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febbraio 2014
La verit
Paolo Leonardi
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Linglese recita: What is truth? said jesting Pilate, and would not stay for an answer.
P. Leonardi La verit
febbraio 2014
P. Leonardi La verit
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In un secondo testo, Aristotele produce un formulazione diversa: nel vero chi crede sia diviso ci che diviso
e unito ci che unito, ed nel falso chi formula pensieri diversi dalla realt delle cose (Metafisica 1051 b,
10.3).
Q1
P. Leonardi La verit
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s*
Nichilismo
Q2
Coerentismo
Q3
Q4
s
Corrispondenza con oggetti
Q5
s
Teoria dellidentit
Q7
no*
Q9
Primitivismo enunciativo
Q10
s
(Concezione semantica della verit)
P. Leonardi La verit
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s*
Q12
s*
Temporalismo
Q13
Eternalismo
Si riesce a spiegare il concetto di verit proposizionale?
no
s*
Primitivismo proposizionale
Q14
s*
Minimalismo
Q15
Teoria modesta
La verit epistemicamente vincolata?
no
Realismo aletico
Antirealismo aletico
Q16
s
Antirealismo aletico definizionale
Nichilismo: (Gottlob Frege), (Frank Ramsey), (Arthur R. Priori), (Willard van Orman
Quine), il primo Peter F. Strawson, Chris Williams, Dorothy Grover, Robert
Brandom.
Coerentismo: Gottfried W. Leibniz, Donald Davidson, Robert Brandom.
Corrispondenza con oggetti: gli antichi, i medievali, (Tarski?).
Corrispondenza con eventi: Bertrand Russell 1940.
Teoria dellidentit: George E. Moore e Bertrand Russell circa 1900, (Alexius Meinong),
John McDowell, Julian Dodd, Jennifer Hornsby.
Corrispondenza parsimoniosa con fatti: Bertrand Russell, primo Ludwig Wittgenstein.
Corrispondenza prodiga con fatti: George E. Moore, John R. Searle.
Primitivismo enunciativo: Johann H. Lambert, Donald Davidson.
Decitazionalismo: Willard van Orman Quine, Hartry Field.
Concezione semantica della verit: Alfred Tarski, Saul Kripke, Jan Wolenski
Temporalismo: Aristotele, gli stoici, Tommaso dAquino, David Kaplan.
Eternalismo: J. Lukasiewicz, Alan White.
Primitivismo proposizionale: Gottlob Frege, George E. Moore, Bertrand Russell.
Minimalismo: Paul Horwich, secondo Hartry Field.
Teoria modesta: Pascal Engel, Wolfgang Knne.
Realismo aletico: John L. Austin, primo e terzo Hilary Putnam, William Alston, Richard
Kirkham, Tim Williamson, Marion David.
Antirealismo aletico: John Dewey, secondo Hilary Putnam, Michael Dummett, Crispin
Wright.
Antirealismo aletico definizionale: Charles S. Peirce, William James.
P. Leonardi La verit
febbraio 2014
P. Leonardi La verit
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che nel primo. Qui, beninteso, si tratta non di fatti, ma di un essere. Ora, dalle leggi
dellesser vero promanano prescrizioni per il credere, il pensare, il giudicare, linferire: e
cos si parla anche di leggi del pensiero. Ma qui c il rischio di confondere cose diverse.
Se si d allespressione leggi del pensiero un senso simile a leggi della natura si
intende ci che vi di universale nei fatti psichici del pensiero. Una legge del pensiero in
questo senso sarebbe una legge psicologica. Per questa via si pu arrivare allidea che la
logica si occupi del processo psichico del pensiero e delle leggi psicologiche secondo le
quali il pensiero si verifica. Ma in questo modo il compito della logica sarebbe male
inteso: la verit infatti non avrebbe il posto che le spetta. Anche lerrore, la falsa credenza,
hanno le loro proprie cause, al pari della conoscenza corretta. Sia la credenza nel falso
che la credenza nel vero avvengono secondo leggi psicologiche. Una derivazione da
queste leggi ed una spiegazione di un processo psichico che approda ad una credenza,
non pu mai sostituire la prova della validit di ci a cui questa credenza si riferisce. Non
potrebbero aver partecipato a questo processo psichico anche leggi logiche? Non voglio
negarlo; ma quando si tratta della verit, la possibilit non pu bastare. possibile che
anche qualcosa di non logico vi abbia preso parte e che abbia fatto deviare dalla verit.
