.

Un triste lamento sgorgò dal petto della donna morente; rivoltò la


testa all’indietro.

Le ultime energie vitali della donna fuoriuscirono fiammeggianti


dalle sue orbite, bruciando le pareti della tomba; quando esalò
l’ultimo respiro, un liquido nero le uscì dal petto.

120
L’altra era rimasta a guardare, attonita, Dana era stata troppo
rapida.

Ma non per molto, si alzò in piedi con un’inattesa velocità, i suoi


capelli magicamente si levarono in aria, un grido terrificante
lacerò il silenzio.

Dana non attese la sua prossima mossa, spinta dal dolore, rientrò
in possesso delle piene energie e la fronteggiò mostrandole il
volto ustionato.

- “Lurida puttana!” - urlò Dana.

Un gran vigore mosse il suo corpo provato; si lanciò con tutte le


forze superstiti sopra la strega, facendola stramazzare a terra.

Quindi le saltò rapida sul petto immobilizzandola al suolo; il


pugnale volò rapido sul collo della donna.

- “Dimmi solo cosa stavate facendo!” - ruggì Dana.


- “Fottiti!” - sorrise lei.
- “Cosa cercate?” - domandò ancora Dana avvicinando la sua
bocca al viso della donna; l’alito putrido della donna le riempì le
narici.
- “L’immortalità!” - sussurrò.
- “Bene ... la stai raggiungendo!” - disse Dana tagliandole la gola.

Dana esplose in un pianto dirotto. Lunghe, copiose lacrime


scivolarono sulle sue guance bruciate. Aveva ucciso per la prima
volta.

- “Ben fatto, cara!” - una profonda, chiara voce le fece alzare lo


sguardo.

121
Il grifone legato al muro le stava parlando.

- “Non preoccuparti per la morte di quelle due oscure creature, ne


hai salvato una molto più pura...” - disse lui puntando muovendo
l’enorme becco nella direzione della piccola bambina che stava
ancora piangendo nella gabbia – “...ed anche la mia.” - rise.

La sua voce era chiara e limpida.

Dana scosse il capo, il dolore e la stanchezza le avevano fatto


dimenticare che era ancora seduta sul petto della strega morta.

Si alzò lasciando cadere a terra il pugnale, le ferite sulle braccia


le dolevano terribilmente.

- “Cosa sei tu?” - chiese lei con la voce rotta.


- “Sono un grifone, non vedi? Se tu avessi aspettato alcuni minuti
ad arrivare sarei diventata la vittima sacrificale per quel gentile
signore che si sta lentamente formando sopra la fiamma delle
candele... uhm... non riusciresti di certo ad ucciderlo con due
pugnali… se termina di prendere forma... “

Sopra le candele, il fumo stava prendendo la forma di uno strano


essere, due occhi rossi brillavano nell’abbozzo di una testa.

- “Cos’è quello? Che cosa posso fare per fermarlo?”


- “Spegni le candele, non è completato ancora... l’energia
sessuale dell’orgia delle due donne lo stava dotando di vita
propria ... ora le due donne sono morte, ma vedo che non se n’è
ancora andato. Non devi far altro che rovesciare le candele,
spegnile senza soffiarci sopra, poi con la spada di quel nobile
guerriero, disperdi la nuvola di fumo tracciando, sarà più che
sufficiente ... quindi se vorrai slegarmi, te ne sarò molto grato; mi
piacerebbe vedere se le mie ali sono ancora del tutto attaccate al

122
resto del corpo.”

Dana spense le candele, disincastrò il teschio dalla spada e lo


sistemò rispettosamente sulla pietra tombale; il grifone la
osservava con ammirazione. Quindi estrasse la spada dal
pavimento e tagliò la nuvola così come le era stato consigliato.

L’aria ritornò limpida in pochi minuti.

Quindi si avvicinò alla gabbia; la piccola bambina sembrava


addormentata, ora. Dana provò ad aprire la porta metallica, ma
era saldamente bloccata da un robusto catenaccio.

- “Sta bene.” - disse il grifone.


- “Come posso fidarmi di te?” - domandò Dana; la sua voce era
ancora rotta dai singhiozzi – “Come posso essere certa che tu
non sia un complice di quelle streghe? Chi sei?”

- “Sono Och’n’heim, l’ultimo discendente della nobile stirpe dei


Grifoni del Tuono; le due donne pensavano di aver bisogno della
virilità della mia anima e della verginità di quella fanciulla per
cibare l’entità che si stava formando sopra le candele. Nelle loro
menti insane, presupponevano di ricavarne potere ed
immortalità.”

Dana assunse un’aria pensosa.

- “Perché hanno profanato i resti mortali di quel guerriero?” -


incalzò Dana.
- “Volevano impossessarsi di quello che non avevano più nei loro
animi ... ma faresti meglio a non indagare in questi misteri...” -
Replicò gravemente Och’n’heim.
- “Cosa non avevano più nei loro animi?”
- “Ciò che hanno sprecato e perso.”

123
- “Che cosa?” - urlò Dana.

Il grifone girò la testa chiudendo gli occhi. Trasse un profondo


respiro; grandi lacrime sgorgarono dai suoi occhi. La grande e
poderosa creatura legata al muro stava soffrendo
tremendamente.

- “La NOBILTA’!” - esclamò improvvisamente fissando Dana negli


occhi; i suoi poderosi artigli graffiarono profondamente il
pavimento.

