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FELICE CIMATTI

LANIMALE E LISTITUZIONE
Intervista

Nei suoi ultimi lavori,1 si concentrato sul problema dellanimalit umana. Meglio, questa la definizione, di unumanit non basata sul linguaggio. Ancora: unanimalit, quella umana, non da ritrovare, bens da costruire. Si tratta dunque di una sfida etica? E se
s, in che senso?
Lanimalit di cui parlo unetica, indubbiamente, ma unetica non
formulata (ammesso che unetica si possa formulare). Di pi, il problema dellanimalit, per me, il problema di una vita etica. E qui entra in
gioco il paradosso: una vita etica possibile a condizione che non ci sia
pi il Soggetto delletica. Lanimalit non c gi, ma va conquistata,
oserei dire che va costruita. In questo senso, prendo una posizione radicalmente critica nei confronti di tutte quelle idee pseudo-naturaliste che
periodicamente tornano in voga, e che pensano lanimalit umana
come qualcosa che abbiamo gi conosciuto e si tratta di recuperare attraverso linsistenza sul corpo, sullistintualit. Una posizione che spesso diventa reazionaria, nel senso proprio del termine, che incarna cio
un modo di vita pericoloso; in secondo luogo scientificamente infondata, perch questo tipo di animalit non la nostra.
Il problema etico viene cos posto: come possibile immaginare
una forma di vita? Penso a uno degli ultimi libri di Giorgio Agamben, Altissima povert:2 vita e regola coincidono, meglio, la vita, il
corpo, lesperienza biologica, coincidono con ci che ci caratterizza
come viventi, il campo della regola e del linguaggio. Il linguaggio, infatti, in primo luogo regola; non c linguaggio senza regola e, rovescerei, non c regola senza linguaggio, in particolare senza lingue.
Cosa vuol dire una vita che coincide con la regola? Vuol dire una vita
1
2

F. Cimatti, Filosofia dellanimalit, Laterza, Bari 2013.


G. Agamben, Altissima povert. Regole monastiche e forma di vita, Neri
Pozza, Vicenza 2011.

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il libro di Agamben lo spiega bene che non rinuncia allaspetto comunitario, perch regola significa sempre stare con gli altri e regolarsi, avere una forma di accordo. Si pone laccento dunque su questo
momento fondamentale dellumano, il fatto cio che un animale sociale, nel senso pi radicale del termine. Sociale non significa, semplicemente, che stiamo con gli altri; stanno con gli altri anche le formiche, tutti gli animali hanno una vita sociale. Letteralmente, ci
costruiamo introiettando laltro. Altrettanto, dire che lanimale umano un animale politico vuol dire non solo che non pu non avere
rapporti politici, ma che, in un certo senso, la politica nella sua carne e che quindi un animale originariamente fatto di relazioni semiotiche e politiche con laltro. E tuttavia ecco perch il paradosso
dellanimalit questa stessa politicit originaria dellumano produce una sorta di incapacit di stare al mondo.
Il lavoro sullanimalit si ispira fortemente a Lacan, colui che pi
di ogni altro, a mio avviso, ha pensato le conseguenze del fatto che
parliamo. Parlare, dice Lacan, vuol dire che tu sei un corpo diviso in
due, sei scisso, sei il soggetto che dice io, e il corpo che subisce gli
effetti di questo soggetto che dice io (io una abitudine, sostiene Deleuze). Si tratta di un dispositivo che produce separatezze, insoddisfazione, incapacit di stare al mondo. Riprendendo la distinzione di Heidegger tra mondo e ambiente: lumano ha un mondo proprio
perch parla. Questo vuol dire che ha un mondo a condizione di perderlo: nel momento in cui lo pone, parlando, lha perso.
Non ho in mente solo linterrogazione esistenziale, piuttosto insisto sulla deriva ecologica della specie umana. abbastanza inevitabile che lumano distrugga il mondo, non c niente da fare. Anche lumano pi mite, quello pi buono o ecologicamente corretto, distrugge
il mondo. Ma non lo distrugge come fa qualunque altro animale, lo fa
secondo una scala spaventosamente maggiore. E questo perch lumano traccia confini. vero, in questo senso, come affermano le teorie giusnaturalistiche, che la propriet privata un diritto naturale. Un
bambino dice di un giocattolo mio, subito se lo prende. come se
il giocattolo smettesse di essere qualcosa di comune. Perch succede
tutto ci? Io credo che nella nostra condizione ci sia magari limmagine un po forte un meccanismo patogeno. Volendo, visto che
tanti pensatori degli ultimi anni (Agamben e Virno ad esempio) giocano con la mistica e con la teologia, c un peccato originale nellumano, che proprio il fatto che dice io.

