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Edizione originale:

Au cur de Vethnie. Ethnie, tribalisme et tat en Afrique

Copyright 1985, dition La Dcouverte, Paris


Copyright 1999, dition La Dcouverte & Syros, Paris
Michela Fusaschi ha tradotto le prefazioni e i saggi di
Jean-Pierre Chrtien, Claudine Vidal e Elikia MBokolo.
Francesco Pompeo ha tradotto i saggi di
Jean-Loup Amselle, Jean-Pierre Dozon e Jean Bazin.
Copyright 2008 Meltemi editore srl, Roma
ISBN 978-88-8353-604-5
vietata la riproduzione, anche parziale,
con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia,
anche a uso interno o didattico, non autorizzata.

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tel. 06 4741063 - fax 06 4741407
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www.meltemieditore.it

a cura di
Jean-Loup Amselle, Elikia MBokolo

Linvenzione delletnia

MELTEMI

Indice

.p.

Introduzione
Michela Fusaschi, Francesco Pompeo

25

Prefazione alla seconda edizione


Au cur de l'ethnie rivisitato
Jean-Loup Amselle, Elikia MBokolo

35

Prefazione alla prima edizione


Jean-Loup Amselle, Elikia MBokolo

39

Etnie e spazi: per unantropologia topologica


Jean-Loup Amselle

77

I bt: una creazione coloniale


Jean-Pierre Dozon

119

A ciascuno il suo bambara


Jean Bazin

165

Hutu e tutsi in Ruanda e in Burundi


Jean-Pierre Chrtien

205

Situazioni etniche in Ruanda


Claudine Vidal

227

II separatismo katanghese
Elikia MBokolo

269

Bibliografia

Ad Alfredo Saisano

Introduzione
Michela Fusaschi, Francesco Pompeo1

Una civilizzazione non nasce da se stessa;


piuttosto essa un incontro (Mercier 1962).

Ragioni generative
Questo importante lavoro curato da Jean-Loup Amselle
e Elikia MBokolo esce in Francia nel 1985 come esito di un
lungo lavoro collettivo e, allennesima ristampa oltralpe, vie
ne reso disponibile in italiano solo oggi, colmando un ritar
do di almeno due decenni2.
Le questioni che riguardano lidentit culturale, letnicit e la tradizione trattate in questo volume sono al centro
di unampia riflessione gi dalla fine degli anni Sessanta. La
letteratura antropologica intemazionale ha, infatti, rimesso in
discussione le categorie descrittive e interpretative, spostan
do lattenzione sulla comprensione delle dinamiche che so
no alla base dei processi identitari.
La traduzione di Au cceur de l'ethnie, a parte lestrema dif
ficolt di rendere un titolo cos evocativo3, fornisce alle let
trici e ai lettori italiani lopportunit di confrontarsi direttamente con un percorso di ricerca denso, mettendo forse fi
ne anche ad alcune letture interessate e riduzioniste che, co
me apparir pi chiaro pagina dopo pagina, non si sono sem
pre confrontate con i testi originali pretendendo di confutarli,
pur non entrando nel merito.
I
sei studi che compongono il libro, realizzato insieme agli
storici4, sono legati da un filo rosso che unisce almeno due
punti essenziali, i quali delineano rispettivamente un forte
posizionamento teorico e una critica, se non una denuncia,

MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

altrettanto marcata: da un lato si afferma lidea che occorra


decostruire gli oggetti delletnologia, rifiutando il pensiero
dellesistenza di essnze culturali e rintracciandone i percorsi
generativi all'interno del modello di conoscenze di quella
che, qualche anno dopo, sar definita come la ragione et
nologica* (Amselle 1990). Dallaltro si delinea una netta
presa di posizione verso coloro che leggono i conflitti del
continente africano nel segno del tribalismo, ovvero in re
lazione a manifestazioni etniche viste come la sopravvi
venza di un passato sempre vivace e molla del presente (Moniot 1986, p. 135).
Questa prospettiva matura in linea di continuit con il per
corso di quella che Mercier ha definito come la scuola di
namista francese, cio quellapproccio, inaugurato a parti
re dagli anni Cinquanta da Georges Balandier, che ha riarti
colato e reinterpretato in forma originale lanalisi delle tra
sformazioni sociali legate alla colonizzazione, sviluppate pa
rallelamente in ambito anglofono dagli studi sul Social Change. In questottica, come ricordano i due curatori nella pre
fazione alla seconda edizione del testo qui tradotto, il lavo
ro di smontaggio della nozione di etnia ha preso le mosse
proprio dal concetto di situazione coloniale e dal fatto in
dubitabile per cui limpatto del colonialismo fu certamen
te pi determinante nella costituzione del profilo etnico e so
ciale contemporaneo di quanto non siano le sopravvivenze
pre-coloniali (Chalifoux 1987, p. 88), Lo stesso Balandier,
in effetti, aveva lungamente insistito sul rischio della etnologizzazione della storia in Africa che, spesso, ha congela
to le societ africane prestando il fianco a non poche rilet
ture interessate di dati legittimati dallo sguardo scientifico eu
ropeo, coprendo manipolazioni ideologico-politiche della
storia (Pompeo 2002).
Da questo punto di vista, volendo ricostruire alcuni ele
menti di genealogia, potrebbe sorprendere il fatto di ritrova
re la problematica della definizione di una specificit etnica
gi in una monografa etnografica tradizionale quale quella sui
pescatori lebou del Senegai, realizzata nel 1946 dai due gio
vani Balandier e Mercier. Questo piccolo gruppo insediato sul