Soltanto dopo che avremo scoperto le leggi dellesser vero, potremo deciderlo; ma allora
probabilmente potremo fare a meno della derivazione e della spiegazione del processo
psichico, se quel che ci interessa sapere se giustificata la credenza a cui tale processo
approda. Per escludere ogni fraintendimento e per non cancellare i confini fra psicologia
e logica, assegno alla logica il compito di trovare le leggi dellesser vero e non quelle della
credenza, del pensiero. Nelle leggi dellesser vero si sviluppa il significato della parola
vero.
Anche se esistono logiche per tutti i tipi di discorso, per es la logica deontica, che copre enunciati imperativi e
commissivi.
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concepita come una perfetta sovrapposizione fra gli elementi che si fanno
corrispondere e qualunque portatore scegliessimo per la verit, non
riusciremmo a sovrapporlo a ci che rappresenta. Wittgenstein propone
pochi anni dopo una teoria pittografica del significato che concepisce gli
enunciati come immagini di stati di cose. Il Tractatus logico-philosophicus, che
pubblica nel 1921, articola una concezione matematica e non ingenua della
nozione di immagine come corrispondenza stabilita da una funzione che
proietta gli elementi di una rappresentazione sugli elementi di uno stato di
cose. Neppure questo testo, per, riesce a risolvere i problemi della
corrispondenza.
Da un punto di vista linguistico la parola vero si presenta come un termine di
propriet. Da ci origina il desiderio di delimitare pi precisamente l'ambito nel quale
la verit pu venir affermata, nel quale la verit possa in genere entrare in linea di
conto. La verit si vede affermata di immagini, rappresentazioni, enunciati e pensieri.
Colpisce il fatto che siano qui raggruppati oggetti che possiamo vedere e sentire assieme
ad altri che non possono venir percepiti con i sensi. Questo fatto tradisce l'intervento
d'uno spostamento di significato. Infatti, possiamo dire in senso proprio che
un'immagine, in quanto mera cosa visibile e tangibile, qualcosa di vero? e una pietra
o una foglia non lo sarebbero? E ovvio che non diremmo vera l'immagine se non vi
fosse un'intenzione che essa sia vera: l'immagine deve rappresentare qualcosa. Anche la
rappresentazione non viene detta vera in s ma solo rispetto a un'intenzione di farla
corrispondere a qualcosa. a partire di qui che si pu supporre che la verit consista in
una corrispondenza di un'immagine con quanto viene raffigurato. La corrispondenza
una relazione. Ma ci contraddetto dal modo d'uso della parola vero, che non un
termine di relazione e non contiene alcun rimando ad alcunch d'altro con cui qualcosa
dovrebbe concordare. Se non so che una certa immagine deve rappresentare il Duomo
di Colonia non so con che [60] cosa dovrei confrontare l'immagine per decidere della sua
verit. E inoltre la corrispondenza pu essere completa solo allorch le cose
corrispondenti coincidano, e non siano pertanto in alcun modo cose distinte. Si
dovrebbe poter controllare l'autenticit di una banconota cercando di farla combaciare
stereoscopicamente con una autentica. Ma sarebbe ridicolo il tentativo di far
combaciare stereoscopicamente una moneta d'oro con un biglietto da venti marchi. Far
combaciare una rappresentazione con una cosa sarebbe possibile solo se la cosa fosse
anch'essa una rappresentazione. Ed esse combacerebbero solo se la prima
corrispondesse completamente con la seconda. Ma non questo che si intende
quando si definisce la verit come corrispondenza di una rappresentazione con qualche
cosa di reale. infatti essenziale proprio che ci che reale sia distinto dalla
rappresentazione. Ma allora non c' nessuna concordanza completa, nessuna verit
completa. E quindi non vi sarebbe proprio niente di vero, dal momento che ci che
vero a met non vero (ist unwahr). La verit non tollera i pi o meno. Ma come! Non
si pu stabilire che c' verit quando sussiste una corrispondenza sotto un qualche
aspetto? Ma sotto quale? Cosa dovremmo mai fare per decidere se qualcosa sia vero?