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Il Soggetto delletica di cui occorre sbarazzarsi dunque il soggetto dellenunciazione: da fenomeno originario il linguaggio si
trasforma in malattia?
Si parte da una premessa antropologica: lumano quellanimale
che diventa umano attraverso il lavoro di una vera e propria macchina antropogenica; questultima coincide, essenzialmente, con lessere inserito nella comunit parlante degli umani. La macchina antropogenica produce io, quindi immediatamente tu, lo sappiamo da
Benveniste, e poi produce un terzo, egli, che non sappiamo cos, n
io n tu. Nella terza persona singolare, c tutta la politica: il clandestino lo produce la lingua stessa, un non-io e non-tu che non sappiamo mai bene dove mettere. E produce poi asservimento del corpo alla
mente, origine di tutti gli asservimenti che impone una separatezza radicale. In un certo senso, lanimale umano lanimale della trascendenza per definizione, il suo stesso corpo incarna questa distinzione,
questa incapacit di abitare il tempo in cui sta, perch un animale che
sta qui e da unaltra parte, il corpo e un altro che lo osserva.
C una figurina che pi volte riprende Freud quando cerca di
spiegare che cos lautocoscienza: unimmagine del cervello vista
dallalto (ricordiamo, Freud era un neurologo) e sul lato dellemisfero
sinistro, quello che nella maggior parte degli umani lemisfero linguistico, una specie di cappellino. Un cappellino, appunto, che sta fuori
dalla testa: l Freud colloca il super-Io, questo sguardo che da fuori
guarda dentro. Indubbiamente, il super-Io ha connotazione moralistiche, ma in primo luogo vuol dire qualcuno/qualcosa che non il corpo,
che fuori dal corpo e lo controlla. Il super-Io un poliziotto. Ognuno
di noi ha in s, bene o male che sia, anche in questa epoca che ci dicono essere senza Padre, senza vergogna ognuno di noi si porta dietro
un poliziotto, il proprio personale poliziotto. Il poliziotto la trascendenza, questo non stare mai esattamente nel posto dove vuoi stare.
Animalit per me vuol dire: possibile immaginare una vita in cui
non c pi quel poliziotto? Una vita senza trascendenza, appunto. La
vera vita del materialista, a mio avviso, questa, la vita dellanimalit. Evidentemente non buona o cattiva, giusta o ingiusta, essendo
queste ultime tutte distinzioni di lingua, quindi trascendenti. Un poliziotto buono non smette di essere un poliziotto. Un poliziotto comprensivo, che ti dice Fai cos perch la Natura a volerlo, rimane
un poliziotto. Ancora, animalit vuol dire: una vita in cui il fatto che
sei umano, cio animale della regola, non produce pi trascendenza,

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ma una vita tutta immanente. Parafrasando Agamben: la regola diventata la tua carne. Non pi, come dice Freud, quel cappellino che
sta l fuori e che ti dice fai questo o fai questaltro.
In questo senso, la psicoanalisi, in particolare quella lacaniana, una
straordinaria antropologia, perch mostra i dispositivi attraverso i quali
si costruisce lumano proiezioni, identificazioni, fratture e, allo stesso tempo, si chiede: possibile uscire da questa condizione? Lacan
si pone il problema a partire dal nodo, sempre irrisolto, della fine dellanalisi. Cosa ci dice di interessante? Che lanalisi il tentativo di curare
lumano, cio lanimale del linguaggio, attraverso la parola. Non dunque un tentativo reazionario o utopistico, perch piuttosto afferma: sei
fatto cos, io ti curo omeopaticamente con ci che ti ha ammalato. Negli ultimi scritti, Lacan parlava addirittura del linguaggio come di un
cancro, qualcosa che letteralmente corrode dallinterno lumano.
Coincidenza di vita e regola vuol dire tentativo paradossale, un
ossimoro, e quindi difficile da pensare, non dico di esserci riuscito
di immaginare una lingua che non produca pi trascendenza. Altrettanto, ci deve essere lingua, regola, altrimenti non saremmo pi in presenza di un corpo umano. Il corpo umano si inventa a partire dal linguaggio,
c poco da discutere. Ogni forma di umano che presupponga la fine di
ci che lo rende umano non so cosa sia. Un umano ibridato con le macchine, un cyborg, sempre umano, anche perch poi le macchine funzionano in base a meccanismi, algoritmi, che dipendono dal linguaggio.
Insistendo sullimmanenza, spesso prevalgono orientamenti teorici che, assieme alla trascendenza, liquidano anche la nozione di istituzione. Lanimale che, con la parola, deve curarsi dai pronomi personali (io e tu) ancora un animale istituzionale?
In qualche modo s, certo, non si pu non esserlo. Per, appunto,
unistituzione che rinuncia al suo carattere di trascendenza rispetto
agli individui che la vivono. Esiste davvero qualcosa del genere? Pu
esistere?
Partiamo dallistituzione per eccellenza, la lingua. La lingua esiste
perch ci siamo noi che la parliamo. Tutte le volte che la lingua o i derivati della lingua presuppongono di vivere indipendentemente da noi,
nascono problemi. Non sono certo un economista, ma penso che uno
dei tratti pi rilevanti della cosiddetta crisi finanziaria del capitalismo
sia proprio laffermazione di un dispositivo semiotico che va per conto
suo. In questo senso, difficile trovare una soluzione politica alla crisi,

