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CAPITOLO PRIMO
IL DIRITTO DEL LAVORO DALLE ORIGINI ALLO STATUTO DEI LAVORATORI
SOMMARIO:
1.1.Cenni introduttivi - 1.2. Le origini del Diritto del Lavoro: la tutela del lavoratore.
- 1.3. Il Corporativismo Fascista - 1.4. La questione dellart. 39 della Costituzione
Repubblicana. - 1.5. Dalla Costituzione alla Legge 20 maggio 1970 n. 300
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Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori
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Il Diritto del Lavoro dalle origini allo Statuto dei Lavoratori
Atti del convegno Verso fondata sul lavoro. Lavoro e ricerca: nuovi studi per un lavoro
che cambia, 21 giugno 2012, Comune di Milano, Viale DAnnunzio 15
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Poletti e i vari decreti legislativi seguiti tra i quali gli ultimi 150 e 151 del 14
settembre 2015 di riforma del lavoro) sembra che questi provvedimenti
prima ed invece di dare impulso alloccupazione e risolvere gli effettivi
problemi di accesso alloccupazione, creano presupposti di un precariato
istituzionalizzato per i lavoratori fornendo solo ai datori di lavoro un
concreto mezzo per accedere, senza il contrasto dellart. 18 dello Statuto dei
Lavoratori, a forme di lavoro che favoriscono la produzione limitando il
costo del lavoro che stato ritenuto responsabile principale della crisi al
posto dei cattivi investimenti bancari.
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in
concomitanza
con
la
nascita
del
proletariato,
dellurbanizzazione e dellemigrazione.
Queste trasformazioni socio-economiche-politiche fanno emergere
nuove forme di povert e il susseguirsi di periodiche recessioni economiche,
con conseguente aumento della disoccupazione, la necessit di provvedere
alle esigenze di vedove, orfani e di tutti quelli che per vari motivi mancano
delle risorse necessarie per vivere, fa nascere lesigenza di un intervento
diretto dello Stato. Gli Stati interessati a questo cambiamento radicale nel
modo di intendere la Societ furono quelli che potevano contare sui sovrani
illuminati e, con laffermazione dei principi civili riconosciuti dalla
costituzione del 1791 e dal riconoscimento dei diritti del cittadino,
divengono queste trasformazioni il corso naturale dellevolversi della
Societ. Lacuirsi del conflitto sociale tra proletariato e borghesia della fine
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dellOttocento fa il resto. Questo vale per lEuropa e per tutti quegli Stati
che potevano contare su una unit nazionale e un riconoscimento di
cittadinanza per coloro che abitavano geograficamente nelle aree di
competenza di questi Stati ma non poteva valere per lItalia che era ancora
allo stato embrionale ed era divisa in piccoli Stati governati da sovrani
tuttaltro che illuminati. In questo risiede anche il naturale ritardo dello Stato
italiano anche nel riconoscimento dei diritti dei lavoratori.
In Italia, quindi, il diritto del lavoro ha avuto una nascita tardiva rispetto
a tutti gli altri Paesi e fino alla Costituzione Repubblicana, in realt in molte
parti incentrata proprio sul lavoro, si potevano trovare solo piccoli accenni
allinterno del Codice Civile del Regno.
Genericamente, questo diritto consta di una varia regolamentazione, di
diversa provenienza, che ha per fine quello di apprestare tutela, su diversi
piani, alla parte pi debole del rapporto di lavoro, che nel contratto classico
costituita dal lavoratore nei confronti del datore, o ad altri soggetti ritenuti
meritevoli di protezione.
Per tradizione questo diritto si distingue in diritto sindacale, diritto del
lavoro in senso stretto, diritto previdenziale.
I1 diritto sindacale attiene alla posizione dei sindacati nellordinamento,
alla contrattazione collettiva, allo sciopero e alla serrata. Il diritto del lavoro
in senso stretto attiene alla regolamentazione della relazione giuridica tra le
parti del rapporto di lavoro (datore di lavoro e lavoratore). I1 diritto
previdenziale riguarda la tutela dei soggetti protetti avverso eventi
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dal
dispositivo rispetto
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In Italia i Probiviri per la conciliazione delle controversie sorte tra imprenditori, operai ed
apprendisti nellesercizio delle industrie furono istituiti con la Legge n. 295 del 15
giugno 1893.
