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PROBLEMI CONOSCITIVI IN ANTROPOLOGIA Sitvona MICELI Orizzontiincrociat. H problema epistemolagico in antropolagia Sellerio, Palermo 1990. Francesco REMOTT Bollati, Torino 1990. Silvana BORUTT Teoria ed interpretazione. Per uno epistemologia delle scienze umane Guerini, Milono 1997, difficile credere al caso in presenza del simultaneo ap- parire di pitt testi che vogliono indagare i problemi conoscitivi che il lavoro antropologico solle- va: che cosa e come si conosce. Si tratti di cambio generazionale 0 di sommovimenti interni ai para- digmi consolidati delle varie scuole e tradizioni di pensiero antropologico, i profondi muta- menti che da tempo investono la ricerca scientifica tout court ini- ziano a manifestarsi anche in Ita- lia in importanti momenti di au- toriflessione sulle metodiche di- sciplinari; e dalla grande ‘svolta interpretativa’ che dagli anni ‘70 in poi ha interessato nel mondo anglosassone gli studi attinenti V'uomo e la societi, germinano schieramenti vivaci, ma anche ra- gionate argomentazioni. tre volumi, di cui si vuole per qualche aspetto dar conto, strin- gono da vicino le operazioni con- nesse ad un momento importante del lavoro antropologico, la ‘de- scrizione' e, put da diverse ango- lature, suonano I'(ennesimo) re- quiem al realismo ingenvo di chi sostiene la concezione della teo- ria come corrispondenza alla realta. Un dato comune emerge: il fatto antropologico, nel suo ri- levamento empirico, deriva da un complesso processo di media- zione fra ticercatori ed azioni de- gli attori. La dove le strade si vidono, sta nell’identificare que- sta mediatezza. Enucleo tre ri- sposte: il dato un prodotto del- 69 la prassi conoscitiva umang; il dato @ una costruzione narrativa; i dato & una forma di vita etica- mente determinata. Ad ognuna fa da pendant una specifica inter- pretazione della cultura e del la- voro empitico sul campo. * Inizio con Silvana Miceli (Orizzonti incrociati. 1 problema epistemologico in antropotogia): gli si dosgerti che si offrono all’inter- PS. 70 vento dell’antropologo rimanda- sno ad altre attivita conoscitive, o meglio pratico-conoscitive, cio’ quelle native. La tesi di fondo {come gia nel precedente In nome del segno, 1982) suona che il lavo- To umano sociale assicura l’inte- razione entro cui si realizza il ri- ‘cambio organico fra uomo e na- tura, rispetto cui la prassi cono- scitiva incorpora i] momento del feedback teorico. Sottolineare il carattere con- nettivo della conoscenza non é di poco conto. Asserire, infatti, che nel lavoro etnografico cid che viene rilevato appartiene ad una relazione, comporta una serie di pesanti problemi, quali ad esem- pio l'oggettivita propria di pro- dotti coestensivi dell’apporto del Ticercatore, oppure le modalita della verifica intersoggettiva L’autrice non dimentica che, per un assunto centrale dell’antropo- logia circa la determinatezza cul- turale delle forme conoscitive umane, appaiono difficilmente sostenibili quelle posizioni (quali ad esempio quelle di Dan Sper- ber) che si attestano sulla con- vinzione di poter produrre asser- ti descrittivi neutrali e rispon- denti alla realta cosi ‘come essa &, Rifiuta perd anche V’alternati- va opposta, quella interpretativa, per accettare una forma di ‘reali- smo possibilista’: gli asserti han- no sempre a che fare con il mon- do, ma la loro configurazione di scende da un inevitabile (ed in nunciabile) prospettivismo di an- golature diversificate, polivocali, ¢ rivisitabili. L'esigenza, solida ¢ difficilmente controvertibile, si insedia nel cuore stesso della in- trapresa scientifica moderna ¢ si misura con la dimensione crucia- le della ‘crescita della conoscen- za’. A monte, perd, sta il proble- ma se anche per I’antropologia (non estendiamo troppo il cam- po, ma in ballo @ certamente lo statuto delle scienze umane) tale assunto vale quale ci deriva dalla Tiflessione in sede di epistemolo- gia delle scienze naturali, oppure se la crescita della conoscenza ri- sponde ad un’esigenza importan- te ma ancora bisognosa di una specifica connotazione antropo- logica Intorno a due assi ruotano le considerazioni fondamentali del volume: la riconduzione della ri- cerca scientifica alla ‘ricerca co- gnitiva’ e la ‘complessita’. La conoscenza antropologica & ‘complessa’ perché implica tre li- velli: il livello dell’indigeno con Ja sua immagine del mondo in cui vive; il livello dell’ antropolo: go che pone domande e cerca ri sposte a partire dalle sue cono- scenze di sfondo; infine, quello epistemologico che oggettiva le opzioni culturali e teoriche che ingenerano il secondo livello. Ad ogauno dei tre livelli lavora un meccanismo fondamentale, quel- lo dell’oggettivazione, che rap- presenta il modo in cui il sogget- to proietta le sue immagini del mondo, le coglie nella loro con- nessione, ed attiva il metalivello superiore che oggettiva le opera- zioni culturali del soggetto stes- 50. Il meccanismo del feedback, ti pico della cibernetica, deriva da quell’ampio filone delle scienze biologiche che si suole chiamare ‘epistemologia evoluzionistica’, e il suo assunto fondamentale di- parte dall’analogia fra strutture organiche vitali ed ambiente da un lato, e strutture cognitive uti- lizzabili e mondo dell’esperienza del soggetto dall’altra, Al model- lo batesoniano del meta-appren- dimento I'autrice associa quello dell’auto-organizzazione e della complessita dei costruttivisti ra- dicali (Morin, Watzlawick, Yon Glaserfeld ecc.): ogni livello del lavoro conoscitivo antropologico retragisce sul livello inferiore se- condo connessioni di causalita circolare. Conoscere, cio’, equi- vale ad operare; ogni attivita co- noscitiva si svolge nel mondo dell’esperienza entro cui una co- scienza mira ad una meta e ricor- re a continue elaborazioni ricor- sive