PROBLEMI
CONOSCITIVI IN
ANTROPOLOGIA
Sitvona MICELI
Orizzontiincrociat. H problema
epistemolagico in antropolagia
Sellerio, Palermo 1990.
Francesco REMOTT
Bollati, Torino 1990.
Silvana BORUTT
Teoria ed interpretazione. Per uno
epistemologia delle scienze umane
Guerini, Milono 1997,
difficile credere al caso in
presenza del simultaneo ap-
parire di pitt testi che vogliono
indagare i problemi conoscitivi
che il lavoro antropologico solle-
va: che cosa e come si conosce. Si
tratti di cambio generazionale 0
di sommovimenti interni ai para-
digmi consolidati delle varie
scuole e tradizioni di pensiero
antropologico, i profondi muta-
menti che da tempo investono la
ricerca scientifica tout court ini-
ziano a manifestarsi anche in Ita-
lia in importanti momenti di au-
toriflessione sulle metodiche di-
sciplinari; e dalla grande ‘svolta
interpretativa’ che dagli anni ‘70
in poi ha interessato nel mondo
anglosassone gli studi attinenti
V'uomo e la societi, germinano
schieramenti vivaci, ma anche ra-
gionate argomentazioni.
tre volumi, di cui si vuole per
qualche aspetto dar conto, strin-
gono da vicino le operazioni con-
nesse ad un momento importante
del lavoro antropologico, la ‘de-
scrizione' e, put da diverse ango-
lature, suonano I'(ennesimo) re-
quiem al realismo ingenvo di chi
sostiene la concezione della teo-
ria come corrispondenza alla
realta. Un dato comune emerge:
il fatto antropologico, nel suo ri-
levamento empirico, deriva da
un complesso processo di media-
zione fra ticercatori ed azioni de-
gli attori. La dove le strade si
vidono, sta nell’identificare que-
sta mediatezza. Enucleo tre ri-
sposte: il dato un prodotto del-
69la prassi conoscitiva umang; il
dato @ una costruzione narrativa;
i dato & una forma di vita etica-
mente determinata. Ad ognuna
fa da pendant una specifica inter-
pretazione della cultura e del la-
voro empitico sul campo.
*
Inizio con Silvana Miceli
(Orizzonti incrociati. 1 problema
epistemologico in antropotogia): gli
si dosgerti che si offrono all’inter-
PS.
70
vento dell’antropologo rimanda-
sno ad altre attivita conoscitive, o
meglio pratico-conoscitive, cio’
quelle native. La tesi di fondo
{come gia nel precedente In nome
del segno, 1982) suona che il lavo-
To umano sociale assicura l’inte-
razione entro cui si realizza il ri-
‘cambio organico fra uomo e na-
tura, rispetto cui la prassi cono-
scitiva incorpora i] momento del
feedback teorico.
Sottolineare il carattere con-
nettivo della conoscenza non é di
poco conto. Asserire, infatti, che
nel lavoro etnografico cid che
viene rilevato appartiene ad una
relazione, comporta una serie di
pesanti problemi, quali ad esem-
pio l'oggettivita propria di pro-
dotti coestensivi dell’apporto del
Ticercatore, oppure le modalita
della verifica intersoggettiva
L’autrice non dimentica che, per
un assunto centrale dell’antropo-
logia circa la determinatezza cul-
turale delle forme conoscitive
umane, appaiono difficilmente
sostenibili quelle posizioni (quali
ad esempio quelle di Dan Sper-
ber) che si attestano sulla con-
vinzione di poter produrre asser-
ti descrittivi neutrali e rispon-
denti alla realta cosi ‘come essa
&, Rifiuta perd anche V’alternati-
va opposta, quella interpretativa,
per accettare una forma di ‘reali-
smo possibilista’: gli asserti han-
no sempre a che fare con il mon-
do, ma la loro configurazione di
scende da un inevitabile (ed in
nunciabile) prospettivismo di an-
golature diversificate, polivocali,
¢ rivisitabili. L'esigenza, solida ¢
difficilmente controvertibile, si
insedia nel cuore stesso della in-
trapresa scientifica moderna ¢ si
misura con la dimensione crucia-
le della ‘crescita della conoscen-
za’. A monte, perd, sta il proble-
ma se anche per I’antropologia
(non estendiamo troppo il cam-
po, ma in ballo @ certamente lo
statuto delle scienze umane) tale
assunto vale quale ci deriva dalla
Tiflessione in sede di epistemolo-
gia delle scienze naturali, oppure
se la crescita della conoscenza ri-
sponde ad un’esigenza importan-
te ma ancora bisognosa di una
specifica connotazione antropo-
logica
Intorno a due assi ruotano le
considerazioni fondamentali del
volume: la riconduzione della ri-
cerca scientifica alla ‘ricerca co-
gnitiva’ e la ‘complessita’.
La conoscenza antropologica &
‘complessa’ perché implica tre li-
velli: il livello dell’indigeno con
Ja sua immagine del mondo in
cui vive; il livello dell’ antropolo:
go che pone domande e cerca ri
sposte a partire dalle sue cono-
scenze di sfondo; infine, quello
epistemologico che oggettiva le
opzioni culturali e teoriche che
ingenerano il secondo livello. Ad
ogauno dei tre livelli lavora un
meccanismo fondamentale, quel-
lo dell’oggettivazione, che rap-
presenta il modo in cui il sogget-
to proietta le sue immagini del
mondo, le coglie nella loro con-
nessione, ed attiva il metalivello
superiore che oggettiva le opera-
zioni culturali del soggetto stes-
50.
Il meccanismo del feedback, ti
pico della cibernetica, deriva da
quell’ampio filone delle scienze
biologiche che si suole chiamare
‘epistemologia evoluzionistica’, e
il suo assunto fondamentale di-
parte dall’analogia fra strutture
organiche vitali ed ambiente da
un lato, e strutture cognitive uti-
lizzabili e mondo dell’esperienza
del soggetto dall’altra, Al model-
lo batesoniano del meta-appren-
dimento I'autrice associa quello
dell’auto-organizzazione e della
complessita dei costruttivisti ra-
dicali (Morin, Watzlawick, Yon
Glaserfeld ecc.): ogni livello del
lavoro conoscitivo antropologico
retragisce sul livello inferiore se-
condo connessioni di causalita
circolare. Conoscere, cio’, equi-
vale ad operare; ogni attivita co-
noscitiva si svolge nel mondo
dell’esperienza entro cui una co-
scienza mira ad una meta e ricor-
re a continue elaborazioni ricor-
sive di descrizioni, elaborazione
di descrizioni di descrizioni (Von
Foerster). Con immagine metafo-
rica: il ricercatore € come uno
scassinatore che inventa le chiavi
pit adatte per aprire serrature di
serigni che racchiudono ricchez-
ze agognate.
