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Nel corso della storia dell’uomo, numerosi processi di fermentazione sono stati
praticati come arte soprattutto in campo alimentare: la produzione del vino risale a
diecimila anni prima di Cristo e gli egiziani producevano birra già 7000-8000 anni
fa. Analogamente, la produzione di pane, di formaggio, di bevande e di
medicamenti ha sempre coinvolto, più o meno consapevolmente, biofermentazioni.
Si è soliti far risalire la nascita delle moderne biotecnologie al XVII secolo, quando
Antoine van Leeuwenhoek osservò per primo le cellule di lievito esaminando gocce
di birra fermentata grazie ad un rudimentale microscopio.
Solo nella prima metà del secolo scorso (1836-37) i ricercatori Cagniard -Latour ,
Schwann e Kutzing giunsero contemporaneamente a stabilire la natura vivente del
lievito: questa scoperta, per allora assolutamente azzardata, venne severamente
ridicolizzata da altri famosi scienziati dell’epoca, tra i quali Berzelius , Wholer e lo
stesso von Liebig.
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Nel 1847 un professore di fisica, Blondeau , determinò che funghi diversi fossero
responsabili di fermentazioni diverse.
Qualche anno più tardi, Louis Pasteur (1822-1895) arrivò a concludere che le
cellule viventi del lievito producono la fermentazione dello zucchero ad alcool e
anidride carbonica in ambiente anaerobico.
Nel 1870 lo stesso Pasteur, con altri colleghi ricercatori, sperimentò l’effetto
antibiotico di alcuni microrganismi, giungendo anche a prevederne il possibile
impiego a scopo terapeutico.
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Si fa invece risalire al medico Robert Koch (1843 - 1910) la messa a punto di
metodiche per la produzione di colture pure e metodi batteriologici classici, ancora
oggi utilizzati.
Robert Koch definì i criteri per determinare se uno specifico agente infettivo sia
effettivamente responsabile di una patologia:
• l’agente deve essere presente in tutti i casi della malattia;
• deve essere isolato e cresciuto in vitro;
• la malattia si deve riprodurre inoculando una coltura pura dell’agente infettivo
all’interno di un organismo sano;
• il medesimo agente infettivo deve essere recuperato dall’organismo
sperimentalmente infettato.
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Produzione di antibiotici: la
penicillina
S
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Per circa cinquant’anni dopo che Pasteur intuì il potenziale utilizzo terapeutico
dell’azione antibiotica di alcuni microrganismi, furono sperimentati diversi
preparati microbici senza successo.
Solo nel 1928, presso il St. Mary’s Hospital di Londra, Alexander Fleming (1881
- 1955) osservò, in modo del tutto fortuito e casuale, che quando la muffa
Penicillium notatum contamina colture di Staphilococcus aureus ne inibisce la
crescita, uccidendo di fatto tutti i batteri.
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Nel 1938 Chain e Florey ripresero, alla Sir William Dunn School of Pathology di
Oxford, le ricerche di Fleming e, lavorando a bassa temperatura e in condizioni
di pH neutro, separarono un prodotto che, nonostante fosse ancora ricco di
impurezze, manifestava elevatissime proprietà antibiotiche in vivo nel topo.
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Il coinvolgimento dell’Inghilterra nella II Guerra Mondiale costrinse Florey ed i suoi
collaboratori a rivolgersi alle industrie americane per poter dare luogo alla
realizzazione su scala industriale del processo di produzione della penicillina;
ampio fu l’interesse dimostrato da numerose aziende d’oltreoceano ( Merck, Pfizer,
Squibb) e da centri di ricerca quale il Northern Regional Research Laboratory di
Peoria .
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Il problema principale incontrato, tipico del resto della maggior parte dei
bioprocessi, era legato alla minima quantità di prodotto utile a fronte della
necessità di impiegare reattori e colture di volume enorme, con conseguenti
difficoltà nelle operazioni di separazione e di purificazione: nel 1939 la
concentrazione di penicillina nel brodo di coltura era di 0.001 g/L.
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Il primo impianto fu realizzato dalla Pfizer in meno di sei mesi; era costituito di
14 fermentatori da circa 32.000 litri ciascuno: reattori di dimensioni
gigantesche, che ponevano grossissimi problemi in termini di sterilità, di
agitazione, di fornitura d’aria e di controllo termico.