Dana si vergognò di sè stessa: stava procurando ulteriori motivi di


sofferenza a quella creatura, ma era ancora troppa spaventata. Il
grifone avrebbe potuto ucciderla in un baleno se avesse voluto.

- “Come posso fidarmi di te?” - domandò ancora Dana.


- “... apri il tuo cuore e guarda nei miei occhi.”

Gli occhi del grifone erano profondi e fieri; Dana rimase immobile
fissando la loro nera profondità.

- “Ti faccio paura?” - le chiese il grifone.


- “No...” - sussurrò Dana.
- “Bene...allora guarda!” - ordinò il grifone alla mente di Dana.

Dana vide nuvole scure sotto di lei, alti picchi rocciosi bucavano le
nubi.

Stava volando.

Il cielo sopra le nuvole era chiaro; le montagne di roccia nuda


erano illuminate da una strana luce violetta.

- “Questo è il mio Reame.” - sussurrò il grifone.

124
Tra immensi picchi rocciosi, nascosto tra spesse nubi, un
maestoso tempio si alzava nel cielo terso, invisibile e
irraggiungibile dal suolo, centinaia di miglia più sotto.

L’enorme palazzo bianco si ergeva di fronte a lei; poteva sentire


l’aria fresca e pulita nei polmoni riempirle l’anima di nuova
purezza.

- “Och’n’heim!” - gridò il grifone.

Un torrente d'energia percorse il corpo di Dana. Il dolore delle


scottature fu scosso via dalla tonante voce del grifone.

- “Puoi ritornare ora; sei sempre di fronte a me nella tomba del


nobile guerriero, riapri gli occhi, guardami!” - disse il grifone.

Dana lo guardò; i suoi occhi erano buoni, la paura era svanita in


un lampo.

- “Mi fido di te, Och’n’heim.” - disse Dana orgogliosa – “Ti slego.”


- “Grazie nobile guerriera.”
- “Il mio nome è Dana di Dantaria.” - tagliò le corde che tenevano
la creatura immobilizzata alla parete.
- “Cosa ti ha portato in questo triste posto, Dana?” - le domandò
Och’n’heim.
- “Sto cercando di raggiungere le terre di Pahseron, voglio unirmi
al loro esercito in difesa del sacro Tempio del Nord dalla furia di
Herrick. Sono in ritardo...gli ultimi avvenimenti sicuramente non
mi hanno aiutato a recuperare il tempo perso ... temo di aver
fallito ... con queste ferite non sono in grado di combattere.”
- “Ti posso aiutare nel tuo nobile compito, Dana.” - replicò il
grifone controllando se le su ali funzionavano ancora
correttamente; sbattendole, sollevò una nube di polvere.
- “Come?”

125
- “Posso attraversare la foresta in poche ore, non sei troppo
pesante per le mie spalle.”
- “Davvero? Farai questo per me?”
- “Mi hai salvato la vita, cara, noi grifoni abbiamo una memoria
molto lunga.” - rispose Och’n’heim ridendo.
- “Grazie!” - urlò Dana abbracciando la creatura; ma gettandogli le
braccia attorno al collo si rese conto che le dolevano ancora, e si
rabbuiò di nuovo in viso.
- “Non ti preoccupare di un po’ di pelle bruciata, le Etheridi ti
aiuteranno.”
- “Etheridi?” - domandò Dana.
- “Non preoccuparti! Basta con le domande!” - concluse
rudemente il grifone.

Och’n’heim si avvicinò alla gabbia con la bambina addormentata,


e colpì il lucchetto del catenaccio con il suo robusto becco. Il
cancello si aprì immediatamente.

- “Assicura la piccola sopra le tue spalle ed afferra il mio collo!


Stiamo per partire!” - ordinò Och’n’heim.

Dana raccolse le corde usate per imprigionare il grifone e fabbricò


una robusta imbracatura per la bambina. Quindi seguì Och’n’heim
fuori del casolare.

Liberò il suo cavallo dandogli l’ultimo bacio ed abbracciò il collo


del grifone.

Dopo pochi minuti stava volando, con la piccola bimba sulla


schiena, sopra l’immensa foresta.

Vicino ad essa grandi falò brillavano nella notte.

- “Cosa sono quei fuochi, Och’n’heim?” - domandò Dana.

126
- “Sembra un grosso accampamento, vuoi dare un occhiata più
da vicino?”
- “Sarebbe magnifico!”
- “Andiamo!”

Il grifone spiegò le sue possenti ali tagliando la fredda aria della


notte in una larga virata sulla destra.

I muscoli tesi di Och’n’heim sotto il suo corpo le davano una


piacevole sensazione.

- “Dio mio!” - sussurrò Dana – “Ci sono centinaia di mostri laggiù!”


- “Sono Orck, vivono nelle Montagne Nascoste, non so cosa li
possa aver condotti fin qui.”
- “Sicuramente è opera di Re Herrick!”
- “Non ne ho idea, Dana.”

Och’n’heim colpì l’aria con le ali per riguadagnare quota, quindi le


spiegò di nuovo per virare a sinistra.

Da sud una strana nube fluorescente, del tutto innaturale, si stava


muovendo verso nord.

- “...e quella cos’è?” - domandò Dana.


- “Cara, stanno succedendo troppe cose strane...andiamo a dare
un’occhiata.”

Le ali possenti spinsero via l’aria fredda. Il grande grifone stava


volando davvero velocemente, ora; guadagnò di nuovo quota e si
diresse verso la strana nuvola, ancora distante, più in basso.

Quindi ripiegò un poco le ali e iniziò una picchiata in direzione


della nuvola.

