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FAP e DPF

FAP E DPF

In questa monografia vengono trattati il Filtro AntiPraticolato (FAP) e il Diesel


Particulate Filter (DPF).

La stragrande maggioranza dei veicoli terrestri e' alimentata da combustibili


liquidi o gassosi derivati dal petrolio (benzina, gasolio e GPL) e, in proporzioni
sempre piu' crescenti, dal metano. Cio' che accomuna tutte queste fonti di
energia, eccezion fatta per il metano, e' la loro tendenza a produrre, a seguito
delle reazioni chimiche che avvengono nella fase di combustione nel cilindro,
alcune sostanze inquinanti dannose per la salute degli esseri viventi. In
teoria, a seguito di una combustione idealmente perfetta di un combustibile
fossile puro, si producono solo vapore acqueo (di formula chimica H2O) ed
anidride carbonica (CO2), quest'ultima, benche' responsabile dell'effetto
serra, assolutamente non tossica (come noto, viene anche prodotta di notte
dai vegetali). In realta', la combustione che si verifica nei motori e' ben lungi
dall'essere perfetta e completa, e i combustibili, dal canto loro, contengono
molte impurita' (ad esempio lo zolfo) ed additivi, anche se in quantita' minore
rispetto al passato. Pertanto, vengono emessi nell'atmosfera degli inquinanti
che possono essere raggruppati, dal punto di vista della loro
regolamentazione, in quattro famiglie: il monossido di carbonio (CO), gli
idrocarburi incombusti (HC), gli ossidi di azoto (NOx) e, tipico dei motori
Diesel, il particolato. Sinteticamente, il CO nasce da una combustione
incompleta, gli HC ed il particolato invece sono frutto di una mancata
combustione, infine gli NOx si formano a causa delle alte temperature
raggiunte nel cilindro.

Puntualizziamo un concetto: la marmitta catalitica (o catalizzatore) non e' un


filtro (tipo quello delle sigarette) che trattiene gli inquinanti, bensi' e' uno
strumento in cui, a seguito di reazioni chimiche, le sostanze nocive vengono
trasformate in sostanze meno pericolose. Essa si presenta esternamente
come una scatola di acciaio posizionata tra il motore ed il silenziatore, mentre
la sua struttura interna puo' essere realizzata in due modi: o con un blocco di
ceramica solcato da innumerevoli canaletti dalla caratteristica forma a "nido
d'ape" oppure con tanti sottilissimi fogli metallici corrugati e arrotolati l'uno
sull'altro per formare dei microcanali. La superficie di queste canalizzazioni e'
poi impregnata di tre metalli molto rari e costosi: il platino, il palladio ed il

rodio.

La chimica insegna che si definisce catalizzatore una sostanza che permette


di accelerare una reazione chimica senza prenderne parte, cioe' senza
trasformarsi, e a temperature piu' basse di quelle che servirebbero
normalmente. I tre elementi menzionati sono proprio dei catalizzatori, il cui
compito e' trasformare gli inquinanti regolamentati in sostanze meno nocive.
Molto schematicamente, nella marmitta catalitica hanno luogo due reazioni
chimiche contemporanee: la reazione di riduzione, che e' favorita dal rodio,
"strappa" gli atomi di ossigeno (O) agli NOx, che cosi' diventano innocuo
azoto (N2), i quali sono poi ceduti tramite la reazione di ossidazione, alla
quale partecipano platino e palladio, al CO e agli HC per trasformarli in H2O e
CO2. Un ambiente povero di ossigeno favorisce la prima reazione e inibisce la
seconda; l'esatto contrario accado in un ambiente ricco di ossigeno e la
marmitta dovra' riuscire a soddisfare queste opposte esigenze. Per questa
capacita' di trasformare contemporaneamente tre sostanze, la marmitta
catalitica e' detta ad azione trivalente o a tre vie.

Affinche' questi processi avvengano in maniera completa e corretta, e'


necessario che la marmitta catalitica ed il motore che emette i gas di scarico
rispondano a determinati criteri funzionali. La superficie dei canalini presenti
all'interno del catalizzatore deve essere molto elevata per favorire un ampio e
prolungato contatto tra inquinanti e sostanze catalizzatrici. Molto importante
e' la capacita' della marmitta di riscaldarsi velocemente: essa comincia a
convertire il 50% delle sostanze inquinanti a partire da una temperatura di
250-300 C, per poi raggiungere un funzionamento ottimale attorno ai 500
C. Questo aspetto e' divenuto particolarmente sentito dal momento in cui i
cicli di omologazione anti-inquinamento (che sono specifiche prove
standardizzate per misurare consumi ed emissioni) hanno cominciato a dare
sempre piu' peso ai primi minuti di funzionamento del motore dopo un
avviamento a freddo. Per favorire, quindi, un rapido riscaldamento, vengono
adottati alcuni accorgimenti come impiegare resistenze elettriche che
preriscaldano i gas di scarico o collocare il catalizzatore piu' vicino al motore
dove i gas sono piu' caldi.