di descrizioni, elaborazione di descrizioni di descrizioni (Von Foerster). Con immagine metafo- rica: il ricercatore € come uno scassinatore che inventa le chiavi pit adatte per aprire serrature di serigni che racchiudono ricchez- ze agognate. Qual é quindi il lavoro antro- pologico? E un processo che con- sta di due momenti: la ricostru- zione del senso come insieme di regolarita osservate per giudizio di identita, grazie al paragone fra esperienze ripetute; e la cate- gorizzazione, debitrice del con- fronto con altri complessi com- portamentali noti allo studioso e collegati per ipotesi di intelligi- bilita. In entrambi i casi avviene un dialogo: tra il ricercatore ed il nativo, sul campo; tra gli antro- pologi, nella teorizzazione. Ma accade anche che si creino effetti di ritorno: I'indigeno che muta comportamento in seguito ad una eventuale presa di coscienza del suo agire; l'antropologo che scompone i suoi schemi di riferi- mento o i suoi presupposti cultu- rali, con relativa retroazione nel- Ja ricerca empitica Il costruttivismo radicale (di matrice batesoniana) ha il compi- to, nello svolgimento del volume, di eliminare la dicotomia sogget- to-oggetto, tipica del contrasto scienze naturali-scienze della cultura, e dello scientismo in ge- nere, e di fornire una base scien- tifica all'antropologia, grazie al recupero di quelle regolarita dell’operare umano che descrivo- no involontarie immagini del mondo; involontarie, e quindi in- tersoggettive e costanti. Viene perd rifiutato nella sua versione estremistica di crisi del reale: l'au- trice, alla invenzione della realta sostituisce un soggetto storico- sociale, pratico ed intellettuale, abilitato ad identificare le ottiche storiche dei vari approcci cono- scitivi. Non v’é dubbio che nel punto pill delicato dell’ operazione sta lo sfondamento della scena cono- scitiva apparentemente piatta nel dietro-quinte della conoscenza di sfondo del ricercatore, vincolato alle sue immagini precomprese di cosa sia scienza e cosa sia im- portante. Il tema si richiama per la sua rilevanza a classici temi ermeneutici; come altrettanto er- meneutico appare - per lo meno a prima vista ~ ’incontro fra le varie immagini del sapere. Non casualmente, infatti, Jehuda Elkana, che analizza la storia della scienza in termini di pre- supposti storici-antropologici, si vuol richiamare a Clifford Geertz ed alla nozione di ‘descrizione densa’, per illuminare gli incon tri e gli scontri fra diverse imma- gini della realta e del sapere. Nulla di tutto questo. Silvana Miceli, con lucida consequenzia- lita, chiarisce un robusto frain- tendimento, cui incorre lo stesso Elkana, ma vagante nella koiné ermeneutica imprecisa ed un po’ pasticciona che circola da qual- che tempo: ‘denso’ pud essere s0- lo (pena l'ipallage) un oggetto ri- costruito concettualmente, non una descrizione, che di per sé pud essere solo ‘analitica’; cosi come I’uso della metafora e della analogia nel pensiero scientifico ha la finalita di ridescrivere e rendere visibili gli oggetti della ricerca, in una nuova direzione di collaborazione fra segni digi- tali e segni analogici (sulla linea di Mary Hesse), € non la volati- lizzazione della realta e della previsione. La contestazione & precisa nei confronti di Elkana, la cui ermeneutica in realta é as- sai pid vicina alla ricostruzione di metamodelli (¢ quindi all’in- tellettualismo: si pensi a R. Hor- ton!), che a quella del carattere linguistico dei fenomeni sociali. Riguardo Geertz, sarei molto pit dubbioso, in quanto I’autrice col- pisce sul versante cognitivistico un sostenitore del versante ‘emo- tivistico’, ove - come & prevedi- bile - si da il caso di una alta in- comunicabilita fra idiomi intra- disciplinari. E perd sussiste e pervade I’intero volume un tema costante ed importante, la tensio- ne per una concezione unitaria dell’antropologia a partire dal suo oggetto privilegiato, la cul- tura, e dalle sue operazioni pecu- Tiari, sino al momento pid pro- blematico, quello della precom- prensione che I’antropologo stes- So porta con sé... Ho detto precomprensione, forse pit correttamente dovevo dire: presupposti culturali, giac- ché qui gli oggetti sono letti qua- Ti unita di significato, e non pure intenzioni di senso; il dialogo ca- tegorizza tramite operazioni me- taconoscitive, e non in una fusio- ne di orizzonti; la descrizione configura elaborazioni ricorsive, non circoli ermeneutici. L’autrice, come si sara notato, non ama molto |’ermeneutica, ed accetta di ridurre, secondo un vecchio cliché, l’ermeneutica ad empatia, imputata di far scompa- tire ogni criterio intersoggettivo di oggettivazione (esemplare é la netta - ma dimidiata - liquida- zione di Geertz). Non sarei molto d'accordo su tutto cid, anche per- ché ostica appare, nonostante tutte le mediazioni biologistiche, Ja riconduzione della compren- sione della cultura a ricerca co- gnitiva, per non parlare poi dei molti campi dell’agire antropolo- gico che stringono nessi irrinun- ciabili con la dimensione del si- gnificato e dei simboli. Su di una cosa perd non si pud che concor- dare: solo la chiarezza sulla na- tura dei concetti ¢ delle strumen-)} tazioni messi in opera permette' di raggiungere una visione per spicua degli spazi mentali in cui ci collochiamo. Pur senza temere ibridismi, una chiara distinzione fra le varie famiglie di apparte- nenza teorica risulta utile anche a meglio comprendere le zone di intersezione ¢/o vicarianza. * A dissipare eventuali dubbi di privilegiamento per I'antropolo- gia simbolica, niente di meglio che percorrere (per lo meno) gli ultimi due capitoli del volume di Silvana Borutti (Teoria ed interpre- tazione); libro di chiaro impianto filosofico, ma attento alla dimen- sione riflessiva che il concreto la- voro antropologico continuamen- te pone. Al centro dell’attenzione sta la funzione costitutiva del linguag- gio nella formazione di cid che si suole chiamare l’oggettivita scientifica. Anche qui in funzio- ne anti-corrispondentista, I’autri- ce sottolinea la messa in forma della realta operata dalla scienza tramite il lavoro di modellazione che svolge il linguaggio quale at- tivita simbolica. L’accettazione dell'impianto ermeneutico fa si che lo specifico antropologico sia inteso in termini di sapere sim- bolico, e di oggetti quali connes- sioni di senso, strutture soggetti- ve di senso. Se si vuole: signifi- cati, tout court. 