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Intervista a Quentin Skinner

CONSEGUIRE LA LIBERT, PROMUOVERE LUGUAGLIANZA


Il repubblicanesimo: attualit della teoria neo-romana
Quentin Skinner, Professore emerito di Storia moderna alla Cambridge University, lautore che, insieme a
John Pocock, ha contributo in maniera fondamentale alla rinascita di interesse e di studi sul
repubblicanesimo1[1].
In occasione della pubblicazione in Italia del suo Liberty before Liberalism presso la casa editrice Einaudi,
gli abbiamo rivolto, in esclusiva per questo numero speciale, alcune domande sia di carattere storico che di
carattere pi chiaramente teorico sulla sua visione del repubblicanesimo.
Partiamo con una domanda generale: ci vuole spiegare quali sono i tratti costitutivi di quella che lei
definisce teoria neo-romana? Che cosa la differenzia dal repubblicanesimo.
Lessenza di ci che io sono venuto descrivendo come un approccio neo-romano alla politica costituita da
una particolare teoria della libert politica. Il contrasto pi evidente con la moderna visione liberale 2[2] per
cui la libert individuale calpestata se, e solo se, un agente soggetto a coercizione, sia nella forma di fattiva
costrizione fisica o della volont, sia nella forma di minaccia che una simile costrizione possa essere imposta.
La teoria neo-romana invece pensa la libert in contrasto con le condizioni di dipendenza. Seguendo questa
via, una persona potrebbe non essere libera persino se non sta subendo nessuna costrizione, n gli incombe
nessuna minaccia di tipo costrittivo: se vi possibilit di coercizione, dovuta a dipendenza, la persona non
sar libera. Lenunciato potrebbe sembrare un principio non convincente, dal momento che, allapparenza, che
ci che manca a un simile agente non la libert ma, semplicemente, la sicurezza. Questa era lobiezione che
gli utilitaristi classici sollevarono sempre di pi contro la neo-roman theory nel corso del diciottesimo
secolo. Ma la risposta neo-romana che, se io sono dipendente dalla buona volont di altre persone, dovuta
al fatto che essi hanno il potere su di me di agire secondo la loro scelta, e se io fossi consapevole di questo
potere-differenziale fra noi, allora sarei obbligato a modificare il mio comportamento per evitare conseguenze
deleterie che potrebbero altrimenti accadermi.
Ma se questa la mia condizione, argomentano i teorici neo-romani, allora il mio campo d azione
gi stato limitato. Poich io sar sempre ansioso riguardo a ci che, con maggiore o minore probabilit,
potrebbe succedermi se stessi per agire secondo modalit non gradite da coloro che hanno facolt di
esercitare potere su di me. E questo per dire che la mia libert, non meramente la mia sicurezza, gi stata
calpestata.
Io chiamo questa teoria neo-romana, piuttosto che repubblicanesimo classico, per due ragioni
principali. La prima che questa visione della libert indubbiamente romana allorigine. la definizione di
libert trovata nel Codice del diritto romano, cos come nella filosofia morale romana. Il Digesto di
Giustiniano inizia distinguendo gli schiavi dagli uomini liberi, e prosegue con largomentazione che ci che
rende cittadini liberi il fatto di non vivere sub potestate, in dipendenza di, o sotto il potere di, qualcunaltro.
La mia seconda ragione per preferire evocare questa fonte autoritativa per la teoria, piuttosto che definirla
come repubblicana, che almeno alcuni degli ultimi teorici neo-romani che pi mi interessano - Machiavelli
nei suoi Discorsi, per esempio3[3] - sembrano credere che la cognizione di questa forma di libert per i cittadini
potrebbe essere possibile anche sotto certe forme di monarchia regolata. possibile cio essere un neoromano senza essere un repubblicano nel senso stretto di credere - come alcuni neo-romani fecero
indubbiamente - che possibile per un cittadino essere libero solo in una repubblica o in uno stato libero.