Ma il piu' importante contributo al corretto funzionamento della marmitta


catalitica deve essere dato dal motore stesso. Per comprendere questo
fondamentale concetto, ripassiamo cos'e' il rapporto stechiometrico: esso e' il
rapporto in peso fra la massa d'aria e la massa di combustibile con cui il
motore e' alimentato, il cui valore ottimale per la combustione vale 14,7 per i

motori a benzina (cioe' servono 14,7 kg di aria per bruciare un kg di benzina)


e 14,5 per il gasolio. Sfortunatamente, il catalizzatore puo' svolgere
correttamente la sua funzione trivalente solo in un campo di rapporti
aria/benzina molto prossimo al valore stechiometrico (con scostamenti non
superiori all'1%). La motivazione di cio' e' illustrata nel grafico sotto riportato,
che rappresenta la cosiddetta efficienza di conversione di una marmitta
catalitica: sull'asse orizzontale troviamo il rapporto aria/combustibile,
spostandoci verso sinistra abbiamo una miscela ricca (cioe' con eccesso di
combustibile) mentre verso destra una miscela povera (con eccesso d'aria);
sull'asse verticale e' invece rappresentata l'efficacia di trasformazione delle
tre sostanze inquinanti. La banda verticale evidenziata rappresenta la zona in
cui il rapporto aria/benzina e' prossimo al valore stechiometrico di 14,7: si
osserva che in tale fascia la marmitta catalitica converte efficacemente e,
notiamo bene, contemporaneamente, oltre l'80% delle sostanze inquinanti,
mentre se lavorasse sulla sinistra del grafico (cioe' con miscele povere di
ossigeno) riuscirebbe a trasformare solo gli NOx, verso destra (cioe' con
eccesso di ossigeno) convertirebbe solo CO e HC.

L'esigenza di avere una miscela con rapporto stechiometrico o quasi, ha


portato alla repentina scomparsa dei carburatori quando divenne obbligatoria
la marmitta catalitica, poiche' con essi il rapporto aria/benzina poteva
oscillare tra 13 e 16, ben lontano dal valore richiesto. Si e' quindi assistito alla
definitiva affermazione dei sistemi ad iniezione elettronica con sonda lambda,
ossia con un sensore posto prima del catalizzatore che "assaggia" i gas
combusti per verificare che il motore stia funzionando con una corretta
miscela stechiometrica e informa la centralina elettronica qualora cio' non si
verifichi per attuare le correzioni opportune. Contemporaneamente ai
carburatori, e' scomparsa anche la benzina col piombo, perche' questo
elemento "avvelena" rapidamente e in maniera irreversibile le sostanze
catalizzanti depositate all'interno della marmitta.

I motori Diesel, per loro natura, aspirano una quantita' d'aria superiore a
quella necessaria (il rapporto aria/combustibile vale 18 e anche piu') e hanno
i gas di scarico ricchi di ossigeno, ragion per cui il catalizzatore lavorera' nella
parte destra del grafico precedente. In effetti, su tali motori si adottano
catalizzatori bivalenti, cioe' che trasformano solo CO e HC; per gli NOx si
usano altri accorgimenti tecnici quali l'EGR (Exhaust Gas Recirculation), che
consiste nell'immettere nel cilindro, assieme alla carica fresca, una piccola
quantita' di gas combusti, al fine di abbassare la temperatura massima
raggiunta in fase di combustione, causa principale della formazione degli
NOx. Anche questa tipologia di catalizzatori, seppur piu' semplice, e' piuttosto

esigente riguardo la qualita' del combustibile utilizzato: con un gasolio privo


di zolfo, infatti, si riduce della meta' il tempo necessario per cominciare ad
eliminare CO e HC dopo una partenza a freddo.

Veniamo ora all'ultimo inquinante regolamentato, che da un po' di tempo sta,


acquisendo popolarita' e mettendo in difficolta' i motori Diesel: il particolato.
Esso e' il residuo della combustione non completa del gasolio ed e' costituito
da un nucleo centrale di carbone su cui sono depositati idrocarburi, metalli,
acqua, composti dello zolfo. Un tempo si manifestava sui vecchi motori Diesel
con una bella fumata nera quando si schiacciava a fondo il pedale del gas;
oggi, con i sistemi ad iniezione diretta Common Rail, tali particelle sono
diventate pressoche' invisibili dal momento che hanno dimensioni inferiori a
10 millesimi di millimetro (rientrando nella ben nota categoria del PM10).

Anche per questo dispositivo, un ridotto contenuto di zolfo nel gasolio


consente di migliorarne le prestazioni, abbassando ulteriormente la
temperatura alla quale si puo' iniziare a bruciare le polveri accumulate e
prolungandone il ciclo di vita.