72 Duplice appare il lavoro dell’antropologo: il campo come Tuogo della relazione conoscitiva propria dell’esperienza etnogra- fica, e la scrittwra etnografica, che da veicolo oggettivato del dialogo fra culture diviene sape- te indirizzato ad una comunita scientifica La relazione conoscitiva che si instaura assume tratti decisa- mente peculiari. La struttura schematico-metaforica che per- mette |’intelligibilita dei compor- tamenti umani osservati non @ né mcausalistica né probabilistica, ma analogica. Cid che garantisce Vosservabilita delle connessioni di senso é il ‘modello di testo’ di P.Ricoeur: i fatti sociali vanno considerati alla stregua di co- struzioni simboliche e come se fossero ‘testi’, sia nella pratica etnografica della ricerca empiti- ca, sia nella configurazione scrit- turale. I fatti culturali, insomma, sono sistemi di senso da leggere cosi come si leggono le pagine di un libro. Si parte da tracee super- ficiali che appaiono bizzarre e strane, per giungere a decifrare i sottostanti ordini simbolici in cui gli attori esprimono desideri sen- timenti pensieri sul mondo e su se stessi. Da questa angolatura, il fine dell'antropologia sta nella comprensione della comprensio- ne altrui; mediazione, traduzione e costruzione di significati quali si configurano ‘dal punto di vista del nativo’. I riferimento esplicito dell’au- trice &, naturalmente, l’antropo- logia interpretativa e C.Geertz; la ricostruzione del percorso di quest’ultimo perd @ pid attenta che nelle pagine di Silvana Mice- li, Innanzi tutto viene sottolinea- to il carattere dialogico-linguisti- co del lavoro antropologico tutto; in secondo luogo, evidenziato un tratto saliente dell’etnografia, la scrittura. Lo scrivere, infatti, Tungi dall’essere mera euristica segnica di supporto alla memoria ed al pensiero, costituisce quel- Voperazione cruciale che ha per compito la trascrizione dei signi- ficati del discorso sociale. Qui il momento & quanto mai importan- te, in quanto in ballo @ la que- stione dell’oggettivita: l’oggetti- vita per Geertz esiste e va ricer- cata dallo studioso; essa perd non dipende da una presunta neutralita del procedere empiri co, quanto dallo scrivere a tavoli- no qui cid che @ avvenuto la. La scrittura @ percid una iscrizione, che decontestualizza l’evento del campo, per rendere quest'ultimo un evento pubblico, intersogget- tivo ed indipendente dalle con- tingenti motivazioni individuali. La trascrizione etnografica per- mete 'immaginazione del conte- sto ed iscrivendo le azioni sociali in sequenze che colgono il signi- ficato, da ’accesso ad un mondo culturale; trasforma un evento in un mondo. La descrizione etnografica quindi una costruzione: la pre- sentazione di un brano di storia passata e dimenticata. E narra- zione. Nonostante il respiro pid deci- samente filosofico, il volume af- fronta temi che sanno penetrare con attenzione in molte delle analitiche operazioni del mon- taggio etnografico geertziano ed interpretativo in generale, per ri- considerare in particolar modo il tipo di oggettivita peculiare del- la comprensione simbolica. Non che manchino critiche a Geertz, ma queste si pongono entro lo specifico del lavoro dell’antropo- logo americano: una accezione contemplativa dell‘antropologia; un idealismo testualizzante; un ‘eccesso di impianto decodifica- zionista. Ma, paradossalmente, la critica pit: forte si appunta non su una presunta perdita della re- ferenza, quanto su una timidezza geertziana a trarre a pieno le conseguenze dell'impianto lin- guistico del procedere antropolo- gico, e percid a obliterare il con- testo pragmatico in cui sorge e si sviluppa la comunicazione con gli indigeni. L’obiezione, in so- Stanza, si rivolge al fatto che Geertz tende a nascondere i pro- cessi comunicativi e conoscitivi (significativo @ il richiamo a J. Favret-Saada) donde i signifi- cati sono germogliati; e quindi tacitare la voce dei nativi, resi muti soggetti informatori. Se si yuol operare uno strappo pili netto, si potrebbe dire che il (consapevole) rifiuto geertziano, nonostante la ‘descrizione den- sa’, al polivocalismo nasconde la sotterranea permanenza di una concezione naturalistica ed im- personalistica del resoconto di studio. C’e molto di vero in cid, ma andrebbe anche chiarito sino 2 che punto le pratiche umane (le implicite e le esplicite; le sociali ¢ le intellettuali) siano riconduci- bili a trasparenza e consapevo- lezza, o addirittura ad opetazio- ni metacognitive. Da wittgenste- niano quale &, Geertz ~ mi sem- bra - non Io considera possibile (¢ forse qui $. Boratti equivoca con Freud), in quanto nelle prati- che fondamentali della vita i! lin- guaggio & inestricabilmente lega- to alle immagini de! mondo ed ai valori che vi sono veicolati, Solo Ja comparazione permette all’an- tropologo di oltrepassare i conte- sti specifici, ma cid implica la presenza di qualche chiave trans- culturale. * Non sembri strano tanto antagonismo e divergenza cosi acuta su Geertz. Cid corrisponde forse anche al mondo in cui I’au- tore americano spesso @ stato in- trodotto in Italia: pensatore er- meneutico, sterminatore di uni- versalismi, fautore del pitt acceso localismo, nonché sostenitore (per lo meno ritenuto tale) di un composito schieramento politico- culturale