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Come vede, nella sua prospettiva, il rapporto fra repubblicanesimo e religione?


I pensatori rinascimentali, di cui io mi sono molto occupato, tendono ad avere uno speciale interesse in ci
che Rousseau - un altro, successivo, autore dalla stessa impronta repubblicana - chiamava religione civile;
Machiavelli poi fornisce un buon esempio. Questi autori credono che il tipo di libert individuale che essi
apprezzano possa solamente essere sostenuta se ogni cittadino possiede la giusta qualit di virt civica.
Attraverso ci essi concepiscono il tipo di impegno pubblico che serve per impedire che il corpo politico
divenga meramente dipendente dal volere dei cittadini pi ricchi o pi eminenti o pi ambiziosi. Essi
considerano la religione come uno dei migliori mezzi per nutrire e far crescere questo tipo di spirito civico.
Machiavelli parla allinizio del Libro II dei suoi Discorsi della possibilit di interpretare la Cristianit
secondo la virt, e si duole del fatto che questo abbia cessato di accadere. La religione cristiana, egli
lamenta, caduta nelle mani di un clero che sdegna la gloria mondana, pensa solamente alla gloria nel mondo
a venire, e ha perci lasciato il mondo della politica preda della malvagit. Ma, insiste Machiavelli, bisogna
che questo non succeda, perch la religione cristiana avrebbe potuto altrettanto facilmente aver aspirato a
rafforzare nei suoi aderenti - come fece lantica religione civile dei romani - un amore per la comunit e un
desiderio di preservare e rafforzare il bene comune. La speranza di incoraggiare una religione civile per
produrre questi buoni effetti politici il tema ricorrente della teoria neo-romana, e nel Contratto sociale di
Rousseau laccettazione di una tale religione civile perfino trasformata in uno dei requisiti della
cittadinanza.
Nellintroduzione al suo volume, lei sostiene che alcuni elementi della teoria neo-romana si trovano
nella riflessione di Mill relativa alle condizioni delle donne. Oggi un importante settore del dibattito
filosofico-politico internazionale occupato dagli women studies. Qual nella sua prospettiva il
rapporto fra repubblicanesimo, o meglio neo-roman theory of free states e politica della differenza?
I teorici neo-romani del Rinascimento, sfortunatamente, in generale non si preoccuparono del ruolo delle
donne in una teoria della cittadinanza, e neppure, naturalmente, di nessuna delle nostre contemporanee
questioni riguardo alleguaglianza versus la differenza. Se c una qualche eccezione a questa posizione
potrebbe essere quella di Thomas More nellUtopia, il quale ci dice che nello Stato di Utopia le donne sono
capaci di servire come cittadine, e perfino come sacerdoti allo stesso titolo degli uomini.
Ma in generale i repubblicani rinascimentali furono attivamente ostili a simili aspirazioni da parte
delle donne. Come ho detto, essi pensano in termini romani di virtus, intesa come una condizione di libert
e cittadinanza. Ma virtus leponima qualit del vir, luomo di vera virilit e forza. Essi associano
concordemente la virt femminile specificamente con la sfera privata anzich con la sfera pubblica,
cancellando cos ogni aspirazione delle donne alleguale cittadinanza.
Questo il momento giusto per ribadire che, mentre io sono interessato alla struttura concettuale
della teoria della libert neo-romana, io sono molto lontano dal volere far rivivere lintera struttura del
pensiero politico neo-romano. Naturalmente esso nemico di diversi dei pi importanti valori della nostra
vita pubblica, tra i quali leguaglianza dei sessi che, come facile argomentare, uno dei pi cruciali.
Qualche anno fa, un suo saggio, On Justice, the Common Good and the Priority of Liberty, fu raccolto in
Ch. Mouffe (a cura di), Dimensions of Radical Democracy4[4]. Quali sono i nessi e le differenze che
intercorrono fra la sua neo-roman theory e il radicalismo democratico? A noi sembra che la sua
concezione della libert possa avvicinarsi ad unidea di libert intesa in senso radicale. Sbagliamo?