Qual é quindi il lavoro antro-
pologico? E un processo che con-
sta di due momenti: la ricostru-
zione del senso come insieme di
regolarita osservate per giudizio
di identita, grazie al paragone
fra esperienze ripetute; e la cate-
gorizzazione, debitrice del con-
fronto con altri complessi com-
portamentali noti allo studioso e
collegati per ipotesi di intelligi-
bilita. In entrambi i casi avviene
un dialogo: tra il ricercatore ed il
nativo, sul campo; tra gli antro-
pologi, nella teorizzazione. Ma
accade anche che si creino effetti
di ritorno: I'indigeno che muta
comportamento in seguito ad una
eventuale presa di coscienza del
suo agire; l'antropologo che
scompone i suoi schemi di riferi-
mento o i suoi presupposti cultu-
rali, con relativa retroazione nel-
Ja ricerca empitica
Il costruttivismo radicale (di
matrice batesoniana) ha il compi-
to, nello svolgimento del volume,di eliminare la dicotomia sogget-
to-oggetto, tipica del contrasto
scienze naturali-scienze della
cultura, e dello scientismo in ge-
nere, e di fornire una base scien-
tifica all'antropologia, grazie al
recupero di quelle regolarita
dell’operare umano che descrivo-
no involontarie immagini del
mondo; involontarie, e quindi in-
tersoggettive e costanti. Viene
perd rifiutato nella sua versione
estremistica di crisi del reale: l'au-
trice, alla invenzione della realta
sostituisce un soggetto storico-
sociale, pratico ed intellettuale,
abilitato ad identificare le ottiche
storiche dei vari approcci cono-
scitivi.
Non v’é dubbio che nel punto
pill delicato dell’ operazione sta
lo sfondamento della scena cono-
scitiva apparentemente piatta nel
dietro-quinte della conoscenza di
sfondo del ricercatore, vincolato
alle sue immagini precomprese
di cosa sia scienza e cosa sia im-
portante. Il tema si richiama per
la sua rilevanza a classici temi
ermeneutici; come altrettanto er-
meneutico appare - per lo meno
a prima vista ~ ’incontro fra le
varie immagini del sapere. Non
casualmente, infatti, Jehuda
Elkana, che analizza la storia
della scienza in termini di pre-
supposti storici-antropologici, si
vuol richiamare a Clifford Geertz
ed alla nozione di ‘descrizione
densa’, per illuminare gli incon
tri e gli scontri fra diverse imma-
gini della realta e del sapere.
Nulla di tutto questo. Silvana
Miceli, con lucida consequenzia-
lita, chiarisce un robusto frain-
tendimento, cui incorre lo stesso
Elkana, ma vagante nella koiné
ermeneutica imprecisa ed un po’
pasticciona che circola da qual-
che tempo: ‘denso’ pud essere s0-
lo (pena l'ipallage) un oggetto ri-
costruito concettualmente, non
una descrizione, che di per sé
pud essere solo ‘analitica’; cosi
come I’uso della metafora e della
analogia nel pensiero scientifico
ha la finalita di ridescrivere e
rendere visibili gli oggetti della
ricerca, in una nuova direzione
di collaborazione fra segni digi-
tali e segni analogici (sulla linea
di Mary Hesse), € non la volati-
lizzazione della realta e della
previsione. La contestazione &
precisa nei confronti di Elkana,
la cui ermeneutica in realta é as-
sai pid vicina alla ricostruzione
di metamodelli (¢ quindi all’in-
tellettualismo: si pensi a R. Hor-
ton!), che a quella del carattere
linguistico dei fenomeni sociali.
Riguardo Geertz, sarei molto pit
dubbioso, in quanto I’autrice col-
pisce sul versante cognitivistico
un sostenitore del versante ‘emo-
tivistico’, ove - come & prevedi-
bile - si da il caso di una alta in-
comunicabilita fra idiomi intra-
disciplinari. E perd sussiste e
pervade I’intero volume un tema
costante ed importante, la tensio-
ne per una concezione unitaria
dell’antropologia a partire dal
suo oggetto privilegiato, la cul-
tura, e dalle sue operazioni pecu-
Tiari, sino al momento pid pro-
blematico, quello della precom-
prensione che I’antropologo stes-
So porta con sé...
Ho detto precomprensione,
forse pit correttamente dovevo
dire: presupposti culturali, giac-
ché qui gli oggetti sono letti qua-
Ti unita di significato, e non pure
intenzioni di senso; il dialogo ca-
tegorizza tramite operazioni me-
taconoscitive, e non in una fusio-
ne di orizzonti; la descrizione
configura elaborazioni ricorsive,
non circoli ermeneutici.
L’autrice, come si sara notato,
non ama molto |’ermeneutica, ed
accetta di ridurre, secondo un
vecchio cliché, l’ermeneutica ad
empatia, imputata di far scompa-
tire ogni criterio intersoggettivo
di oggettivazione (esemplare é la
netta - ma dimidiata - liquida-
zione di Geertz). Non sarei molto
d'accordo su tutto cid, anche per-
ché ostica appare, nonostante
tutte le mediazioni biologistiche,
Ja riconduzione della compren-
sione della cultura a ricerca co-
gnitiva, per non parlare poi dei
molti campi dell’agire antropolo-
gico che stringono nessi irrinun-
ciabili con la dimensione del si-
gnificato e dei simboli. Su di una
cosa perd non si pud che concor-
dare: solo la chiarezza sulla na-
tura dei concetti ¢ delle strumen-)}
tazioni messi in opera permette'
di raggiungere una visione per
spicua degli spazi mentali in cui
ci collochiamo. Pur senza temere
ibridismi, una chiara distinzione
fra le varie famiglie di apparte-
nenza teorica risulta utile anche
a meglio comprendere le zone di
intersezione ¢/o vicarianza.
*
A dissipare eventuali dubbi di
privilegiamento per I'antropolo-
gia simbolica, niente di meglio
che percorrere (per lo meno) gli
ultimi due capitoli del volume di
Silvana Borutti (Teoria ed interpre-
tazione); libro di chiaro impianto
filosofico, ma attento alla dimen-
sione riflessiva che il concreto la-
voro antropologico continuamen-
te pone.