Dovremmo ad esempio indagare se sia vero che una rappresentazione e un che di
reale concordano nell'aspetto stabilito. Ma con questo ci troveremmo nuovamente di
fronte a una questione dello stesso tipo, e il gioco potrebbe ricominciare da capo.
Fallisce quindi questo tentativo di spiegare la verit nei termini della corrispondenza. Ma
con ci fallisce anche ogni altro tentativo di definire l'esser vero. Infatti in una
definizione verrebbero fissate alcune caratteristiche e, nell'applicazione a un caso
particolare, si tratterebbe sempre di vedere se sia vero o no che queste caratteristiche
concordano. Cos ci si muoverebbe in un circolo. pertanto probabile che il contenuto
della parola vero sia di una specie del tutto singolare e indefinibile.
P. Leonardi La verit
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P. Leonardi La verit
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the true, but a certain complex which (in the given case) is true. In the case of a simple
proper name like 'Socrates', I cannot distinguish between sense and meaning; I see only
the idea, which is psychological, and the object. Or better: I do not admit the sense at all,
but only the idea and the meaning. I see the difference between sense and meaning only
in the case of complexes whose meaning is an object, e.g., the values of ordinary
mathematical functions like + 1, 2, etc. But I admit that there are certain difficulties in
this view. From what I have said about Mont Blanc you will see that I cannot
accommodate the identity of all true propositions. For Mont Blanc is to my mind a
component part of the proposition discussed above, but not of the proposition that all
men are mortal. This alone proves that the two propositions are distinct from each other.
(Dalla lettera del 12.12.1904 di Russell a Frege. Frege 1980: 169)
P. Leonardi La verit
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Il fatto che il sole sia sorto non un oggetto che emetta raggi che giungono ai miei occhi,
non una cosa visibile come lo il sole stesso. Sulla base di impressioni sensibili si
riconosce vero che il sole sia sorto. Ci nonostante l'esser vero non una propriet
percepibile sensibilmente. sempre sulla base di impressioni sensibili che una cosa
riconosciuta essere magnetica, sebbene a questa propriet corrisponda tanto poco una
specie particolare di impressioni sensibili quanto ne corrisponda alla verit. Sotto questo
aspetto le due propriet concordano. Ma per riconoscere che un corpo magnetico ci
sono indispensabili impressioni sensibili. Se di contro trovo vero che in questo
momento non sento alcun odore non mi baso su impressioni sensibili.
Eppure d da pensare che non possiamo riconoscere una propriet in una cosa senza
con ci stesso trovare vero il pensiero che questa cosa ha questa propriet. Quindi a
ciascuna propriet di una cosa connessa una propriet di un pensiero, quella della verit.
anche degno di nota che l'enunciato sento un profumo di violette ha n pi n
meno lo stesso contenuto dell'enunciato vero che sento un profumo di violette.
Pare cos che non venga aggiunto niente al pensiero con l'attribuirgli la propriet della
verit. Ma non tuttavia un grande successo se dopo lunghi tentennamenti e indagini
faticose il ricercatore pu finalmente dire ci che avevo supposto vero?. Il significato
della parola vero sembra essere veramente unico nel suo genere. Non potrebbe darsi
che abbiamo qui a che fare con qualcosa che non pu esser denominato una propriet
nel senso ordinario? Nonostante questo dubbio intendo per il momento tenermi ancora
all'uso [62] linguistico comune, ed esprimermi come se la verit fosse una propriet,
finch non verr trovato qualcosa di pi appropriato.
Al fine di chiarire pi precisamente che cosa chiamo pensiero distinguo diversi tipi
di enunciati. Non si vorr contestare un senso a un enunciato imperativo, ma questo
senso non di un tipo per cui possa porsi la questione della verit. Non chiamer quindi
pensiero il senso di un enunciato imperativo; cos pure sono da escludere proposizioni
ottative e preghiere. Possono venir presi in considerazione quegli enunciati nei quali
comunichiamo o asseriamo qualcosa. Non considero tuttavia tali le esclamazioni in cui si
d sfogo ai propri sentimenti, il gemere, il sospirare, il ridere, a meno che essi, tramite un
accordo particolare, non siano destinati a comunicare qualcosa. Ma cosa avviene nel caso
degli enunciati interrogativi? Con un termine interrogativo articoliamo un enunciato
incompleto, che ottiene un senso vero e proprio solo grazie al completamento da noi
richiesto. Non prendiamo quindi in considerazione i termini interrogativi. Diverso il
caso degli enunciati interrogativi, ci aspettiamo di sentire un s o un.no. La risposta
s dice la stessa cosa che un enunciato assertorio; perch per il suo tramite viene posto
come vero il pensiero che gi interamente contenuto nell'enunciato interrogativo. Si
pu quindi formare un enunciato interrogativo a partire da qualsiasi enunciato assertorio.