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Anche in quella societ ai primordi del lavoro industriale in Italia era prevista una forma
di lavoro atipico che lobiettivo principale dello studio di questa Tesi. La modifica
profonda del sistema economico e sociale esistente, fino a quel momento fondato
prettamente su attivit agricole e di allevamento di una societ prettamente rurale
comport una attenzione diversa verso la societ operaia che si andava formando e si
svilupp, cos, la consuetudine di consentire al datore di lavoro, dotato di potere sovrano
sui propri dipendenti, di introdurre nel contratto di lavoro sottoscritto con gli operai di
volta in volta assunti, un periodo di prova colto a saggiarne le capacit e le energie
lavorative.
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Pera G. op. cit.
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Lart. 1570 del codice civile del 1865 definiva la locazione delle opere come contratto per
cui una delle parti si obbligava a fare per laltra una cosa mediante la pattuita mercede.
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Tale disposizione era poi ulteriormente precisata dallart. 1627, il quale specificava come
vi sono tre principali specie di locazione di opere e dindustria: 1- quella per cui le
persone obbligano la propria opera allaltrui servizio; 2- quella de vetturini s per
terra come per acqua, che sincaricano del trasporto delle persone o delle cose; 3quella degli imprenditori di opere ad appalto o cottimo.
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La lettera della legge era infatti chiarissima nel sancire che nessuno pu obbligare la
propria opera allaltrui servizio che a tempo, o per una determinata impresa (art. 1628
cod. civ. 1865).
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Indicazioni si possono trovare in I.MODICA, Il contratto di lavoro nella scienza del diritto
civile e nella legislazione. Studio storico-critico-comparato, Reber, Palermo 1897, p.
169 ss. una delle prime monografie della materia con ampiezza nella trattazione e con
approccio storico-sociale corroborato da riferimenti enciclopedici cui non fa riscontro
unattenta e rigorosa trattazione giuridica.
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Decreto Luogoten. n. 112 del 9 Febbraio 1919 abrogato poi dalla Legge 1825 del 13
Novembre 1924.
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storia
plurisecolare
del
nostro
pensiero
economico
il
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canto, tra i corporativisti della prima ora vi perfino chi ha ritenuto che il
fascismo abbia tradito lo spirito originario del sindacalismo rivoluzionario,
svuotandone dallinterno le spinte innovative e favorendone una
degenerazione di tipo burocratico.
In presenza di questo variegato spettro di opinioni, non meraviglia che
alcuni autori, idealizzando ulteriormente il corporativismo, abbiano visto in
esso una sorta di mitico strumento di salvezza della nazione, la speranza
demiurgica della risoluzione dei contrasti di classe e dei problemi della
miseria nazionale13.
Altri interpreti, nel rifiutare lidentificazione largamente invalsa del
corporativismo con la dottrina economica del fascismo, hanno sostenuto
unestraneit di principio del movimento corporativo, considerato nella sua
forma pi pura, rispetto ad un regime totalitario, che non ammetteva che un
unico partito ed un unico sindacato. Questi autori hanno di conseguenza
prospettato la possibilit di un recupero di larga parte del pensiero
corporativista, in un diverso contesto, pluralista e democratico14.
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costituisce ancora una tessera dai contorni poco chiari, che ostacola una
ricostruzione esauriente del faticoso percorso attraverso cui si pervenuti
alle conoscenze odierne.
Nonostante la notevole mole di letteratura storiografica sul Fascismo 15
alcuni aspetti della dottrina e delleffettiva dinamica istituzionale del regime
appaiono, in proporzione, molto meno indagati tanto che vi una difficolt
insita nella ricerca delle fonti quando si vuole ricostruire la nascita e lo
sviluppo della dottrina corporativa.
Allinterno della stessa letteratura che in modo pi specifico si occupata
della tematica corporativa occorre ulteriormente operare una distinzione di
tipo cronologico. Il tema del corporativismo ha riscosso unattenzione
discontinua da parte degli studiosi nel corso della storia e cos mentre pi
abbondante nel periodo fascista, nel dopoguerra largomento stato
praticamente ignorato dal dibattito politico e culturale per essere ripreso solo
a partire dagli anni Sessanta soprattutto per la reticenza mostrata dalla
cultura antifascista per un esperimento enfatizzato dal regime.
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La tesi che pone lorigine del fascismo nella guerra del 15-18 stata sostenuta gi negli
anni Venti. Cfr. Luigi Salvatorelli, Nazionalfascismo, Torino, Gobetti, 1923; Angelo
Tasca, La naissance du fascism. LItalie de 1918 a 1922, Paris, 1938 (trad.it. Id., Nascita
e avvento del fascismo. lItalia dal 1918 al 1922, Firenze, La Nuova Italia, 1950).
Federico Chabod, LItalia contemporanea (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961. Gaetano
Salvemini, The Fascist Dictatorship in Italy, London, 1928 (trad.it. in Id., Scritti sul
fascismo, I, a cura di R. Vivarelli, Milano, Feltrinelli, 1961).