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La penicillina viene attualmente prodotta in fermentatori di capacità variabile
tra i 100 e i 250 litri; la composizione di un tipico brodo di coltura è la
seguente:
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Durante la parte iniziale del processo
fermentativo il microrganismo utilizza il
carbonio del glucosio e quello estratto
dall’acqua di macerazione del mais oltre
alla ammoniaca libera; poi avviene
l’attacco degli amminoacidi che sono
deamminati con rilascio di ammoniaca e
conseguente innalzamento del pH del
mezzo di crescita. In questa fase (1-2
giorni) il microrganismo cresce senza
produrre penicillina.
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Dunque il glucosio è utilizzato nella fase di crescita, mentre il lattosio è idrolizzato
a glucosio e galattosio lentamente: è la lenta disponibilità di glucosio che
determina le condizioni di produzione della penicillina.
I grassi vengono impiegati sia come antischiuma che come sorgente di carbonio;
l’acido fenilacetico funge da precursore della catena laterale, tenendo presente che
in quantità eccessiva può essere tossico.
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Fermentatore da circa 1000 litri Testa del fermentatore
e modulo di controllo
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Produzione di aspartame
L’aspartame è un dolcificante sintetico con potere dolcificante 200 volte
superiore a quello del comune zucchero. Chimicamente l’aspartame è l’estere
metilico di un dipeptide ottenuto per condensazione tra l’acido aspartico e la
fenilalanina.
O O
H2N CH C NH CH C OCH3
CH2 CH2
COOH
Acido L-aspartico
L’acido L-aspartico viene ottenuto quasi interamente per biotrasformazione da
acido fumarico; normalmente all’interno delle cellule questo amminoacido è
prodotto a partire da acido ossalacetico per azione dell’enzima transamminasi
che sfrutta l’acido glutammico come donatore di amminogruppi .
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In alcuni batteri l’acido aspartico può formarsi per addizione di ammoniaca
all’acido fumarico: questa reazione è catalizzata dall’enzima aspartato
ammoniacaliasi (AAL).
COOH COOH
CH AAL CH2
CH NH3 H C NH2
COOH COOH
Produzione di acido L-
L-aspartico
aspartico da acido fumarico
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Fenilalanina
Questo amminoacido può essere prodotto in vari modi: per fermentazione
diretta da zuccheri mediante mutanti di Brevibacterium o attraverso
biotrasformazione da acido trans -cinnamico o da acido fenilpiruvico. Entrambi
questi composti possono essere sintetizzati in maniera relativamente semplice.
NH2
NH3
(A) CH CH COOH CH2 CH COOH
PAL
C O CH NH2
trans-amminasi
CH2 CH2
glutammato chetoglutarato
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La reazione di conversione dell’acido trans -cinnamico a fenilalanina è catalizzata
dall’enzima L-fenilalanina ammoniacaliasi (PAL) in presenza di NH3; l’enzima PAL
è presente nelle cellule del lievito Rhodotorula glutinis: viene indotto dalla
fenilalanina ed è espresso dal glucosio.
Nelle condizioni operative si forma rapidamente: dopo 20-30 ore di coltura il PAL
raggiunge il massimo livello di concentrazione e le cellule, raccolte mediante
centrifugazione, sono incubate in presenza di acido cinnamico e ammoniaca.
La resa finale in fenilalanina dipende dalla concentrazione di NH3 (che non può
essere particolarmente elevata) e dal pH (± 10): nelle migliori condizioni, si
ottengono rese di conversione dell’ordine del 70÷ 80% in tempi brevi (15-20 ore).
La reazione di produzione della fenilalanina a partire da acido fenilpiruvico
coinvolge l’enzima transamminasi e richiede la presenza di un amminoacido -NH2
donatore.
La transamminasi è un enzima assai diffuso e può essere ricavato, ad esempio,
dallo stesso Escherichia coli. Si deve operare in condizioni di pH≈ 7 in assenza di
NH3.
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Sintesi dell’aspartame
Come è stato già detto, la sintesi dell’aspartame a partire dai due amminoacidi
costituenti può avvenire per via chimica, per via enzimatica, per
biotrasformazione:
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Produzione di birra
La produzione di birra è un tipico processo dell’industria alimentare che fa uso di
reazioni di fermentazione; diverse sono le fasi di lavorazione, di seguito elencate e
brevemente descritte.