Al centro dell’attenzione sta la
funzione costitutiva del linguag-
gio nella formazione di cid che si
suole chiamare l’oggettivita
scientifica. Anche qui in funzio-
ne anti-corrispondentista, I’autri-
ce sottolinea la messa in forma
della realta operata dalla scienza
tramite il lavoro di modellazione
che svolge il linguaggio quale at-
tivita simbolica. L’accettazione
dell'impianto ermeneutico fa si
che lo specifico antropologico sia
inteso in termini di sapere sim-
bolico, e di oggetti quali connes-
sioni di senso, strutture soggetti-
ve di senso. Se si vuole: signifi-
cati, tout court.72
Duplice appare il lavoro
dell’antropologo: il campo come
Tuogo della relazione conoscitiva
propria dell’esperienza etnogra-
fica, e la scrittwra etnografica,
che da veicolo oggettivato del
dialogo fra culture diviene sape-
te indirizzato ad una comunita
scientifica
La relazione conoscitiva che si
instaura assume tratti decisa-
mente peculiari. La struttura
schematico-metaforica che per-
mette |’intelligibilita dei compor-
tamenti umani osservati non @ né
mcausalistica né probabilistica, ma
analogica. Cid che garantisce
Vosservabilita delle connessioni
di senso é il ‘modello di testo’ di
P.Ricoeur: i fatti sociali vanno
considerati alla stregua di co-
struzioni simboliche e come se
fossero ‘testi’, sia nella pratica
etnografica della ricerca empiti-
ca, sia nella configurazione scrit-
turale. I fatti culturali, insomma,
sono sistemi di senso da leggere
cosi come si leggono le pagine di
un libro. Si parte da tracee super-
ficiali che appaiono bizzarre e
strane, per giungere a decifrare i
sottostanti ordini simbolici in cui
gli attori esprimono desideri sen-
timenti pensieri sul mondo e su
se stessi. Da questa angolatura, il
fine dell'antropologia sta nella
comprensione della comprensio-
ne altrui; mediazione, traduzione
e costruzione di significati quali
si configurano ‘dal punto di vista
del nativo’.
I riferimento esplicito dell’au-
trice &, naturalmente, l’antropo-
logia interpretativa e C.Geertz; la
ricostruzione del percorso di
quest’ultimo perd @ pid attenta
che nelle pagine di Silvana Mice-
li, Innanzi tutto viene sottolinea-
to il carattere dialogico-linguisti-
co del lavoro antropologico tutto;
in secondo luogo, evidenziato un
tratto saliente dell’etnografia, la
scrittura. Lo scrivere, infatti,
Tungi dall’essere mera euristica
segnica di supporto alla memoria
ed al pensiero, costituisce quel-
Voperazione cruciale che ha per
compito la trascrizione dei signi-
ficati del discorso sociale. Qui il
momento & quanto mai importan-
te, in quanto in ballo @ la que-
stione dell’oggettivita: l’oggetti-
vita per Geertz esiste e va ricer-
cata dallo studioso; essa perd
non dipende da una presunta
neutralita del procedere empiri
co, quanto dallo scrivere a tavoli-
no qui cid che @ avvenuto la. La
scrittura @ percid una iscrizione,
che decontestualizza l’evento del
campo, per rendere quest'ultimo
un evento pubblico, intersogget-
tivo ed indipendente dalle con-
tingenti motivazioni individuali.
La trascrizione etnografica per-
mete 'immaginazione del conte-
sto ed iscrivendo le azioni sociali
in sequenze che colgono il signi-
ficato, da ’accesso ad un mondo
culturale; trasforma un evento in
un mondo.
La descrizione etnografica
quindi una costruzione: la pre-
sentazione di un brano di storia
passata e dimenticata. E narra-
zione.
Nonostante il respiro pid deci-
samente filosofico, il volume af-
fronta temi che sanno penetrare
con attenzione in molte delle
analitiche operazioni del mon-
taggio etnografico geertziano ed
interpretativo in generale, per ri-
considerare in particolar modo il
tipo di oggettivita peculiare del-
la comprensione simbolica. Non
che manchino critiche a Geertz,
ma queste si pongono entro lo
specifico del lavoro dell’antropo-
logo americano: una accezione
contemplativa dell‘antropologia;
un idealismo testualizzante; un
‘eccesso di impianto decodifica-
zionista. Ma, paradossalmente, la
critica pit: forte si appunta non
su una presunta perdita della re-
ferenza, quanto su una timidezza
geertziana a trarre a pieno le
conseguenze dell'impianto lin-
guistico del procedere antropolo-
gico, e percid a obliterare il con-
testo pragmatico in cui sorge e si
sviluppa la comunicazione con
gli indigeni. L’obiezione, in so-
Stanza, si rivolge al fatto che
Geertz tende a nascondere i pro-
cessi comunicativi e conoscitivi
(significativo @ il richiamo a
J. Favret-Saada) donde i signifi-
cati sono germogliati; e quindi
tacitare la voce dei nativi, resi
muti soggetti informatori. Se si
yuol operare uno strappo pili
netto, si potrebbe dire che il
(consapevole) rifiuto geertziano,
nonostante la ‘descrizione den-
sa’, al polivocalismo nasconde la
sotterranea permanenza di una
concezione naturalistica ed im-
personalistica del resoconto di
studio.
C’e molto di vero in cid, ma
andrebbe anche chiarito sino 2
che punto le pratiche umane (le
implicite e le esplicite; le sociali
¢ le intellettuali) siano riconduci-
bili a trasparenza e consapevo-
lezza, o addirittura ad opetazio-
ni metacognitive. Da wittgenste-
niano quale &, Geertz ~ mi sem-
bra - non Io considera possibile
(¢ forse qui $. Boratti equivoca
con Freud), in quanto nelle prati-
che fondamentali della vita i! lin-
guaggio & inestricabilmente lega-
to alle immagini de! mondo ed ai
valori che vi sono veicolati, Solo
Ja comparazione permette all’an-
tropologo di oltrepassare i conte-
sti specifici, ma cid implica la
presenza di qualche chiave trans-
culturale.