denominato ‘ragione debole’. Alcuni, al solo sentirlo, si ritengono legittimati a consi- derarlo (lo schieramento, e con esso naturalmente Geertz) un rappresentante tipico di un nuo- vo piuttosto complicato - questo si~corso del mondo, da denega- re. Probabilmente varrebbe la pe- na di studiare I’'autore per quello che @, cio® a partire dalle sue opere. E pero anche non dimenti cando qualche fattarello di storia dell’antropologia, ossia che la svolta interpretativa nasce 0, se si vuole, prospera sulle ceneri del paradigma cognitivista clas- sico; e che proprio l'incapacita di affrontare convincentemente nes- si storici, atteggiamenti emotivi ¢ contesti determinati ha condotto quest’ultimo alle attuali secche. Comunque, l’atteggiamento anti-scientista, il privilegiare il locale e l'indagine sul modo in cui gli indigeni simbolizzano il loro mondo non bastano a con- cludere su Geertz. A cid invece aiuta il volume di F. Remotti (Not primitivi). Dal ricco testo trarre- mo solo qualche spunto, relativo al tema della descrizione, giac- ché troppo vasto & I’intero im- pianto per poterlo qui trattare Dice Remotti (ed @ lettura da consigliare) che Geertz @ molto pid vicino a Needham di quanto possa apparire a prima vista. Se Vantropologia, infatti, & una mar- cia di avvicinamento ai significa- ti indigeni, il processo di imme- desimazione é solo parziale e non si conclude mai (pena la vit- toria del vivere sul pensare) nel- la indigenizzazione, Perché? Per- ché nel nostro dialogo con gli al- tri sono gia date le condizioni dell’intendere; e tali orizzonti, oltre i quali non si pud procede- re, sono costituiti dai grandi pro- blemi di senso che la vita ed il mondo pongono all’uomo. Sono i “concetti lontani dall’esperienza’ che perd rendono quest’ultima transitabile e sempre traducibile: sono i grandi temi della vita e della morte, del sesso, del dolore e della felicita... Tali simboli so- no universali; sono tali cio che ogni uomo di fronte a certi sti- moli reagisce con approvazione 0 con rifiuto, Anche Needham asserisce Vesistenza di elementi costitutivi dell’esperienza umana, che indi- vidua nella classe dei percetti primordiali e nella classe delle relazioni primarie (dualismo ecc.). Mentre perd la prospettiva di quest’ultimo & formale ed astrattiva (elementi mentali si as- sociano a flussi emotivi), in Geertz la perimetrazione del campo é etica. Ogni uomo, civé, ha reazioni emotive a certi fatti del mondo e della vita, cui asso- cia un certo sentimento. L’antro- pologo, tramite I’analisi dei sim- boli, penetra sino al livello pit profondo, quello in cui gli uomi- ni teagiscono di fronte alle con- tingenze della vita, paragonando le varie configurazioni ed impa- rando, dalle culture altre, altri modi di affrontare il problema di fondo della vita umana, cosa é bene e cosa é male. Remotti si sofferma con dovi- zia di particolari sull/impianto sostanzialmente etico dell’antro- pologia (I’autore @ forse quello che in Italia é pid vicino alle te- matiche dell’antropologia statu- nitense); sulla ‘via lunga’ che V'antropologo deve percorrere per raggiungere la consapevolez- za di sé tramite l’oggettivazione negli altri (I’altro come specchio di sé); sulla impossibilita di con- cludere sulla natura umana, Ep- pur rivendicando una forma di generalita ail’antropologia, non quella certo delle regolarita hu- miane, quanto quella delle somi- glianze di famiglia, a partire dall’analisi di forme di vita, ove perd la prevedibilita non ha pit un ruolo privilegiato da svolge- re, sostituita come @ dal parago- ne e dalla comparazione, tramite Vimmaginazione, di tratti ubi- quamente reperiti. * Tentando qualche scarna conclusione, tutti e tre i volumi, pur nelle loro diversificate posi- zioni e nei loro peculiari punti di Ne partenza, convergono teorica-t mente sulla rilevanza delle speci-7& fiche operazioni antropologiche, intendendole non quali meri pro-: cedimenti tecnici, ma operazioni squisitamente conoscitive e costi- tutive delle discipline antropolo- giche (e forse delle scienze uma- ne), contro alla attardata conce- zione di una etnografia interessa- ta solamente a rilevare dati e di una antropologia impegnata a rendere teoricamente coerenti gli asserti conoscitivi, la nozione di relazione conoscitiva e di dialogo emergenti da questi studi pongo- no nuove connessioni di pensabi- ita degli studi sul comportamen- to culturale umano. Entro tali ge- neralissime considerazioni vale la pena di notare la rinnovata presenza di un elemento sinto- matico e significativo: intendo ri- ferirmi all’annoso problema della “equazione personale” in etno- grafia che, da fattore inelimina- Bile ma da neutralizzare, viene ora a costituire un momento pro- prio nella formazione delle ver- sioni antropologiche degli event (siano esse cognitive o interpre- tative), Tutto cid apre diversi orizzonti problematici. Innanzi tutto quello relativo alla sostanza disciplinare: la dimensione dialo- gica implica la polivocalita, Vibridazione e il sincretismo, con tutte le conseguenze prevedibili sulle nuove forme di rapporti fra tradizione e modernit’ (0 inno- ae 74 vazione). Sul versante invece strumentale, si riaffaccia sulla scena la questione del regime di proprieta dei concetti usati in an- tropologia. e si trata di render ragione dei fenomeni culturali, di quali procedimenti ci si avvale? S.Mi- celi opta per il percorso della ‘in- telligibilita’: ma esso rimanda ad un duplice ordine esplicativo, quello causalistico humiano e seanete strutturalistico. Oppure \ per la nozione di ‘soggetto stori- co-sociale’: ma @ un concetto an- tropologico in senso stretto? Nel primo caso si tratta di decidere lo statuto di appartenenza; nel secondo la pertinenza della mu- tuazione di termini da altrui do- mini. Come emerge dalla ‘querel- le’ sulla nozione di modelo, sembra sortire un