Un'esclamazione non pertanto da considerare come una comunicazione, poich non
pu venir costruito nessun enunciato interrogativo che le corrisponda. L'enunciato
interrogativo e quello assertorio contengono lo stesso pensiero; ma quello assertorio
contiene ancora qualcosa d'altro, cio l'asserzione. Anche l'enunciato interrogativo
contiene qualcosa d'altro, vale a dire una richiesta. In un enunciato assertorio occorre
perci distinguere due elementi: il contenuto, che esso ha in comune con il
corrispondente enunciato interrogativo, e l'asserzione. Il primo il pensiero, o
perlomeno contiene il pensiero. E quindi possibile esprimere un pensiero senza
presentarlo come vero. In un enunciato assertorio le due cose sono talmente legate
che facile lasciarsene sfuggire la scomponibilit. Distinguiamo quindi:
1. l'afferrare il pensiero il pensare;
2. il riconoscimento della verit di un pensiero il giudicare;
3. la manifestazione di questo giudizio l'asserire.
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Non legger oltre. Qui Frege sceglie i portatori della verit, i pensieri, cio
il senso espresso fa una frase assertiva, o interrogativa. Le altre frasi non
sono adatte alla verit (truth-apt). E, come avevo anticipato, mantiene
lidea che la verit sia una propriet. Non una propriet sensibile, N una
propriet che si attribuisce sulla base di esperienze sensibili (se trascuriamo
che cogliamo i pensieri solo quando sono espressi sensibilmente, a voce,
per iscritto, a gesti ma questo a Frege, come al cartesiano Geraud De
Cordemoy, sembra una cosa non necessaria la lingua d voce al pensiero
ma non sarebbe uno strumento del pensiero, una tecnologia del pensiero,
un modo di pensare).
Ci sono altri due punti molto interessanti in questo pezzo. Il primo punto
oggi quasi standard. Non ci sarebbe differenza di contenuto (prendo
lesempio da Aristotele) fra La neve bianca ed vero che la neve
bianca (o, La neve bianca vero), cosa da cui Frege ricava che vero
non aggiunge nulla al pensiero che si esprime, anche se riuscire a dire vera
una congettura, aggiunge subito dopo, un gran risultato (Frege, dunque,
nel 1918, su questo punto, pensa quanto pensava circa 40 anni prima,
nellIntroduzione allIdeografia). Vero, dunque, non sarebbe unespressione
insensata, ma a senso nullo ovvero privo di senso, come avrebbe potuto
dire Wittgenstein nel Tractatus. Il secondo punto che vero (o vero
ecc) non sarebbe un indicatore di forza assertiva. Frege parla qui di forza
come di un terzo livello del significare. Trenta-quaranta anni dopo Austin
riprender questa terminologia e svilupper una teoria di questo terzo
livello del significare nella propria dottrina degli atti linguistici, se il senso
appartiene al livello degli atti locutori, degli atti di dire qualcosa, la forza
appartiene al livello illocutorio, degli atti che si compiono nel dire qualcosa.
Posso dire qualcosa dotata di senso per fare unasserzione, per esprimere
un giudizio, per esercitare la mia autorit (Lei prende 30, un tipico atto di
questo genere per un docente), per prendere un impegno, ecc. Ora vero
non sarebbe, secondo Frege, un indicatore di forza, qualcosa che dice che
sto compiendo unasserzione, perch pu ricorrere in enunciati secondari,
proferendo i quali non si compie unasserzione, tipo Se vero che mio
cognato ha acquistato lui lappartamento, mi dimetto subito. Considerate
infatti questi tre proferimenti diversi:
vero che la neve bianca.
vero che la neve bianca?
vero che la neve bianca!