*
Non sembri strano tanto
antagonismo e divergenza cosi
acuta su Geertz. Cid corrisponde
forse anche al mondo in cui I’au-
tore americano spesso @ stato in-
trodotto in Italia: pensatore er-
meneutico, sterminatore di uni-
versalismi, fautore del pitt accesolocalismo, nonché sostenitore
(per lo meno ritenuto tale) di un
composito schieramento politico-
culturale denominato ‘ragione
debole’. Alcuni, al solo sentirlo,
si ritengono legittimati a consi-
derarlo (lo schieramento, e con
esso naturalmente Geertz) un
rappresentante tipico di un nuo-
vo piuttosto complicato - questo
si~corso del mondo, da denega-
re. Probabilmente varrebbe la pe-
na di studiare I’'autore per quello
che @, cio® a partire dalle sue
opere. E pero anche non dimenti
cando qualche fattarello di storia
dell’antropologia, ossia che la
svolta interpretativa nasce 0, se
si vuole, prospera sulle ceneri
del paradigma cognitivista clas-
sico; e che proprio l'incapacita di
affrontare convincentemente nes-
si storici, atteggiamenti emotivi ¢
contesti determinati ha condotto
quest’ultimo alle attuali secche.
Comunque, l’atteggiamento
anti-scientista, il privilegiare il
locale e l'indagine sul modo in
cui gli indigeni simbolizzano il
loro mondo non bastano a con-
cludere su Geertz. A cid invece
aiuta il volume di F. Remotti (Not
primitivi). Dal ricco testo trarre-
mo solo qualche spunto, relativo
al tema della descrizione, giac-
ché troppo vasto & I’intero im-
pianto per poterlo qui trattare
Dice Remotti (ed @ lettura da
consigliare) che Geertz @ molto
pid vicino a Needham di quanto
possa apparire a prima vista. Se
Vantropologia, infatti, & una mar-
cia di avvicinamento ai significa-
ti indigeni, il processo di imme-
desimazione é solo parziale e
non si conclude mai (pena la vit-
toria del vivere sul pensare) nel-
la indigenizzazione, Perché? Per-
ché nel nostro dialogo con gli al-
tri sono gia date le condizioni
dell’intendere; e tali orizzonti,
oltre i quali non si pud procede-
re, sono costituiti dai grandi pro-
blemi di senso che la vita ed il
mondo pongono all’uomo. Sono i
“concetti lontani dall’esperienza’
che perd rendono quest’ultima
transitabile e sempre traducibile:
sono i grandi temi della vita e
della morte, del sesso, del dolore
e della felicita... Tali simboli so-
no universali; sono tali cio che
ogni uomo di fronte a certi sti-
moli reagisce con approvazione 0
con rifiuto,
Anche Needham asserisce
Vesistenza di elementi costitutivi
dell’esperienza umana, che indi-
vidua nella classe dei percetti
primordiali e nella classe delle
relazioni primarie (dualismo
ecc.). Mentre perd la prospettiva
di quest’ultimo & formale ed
astrattiva (elementi mentali si as-
sociano a flussi emotivi), in
Geertz la perimetrazione del
campo é etica. Ogni uomo, civé,
ha reazioni emotive a certi fatti
del mondo e della vita, cui asso-
cia un certo sentimento. L’antro-
pologo, tramite I’analisi dei sim-
boli, penetra sino al livello pit
profondo, quello in cui gli uomi-
ni teagiscono di fronte alle con-
tingenze della vita, paragonando
le varie configurazioni ed impa-
rando, dalle culture altre, altri
modi di affrontare il problema di
fondo della vita umana, cosa é
bene e cosa é male.
Remotti si sofferma con dovi-
zia di particolari sull/impianto
sostanzialmente etico dell’antro-
pologia (I’autore @ forse quello
che in Italia é pid vicino alle te-
matiche dell’antropologia statu-
nitense); sulla ‘via lunga’ che
V'antropologo deve percorrere
per raggiungere la consapevolez-
za di sé tramite l’oggettivazione
negli altri (I’altro come specchio
di sé); sulla impossibilita di con-
cludere sulla natura umana, Ep-
pur rivendicando una forma di
generalita ail’antropologia, non
quella certo delle regolarita hu-
miane, quanto quella delle somi-
glianze di famiglia, a partire
dall’analisi di forme di vita, ove
perd la prevedibilita non ha pit
un ruolo privilegiato da svolge-
re, sostituita come @ dal parago-
ne e dalla comparazione, tramite
Vimmaginazione, di tratti ubi-
quamente reperiti.
*
Tentando qualche scarna
conclusione, tutti e tre i volumi,
pur nelle loro diversificate posi-
zioni e nei loro peculiari punti di Ne
partenza, convergono teorica-t
mente sulla rilevanza delle speci-7&
fiche operazioni antropologiche,
intendendole non quali meri pro-:
cedimenti tecnici, ma operazioni
squisitamente conoscitive e costi-
tutive delle discipline antropolo-
giche (e forse delle scienze uma-
ne),
contro alla attardata conce-
zione di una etnografia interessa-
ta solamente a rilevare dati e di
una antropologia impegnata a
rendere teoricamente coerenti gli
asserti conoscitivi, la nozione di
relazione conoscitiva e di dialogo
emergenti da questi studi pongo-
no nuove connessioni di pensabi-
ita degli studi sul comportamen-
to culturale umano. Entro tali ge-
neralissime considerazioni vale
la pena di notare la rinnovata
presenza di un elemento sinto-
matico e significativo: intendo ri-
ferirmi all’annoso problema della
“equazione personale” in etno-
grafia che, da fattore inelimina-
Bile ma da neutralizzare, viene
ora a costituire un momento pro-
prio nella formazione delle ver-
sioni antropologiche degli event
(siano esse cognitive o interpre-
tative), Tutto cid apre diversi
orizzonti problematici. Innanzi
tutto quello relativo alla sostanza
disciplinare: la dimensione dialo-
gica implica la polivocalita,
Vibridazione e il sincretismo, con
tutte le conseguenze prevedibili
sulle nuove forme di rapporti fra
tradizione e modernit’ (0 inno-
ae74
vazione). Sul versante invece
strumentale, si riaffaccia sulla
scena la questione del regime di
proprieta dei concetti usati in an-
tropologia.
e si trata di render ragione
dei fenomeni culturali, di quali
procedimenti ci si avvale? S.Mi-
celi opta per il percorso della ‘in-
telligibilita’: ma esso rimanda ad
un duplice ordine esplicativo,
quello causalistico humiano e
seanete strutturalistico. Oppure
\ per la nozione di ‘soggetto stori-
co-sociale’: ma @ un concetto an-
tropologico in senso stretto? Nel
primo caso si tratta di decidere
lo statuto di appartenenza; nel
secondo la pertinenza della mu-
tuazione di termini da altrui do-
mini. Come emerge dalla ‘querel-
le’ sulla nozione di modelo,
sembra sortire un duplice modo
di intendere anche gli stessi ter-
mini, che afferiscono_I’uno
all'ambito - come diceva De Mar-
tino ~ del ‘naturalismo’, |'altro a
quello dello ‘storicismo’. Impos.
sibilita di unificazione dei pro-
blemi conoscitivi in antropolo-
gia, dunque? Direi piuttosto che
la tensione sta per una soluzione
che superi la dicotomia seca; in
questa direzione procede ~ mi
sembra - I’attenzione che riscuo-
te in specie oggi il lavoro etno-
grafico vero e proprio, quale
punto centrale di snodo per la
comunanza sostanziale delle pro-
cedure. Non si pud asserire se si
tratti o no di una “epistemologia
regionale”; ma la discussione
procede, anche se i vecchi fanta-
smi oppositivi continuano ad ag-
girarsi ed agire.