duplice modo di intendere anche gli stessi ter- mini, che afferiscono_I’uno all'ambito - come diceva De Mar- tino ~ del ‘naturalismo’, |'altro a quello dello ‘storicismo’. Impos. sibilita di unificazione dei pro- blemi conoscitivi in antropolo- gia, dunque? Direi piuttosto che la tensione sta per una soluzione che superi la dicotomia seca; in questa direzione procede ~ mi sembra - I’attenzione che riscuo- te in specie oggi il lavoro etno- grafico vero e proprio, quale punto centrale di snodo per la comunanza sostanziale delle pro- cedure. Non si pud asserire se si tratti o no di una “epistemologia regionale”; ma la discussione procede, anche se i vecchi fanta- smi oppositivi continuano ad ag- girarsi ed agire. Alessandro Simonicca LA PERIPEZIA DELU'ELETTO Ezio PELLIZER Racconti eroic della Grecia ontica Sellerio, Palermo 1991. Lsnalisi dei sacconti eroici operata da Pellizer mostra la coesistenza, in ogni singola sto- ria, di elementi di individuazio- ne e di temi ricorrenti: strutture narrative pid elementari e gene- rali, articolate secondo schemi canonici, inglobano infatti “tratti specifici, singolari, idiosincrati- ci... fino a costruire un’ampia e dettagliata biografia, la leggenda individuale di un singolo uomo straordinario” (p. 15) che finisce in certi casi per porsi come ‘sto- rica’, e che @ convalidata da trac- ce lasciate dall’eroe nel territorio e nelle istituzioni. Probabilmen- te, suggerisce ’autore, questo in- treccio di canonicita e meccani smi di individuazione opera an- che in materiali diversi, come le vite dei Santi (la lettura di un’opera come la Storia Lausia- ca, ad esempio, presenta in effet- ti alcuni temi canonici: il passato spesso peccaminoso del santo e il successivo riscatto, le prove ascetiche, le tentazioni ad opera del Maligno e il loro superamen- to...)# forse, conclude Pellizer, la stessa storia della nostra lettera- tura non é davvero molto di pit che la storia della diversa intona- zione di alcune metafore (p. 38) Culture diverse, potremmo ag- giungere, intoneranno metafore differenti; né d’altronde solo di storia della letteratura si tratta, ma anche di storia tout court, da- to che come mostrano alcune analisi antropologiche, alcune costrizioni ‘narrative’ non opera- no solo nei testi, ma anche negli eventi e nei comportamenti: @ questo proposito Victor Turner (From Ritual to Theatre, New York 1982, trad.it. Milano 1986) ha sot- tolineato il rapporto di interdi- pendenza tra i drammi sociali e i generi delle performance culturali (le crisi sociali degli Ndembu at- tualizzano il repertorio costituito dalla saga di re Mwaku; Thomas Becket, nel suo conflitto con En- rico Il, viene ‘agito’ dal paradig- ma della Via Crucis, ecc.); e Sah- lins (Islands of History, New York 1972, trad. it. Torino 1986), com- mentando il modello della presa di potere del re delle Hawaii, os- serva che certe modalita di que- sta, siano esse reali o simboliche, costituiscono tna replica dell’ex- ploit (il termine @ di Heusch) ori- ginario. Se adesso torniamo alla bio- grafia eroica, vediamo che essa si articola canonicamente in una se- rie di unita narrative fondamen- tali: ~ la nascita dell’eroe (sempre contrastata, problematica, mo- tivo di scandalo o di sventura per i parenti pit prossimi), non di rado annunciata da una profezia. Sottolineando l'im- portanza cruciale che quest’ul- tima riveste da un punto di vi- sta narrativo, Pellizer osserva che “il programma di elimina- zione del neonato” che essa avvia non prevede proprio la modalita che sarebbe pit sicu- ra, cio’ I’immediata elimina- zione del bambino. Ma la bat- taglia contro l’oracolo nen pud che essere perduta in partenza, se questo & veramente portato- re di una parola autoveritati- va, non contrattabile (Detienne Les maitres de vérité dans la Gre- ce archaigue, Paris 1967, trad.it. Milano 1977), e se deve avviar- si lo sviluppo narrativo: la profezia, afferma giustamente Pellizer, si identifica cosi total- mente con la struttura stessa del racconto, di cui predeter- mina logica, percorsi e conclu- sione. Viniziazione, che prevede im- prese venatorie (in cui il gio- vane eroe @ contemporanea- mente predatore e possibile preda, dato il potere terrifican- te del suo antagonista terio- morfo), e/o un incontro con Velemento femminile. In questi racconti Iattivita venatoria si colloca nella fase di transizio- ne che precede l'acquisizione dello status adulto e di una ben definita identita sessuale: come ha mostrato in uno stu- dio ormai classico Vidal-Na- quet (“Le chasseur noir et Vorigine de l’ephébie athé- nienne”, in A.E.S.C., XXIII, 1968: 947-64), propria del- Yadulto @ infatti la guerra, non la caccia; laddove nelle societa di caccia e raccolta, l'abilita venatoria @ propria dell’uomo fatto, e siccome culture diver- se, come si é detto, declinano diverse metafore, invece dell’analogia - presente in ter- ra greca ~ tra i pericoli della guerra e i pericoli del parto {tra il ponos del guertiero e quello della partoriente), tro- veremo un’analogia, articolata su diversi piani simbolici, tra il potere venatorio (produtti- vo) dell’uomo, e quello gene- rativo (ri-produttivo) della donna (cfr. Arioti, Produzione ¢ riproduzione nelle societa di cac- cia-raccolta, Torino 1980). il matrimonio, \'acquisizione di uno stato adulto, la conquista del potere, a cui seguono la produzione di una discendenza, la fondazione di una citta e di istituzioni, problemi familiari e/o di successione dinastica, € infine una morte eroica, associata a metamorfosi, eponimia, apo- teosi, ¢ che pud essere anche negativamente connotata Dumezil (Mitra-Varuna, Paris 1940) osservava che la filosofia del potere regale elaborata in Po- linesia, in America, nel Dahomey poteva ditci molto sulle conce- zioni classiche della sovranita, che diventano pitt comprensibili alla luce dei