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tidezza e sobriet la propria avventura umana, dicendo cose molto intelligenti, moderne e per nulla
scontate sulla sua vita. Allo spettatore, la sua vista
era impreziosita da due grandi occhi luminosi, da
una gestualit morbidissima e dai colori vivaci del
maglioncino e dei pantaloni, (evidenzio questi particolari non per frivolezza ma per sottolineare la positivit di tutto linsieme). Lorakusu era indossato
con tale disinvoltura e naturalezza che solo dopo alcuni minuti lho notato. Tuttavia, chi abbia visto
quella trasmissione rimarr con due immagini
mentali che, per come sono state create, si legheranno forse per sempre al suo inconscio: lesistenza
alle spalle di quella signora (e, per estensione, di
ogni monaco zen) di un personaggio altro o fuori
del gioco definito maestro, o Maestro (e quindi,
automaticamente, lesistenza di un corso, un procedimento, che ci fa maestri). Inoltre sintravedeva la
possibile commistione tra lo Zen e la pranoterapia.
La signora, infatti, anche pranoterapeuta, ma a
differenza di altre sue attivit che (come la danza
classica) ha precisato essere esterne, estranee al
mondo dello Zen, nel caso della pranoterapia questo non stato precisato cos che rimane nello spettatore la convinzione che in qualche modo essa sia
connessa allo Zen. Non fosse altro perch il suo iniziatore alla pranoterapia fu, disse, la stessa persona
che, indirettamente, la port ad avvicinarsi al buddismo Zen.
A mio vedere, il dar per scontato lesistenza di una
figura chiamata Maestro (con annessa la conseguente possibilit di far carriera diventandolo) e
laccostamento, almeno verbale, tra la pranoterapia
e lo Zen, sono due parti di un medesimo discorso.
La prima parte si lega ad un processo storico
allinterno del quale gli occidentali (prima gli americani e poi gli europei) hanno dato vita (anche con
interessate complicit giapponesi) ad una attivit,
quasi un mestiere, che una vera e propria degenerazione: il Maestro Zen. E un nome/figura che nella tradizione viene negato sin dallinizio: nel Butsu
Yui Ky Gy, componimento considerato contenere
le ultime raccomandazioni di Shakyamuni morente,
una larga parte riservata a spazzare via ogni vellei-
ruolo
ad
un
livello
di
realizzazione
Consiste
in
un
certificato,
rilasciato
re ha una forte autocoscienza/autostima (e per molti versi questo si traduce in carisma e in sacralit di
ruolo) lanziana signora che pulisce il pavimento
della stazione o il poliziotto che regola il traffico. C
chi sta sopra e chi sta sotto ma ognuno re nel proprio regno.
Forse proprio per questo, in America, nei primi decenni del secolo scorso, quando cominciarono ad
arrivare i primi monaci/preti buddisti e (anche grazie ai libri di D.T. Suzuki) si guard a loro non tanto
come officianti di riti per i Giapponesi defunti in
terra straniera (quali in parte erano), ma come portatori di insegnamento sapienziale altissimo (come
avrebbero dovuto essere), avvenne che la prosopopea (di alcuni) ed i titoli di cui quasi tutti si fregiavano (che in patria erano semplicemente appellativi
rispettosi) furono tradotti col nome ed il ruolo sacrale di Zen Master. Caricando questo ruolo/espressione di tutti i significati pi elevati. Sino
alla cosiddetta Presentazione Idealistica di Richard Baker (cito, tradotto, da Means of Authorization di Stuart Lachs, reperibile sudarkzen):
Richard Baker, nellintroduzione al pi venduto libro sullo Zen in lingua inglese, Zen Mind, Beginners Mind (Mente Zen, mente di principiante) descrive il termine rshi nel seguente modo:
Un roshi una persona che ha realizzato quella
perfetta libert che costituisce la potenzialit di
tutti gli esseri umani. Egli vive libero nella pienezza di tutto il suo essere. Il flusso della sua coscienza
