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Riccardo D'Angelo Vite e menzogne

Vite e menzogne
La signora avr avuto sessanta, sessantacinque anni. La guardavo, steso sulla sdraio di fronte alla
piscina di un circolo sportivo all'ultimo piano di un moderno edificio da dove, attraverso grandi
finestre, si vede tutta Parigi.
Quella sera, inoltre, la citt aveva un fascino particolare; forse perch mi stavo gi pregustando il
successo, il denaro, le donne che avrei avuto. La vecchia era il centro di tutto, lei e la sua collezione
di preziosi.
Filippo il mio socio italiano era dall'altra parte; parlava con uno degli invitati al ricevimento,
ma l'esperienza mi diceva che il suo sguardo scuro, da sotto il monociglio nero e spesso come la
spazzola di una scopa, non stava perdendo neanche uno spostamento n del nostro obiettivo n delle
amiche bionde e formose di cui si circondava. Ero certo che la sua celebre arguzia ci avrebbe fatto
diventare presto ricchi.
A un certo punto la vecchia signora si conged dal circolo delle pettegole tutte mogli o amanti
degli abitu del club di golf e si avvi verso l'ascensore l vicino.
Era proprio quello che io e Filippo stavamo aspettando. Gli lanciai una occhiata e lo vidi che si
stava gi muovendo nella sua direzione; allora mi alzai con l'aria pi disinteressata e lasciva che
riuscii a simulare e puntai la scala antincendio per il piano inferiore: dovevo raggiungerli di sotto
prima che arrivassero, stordire un facchino, indossarne l'uniforme e guadagnarmi cos il diritto di
entrare nella camera della vecchia. Un piano geniale e perfetto.

Non appena fui vicino alla porta della scala anticendio cominciai a fischiettare per dissimulare
ogni emozione. Mi guardai intorno un paio di volte e quando seppi che era il momento giusto spinsi
il maniglione antipanico e mi fiondai di sotto; indossavo solo il costume.
Scesi di tutta fretta le scale e riuscii a inciampare solo due volte, ma nell'aprire la porta per
l'ottavo piano quasi mi frantumai il mignolo del piede contro lo stipite. Il trauma mi lasci lunghi
minuti in agonia; ispirandomi per alla caparbiet di Filippo ripresi subito fiato e, piombato nel
corridoio, lanciai un'occhiata malefica al primo, sfortunato facchino che mi capit a tiro.
Lui mi guard di rimando, con aria di sufficienza, e gir l'angolo con il suo carrellino. Io lo
seguii di soppiatto, passo felpato sulla moquette rossa. Ero cos abile che il poverino non si rese
conto di niente finch non gli tamponai le labbra con un fazzoletto imbevuto di cloroformio. Alch
lui si volt di scatto verso di me, con un'espressione sul viso contratta da ira e stupore insieme.
Realizzai di aver sbagliato fazzoletto poco prima di riuscire a evitare il suo destro. In quel momento
dovetti improvvisare: sfruttai tutta la mia esperienza per incalzarlo e metterlo al tappeto in men che
non si dica.
E una era fatta.
Gli abiti del facchino erano di almeno due misure in meno della mia taglia e temetti che in quelle
condizioni, con i pantaloni che quasi mi salivano fino alle ginocchia, avrei rischiato di essere
scoperto; tuttavia il tempo era un lusso che avevo perso da molto tempo, scusate il gioco di parole.
Nascosi il malcapitato in uno sgabuzzino buio e tornai nel corridoio. Mi affacciai all'angolo e
con la coda dell'occhio riuscii a vedere la vecchia megera che infilava la chiave nella serratura della
propria stanza. L'ansia crebbe quando la vidi cos, sola. Ci sarebbe dovuto essere Filippo con lei,
l'avrebbe dovuta sedurre e farsi accompagnare in camera. Gli era forse successo qualcosa? Solo in
seguito scoprii che era caduto vittima del giogo delle pettegole dell'ultimo piano.
Maledizione! pensai. Lo ricordo chiaramente.
In ogni caso non potevo perdere l'occasione: le sue ricchezze facevano troppo gola: decisi che si
sarei riuscito anche senza l'aiuto di Filippo. Anzi, Filippo sarebbe stato fiero del suo compare
Armand!