Il malto verde ottenuto dopo degerminazione (eliminazione dei prodotti oleosi che
potrebbero agire, nelle fasi successive, da antischiuma ), viene essiccato a 40-80°C
finché il contenuto in umidità scende a valori prossimi al 4%; in ragione
dell’essiccamento, il processo di idrolisi dei polisaccaridi viene accelerato
inizialmente, mentre poi si assiste alla progressiva inattivazione degli enzimi.
Per produrre birra scura, a questo punto del processo il malto viene torrefatto a
circa 100°C per caramellizzare gli zuccheri.
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Saccarificazione: in questa fase, detta anche ammostatura , si prepara il mosto,
inviando il malto macinato in caldaia dove viene mescolato con acqua e farina di
cereali crudi. In questa fase proteine e carboidrati vengono idrolizzati per
consentire la successiva azione di alcuni lieviti; d’altro canto, l’idrolisi totale deve
essere evitata perché sono proprio alcuni peptidi, peptoni e destrine che
determinano l’aroma ed il corpo della birra. Così si devono operare cicli di
riscaldamento controllati, tra i 40 e gli 80°C, ottimizzando l’azione degli enzimi.
A temperature medie (± 60°C) si favorisce l’azione degli enzimi che producono
zuccheri fermentabili responsabili del grado alcolico della birra, mentre a
temperature più elevate si ottengono birre di minor grado.
Alla fine di questa fase, il mosto (a 65-75°C) viene chiarificato mediante filtrazione
ed il residuo viene esaurito con acqua calda.
Decozione: in questa fase, dopo aver aggiunto luppolo, il mosto viene cotto,
portandolo per alcune ore ad ebollizione; così facendo, si ottiene la sterilizzazione,
la concentrazione e la aromatizzazione per dissoluzione dei principi contenuti nel
luppolo. Si tratta di una fase fondamentale per caratterizzare il sapore, la
limpidezza e l’aroma della birra. Alla fine, dopo aver separato i residui del luppolo,
si raffredda a 5-6°C e si ossigena per poi passare alla fase fermentativa.
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Fermentazione: una volta raffreddato, il mosto viene inoculato con lievito
Saccharomyces cerevisiae o carlsbergensis , dando luogo a fermentazione
alta o bassa , a seconda che il lievito si disponga nella parte alta o bassa del
fermentatore. Nel primo caso, la temperatura è di circa 10-25°C ed il tempo
di fermentazione è di 2-5 giorni; nel secondo caso, la temperatura è più
bassa (5-10°C) e la durata varia da una a due settimane.
Durante questa fase, condotta in tini chiusi, si genera CO2 che può essere
recuperata per le fasi successive di confezionamento, allo scopo di
proteggere la birra dall’azione dell’aria.
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malto e cereali vaglio filtro
trebbie
H2O
saccarificazione
decoizione
maltatura
caldaia caldaia
sedimentatore
CO2 inoculo
residuo
filtro a
piatti
H2O
serbatoio di
6 °C 95 °C
maturazione fermentatore
residuo
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È evidente che la scelta delle materie prime condiziona l’economia del processo
ma ne determina anche la resa finale; attualmente le più convenienti risultano
essere le materie prime di origine ligneo-cellulosica e amidacea, per cui si sta
puntando ad una metodologia di idrolisi della cellulosa e dell’amido per fornire
ai microrganismi produttori di alcool zuccheri semplici come substrati
fermentabili .
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Raffinazione
materiale ligneo-cellulosico
residui solidi
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Idrolisi della cellulosa
Il residuo che si ottiene una volta eliminate le emicellulose viene ridotto a
polvere e sottoposto ad idrolisi chimica o enzimatica.
eso--β-1,4-
eso -1,4-cellobioidrolasi
cellobioidrolasi
eso--β-1,4-
eso -1,4-cellobioidrolasi
cellobioidrolasi β-glucosidasi
cellulosa cristallina cellobiosio glucosio
endo--β-1,4-
endo -1,4-glucanasi
glucanasi
endo--β-1,4-
endo -1,4-glucanasi
glucanasi
cellulosa amorfa
cellulosa rigonfiata
derivati solubili
eso--β-1,4-
eso -1,4-glucan
glucan--glucoidrolasi
L’idrolisi dell’amido può essere ottenuta con acidi (a pH 2 e 120-150°C), con rese
non elevate e con prodotti di qualità non soddisfacente.
