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CAPITOLO PRIMO

Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

CAPITOLO PRIMO
IL DIRITTO DEL LAVORO DALLE ORIGINI ALLO STATUTO DEI LAVORATORI
SOMMARIO:
1.1.Cenni introduttivi - 1.2. Le origini del Diritto del Lavoro: la tutela del lavoratore.
- 1.3. Il Corporativismo Fascista - 1.4. La questione dellart. 39 della Costituzione
Repubblicana. - 1.5. Dalla Costituzione alla Legge 20 maggio 1970 n. 300

1.1. Cenni introduttivi


Il diritto del lavoro strumento con cui il legislatore, e con esso la politica
sempre pi spesso ormai extraparlamentare, risponde e governa le
sollecitazioni provenienti dal mondo delleconomia e della societ visto il
suo connaturale muoversi allinterno dei mercati sempre pi soggetto e non
oggetto delle decisioni.
Da qui la necessit spesso invero pretermessa dal legislatore italiano
degli ultimi anni vista la rispondenza pi ad esigenze esterne allo Stato e pi
determinato da contingenze sul mercato internazionale di creare la
legislazione lavoristica muovendo da una ricostruzione e da una valutazione
prognostica del dato reale il pi accurata e non ideologica possibile, per
dettare una normativa questa s ideologicamente orientata che incanali le
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sollecitazioni delleconomia e della societ secondo percorsi conformi al


sentire politico del legislatore stesso.
In tale contesto il ruolo della ricerca giuslavorista consiste nel
sistematizzare loperato del legislatore, anche alla luce delle interpretazioni
giurisprudenziali, cos da risolvere le eventuali antinomie ed evidenziare i
profili di criticit di una disciplina che si caratterizza per la stretta interazione
con il dato economico e sociologico.
Simili osservazioni, in realt, potrebbero agevolmente condividersi con
numerose altre branche del diritto ma quel che rende speciale il diritto del
lavoro il coinvolgimento diretto e totale delle persone che dal lavoro
traggono non solo sostentamento ma trovano realizzazione sociologica, in
quanto il lavoro strumento di esplicazione della personalit dei singoli,
come gi evidenziato dal nostro Costituente che ha scelto di fondare la
Repubblica proprio sul lavoro, individuando in questo lelemento in cui le
persone esplicano la loro parte migliore, lessenza di se stesse.
Non si pu ignorare come lapproccio legislativo sia cos mutato negli
anni da rendere sempre opportuno affiancare allattenzione per il dato
economico e sociologico una anche per il dato storico in modo da avere ben
presente come si sia caratterizzato come risultato di evoluzioni nel tempo
della normativa.
Il punto da cui muovere per un veloce excursus in materia di ricerca e di
diritto del lavoro necessariamente una indagine della ratio, dello scopo
profondo dello stesso diritto del lavoro concepito oggi come un diritto che

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predispone una inderogabile disciplina di tutela in favore del lavoratore che


deroga dai principi civilistici.
Si deve precisare comunque che nel nostro ordinamento solo il giudice
ha le attribuzioni necessarie per stabilire se un contratto di lavoro della
species cui sono riservate le necessarie tutele e quindi se va configurato
come lavoro subordinato o meno. Non vi infatti vincolo, per il giudice, al
rispetto della qualificazione fatta dalle parti in sede di stipula. In merito il d.
lgs. 267/2003 ha previsto che le parti possano rivolgersi a commissione
organizzata ad hoc per certificare il patto di stipula ma resta comunque nelle
attribuzioni del giudice il necessario giudizio per la determinazione di liceit
rispetto alla denominazione data dalle parti.1
Chiaramente la tutela non compete a tutti i lavoratori ma solo a quelli
subordinati e che risulta tanto pi intensa ed articolata quanto maggiore
laderenza al modello standard oggi inteso come il lavoro subordinato a
tempo pieno e indeterminato. Proprio in deroga di questo modo di intendere
il modello standard per le tutele, il Governo ha chiesto delega per formulare
un decreto legge che trasformasse le forme lavorative atipiche e di precariato
perenne in forme pi a passo coi tempi e sempre in nome di quella flexicurity
che in altri Paesi europei funziona bene per dare impulso alloccupazione.
Senza entrare nel merito e senza, per ora, precisarne i motivi, si pu, secondo
i vari commenti seguiti da pi parti ai pacchetti di Legge formulati (Legge

Atti del convegno Verso fondata sul lavoro. Lavoro e ricerca: nuovi studi per un lavoro
che cambia, 21 giugno 2012, Comune di Milano, Viale DAnnunzio 15

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Poletti e i vari decreti legislativi seguiti tra i quali gli ultimi 150 e 151 del 14
settembre 2015 di riforma del lavoro) sembra che questi provvedimenti
prima ed invece di dare impulso alloccupazione e risolvere gli effettivi
problemi di accesso alloccupazione, creano presupposti di un precariato
istituzionalizzato per i lavoratori fornendo solo ai datori di lavoro un
concreto mezzo per accedere, senza il contrasto dellart. 18 dello Statuto dei
Lavoratori, a forme di lavoro che favoriscono la produzione limitando il
costo del lavoro che stato ritenuto responsabile principale della crisi al
posto dei cattivi investimenti bancari.

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1.2. Le origini del Diritto del Lavoro: la tutela del lavoratore.


Sebbene non possa identificarsi direttamente la nascita dellinteresse d
ello Stato con la prima industrializzazione a cavallo del 500 e del 600,
certo che le prime mosse verso il riconoscimento del walfare state si
riconoscono nella Poor Law inglese come risposta ai problemi sociali portati
dalla rivoluzione tecnologica. Lo Stato si sostituisce alla beneficenza della
Chiesa nellassistere la massa dei poveri creata dallo spopolamento delle
campagne e dallo sfruttamento del lavoro nelle fabbriche e quindi il walfare
state nasce proprio da quelle contraddizioni delleconomia capitalistica,
dalla distruzione della civilt contadina e della solidariet familiare e di
villaggio

in

concomitanza

con

la

nascita

del

proletariato,

dellurbanizzazione e dellemigrazione.
Queste trasformazioni socio-economiche-politiche fanno emergere
nuove forme di povert e il susseguirsi di periodiche recessioni economiche,
con conseguente aumento della disoccupazione, la necessit di provvedere
alle esigenze di vedove, orfani e di tutti quelli che per vari motivi mancano
delle risorse necessarie per vivere, fa nascere lesigenza di un intervento
diretto dello Stato. Gli Stati interessati a questo cambiamento radicale nel
modo di intendere la Societ furono quelli che potevano contare sui sovrani
illuminati e, con laffermazione dei principi civili riconosciuti dalla
costituzione del 1791 e dal riconoscimento dei diritti del cittadino,
divengono queste trasformazioni il corso naturale dellevolversi della
Societ. Lacuirsi del conflitto sociale tra proletariato e borghesia della fine

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dellOttocento fa il resto. Questo vale per lEuropa e per tutti quegli Stati
che potevano contare su una unit nazionale e un riconoscimento di
cittadinanza per coloro che abitavano geograficamente nelle aree di
competenza di questi Stati ma non poteva valere per lItalia che era ancora
allo stato embrionale ed era divisa in piccoli Stati governati da sovrani
tuttaltro che illuminati. In questo risiede anche il naturale ritardo dello Stato
italiano anche nel riconoscimento dei diritti dei lavoratori.
In Italia, quindi, il diritto del lavoro ha avuto una nascita tardiva rispetto
a tutti gli altri Paesi e fino alla Costituzione Repubblicana, in realt in molte
parti incentrata proprio sul lavoro, si potevano trovare solo piccoli accenni
allinterno del Codice Civile del Regno.
Genericamente, questo diritto consta di una varia regolamentazione, di
diversa provenienza, che ha per fine quello di apprestare tutela, su diversi
piani, alla parte pi debole del rapporto di lavoro, che nel contratto classico
costituita dal lavoratore nei confronti del datore, o ad altri soggetti ritenuti
meritevoli di protezione.
Per tradizione questo diritto si distingue in diritto sindacale, diritto del
lavoro in senso stretto, diritto previdenziale.
I1 diritto sindacale attiene alla posizione dei sindacati nellordinamento,
alla contrattazione collettiva, allo sciopero e alla serrata. Il diritto del lavoro
in senso stretto attiene alla regolamentazione della relazione giuridica tra le
parti del rapporto di lavoro (datore di lavoro e lavoratore). I1 diritto
previdenziale riguarda la tutela dei soggetti protetti avverso eventi

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variamente lesivi della capacit di lavoro (infortuni, invalidit, vecchiaia,


disoccupazione etc.), tutela prevalentemente gestita a mezzo di assicurazioni
sociali obbligatorie.
Le prime concretizzazioni del diritto del lavoro si ebbero, come detto, nel
contesto della situazione sociale di massa determinata dalla rivoluzione
industriale, Rivoluzione che avvenne in Gran Bretagna gi verso la met del
700 e che poi interess, con notevoli scarti di tempo, gli altri paesi europei,
venendo lItalia buonultima, solo nello scorcio dell800 e nel primo
decennio del secolo scorso.
La crescente automazione mortific gli altri mestieri per far concentrare
la maggior parte del mercato del lavoro allinterno degli opifici o nelle
fabbriche dove da un lato si afferm liniziativa capitalistica, dallaltro si
creo una classe nuova di soggetti, il proletariato, che aveva come unica
opportunit di partecipazione al bene della vita il proprio lavoro alle
dipendenze dellimpresa ricevendo come compenso un salario.
Lo schema giuridico in cui questa relazione contrattuale si andava
formando era il libero contratto di lavoro secondo la logica di mercato di
bilancio tra domanda e offerta. La mancanza di qualsiasi norma che
regolasse, per, questo tipo di rapporto si tradusse quasi sempre in una sorta
di ricatto datoriale in cui il lavoratore era costretto ad accettare condizioni di
impiego e orario lavorativo oltre al corrispettivo stabilito dalla controparte
in uno schema consolidato di dittatura contrattuale datoriale.

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In particolare il macchinismo rese largamente possibile lutilizzazione nei


lavori delle c.d. mezze forze, cio di donne e bambini anche in tenera et. In
generale gli orari di lavoro erano esorbitanti, al limite, spesso, della
sopravvivenza fisica. N vi era tutela di sorta per provvedere alle condizioni
di bisogno del lavoratore infortunato o anziano. Non esisteva, cio, niente
del moderno diritto del lavoro. In un quadro siffatto la questione operaia
divenne anche una questione sociale e cominciarono ad affermarsi pensatori
che riguardavano il tema, primo fra tutti Marx.
La prima spontanea risposta dei lavoratori alla situazione descritta, stata
quella sindacale. I lavoratori che di norma isolati non riuscivano ad ottenere
risultati da parte dei datori, nella coalizzazione, presentandosi come un
fascio unitario avevano pi forza per imporre condizioni pi eque nel lavoro
ma spesso, fintanto che queste associazioni, che diventarono man mano di
categoria, non furono istituzionalizzate e fintanto non esistevano norme che
garantivano tutele quali le libert di associazione, incontravano forte
opposizione da parte degli investitori capitalisti che potevano contare
sullappoggio dello Stato cui garantivano sviluppo ed entrate superiori. Lo
Stato, assente in pratica nellassicurare le tutele ai lavoratori, diventava parte
attiva per mortificarle con interventi atti a fermare le dimostrazioni anche
con luso della forza. Lobiettivo dei lavoratori era raggiungere un contratto
collettivo che garantisse equit nei trattamenti. Lidea di solidariet sociale
era comunque non diffusa e gli episodi di lotta, di norma, erano occasionali
ed insorgevano spesso rispetto ad un determinato specifico conflitto e presto

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si dissolveva lunit temporaneamente raggiunta anche a fronte di alcun


risultato raggiunto.
La nascita dei sindacati come organizzazioni stabili preordinate alla
tutela dellinteresse collettivo dei componenti di categoria, visto che i primi
modelli sindacali furono proprio quelli del sindacalismo di mestiere, port
dei giovamenti nelle condizioni ma la stessa settorialit delle organizzazioni
non consentiva di avere contratti collettivi dello stesso tipo persino in una
stessa impresa ( basta considerare che, per esempio, nei cantieri navali, che
furono il settore siderurgico a maggiore impatto proprio alla fine dell800,
lavoravano fabbri, falegnami, progettisti, copiatori e impiegati di genere).
Le mutate condizioni nel mercato imposero quindi una associazione tra
le categorie per formarsi come associazioni sindacali di industria in cui il
sindacato organizzava tutti i lavoratori di una determinata impresa qualsiasi
fosse la loro specifica posizione di lavoro.
La questione operaia stata al centro del pensiero politico-sociale e ha
suscitato correnti e partiti politici di varia ideologia. Si posto cos il
problema, ognora presente con varia intensit, dei rapporti tra sindacalismo
e politica visto il carattere indissolubile tra lavoro stesso e politica.
In posizione decisiva, per la sua grande diffusione, fu il socialismo nella
variet delle sue scuole, spesso molto divergenti e poi confluenti nella
predominante prospettazione marxista2. Tralasciando lideologia alla base