127
In questo modo, spiegandole di nuovo, sarebbe stato in grado di
risalire di nuovo in alto nel cielo, in caso di pericolo.

Il proiettile piumato raggiunse la nube luminosa in pochi secondi.

- “Obscurni!” - disse Och’n’heim.


- “Incredibile! Herrick è un diavolo.”
- “Come mai per qualsiasi cosa negativa che vedi incolpi sempre
Herrick?”
- “Lo odio!”
- “...vedo.”
- “Och’n’heim?”
- “Sì?”
- “Puoi fermare gli Obscurni?”
- “Cosa?” - Och’n’heim stava ridendo – “Sono centinaia Dana, se
osassi disturbarli, probabilmente mi succhierebbero anche le
unghie; scherzi? E’ meglio che ci dirigiamo in fretta verso il
villaggio, posso volare molto più rapidamente di un obscurno.”
- “Sono d’accordo con te.”

Il grande grifone si mosse silenzioso nella notte fredda, guidato


dalla luminosa Stella del Nord.

128
33 – La Partenza di Herrick

Le due grandi navi erano ancorate nel porto di Dalmar, pronte ad


accogliere Re Herrick ed il suo esercito.

I soldati stavano marciando sul lungo molo, i cavalli erano già a


bordo.

Le due grandi vele erano abbassate.

Herrick era sulla spiaggia sassosa con Drusilla.

- “Perché sei così triste questa sera? Non è la prima volta che
parto per una battaglia.”
- “Non è niente...”

Herrick l’abbracciò.

- “E’ per qualcosa che hai visto nei tarocchi stamattina?” -


domandò Herrick.
- “Non morirai.” - rispose lei baciandolo.
- “Allora, cos’altro?”
- “E’ solo una sensazione, sento che non ti rivedrò mai più!”
- “Se non muoio ti rivedrò di certo. Lo sai che ti amo.”
- “Lo so.”

Un altro lungo bacio.

- “Sarò di ritorno tra pochi giorni, prenditi cura della tua pelle.”
- “Sarà guarita al tuo ritorno.” - sorrise maliziosa.
- “Devo andare ora.”
- “Non ti dimenticherò mai.” - disse Drusilla cercando di

129
nascondere una lacrima.
- “Cosa mi vuoi dire?”
- “Non farci caso.” - gli disse baciandolo di nuovo – “Ti aspetto.”
- “D’accordo, non tradirmi con Hugo.”
- “Sei tremendo!” - sorrise lei scompigliandogli i capelli.

Si baciarono di nuovo, a lungo; quindi Herrick salì a bordo della


sua nave.

130
34 – La Mancanza di Umorismo

Kildakel stava passeggiando nella piazza principale del villaggio


osservando la gente: non sembravano preoccupati del pericolo
imminente.

Grimdell era seduto sotto un albero con una bottiglia di sidro.

- “Salve Grimdell, come stai?” - domandò Kildakel.


- “Benissimo, grazie.” - dispose il vecchio – “Che cosa è successo
alle tue mani?”

Le ferite sulle sue mani erano ancora visibili.

- “Niente di grave, Grimdell, solo un incidente con la spada.”

Grimdell lo fissò e disse:

- “Le forze del male odiano il sole, eravamo troppo luminosi!


Stanno cercando di oscurarci con nubi d’angoscia. Non dobbiamo
aver paura se vogliamo vincere!”

Kildakel si avvicinò al vecchio e si sedette vicino a lui.

- “Dimmi Grimdell, perché ripeti sempre questa frase.” - Gli


domandò.

Gli occhi di Grimdell diventarono improvvisamente tristi.

- “Sto diventando vecchio, Kildakel, quando ero giovane ero un


coraggioso e fiero guerriero, niente mi spaventava. Ora è
diverso... non posso aiutare i giovani con la forza dei miei

131
muscoli, solo con le parole...” - Grimdell si accomodò meglio
aggiustandosi la schiena contro il tronco dell’albero. –
“Probabilmente stasera ho bevuto troppo sidro, non avrei dovuto
sprecare la mia frase migliore per delle misere ferite alle mani.” -
rise forte.
- “Noi tutti ti rispettiamo Grimdell, non hai bisogno di scusarti.”

Grimdell giro rapido la testa nella direzione di Kildakel fissandolo


con disprezzo. Quindi si alzo in piedi inaspettatamente svelto.

- “In piedi, merdaccia!” - esclamò Grimdell.


- “Cosa ti succede Grimdell.” - chiese Kildakel senza obbedire.

Grimdell afferrò Kildakel per la collottola e lo sollevò di peso


sbattendolo contro il tronco.

- “Questo è per la tua pietà.” - disse calmo Grimdell dandogli una


ginocchiata al basso ventre.
- “E questo è per la tua mancanza d'umorismo.” - disse Grimdell
ammaccandogli la faccia con il gomito.

Kildakel cadde a terra boccheggiando nella polvere. Grimdell se


ne andò fischiettando una canzone con la sua bottiglia di sidro.

Stava ancora contorcendosi al suolo quando udì la voce di


Beltram.

- “Che ti succede?” - disse Beltram aiutandolo a sedersi.


- “...solo uno scambio d'idee con Grimdell.”
- “Un vecchio che ti riduce in questo stato? Hai proprio bisogno di
una donna!” - rise Beltram.
- “Ho bisogno di una birra.”

Entrambi si misero a ridere, quando un lungo suono di corno

132
attirò la loro attenzione.