L’idrolisi enzimatica dell’amido avviene secondo lo schema di figura, ad opera di
diversi enzimi, tra i quali i più utilizzati sono α-amilasi , β-amilasi, amiloglucosidasi
(o glucoamilasi).
glucoamilasi
amilosio oligosaccaridi lineari glucosio
(veloce)
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Fermentazione
La reazione di fermentazione, mediante glicolisi, è prodotta per intervento di
diversi batteri, tra i quali i più noti sono il Saccharomyces cerevisiae e il
Kluyveromyces fragilis e segue la seguente stechiometria:
Key points
costo delle materie prime , che rappresenta la parte più consistente degli interi
costi del processo produttivo;
fabbisogno energetico per distillare i prodotti ottenuti: circa il 30% del potere
calorifico dell’etanolo prodotto viene consumato per questa operazione.
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• fermentazioni a pressione ridotta, che permettono la volatilizzazione
dell’alcol man mano che si forma così da ridurne la concentrazione nel brodo di
coltura e prolungare il processo fermentativo consentendo un maggiore utilizzo di
zucchero;
• processo continuo, che oltre alla pressione ridotta prevede un riciclo delle
cellule, con conseguente aumento di produttività (anche di 12 volte) rispetto ai
processi tradizionali;
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• immobilizzazione di cellule, che manifestano produttività volumetriche
decisamente superiori a quelle delle colture in sospensione;
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etanolo 30-40%
gas terreno
fermentatore
aria
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L’acqua possiede caratteristiche fisiche, legate al colore, all’odore, al pH e alla
temperatura, al contenuto in solidi sospesi;
caratteristiche chimiche, che dipendono dal contenuto in composti organici
(carboidrati, lipidi, olii, idrocarburi, proteine da un lato e fenoli, tensioattivi, erbicidi,
pesticidi, aromatici dall’altro), in composti dell’azoto (NH 4+, NO3-), dello zolfo (SO4--,
SO3--, S, S--), del fosforo (PO4---, HPO4--, H2PO4-), in metalli pesanti (Ni ++, Pb++,
Cd++, Fe+++, Cu++, Zn++, Hg++), in gas disciolti (H2S, NH3, CH4).
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La quantità complessiva di carbonio presente, che costituisce un indice importante
del carico inquinante dell’acqua in esame, può essere individuata attraverso due
indici:
BOD (Biological Oxygen Demand): quantità di ossigeno disciolta nell’acqua
di scarico per effetto del processo di ossidazione biologica durante un
periodo di incubazione a 20°C;
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Processo a fanghi attivi
Uno dei processi più interessanti che vengono di norma utilizzati nel trattamento
secondario delle acque di scarico, è il cosiddetto processo a fanghi attivi; esso si
avvale della presenza in uno stesso reattore di una complessa popolazione di
microrganismi che, utilizzando come substrato per la loro crescita i composti
inquinanti contenuti nell’acqua, li convertono in biomassa facilmente separabile e
in prodotti quali CO2 e H2O.
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La configurazione tipica di un impianto per fanghi attivi è analoga a quella di un
reattore CSTR con riciclo: all’interno del reattore sono collocati i microrganismi,
alcuni dei quali producono materiale gel-polimerico che ne favorisce
l’agglomerazione in fiocchi microbici.
Dal momento che la fase di adsorbimento dei composti organici sui fiocchi
microbici risulta più lenta della successiva fase di ossidazione, si può scegliere di
separare fisicamente le due operazioni, facendole avvenire in vasche distinte.
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(1+α)F (1-β)F Effluente
F, S 0
S, X Se, Xe charificato
Ossidazione biologica
Separatore
aerobica
(α+β) F
aria
aria
aria
Sr, Xr
Fanghi in eccesso
αF βF
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Bilancio stazionario al bioreattore (X0=0):
biomassa α ⋅ F ⋅ X r + µ ⋅V ⋅ X = (1 + α )⋅ F ⋅ X
µ ⋅V ⋅ X = (1 + α )⋅ F ⋅ X −α ⋅ F ⋅ X r
µ ⋅ F ⋅ X + (1 + α ) ⋅ F ⋅ S
1
substrato F ⋅ S 0 + α ⋅ F ⋅ Sr =
Y
biomassa (1+α ) ⋅ F ⋅ X = (1 − β ) ⋅ F ⋅ X e + (α + β )⋅ F ⋅ X r
(1+ α )⋅ F ⋅ X −α ⋅ F ⋅ X r = (1− β )⋅ F ⋅ X e + β ⋅ F ⋅ X r
substrato (1+ α )⋅ F ⋅ S = (1 − β ) ⋅ F ⋅ Se + (α + β )⋅ F ⋅ Sr
Y ⋅ F ⋅ (S0 − S ) Y ⋅ F ⋅ (S0 − S ) X
V= =θ ⋅ = F ⋅θ ⋅ 1 + α − α r
µ⋅ X X
Crescita cellulare - 4 X 43
In alternativa al reattore CSTR,
all’interno del quale l’agitazione è
garantita dal continuo apporto di
aria, si possono usare i filtri
percolatori (TBF, trickling bed
filter ), ovvero letti impaccati di
forma circolare costituiti da un
supporto inerte (sabbia, pietrisco,
plastica) sul quale aderiscono le
colture cellulari disponendosi
secondo un film biologico.