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perch il dispositivo denaro-segno ormai ha vita propria. Quando listituzione vive di vita propria, arriva la trascendenza, arriva il poliziotto,
arriva Dio, arriva quello che ci dice fate i compiti a casa, non avete
ancora fatto abbastanza, e immediatamente entra in gioco il gergo para-religioso in voga tra gli economisti: non avete fatto il vostro dovere, avete ecceduto, avete consumato troppo, avete goduto troppo. Subito laspetto punitivo, moralistico. Non sar casuale che il
gergo usato dagli economisti lo stesso che un tempo usavano i preti.
Letteralmente le stesse parole, la stessa soluzione. Cosa si consiglia?
Consumate di meno, sobriet, ascetismo, povert.
Allora possiamo dire che luomo, nella prospettiva dellanimalit,
ancora un animale istituzionale, proprio perch non si d separazione tra animale e istituzione. questa la cosa complicata da inventare,
unistituzione incarnata. La domanda obbligata: unistituzione di
questo tipo ancora unistituzione? Se vita e regola si combinano,
lumanit che ne esce fuori non pi quella che abbiamo conosciuto
fin qui, altrettanto listituzione.
difficile, per, non pensare listituzione come qualcosa che alla
fine pretende di valere indipendentemente da colui che la incarna. E la
lingua ha questa tendenza, fortissima. Per Lacan il nevrotico esattamente colui che parlato dallistituzione (lingua). E tanto pi si posseduti, tanto pi si difende listituzione che parla attraverso di noi. Se la
malattia ha questa natura, Lacan propone: passa attraverso lesperienza della lingua e della separatezza e prova ad arrivare al sinthomo (
visibile la genialit di Lacan quando si sforza di inventare nuove parole). Il sinthomo3 il momento in cui listituzione, la lingua, sei tu. E
quindi, in un certo senso, diventi proprio questo corpo, assolutamente
singolare. Temi non dissimili da quelli affrontati da Deleuze, nel suo ultimo scritto, Limmanenza: una vita,4 quando insiste sulla nozione di
vita impersonale e singolare nello stesso tempo.
Un mondo del genere, quello in cui vale lespressione lacaniana
del sinthomo, il mondo dellanimalit che mi sta a cuore. Un
mondo in cui non scompare tutto, e soprattutto non scompare il cor3
4

J. Lacan, Le sminaire. Livre XXIII. Le sinthome, ditions du Seuil, Paris


2005, tr. it. di Antonio Di Ciaccia, Il seminario. Libro XIII. Il sinthomo,
Casa Editrice Astrolabio, Roma 2006.
G. Deleuze, Limmanence: une vie, in Philosophie, n. 47, pp. 3-7,
1995, tr. it. di Fabio Polidori, Limmanenza: una vita, in aut aut, nn.
271-272, 1996, pp. 4-7.