Alessandro Simonicca
LA PERIPEZIA
DELU'ELETTO
Ezio PELLIZER
Racconti eroic della Grecia ontica
Sellerio, Palermo 1991.
Lsnalisi dei sacconti eroici
operata da Pellizer mostra la
coesistenza, in ogni singola sto-
ria, di elementi di individuazio-
ne e di temi ricorrenti: strutture
narrative pid elementari e gene-
rali, articolate secondo schemi
canonici, inglobano infatti “tratti
specifici, singolari, idiosincrati-
ci... fino a costruire un’ampia e
dettagliata biografia, la leggenda
individuale di un singolo uomo
straordinario” (p. 15) che finisce
in certi casi per porsi come ‘sto-
rica’, e che @ convalidata da trac-
ce lasciate dall’eroe nel territorio
e nelle istituzioni. Probabilmen-
te, suggerisce ’autore, questo in-
treccio di canonicita e meccani
smi di individuazione opera an-
che in materiali diversi, come le
vite dei Santi (la lettura di
un’opera come la Storia Lausia-
ca, ad esempio, presenta in effet-
ti alcuni temi canonici: il passato
spesso peccaminoso del santo e il
successivo riscatto, le prove
ascetiche, le tentazioni ad opera
del Maligno e il loro superamen-
to...)# forse, conclude Pellizer, la
stessa storia della nostra lettera-
tura non é davvero molto di pit
che la storia della diversa intona-
zione di alcune metafore (p. 38)
Culture diverse, potremmo ag-
giungere, intoneranno metafore
differenti; né d’altronde solo di
storia della letteratura si tratta,
ma anche di storia tout court, da-
to che come mostrano alcune
analisi antropologiche, alcune
costrizioni ‘narrative’ non opera-
no solo nei testi, ma anche negli
eventi e nei comportamenti: @
questo proposito Victor Turner(From Ritual to Theatre, New York
1982, trad.it. Milano 1986) ha sot-
tolineato il rapporto di interdi-
pendenza tra i drammi sociali e i
generi delle performance culturali
(le crisi sociali degli Ndembu at-
tualizzano il repertorio costituito
dalla saga di re Mwaku; Thomas
Becket, nel suo conflitto con En-
rico Il, viene ‘agito’ dal paradig-
ma della Via Crucis, ecc.); e Sah-
lins (Islands of History, New York
1972, trad. it. Torino 1986), com-
mentando il modello della presa
di potere del re delle Hawaii, os-
serva che certe modalita di que-
sta, siano esse reali o simboliche,
costituiscono tna replica dell’ex-
ploit (il termine @ di Heusch) ori-
ginario.
Se adesso torniamo alla bio-
grafia eroica, vediamo che essa si
articola canonicamente in una se-
rie di unita narrative fondamen-
tali:
~ la nascita dell’eroe (sempre
contrastata, problematica, mo-
tivo di scandalo o di sventura
per i parenti pit prossimi),
non di rado annunciata da una
profezia. Sottolineando l'im-
portanza cruciale che quest’ul-
tima riveste da un punto di vi-
sta narrativo, Pellizer osserva
che “il programma di elimina-
zione del neonato” che essa
avvia non prevede proprio la
modalita che sarebbe pit sicu-
ra, cio’ I’immediata elimina-
zione del bambino. Ma la bat-
taglia contro l’oracolo nen pud
che essere perduta in partenza,
se questo & veramente portato-
re di una parola autoveritati-
va, non contrattabile (Detienne
Les maitres de vérité dans la Gre-
ce archaigue, Paris 1967, trad.it.
Milano 1977), e se deve avviar-
si lo sviluppo narrativo: la
profezia, afferma giustamente
Pellizer, si identifica cosi total-
mente con la struttura stessa
del racconto, di cui predeter-
mina logica, percorsi e conclu-
sione.
Viniziazione, che prevede im-
prese venatorie (in cui il gio-
vane eroe @ contemporanea-
mente predatore e possibile
preda, dato il potere terrifican-
te del suo antagonista terio-
morfo), e/o un incontro con
Velemento femminile. In questi
racconti Iattivita venatoria si
colloca nella fase di transizio-
ne che precede l'acquisizione
dello status adulto e di una
ben definita identita sessuale:
come ha mostrato in uno stu-
dio ormai classico Vidal-Na-
quet (“Le chasseur noir et
Vorigine de l’ephébie athé-
nienne”, in A.E.S.C., XXIII,
1968: 947-64), propria del-
Yadulto @ infatti la guerra, non
la caccia; laddove nelle societa
di caccia e raccolta, l'abilita
venatoria @ propria dell’uomo
fatto, e siccome culture diver-
se, come si é detto, declinano
diverse metafore, invece
dell’analogia - presente in ter-
ra greca ~ tra i pericoli della
guerra e i pericoli del parto
{tra il ponos del guertiero e
quello della partoriente), tro-
veremo un’analogia, articolata
su diversi piani simbolici, tra
il potere venatorio (produtti-
vo) dell’uomo, e quello gene-
rativo (ri-produttivo) della
donna (cfr. Arioti, Produzione ¢
riproduzione nelle societa di cac-
cia-raccolta, Torino 1980).
il matrimonio, \'acquisizione di
uno stato adulto, la conquista
del potere, a cui seguono la
produzione di una discendenza,
la fondazione di una citta e di
istituzioni, problemi familiari
e/o di successione dinastica, €
infine
una morte eroica, associata a
metamorfosi, eponimia, apo-
teosi, ¢ che pud essere anche
negativamente connotata
Dumezil (Mitra-Varuna, Paris
1940) osservava che la filosofia
del potere regale elaborata in Po-
linesia, in America, nel Dahomey
poteva ditci molto sulle conce-
zioni classiche della sovranita,
che diventano pitt comprensibili
alla luce dei dati etnografici.