PERA,G. Diritto del Lavoro ED. GIUFFR

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del movimento, i socialisti comunque cercarono soluzioni per migliorare le


condizioni dei lavoratori allinterno del sistema aggiungendo alla lotta
politica di classe quella dei mestieri e sindacale. Impegnati di pi in
questa lotta furono i socialisti dellala riformista, portatori di una
interpretazione gradualista del marxismo e per questo dominavano in tutte
le organizzazioni economiche e sindacali.
I cattolici si fecero banditori, sulla base dei principi elaborati nei
documenti pontifici (specialmente lenciclica Rerum Novarum di Leone XIII
nel 1891), dei postulati della scuola cristiano-sociale, per superare gli
opposti mali del liberalismo conservatore e del socialismo. Si riconosceva,
infatti, la propriet privata come diritto naturale delluomo, attribuendo per
alla medesima una funzione sociale, non egoisticamente intesa. Nellambito
di una concezione solidaristica basata sulla collaborazione delle classi nel
perseguimento del bene comune superiore, si riconosceva il sindacato come
raggruppamento sociale naturale; si auspicavano le intese tra capitale e
lavoro ed eventualmente la risoluzione dei conflitti da parte di una speciale
magistratura del lavoro (corporativismo) e anche i cattolici si diedero alla
fondazione di sindacati (bianchi) che affiancavano quelli socialisti (rossi).
Non mancarono le esternazioni politiche liberali che miravano alla
attenuazione della lotta di classe attraverso la partecipazione dei lavoratori
alla gestione di impresa. Nel primo decennio dopo lunit, nel primo
associazionismo operaio, in Italia fu prevalente il pensiero mazziniano con

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unimpostazione solidaristica e cooperativistica (capitale e lavoro nelle


stesse mani).
In tutti i Paesi la prima fase del sindacalismo doveva scontrarsi con la
forma liberale dello Stato in cui si riteneva che fosse compito di questi solo
lordine pubblico e la difesa nazionale (concezione dello Stato minimo) e
quindi i contrasti derivanti dalla lotta sociale erano visti come motivi di
ordine pubblico e quindi era naturale sopprimere le rivolte con la forza e
pensare gli stessi sindacati come illegali. Questo era il risultato del suffragio
limitato da censo e cultura che vedeva partecipare alla vita politica solo una
parte della popolazione e di certo non quella operaia.
In diversi Paesi e con diverse modalit al di fuori di un organico disegno
riformatore, lo Stato cominci ad emanare singole leggi volte, timidamente
o no, a risolvere singole piaghe della situazione sociale. In tutti i paesi,
significativamente, il primo intervento fu a favore di donne e bambini per
limitare lorario di lavoro e luso per lavori pesanti.
Lo sviluppo lento e parziale della legislazione sociale avvenne attraverso
provvedimenti sotto forma di interventi per lordine pubblico e che, quindi,
sconfinavano nel diritto penale. Le norme furono dettate da vari testi unici
scorporandosi

dal

diritto privato, largamente

dispositivo rispetto

allautonomia privata contrattuale, specialmente allepoca.


Maturava cos una qualit specifica che fondamentalmente distingue
ancor oggi il diritto del lavoro, appunto in ragione delle finalit di tutela
perseguite.

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Quando si somatizz la presenza indissolubile delle associazioni


sindacali nelle contrattazioni lavorative e quando anche lopinione pubblica
cominci a pensare che la loro presenza poteva essere un buon viatico per
raggiungere eque condizioni di lavoro e quando maturo anche lidea che i
lavoratori avevano un diritto naturale a co-determinare le condizioni di
lavoro, cominci la lunga fase della tolleranza e anche lo sciopero fu
depenalizzato. Restava comunque aperta la questione riguardante gli effetti
che esso produceva. Giuristi ritenevano da un lato che lo sciopero, pur non
essendo perseguibile, costituiva a tutti gli effetti un inadempimento
dellobbligazione contenuta nel contratto di lavoro e quindi sanzionabile,
dallaltro le posizioni pi rigide ritenevano essere motivo di estinzione del
contratto, lo sciopero, in quanto manifestazione collettiva di volont
risolutoria.
Formalmente, in Italia, la svolta nel senso della tolleranza verso il
sindacalismo avvenne nel 1889 col nuovo codice penale ZANARDELLI nel
quale scomparvero sciopero e serrata tra i reati penali anche se permanevano
se accompagnati da fatti di violenza e minaccia in occasioni di lotte sociali.
Concretamente questo per non ebbe risultanze in quanto a seguito dei moti
in Sicilia del 1892 e della Lunigiana del 1894 e di Milano nel 1898 lo Stato,
rappresentato dalla destra conservatrice, decise di intervenire con la
repressione poliziesca e militare e dichiarare lo scioglimento del partito
socialista e delle organizzazioni operaie ritenute entit sovversive e quindi
si dovette aspettare solo il volgere del secolo perch una coalizione di

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riformisti liberali e dellestremar (radicali, repubblicani e socialisti)


riuscisse a imporre una netta svolta in senso pi illuminato accompagnato
nel primo decennio del 900 da un decisivo balzo industriale.
Furono Giolitti e Zanardelli i protagonisti della politica che segn la
svolta e sul piano sociale, con la teorizzazione ideologica fondata sul
tradeunionismo britannico di Luigi Einaudi, si proclam il principio della
neutralit dello Stato nei conflitti di lavoro fermo a tutela dellordine
pubblico. Si svilupparono cos partiti e sindacati e si ebbero nuovi interventi
di legislazione sociale tra cui lassicurazione obbligatoria contro gli infortuni
(1898) e timidi interventi sul piano della previdenza.
Una prima regolamentazione dei rapporti di lavoro ebbe corso attraverso
la giurisprudenza creativa dei probiviri3. Erano questi, sul modello
francese del 1806, collegi giurisdizionali elettivi, categoria per categoria e
per le diverse localit, con una presidenza imparziale. I collegi dovevano
risolvere le controversie del lavoro4 in unepoca in cui il diritto sostanziale
del lavoro legislativamente non esisteva e quindi decidere secondo equit5.

In Italia i Probiviri per la conciliazione delle controversie sorte tra imprenditori, operai ed
apprendisti nellesercizio delle industrie furono istituiti con la Legge n. 295 del 15
giugno 1893.
4
Anche in quella societ ai primordi del lavoro industriale in Italia era prevista una forma
di lavoro atipico che lobiettivo principale dello studio di questa Tesi. La modifica
profonda del sistema economico e sociale esistente, fino a quel momento fondato
prettamente su attivit agricole e di allevamento di una societ prettamente rurale
comport una attenzione diversa verso la societ operaia che si andava formando e si
svilupp, cos, la consuetudine di consentire al datore di lavoro, dotato di potere sovrano
sui propri dipendenti, di introdurre nel contratto di lavoro sottoscritto con gli operai di
volta in volta assunti, un periodo di prova colto a saggiarne le capacit e le energie
lavorative.
5
Pera G. op. cit.

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Lesigenza di ricorrere ai Probiviri era dovuto soprattutto al fatto che


allepoca il lavoro subordinato era regolamentato solo sulla base del nostro
codice civile del 1865 e quindi rientrava nello schema della locatio
operarum che individuava loggetto della prestazione subordinata nelle
stesse energie lavorative, fisiche o intellettuali, del prestatore. A tal
proposito si rammenti che, in vizio di tutela del lavoratore e in un periodo in
cui lunico interesse da tutelare era quello dellimprenditore nei confronti di
un lavoratore mediamente analfabeta o comunque con basso livello di
scolarizzazione, era vigente nel panorama degli istituti lavorativi, luso del
periodo di prova come fase temporale del rapporto di lavoro,
tendenzialmente sine die, legato al contratto di locazione6.
Il codice civile del 1865, in pratica, costruiva il contratto di lavoro come
species del contratto di locazione disponendo che il contratto di locazione
ha per oggetto cose e opere (art. 1568 cod. civ. 1865) e tenendo fede
allambiente liberale del tardo ottocento in cui il diritto del lavoro era
concepito come parte del diritto civile cos recante di una disciplina che
seguiva le norme delle altre tipologie di contratto permeate dalla necessaria
parit delle parti contraenti7.

Lart. 1570 del codice civile del 1865 definiva la locazione delle opere come contratto per
cui una delle parti si obbligava a fare per laltra una cosa mediante la pattuita mercede.
7
Tale disposizione era poi ulteriormente precisata dallart. 1627, il quale specificava come
vi sono tre principali specie di locazione di opere e dindustria: 1- quella per cui le
persone obbligano la propria opera allaltrui servizio; 2- quella de vetturini s per
terra come per acqua, che sincaricano del trasporto delle persone o delle cose; 3quella degli imprenditori di opere ad appalto o cottimo.

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In un tale contesto lunica forma di tutela stabilita per il locatore era


scritta nellart. 1628 e dal divieto ad una tipologia di lavoro che oggi
identificheremo con il lavoro subordinato a tempo indeterminato.8
La ratio della norma era contestuale al periodo storico in cui viene scritta
quando era ancora ben vivo il ricordo della servit inconciliabile con il
contesto politico ed economico liberale che a propria volta impediva al
legislatore di dettare delle norme di chiara tutela in quanto lavoratore e
datore di lavoro venivano interpretati come liberi contraenti con posizione
formalmente paritaria e quindi impossibile da assoggettare a forme di
limitazione di tipo legislativo-statale.
La situazione subisce un primo mutamento tra la fine dell800 ed i primi
anni del 900 quando il legislatore cominci a superare lastensionismo
totale di stampo liberale per dettare una prima disciplina di tutela che
sebbene fosse formalmente legata allordine pubblico sostanzialmente era
derogatoria rispetto al diritto comune dei contratti: la legislazione sociale
che andava a normalizzare una situazione che si era andata creando nel
primo periodo della rivoluzione industriale in cui donne e bambini venivano
utilizzati nel mercato del lavoro senza le necessarie tutele.
I destinatari di questa disciplina non sono tutti i lavoratori in genere ma
le due categorie che pi di tutti necessitavano di tutela e cio nellordine: i
fanciulli (1886) e le donne (1892). Questi interventi si accompagnavano alle

La lettera della legge era infatti chiarissima nel sancire che nessuno pu obbligare la
propria opera allaltrui servizio che a tempo, o per una determinata impresa (art. 1628
cod. civ. 1865).

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prime disposizioni volte a ripartire il costo economico di infortuni e malattie


professionali anche sui datori di lavoro.
Il lento allontanamento del lavoro dal diritto comune delle obbligazioni
era per gi iniziato e si consolider, poi, nel corso del secondo decennio del
1900 in un ambiente caratterizzato dal nascente regime corporativo di
matrice fascista.
Attraverso questa giurisprudenza che man mano si consolidava si
cominciarono a porre le basi di un nuovo diritto tanto che a partire dal 1904
le sue pronunce cominciarono ad essere studiate sistematicamente da
Redenti per incarico della prima sede istituzionale deputata, il Consiglio
superiore del lavoro, anche con la partecipazione di rappresentanti delle
parti sociali, allo studio e alla promozione della causa del lavoro.
In verit qualcosa si era gi sviluppato nellultimo decennio
dellOttocento quando da pi parti in Italia si manifestava lesigenza di una
disciplina legale autonoma del rapporto di impiego separato dal lavoro
operaio come gi in Germania accadeva per le leggi sul lavoro industriale
nelle quali si era riservata una sezione speciale agli impiegati e agli agenti
tecnici9.
La prima proposta in tal senso fu formulata gi nel 1893 da una
Commissione costituita presso la Camera di Commercio di Milano, che

Indicazioni si possono trovare in I.MODICA, Il contratto di lavoro nella scienza del diritto
civile e nella legislazione. Studio storico-critico-comparato, Reber, Palermo 1897, p.
169 ss. una delle prime monografie della materia con ampiezza nella trattazione e con
approccio storico-sociale corroborato da riferimenti enciclopedici cui non fa riscontro
unattenta e rigorosa trattazione giuridica.

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predisponeva regole per la risoluzione del rapporto degli agenti ausiliari


del commercio cui venivano affidate mansioni comportanti un basso livello
di responsabilit ed autonomia e a cui si volevano apprestare maggiori
garanzie contro il licenziamento del padrone tentando di estendere loro la
disciplina dellart. 366 c. comm. secondo la quale il licenziamento senza
giusta causa da luogo al risarcimento del danno10.
Parallelamente, anche per gli impiegati amministrativi delle societ
anonime, che si erano sviluppate in quegli anni nel settore dei servizi,
diventava prassi il preavviso in caso di licenziamento quando il rapporto
fosse a tempo indeterminato o avvenisse senza giusta causa prima della
scadenza del termine.11
In realt, grazie allalacre lavoro della giurisprudenza probivirale, fino a
questo punto non cerano grosse differenze tra tale disciplina e quella che si
applicava alla classe operaia, ma nel giro di un decennio la disciplina del
rapporto di impiego assumer contorni sempre pi definiti, distaccandosi
dalle poche regole dettate per gli operai e abbracciando lipotesi di
sospensione del rapporto per impedimento del lavoratore (malattia,
gravidanza, servizio militare) e di traslazione del rischio al datore di lavoro.
Questo ad opera di fonti mediate del regolamento del rapporto, che si

ALESSANDRO GARILLI, Il contratto di lavoro e il rapporto di impiego privato nella


teoria di L. Barassi, in La Nascita del diritto del Lavoro - il contratto di lavoro di
Lodovico Barassi centanni dopo a cura di Mario Napoli, V&P Universit.
11
BARASSI, Il contratto di lavoro, II, p.830 ss.
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collocano fra la legge e il contratto individuale e che, ricondotte alluso e


allequit, obbligano le parti ai sensi dellart. 1124 c.c.
Ai primi del Novecento quindi ci si ritrova con due categorie lavorative
che in termini contrattuali risultano separate e questa separazione trover
compiuta attuazione e piena generalizzazione nelle leggi sul contratto di
impiego privato del 191912 e del 1924.
Ancora agli albori del Novecento se anche si propugnava lunitariet, da
un lato allaltro si tendeva a distinguere anche il lavoro impiegatizio tra
quello privato e quello pubblico, tant che la commissione a lavoro per il
D.M. del 29 Luglio 1901 propose di estendere il provvedimento ai soli
impiegati commerciali, che forti in numero e aderenze potevano forzare il
lavoro della commissione, e includendo in apposito capo una disciplina pi
favorevole del preavviso lungo una scala decrescente che comprendeva
come ultimi i semplici impiegati di grado inferiore a quello di commesso.
Dalla Legge venivano esclusi gli impiegati dello Stato, dei Comuni e
delle Province visto la natura del loro rapporto di Lavoro misto tra il Diritto
Privato e quello Pubblico ed emanazione non solo di un vincolo contrattuale
ma di un atto di autorit. Latteggiamento della proposta di Legge non venne
accolta benevolmente dalla dottrina che in quel periodo andava sostenendo
lunitariet tra impiego pubblico e privato.