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Riccardo D'Angelo Vite e menzogne

Attesi che la vecchia avesse chiuso la porta alle proprie spalle e spinsi con decisione il carrellino
fino a essa. Poi la fissai a lungo, cercando di raccogliere il coraggio di attuare una tale impresa tutto
da solo.
Avvicinai le nocche alla porta. Presi un profondo respiro.
Armand! chiam improvvisamente la voce di Filippo. Vidi il mio inseparabile compagno
corrermi incontro; per me fu un grande sollievo, ma ammetto che, infondo infondo, mi stavo gi
abituato al gusto dell'impresa in solitaria.
Filippo si scus per il ritardo e si affrett a spiegarmi il nuovo piano. Ero cos concentrato che
riuscii ad andare oltre la sua pessima pronuncia francese e farmelo ripetere solo una seconda volta.
L'uomo chiave rimaneva lui stesso. Io mi feci un attimo da parte mentre buss.
Toc Toc.
La megera non si fece attendere e apr la porta a quello che sarebbe stato il suo peggior incubo.
Filippo la salut cortesemente, scambi due parole e subito riusc a guadagnarsi l'ingresso.
Finalmente era arrivato il mio turno! Il ritmo delle palpitazioni quasi mi faceva girare la testa, ma
non potevo cedere.
Attesi ancora qualche minuto e infine bussai.
Filippo mi apr la porta; ci scambiammo un'occhiata complice e subito io entrai di prepotenza
nella stanza spingendo ancora il carrellino. Quindi, senza neanche darle il tempo di capire cosa
stesse succedendo corsi contro la vecchia e la investii. Ella si ribalt sul pavimento in un trambusto
di lardo e goffagine. Nel frattempo Filippo aveva chiuso la porta alle mie spalle e bloccato la
serratura.
La vecchia era terrorizzata e dolorante. Si teneva la testa con una mano e mi guardava
strabuzzando gli occhi. Io non persi neanche un secondo: afferrai un coltello tra le posate rovesciate
e glielo puntai alla gola.
Ora dicci il codice della cassaforte, vecchia! Mi sentii cos forte, cos fico. Come in un film.
In quel momento scoprii che quella donna gi sapeva tutto di me. Disse:
Armand! Ma cosa stai facendo?
Capite? Sapeva il mio nome e credeva che non sarei mai riuscito ad andare fino in fondo ai miei
propositi. Davvero una serpe, ma io la incalzai.
I gioielli, i gioielli!
Dovetti aver parlato davvero con rabbia e ferocia, perch subito dopo mi confess il codice.
Allora lasciai a Filippo il coltello e corsi verso la cassaforte da parete per inserire il codice: uno...
due...tre...quattro. Click.
Era aperta e dentro c'erano davvero ricchezze inimmaginabili. Sentii le lacrime.
Tuttavia l'attimo di gloria dur poco. Ben presto la porta venne sfondata e un numeroso gruppo
di piedipiatti fece irruzione nella stanza, pistole e manganelli in pugno. Dietro di loro c'era il
facchino che credevo di aver tramortito.
Filippo lasci cadere il coltello. La vecchia si alz tenendosi il petto.
Agenti! I miei figli sono impazziti! Volevano uccidermi!

Mia madre... quella donna ricca sfondata era pure pazza: pensava di essere mia madre, capite?
Ma non lo era! Come poteva esserlo? Non l'avevo mai vista prima di quel momento. Una madre
sempre con te, ti sostiene, ti aiuta. Lei non aveva fatto per me niente di tutto ci, quindi non poteva
esserlo! Fu ci che urlai alla polizia, ma nessuno mi credette.
Di quel che successe in seguito ho le idee un po' confuse. Ricordo che alzai le mani, ma che mi
pizzicava cos forte il naso per l'allergia che pregai gli agenti di concedermi di soffiarmelo prima
che di essere ammanettato. Devo aver sbagliato nuovamente fazzoletto, per, perch sono quasi
sicuro che persi i sensi in men che non si dica.

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Riccardo D'Angelo Vite e menzogne

Ora so che nemmeno voi crederete alle mie parole, dottori, tuttavia io non mi arrender, e
mentre mi condurrete nuovamente nella mia fredda stanza monocolore, io non potr che continuare
a urlare: Non mia madre! Non mia madre!
FINE.
Riccardo D'Angelo 2010

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