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po, anzi. Da materialisti diciamo che il corpo linizio e la fine, e


per un corpo che proprio quel corpo l. Per Lacan, in fondo, la cura
analitica ha come obiettivo arrivare a quel corpo l che tu non sei mai
potuto essere. un corpo da inventarsi, da costruirsi (Deleuze dice, in
pagine che ricordano queste estreme riflessioni lacaniane, che il compito non spiegare linconscio, piuttosto costruirlo).
Vale la pena fare una digressione sullistituzione psicoanalitica lacaniana, perch pu dirci qualcosa sul concetto di istituzione di cui siamo
alla ricerca. Lacan non fa che rompere le istituzioni che fonda. Perch?
un matto? O forse di volta in volta capisce che listituzione diventa
qualcosa di diverso, in grado di uccidere? Continuamente ne fonda di
nuove e continuamente listituzione da lui fondata muta e comincia a
incarnare principi che provano a sconfessarlo. Cosa cerca di fare, alla
fine, Lacan? Alla fine non parla pi, e mi sono chiesto: perch? Faceva
i suoi schemi e i suoi grafi, per non voleva pi parlare. Voleva inventarsi esattamente la sua cifra, assolutamente sua e solo sua. Un materialismo che pretende di essere allaltezza dei nostri corpi non pu fingere che il tema del rapporto fra corpo e istituzioni sia pacifico.
Naturalmente, questo corpo assolutamente singolare lanimalit su
cui insisto un corpo in un certo senso afasico, perch la lingua comunit. una vita che un po se ne frega degli altri, ma non perch sia
egoista, legoismo ancora interno alla trascendenza. un corpo che
ha trovato la sua via, la segue. Per intenderci, lesempio pi facile da
fare quello dellartista. Non il genio, sia chiaro, lartista chiunque riesca ad afferrare la vita impersonale e singolare nello stesso tempo.
Farla finita con la soggettivit, tutta roba che riguarda lAltro, con il riconoscimento dellAltro, significa farla finita con tutte le passioni tristi:
linvidia, la gelosia, lambizione di potere, la superbia, ecc.
La fatica lacaniana consiste nella domanda: ce la fai a liberarti
dello sguardo dellAltro? Tu, animale dellistituzione, che ti costruisci a partire dallo sguardo dellAltro, puoi arrivare un giorno a stare
in piedi da solo? Questo un compito fondamentale, per ciascuno di
noi. E, soprattutto, sarebbe interessante immaginare/costruire istituzioni che favoriscono questa operazione.
Ci sono quattro (fondamentali) racconti gli unici pubblicati in
vita (o quasi) e raccolti con il titolo Un artista del digiuno5 nei qua5

F. Kafka, Un artista del digiuno, Quodlibet, Macerata 2013.

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li Kafka ci presenta due temi tra loro strettamente connessi: la vita


dellartista e quella dellanimale. Il protagonista del primo dei quattro racconti un trapezista, che vive sul trapezio come un ragno fa la
sua ragnatela; poi c Josephine, topolina e cantante nello stesso
tempo; infine il digiunatore. In tutti loro, il divenire-animale sembra
rendere impossibile la felicit. Lanimale che Lei propone di conquistare pu ancora essere beato?
Fedelt al corpo che sei. Poi c laspetto delle regole, parcheggiare nei posti giusti, ecc. Ma letica che mi interessa quella che insiste
sulla fedelt al corpo, al reale. Sicuramente Kafka ha provato, tra laltro faticando tantissimo, a cercare un modo per stare al mondo meno
doloroso di altri. Il racconto del topo, di Josephine la cantante, indubbiamente straordinario. Ma c un altro racconto, bellissimo, un
frammento di racconto, quello dellindiano che va a cavallo e, a un
certo punto, non si capisce pi chi che va su cosa, se lindiano che
va a cavallo, o se il cavallo che va sullindiano. un divenire-cavallo dellindiano, un divenire-indiano del cavallo.
Mi viene in mente un passo straordinario di Deleuze e Guattari sul
divenire-erba. Ogni filo derba proprio quella fogliolina l, con la sua
singolare punta cromatica. Le foglioline derba non pretendono di fare
niente di straordinario, non c nessuna soggettivit che dice io, non
c la super-erba che dice io sono il capo, non c una regola trascendente. C una regola, altrimenti le foglie non crescerebbero in quel
modo. un modo di stare al mondo, anchesso distruttivo, naturalmente, che mi pare pi bello, pi nobile, dello stare al mondo della soggettivit, del tracciare confini (questa casa mia, questa la mia porta,
questa la mia macchina, la mia tomba, questi sono i miei figli, ecc.).
Anche il tema kafkiano del digiuno molto bello, e mi sembra assai simile a quello deleuziano del divenire-impercettibile. Le tre
virt presentate in Millepiani:6 divenire-impersonale, divenire-impercettibile, divenire-indiscernibile. Non casuale che gli animali preferiti di Kafka fossero i topi, gli animali pi bistrattati, oppure gli insetti, tutti animali che non si vedono, che non riusciamo a distinguere.
Uno scarafaggio, solitamente, lo confondiamo con qualunque altro
scarafaggio, altrettanto un topo. Sono impercettibili, indiscernibili,