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Decreto Luogoten. n. 112 del 9 Febbraio 1919 abrogato poi dalla Legge 1825 del 13
Novembre 1924.

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La legislazione sullorario di lavoro del 1923 (r.d.l 15 marzo 1923, n.


692) e il r.d.l. n. 1865 del 1924 di disciplina del contratto dimpiego
privato di fatto confermano labbandono della logica del contratto di lavoro
come mera locazione e sanciscono lintroduzione di una prima disciplina di
tutela caratterizzata dallinderogabilit in peius, secondo una logica poi
condivisa anche dalla Carta del Lavoro degli anni 1926 e 1927.
Il principio formale della parit tra i contraenti (e della loro piena libert
di trovare il punto di compromesso dei rispettivi interessi coinvolti) che
aveva caratterizzato il regime liberale venne cos rimesso in discussione per
tenere conto della disparit sostanziale tra le parti nel contratto di lavoro sia
nel mercato che nellimpresa.
Nel regime corporativo allora vigente, questa peculiarit non venne fatta
discendere da una particolare natura del contratto di lavoro ma
dallinserimento del lavoratore in virt di una lettura da parte del legislatore
e della dottrina italiana che erano fortemente influenzati dalle teorie
germaniche che individuavano proprio nellintroduzione della altrui
organizzazione lelemento differenziale del contratto di lavoro. Nelle teorie
istituzionaliste, infatti, tramite linserimento il lavoratore entra a far parte
della realt diversa dellimpresa che deve ritenersi dotata di propri interessi
autonomi rispetto alle due parti del contratto di lavoro.
Ci che capita che, mentre in Germania tale interpretazione porter nei
decenni al consolidamento di una legislazione e di una prassi di cogestione,
in Italia questa lettura verr fagocitata dal Regime fascista che assoggetta la

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lettura alla propria visione corporativa delleconomia in cui il superiore


interesse da perseguire diviene quello della nazione. In tale interpretazione,
per soddisfare linteresse predominante viene negata la legittimit del
conflitto (lo sciopero ridiviene reato con lapprovazione del c.d. Codice
Rocco che andava a formare il nuovo codice penale), le organizzazioni
sindacali sono pubblicizzate (col riconoscimento del sindacato unico di
categoria) e al contratto collettivo nazionale di categoria attribuita forza di
legge (efficacia erga omnes) con conseguente capacit di vincolare anche i
lavoratori non iscritti alle organizzazioni stipulanti il contratto stesso.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

1.3. Il Corporativismo Fascista


Nella

storia

plurisecolare

del

nostro

pensiero

economico

il

corporativismo costituisce ancora oggi una presenza scomoda, oggetto di


valutazioni discordi. Al giudizio di chi lo considera un indirizzo organico di
economia teorica ed applicata, formulato con riferimento ad un contesto
dinamico e volto a conciliare la libert economica degli individui e
linteresse pubblico, si oppone quello di chi gli nega la natura di autentico
sistema di conoscenze scientifiche e lo intende come uno strumento di
organizzazione politica del consenso al servizio di un regime autoritario.
Altri autori hanno visto nel corporativismo il tentativo di elaborare una
dottrina delleconomia nazionale partendo da un nucleo preesistente di teoria
economica pura ed inserendo in questo un certo numero di variabili sociopolitiche. Vi infine chi ha inteso il corporativismo pi semplicemente come
un ramo delleconomia applicata, o come una delle tante forme in cui
possibile interpretare la tutela dellinteresse generale e gestire in modo
dirigistico la politica economica.
Si riscontra invece una certa concordanza tra gli studiosi del
corporativismo nel ritenere che questo movimento - nato da una costola del
sindacalismo rivoluzionario, con caratteristiche di formazione anarchica, di
lite - abbia poi col tempo recepito una serie di spinte riformistiche
provenienti dal basso e modificato in senso sempre pi populistico la sua
natura, finendo col richiamarsi ad una visione interclassista e
collidentificarsi in larga misura con il volto sociale del fascismo. Daltro
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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

canto, tra i corporativisti della prima ora vi perfino chi ha ritenuto che il
fascismo abbia tradito lo spirito originario del sindacalismo rivoluzionario,
svuotandone dallinterno le spinte innovative e favorendone una
degenerazione di tipo burocratico.
In presenza di questo variegato spettro di opinioni, non meraviglia che
alcuni autori, idealizzando ulteriormente il corporativismo, abbiano visto in
esso una sorta di mitico strumento di salvezza della nazione, la speranza
demiurgica della risoluzione dei contrasti di classe e dei problemi della
miseria nazionale13.
Altri interpreti, nel rifiutare lidentificazione largamente invalsa del
corporativismo con la dottrina economica del fascismo, hanno sostenuto
unestraneit di principio del movimento corporativo, considerato nella sua
forma pi pura, rispetto ad un regime totalitario, che non ammetteva che un
unico partito ed un unico sindacato. Questi autori hanno di conseguenza
prospettato la possibilit di un recupero di larga parte del pensiero
corporativista, in un diverso contesto, pluralista e democratico14.

13

14

Cos ebbe a definirlo uno studioso francese, L. ROSENSTOCK FRANCK in un saggio


su Le corporatisme italien, in AA.VV., Le corporatisme, Paris, s.d., p. 128, citato in C.
VALLAURI, Le radici del corporativismo, Bulzoni, Roma, 1971, 178. Dello stesso
autore, si vedano anche Les ralisations pratiques et les doctrines du syndacalisme,
Paris, 1933, e Economie corporative fasciste en doctrine et en fait, Paris, 1934.
Cfr., ad esempio, A. MULLER, La politique corporative, Bruxelles, 1935, secondo cui
un regime corporativo incompatibile con ogni forma di governo centralizzato ed
avverso allautonomia sindacale. Anche Luigi Sturzo colse questa contraddizione:
Possiamo noi ripresentare il problema della libert e organicit della societ (nei suoi
aspetti economici e politici) come corporativismo? La libert crea il sindacalismo libero,
lassolutismo forma le pseudo-corporazioni moderne. Perch allora insistere sopra una
parola, corporativismo, che ci richiama o alla organizzazione medioevale ovvero a
quella mussoliniana o dolfussiana? (L. STURZO, Unioni - Sindacati - Corporazioni,
in A. CANALETTI GAUDENTI e S. DE SIMONE (a cura di), Verso il corporativismo
democratico, Cacucci, Bari, 1951, p. 43.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

questo uno dei tanti profili apparentemente contraddittori del


corporativismo, che attendono di essere ulteriormente chiariti. Occorre cio
stabilire se lo stretto legame storico che si manifestato in Italia tra
corporativismo e fascismo al punto da indurre spesso a confondere luno
con laltro sia attribuibile o meno ad una necessaria complementarit tra
due movimenti che avevano in comune gli obiettivi di fondo della pace
sociale e della potenza economica di una nazione; o ad una naturale
connessione tra questi due obiettivi ed un certo tipo di ideologia politica ed
economica.
Altri autori hanno visto nel corporativismo qualcosa di ancora diverso:
un semplice fenomeno di facciata, unastuta formula tattica che si prestava
ad essere opportunamente variata a seconda delle necessit contingenti, e
che era quindi utilizzabile per sostenere tutto ed il contrario di tutto.
Un aspetto distinto, ma di notevole interesse, che emerge dal dibattito sul
corporativismo quello della collocazione storico-critica proposta per tale
movimento da chi ha affrontato il problema della ricerca delle sue
ascendenze culturali. Alcuni studiosi hanno ritenuto di impostare il
problema dellinterpretazione storiografica di tale rapporto in una chiave di
continuit diacronica con precedenti indirizzi di pensiero; mentre altri hanno
parlato di decisa rottura con il passato; o hanno visto nel corporativismo un
semplice fenomeno di transizione, o un punto di arrivo e di non ritorno.
Questo ginepraio di interpretazioni un segno evidente che nel grande
mosaico della storia del nostro pensiero economico il corporativismo

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

costituisce ancora una tessera dai contorni poco chiari, che ostacola una
ricostruzione esauriente del faticoso percorso attraverso cui si pervenuti
alle conoscenze odierne.
Nonostante la notevole mole di letteratura storiografica sul Fascismo 15
alcuni aspetti della dottrina e delleffettiva dinamica istituzionale del regime
appaiono, in proporzione, molto meno indagati tanto che vi una difficolt
insita nella ricerca delle fonti quando si vuole ricostruire la nascita e lo
sviluppo della dottrina corporativa.
Allinterno della stessa letteratura che in modo pi specifico si occupata
della tematica corporativa occorre ulteriormente operare una distinzione di
tipo cronologico. Il tema del corporativismo ha riscosso unattenzione
discontinua da parte degli studiosi nel corso della storia e cos mentre pi
abbondante nel periodo fascista, nel dopoguerra largomento stato
praticamente ignorato dal dibattito politico e culturale per essere ripreso solo
a partire dagli anni Sessanta soprattutto per la reticenza mostrata dalla
cultura antifascista per un esperimento enfatizzato dal regime.

15

In tema si trovano in letteratura: L. Salvatorelli, G. Mira, Storia dItalia nel periodo


fascista, Torino, Einaudi, 1957. F. Chabod, LItalia contemporanea (1918-1948),
Torino, Einaudi, 1961. A. Aquarone, Lorganizzazione dello Stato totalitario, Torino,
Einaudi, 1965. E. Santarelli, Storia del fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1973. Le radici
del corporativismo, Roma, Bulzoni, 1971. N. Tranfaglia, Dallo Stato liberale al regime
fascista. Problemi e ricerche, Milano, Feltrinelli, 1973. P. Ungari, Alfredo Rocco e
lideologia del fascismo, Brescia, Morcelliana, 1963. S. Cassese, La formazione dello
Stato amministrativo, Milano, Giuffr, 1974. S. Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla
cultura borghese in Italia 1870-1925, Venezia, Marsilio, 1979.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

Negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale le


analisi storiografiche si dedicarono in special modo alla ricerca delle origini
storiche e delle radici culturali del fascismo cercando in esse la spiegazione
del fenomeno e di come questo si era andato affermando allinterno della
cultura politica dellItalia liberale e della crisi di fine secolo esacerbata dalla
guerra16 e con lo sfondo della nuova pressione delle masse sul sistema
politico e nel clima del sindacalismo rivoluzionario e lattualismo gentiliano.
Per lungo tempo la storiografia liberale di matrice crociana aveva
interpretato il fascismo come una malattia morale, un evento parentetico
nella storia e nella cultura italiana e tale immagine portava ad escludere, in
maniera naturale, la possibilit di indagare la dottrina del fascismo come
realt concreta ed indipendente che veniva vista pi come un contenitore
vuoto pronto ad essere riempito di volta in volta dei contenuti ad esso pi
convenienti e quindi esso stesso privo di ogni tipo di cultura storica.
Il pregiudizio che identificava il fascismo come anti-cultura non era di
esclusiva matrice liberale ma comune alla storiografia marxista e radicale
restia a concedere al fascismo una sorta di patente di nobilt ma in questo
contesto linterpretazione di matrice gramsciana identific nella piccola e
media borghesia la radice sociale del fascismo.

16

La tesi che pone lorigine del fascismo nella guerra del 15-18 stata sostenuta gi negli
anni Venti. Cfr. Luigi Salvatorelli, Nazionalfascismo, Torino, Gobetti, 1923; Angelo
Tasca, La naissance du fascism. LItalie de 1918 a 1922, Paris, 1938 (trad.it. Id., Nascita
e avvento del fascismo. lItalia dal 1918 al 1922, Firenze, La Nuova Italia, 1950).
Federico Chabod, LItalia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961. Gaetano
Salvemini, The Fascist Dictatorship in Italy, London, 1928 (trad.it. in Id., Scritti sul
fascismo, I, a cura di R. Vivarelli, Milano, Feltrinelli, 1961).

