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IRTI, Nichilismo giuridico, Laterza, Roma-Bari, 2004

Il nichilismo ha corroso le verit e indebolito le religioni; ma ha anche


dissolto i dogmatismi e fatto cadere le ideologie, insegnandoci cos a mantenere
quella ragionevole prudenza del pensiero , quel paradigma di pensiero obliquo e
prudente , che ci rende capaci di navigare a vista tra gli scogli del mare della
precariet, nella traversata del divenire, nella transizione da una cultura allaltra ,
nella negazione tra un gruppo di interessi e un altro. Dopo la caduta delle
trascendenze e lentrata nel mondo moderno della tecnica e delle masse, dopo la
corruzione del regno della legittimit e il passaggio a quello della convenzione, la
sola condotta raccomandabile operare con le convenzioni senza credervi troppo
(). Con queste parole si conclude lampia campitura di Volpi su Il nichilismo
(Laterza, Roma-Bari, 1996,2004) .Sembra che i saggi raccolti da Natalino Irti in
Nichilismo giuridico prendano lavvio proprio da questo punto, quasi a sviluppare
idealmente quegli assunti , per portarli alle loro estreme conseguenze in un
campo che i filosofi puri non frequentano volentieri, il mondo del diritto. Un
diritto post-moderno, in cui, per lappunto, sono venuti a mancare i dogmatismi
che si erano incrostati con lingresso della Pandettistica e poi del formalismo pi
crudo, sono crollate le ideologie del positivismo giuridico e del giusnaturalismo, si
vive allinsegna della precariet, cio della mutevolezza, della necessit quotidiana,
della a-sistematicit, in cui venuto meno quel Paradigm di cui parla Volpi. Ora
dunque ci si chiede se il filosofo qui, il giurista debba o no sostituirlo con altri
punti di riferimento fermi e ordinanti, e, nel caso di risposta positiva, dove
possa il giurista - trovare larmamentario per ricostruire ci che stato,
finalmente, spazzato via.
E un viaggio esplorativo :Irti non ha ancora deciso quale strada
prender, e per questo avverte il lettore che il libro tratta solo dellavvio di un
discorso che si dovr poi tramutare in un manuale (sempre che sia possibile
confezionare un manuale con i caratteri tradizionali muovendo da una premessa
per lappunto nichilista nel senso sopra accennato). Eppure il rigore scientifico
con cui si srotolano questi pensieri gi consente di riconoscere nella prima parte
del volume un manuale in nuce. Il tono asciutto e cadenzato, le frasi compatte e

in s conchiuse, assertive pi che dimostrative, perch ciascuna di essa il


distillato di una lunga meditazione che si offre al lettore nei suoi passaggi
essenziali e talvolta sincopati. Sono pensieri che hanno la sostanza dellacciaio
tipica della pagina di Juenger , ma come dincanto lasciano cadere di tanto in tanto
e con tocco sublime la parola del poeta.
La prima partesi apre con una riflessione sul metodo, necessariamente
storicizzato,e poggia su alcune premesse: lincessante produzione e consumo di
norme, la perdita dellidentit dei luoghi e dellidentit degli uomini, nel senso del
superamento del geo-diritto e del pan-economicismo; lindifferenza delle norme ai
propri contenuti ; il culto fallace della pura volont della legge; lessenza tecnica
del diritto (artificialit, macchinalit, proceduralit)

; la scomparsa dello Stato

machina machinarum; lincapacit dei giuristi di accettare la caducit dei loro


strumenti di lavoro , a cominciare dai concetti. In questo contesto, la riflessione
sui concetti appare come unisola felice circondata dai flutti infidi: tre giuristi, in
pieno tempo di guerra ( non si sa se per amore della scienza, se per far procedere
comunque il pensiero anche in mezzo alle distruzioni o se per un atteggiamento
superiore alla miserabile quotidianit) discutono dei concetti giuridici.