La teoria neo-romana connette strettamente gli ideali di libert ed eguaglianza. Come ho dimostrato, la
fondamentale convinzione neo-romana che chiunque viva nelle condizioni di dipendenza dalla buona
volont di altri sar in tal modo reso non libero. Ma questo sta a indicare che la libert presuppone
leguaglianza tra i cittadini, uneguale libert di ognuno da un simile tipo di dipendenza. Ci che rende
repubblicani la maggior parte dei teorici neo-romani il fatto che sembra ovvio alla maggioranza di essi che
tale eguaglianza di condizioni non possa mai essere ottenuta se non sotto ad una forma di autogoverno di
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costituzione repubblicana. La ragione della loro ostilit alla monarchia sia sociale che politica. I loro dubbi
di natura sociale derivano dal fatto che essi associano i sovrani con le corti e con il ruolo dei cortigiani e,
conseguentemente, con una politica di deferenza e, infine, di servilismo. Ma la loro ostilit principalmente
politica, perch essi pensano i monarchi come detentori di poteri arbitrari, e ritengono che lesercizio di poteri
arbitrari generi automaticamente dipendenza e, quindi, non libert.
Nellintroduzione lei accenna rapidamente a Marx e alla sua analisi del capitalismo. Qual lassetto
economico che meglio coniuga la neo-roman theory? Il capitalismo oggi dominante non consente, in
fondo, solo una libert dal dominio solo per una ristretta minoranza?
Una delle peculiarit della visione neo-romana che la sua politica di libert porta ad andare di pari passo
anche con una economia di libert, riguardo alla quale io penso potremmo forse essere pi diffidenti, come
immagino la domanda sottintenda.
Vale la pena ricordare che, nella sua teoria politica, Adam Smith era in qualche modo un neoromano, cosa che potrebbe aiutare a spiegare la sua insistenza sulla necessit della libert dei mercati come
una condizione della prosperit e della grandezza delle nazioni. Questo impegno sorge, nella teoria neoromana, dalla grande paura relativa alle conseguenze delluso dei poteri dello Stato di interferire con le
aspirazioni dei liberi cittadini a perseguire i loro fini propriamente individuali e specialmente i fini di gloria e
ricchezza. I teorici neo-romani ritengono che il solo modo che consente agli stati di rimanere liberi e diventare
prosperosi sia di liberare, tramite i loro governi, le energie di tutti i loro cittadini per perseguire questi
risultati, che, come Machiavelli un po dogmaticamente afferma, sono infatti gli obiettivi verso cui ogni
cittadino vorr tendere. Essi pensano che se tali energie sono controllate, i cittadini finiranno per diventare
probabilmente depressi e scoraggiati; cio, essi perderanno quel tipo di spirito civico dal quale, come abbiamo
visto, essi credono dipenda la libert e, similmente, la prosperit.
Dal nostro punto di vista, i teorici neo-romani non hanno mai prestato sufficiente attenzione alla
necessit che simili energie vengano regolate. Per i nostri parametri, essi hanno avuto una concezione
piuttosto ottimisticamente unitaria del bene comune, e nessuna teorizzazione dei modi in cui lo sviluppo delle
nostre migliori energie potrebbe condurre conseguenze negative, specialmente per lambiente in cui dobbiamo
vivere. Tantomeno essi - per venire al nocciolo della domanda - hanno avuto scrupoli riguardo
allimperialismo, e quindi riguardo al fatto di rendere pi poveri paesi dipendenti da altri pi ricchi. Come si
denota, anche questa stata certamente una delle conseguenze del capitalismo internazionale nel nostro
tempo.
A mo di conclusione, necessario ancora una volta ribadire che leredit del neo-romanism stata
altamente ambigua, moralmente parlando. La cosa che io credo valga la pena riconsiderare senza dubbio in
questa tradizione , nel complesso, la sua filosofia politica e sociale. Ci che ritengo valga la pena
riconsiderare specificamente la sua particolare visione della libert, insieme con le relazioni molto strette
che questi pensatori hanno visto tra il conseguimento della libert e la promozione delleguaglianza.
p.m.