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

La svolta storiografica del 6017 ha fatto s che si avviasse una revisione


dellimmagine del fascismo grazie allabbandono del condizionamento di
schemi ideologici e di giudizi politici che avevano ostacolato la piena
comprensione del fascismo come fenomeno complesso composto da una
molteplicit di aspetti. Il fatto che il fascismo fu effettivamente caratterizzato
da pragmatismo e relativismo, lungi dal rappresentare un motivo per
escludere la rilevanza dei suoi aspetti culturali, costituisce proprio un punto
di partenza per osservare quello che fu uno specifico atteggiamento mentale
ed ideologico attraverso la costante contrapposizione tra lesperienza e la
teoria.
Il corporativismo rappresenta senza dubbio un esempio emblematico di
quella contrapposizione tra teoria e prassi messa in luce dagli storici. La
funzione giocata dallo Stato corporativo come mito della retorica di
regime e, di contrasto, le sue quasi irrilevanti ricadute istituzionali, stata la
ragione principale della tendenza storiografica a minimizzare il peso
dellorganizzazione corporativa nella dinamica complessiva dello sviluppo
del regime.
Il grande divario tra il mito dello Stato nuovo, mito di cui il fascismo
fa un uso retorico sovrabbondante, e la realt, che fu quella del sostanziale

17

Ma ancora oltre se si guarda al giudizio che Norberto Bobbio, nel 1973, dava della cultura
fascista: Una cultura fascista nel duplice senso di una cultura fatta da fascisti dichiarati
o a contenuto fascista non mai realmente esistita, o almeno non riusc mai, per quanti
sforzi venissero compiuti, a prendere forma in iniziative o imprese durature e
storicamente rilevanti. In G. Quazza (a cura di), Fascismo e societ italiana, Torino,
Einaudi, 1973, cit. p. 220.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

fallimento di ogni progetto corporativo, ha fatto s che linteresse per questi


aspetti passasse in secondo piano rispetto a questioni avvertite come pi
urgenti e decisive al fine di interpretare il fascismo.
Per ricostruire le vicende corporative in et fascista occorre districarsi
allinterno di un groviglio di posizioni quasi sempre in contrasto una con
laltra e la difficolt maggiore sta probabilmente nel fatto che il tema del
corporativismo un tema ambiguo nel senso che non appartiene in maniera
esclusiva ne allambito pubblico dello Stato e dellorganizzazione dei suoi
poteri e ne a quello privato della societ civile. Questo significa che il
concetto di corporativismo mette in gioco contemporaneamente e
dialetticamente entrambi gli ambiti. Mancando un modello di riferimento
che riesca a coniugare in maniera efficace i due livelli di analisi, il pi delle
volte si finisce per considerare separatamente i due termini e si tende a
dilatare altrimenti il concetto storiografico di societ civile fino a sfociare
nella genericit e a perdere di vista il funzionamento concreto degli istituti
statali.18
Una parte considerevole della storiografia ha visto il corporativismo
come reazione alla crisi dello Stato e delle istituzioni liberali nel tentativo di
risolvere la stessa crisi.
La riflessione corporativa raggiunse la sua massima tensione
programmatica nel periodo che va dalla met degli anni Venti ai primi degli

18

Zanni Rosiello (a cura di), Gli apparati statali dallUnit al fascismo, Il Mulino, Bologna,
1976.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

anni Trenta. Gi prima dellavvento del fascismo e prima dello scoppio della
guerra si parlava di una crisi delle istituzioni liberali19 che vedevano nella
crisi operaia di inizio secolo lincapacit ad affermarsi anche perch
espressione di ununica classe sociale che, seppure con il potere di suffragio,
si trovava ad affrontare la questione sociale mostrandosi incapace di gestirla.
La crisi era derivata dallerodersi della struttura monoclasse dello Stato e
dellirrompere sulla scena pubblica di una organizzazione sociale dalla
struttura sempre pi complessa e differenziata che chiedeva maggior grado
di partecipazione alle decisioni pubbliche. Ci che accumun le varie letture
sulla crisi in quegli anni, infatti, fu lindividuazione della sua causa
principale nellinadeguatezza di una struttura istituzionale incapace di
stabilire un rapporto positivo con la complessit della societ.
Come gi detto il pensiero maturato negli anni a cavallo del secolo di
risolvere i conflitti sociali attraverso una rappresentanza corporativa degli
interessi cominci a farsi strada e a pi riprese, durante quegli anni, verr
ripreso il tema della trasformazione delle basi della rappresentanza politica
da individuali ad organiche e corporative20.

19

20

G. Gozzi, Rappresentanza politica e rappresentanza degli interessi nella riflessione


giuridica e politica fra Ottocento e Novecento, in A. Mazzacane (a cura di), I giuristi e
la crisi dello Stato liberale in Italia fra Otto e Novecento, Napoli, Liguori, 1986. C.
Pavone - M. Salvati, Suffragio, rappresentanza, liberaldemocrazia, in Rivista di storia
contemporanea, XV, n. 2, aprile 1986; F. Tessitore, Crisi e trasformazione dello Stato.
Ricerche sul pensiero giuspubblicistico italiano fra Otto e Novecento, Milano 1988.
Gli anni che vanno dal 1880 al 1895 videro in Italia, come in Europa, la produzione di
una copiosa letteratura antiparlamentaristica. R. Bonghi, La decadenza del regime
parlamentare, in Nuova Antologia, 1 giugno 1884. M. Minghetti, I partiti politici,
Bologna, Zanichelli, 1881. F. Persico, Princpi di diritto amministrativo, Napoli,
Marghieri, 1890. Del 1897 anche il famosissimo motto di Sonnino torniamo allo
Statuto! apparso sulla Nuova Antologia (1 gennaio 1897).

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

Le opzioni in campo allora erano sostanzialmente due: o una riforma della


rappresentanza in senso organico, che avrebbe conferito un riconoscimento
costituzionale alle strutture sociali organizzate, oppure una riforma
proporzionale, il cui vantaggio sarebbe stato quello di dare espressione
politica adeguata alle nuove organizzazioni di massa, i partiti.
Le riforme che tardavano nelle istituzioni italiane derivavano, ad inizio
del Novecento, dal disagio che suscitava unidea in aperto contrasto con i
presupposti dottrinali delluguaglianza politica che ricordava troppo da
vicino lesperienza della suddivisione della societ in classi e ceti propria
dellantico regime.
Dopo la parentesi della guerra le problematiche che erano rimaste
irrisolte si sono ripresentate con maggiore urgenza anche perch la guerra
aveva portato a maggiori problematiche in tutti i campi e in particolare nella
sfera del lavoro e sociale. Negli anni a ridosso dellavvento del fascismo si
ebbe una graduale perdita di fiducia nella possibilit di risolvere i nuovi
conflitti sociali riassorbendoli nellambito tradizionale della sovranit
nazionale e quindi i progetti corporativi cominciarono a moltiplicarsi per
dare rappresentanza a quei segmenti della societ rappresentanti interessi
costituiti. La riforma elettorale in senso proporzionale acceler il processo
degenerativo delle istituzioni ormai in corso da tempo portando al collasso
del Parlamento. La crisi mostrava di non poter essere risolvibile da una
semplice riforma ma che aveva motivazioni pi radicali e profonde che
mettevano in discussione anche la forma dello Stato che vedeva venir meno

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

i suoi tradizionali attributi assieme allerosione della sua sovranit e


lidentit fondamentale su cui era basata tutta la costruzione dello Stato
moderno.
La tendenza a spostare il luogo della decisione politica dagli organi ad
essa deputati ai gruppi di interesse, porta il Parlamento a perdere
progressivamente il proprio ruolo con la crescita e la stabilizzazione proprio
di questi gruppi.
Il corporativismo diventa di conseguenza il luogo in cui trovava
espressione il fondamentale nodo irrisolto dello Stato moderno e la sua
natura ambivalente dovuta alla tensione tra la tendenza ad incorporare ed
integrare allinterno della sua struttura i gruppi economico-sociali e quella
opposta dei gruppi che invece tendono a resistere allazione accentratrice per
affermare la propria autonomia.
Preliminarmente va detto da subito che nel coacervo di formule
propagandistiche e di velleitarie aspirazioni che costituirono lideologia
corporativa non cos semplice distinguere il vecchio dal nuovo in quanto,
sia pure con importanti qualificazioni, il corporativismo aveva infatti accolto
alcuni principi basilari dellindirizzo economico liberista: tutela della
propriet privata; autonomia contrattuale e libert di iniziativa economica.
Nellottica corporativista lavoro e propriet erano visti come dei diritti
dellindividuo ma anche fonti di corrispondenti doveri riconducibili allo
svolgimento di una funzione sociale. Gli imprenditori privati, ad esempio

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

erano liberi di agire ma anche responsabili degli indirizzi della produzione


di fronte allo Stato, supremo tutore dellinteresse pubblico.
Il corporativismo era per in aperto contrasto con due elementi essenziali
del liberalismo: le premesse individualistiche, occlusive dello spazio per una
azione riformatrice ispirata a finalit collettive, e la fiducia nella capacit del
meccanismo del mercato di presiedere ad unallocazione efficiente delle
risorse, che implicava una sostanziale negazione del ruolo della politica
economica. Nel rapporto tra corporativismo e liberalismo coesistevano
quindi, gli uni accanto agli altri, elementi di affinit e di discordanza
ideologica.21
Si pu affermare senza temere smentite che esiste un evidente nesso tra
crisi dello Stato e corporativismo ma non si pu dire allo stesso modo che
tale nesso sussista anche tra ideologia fascista e corporativismo.
Nellepoca della crisi dello Stato il corporativismo, variamente
declinato, rappresent infatti un terreno sul quale finirono per confluire
correnti di pensiero che nulla avevano in comune tra loro: il pensiero sociale
cattolico, il reazionarismo politico di destra, il sovversivo di sinistra. Le

21

nei termini di un compromesso tra le istanze politiche del regime e gli schemi teorici
delleconomia liberale che il corporativismo venne inteso da quegli studiosi che
vengono talvolta definiti corporativisti formali, ad indicare che la loro accoglienza
della ideologia corporativa non si spingeva molto al di l delladesione ufficiale
sollecitata dal regime. Ad essi si contrapponevano altri studiosi, che rifiutavano il
postulato economicistico, a loro volta descritti come corporativisti integrali. Ma la
distinzione tra corporativisti formali ed integrali non sembra poter rappresentare
storicamente un punto fermo. In tema di purismo ed anti-purismo, per esempio, questi
autori avevano idee molto diverse. Sul concetto di corporativismo integrale, cfr. M.
MANOILESCO, Le sicle du corporatisme. Doctrine du corporatisme intgral et pur,
Librairie Flix Alcan, Paris, 1934.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

radici remote di un tale singolare incontro possono essere rintracciate gi nel


pensiero reazionario di inizio Ottocento22, il quale, in opposizione ai valori
che, sinteticamente, si potrebbe dire affermati dalla Rivoluzione Francese,
critic individualismo ed egualitarismo democratico e mise in luce la
principale aporia del costituzionalismo ottocentesco, ovvero la dialettica
irrisoria tra libert ed uguaglianza fondamento tanto di una cultura di destra
che di alcune correnti di estrema sinistra.
Nel corso del Novecento, ed in particolare tra le due guerre, la critica
allindividualismo liberale e allegualitarismo democratico si leg alla
necessit di creare un nuovo ordine, sia sociale che politico, e di trovare
quellunit naturale conosciuta dalle societ di antico regime e spazzata via
dallatomismo democratico.23
NellEuropa degli anni Venti e Trenta, quindi, tanto i regimi democratici
quanto quelli autoritari esprimevano aspirazioni simili rivolte a correggere
o a superare lo Stato liberale e il sistema rappresentativo parlamentare
attraverso riforme sociali di carattere corporativo visto che la maggior parte

22

Se soprattutto negli ultimi decenni dellOttocento che la nebulosa delle ideologie


antiliberali e antidemocratiche ha preso forma, dando vita a un corpus dottrinario cui
il nuovo secolo non avrebbe avuto che da attingere, sullarco lungo dellet postrivoluzionaria che si sono enucleate le categorie analitiche con le quali la democrazia
stata sottoposta al vaglio di una critica sempre pi orientata a valutarla in chiave di
esperienza anomala o patologica. (M. Donzelli R. Pozzi (a cura di), Introduzione, in
Id., Patologie della politica. Crisi e critica della democrazia tra Otto e Novecento,
Roma, Donzelli, 2003, p. 4).
23
M.H. Elbow, French Corporative Theory, 1789-1948. A Chapter in the History of Ideas,
Columbia University Press, New York, 1953. Per la Germania si vedano R.H. Bowen,
German Theories of the Corporative State. With special reference to the period 18701919, New York, Whittlesey House, 1947 e W. Reutter, Korporatismustheorien. Kritik,
Vergleich, Perspektiven, Peter Lang, Frankfurt am Main Bern New York Paris,
1991.