Irti

ripercorre, recuperandola da un ingiusto oblo, la polemica tra uno Jemolo che


oggi ci appare giusrealista, un

Pugliatti avvinto per contro nella sua logica

astratta e un Calogero felicissimo, perch assolutamente moderno, se gi nel 1939


ha modo di osservare che qualsiasi tentativo di costruire il sistema universale dei
diritti, e di ricercare il suo fondamento in un mondo di concetti oggettivamente e
teoricamente determinabile, naufraga contro lelementare dato di fatto, che non
c al mondo nessun diritto se nessuno vuole che esso ci sia().
I fili che Irti annoda in questi capitoli tessono una tela piena di colore ma
consapevolmente esilissima Il giurista dal sapere ormai trasportato al saper
fare , alla specialit dei saperi giuridici e alla loro frammentariet, obbligato a
convertire il suo linguaggio distillato da una

saggezza plurisecolare in un

vocabolario burocratico, economico e tecnico che lo allontanano dalla scienza e lo


avvicinano per lappunto al tecnicismo pragmatico.
Fin qui potremmo riconoscere l Irti della decodificazione, dell ordine
giuridico del mercato, del geo-diritto, dellargomentare dialogico con Severino

su diritto e tecnica, e molti altri riferimenti che , come bagliori violacei nella
notte ormai oscura del mondo giuridico, tagliano le tenebre portando intelligenza,
riflessioni, dubbi, che si sostanziano in un totale disincanto. Il vorticoso
succedersi di norme giuridiche, emanate modificate abrogate in tutte le officine
della terra, attesta la nientit del diritto, la convinzione che esso sia producibile
con la forza esclusiva e arbitraria della volont. Non c pi verit, tutto forma,
quindi artificio.
Ma il volume non sarresta qui: il lettore, che pure riconosce in queste
pagine i rivoli dellermeneutica, del giusrealismo, dellantidogmatismo, si attende
ancora qualcosa. Ed soddisfatto, servito, direi, attraverso Camus, le cui pagine,
osserva lA. en passant

e con fare indulgente,

valgono intere biblioteche

giuridiche. E il Camus de Lhomme revolt, che risale alla gnosi per trarne alimento
in un nichilismo metafisico che alla condizione umana lascia solo una virt:
lattitudine alla rivolta. Attraverso Camus ( ma anche attraverso Nietsche, Simmel,
Heidegger,Schmitt, Juenger) il diritto mostra, attraverso le pagine di Irti, il suo
vero volto: il sistema del pi forte, un sistema im-posto e irrazionale, chiuso
nella temporalit della storia, concentrato nel consumo di norme e nel nichilismo
del mercato, che dice Irti misura uomini e cose secondo la logica della
quantit , sopprime le differenze soggettive, e tace sul perch di questa macchina
immensa mortifica e distrugge le individualit.Tutto ci porta al nichilismo
normativo, da cui il giurista non pu uscire, ingabbiato nel suo solipsismo,
consapevole dellassenza

di senso, unit, scopo del diritto, e del declino dei

monismi- unit totalit organicit. Vani quindi sono gli sforzi per colmare
questa assenza, non potendo il diritto essere oggi diverso da quel che , vano pure
il vagheggiare diritti universali, vano cercare di sottrarre il diritto alla tecnica.Ci
che rimane al giurista dunque lottare per la diversit, contro lomologazione,
contro linglobamento, contro lignoranza. Perch luomo di Camus luomo che
sa. Ma non si arresta al sapere, procede nel fare.
Le parole conclusive sembrano dare la cifra dellintera opera: Il
nichilismo ci salva e protegge; smaschera falsi idoli, da cui pensavamo di trarre il
nostro valore. E tutto risolve nelle differenze della volont, nel loro conflitto, nel

loro vincere o soccombere.Esso non rinuncia, ma accettazione; non inerte


angoscia, ma serena fraternit con il divenire.
Non credo, non voglio credere che il suo messaggio sia concentrato tutto
in queste ultime battute: e il lettore, memore della persecuzione della scrittura,
crede, spera, ambisce, anzi, ardisce di guardare pi a fondo: Irti non solo uno
spettatore implacabile e severo, metallico e cartesiano. Recupera (magari senza
volerlo, o senza volerne dare lapparenza) una nota positiva,perch il nichilismo
in cui crede non quello tragico, luttuoso, senza fiducia, remissivo e rinunciatario
che costituisce peraltro solo un segmento, e neppure il pi affascinante, di quell
indirizzo di pensiero. Ha pure i suoi idoli, che ha eretto dopo aver distrutto gli dei
falsi e bugiardi: si chiamano responsabilit, scelte politiche, feconda
molteplicit [della a-sistematicit], lotta al liberismo profondamente e
radicalmente illiberale. Chi scrive vorrebbe ancor di pi: un maggior afflato
sociale, una cultura della differenza che passi attraverso la protezione degli
interessi deboli. Ma non possiamo chiedergli troppo. Almeno, per il
momento.(Guido Alpa)

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