[1] I due autori, come si osservato da pi parti, condividono una concezione del pensiero politico come ricerca sui concetti linguistici e
sulla evoluzione dei linguaggi, ispirata alla filosofia del secondo Wittgenstein e alla teoria degli atti linguistici di J.L. Austin. Skinner si
formato a Cambridge e - dopo un periodo trascorso a Princeton - insegna attualmente nellUniversit inglese. Pocock, neozelandese,
attualmente lavora alla John Hopkins University, stato pure egli a lungo a Cambridge. Di qui il nome di Scuola di Cambridge con cui
Pocock e Skinner sono spesso indicati, insieme a John Dunn. Per una dettagliata analisi delle tesi di questa scuola, che hanno suscitato un
vivacissimo dibattito nel corso degli anni Ottanta, e per i numerosi riferimenti bibliografici, si veda A. dOrsi, Guida alla storia del
pensiero politico, Firenze, La Nuova Italia, 1995, pp. 210-222. Per le differenze che hanno via via caratterizzato le filosofie di Skinner e
Pocock, cfr. M. Geuna, La tradizione repubblicana e i suoi interpreti. Famiglie teoriche e discontinuit concettuali, Filosofia politica, 1,
1998, pp. 101-132; L. Baccelli, Non possiamo non dirci repubblicani?, Iride, 22, 1997, pp. 545-560, a cui si rimanda anche per una pi
estesa trattazione delle informazioni qui fornite. In estrema sintesi se Pocock ha interpretato la tradizione repubblicana come
unelaborazione protomoderna dellaristotelismo, Skinner ha, dapprima, distinto concettualmente lumanesimo civile - aristotelico - dal

repubblicanesimo classico. Secondo Skinner possibile ricostruire nellItalia del XIII secolo una precisa ideologia repubblicana che si
ispira al pensiero romano - in particolare Cicerone, Livio e Sallustio - e che si sviluppata anteriormente alla stessa ricezione
occidentale della filosofia pratica aristotelica. A questa tradizione, definita classical republicanism per distinguerla dal civic humanism
di ascendenza aristotelica, si collega direttamente Machiavelli. Pi recentemente, proprio a partire da Liberty before Liberalism, Skinner,
riferendosi al pensiero inglese del XVI e XVII secolo, ha adottato lespressione neo-roman theory of liberty. Infatti lespressione classical
republicanism pu indurre confusione dato che non tutti gli autori che condividevano tale teoria erano anti-monarchici (cfr. Q. Skinner,
Liberty Before Liberalism, Cambridge University Press, 1998, in particolare p. 11 e p. 55).
[2] Su questo punto cfr. Q. Skinner, Two Views on the Mainteinance of Liberty, in Ph. Pettit, Contemporary Political Theory, New York,
1991, pp. 35-58.
[3]Alla figura di Machiavelli Skinner ha dedicato molti dei suoi studi, si vedano Le origini del pensiero politico moderno (1979),
Bologna, Il Mulino, 1989, 2 voll.; Machiavelli (1981), Bologna, Il Mulino, 1999 (la prima traduzione italiana era uscita presso la casa
editrice di Milano, DallOglio, 1982). Skinner ha anche curato, con R. Price, una recente edizioni del Principe: The Prince, Cambridge,
Cambridge University Press, 1988, e, insieme a G. Bock e M. Viroli, il volume dedicato a Machiavelli and Republicanism, Cambridge,
Cambridge University Press, 1993, in cui contenuto il suo Machiavellis Discorsi and Pre-Humanist Origins of Republican Ideas, pp.
121-141.
[4] Ch. Mouffe, Dimensions of Radical Democracy. Pluralism, Citizenship and Community, London, Verso, 1992, pp. 211-224

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