Nelle rappresentazioni figiane
della regalita, ad esempio, un
principe, bandito dalla sua terra,
conquista il potere altrove, per,
mezzo di una donna (principessay
indigena), a cui egli accede attra-t
verso una serie di imprese che ri-4x
ke
a
chiedono astuzia, forza fisica Ss
violenza sessuale, e infine I’as~
sassinio di un suo predecessore.
Questi sono anche gli elementi
presenti nelle biografie eroiche
analizzate da Pellizer, uno dei
cui temi @ rappresentato dal
“buon uso del matrimonio”, cioe
dall'apprendimento di una rego-
la esogamica in giusto equilibrio
tra 'iper-endogamia della relazio-
ne incestuosa (con i motivi con-
nessi della gemellarita, riflessi
vita specularita, a cui rimanda
un altro gruppo di miti analizzati
dall’autore) e l'iper-esogamia pra-
ticata da questi principi in esilio,
che cercano moglie tra genti ne-
miche, conquistandola in modi
efferati e talvolta finendo mise-
ramente essi stessi. Pellizer sot-
tolinea giustamente, a questo
proposito, la presenza, in queste
storie, di elementi di conflitto
generazionale, “il confronto tra
due diverse paure; la paura dei
padri, che temono di subire una
depossessione violenta [...] per
opera dei loro figli... e quella
simmetrica dei ‘figli’ di fronte ai
quali la riproduzione dell’ ordine
sociale esistente... si pone come
un‘impresa problematica e ri-
schiosa, e in tutti i casi assai in-
quietante” (p. 70; cfr. Pellizer,
Zorzetti, La paura dei padri nella
societa antica e medievale, Bari
1983),
75Ma la polivalenza semantica
dei miti ci permette di introdurre
un altro elemento di riflessione,
che rimanda agli studi di Cla-
stres (La société contre l'état. Re-
cherches dantropologie politique,
Paris 1964, trad.it. Milano 1977.)
sulla contrapposizione tra so-
cieta e potere, e che @ stato illu-
minato da una serie di dati etno-
grafici sulla regalita (come ad
esempio quelli di De Heusch, Es-
gsais sur le symbolisme de lincesie
\p royale en Afrique, Bruxelles 1958 ¢
‘Le r0i ivre ou l'origine de l'état, Pa-
ris 1972, sull’ Africa): il re (e il
eSuo potere), ci dicono miti e ri-
tuali, sono estranei alla societa;
questa estraneita é talvolta esclu-
sivamente etnica {il re @ uno stra-
niero), oppure marcata da tratti
straordinari (ad es. un’origine
celeste) 0 comportamenti aber-
ranti (omicidio, incesto: peraltro
spesso associati, come in certi ca-
si etnografici e, naturalmente, in
quello paradigmatico di Edipo);
il giovane eroe dei racconti greci,
acquisendo il potere regale, pas~
sa dallo stato di ambiguo preda-
tore-preda della fase “formativa”
di caccia a quello di usurpatore
(vale a dire predatore) di regni
altrui.
Un'ultima osservazione: “la
metamorfosi dei personaggi in
piante, animali, fiumi, sorgenti, 0
altro ~ dice Pellizer - sono una
delle possibili conclusioni di una
vicenda eroica, e allora concorro-
no a produrre I'effetto di “fonda-
zione” del reale (in questo caso,
della realta zoclogica, botanica 0
geografica)” (p. 25). Sarebbe in-
teressante approfondire compa-
rativamente, oltre che il tema,
gia accennato, delle trace lascia-
te dall’eroe sul territorio (con i
problemi connessi della memoria
e dell’elaborazione di una pro-
spettiva “storica”), anche quello
della trasmutazione e della meta-
morfosi, alla luce delle riflessioni
di Lévi-Strauss (La pensée
sauvage, Paris 1962, trad. it. Mila-
no 1967) sulla differenza tra
Vana-logica che governa le clas-
sificazioni, e la genea-logica che
connette gli esseri viventi e i fe-
nomeni naturali in legami di di-
scendenza e rapporti di deriva-
zione.
Carmelina Pignato
“IL NOME DELLA
COSA”
tis SHORE
talion Communism: The Escape from
Leninism
Pluto Press, London — Concord Mass.
1990
CE geass stops, ma ogi
tanto fa piacere imbattersi in
un lavoro antropologico che non
guardi al come eravamo nell’Ita-
Tia contadina e che si occupi in-
vece del come siamo, nel nostro
paese, oggi
La monografia di Cris Shore &
antropologico-politica, ed utiliz-
za anche strumenti storici e poli-
tologici; é, insomma, eclettica e
pluridisciplinare: per Cris Shore,
credo a ragione, @ un punto di
merito. L’oggetto di studio 2 il
Partito comunista italiano, dal
congresso di Livorno del 1921
all’intervento di Occhetto, segre~
tario del partito, alla Bolognina,
alla fine del 1989, che segna I’ini-
zio della trasformazione di
quell’organizzazione in partito
democratico della sinistra. La do-
manda che I'antropologo britan-
nico si pone é in fondo quella che
ha tradizionalmente appassionato
schiere di studiosi di tutte le
scienze sociali, e cio’ perché que-
sto partito, in Italia, a differenza
di quanto & accaduto in molti al-
tri paesi dell’Europa occidentale,
sia riuscito a radicarsi ed a cre-
scere fino a diventare una forza
politica e sociale di prima gran-
dezza. L’analisi ha luogo attra-
verso uno studio approfondito
della struttura organizzativa,
dell’ideologia e dell’identita mes-
se in campo dal Pct nel corso del-
la sua esistenza, in rapport alla
situazione politica italiana ed in-
ternazionale, con particolare rife-
rimento all’Unione Sovietica.
La spiegazione di un fenomeno
cosi atipico nel panorama euro-
peo si trova, secondo Shore, nel
legame tormentato tra il partito
ed il leninismo, come pratica or-
ganizzativa e come ideologia
Come suggerisce il titolo stesso
del lavoro, la fuga progressiva
dal Jeninismo che il Pci ha messo
in pratica nel corso della sua sto-
ria inventando un partito di mas-
sa radicalmente diverso da quel-lo tipico della tradizione bolsce-
vica, accettando le regole della
democrazia e recidendo progres-
sivamente i legami organizzativi
ed ideali con I'Unione Sovietica,
ha favorito il mantenimento e la
crescita della sua forza ed in-
fluenza in Italia. D’altro lato,
proprio il permanere di elementi
della tradizione leninista, quale
per sempio la pratica del centra-
ismo democratico nei rapporti
interni al partito, ha impedito al
Pci di diventare forza di governo
a livello nazionale, negandogli il
consenso elettorale necessario.