dati etnografici. Nelle rappresentazioni figiane della regalita, ad esempio, un principe, bandito dalla sua terra, conquista il potere altrove, per, mezzo di una donna (principessay indigena), a cui egli accede attra-t verso una serie di imprese che ri-4x ke a chiedono astuzia, forza fisica Ss violenza sessuale, e infine I’as~ sassinio di un suo predecessore. Questi sono anche gli elementi presenti nelle biografie eroiche analizzate da Pellizer, uno dei cui temi @ rappresentato dal “buon uso del matrimonio”, cioe dall'apprendimento di una rego- la esogamica in giusto equilibrio tra 'iper-endogamia della relazio- ne incestuosa (con i motivi con- nessi della gemellarita, riflessi vita specularita, a cui rimanda un altro gruppo di miti analizzati dall’autore) e l'iper-esogamia pra- ticata da questi principi in esilio, che cercano moglie tra genti ne- miche, conquistandola in modi efferati e talvolta finendo mise- ramente essi stessi. Pellizer sot- tolinea giustamente, a questo proposito, la presenza, in queste storie, di elementi di conflitto generazionale, “il confronto tra due diverse paure; la paura dei padri, che temono di subire una depossessione violenta [...] per opera dei loro figli... e quella simmetrica dei ‘figli’ di fronte ai quali la riproduzione dell’ ordine sociale esistente... si pone come un‘impresa problematica e ri- schiosa, e in tutti i casi assai in- quietante” (p. 70; cfr. Pellizer, Zorzetti, La paura dei padri nella societa antica e medievale, Bari 1983), 75 Ma la polivalenza semantica dei miti ci permette di introdurre un altro elemento di riflessione, che rimanda agli studi di Cla- stres (La société contre l'état. Re- cherches dantropologie politique, Paris 1964, trad.it. Milano 1977.) sulla contrapposizione tra so- cieta e potere, e che @ stato illu- minato da una serie di dati etno- grafici sulla regalita (come ad esempio quelli di De Heusch, Es- gsais sur le symbolisme de lincesie \p royale en Afrique, Bruxelles 1958 ¢ ‘Le r0i ivre ou l'origine de l'état, Pa- ris 1972, sull’ Africa): il re (e il eSuo potere), ci dicono miti e ri- tuali, sono estranei alla societa; questa estraneita é talvolta esclu- sivamente etnica {il re @ uno stra- niero), oppure marcata da tratti straordinari (ad es. un’origine celeste) 0 comportamenti aber- ranti (omicidio, incesto: peraltro spesso associati, come in certi ca- si etnografici e, naturalmente, in quello paradigmatico di Edipo); il giovane eroe dei racconti greci, acquisendo il potere regale, pas~ sa dallo stato di ambiguo preda- tore-preda della fase “formativa” di caccia a quello di usurpatore (vale a dire predatore) di regni altrui. Un'ultima osservazione: “la metamorfosi dei personaggi in piante, animali, fiumi, sorgenti, 0 altro ~ dice Pellizer - sono una delle possibili conclusioni di una vicenda eroica, e allora concorro- no a produrre I'effetto di “fonda- zione” del reale (in questo caso, della realta zoclogica, botanica 0 geografica)” (p. 25). Sarebbe in- teressante approfondire compa- rativamente, oltre che il tema, gia accennato, delle trace lascia- te dall’eroe sul territorio (con i problemi connessi della memoria e dell’elaborazione di una pro- spettiva “storica”), anche quello della trasmutazione e della meta- morfosi, alla luce delle riflessioni di Lévi-Strauss (La pensée sauvage, Paris 1962, trad. it. Mila- no 1967) sulla differenza tra Vana-logica che governa le clas- sificazioni, e la genea-logica che connette gli esseri viventi e i fe- nomeni naturali in legami di di- scendenza e rapporti di deriva- zione. Carmelina Pignato “IL NOME DELLA COSA” tis SHORE talion Communism: The Escape from Leninism Pluto Press, London — Concord Mass. 1990 CE geass stops, ma ogi tanto fa piacere imbattersi in un lavoro antropologico che non guardi al come eravamo nell’Ita- Tia contadina e che si occupi in- vece del come siamo, nel nostro paese, oggi La monografia di Cris Shore & antropologico-politica, ed utiliz- za anche strumenti storici e poli- tologici; é, insomma, eclettica e pluridisciplinare: per Cris Shore, credo a ragione, @ un punto di merito. L’oggetto di studio 2 il Partito comunista italiano, dal congresso di Livorno del 1921 all’intervento di Occhetto, segre~ tario del partito, alla Bolognina, alla fine del 1989, che segna I’ini- zio della trasformazione di quell’organizzazione in partito democratico della sinistra. La do- manda che I'antropologo britan- nico si pone é in fondo quella che ha tradizionalmente appassionato schiere di studiosi di tutte le scienze sociali, e cio’ perché que- sto partito, in Italia, a differenza di quanto & accaduto in molti al- tri paesi dell’Europa occidentale, sia riuscito a radicarsi ed a cre- scere fino a diventare una forza politica e sociale di prima gran- dezza. L’analisi ha luogo attra- verso uno studio approfondito della struttura organizzativa, dell’ideologia e dell’identita mes- se in campo dal Pct nel corso del- la sua esistenza, in rapport alla situazione politica italiana ed in- ternazionale, con particolare rife- rimento all’Unione Sovietica. La spiegazione di un fenomeno cosi atipico nel panorama euro- peo si trova, secondo Shore, nel legame tormentato tra il partito ed il leninismo, come pratica or- ganizzativa e come ideologia Come suggerisce il titolo stesso del lavoro, la fuga progressiva dal Jeninismo che il Pci ha messo in pratica nel corso della sua sto- ria inventando un partito di mas- sa radicalmente diverso da quel- lo tipico della tradizione bolsce- vica, accettando le regole della democrazia e recidendo progres- sivamente i legami organizzativi ed ideali con I'Unione Sovietica, ha favorito il mantenimento e la crescita della sua forza ed in- fluenza in Italia. D’altro lato, proprio il permanere di elementi della tradizione leninista, quale per sempio la pratica del centra- ismo democratico