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Ma ancora oltre se si guarda al giudizio che Norberto Bobbio, nel 1973, dava della cultura
fascista: Una cultura fascista nel duplice senso di una cultura fatta da fascisti dichiarati
o a contenuto fascista non mai realmente esistita, o almeno non riusc mai, per quanti
sforzi venissero compiuti, a prendere forma in iniziative o imprese durature e
storicamente rilevanti. In G. Quazza (a cura di), Fascismo e societ italiana, Torino,
Einaudi, 1973, cit. p. 220.
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Zanni Rosiello (a cura di), Gli apparati statali dallUnit al fascismo, Il Mulino, Bologna,
1976.
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anni Trenta. Gi prima dellavvento del fascismo e prima dello scoppio della
guerra si parlava di una crisi delle istituzioni liberali19 che vedevano nella
crisi operaia di inizio secolo lincapacit ad affermarsi anche perch
espressione di ununica classe sociale che, seppure con il potere di suffragio,
si trovava ad affrontare la questione sociale mostrandosi incapace di gestirla.
La crisi era derivata dallerodersi della struttura monoclasse dello Stato e
dellirrompere sulla scena pubblica di una organizzazione sociale dalla
struttura sempre pi complessa e differenziata che chiedeva maggior grado
di partecipazione alle decisioni pubbliche. Ci che accumun le varie letture
sulla crisi in quegli anni, infatti, fu lindividuazione della sua causa
principale nellinadeguatezza di una struttura istituzionale incapace di
stabilire un rapporto positivo con la complessit della societ.
Come gi detto il pensiero maturato negli anni a cavallo del secolo di
risolvere i conflitti sociali attraverso una rappresentanza corporativa degli
interessi cominci a farsi strada e a pi riprese, durante quegli anni, verr
ripreso il tema della trasformazione delle basi della rappresentanza politica
da individuali ad organiche e corporative20.
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nei termini di un compromesso tra le istanze politiche del regime e gli schemi teorici
delleconomia liberale che il corporativismo venne inteso da quegli studiosi che
vengono talvolta definiti corporativisti formali, ad indicare che la loro accoglienza
della ideologia corporativa non si spingeva molto al di l delladesione ufficiale
sollecitata dal regime. Ad essi si contrapponevano altri studiosi, che rifiutavano il
postulato economicistico, a loro volta descritti come corporativisti integrali. Ma la
distinzione tra corporativisti formali ed integrali non sembra poter rappresentare
storicamente un punto fermo. In tema di purismo ed anti-purismo, per esempio, questi
autori avevano idee molto diverse. Sul concetto di corporativismo integrale, cfr. M.
MANOILESCO, Le sicle du corporatisme. Doctrine du corporatisme intgral et pur,
Librairie Flix Alcan, Paris, 1934.
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descriveva gli aspetti, a quel tempo pi interessanti, in un magistrale discorso
pronunciato a Pisa per linaugurazione dellanno accademico24.
24
A. Rocco, Crisi dello Stato e sindacati (1920), in Scritti e discorsi politici, Milano, 1938,
II, p. 631
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Sergio Panunzio, Stato e sindacati, in Id., Il fondamento giuridico del fascismo, Bonacci,
Roma, p.139.
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Dopo lo scioglimento nel 1927 della C.G.L., Rinaldo Rigola - di cui si ricorda una Storia
del movimento operaio italiano, edita a Milano nel 1947 - costitu con altri vecchi
militanti sindacalisti (Maglione, Reina, ecc.) lAssociazione nazionale per lo studio dei
problemi del lavoro, che fin poi col confluire nel movimento corporativo fascista.
28
P. BINI, Il salario corporativo negli studi tra le due guerre, in R. FAUCCI (a cura di),
Gli italiani e Bentham: dalla felicit pubblica alleconomia del benessere, Angeli,
Milano, 1982, vol. 2, pp. 253-83; F. PERILLO, Introduzione al secondo volume
dellantologia a cura di A. MANCINI, F. PERILLO e E. ZAGARI, La teoria economica
del corporativismo, Ediz. Scientifiche Italiane, Napoli, 1982. Tra gli scritti pi
significativi dei corporativisti sul salario corporativo possono ricordarsi quelli di G.
ARIAS, Il salario corporativo, Modena, 1929; F. CARLI, Applicazione della teoria del
valore al salario corporativo, Archivio di studi corporativi, 1930, n. 2; N.M. FOVEL,
Interpretazione economica del salario corporativo, Leconomia italiana, ottobre
1931; U. SPIRITO, Il problema del salario, Critica fascista, 1 ottobre 1932; C. E.