- 32 -

CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

degli Stati democratici del continente europeo si trov a dover affrontare la


difficile transizione da societ rurale a societ industriale, cui le tradizionali
strutture dello Stato liberale mostrarono di essere incapaci di rispondere.
Tutte le scienze sociali furono coinvolte in una generale opera di
ripensamento delle categorie concettuali con le quali si era fino ad allora
pensato lo Stato e le sue relazioni con la societ e vennero cos portati alla
luce i limiti del liberalismo e le aporie costitutive di un modello di Stato che
aveva cercato lequilibrio tra affermazione del costituzionalismo, e quindi
della limitazione del potere dello Stato, e il mantenimento di un
decisionismo del potere politico concentrato sullo Stato stesso.
Con la crisi del liberalismo si apre, negli anni Venti del Novecento la
possibilit di attacco, da parte del fascismo, alla Costituzione liberale che
trovava gli organi dello Stato incapaci di opporre resistenza.
Quando Alfredo Rocco nel 1920, aprendo il suo corso allUniversit di
Padova, affermava che lo Stato era in crisi e che andava dissolvendosi,
giorno dopo giorno, in una moltitudine di aggregati minori, partiti,
associazioni, leghe, sindacati che rischiavano di paralizzarlo e soffocarlo,
determinando una perdita progressiva di tutti i suoi attributi di sovranit,
sosteneva anche che tale crisi non fosse un fenomeno recente:
Essa risale ai primi anni del secolo XX, e gi nel 1910 uno dei pi
eminenti cultori italiani del diritto pubblico, il prof. Santi Romano, ne

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori
descriveva gli aspetti, a quel tempo pi interessanti, in un magistrale discorso
pronunciato a Pisa per linaugurazione dellanno accademico24.

Il riferimento di Rocco alla prolusione pisana di Santi Romano, alla cui


sostanza egli dimostrava di aderire quasi senza riserve, non costituisce un
caso isolato. Il discorso romaniano sulla crisi dello Stato rappresent, difatti,
un punto di riferimento variamente utilizzato dalla giuspubblicistica del
fascismo. Sergio Panunzio, nella prolusione al corso di Filosofia del diritto
tenuta allUniversit di Ferrara nel 1922, trattando il tema del rapporto tra
Stato e sindacati, tema che da pi di un decennio era il problema centrale
e predominante nella vita e nella scienza, il massimo problema sociale
politico e giuridico25, citava gli studi di Santi Romano a sostegno delle sue
tesi sulla necessit di integrazione dei sindacati nel sistema dello Stato.
Secondo Panunzio il Romano aveva dimostrato come la crisi dello Stato
derivasse direttamente dallo scioglimento delle corporazioni ed alla
conseguente polverizzazione della societ in una massa di singoli individui.
In effetti la giuspubblicistica italiana aveva trovato, come base della crisi
dello Stato, la minaccia proveniente dalla sfera sociale con lintensificazione
della lotta degli interessi individuali e aveva inquadrato come il problema
risiedesse direttamente nelle strutture stesse non transitorie dello Stato

24

A. Rocco, Crisi dello Stato e sindacati (1920), in Scritti e discorsi politici, Milano, 1938,
II, p. 631
25
Sergio Panunzio, Stato e sindacati, in Id., Il fondamento giuridico del fascismo, Bonacci,
Roma, p.139.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

liberale che aveva una organizzazione eccessivamente semplice ed


inadeguata alla complessit della societ moderna.
Il fatto che alcuni giuspubblicisti, tra cui Romano in testa, avessero
cercato nella dinamica sociale le cause della crisi dello Stato moderno e che,
allo stesso tempo, mirassero comunque alla restaurazione della sovranit
statale, costituiva il possibile punto di congiunzione tra il discorso del
giurista e parte dellideologia corporativa fascista. In comune, infatti, vi era
la concezione dello Stato come suprema e compiuta sintesi delle varie forze
sociali, come unit autonoma degli svariati elementi della societ, come
unica fonte dei poteri pubblici e reale personificazione di essi. Lorigine
stessa dellideologia corporativa andava infatti ricercata nel rifiuto della
concezione astratta dello Stato, nel bisogno di una pi compatta ed organica
compagine sociale su cui edificare ledificio statale che nel disegno liberale
era distinto dalla societ.
Lo strumento attraverso il quale veniva stabilito un legame tra Stato e
societ era quello della rappresentanza politica e della possibilit di
ricostruire lunit organica dello Stato. Il principio rappresentativo pu
essere fondato sul diritto di ogni cittadino dando cos forma ad un concetto
partecipativo di rappresentanza sensibile alle sollecitazioni provenienti dalla
sfera sociale, ma anche su una concezione autoritaria della rappresentanza
stessa che cos viene intesa come istanza sintetica del potere sovrano.
Questultima concezione era alla base dello Stato Oligarchico di inizio
Novecento, con caratteri essenzialmente oligarchici che, per perpetuare s

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

stesso, necessitava di enfatizzare una concezione di rappresentanza non


come diritto soggettivo ma come funzione e quindi in prospettiva con una
concezione anti-egualitaria e anti-partecipativa.
Sia la dottrina giuridica che la prassi politica avevano generato cos, nel
nostro Paese, una forma di governo parlamentare con peculiarit proprie e
non del tutto corrispondente ai principi del liberalismo dottrinario. Rispetto
al contrattualismo che trovava ragion di essere nellopposizione ad un
modello assolutista di Stato e alla teoria di autolimitazione della sovranit
statale, lo Stato di diritto italiano rappresentava una soluzione di
compromesso che aspirava a conciliare lidea di uno Stato sovrano ma
intrinsecamente limitato nel tentativo vano di conciliare tradizione francese,
ancora ancorata ai valori politico-ideologici della rivoluzione, con tradizione
tedesca, alla quale si doveva lelaborazione del concetto giuridico di Stato e
che rimaneva invece legata allautoritarismo tradizionale.26
Tra sovranit e libert, tra Stato e societ, si finiva per creare una
distinzione troppo netta nella dottrina liberale e cos per preservare la
sovranit statale, in un momento in cui lo Stato liberale subiva forti pressioni
dalle nuove forze sociali, la dottrina aveva tentato di collocare
lorganizzazione dei poteri statali in una sfera di separatezza rispetto alla
dinamica sociale nel vano tentativo di assicurare al giuridico una autonomia
sia dal sociale che dal politico. Il distacco che si era creato tra governanti e

26

Volpicelli, Vittorio Emanuele Orlando, in Nuovi Studi di diritto economia e politica,


anno II, 1928.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

governati, in questo modo, diede vita ad uno Stato completamente estraneo


e separato dalla societ.
Compito della politica avrebbe dovuto essere quello di collante
unificatore tra le due distinte realt ma era stata concepita in modo da
configurare il voto come una funzione pubblica pi che come diritto
soggettivo dellindividuo e cos il cittadino si trovava ad essere investito di
una funzione ad interesse collettivo piuttosto che esercitare un proprio diritto
di rappresentanza. Il diritto elettorale stesso era concepito in quel tipo di
societ come una elargizione di sovranit da parte dello Stato che ne avrebbe
potuto togliere efficacia quando pi riteneva opportuno.
Da questo ne derivava una trattazione puramente formalistica delle
istituzioni rappresentative e rendeva lo stesso concetto di rappresentanza
vuoto e incapace di configurarsi come una relazione dialettica tra i due poli.
Cos, con lintroduzione del suffragio universale e con le conseguenti
pressioni esercitate dalle nuove classi sociali che si affacciavano per la prima
volta nellarena politica, si impose la necessit di ripensare al concetto di
rappresentanza politica. Allidea di rappresentanza funzionale, infatti, si
legava per forza il concetto di suffragio ristretto, oligarchico. Limitato a
determinate categorie di individui dotati dei requisiti necessari ad espletare
la funzione che implicava una responsabilit nei confronti dellintera
comunit, concezione diversa da quella del suffragio universale che slegava
la rappresentanza dalla sovranit statale, configurandosi come diritto
soggettivo spettante ad ogni individuo in base al principio di uguaglianza.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

La preoccupazione di salvaguardare la sovranit statale dai rischi di


frantumazione e delegittimazione determin lincapacit e, forse, la
mancanza di volont da parte della classe politica liberale di accompagnare
il processo di democratizzazione, rimanendo legata ad un paradigma
intrinsecamente inadeguato ad individuare il legame e linterazione tra forze
politiche e forze sociali, concentrando la sua analisi sugli aspetti costitutivi
della sovranit dello Stato e cos non riusc a cogliere la portata della nuova
realt sociale precludendosi la possibilit di elaborare soluzioni istituzionali
alla crisi.
Furono queste forse le ragioni per le quali gran parte della cultura
giuridica italiana accolse con sostanziale indifferenza e con rassegnata
accettazione lavvento del Fascismo ed il conseguente stravolgimento
dellordine costituzionale.
Gli economisti di formazione liberale, daltro canto, non sembravano
molto preoccupati di adeguare alla realt quelle premesse dei loro
ragionamenti che apparivano storicamente superate. Senza bisogno di
compiere eccessivi sforzi in questa direzione, i corporativisti finivano cos
col distinguersi per una visione pi realistica del mondo economico. Si
mostravano generalmente consapevoli che la concorrenza perfetta non
costituiva un modello credibile di funzionamento delleconomia; che i prezzi
di mercato non esprimevano le scarsit relative; che la struttura dei consumi
era distorta dallazione interessata dei produttori. Convenivano sul fatto che
la presenza di posizioni oligopolistiche comportasse per la collettivit gravi

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

sprechi di risorse e che la composizione della domanda solvibile non


riflettesse lurgenza relativa dei bisogni, a causa della distribuzione
sperequata della ricchezza. Riconoscevano quindi lesigenza di porre dei
vincoli alla libert contrattuale e alliniziativa economica privata, nel
superiore interesse della nazione, che a differenza di quello dei singoli
individui non palesava carattere transitorio, ma immanente.
Uno sbocco naturale di questo modo di pensare avrebbe potuto essere
ladesione al modello organizzativo di uneconomia di piano ma questo
avrebbe comportato labbandono dei fondamenti stessi del liberismo
economico che teorizzava la regola pratica del lasciar fare, e solo pochi
tra i corporativisti erano disposti a tanto mentre i pi erano favorevoli a
ricerche di soluzioni di compromesso che potessero conciliare mercato e
piano, libert e controllo, fini pubblici ed interessi privati. Da questo
atteggiamento emergeva il disegno di uneconomia mista e regolamentata
che si prestava ad essere interpretato in una pluralit di modi diversi perch
non si presentava come una semplice formula tecnica finalizzata alla ricerca
di un equilibrio tra interessi economici in contrasto.
Il corporativismo poteva intendersi come un sistema di transizione verso
un autogoverno unitario di imprenditori e lavoratori ed era questa la tesi
sostenuta, con notevoli variet di accenti, dai sindacalisti rivoluzionari e poi
dalla sinistra corporativa ma anche come un ritorno allassetto dirigistico
tipico di uneconomia di guerra della destra corporativa o, infine, come
strumento per assicurare una reale partecipazione dei lavoratori alla gestione

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

della cosa pubblica o addirittura come momento necessario per il passaggio


ad uno Stato operaio tesi supportata dai sindacalisti del vecchio
sindacalismo classista.27
Al pari di Keynes, i corporativisti avevano in mente un modello di
monopolio bilaterale, in cui il salario determinato in base a rapporti di
forza, piuttosto che nel rispetto di una logica marginalista. Ma mentre
Keynes aveva semplicemente preso atto della struttura bilateralmente
monopolistica del mercato del lavoro, senza sostenere in alcun modo la
convenienza sociale di tale forma di mercato, i corporativisti si erano trovati
a dover giustificare come utile per la collettivit il duplice monopolio legale
di rappresentanza che il regime fascista aveva conferito nei singoli settori di
attivit alle associazioni di categoria dei lavoratori e dei datori di lavoro.
Sul mercato del lavoro si sviluppato un intenso dibattito teorico tra i
corporativisti28. Ma la maggior parte di essi si limit ad affermare che il

27

Dopo lo scioglimento nel 1927 della C.G.L., Rinaldo Rigola - di cui si ricorda una Storia
del movimento operaio italiano, edita a Milano nel 1947 - costitu con altri vecchi
militanti sindacalisti (Maglione, Reina, ecc.) lAssociazione nazionale per lo studio dei
problemi del lavoro, che fin poi col confluire nel movimento corporativo fascista.
28
P. BINI, Il salario corporativo negli studi tra le due guerre, in R. FAUCCI (a cura di),
Gli italiani e Bentham: dalla felicit pubblica alleconomia del benessere, Angeli,
Milano, 1982, vol. 2, pp. 253-83; F. PERILLO, Introduzione al secondo volume
dellantologia a cura di A. MANCINI, F. PERILLO e E. ZAGARI, La teoria economica
del corporativismo, Ediz. Scientifiche Italiane, Napoli, 1982. Tra gli scritti pi
significativi dei corporativisti sul salario corporativo possono ricordarsi quelli di G.
ARIAS, Il salario corporativo, Modena, 1929; F. CARLI, Applicazione della teoria del
valore al salario corporativo, Archivio di studi corporativi, 1930, n. 2; N.M. FOVEL,
Interpretazione economica del salario corporativo, Leconomia italiana, ottobre
1931; U. SPIRITO, Il problema del salario, Critica fascista, 1 ottobre 1932; C. E.
FERRI, La remunerazione corporativa delloperaio, Economia, ottobre 1937, e Il
sistema della remunerazione corporativa integrale, ibidem, maggio 1938.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

salario corporativo era il salario di equilibrio29; o a ribadire la vecchia tesi


dellesistenza di due limiti naturali al campo di oscillazione del salario - un
valore minimo, imposto dalle esigenze di sussistenza, ed uno massimo,
corrispondente al rendimento del lavoratore - dimenticando che la
caratteristica principale del monopolio bilaterale costituita proprio
dallimpossibilit di individuare in esso una configurazione di equilibrio.
Costretti dallevoluzione della politica del regime a rincorrere gli
avvenimenti30, i corporativisti cercarono di spiegare la convenienza di un
monopolio bilaterale nel mercato del lavoro con una pretesa riduzione della
zona di indeterminazione contrattuale entro cui avrebbe dovuto avvenire
lincontro della domanda reciproca dei due contraenti. Affermavano infatti
che la contrattazione collettiva avrebbe eliminato le rendite di posizione
risultanti dalla disparit di condizioni soggettive in cui aveva luogo la
contrattazione individuale, consentendo di raggiungere un punto di intesa
che avrebbe assicurato luguaglianza dei vantaggi e dei costi per le due parti
sociali. Ma non furono in grado di dimostrare questa loro tesi.