Il FAP

Il FAP (acronimo di filtro antiparticolato) e' un dispositivo introdotto nel 2000


dal gruppo PSA, Peugeot-Citron, e da esso brevettato per abbattere le
emissioni inquinanti del particolato (PM10) prodotto dai motori diesel,.

Come funziona

Il F.A.P. e' un vero e proprio filtro che assomiglia per aspetto e realizzazione ai
catalizzatori (quindi disseminato internamente da minuscoli canalini), e posto
subito dopo il catalizzatore bivalente, il cui compito e' trattenere le polveri
presenti nei gas di scarico. Ma, ci si potrebbe chiedere, cosi' facendo non si
rischia, a lungo andare, di intasare il filtro e "attappare" il motore? La risposta
e' no, e il motivo risiede nel fatto che il filtro viene rigenerato bruciando
periodicamente (circa ogni 600-1000 km) le polveri intrappolate in modo del
tutto automatico e in pochi minuti. La difficolta' del processo non risiede nel
trattenere il particolato all'interno del filtro, bensi' nel rigenerare la trappola:

in questo, vengono in aiuto i moderni sistemi ad iniezione diretta (come il


Common Rail) e la loro flessibilita' nell'effettuare iniezioni di combustibile al
momento opportuno e della quantita' desiderata. Infatti, il particolato brucia
naturalmente ad una temperatura di 550 C, ma nella guida in citta' i gas di
scarico arrivano al filtro solo a 150-200 C: qui interviene la centralina che
comanda una micro post-iniezione di gasolio nella fase di espansione che
comincia a bruciare nel cilindro, procedendo poi fino al filtro innalzandone la
temperatura; a questo punto viene introdotto uno speciale additivo (l'ossido
di cerio, contenuto in un piccolo serbatoio a parte e additivato al gasolio dopo
ogni rifornimento) che abbassa la temperatura di inizio combustione delle
polveri a 450 C, rendendola piu' veloce e proteggendo il filtro stesso da
eccessivi stress termici, che a lungo andare potrebbero portarlo alla rottura.
Ovviamente, si presume che con una completa combustione del particolato,
si emettano allo scarico la minor quantita' possibile di inquinanti!

Tuttavia, il PM10 diventa PM2.5 o meno; la combustione del particolato


avviene, normalmente, su percorsi extraurbani dove il sistema di scarico e i
gas relativi raggiungono le temperature necessarie ,circa 500 C, per far
bruciare, grazie anche a supplementari iniezioni di gasolio, le cosiddette postiniezioni, gli agglomerati di particolato e cerina catturati dal filtro.

Purtroppo, la cerina non brucia: essa va ad intasare un apposito filtro che,


intorno agli 80.000 km, dovra' essere sostituito. L'automobilista e' avvisato
da un'apposita spia o messaggio sul quadro di bordo. Tale percorrenza puo'
variare in base all'uso dell'auto: un uso prevalentemente cittadino, ad
esempio, accorcia la vita del filtro; al contrario, un uso prevalentemente
extraurbano l'allunga.

Tutte le fasi appena descritte avvengono senza che il conducente si accorga


di nulla e con un irrisorio aumento dei consumi dovuto alle post-iniezioni.
Ovviamente, bisogna provvedere periodicamente al rifornimento di ossido di
cerio (circa ogni 80-120 mila km) che, oltretutto, e' una sostanza non tossica,
nonche' alla pulizia del filtro dai depositi che vi si accumulano. Infine la vita
stimata dell'intero filtro e' di 200.000 km piu' che sufficiente a coprire l'intera
vita di un'automobile.

Il DPF

Ma le case automobilistiche, recentemente, hanno varato un nuovo sistema


antiparticolato: il DPF

Si tratta sempre di un filtro, ma funziona senza additivare il gasolio con la


cerina, puntando sempre sulle post iniezioni di gasolio, cioe' iniezioni che
avvengono dopo che e' avvenuta la fase normale di combustione, in modo da
innalzare la temperatura dei gas di scarico fino al punto di "bruciare" il
particolato.

Gli inconvenienti si possono manifestare in tre modi e non e' detto che
appaiano in modo evidente tutti e tre su ogni modello.

1)Accensione della spia che avverte dell'intasamento del filtro, fatto che
impone periodici allunghi su strade poco trafficate fino allo spegnimento della
stessa, oppure visite in officina.

2)Aumento del livello dell'olio motore per eccesso di gasolio iniettato nei
cilindri per pulire il filtro, che causa un aumento del livello dell'olio che si
diluisce troppo perdendo il suo potere lubrificante

3)Sostituzione del lubrificante a intervalli ravvicinati, anche 4000 km, e del


relativo filtro

Ma a remare contro questi dispositivi c'e' anche il TUV, l'organismo


indipendente che, in Germania, e' responsabile dei processi di omologazione
e revisione di tutti i veicoli che, da sempre, contesta l'utilita' del DPF,
soprattutto nei centri urbani, dove ha una scarsa efficienza, a causa delle
basse temperature raggiunte.

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