Parecchie persone uscirono di casa... altri brevi note di corno...


era il segnale d’allarme per gli arcieri.

- “Il mio arco!” - esclamò Beltram. Si alzò e corse veloce a casa.

In cielo, rischiarato da una grande luna, un enorme uccello stava


volando sopra il villaggio.

Una linea d'arcieri si schierò rapida pronta a scoccare le frecce.

Anche il Druide stava scrutando il cielo; l’uccello era ancora


troppo lontano per potere essere visto distintamente.

Lo strano animale stava discendendo sopra il villaggio


descrivendo una larga spirale.

- “Incoccate le frecce.” - ordinò il capo degli arcieri.


- “Incredibile!” - trasalì il Druide – “Aspettate uomini!” - urlò dopo
pochi secondi – “Quello è un grifone! Non uccidetelo!”

Och’n’heim stava volando prudente studiando le mosse della


gente giù al villaggio.

- “Veniamo in pace!” – disse appena raggiunse una distanza tale


da potere essere udito dalla gente del villaggio.
- “Sto trasportando una bambina e una donna!”

Gli arcieri abbassarono istintivamente gli archi.

- “Puoi atterrare!” - disse il Druide – “Che tu sia il benvenuto!”

Il grande grifone toccò il suolo giusto nel mezzo della grande

133
piazza. Immediatamente un cerchio di persone si radunò attorno
a lui.

- “Finalmente!” - sospirò Dana saltando giù dalle spalle del


grifone.

Och’n’heim si aggiustò le piume col becco, quindi osservò la folla


e disse:

- “Sono Och’n’heim, il Grifone del Tuono. Ho avuto l’onore di


condurre sin qui questa nobile guerriera e questa bambina umana
bisognosa di cure. Ora è un’orfana, sono sicuro che qui troverà
tutto l’amore necessario.”

La gente rimase senza parole nell’ascoltare quell’incredibile


uccello parlare tanto chiaro.

- “Cara Dana, sono molto felice di averti incontrato, spero di


rivederti un giorno.”
- “Grazie di tutto Och’n’heim! Spero che un giorno potrò vedere di
persona il tempio che mi hai mostrato.” - rispose Dana.
- “Ti condurrò laggiù un giorno.” - sorrise il grifone spiegando le
ali.
- “Ti prego aspetta!” - disse il Druide – “Saremmo onorati di averti
come nostro ospite al villaggio per la notte, probabilmente hai
bisogno di riposo.”
- “No, ti ringrazio, nobile Druide, ma devo ritornare nel mio
Reame.” - rispose il grifone – “Ultimamente non sopporto molto gli
umani.” - sussurrò nell’orecchio di Dana, sorridendo. Quindi volò
via lasciando una nuvola di polvere nella piazza.

Una donna anziana si avvicinò a Dana osservando la bambina.

- “Dio mio! Questa bambina è ferita, per favore lasciamela portare

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a casa, posso curarla.” - disse la donna a Dana.

Dana guardò interrogativa il Druide che assentì con la testa.

- “Per favore, prenditi cura di lei, ha sofferto parecchio.” - disse


Dana ponendole la bimba tra le braccia.
- “Non ti preoccupare, ho già cinque figli, so cosa fare.” - sorrise la
donna.

Il Druide si avvicinò a Dana.

- “Cosa ti ha condotto sin qui, guerriera?” - domandò.


- “Sono Dana di Dantaria, sono qui per difendere il Tempio del
Nord dalla furia di Herrick!” - rispose.

Molte persone si misero a ridere.

- “Che tu sia la benvenuta! Ma vedo che sei ferita.” - riprese il


Druide – “Prenditi qualche ora di riposo, sei mia ospite.”
- “Non c’è tempo, uno stormo di Obscurni si sta avvicinando al
villaggio, li ho visti mentre viaggiavo con Och’n’heim; inoltre
centinaia di Orck sono accampati ai bordi della foresta.”

Il Druide trasalì.

Era già a conoscenza degli Orck, le Etheridi lo avevano avvisato,


ma gli Obscurni erano una novità.

Il Druide non aveva la più pallida idea di come contrastarli.

- “Hai detto uno stormo, potresti essere più precisa?” - domandò il


vecchio uomo.
- “Un centinaio ... direi ... e stanno volando veloci! Sono sicura
che avete abbastanza frecce da abbatterli tutti!”

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- “Mia cara, le frecce sono totalmente inutili contro quelle
creature, sono incorporei, non si può uccidere un Obscurno con
una freccia.”

Tutta la gente del villaggio era talmente attenta alla


conversazione tra i due, che nessuno aveva notato che, sopra le
mura che circondavano il villaggio, erano appollaiati gli Obscurni;
stavano osservando la scena in silenzio.

Avevano volato a pelo d’acqua ed erano atterrati sulle


fortificazioni di legno; erano creature silenziose ed intelligenti:
nemmeno le guardie si erano accorte di loro.

- “Siamo pacifici.” - tutti gli Obscurni parlarono insieme.


- “Veniamo in pace.” - la loro voce era melodiosa ed ipnotica.
- “Vogliamo parlare col Druide.”

Il Druide respirò a fondo.

- “Sto diventando davvero troppo vecchio per questo mestiere.” -


Sussurrò.

Tutti gli arcieri alzarono gli archi pronti a scoccare le frecce.