nei rapporti interni al partito, ha impedito al Pci di diventare forza di governo a livello nazionale, negandogli il consenso elettorale necessario. $i tratta di una tesi natural- mente opinabile; @ certo tuttavia che Shore tocca un nodo centrale, indubbiamente rilevante ove si vogliano comprendere le ragioni Gel forte insediamento del Pci nel Paese. Non intendo perd qui soffermarmi oltre su questo pun- to, perché vorrei ritornare su qualche considerazione di ordine metodologico. Gli addetti ai lavori e la sparu- ta schiera dei fruitori della vasta produzione antropologica posso- no a mio avviso con qualche ra- gione domandarsi cosa vi sia di particolarmente antropologico nel lavoro di Cris Shore. Oggetto di studio, ipotesi interpretative e metodologia impiegata sembrano infatti costituire il caratteristico bagaglio del politologe, per esempio, senza che traspaia alcu- na peculiarita antropologica E questo, con tutta probabilita, @ il punto debole del libro. Shore promette infatti qualco- sa che non riesce a mantenere pienamente. La monografia eclet- tica e pluridisciplinare perde in- fatti lungo la strada un pezzo fondamentale, quello costituito dalla particolarita dell’ approccio antropologico che pure Shore an- nuncia. Il lavoro é infatti sul Pct, ma @ anche su un segmento spe- cifico del partito, una sezione co- munista di Perugia che Shore ha seguito in lunghi mesi di ricerca sul campo. Certo, sarebbe assur- do studiare una sezione comuni- sta ed i suoi militanti senza tener in alcun conto le politiche regio- nali e nazionali del pattito, la “linea” espressa nei congressi e nelle risoluzioni dei comitati centrali; tuttavia, se viene a man- care oppure occupa un posto so- stanzialmente marginale quella visione del Pct dall’interno e dal basso verso |'alto, quell’“aspetto soggettivo dell’identita comuni- sta rispetto alle sue dimensioni piil strutturali e storiche”, allora viene a mancare proprio quel quid antropologico che pure era stato giudicato fondamentale. E in realta, nel libro di Shore, i co- munisti di Piazza Grimana com- paiono assai poco; l’analisi della micro-situazione si disperde nel- la valutazione delle grandi scel- te, interne ed esterne, operate dal partito a livello nazionale ed in- ternazionale. Da cid pud derivare anche un’altra considerazione. L'impor- tanza attribuita da Shore al “tas s0” di leninismo presente nel Pct nel corso degli anni come chiave esplicativa preminente, avrebbe forse subito una qualche forma di ridimensionamento se, proprio. attraverso la voce del corpo del partito, i suoi militanti, fosse ve- nuto alla luce un elemento non secondario che pud contribuire a spiegare le ragioni dell'insedia- mento comunista soprattutto nel- le regioni dell’Italia centro-set- tentrionale, e cioé la capacita del Pci di rispondere ad alcune fon- damentali esigenze (economiche, politiche e culturali) della gente, di organizzare lotte per l’acquisi- one di diritti, di creare rapporti associativi non effimeri. Il libro di Cris Shore @ comun- que importante almeno per due ragioni. In primo luogo va in una direzione che io credo giusta e necessaria se si vuol evitare all'antropologia politica ed all’antropologia pid generale una progressiva marginalizzazione. Se, soprattutto negli studi sui paesi dell’Europa meridionale, queste discipline continueranno ad occuparsi prevalentemente di situazioni rurali ed arretrate, con Vocchio rivolto al passato, non potranno dare un contributo si- gnificativo allo studio di quelle realta e delle loro trasformazioni. Il libro di Shore si pone invece su, una sponda meno tradizionale ey forse anche pit difficile, ma ha il: pregio di entrare nel vivo di unt dibattito su un fenomeno certa- mente non secondario della vita del nostro Paese. Infine, sia pure con i limiti che ho cercato di met- tere in evidenza, la strada della plurdiscplinanith indicat da ta ian Communism pud essere risolu- tiva per aiutare Vantropologia ad uscire dalla crisi di elaborazione teorica che la pervade, stretta tra nostalgie per le grandi teorie che non possono essere resuscitate, € Ja tentazione interpretativa di li- mitarsi a discutere su se stessa, rinunciando all’analisi dei feno- meni sociali e culturali Luciano Li Causi “UN PROFESSORE CHE PARLA COI MORTI...” ALCUNI RECENTI STUDI SU ERNESTO DE MARTINO Placido e Mario CHERCHI Emesto de Martino, Dalla csi della « presenzo alla comunité umana 's Nopoli, Liguori, 1987 % 7 Riccardo D| DONATO (a cura ci) * La contraddizione felice? ~ Emesto de Martino e gli altri Piso, ETS 1990 Pietro ANGELINI Povese ~ De Martino, La collana viola, Lettere 1945-1950 Torino, Bollati Boringhier, 1991 * A Sonar sszivere uno di quel libreiti del tipo “Che cosa ha veramente detto...” su Ernesto De Martino, ci si troverebbe in grave imbarazzo. Il pitt impor- tante antenato totemico dell’an- tropologia italiana resta per molti versi un enigma intellettuale. Vit- torio Lanternari lo ha definito studioso monolitico e poliedrico al tempo stesso, per la sua capa- cita di combinare con estremo ri- gore una prorompente varieta di discipline e di orientamenti inter- pretativi. Ma quale era il suo ve- to campo di interesse? Quale il suo vero orientamento filosofico? La letteratura critica si @ mostrata spesso assai generosa ma non ab- bastanza distaccata, dungue (sia pur fecondamente) parziale: cosi ci é stato presentato volta per volta il De Martino crociano orto- dosso, il gramsciano-ma-non- troppo, il francofortese incom- reso, il meridionalista d’assalto. Come dire: non v’8 chi non abbia tivendicato a gran voce ~ e tutti con buone ragioni, beninteso - una discendenza demartiniana. Ma viene pure il tempo in cui all’amore filiale si deve sostituire una piil rigorosa e distaccata ri- flessione storico-critica. In que- sta direzione indicava gia il nu- mero dedicato a De Martino