$i tratta di una tesi natural-
mente opinabile; @ certo tuttavia
che Shore tocca un nodo centrale,
indubbiamente rilevante ove si
vogliano comprendere le ragioni
Gel forte insediamento del Pci
nel Paese. Non intendo perd qui
soffermarmi oltre su questo pun-
to, perché vorrei ritornare su
qualche considerazione di ordine
metodologico.
Gli addetti ai lavori e la sparu-
ta schiera dei fruitori della vasta
produzione antropologica posso-
no a mio avviso con qualche ra-
gione domandarsi cosa vi sia di
particolarmente antropologico
nel lavoro di Cris Shore. Oggetto
di studio, ipotesi interpretative e
metodologia impiegata sembrano
infatti costituire il caratteristico
bagaglio del politologe, per
esempio, senza che traspaia alcu-
na peculiarita antropologica E
questo, con tutta probabilita, @ il
punto debole del libro.
Shore promette infatti qualco-
sa che non riesce a mantenere
pienamente. La monografia eclet-
tica e pluridisciplinare perde in-
fatti lungo la strada un pezzo
fondamentale, quello costituito
dalla particolarita dell’ approccio
antropologico che pure Shore an-
nuncia. Il lavoro é infatti sul Pct,
ma @ anche su un segmento spe-
cifico del partito, una sezione co-
munista di Perugia che Shore ha
seguito in lunghi mesi di ricerca
sul campo. Certo, sarebbe assur-
do studiare una sezione comuni-
sta ed i suoi militanti senza tener
in alcun conto le politiche regio-
nali e nazionali del pattito, la
“linea” espressa nei congressi e
nelle risoluzioni dei comitati
centrali; tuttavia, se viene a man-
care oppure occupa un posto so-
stanzialmente marginale quella
visione del Pct dall’interno e dal
basso verso |'alto, quell’“aspetto
soggettivo dell’identita comuni-
sta rispetto alle sue dimensioni
piil strutturali e storiche”, allora
viene a mancare proprio quel
quid antropologico che pure era
stato giudicato fondamentale. E
in realta, nel libro di Shore, i co-
munisti di Piazza Grimana com-
paiono assai poco; l’analisi della
micro-situazione si disperde nel-
la valutazione delle grandi scel-
te, interne ed esterne, operate dal
partito a livello nazionale ed in-
ternazionale.
Da cid pud derivare anche
un’altra considerazione. L'impor-
tanza attribuita da Shore al “tas
s0” di leninismo presente nel Pct
nel corso degli anni come chiave
esplicativa preminente, avrebbe
forse subito una qualche forma
di ridimensionamento se, proprio.
attraverso la voce del corpo del
partito, i suoi militanti, fosse ve-
nuto alla luce un elemento non
secondario che pud contribuire a
spiegare le ragioni dell'insedia-
mento comunista soprattutto nel-
le regioni dell’Italia centro-set-
tentrionale, e cioé la capacita del
Pci di rispondere ad alcune fon-
damentali esigenze (economiche,
politiche e culturali) della gente,
di organizzare lotte per l’acquisi-
one di diritti, di creare rapporti
associativi non effimeri.
Il libro di Cris Shore @ comun-
que importante almeno per due
ragioni. In primo luogo va in una
direzione che io credo giusta e
necessaria se si vuol evitare
all'antropologia politica ed
all’antropologia pid generale una
progressiva marginalizzazione.
Se, soprattutto negli studi sui
paesi dell’Europa meridionale,
queste discipline continueranno
ad occuparsi prevalentemente di
situazioni rurali ed arretrate, con
Vocchio rivolto al passato, non
potranno dare un contributo si-
gnificativo allo studio di quelle
realta e delle loro trasformazioni.
Il libro di Shore si pone invece su,
una sponda meno tradizionale ey
forse anche pit difficile, ma ha il:
pregio di entrare nel vivo di unt
dibattito su un fenomeno certa-
mente non secondario della vita
del nostro Paese. Infine, sia pure
con i limiti che ho cercato di met-
tere in evidenza, la strada della
plurdiscplinanith indicat da ta
ian Communism pud essere risolu-
tiva per aiutare Vantropologia ad
uscire dalla crisi di elaborazione
teorica che la pervade, stretta tra
nostalgie per le grandi teorie che
non possono essere resuscitate, €
Ja tentazione interpretativa di li-
mitarsi a discutere su se stessa,
rinunciando all’analisi dei feno-
meni sociali e culturali
Luciano Li Causi“UN PROFESSORE CHE
PARLA COI MORTI...”
ALCUNI RECENTI
STUDI SU
ERNESTO DE MARTINO
Placido e Mario CHERCHI
Emesto de Martino, Dalla csi della
« presenzo alla comunité umana
's Nopoli, Liguori, 1987
%
7 Riccardo D| DONATO (a cura ci)
* La contraddizione felice?
~ Emesto de Martino e gli altri
Piso, ETS 1990
Pietro ANGELINI
Povese ~ De Martino, La collana viola,
Lettere 1945-1950
Torino, Bollati Boringhier, 1991
*
A Sonar sszivere uno di quel
libreiti del tipo “Che cosa ha
veramente detto...” su Ernesto
De Martino, ci si troverebbe in
grave imbarazzo. Il pitt impor-
tante antenato totemico dell’an-
tropologia italiana resta per molti
versi un enigma intellettuale. Vit-
torio Lanternari lo ha definito
studioso monolitico e poliedrico
al tempo stesso, per la sua capa-
cita di combinare con estremo ri-
gore una prorompente varieta di
discipline e di orientamenti inter-
pretativi. Ma quale era il suo ve-
to campo di interesse? Quale il
suo vero orientamento filosofico?
La letteratura critica si @ mostrata
spesso assai generosa ma non ab-
bastanza distaccata, dungue (sia
pur fecondamente) parziale: cosi
ci é stato presentato volta per
volta il De Martino crociano orto-
dosso, il gramsciano-ma-non-
troppo, il francofortese incom-
reso, il meridionalista d’assalto.
Come dire: non v’8 chi non abbia
tivendicato a gran voce ~ e tutti
con buone ragioni, beninteso -
una discendenza demartiniana.