- “Abbassate gli archi!” - ordinò il Druide – “Porgo il mio


benvenuto al Popolo degli Obscurni.” - disse – “Quale di voi è il
capo?”
- “Non abbiamo capi. Noi tutti vogliamo parlare con te.”
- “Siete i benvenuti.”
- “Siamo in possesso di un’antica pergamena scritta dai costruttori
d'Ellipticon. Noi non siamo di questo mondo. Vogliamo che tu usi
la pergamena nel Tempio per farci tornare al nostro pianeta.” -
dissero gli Obscurni all’unisono.
- “Fatemi capire ... non siete stati mandati Herrick?” - chiese il

136
Druide.
- “Duregal, il mago, crede stupidamente di averci incantato con
una delle sue magie, e così Herrick. In realtà noi rispettiamo
Ellipticon; il lago per voi è un luogo sacro, per noi è il mezzo per
ritornare a casa. Non deve cadere nelle mani di Duregal: è troppo
malvagio. Vi aiuteremo a combattere gli Orck. In cambio vi
chiediamo di leggere le parole scritte sulla pergamena in vostro
possesso nel Tempio.»

Il volto del Druide si rabbuiò, pensoso.

- “Siamo stanchi di vivere in questo mondo.” - ripresero gli


Obscurni – “Sta diventando ogni giorno troppo ostile per noi...gli
umani non sanno rispettare la nostra natura...vogliamo ritornare a
casa.”

- “E’ quasi l’alba...” - pensò ad alta voce il Druide.

- “Abbiamo bisogno di una caverna per trascorrere il giorno;


domani, dopo il tramonto attaccheremo gli Orck. In cambio vi
preghiamo di leggere il contenuto della pergamena in Ellipticon
prima dell’alba.”
- “La vostra preghiera è accolta!” - decise il Druide – “Potete
dormire nel tunnel che conduce al lago. Guardie, aprite le porte
del Tempio!”
- “Ti ringraziamo profondamente.”

Una nube luminosa fluttuò silenziosa nel tunnel.

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35 – La Battaglia nella Foresta

Prima dell’alba gli Orck iniziarono ad attraversare la foresta


seguiti da una nuvola di mosche.

Trundle in testa, guidava l’armata.

In breve, miglia di muschio diventarono sporche e puzzolenti.

All’altro capo della foresta, gli uomini del villaggio di Pahseron,


stavano preparando un'imboscata.

Gli arcieri salirono sugli alberi giganteschi. Nascosti dal fitto


fogliame avrebbero potuto fermare molti Orck, anche se le frecce
da sole non erano di certo sufficienti per bloccare un esercito di
mostri.

Il grosso dell’armata avrebbe in ogni caso superato lo


sbarramento di frecce.

I cavalli non potevano muoversi con facilità nella fitta vegetazione,


così i guerrieri sarebbero stati costretti a combattere a corpo a
corpo con gli Orck.

Numerosi buchi erano stati scavati nel terreno e coperti da tappeti


di foglie; questo avrebbe fermato un’altra porzione dell’esercito
nemico.

In ogni caso la maggioranza degli uomini contava molto sull’aiuto


degli Obscurni: quelle creature erano di certo in grado di mettere
fuori combattimento quasi tutti gli Orck.

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E così avvenne: al tramonto, gli Orck si avvicinarono al luogo
dell’imboscata, molti di loro caddero sotto le frecce e le spade, ma
solo dopo il tramonto, l’enorme armata degli Orck terminò la sua
corsa.

Gli Obscurni attaccarono; più forza vitale succhiavano, più


diventavano agili e precisi nei movimenti.

Prima dell’alba, nessun Orck era sopravvissuto.

Solo Trundle si salvò, trovando rifugio su di un vecchio olmo,


nascosto nella fitta foresta.

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36 – Il Ritorno degli Obscurni

Mancava poco all’alba: entro poche ore la luce del sole avrebbe
acceso le potenti acque d'Ellipticon.

Il Druide aspettava paziente l’arrivo degli Obscurni, vicino le


acque del lago.

Non amava molto quelle creature, ma sapeva che era solo un


timore irrazionale; erano spaventosi a vedersi, ma con le loro
azioni avevano dimostrato d’essere leali e pacifici.

Inoltre aveva fatto una promessa; in tutta la sua lunga vita, il


Druide aveva sempre onorato la parola data.

Finalmente gli Obscurni arrivarono.

La loro aura brillava più del consueto.

- “Evidentemente sono pieni d'energia.” - pensò il Druide.


- “L’armata degli Orck è stata fermata.” - dissero gli Obscurni.
- “Sono molto felice di sentire questa notizia.”

Uno degli Obscurni si avvicinò al Druide mentre gli altri si stavano


sedendo intorno al lago, descrivendo una grande ellisse nera.

- “Questa è la pergamena che dovresti leggere; non devi fare


altro. Il suono della tua voce sarà più che sufficiente.”

Il Druide assentì, prendendo la pergamena.

- “Siamo molto grati a te e al tuo popolo per quello che stai

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facendo.” - disse l’Obscurno prima di raggiungere i suoi
compagni.

Il Druide spiegò la pergamena; su di essa vi erano scritte solo


poche lettere.

“A-O-B-A-O-B”

Osservò gli Obscurni: erano seduti attorno al lago nell'attesa che


lui si decidesse. Il sole stava per sorgere: pensò che era inutile
sprecare tempo ulteriore.

Si schiarì la voce e pronunciò le parole scritte, facendo attenzione


a scandirle separatamente.

- “A-O-B-A-O-B”

La sua voce echeggiò nel Tempio.