da La ricerca folklorica (13, 1986, a cura di Clara Gallini): gli inter- venti qui raccolti, evidentemen- te, non si sentono piit in obbligo di rispondere alla domanda “per- ché non possiamo non dirci de- martiniani”, e spaziano con mag- gior libert& su temi di storia cul- turale e di teoria e pratica antro- pologica. Ulteriori importanti passi in avanti sono compiuti da alcuni lavori recenti, che indaga- No con nuovo vigore storiografi- co sul contesto culturale da cui Vopera demartiniana ha tratto nutrimento. Mi riferisco in primo luogo al ponderoso studio di Pla- cido e Maria Cherchi, Ernesto De Martino, Dalla crisi della presenza alla comunita umana, Si tratta del- la prima indagine realmente si- stematica e di ampio respiro del- Je basi filosofiche su cui De Mar- tino ha costruito il proprio com- plesso ed originale percorso, Gli autori focalizzano I’attenzione - come d’obbligo - sul Mondo magi- co, analizzandone in modo punti- glioso lo strumentario concettua- Te, in particolare le nozioni di presenza, crisi della presenza, mondo, comunita; quindi, seguo- no le vicende di queste nozioni nei successivi sviluppi del pen- siero demartiniano, tentando fra V'altro di sciogliere il dibattuto nodo del “ritorno a Croce” sul problema della storicita delle ca~ tegorie. Se volessimo riassumere con una formula le loro tesi, potrem- mo dire che I! mondo magico & co struito attorno ad una istanza he- geliana, “filtrata” da Croce e “riempita” attraverso un impian- to fenomenologico-esistenziale. Quest’ultima componente - che De Martino, com’é noto, non ha mai interamente esplicitato - @ messa a fuoco con particolare at- tenzione, attraverso un serrato raffronto con gli scenari heideg- geriani di Essere e tempo. il rap- porto tra presenza e mondo che De Martino viene articolando ri- sente a fondo delle tesi heidegge- riane, e ne condivide I'accesa po- lemica contro l’oggettivismo ra- zionalista classico, contro l’as- sunzione dogmatica di una realta “data” in modo autonomo dalla soggettivita conoscente. Tuttavia, vi sono anche importanti diver- genze: le "presenza” demartinia- na, diversamente dal Dasein di Essere e tempo, implica il riferi- mento ad una comunita umana storicamente collocata. L’analiti- ca esistenziale di Heidegger espunge per cosi dire ogni con- cretezza collocata. La dimensione storico-sociale - publica - del- Vesistenza rappresenta anzi la principale minaccia all‘autenti- cita dell'Esserci: laddove per De Martino @ solo in questa dimen- sione che @ possibile salvarsi dal tischio di non-esserci. In definitiva, il tema esisten- ziale dell’Esserci serve a De Mar- tino per radicalizzare un angusto storicismo, prigioniero della me- tafisica occidentale; d’altra parte, tuttavia, lo stesso Esserci @ sotto- posto a una riconsiderazione sto- riografica e antropologica del tutto assente in Heidegger (c’é semmai da chiedersi se i] secon- do Heidegger, quello della “svol- ta linguistica”, non sia pit com- patibile con una prospettiva an- tropologica...). Casicché I’“allar~ gamento dell’autocoscienza della Nostra civilta” - la formula con cui De Martino definisce la natu- ra della comprensione antropolo- gica - si configura (p. 145) come allargamento dello storicismo at- traverso V’esistenzialismo ~ un passo che siamo liberi di consi- derare come contraddittorio 0 co- me feconda, o tutte e due le cose insieme. E in questo quadro che va col- locato anche il tanto discusso rapporto con Croce. E noto come De Martino abbia sempre dichia- rato verso il maestro una fedelta tanto salda da risultare sospetta. D’altra parte, il carattere non or- todosso del suo crocianesimo & immediatamente evidente: non foss'altro, per la volonta di spin- gere l'intelligenza storiografica su terreni ~ le culture “primitive” e “popolari” ~ che Croce tendeva a collocare senz’altro fuori dalla storia, Quella di De Martino @ dunque un‘adesione meramente di superficie? Oppure, al contra- rio, vi 8 nel suo pensiero un nu- cleo duro di crocianesimo, che le diverse aperture esistenzialisti- che e di altro tipo riescono appe- naa scalfire? I Cherchi sostengo- no in proposito una tesi assai convincente: il crocianesimo inte- ressa a De Martino non tanto per Te sue specificita dottrinali, quan- to come generale quadro teoreti- co in grado di sorreggere la sua critica gnoseologica al naturali- smo e le swe sortite in difficili territori d’indagine, minacciati dal pericolo incombente del!'irra- zionalismo. In altre parole, vi sa~ rebbe al centro del pensiero de- martiniano una strategia metodo- logica (una metis, la definiscono gli autori), consistente nell’accen- tuare la professione storicistico- crociana proprio per poter intra- prendere con maggior liberta ¢ in un regime protetto, per cosi dire, Vesplorazione del “rischioso” versante esistenzialistico. * Della tensione tra storicismo ed esistenzialismo si occupano anche alcuni dei saggi raccolti in La contraddizione felice? Ernesto de Martino ¢ gli altri, atti di un seminario del 1987). Tra questi, si segnala anzitutto per autore- volezza un intervento di Arnal- do Momigliano (di pochi mesi precedente Ja sua scomparsa, av- venuta nel settembre del 1987): Villustre storico discute il rap- porto di De Martino con l’esi- stenzialismo italiano, ed accosta la nozione di presenza all’analisi,, | della “crisi della persona” svoltaga i negli anni '40 da Antonio Banfi.tFis Accanto a quello di Momigliano #4 vi sono numerosi altri saggi a grande interesse, che tratteggia- nO una mappa assai articolata dei riferimenti teorici demarti- niani, da Cassirer, ad Heidegger ¢ Jaspers, alla psichiatria di Ja- net, Biswanger ed Ey, oltre natu- ralmente alla tradizione italiana di Croce ed Omodeo. Ne esce Vimmagine di uno “storicismo ibridato”, di cui si cerca di scio-

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