Sulla fase biotica viene fatta
fluire l’acqua da depurare.
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È evidente che per favorire un ampio ed efficace contatto tra le due fasi, il
mezzo di supporto deve essere dotato di una elevata area superficiale per
unità di volume e deve possedere un elevato grado di vuoto (50%) per
permettere la libera circolazione di aria in virtù della convezione naturale,
legata alla differenza di temperatura provocate dalle stesse reazioni biologiche.
Nelle zone più interne del letto, meno accessibili all’aria, si realizzano condizioni
anaerobiche che portano alla formazione di bolle di gas, responsabili del
distacco del film che, in questo modo, si rinnova mantenendo uno spessore
ideale di circa 0.25-0.35 mm.
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Questo processo, che consente di ridurre considerevolmente il volume dei fanghi e
dei residui solidi facilitandone l’eliminazione, consiste sostanzialmente di tre parti:
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La miscela gassosa prodotta nel
digestore prende il nome di biogas,
ed è composta da circa il 70% di metano,
da circa il 30% di anidride
carbonica e dal rimanente
di idrogeno, monossido
di carbonio e acido solfidrico.
Il fango esaurito che si ottiene in uscita dal digestore ha un volume ridotto del
50-60% rispetto al volume iniziale ed ha una composizione decisamente
diversa; questo prodotto può essere dunque incenerito o sottoposto a
compostaggio per ottenere fertilizzante.
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Single cell protein (SCP)
Come è noto, i lieviti possiedono un elevato contenuto proteico e si è perciò
ritenuto di poterli direttamente utilizzare come integratori alimentari, sia per l’uomo
che per gli animali.
Le proteine che derivano dalle colture microbiche accresciute, per questo scopo, su
substrati paraffinici sono dette proteine unicellulari o bioproteine.
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SCP da n- paraffine
Gli impianti di produzione di SCP da n-paraffine vennero inizialmente avviati allo
scopo di deparaffinare il petrolio; successivamente, in ragione della produzione di
paraffine sempre più pure e a prezzo accessibile, le si utilizzò come substrato per la
crescita di lieviti, funghi e batteri (principalmente del genere Candida ).
Anche il metano può essere utilizzato come substrato, con le difficoltà legate alla
lavorazione di miscele gassose aria/CH 4, soprattutto per la crescita di colture miste.
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I reattori possono essere del tipo agitato (volume ±300 m3) o airlift con efficace
agitazione, data la scarsa solubilità in acqua del substrato organico, per favorire
la formazione di emulsioni: d’altra parte gli stessi microrganismi producono
sostanze gelificanti che favoriscono l’adesione del substrato.
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Se le SCP sono destinate alla dieta umana, occorre diminuirne il contenuto in
acidi nucleici o mediante recupero del solo materiale proteico dalle cellule
frantumate o attraverso shock termico o, infine, con estrazione in soluzione
alcalina.
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SCP da metanolo
La tecnologia di produzione delle SCP sfruttando come substrato il metanolo è
di competenza della I.C.I. inglese. L’elevata produttività richiede una efficace
aerazione ed uno scambio termico elevato: per un reattore da 250 m3, si
richiedono 16 Kg/m 3· h di ossigeno e si devono allontanare 4·107 KJ/h di
calore. Si opera a pH leggermente acido (6.5-6.9) e a temperatura di 34-37°C.
Il brodo finale che si ottiene, estremamente denso, viene alimentato
direttamente alle centrifughe, eliminando l’operazione di filtrazione; in questo
modo il processo può essere condotto in continuo.
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