Gli Obscurni osservarono l’acqua. Una luminescenza dalle sue


profondità sali lenta verso la superficie; quindi un cilindro di luce
bianca salì nel cielo... sembrava raggiungere la fine dell’Universo.

Gli Obscurni volarono nella luce, il loro corpo etereo virò dal nero
al bianco. Divennero presto un tutt’uno con la luce.

Nel più profondo silenzio il cilindro luminoso si staccò dalla


superficie del lago, velocissimo si perse nelle profondità dello
spazio.

Il Druide ripiegò la pergamena e chiuse le porte del Tempio.

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37 – La Visione di Lutracon

Lutracon, nel suo antro, stava dormendo, sognando l’Universo


come sempre.

Nel suo sogno vide due pianeti di galassie differenti collegarsi con
raggio di luce.

Espanse la sua coscienza fino a raggiungere l’aura del secondo


pianeta. Percepì gioia.

Lutracon ruggì gentilmente.

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38 – Il Mistero di Ellipticon

La battaglia sul mare fu breve. Gli uomini del villaggio erano


ancora sulla strada del ritorno dalla foresta quando le sue navi
raggiunsero le Terre di Pahseron. Re Herrick aveva vinto ed era
riuscito ad oltrepassare le mura.

Ora era di fronte la Portale di Ellipticon; l’odore del sangue era


ancora nelle sue narici.

Nove soldati giacevano morti alle sue spalle; alcuni di loro caduti
nelle trappole, gli altri uccisi da una lama nascosta lungo il tunnel
che conduceva al Tempio.

L’ultimo soldato che era riuscito a raggiungere incolume la porta


stava esalando il suo ultimo reprimo da un taglio nella gola.

Il Re ripulì la lama della sua spada dal sangue del soldato ed


attese alcuni istanti davanti al meraviglioso portale decorato.

La maggioranza dei suoi uomini era caduta in battaglia, uccisi da


frecce o dalle onde del mare.

Nemmeno Duregal era sopravvissuto; la sua nave era affondata


sotto i colpi delle catapulte.

I pochi superstiti stavano attendendo il ritorno del Re, all’entrata


del tunnel.

Herrick spinse il Portale impugnando la sua spada.

Lutracon graffiò il pavimento della caverna con i suoi artigli; il

143
cuore gli pompò sangue freddo nel cervello.

Una leggera brezza stava muovendo le acque del Tempio; le


nuvole nel cielo erano spesse e pesanti.

Herrick raggiunse il lago, osservò l’acqua domandandosi cosa


avesse di tanto speciale quel posto.

Sicuramente era un luogo molto strano; le rocce bianche e


levigate della montagna... la forma perfetta del lago... ma quello
era tutto: un magnifico monumento costruito in onore di qualche
divinità.

Osservò meglio il lago, alcune creature nuotavano nell’acqua.

Con la punta della spada cercò di toccarle, col solo risultato di


lavare via il sangue dalla lama.

Una nuvole rossa si disperse nell’acqua.

Lutracon si svegliò. Ruggendo, terribile, spalancò le ali


distruggendo il delicato soffitto di stalattiti della caverna.

La sua robusta coda tagliò l’aria come un'enorme frusta.

Il suo sogno si era bruscamente interrotto: una fitta nube rossa


aveva turbato la sua visione dell’Universo.

Rossa, come i suoi occhi.

Pompò aria fresca nei polmoni ed emise un altro profondo


ruggito; una rabbia millenaria fece vibrare le pareti della caverna.

Cominciò la sua inarrestabile marcia verso l’uscita: un’incrollabile

144
determinazione stava muovendo quell’animale antico verso la
luce del sole.

Nel Tempio la forza del vento crebbe. Presto il sole ebbe la


meglio sulla coltre di nubi; dall’acqua si sprigionarono i colori
danzanti.

Herrick rimase attonito di fronte a quello spettacolo incredibile:


era sommerso in una caleidoscopìa di colori ... preso dalle
vertigini, cadde in ginocchio.

Dopo il primo momento di stupore, si rese conto che stava


trattenendo il respiro da parecchio tempo; i polmoni gli dolevano.

Spinse l’aria fuori del petto e cercò di inspirare.

Nulla!

I suoi stessi muscoli sembravano rifiutarsi di obbedire.

Chiuse gli occhi annaspando.

Un profumo gli salì alle narici.

Drusilla... l’aveva abbracciata poche ore prima. Il suo profumo


intenso gli era rimasto sulla pelle...inspirò profondamente.

Herrick riaprì gli occhi fronteggiando il mare di colori.

Un profondo ruggito di vittoria lacerò il silenzio nel Tempio.

- “Io sono il Re!” - urlò; la sua voce echeggiò sulle rocce,


rotolando sull’acqua.

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Una scarica d'energia gli squassò il corpo; si sentì un dio: come
se fosse antico, incredibilmente antico. Più antico del Tempio
stesso.

- “Nessuno può contrastarmi.” - sussurrò.


- “Io posso!” - una voce parlò dietro di lui.

Il Re si rigirò rapido, impugnando saldamente la spada.

Un uomo era in piedi di fronte a lui, il suo volto e il suo corpo


erano lordi di sangue.

- “Chi sei tu?” - domandò il Re.


- “Il mio nome è Kildakel.”

Il Re si alzo in piedi, lentamente, fissando Kildakel negli occhi;


mosse alcuni passi nella sua direzione.

- “Bene, Kildakel, cosa ci fai nel mio Tempio?” - disse Herrick


sorridendo.
- “Questo non è il tuo Tempio, Herrick.” - rispose Kildakel.