29

F. CARLI, Applicazione della teoria del valore al salario corporativo, cit., p. 321. Carli
aggiungeva che lequilibrio non andava inteso in senso statico e meccanico, ma in senso
dinamico ed etico. Il salario di equilibrio era quello che, secondo la XII disposizione
della Carta del Lavoro doveva rispondere alle esigenze normali di vita, alle possibilit
della produzione e al rendimento del lavoro
30
Nellintento di evitare abusi di potere monopsonistico o monopolistico sul mercato del
lavoro, la legislazione fascista aveva previsto una disciplina pubblicistica molto rigida
di tale mercato, in deciso contrasto con il principio dellautonomia contrattuale dei
singoli soggetti economici. Agli accordi corporativi era attribuita per legge efficacia
erga omnes; erano vietati sia lo sciopero sia la serrata, e le controversie in materia di
lavoro dovevano essere risolte da un intervento arbitrale.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

In ultima analisi - a differenza di Keynes, che aveva derivato la domanda


di lavoro da quella dei prodotti e ideato una curva di offerta di lavoro dalle
caratteristiche interamente nuove (la curva a gomito) - i corporativisti si
mostrarono incapaci di recare contributi teorici di rilievo in questo campo,
cui pure attribuivano fondamentale importanza.
Essendo nato al di fuori del fascismo, e prima di esso, il corporativismo
non pu considerarsi uninvenzione fascista. Quello dei fascisti stato solo
uno specifico modo di intendere lideologia corporativa, che essi elevarono
a dottrina economica del regime, ma ridussero al tempo stesso a mera
giustificazione delle scelte da questo operate a livello politico.
Come noto, il processo storico che ha portato a costruire lordinamento
corporativo fascista ebbe inizio con il congresso sindacale di Bologna del
gennaio 1922, quando le organizzazioni sindacali fasciste facenti capo ad un
organismo creato poco pi di un anno prima (la Confederazione italiana dei
sindacati economici) si raggrupparono in cinque corporazioni di settore,
dando vita alla Confederazione generale dei sindacati nazionali, guidata da
Edmondo Rossoni. Queste corporazioni crebbero rapidamente di peso, per
il progressivo sfaldamento dei sindacati non fascisti e per le violenze
esercitate dalle famigerate squadre dazione contro le leghe operaie e le
cooperative socialiste e cattoliche.
Allinterno del fascismo si scontrarono in questa fase due diverse
concezioni del ruolo dei sindacati e delle corporazioni, che li
presupponevano. Da un lato vi erano i sindacalisti di Rossoni, favorevoli ad

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

un sindacato unico e obbligatorio, educatore pi che difensore delle masse


operaie e contadine, e ad uno stretto collegamento tra le organizzazioni
parallele di categoria dei lavoratori e dei datori di lavoro. Dallaltro coloro
che temevano uneccessiva espansione del peso politico dei sindacalisti e
preferivano pensare al sindacato unico ed obbligatorio come ad un organo
sussidiario dello Stato.
Questultimo orientamento trov espressione in un organismo consultivo:
la Commissione dei Diciotto (o dei Soloni), presieduta da Giovanni
Gentile e di cui erano membri anche tre economisti teorici: Arias, Gini e
Lanzillo - istituito allinizio del 1925 con il compito di preparare la nuova
legislazione dello Stato fascista. Questa commissione era favorevole in
maggioranza alla creazione di nuovi istituti di diritto pubblico che
coordinassero e limitassero lazione di sindacati dei lavoratori formalmente
liberi di organizzarsi come associazioni di fatto, ma privi di ogni
riconoscimento giuridico (riservato ai sindacati fascisti). Relatori
sullargomento furono per la maggioranza Gino Arias e per la minoranza
costituita dalla sinistra sindacalista, che perseguiva lideale di un capitalismo
di Stato socialmente avanzato - Edmondo Rossoni, il quale, pur sconfitto in
quella sede, riusc poi a far approvare dal Gran Consiglio del Fascismo
listituzione del sindacato unico e il riconoscimento alle corporazioni di
alcune funzioni normative in materia di disciplina dei rapporti di lavoro
subordinato e di coordinamento della produzione.

- 43 -

CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

I risultati di questa evoluzione non si fecero attendere. Nellottobre del


1925, con il patto di Palazzo Vidoni, che aboliva le commissioni interne
di fabbrica, demandandone le funzioni ai sindacati locali, la Confederazione
generale dellindustria si impegn a riconoscere come legittima controparte
i sindacati fascisti e a stipulare contratti di lavoro solo con essi. Segu,
nellaprile del 1926, unimportante legge sulla disciplina giuridica dei
rapporti collettivi di lavoro, che diede pieno riconoscimento ai sindacati
fascisti di categoria, estendendo erga omnes la validit dei contratti collettivi
da essi stipulati. Lo stesso provvedimento stabil il divieto di sciopero e di
serrata ed istitu una magistratura del lavoro.
Nel luglio del 1926 venne infine creato il Ministero delle Corporazioni,
che fu per reso funzionale solo nel 1929, dopo lo scioglimento del
Ministero dellEconomia Nazionale e dopo che Mussolini decise di
rinunciare a sette degli otto incarichi ministeriali che in quellepoca
ricopriva personalmente, affidandoli ai rispettivi sottosegretari. Da quel
momento il Ministero delle Corporazioni venne retto da Bottai, che lo tenne
fino al luglio del 1932, quando si dimise per le polemiche seguite al
convegno di studi sindacali e corporativi di Ferrara. Fu tuttavia ancora pi
tardi, a met degli anni 30, che le corporazioni ebbero attuazione pratica.
La legge istitutiva del Ministero delle Corporazioni aveva creato anche il
Consiglio Nazionale delle Corporazioni, che allinizio fu un semplice
organo consultivo del Ministero. Quando poi apparve chiaro che le
corporazioni erano organismi pressoch inutili, una volta completato

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

amministrativamente lordinamento corporativo, si cerc di dare loro un


diversa giustificazione, di carattere politico, trasformando nel 1939 il
Consiglio nazionale nella Camera dei fasci e delle corporazioni, che sostitu
la vecchia Camera dei Deputati.
Questo fu in sintesi, nel periodo fascista, il passaggio dallo Stato liberale
al corporativismo ma andiamo per gradi: la legge 563/1926 prevedeva un
sindacato unico per ciascuna categoria di datori e prestatori di lavoro,
nel senso che non poteva essere riconosciuta legalmente per ciascuna
categoria di datori di lavoro, lavoratori, artisti o professionisti, che una sola
associazione (art. 6, co 3 L. 536/26).
Questa associazione, a seguito del riconoscimento del governo, che
emetteva alluopo un decreto, diveniva persona giuridica di diritto pubblico
come ente ausiliare dello Stato, sottoposto a controlli statali.
Leffetto del decreto fu che il sindacato da un lato veniva dotato di potere
di rappresentanza legale di tutti i soggetti (iscritti e non) appartenenti alla
categoria (art.5, co 1 L. 563/26) dallaltro aveva facolt di stipulare contratti
vincolanti per tutti gli appartenenti alla categoria (art. 10) e non derogabili
in peius da parte del contratto individuale (art. 54 reg. esec. 1130/26). Le
Corporazioni rappresentavano, quindi, in maniera unitaria datori di lavoro
e lavoratori, ed erano chiamate a svolgere funzioni di natura consultiva, di
controllo, conciliativa e, in certa misura, anche normativa.31

31

SCOGNAMIGLIO, Diritto del Lavoro, Cacucci Editore, Bari, 1972, p. 212 ss.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

Potevano essere costituiti anche sindacati non riconosciuti, la stessa Carta


del Lavoro del 1927 parla di libert sindacale, ma di fatto essi non vennero
mai organizzati, non solo per timore del regime fascista, ma anche perch
questi ultimi non avrebbero avuto alcuno spazio di manovra rispetto al
sindacato riconosciuto dallo Stato
I provvedimenti in questione tenevano conto della visione organica e
coesa della societ nel senso del corporativismo e, quindi, linteresse dei
singoli e delle classi era subordinato al perseguimento dellinteresse
superiore della nazione.
Sul versante sindacale ci si risolse nella soppressione della libert
sindacale, (pur rimanendo astrattamente la possibilit di costituire pi
sindacati, in relazione ai quali, per, il governo si era riservato la possibilit
di conferire riconoscimento giuridico solo ad uno, purch fosse espressione
degli interessi di almeno il 10% dei lavoratori della categoria di riferimento
e fosse guidato da persone di sicura fede nazionale) e della libert di
sciopero.
La Carta del Lavoro, approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 21
aprile 1927 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30 aprile 1927,
rendeva vincolante l'efficacia dei contratti siglati dalle associazioni sindacali
riconosciute dalla legge nei confronti di tutti i lavoratori stabilendo che il
sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato ha il
diritto di () stipulare contratti collettivi di lavoro obbligatori per tutti gli
appartenenti alla categoria (cfr. art. 3).

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

Con la pubblicazione del Codice Civile del 1942, il contratto collettivo


venne inserito nella categoria delle norme corporative (art. 5 disposizioni
preliminari al c.c. 1942) e venne, poi, sottoposto ad una disciplina specifica
(artt. 2067-2077 c.c. 1942).
Nel periodo corporativo, quindi, la contrattazione collettiva era sottoposta
a vincoli di centralizzazione nazionale e di categoria; doveva essere
preordinata alla protezione della parte pi debole del rapporto di lavoro
attraverso la predeterminazione dei minimi di trattamento; doveva avere la
funzione di standardizzare le condizioni di lavoro e, in particolare, il costo
del lavoro nellarea di riferimento, nellambito pi generale di una disciplina
delleconomia nazionale.
In tale contesto, se non si poteva negare che il contratto collettivo traesse
origine dallincontro di volont delle associazioni rappresentanti i
contrapposti interessi di categoria, tuttavia fu affermato che esso non poteva
avere natura contrattuale perch nessuno scambio si realizzava tra le parti,
non esistendo tra le stesse nessuna antitesi di finalit che propria del
rapporto contrattuale.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

1.4. La questione dellart. 39 della Costituzione Repubblicana.


Il Decreto luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369 poneva fine al
periodo corporativista abrogandone lordinamento. Caduto lordinamento
corporativo, la preoccupazione del legislatore fu, prima di ogni altra cosa,
quella di impedire che i lavoratori rimanessero privi di tutela.
Tale preoccupazione fu risolta mediante il regime transitorio introdotto
dallart. 43 del succitato decreto luogotenenziale in base al quale per i
rapporti collettivi ed individuali restano in vigore, salvo le successive
modifiche, le norme contenute nei contratti collettivi, negli accordi
economici, nelle sentenze della magistratura del lavoro e nelle ordinanze di
cui agli art. 10 e 13 l. 3 aprile 1926, n. 563, e agli art. 8 e 11 l. 5 febbraio
1934, n. 163, e agli art. 4 e 5 r.d.l. 9 agosto 1943, n. 721.
A seguito di tale intervento i contratti di lavoro, cos come gli accordi
economici collettivi, stipulati durante il periodo corporativo, continuarono
ad essere validi non solo perch non furono oggetto di successiva modifica
o sostituzione da parte delle associazioni professionali dellepoca ma anche
perch, in caso di successiva modifica, questultima non spiegava efficacia
nei confronti dei prestatori e i datori non iscritti allassociazione
negoziatrice. In tali circostanze i contratti collettivi corporativi valevano
come norme con la conseguenza che potevano essere derogate solo da
disposizioni di pari rango, ovvero, in caso di disposizioni derogatorie non
introdotte a norma di legge, solo in presenza di condizioni pi favorevoli per
i lavoratori.
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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

La questione pi dibattuta era linciso salve successive modifiche per


capire quale fosse lefficacia da attribuire ai contratti collettivi mantenuti in
vita.
Quindi sebbene i contratti corporativi, a seguito della caduta
dellordinamento corporativo, si fossero trasformati in contratti di diritto
privato, la questione stata risolta ritenendo che quei contratti mantenessero
ferma lefficacia erga omnes che era stata attribuita loro dallordinamento
corporativo. Altra questione poi era quella di individuare quali fossero le
fonti che avrebbero potuto apportare ai contratti mantenuti in vita le
successive modifiche di cui allart. 43 e fu sostenuto che tali fonti
dovevano essere necessariamente superiori al contratto corporativo e quindi
modificabili solo tramite leggi.
Con quellinciso, in pratica, era stata restituita allautonomia collettiva
privata il potere di disciplinare la materia dei rapporti di lavoro mediante
stipulazione di contratti collettivi che, pur non essendo norme, avrebbero
potuto modificare quelli corporativi.32
Va comunque fatto presente che la garanzia di una generale osservanza
del contratto corporativo fu ottenuta in un primo momento con un
provvedimento legislativo anche se fu ben presto abbandonato tale
procedimento mentre i contratti corporativi venivano man mano sostituiti da
quelli collettivi che, non avendo una specifica regolamentazione, venivano