FERRI, La remunerazione corporativa delloperaio, Economia, ottobre 1937, e Il
sistema della remunerazione corporativa integrale, ibidem, maggio 1938.
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F. CARLI, Applicazione della teoria del valore al salario corporativo, cit., p. 321. Carli
aggiungeva che lequilibrio non andava inteso in senso statico e meccanico, ma in senso
dinamico ed etico. Il salario di equilibrio era quello che, secondo la XII disposizione
della Carta del Lavoro doveva rispondere alle esigenze normali di vita, alle possibilit
della produzione e al rendimento del lavoro
30
Nellintento di evitare abusi di potere monopsonistico o monopolistico sul mercato del
lavoro, la legislazione fascista aveva previsto una disciplina pubblicistica molto rigida
di tale mercato, in deciso contrasto con il principio dellautonomia contrattuale dei
singoli soggetti economici. Agli accordi corporativi era attribuita per legge efficacia
erga omnes; erano vietati sia lo sciopero sia la serrata, e le controversie in materia di
lavoro dovevano essere risolte da un intervento arbitrale.
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SCOGNAMIGLIO, Diritto del Lavoro, Cacucci Editore, Bari, 1972, p. 212 ss.
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regolati dalla disciplina dei contratti e per i quali era stato coniato il termine
contratto collettivo di diritto comune.
Il contratto collettivo avrebbe dovuto fornire la necessaria tutela per i
lavoratori che fu, in seno alla costituente, uno dei punti cardine da cui
muoversi per scrivere la Legge dello Stato, proprio per evitare che la crisi
del modello liberale si riproponesse con pi forza nelle questioni sociali e
nei cambiamenti repentini che la societ era destinata a intraprendere. La
Repubblica fondata sul lavoro ha forse proprio nella tutela del lavoro e della
contrattazione il suo punto pi debole tanto che il legislatore solo negli
ultimi tre anni dovuto intervenire ben quattro volte per regolamentare il
mercato del lavoro sempre pi sensibile al cambiamento delleconomia.
La vicenda del contratto collettivo, ritornato nellarea della autonomia
privata sembrava destinata, in riferimento alla questione della sua efficacia
soggettiva, a concludersi con lemanazione dellart. 39 della Costituzione
Repubblicana visto che questo avrebbe dovuto (o dovrebbe) consentire la
trasformazione del contratto collettivo corporativo, dotato ex se di efficacia
erga omnes, in contratto collettivo dotato di efficacia erga omnes in quanto
stipulato da un determinato organo e tramite una determinata procedura.
In particolare i commi successivi al primo, che stabilisce la libert
dellorganizzazione sindacale, stabiliscono un particolare procedimento che
permetterebbe ai sindacati registrati presso gli uffici pubblici di ottenere la
personalit giuridica necessaria per acquisire la peculiare capacit
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Cos ROMAGNOLI, Storia del Diritto Sindacale, in Digesto it. Disc. priv. sez. comm.
Utet, Torino, 1989, p.655.
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aziende per dare adito allabbandono del regime corporativo del lavoro;
inutilizzazione dei macchinari nelle fabbriche per la scarsa richiesta dovuta
ad un mondo pi concentrato sulla ricostruzione che sulla produzione. Va
inoltre ricordato che lo Stato decise di non intervenire pi in caso di squilibri
del sistema economico produttivo e ci, unito alla crisi inflattiva del 47 e
alla scelta di una strategia politica liberista, produsse una grave crisi del
mercato del lavoro.
La situazione si normalizz solo quando fattori strutturali prevalsero su
quelli congiunturali atte ad attirare ingenti risorse finanziarie ed economiche
per rilanciare la produzione italiana. Il blocco dei salari contribu a rafforzare
i principali gruppi industriali, in particolare quelli monopolistici, gettando
cos in crisi le piccole medie imprese.
La liberalizzazione del mercato dei capitali e delle merci, attuata tramite
la rinuncia alla disciplina dei cambi, la concessione di favori agli esportatori
per le valute e labbattimento dei controlli sulle importazioni di merci,
provoc la grave crisi speculativa ed inflattiva dellinizio del 47. Fu cos
che fu avviata la manovra deflattiva di Einaudi (Ministro del Tesoro
Democristiano).
La linea politica che prevale, al fine di risolvere i molteplici problemi
italiani, quella di abbandonare la chiusura degli scambi con lestero e la
politica di protezionismo che aveva caratterizzato il fascismo, per avviare
una progressiva liberalizzazione del mercato, volta a rafforzare gli scambi
esteri. Nel dibattito politico questa sembra lunica strada percorribile, sia
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condizioni
paritarie
tra
lavoratori
dellappaltatore
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