Mille plateaux. Capitalisme et schizophrnie 2, Minuit, Paris 1980, tr. it. di


G. Passerone, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma
1996.

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appunto. Il digiunatore soltanto un corpo, un corpo che non vuole


essere l in primo piano. In fondo il problema di Kafka e del suo digiuno richiama la figura del padre, violento, che mangiava tantissimo. E il padre cos? Listituzione, Dio, quello che tanto rimpiange
certa psicoanalisi affascinata dal Padre, lidea di un mondo in cui c
la trascendenza. Cosa poteva fare quel piccolo Kafka per salvarsi?
Diventare piccolo, topo, insetto, svanire, diventare impercettibile
(come in uno straordinario romanzo di Matheson, Tre millimetri al
giorno). Unimmagine del genere forse non piace a chi pensa e sogna
unimmagine pi eroica della politica, ma indubbiamente pi adatta al mio modo di stare al mondo.
In pi occasioni, Lei ha insistito sul rapporto tra Saussure e Lacan. Il primo ha chiarito che la lingua un fatto e che il segno linguistico unentit a due facce (significato e significante), dunque non
si d pensiero che non sia intessuto di linguaggio. Il secondo colui
che ha tratto le conseguenze psicologiche di tali acquisizioni teoriche. Tornando a quanto si affermava in precedenza, sembra quasi che
Saussure abbia indicato la diagnosi e Lacan, nella ricerca del reale, abbia provato a tratteggiare la prognosi
Partiamo da Saussure. Io non sono un linguista e, per quel poco che
ho capito, il Saussure linguista ci che doveva dare lo ha dato, mentre pochi hanno propriamente pensato il Saussure filosofo. E credo
che sia una grande occasione, quella che abbiamo oggi, di tornare su
Saussure con questa nuova prospettiva. Non solo Saussure un filosofo spaventosamente potente, un filosofo che, anche con brevissimi cenni, ha colto alcune cose fondamentali del nostro tempo.
E poi dicevamo il reale, il problema lacaniano. A un certo punto
Lacan ha questa sorta di ubriacatura. Comincia con una grande tripartizione: limmaginario, il simbolico, il reale. Da buon saussuriano diffida dellimmaginario. un anti-psicologista, di pi, considera lo psicologismo cosa molto pericolosa. difficile dargli torto:
limmaginario proprio il luogo in cui si depositano tutti i luoghi comuni, il non pensato, ci che ci arriva dalla tradizione. Tutti questi
materiali, dice Lacan con piglio saussuriano, devono essere organizzati dal simbolico, la lingua. Ti costruisci rispetto allAltro e lo fai
nella lingua; emerge in primo piano la tesi fondamentale dellinconscio strutturato come un linguaggio. Molto presto, per, Lacan si ren-

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de conto che tutto questo, la simbolizzazione, produce alienazione,