Ma viene pure il tempo in cui
all’amore filiale si deve sostituire
una piil rigorosa e distaccata ri-
flessione storico-critica. In que-
sta direzione indicava gia il nu-
mero dedicato a De Martino da
La ricerca folklorica (13, 1986, a
cura di Clara Gallini): gli inter-
venti qui raccolti, evidentemen-
te, non si sentono piit in obbligo
di rispondere alla domanda “per-
ché non possiamo non dirci de-
martiniani”, e spaziano con mag-
gior libert& su temi di storia cul-
turale e di teoria e pratica antro-
pologica. Ulteriori importanti
passi in avanti sono compiuti da
alcuni lavori recenti, che indaga-
No con nuovo vigore storiografi-
co sul contesto culturale da cui
Vopera demartiniana ha tratto
nutrimento. Mi riferisco in primo
luogo al ponderoso studio di Pla-
cido e Maria Cherchi, Ernesto De
Martino, Dalla crisi della presenza
alla comunita umana, Si tratta del-
la prima indagine realmente si-
stematica e di ampio respiro del-
Je basi filosofiche su cui De Mar-
tino ha costruito il proprio com-
plesso ed originale percorso, Gli
autori focalizzano I’attenzione -
come d’obbligo - sul Mondo magi-
co, analizzandone in modo punti-
glioso lo strumentario concettua-
Te, in particolare le nozioni di
presenza, crisi della presenza,
mondo, comunita; quindi, seguo-
no le vicende di queste nozioni
nei successivi sviluppi del pen-
siero demartiniano, tentando fra
V'altro di sciogliere il dibattuto
nodo del “ritorno a Croce” sul
problema della storicita delle ca~
tegorie.
Se volessimo riassumere con
una formula le loro tesi, potrem-
mo dire che I! mondo magico & co
struito attorno ad una istanza he-
geliana, “filtrata” da Croce e
“riempita” attraverso un impian-
to fenomenologico-esistenziale.
Quest’ultima componente - che
De Martino, com’é noto, non ha
mai interamente esplicitato - @
messa a fuoco con particolare at-
tenzione, attraverso un serrato
raffronto con gli scenari heideg-
geriani di Essere e tempo. il rap-
porto tra presenza e mondo che
De Martino viene articolando ri-
sente a fondo delle tesi heidegge-
riane, e ne condivide I'accesa po-
lemica contro l’oggettivismo ra-
zionalista classico, contro l’as-
sunzione dogmatica di una realta
“data” in modo autonomo dalla
soggettivita conoscente. Tuttavia,
vi sono anche importanti diver-
genze: le "presenza” demartinia-
na, diversamente dal Dasein di
Essere e tempo, implica il riferi-
mento ad una comunita umana
storicamente collocata. L’analiti-
ca esistenziale di Heidegger
espunge per cosi dire ogni con-
cretezza collocata. La dimensione
storico-sociale - publica - del-
Vesistenza rappresenta anzi la
principale minaccia all‘autenti-
cita dell'Esserci: laddove per De
Martino @ solo in questa dimen-
sione che @ possibile salvarsi dal
tischio di non-esserci.
In definitiva, il tema esisten-
ziale dell’Esserci serve a De Mar-
tino per radicalizzare un angusto
storicismo, prigioniero della me-
tafisica occidentale; d’altra parte,
tuttavia, lo stesso Esserci @ sotto-
posto a una riconsiderazione sto-
riografica e antropologica del
tutto assente in Heidegger (c’é
semmai da chiedersi se i] secon-
do Heidegger, quello della “svol-
ta linguistica”, non sia pit com-
patibile con una prospettiva an-
tropologica...). Casicché I’“allar~
gamento dell’autocoscienza della
Nostra civilta” - la formula con
cui De Martino definisce la natu-
ra della comprensione antropolo-
gica - si configura (p. 145) come
allargamento dello storicismo at-
traverso V’esistenzialismo ~ unpasso che siamo liberi di consi-
derare come contraddittorio 0 co-
me feconda, o tutte e due le cose
insieme.
E in questo quadro che va col-
locato anche il tanto discusso
rapporto con Croce. E noto come
De Martino abbia sempre dichia-
rato verso il maestro una fedelta
tanto salda da risultare sospetta.
D’altra parte, il carattere non or-
todosso del suo crocianesimo &
immediatamente evidente: non
foss'altro, per la volonta di spin-
gere l'intelligenza storiografica
su terreni ~ le culture “primitive”
e “popolari” ~ che Croce tendeva
a collocare senz’altro fuori dalla
storia, Quella di De Martino @
dunque un‘adesione meramente
di superficie? Oppure, al contra-
rio, vi 8 nel suo pensiero un nu-
cleo duro di crocianesimo, che le
diverse aperture esistenzialisti-
che e di altro tipo riescono appe-
naa scalfire? I Cherchi sostengo-
no in proposito una tesi assai
convincente: il crocianesimo inte-
ressa a De Martino non tanto per
Te sue specificita dottrinali, quan-
to come generale quadro teoreti-
co in grado di sorreggere la sua
critica gnoseologica al naturali-
smo e le swe sortite in difficili
territori d’indagine, minacciati
dal pericolo incombente del!'irra-
zionalismo. In altre parole, vi sa~
rebbe al centro del pensiero de-
martiniano una strategia metodo-
logica (una metis, la definiscono
gli autori), consistente nell’accen-
tuare la professione storicistico-
crociana proprio per poter intra-
prendere con maggior liberta ¢ in
un regime protetto, per cosi dire,
Vesplorazione del “rischioso”
versante esistenzialistico.
*
Della tensione tra storicismo
ed esistenzialismo si occupano
anche alcuni dei saggi raccolti in
La contraddizione felice? Ernesto
de Martino ¢ gli altri, atti di un
seminario del 1987). Tra questi,
si segnala anzitutto per autore-
volezza un intervento di Arnal-
do Momigliano (di pochi mesi
precedente Ja sua scomparsa, av-
venuta nel settembre del 1987):
Villustre storico discute il rap-
porto di De Martino con l’esi-
stenzialismo italiano, ed accosta
la nozione di presenza all’analisi,, |
della “crisi della persona” svoltaga i
negli anni '40 da Antonio Banfi.tFis
Accanto a quello di Momigliano #4
vi sono numerosi altri saggi a
grande interesse, che tratteggia-
nO una mappa assai articolata
dei riferimenti teorici demarti-
niani, da Cassirer, ad Heidegger
¢ Jaspers, alla psichiatria di Ja-
net, Biswanger ed Ey, oltre natu-
ralmente alla tradizione italiana
di Croce ed Omodeo. Ne esce
Vimmagine di uno “storicismo
ibridato”, di cui si cerca di scio-