Il suo cervello era inondato da torrenti di lava che stavano


distruggendo ogni freno mentale.
- “Hai ragione, Kildakel. Questo non è il mio Tempio.” - disse il Re
calmo.

Il sole stava brillando luminoso, alto nel cielo; le figure scure dei
due uomini erano gli unici punti di riferimento in quell’arcobaleno
di colori.

I loro occhi sembravano due opali danzanti, i loro visi due


maschere psichedeliche.

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- “Questa è la tua Tomba!” - urlò il re spostandosi
inaspettatamente rapido.

La sua spada crollò come un maglio sopra la testa di Kildakel.

Kildakel cadde su un ginocchio, alzando la sua lama per parare il


colpo.

Il Re ridendo rigirò la spada sopra la testa e colpì di nuovo.

Kildakel non poté far altro che parare una seconda volta; le sue
mani stavano tremando sotto la potenza dei colpi.

- “Ehi, grande guerriero, ho sete!” - disse il Re.

Con un rapido fendente, Herrick superò le difese dell’avversario.

Il braccio destro di Kildakel si bagnò di sangue.

Stava annaspando per il dolore; con le ultime forze rotolò sul


pavimento e si lasciò cadere in acqua.

- “Stai sporcando l’acqua del mio Tempio!” - rise Herrick.

Kildakel riuscì ad infilare la spada nel fodero dietro le spalle e


raggiunse la superficie del lago.

La sagoma scura del re sulla riva sembrava irreale, come


sospesa nella luce colorata.

La pace d’Ellipticon era stata violata.

Doveva guadagnare tempo, non poteva fronteggiare Herrick


un’altra volta. La Sacra Colonna! Quello era l’unico posto sicuro.

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Kildakel nuotò verso di lui lasciando una scia di sangue
nell’acqua.

In pochi minuti raggiunse la roccia: nessun piede umano non


aveva mai toccato quella pietra.

Kildakel provò timore: troppe sacre regole erano state infrante.


L’acqua era sporca di sangue, la pietra era stata violata ed un
assassino era entrato nel Tempio.

- “Sto arrivando pesciolino!” - urlò il Re prima di tuffarsi nel lago.

Kildakel estrasse la spada scrutando l’acqua. La luce lo


accecava.

I minuti trascorsero senza alcun segno di Herrick.

Improvvisamente un forte dolore gli salì dalla gamba sinistra.


Kildakel cadde sulla pietra liscia con un pugnale nella carne.

- “Il pesciolino non può più nuotare...! Non più, mi dispiace, caro!”

Herrick si arrampicò sulla roccia, l’onnipresente sorriso ironico


sembrava dipinto con milioni di colori sul suo viso.

- “Ora, guerriero, sono molto dispiaciuto che tu debba morire in


questo modo miserabile dopo una vita di nobili battaglie. Ma vedi,
caro, sono avvezzo a prendere il bagno in confortevole acqua
calda. Mi spiego meglio: l’acqua era troppo fredda stamattina.” -
Disse il Re appoggiandogli la lama sulla gola.

- “Sei solo un povero buffone!” - sussurrò Kildakel.

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Improvvisamente, un’ombra oscura calò su di loro. Herrick alzò lo
sguardo giusto in tempo per vedere un enorme artiglio avvicinarsi
sopra di lui.

Le sue ossa scricchiolarono sotto la robusta presa.

Lutracon atterrò sulla pietra ed osservò i due uomini.

In distanza alcune persone stavano guardando la scena: il


Druide, Beltram, Dana e i pochi sopravvissuti del villaggio.

La voce di Lutracon, profonda, antica e calma, ruppe il silenzio.

- “Tu ami la vita?” - domandò imperioso a Herrick, annusandolo


con la lingua.

Il Re stava tremando, paralizzato nelle mani del drago.

- “TU AMI LA VITA?” - ruggì il Drago nelle orecchie di Herrick.

Il Re trasse un profondo respiro e sussurrò:

- “Tieni le tue mani lontano da me.”

Lutracon lasciò il Re e sussurrò.

- “Ti ho fatto una domanda umano!”

Herrick si aggiustò i vestiti.

- “Amo la MIA vita.” - replicò sorridendo.

Un leggero ruggito uscì dalle labbra di Lutracon. Quindi spostò


l’enorme testa nella direzione di Kildakel.

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I suoi profondi occhi rossi stavano studiando i due umani.

- “Tu ami la vita?”


- “Sì.” - rispose Kildakel, sedendosi meglio sulla roccia – “Ho
sacrificato me stesso, il mio amore e la mia libertà per difendere i
valori della vita... sarei pronto a morire per questo, se
necessario.”

Lutracon assentì, pensoso. Quindi afferrò i due umani e si spostò


nel centro della roccia circolare.

Alzò la testa verso il cielo.

Il sole stava scomparendo dietro l'oscura montagna di Green


Torr.

Il Drago si alzò sulle gambe posteriori, e ricoprì i due umani con le


sue larghe ali.

Un profondo suono vibrante uscì dalla sua bocca; in pochi


secondi crebbe d'intensità.

Le acque d'Ellipticon si mossero sotto quelle potenti vibrazioni.

Il cristallo emerse dall’acqua lentamente.

- “La Leggenda è vera.” - sussurrò il Druide.

La colonna di roccia stava galleggiando sopra la superficie del


lago ora; il drago e i due uomini erano ancora sulla cima.

- “Grendar-Ko!” - ruggì il drago.