32

F. SANTORO-PASSARELLI, Contratto collettivo e norma corporativa, in Foro it.,


1949, I, p. 1069.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

regolati dalla disciplina dei contratti e per i quali era stato coniato il termine
contratto collettivo di diritto comune.
Il contratto collettivo avrebbe dovuto fornire la necessaria tutela per i
lavoratori che fu, in seno alla costituente, uno dei punti cardine da cui
muoversi per scrivere la Legge dello Stato, proprio per evitare che la crisi
del modello liberale si riproponesse con pi forza nelle questioni sociali e
nei cambiamenti repentini che la societ era destinata a intraprendere. La
Repubblica fondata sul lavoro ha forse proprio nella tutela del lavoro e della
contrattazione il suo punto pi debole tanto che il legislatore solo negli
ultimi tre anni dovuto intervenire ben quattro volte per regolamentare il
mercato del lavoro sempre pi sensibile al cambiamento delleconomia.
La vicenda del contratto collettivo, ritornato nellarea della autonomia
privata sembrava destinata, in riferimento alla questione della sua efficacia
soggettiva, a concludersi con lemanazione dellart. 39 della Costituzione
Repubblicana visto che questo avrebbe dovuto (o dovrebbe) consentire la
trasformazione del contratto collettivo corporativo, dotato ex se di efficacia
erga omnes, in contratto collettivo dotato di efficacia erga omnes in quanto
stipulato da un determinato organo e tramite una determinata procedura.
In particolare i commi successivi al primo, che stabilisce la libert
dellorganizzazione sindacale, stabiliscono un particolare procedimento che
permetterebbe ai sindacati registrati presso gli uffici pubblici di ottenere la
personalit giuridica necessaria per acquisire la peculiare capacit

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

contrattuale di partecipare al procedimento di stipulazione di contratti


collettivi aventi efficacia erga omnes.
Tale procedimento prevede la partecipazione dei sindacati in funzione
degli iscritti e per i quali essi partecipano con un numero di voti
proporzionali al numero di questi e quindi, per la ratio giuridica dei commi
terzo e quarto, era da individuare il privilegio che lo Stato concedeva ad enti
associativi di natura privata e lo stesso privilegio sarebbe consistito nel porre
in essere atti con efficacia normativa extra ordinem rispetto ai principi del
diritto privato e quindi di un atto in grado di incidere sulla sfera giuridica dei
singoli al di fuori di un loro atto espresso di volont.
La seconda parte dellart. 39 avrebbe cos garantito non solo lefficacia
soggettiva del contratto collettivo neutralizzando il dissenso individuale, ma
anche risolto il problema del conflitto intersindacale.
Il punto fondamentale, come la dottrina non tard a far notare, era che il
procedimento stabilito dai commi era fortemente influenzato dai modelli
corporativi e la stessa dottrina aveva espresso forti perplessit nei riguardi
dellimpianto della seconda parte dellart. 39 rinvenendovi uninsanabile
contraddizione con il principio di libert sindacale enunciata nella prima
parte.
Risultava, cos, difficile far convivere il modello pluralistico e
conflittuale nato dal 1 comma con il modello istituzionalizzato e ricco di
elementi ereditati dal periodo corporativo dei commi 3 e 4. Timori sulla
presenza di un super sindacato che avrebbe potuto mettere in ombra il

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

ruolo dei sindacati considerati singolarmente e valorizzati dal primo comma


dellart. 39 non tardarono a manifestarsi nella dottrina tanto da far affermare
che mai inadempienza del legislatore ordinario fu assistita da una
maggiore dose di costituzionalit.33
Limpegno della Costituente non diede i frutti sperati e la seconda parte
dellart. 39 rimasto lettera morta lasciando alla legislazione ordinaria di
porre in essere gli strumenti per lattuazione del procedimento.
I motivi di tale mancanza possono essere ricercati in diversi campi. Per
motivi tecnici visto che per la formazione delle rappresentanze unitarie
sarebbe stata necessaria una precisa determinazione del numero degli iscritti
di ciascun sindacato. Furono presentate diverse proposte in merito quali, per
esempio, lesibizione degli elenchi degli iscritti alle autorit o la
presentazione di una semplice dichiarazione riguardante il numero degli
iscritti medesimi da parte dei singoli sindacati. Tali proposte non raccolsero
il consenso unitario da parte delle associazioni sindacali.
Motivazioni di natura storico-politica che vedevano la CISL, protagonista
di un acceso contrasto nei riguardi della seconda parte dellart. 39, che
sosteneva la necessit di non far intervenire lo Stato nelle relazioni
industriali. Dietro questa posizione probabilmente si nascondeva il fondato
timore che le rappresentanze unitarie, costituite su basi proporzionali,

33

Cos ROMAGNOLI, Storia del Diritto Sindacale, in Digesto it. Disc. priv. sez. comm.
Utet, Torino, 1989, p.655.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

avrebbero finito con lattribuire alla CGIL unassoluta preminenza visto il


numero di iscritti che questa aveva.
Non va dimenticato, infine, lopposizione dei sindacati che vedevano,
nella seconda parte dellart. 39, minata la loro libert visto che la
registrazione richiesta avrebbe inevitabilmente comportato un controllo da
parte dellautorit governativa o amministrativa affinch potesse verificare
quellunica condizione richiesta dallart. 39 e quindi lesistenza di un
ordinamento interno a base democratica.
Lart. 39 Cost. stato definito addirittura una norma sbagliata34 e la
latitanza del legislatore addirittura provvidenziale visto che lo stesso non
avrebbe compreso lefficacia erga omnes del contratto collettivo, che
avrebbe avuto comunque natura privatistica e non pubblicistica e avrebbe
comportato una imposizione di obblighi fatta a fini di autotutela invece che
una attribuzione di diritti per chi sta fuori da esso.
La dottrina, preso atto della mancata attuazione della seconda parte della
disposizione costituzionale, si trov a dover risolvere gli stessi problemi che
si erano posti durante il periodo precorporativo, avendo il contratto efficacia
di legge soltanto tra le parti (art. 1372 Cod. Civ.).

34

F. SANTORO-PASSARELLI, Esperienze e prospettive giuridiche dei rapporti tra i


sindacati e lo Stato, in Riv. Dir. Lav., 1956, I, p. 1 ss. (nonch in Saggi di diritto civile,
I, pag. 139 ss.). Nello stesso senso M. PERSIANI, I soggetti del contratto collettivo con
efficacia generale, in Dir. Lav., 1958, I, p. 97 ss.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

Tuttavia, quella dottrina, arricchita dallesperienza corporativa, aveva


preso atto del fatto che il contratto collettivo doveva essere ricondotto ad una
autonomia diversa da quella individuale e quindi collettiva.
Il superamento della dottrina corporativa si verificato quando si
attribuita una rilevanza propria allinteresse dei gruppi considerati come
superiori e quindi destinati a prevalere sui singoli e sugli interessi dei singoli
mediante laffinamento della nozione di interesse collettivo.
Di affinamento si tratta in quanto la dottrina corporativa voleva superare
col contratto collettivo proprio quellinteresse dei singoli, mentre per la
dottrina privatistica la stessa volont delle associazioni era da considerarsi
collettiva, visto che alla base della volont vi linteresse di una pluralit di
persone verso un bene idoneo a soddisfare un bisogno collettivo e non
individuale.
In questa prospettiva, linteresse collettivo viene configurato quale sintesi
e non somma di interessi individuali, da questi distinto non soltanto
quantitativamente ma anche qualitativamente e come tale riferito ai singoli
soltanto uti universi giacch indivisibile, non diversamente
dallinteresse generale.35
Non mancarono ovviamente la critica a tale impostazione da parte di chi
riteneva che linteresse collettivo risultava viziato da un apriorismo
concettuale, da supposte realt metagiuridiche, non mediata nel linguaggio

35

F. SANTORO-PASSARELLI, Autonomia collettiva, giurisdizione, diritto di sciopero, in


Saggi di diritto civile, p. 178

- 54 -

CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

normativo, pertanto fino a che non si individuata lesistenza, nella realt


normativa, di tale qualificazione, non si pu usare la formula descrittiva che
la riassume36.
Tale teoria stata, inoltre, criticata perch inadeguata a spiegare
linderogabilit del contratto collettivo perch, poggiata sulla teoria del
mandato, era destinata a cedere nel momento in cui si realizz che le norme
codicistiche non prevedono certamente che il mandante debba restare
fedele alla disciplina dellaffare posta in essere dal mandatario37
In tale scenario, quindi, quella teoria, arricchita di ulteriori connotati da
parte di quella dottrina che ha specificato che linteresse collettivo
costituisce la sintesi di interessi finali e strumentali dei membri
dellorganizzazione ha fornito la materia prima per la costruzione della
fattispecie sindacale in modo preciso e concreto.
In particolare, stato precisato che linteresse collettivo rileva sul piano
del diritto soltanto se, ed in quanto, venga individuato e selezionato dalla
coalizione dei lavoratori organizzati per la propria tutela e quindi il sindacato
non soltanto lorganizzazione destinata a perseguire linteresse collettivo,
ma anche lorganizzazione che determina la rilevanza propria di
questultimo sul piano giuridico formale.

36

Cos GIUGNI, La funzione giuridica del contratto collettivo di lavoro, in AA.VV., Il


contratto collettivo di lavoro, Milano, Giuffr, 1968, p. 30
37
Cos ora CARINCI, DE LUCA TAMAJO, TOSI, TREU, Diritto del lavoro, I, Il diritto
sindacale, Torino, Utet, III ed. 1994.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

In virt delloriginariet del potere sindacale si potuto configurare un


sistema di relazioni intersindacali come vero e proprio ordinamento
giuridico originario in cui il sistema di relazioni industriali, inteso come
organizzazione comune delle fonti sulla produzione giuridica e quindi come
ordinamento, trova origine nel riconoscimento reciproco della propria
funzione rappresentativa tra i sindacati e cos le relazioni sindacali possono
essere concettualmente ordinate nella nozione di un ordinamento giuridico
originario e indipendente da quello statuale.
Riassumendo i termini del discorso si pu affermare che il problema
dellerga omnes fu affrontato, inizialmente, facendo riferimento al dualismo
tra privatizzazione e costituzionalizzazione, successivamente il panorama
dottrinario si fatto pi complesso e frammentato a causa dei tanti
cambiamenti indotti dalla rivoluzione tecnologica, dalla crisi economica e
dalla terziarizzazione del mondo del lavoro. La frammentazione della
problematica ha comportato, di conseguenza, una moltiplicazione delle
posizione dottrinali.
Parte della dottrina costituita dai c.d. trentanovisti, propugnava
lintervento legislativo come soluzione idonea al riordino del sistema, altri
sostenevano le capacit del diritto privato di dar risposta a questi problemi,
pur sottolineando la necessit di coordinare gli interventi legislativi per
introdurre procedure per consentire modalit adeguate di rappresentazione
dei vari interessi in gioco.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

Sostenitori dello status quo rivalutano il principio di effettivit come


collante dellintero sistema che si pone in alternativa, non tanto alla norma
costituzionale, quanto alla sua attuazione; altri ribadiscono, invece, la
necessariet di ricondurre il potere di contrattazione al suo unico
fondamento di legittimazione stabilito nel consenso.
Il tentativo di ricostruire il contratto collettivo nellottica costituzionale
fa perno solo sul primo comma dellart. 39 che ritenuto possedere enormi
potenzialit e gli esponenti di questa dottrina sembrano diretti verso una
terza via, a cavallo tra il modello costituzionale e quello privatistico,
configurando il contratto collettivo come capace di definirsi da s,
costituendo una figura sui generis in grado di assicurarsi autonomamente,
coadiuvato dal diritto civile, gli effetti di inderogabilit e della generale
vincolativit.
La mancanza dellattuazione dellart. 39 ha comunque consentito,
allazione e allorganizzazione sindacale, di esplicarsi secondo i modelli pi
adatti alle diverse modificazioni intervenute nelle stesse relazioni industriali
in conseguenza del progresso tecnologico e dellevoluzione del contesto
politico, economico e sociale nel quale le relazioni si svolgono consentendo
di costruire, di fatto, un sistema sindacale che si basa su un diritto sindacale
senza norme ma anche senza lacune proprio in virt del fatto che,
governato direttamente dal primo comma dellart. 39, il sistema sindacale ha
ottenuto i collegamenti necessari col legislatore che, anche coi suoi silenzi,
ha accolto e fatto propri determinati assetti de interessi ed equilibri.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