nel senso pi profondo, pi radicale del termine.
sempre stato curioso pensare limmagine stranamente accomodante che lermeneutica ha dato dellesperienza del linguaggio. Se il
mondo come dicono gli ermeneuti, un incubo. Sei dentro una macchina, un macinino, di chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere ci
che fa lanalista: ha a che fare con le chiacchiere, e si rende conto che
le chiacchiere non possono essere la cura, che anzi c tutto un godimento invincibile nel sostare nelle chiacchiere. Tutti coloro che tuttora insistono sul dialogo, sullimportanza del confronto, ma di cosa
stanno parlando? Sanno come funziona veramente il dialogo? Ne
hanno esperienza? In questo senso, la psicoanalisi un laboratorio di
umanit. Secondo una scala minuscola, hai due umani che parlano,
hai il succo dellumano, ne vedi subito gli aspetti costitutivi ma anche
tremendi: quella roba l, il dialogo, va avanti tutta la vita.
Lacan dunque si chiede: come se ne esce da questa cosa? Quando
parla di reale, Lacan parla esattamente di questo, e cio di come trasformare listituzione nel tuo corpo. Quanto pi il corpo il corpo che sei,
tanto meno istituzionale. Con un ulteriore paradosso: tanto pi il corpo rimane corpo, quanto meno tu sai che quello il tuo corpo, perch
lo sei semplicemente. In fondo, noi possiamo sapere di essere un corpo
perch siamo separati, divisi, siamo istituzione e corpo. Tanto pi si accorcia, si riduce lintervallo tra istituzione e corpo, quanto meno c bisogno di pensarsi come io e il corpo, io e il corpo che sono.
Lesperienza dellistituzione sempre esperienza collettiva, comunitaria, vale lesempio agambeniano del cenobio e della regola francescana. Il cenobio, per, unistituzione che non si mangia gli istituiti. Ricordiamo la regola fondamentale dello strutturalismo: viene
prima la relazione e poi i funtivi, come dice Hjelmslev. Lalternativa da pensare sarebbe: possibile un mondo in cui il funtivo, il corpo, non schiacciato dallistituzione, dalla funzione? In fondo, la
grande critica che stata mossa a Saussure che lui si sbarazza della
sostanza: la lingua tutta forma, non c niente di sostanziale. Critica
in parte sbagliata, perch Saussure anche il pensatore della parole e
la parole il corpo che prende la voce. Ma rimane il fatto che ritornare a questa dimensione corporea implica allentare la presa dellistituzione sul corpo.
Laltro filosofo decisivo per pensare quella particolare idea di animalit che mi sta a cuore Wittgenstein. proprio lui, infatti, che ha

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pensato il paradosso del linguaggio privato: non esiste linguaggio, insiste nelle Ricerche filosofiche, che non sia pubblico, perch non si
pu seguire una regola privatim.7 Se fosse davvero cos, saremmo
spacciati, esisterebbe solo listituzione. Ma tanto nel Tractatus logico-philosophicus8 quanto nella Conferenza sulletica9 o nelle sue ultime considerazioni, sparpagliate qui e l, emerge con forza la riflessione sul mistico, sul limite del linguaggio, direi sul limite
dellistituzione. In qualche modo, riprendendo le parole di Paolo Virno, conquista la scena quella regolarit che precede le regole propriamente intese, un corpo sub-normale (al di sotto della norma giuridica)
che incarna listituzione senza subirne la trascendenza.
Per concludere. I pensatori che hanno pensato il problema dellanimalit e della vita immanente sono, nellordine: Wittgenstein, Lacan e
Deleuze. Soprattutto i primi due, Wittgenstein e Lacan, sono quelli che,
con pi forza, hanno pensato le conseguenze del fatto che parliamo.
Deleuze, invece, vuole da subito sbarazzarsi del linguaggio, meglio, di
quel linguaggio dominato dalla soggettivit. A partire da questa premessa, dove vuole arrivare? Una vita, lecceit, limpercettibile, la
piega, concetti sempre nuovi per pensare lo stesso problema. Un materialista e Deleuze lo era deve avere come prima regola: tutto ci
che trascendenza lo butto via. E se c unentit trascendente per eccellenza, quella il Soggetto. Una volta che ti sei sbarazzato del Soggetto, provi a immaginare istituzioni che non lo presuppongono, e allora si apre uno spazio di libert totalmente impensato. Il Soggetto porta
con s il capitalismo, dove ognuno si sente in diritto di fare ci che gli
pare in nome, appunto, di questa super-soggettivit. La vittoria del capitalismo neoliberale che stiamo conoscendo la vittoria di un superSoggetto che nulla pu limitare. Come lo smonti il dispositivo capitalistico se non smonti la sua origine metafisica? Se tu dici facciamo
nuove regole, sei sempre l, non te ne vai, non che il capitalismo lo
freghi con altre regole. La chance rivoluzionaria in ogni momento, diceva Benjamin; non c nulla da attendere per poter incarnare nel proprio corpo listanza animalesca.
7
8
9

L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, cit., p. 109.


Id., Tractatus logico-philosophicus (1922), Routhledge and Kegan Paul,
London 1961, tr. it. di A.G. Conte, Einaudi, Torino 1998.
Id., Lecture on Ethics, in The Philosophical Review, LXXV, 1965, tr. it. di
M. Ranchetti, Conferenza sulletica, in L. Wittgenstein, Lezioni e conversazioni, a cura di M. Ranchetti, Adelphi, Milano 2005.

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