non fatto di strutture fisse e ripetitive come la nostra coscienza egocentrica, ma sorge anzi spontaneo e naturale dalle effettive circostanze del presente. Tutto ci comporta una vita dalle caratteristiche straordinarie capacit di rimanere sempre
a galla con le proprie risorse, vigore, spontaneit,
semplicit, umilt, serenit, allegria, incredibile
perspicacia e incommensurabile compassione. Il
suo intero essere attesta che cosa significhi vivere
nel presente. Anche senza che si dica o si faccia
nulla, limpatto puro e semplice dellincontro con
una personalit cos evoluta pu essere sufficiente
perch cambi lintero sistema di vita di una persona[...]. [Cfr. anche S.Suzuki, Mente zen, Ubaldini, Roma
ad Eiheiji, i novizi venivano trattati a pugni e schiaffi quotidianamente alla minima manchevolezza, anche per uno sguardo sbagliato. Chi, in America prima ed in Europa poi, si assunto il ruolo/compito
dello Zen Master, ha trovato buon gioco a spadroneggiare sui corpi sulle menti e sugli averi dei propri seguaci/discepoli sia per la posizione da semidio
in cui era posto sia per aver tradotto il comportamento visto in Giappone in termini di dispotismo
alloccidentale. Dimenticando per due cose fondamentali:
1) Ad Eiheiji si usa (o si usava) la violenza NON
perch un monastero Zen ma perch la violenza
ammessa nel sistema educativo giapponese quasi in
ogni ambito. Un esempio: a met degli anni ottanta
un preside di una scuola superiore giapponese, per
punizione rinchiuse tre ragazzi della prima classe
(15 anni) in un container, al sole, senzacqua, per
non ricordo quanti giorni. I ragazzi morirono. Per,
il fatto pi raccapricciante, per me, fu che i genitori
(invece di aiutarli, chiamare la polizia, lesercito, i
pompieri) sostarono, sino alla morte dei loro figli,
allesterno del container, incoraggiandoli a resistere, ad accettare sino in fondo la loro punizione. Ecco quindi che se, per un assurdo che non auspico,
anche in America, in occidente, quei sistemi fossero
normali, accettati ed utilizzati come metodi educativi validi, molti dei casi classificati come abusi nei
confronti dei discepoli da parte degli Zen Master
non sarebbero neppure notati, perch usuale dialettica tra educatore e discente. Fortunatamente sta
avvenendo il contrario: sono invece proprio i monasteri Zen, in Giappone, a mettere in discussione
quei metodi al loro interno e nella societ.
2) In occidente il termine Maestro, con i toni con
cui stato sin qui usato nello Zen, stato attribuito,
in ambito religioso, solo, o quasi solo a Ges Cristo
(o suoi epigoni). Attribuirlo di punto in bianco ad
un poveruomo che ha ricevuto, pronunciato i voti
buddisti crocifiggerlo alla sua carne.
In Italia, da un poco di tempo, sta succedendo qualche cosa di analogamente preoccupante. Non so
perch, non so su suggerimento di chi, per certo
che a tutti i monaci buddisti, specialmente in am-
conduce a diventare maestro Zen: vi sono anche serissimi studi a livello universitario (cfr. laccurata
History of the Soto Zen School del prof. Griffith
Foulk del Sara Lawrence College, ed anche The Soto Zen School in modern Japan del prof. Nara Yasutani, gi preside dellUniversit Buddista Komazawa di Tokyo e lattento lavoro Soto Zen in America del prof. Jhon R. MacRae, della Indiana
University).
Chiedo, per favore, a chi si occupa di queste cose:
prima di fare un passo e sancire etichette, marchi
difficilmente cancellabili, guardate alle esperienze
di chi ci ha preceduto.
Laltro aspetto che ho citato allinizio di queste righe, quello della commistione dello Zen con le discipline pi disparate, dalla macrobiotica alla pranoterapia, dai massaggi agli oroscopi cinesi,
dallagopuntura alla musica. Non intendo dire che
queste cose siano estranee allo Zen. Intendo dire
che stanno allo Zen come qualsiasi altra attivit
umana: allevare i bambini, fare limpiegato alle poste, il bagnino o il parrucchiere. Non ha alcun senso
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