Il comportamento del legislatore va, quindi, considerato anche alla luce


dellapprezzamento nei confronti di questo sistema sindacale di fatto,
espressione del principio dellautonomia privata e che porta ad attribuire ai
suoi negozi un rilievo ed una tutela eccezionale rispetto a qualsiasi altro atto
si autonomia negoziale.
Non sono mancati tentativi di attuazione dei commi elusi dellart. 39
come il disegno di legge elaborato nel 1951 dal Ministro del Lavoro
Rubinacci che oltre a dettare norme eccessivamente restrittive in materia di
sciopero, giungeva a stabilire un controllo sulleffettivit dellordinamento
democratico prevedendo addirittura un potere di revoca delle registrazioni
da parte del Ministro qualora lassociazione registrata avesse commesso
gravi e reiterate violazioni delle norme statutarie tali da menomare
lordinamento democratico. Altro tentativo fu quello tentato dal CNEL nel
1960 con proposte per lattuazione degli artt. 39 e 40 Cost. rimasto lettera
morta.
In sintesi, lart. 39 della Costituzione norma che attualmente ha ancora
un contenuto valido e condiviso solo con riferimento al primo comma sulla
libert di associazione sindacale ma manca completamente nella sua parte
attuativa.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

1.5. Dalla Costituzione alla Legge 20 maggio 1970 n. 300


In un contesto di mancata attuazione dellart. 39 della Costituzione e
nellesigenza di conferire efficacia erga omnes ai contratti collettivi stipulati
nelle more dai sindacati (quali associazioni non riconosciute di diritto
privato), ancora non unanimemente applicati dalle realt economica, sociale
e giurisprudenziale, che avevano solo iniziato il loro percorso di estensione
in via di fatto anche ai non iscritti, il legislatore italiano, stante anche in
progressivo invecchiamento dei contratti corporativi rimasti in vigore,
decise di seguire via analoga ad altri Stati europei e con la L. 14 luglio 1959,
n.741, deleg il governo ad emanare decreti legislativi aventi come
contenuto lindividuazione di condizioni minime di lavoro, vincolandolo,
tuttavia, ad uniformarsi a tutte le clausole dei singoli accordi economici e
contratti collettivi, anche intercategoriali, stipulati dalle associazioni
sindacali prima dellentrata in vigore della legge (art. 1, L. 741/59).
A parte la disattesa attuazione dei commi successivi al primo dellart. 39
della Costituzione, la stessa detta regole di tutela. Partendo dalla
consapevolezza che, nel rapporto di lavoro, il lavoratore strutturalmente
soggetto debole (e non paritario come nei contratti commerciali in regime
privatistico) e, in quanto tale, oggetto di tutele sia di carattere normativo che
di carattere rappresentativo contrattuale. Da questo presupposto nascono gli
articoli che ne disciplinano le tutele:
Art. 1 L'Italia una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. [..]

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

Art. 35 La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed


applicazioni. [..]
Art. 36 Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla
quantit e qualit del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a
s e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa stabilita dalla legge. Il
lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non
pu rinunziarvi.
Art. 39 [..] I sindacati registrati hanno personalit giuridica. Possono,
rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare
contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli
appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.[..]
Art. 40 Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo
regolano.
Il passaggio dalleconomia di guerra a quella di pace determin non pochi
problemi in materia di lavoro. Linflazione incontrollata per effetto dei
pagamenti delle forze di occupazione al Sud; lo squilibrio creato dalla
politica fascista che vietava le importazioni e che quindi caus larretratezza
del Sud Italia, ancora essenzialmente agricolo, rispetto al nord delle
fabbriche che poi troveranno impulso dallattuazione del piano di
ricostruzione nazionale; la disoccupazione (circa due milioni agli inizi del
46) causata non solo dalla forza lavoro non impiegata pi in campo militare
ma anche dagli accordi sindacali sullo sblocco dei licenziamenti dalle

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

aziende per dare adito allabbandono del regime corporativo del lavoro;
inutilizzazione dei macchinari nelle fabbriche per la scarsa richiesta dovuta
ad un mondo pi concentrato sulla ricostruzione che sulla produzione. Va
inoltre ricordato che lo Stato decise di non intervenire pi in caso di squilibri
del sistema economico produttivo e ci, unito alla crisi inflattiva del 47 e
alla scelta di una strategia politica liberista, produsse una grave crisi del
mercato del lavoro.
La situazione si normalizz solo quando fattori strutturali prevalsero su
quelli congiunturali atte ad attirare ingenti risorse finanziarie ed economiche
per rilanciare la produzione italiana. Il blocco dei salari contribu a rafforzare
i principali gruppi industriali, in particolare quelli monopolistici, gettando
cos in crisi le piccole medie imprese.
La liberalizzazione del mercato dei capitali e delle merci, attuata tramite
la rinuncia alla disciplina dei cambi, la concessione di favori agli esportatori
per le valute e labbattimento dei controlli sulle importazioni di merci,
provoc la grave crisi speculativa ed inflattiva dellinizio del 47. Fu cos
che fu avviata la manovra deflattiva di Einaudi (Ministro del Tesoro
Democristiano).
La linea politica che prevale, al fine di risolvere i molteplici problemi
italiani, quella di abbandonare la chiusura degli scambi con lestero e la
politica di protezionismo che aveva caratterizzato il fascismo, per avviare
una progressiva liberalizzazione del mercato, volta a rafforzare gli scambi
esteri. Nel dibattito politico questa sembra lunica strada percorribile, sia

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

perch lItalia carente di materie prime, ma anche perch lesportazione di


prodotti finiti allestero permettono di ridimensionare il galoppante
fenomeno inflazionistico.
Tutto questo si esplicita negli anni con molteplici accordi, sia di carattere
nazionale che internazionale. Si ricordano tra gli altri gli interventi della
Banca dItalia a sostegno delleconomia nazionale, la politica della
Confindustria volta a dare allimprenditoria italiana nuove credenziali,
ladesione dellItalia al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca
Mondiale e alla CECA (Comunit Europea del Carbone e Acciaio). Questo
processo di integrazione alla comunit internazionale da origine nel 1957,
con la stipula del trattato di Roma, al Mercato Comune Europeo.
La creazione di detti accordi, affiancati al piano Marshall, volto ad
accelerare la ricostruzione in Europa, hanno come obiettivo quello di
sventare una eventuale crisi depressiva economica conseguente alla fine
delle spese belliche, privilegiando la creazione di un mercato di interscambio
internazionale.
Gli aiuti e la scelta di una politica di libero mercato, si manifestano in
Italia con forti cambiamenti sia nel tessuto sociale che nella struttura
lavorativa.
Tregua salariale e sblocco dei licenziamenti per il rilancio delleconomia
non erano state sconfitte dei sindacati ma frutto di accordi fatti che
chiedevano come contromisure il blocco dei prezzi, contingentamento delle
importazioni e una riforma fiscale ma queste richieste furono disattese e

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

lunione tra blocco dei salari e licenziamenti non riuscirono a rappresentare


il volano per la ripresa della produzione e degli investimenti ma furono
utilizzate dallimprenditoria industriale per colpire lintero assetto dei
rapporti con la classe operaia e con il sindacato scatenando cos una lotta
sociale senza precedenti per lottenimento delle tutele stabilite dalla
Costituzione e disattese dalla prassi.
Di fatto il compromesso costituzionale che si era realizzato in sede di
Assemblea Costituente... e laccettazione del regime di protezione
americana nellambito degli aiuti del piano Marshall, spinsero diversi
soggetti politici e istituzionali, dallo Stato alle organizzazioni padronali ed
imprenditoriali, ad esprimere i propri interessi ed a sperimentare i nuovi
meccanismi di democrazia, legittimando quindi le proprie identit.
Si assiste quindi in questi anni alla progressiva politicizzazione dei
sindacati che porteranno alla fase dellegemonia, fase in cui il rapporto di
massa dei partiti si sviluppa grazie al ruolo dei sindacati da essi diretti
(spesso

non

formalmente

schierati

politicamente)

anche

solo

ideologicamente, ma sar anche la fase dellavanzata e delle grandi


conquiste del movimento sindacale di classe che durer fino agli anni 70 e
che segner un ragguardevole arretramento del capitalismo, successivo ad
una crisi che per la prima volta assumer un carattere in apparenza
irreversibile.
Il 1950 diventa cos teatro della nascita degli altri due sindacati
confederati dalla scissione avvenuta allinterno della CGIL dopo che si era

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

portato a compimento il patto tripartito per lalleanza nazionale. Nascono


nellordine il 5 marzo la UIL e il 30 aprile la CISL. Saranno questi tre grandi
sindacati che, per il regime proporzionale previsto dallart. 39 Cost., saranno
i protagonisti per gli accordi in tema di contrattazione del lavoro.
La convinzione che fosse possibile delegare la ricostruzione allindustria
e la conseguenza assenza dello Stato nella regolarizzazione dei rapporti,
aggiunta alla politicizzazione dei sindacati fece s che le condizioni in
fabbrica peggiorassero fino ad arrivare ad una vera e propria repressione
sulla base dei ricatti salariali. La politica liberista non fece che aumentare i
problemi visto che laumento dellinflazione aggiunto al blocco salariale
caus un decremento nel potere dacquisto delle famiglie operaie. In queste
condizioni se non ci fosse stata la ripresa economica sarebbe scoppiata una
rivoluzione sociale senza precedenti.
La liberalizzazione degli scambi commerciali con altri paesi europei, la
riduzione del 10% sui dazi doganali e labolizione dei contingenti, grazie
allintervento del ministro del commercio con lestero Ugo La Malfa il 1
novembre 1950, furono insieme le misure che rilanciarono leconomia della
nazione e che mutarono le condizioni del lavoro in Italia. Molto del successo
delle manovre fu dovuto al basso costo della manodopera italiana inferiore
al 40% rispetto a quella europea. Cominci cos per la politica sindacale la
grande lotta per il salario e per la flessibilit in uscita visto che i pensionati
prendevano in un anno poco pi di una mensilit del salario di un operaio. Il
processo di industrializzazione, che in realt conobbe lItalia a due motori,

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

port la popolazione a mutare anche le proprie abitudini sociali che


porteranno, negli anni successivi, ad una completa modifica dellindustria
che direzioner la sua produzione al di fuori degli schemi Taylor-Ford
cominciando ad esternalizzare la propria produzione e modificando le
condizioni dei lavoratori del settore.
Lesigenza di sfruttare al massimo gli impianti induceva alla necessit di
massimizzare lo sfruttamento della forza lavoro massimizzare la produzione
attraverso limpiego di operai meno pagati, meno specializzati e che
potevano spostarsi dai loro paesi di origine per il posto sicuro in fabbrica.
Questa situazione fu favorita anche dallimplosione del settore agricolo
meridionale che lasci molte famiglie in una povert tale che molti furono
disposti a lasciare tutto per immergersi nel profondo nord per un salario che
garantisse almeno il pasto quotidiano38.
Il boom degli anni 50 trov, come una cambiale in scadenza, il suo
sconto a partire dal 1963 quando si scatenarono le grandi lotte sindacali che
si riaffacceranno alla fine degli anni 60.
A partire dal 1959 la legislazione in termini di lavoro trov nuovo
impulso. Per prima vennero estese a tutti i lavoratori le condizioni di lavoro
e le normative contenute nei contratti collettivi; nel 1960 fu fondamentale la
riforma dellintermediazione di manodopera che consent di superare il

38

In verit lo stato cerc di intervenire per regolarizzare la situazione istituendo la Cassa


del Mezzogiorno e proponendo una nuova riforma in campo agrario ma per una serie di
motivi questi provvedimenti non andarono a buon fine e anzi negli anni 60
contribuiranno ad aggravare lo scontro sociale.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

caporalato che metteva i lavoratori, specie al sud, in mano ad


organizzazioni criminali e li esponeva allo sfruttamento. La legge oper per
riconoscere

condizioni

paritarie

tra

lavoratori

dellappaltatore

dellappaltante spingendo verso la prevalenza della sostanza sulla


forma, una delle caratteristiche fondamentali del diritto del lavoro.
Segu poi la riforma del contratto a termine (1962), vincolando
lutilizzazione di questo a ben precise condizioni e forme con conversione
in contratto a tempo indeterminato in caso di violazione per evitarne labuso
allo scopo di sottrarsi alle norme di tutela del lavoro a tempo indeterminato
(importante per lo sviluppo successivo della normativa sui licenziamenti) e
la legge del 1963 sul divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa
matrimonio.
Il massiccio flusso migratorio del miracolo italiano aveva portato ad
una modifica sostanziale della classe operaia che, arricchita dalla massa
contadina in continua emigrazione e con spiccata propensione alla
ribellione, determinarono un inasprirsi di conflitti sociali tra nuovi operai e
classe imprenditoriale che spesso sfociarono in veri e propri episodi di
guerriglia urbana.
La centralit del salario da un lato diventava il vettore della
centralizzazione del conflitto in fabbrica dallaltro attraverso la tematica
degli aumenti uguali per tutti, il che assicurava la massima partecipazione
degli operai comuni poneva le premesse per un attacco a tutta
lorganizzazione del lavoro e assicurava il massimo di spinta conflittuale.

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CAPITOLO PRIMO
Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori

Alla tematica salariale si aggiungeva quella per la riduzione dellorario di


lavoro, che gi aveva ottenuto dei risultati con gli impegni firmati per la
riduzione dellorario a 44 ore settimanali nellaccordo tra CGIL con FIAT e
Olivetti, ma anche il rifiuto della disciplina in azienda, la critica alle forme
di rappresentanza esistenti, la lotta alla nocivit e per il risanamento
dellambiente di lavoro. La lotta sindacale ebbe modo di svilupparsi anche
fuori dal contesto della triplice e divenne il caposaldo delle rimostranze
sindacali e degli operai fino a che queste non culminarono nellapprovazione
dello Statuto dei Lavoratori con la L. 300/1970.

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