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Il tempo accelerò: il Sole calò rapido dietro le montagne, la Luna
sorse e salì rapida nel cielo.

Una stella distante divenne più luminosa.

Il Drago si chinò ed abbassò la testa per sussurrare a Kildakel e


Herrick:

- “Non preoccupatevi, stiamo partendo.”

Con una velocità incredibile la colonna di roccia volò nella notte


nella direzione della stella, silenziosa.

Dopo pochi secondi una grandiosa esplosione illuminò il cielo.

Dopo breve tempo il cristallo rientrò nella sua sede, nel fuoco
settentrionale d’Ellipticon.

Lutracon, Herrick e Kildakel erano scomparsi.

- “Kildakel!” - gridò Beltram avvicinandosi al lago.


- “Non preoccuparti.” - sussurrò Dana prendendogli una mano –
“Non è morto.”

Beltram rimase senza parole, girò la testa verso il Druide con


un’espressione interrogativa in volto.

- “Dana, tu conosci il Mistero d’Ellipticon?” - domandò il Druide.


- “… credo di avere intuito ciò che è successo ... per favore ... non
chiedermi altro ... per il momento.” - rispose Dana.

Il Druide divenne immediatamente molto pensieroso.

151
- “Dana, sto diventando troppo vecchio per questo lavoro, penso
che Ellipticon sia pronto per una nuova Sacerdotessa. Torniamo
al villaggio, abbiamo molto di cui parlare.”

Beltram si sedette vicino all’acqua, con l’arpa tra le ginocchia.

Luminose note colorate danzarono nella luce.

Una grande pace calò in Ellipticon.

152
Epilogo

Al decimo piano del grande edificio Thomas sta aspettando Anne.

L’ha appena sentita sul cellulare: è rimasta intrappolata nel


traffico.

La pioggia tamburella sui vetri della finestra.

Thomas beve un po’ di caffè.

Suona il campanello.

- “Sono io.”

La voce di Anne è felice. Apre la porta.

Anne entra e l’abbraccia, dandogli un bacio umido.

- “Sei stanca?” - le chiede Thomas.


- “Solo un po’. Posso avere un po’ di caffè?” - dice lei buttandosi
sul divano. I suoi lunghi capelli castani inondano l’aria di un
delicato profumo.

- “Sei molto sexy questa sera.” - dice Thomas versandole il caffè.


- “Nemmeno tu scherzi.” - replica lei sorridendo con malizia.

Il caffè è ancora caldo nella tazza quando Anne e Thomas


cominciano a fare l’amore.

- “Dannaz…!” - urla Thomas.


- “Che ti succede?” - dice Anne – “Sei stato magnifico!”

153
Thomas si guarda corrucciato tra le gambe.

- “Questo maledetto profilattico! Si è rotto!” - dice Thomas


- “...Dio!”

Thomas si alza in piedi e raggiunge la finestra. Guarda la pioggia


fuori del vetro.

- “Lo so che ci amiamo...ma... mio Dio! Non mi sento pronto a


essere padre.”
- “Thomas...?” - sussurra Anne.
- “Sì?”
- “...è buffo.”
- “Che cosa?”
- “Mentre stavamo facendo l’amore, stavo pensando...”
- “Sì?”
- “Stavo pensando... che se un giorno avessimo un bambino...”
- “Che cosa?” - Thomas è visibilmente nervoso.
- “Stavo pensando al nome che potremmo dare al bambino...”
- “Anne, un profilattico rotto non significa necessariamente che
avremo un figlio... voglio dire... “
- “Lo so, ma ... la cosa strana è il nome che mi è balzato in mente
mentre facevamo l’amore... “
- “Quale nome?”
- “Non mi ricordo bene ora, non era chiaro ed era molto strano...
tipo Kildenrick, Henrildakel, un nome tipo questo... un nome
assurdo… non è buffo?”
- “Scusami ma non rido per niente…”
- “Dai amore, non preoccuparti ... vieni qui.”

Thomas raggiunge Anne tra le lenzuola.

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Sommario
Ellipticon 2
Prefazione 3
Prologo 4
1 – Beltram e Kildakel 5
2 – Dalmar 11
3 – Le Creature 13
4 - Il Viaggio di Dana 16
5 – Il Lago 18
6 – Herrick e Drusilla 23
7 – Dana e l’Obscurno 26
8 – La Foresta 30
9 – Il Consiglio 32
10 – Dana e Theodore 34
11 – Il Tempio 37
12 – Il Mago Duregall 44
13 – La Festa al Villaggio 49
14 – Lutracon 51
15 – La Ricerca di Dana 52
16 – Gli Orck 54
17 – L’Armata di Dalmar 55
18 – Il Sogno del Drago 60
19 – Il Tormento di Beltram 62
20 – L’Ira di Kildakel 64
21 – Una sosta per Dana 72
22 – La Sala del Vino 75
23 – Piccoli Geyser 84
24 – Una Nuova Arpa 86
25 – L’Iwiri 95
26 – L’incontro con i Gup 97
27 – Dragon’s Inn 101
28 – Misteriosi Presagi 106
29 - Duregal e gli Obscurni 110
30 – Trundle e gli Orck 111
31 – La Caverna degli Obscurni 113
32 – La Tomba Profanata 115
33 – La Partenza di Herrick 129
34 – La Mancanza di Umorismo 131
35 – La Battaglia nella Foresta 138
36 – Il Ritorno degli Obscurni 140
37 – La Visione di Lutracon 142
38 – Il Mistero di Ellipticon 143
Epilogo 153

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