INTRODUZIONE

la linea costiera della Petite-Cte senegalese, non lontano da


Dakar, all'incrocio del Pays Wolof e del Pays Serere, proprio
sulla punta della parte pi modernizzata dellAfrica Occi
dentale Francese (Balandier, Mercier 1952, p. 1), era stato
scelto proprio in ragione del fatto che "rappresenta (...) un
gruppo ben determinato e limitato, con la specializzazione nel
le attivit della pesca, ripiegato su se stesso, particolarista e
coerente (p. 1). La lettura del volume, che oggi presenta un
interesse storico, a dispetto di queste premesse, costringe a
confrontarsi con la difficolt di formulare una definizione
univqca dell'identit lebou. Cos, nel fornire una ricostruzio
ne di prestiti, sovrapposizioni, migrazioni e cambiamenti, si
delinea una rappresentazione centrata sull'instabilit e sulla
propensione allo spostamento quali unici tratti che ne defi
niscono l'identit. Emerge l'immagine di una societ caratte
rizzata da un equilibrio specifico tra prossimit con il mondo
urbano e diverse influenze esterne, in cui i prestiti non sono
mai semplicemente sovrapposti, ma assimilati, incorporati al
l'insieme degli elementi propriamente Lebou (p. 213).
Sulla stessa linea, solo qualche anno pi tardi, Mercier, in
apertura di Civilisatons du Bnin, proponeva una vera e pro
pria sintesi della prospettiva dinamista, su cui vale la pena di
dilungarsi:
Una civilizzazione non nasce da se stessa; piuttosto essa un in
contro. In forme molto diverse: dei conquistatori rapportano,
o invece la ricevono da coloro che essi assoggettano; dei rifu
giati trasportano lontano la loro preziosa eredit di idee e di tec
niche, dove dei commercianti le propagano lungo vasti itinera
ri. Ma sempre, un gruppo di uomini riceve delle influenze ester
ne, alle quali, visto che le circostanze del momento appaiono fa
vorevoli, si accorda, e quindi le assimila, le sviluppa, le mette a
frutto, ne fa qualcosa di nuovo di cui vivr. Queste influenze
possono venire da molto lontano, passare lentamente attraver
so molti intermediari: una grande civilizzazione pu irradiarsi
a grandi distanze rispetto alla regione in cui essa ha raggiunto
maturazione. Spiegare, comprendere ogni civilizzazione, signi
fica dunque innanzitutto cercare le sue origini, ovvero tentare
di rintracciare i percorsi lungo i quali si sono infilate le in-

IO

MICIIELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

. fluente fecondanti che gli hanno dato origine. Occorre spesso


ricostruire una storia lontana, di cui non si trovano che tracce
. residuali. Ed ancora pi diffcile dal momento che non sem
pre ha lasciato delle tracce scritte. Ci si riduce a formulare del
le ipotesi, molteplici e qualche volta contraddittorie. Si tratta di
un gioco appassionante, ma al quale bisogna dedicarsi con mol
ta prudenza (Mercier 1962, p. 1),

Come risulta evidente gi nellesempio senegalese e come


verr ribadito ampiamente nei successivi sviluppi, la prima
sollecitazione alla messa in discussione del concetto di etnia
derivata propriamente dal confronto diretto con l'espe
rienza della ricerca sul terreno, nel superamento delle diver
se mediazioni, intellettuali come pratico-operative, degli
apparati ereditati dall esperienza del colonialismo.
Linadeguatezza dell'etnia era stata denunciata, in tempi
non sospetti, e come ricorda lo stesso Amselle (1987), gi da
Weber (1922) e, nellambito dell1antropologia sociale bri
tannica, da studiosi come Schapera (1952), Nadel (1942),
Leach, Barth (1969) e Southall (1985), i quali si sono pro
gressivamente orientati verso lo studio delFetnicit rispetto
a quello dell'etnia.
Un secondo aspetto che caratterizza il lavoro condotto da
Amselle e MBokolo come punto di avanzamento ulteriore nel
solco della tradizione dinamista quello che a livello teorico
si pu definire come il superamento del naturalismo sociolo
gico, implicito nelTutilizzo descrittivo della nozione di etnia,
in favore di un approccio costruttivista alla realt sociale.
Questo posizionamento s'inscrive nella critica a un mo
dello di conoscenza di cui Amselle ha rintracciato le origini
in Durkheim e Halbwachs, ma anche in De Maistre, Bonald
e negli echi della reazione romantica tedesca, fondato sulli
dea nostalgica e conservatrice della contrapposizione tra so
ciet e comunit. Questa visuale, insieme allossessione
durkheimiana per il legame sociale, sarebbe infatti stata al
lorigine del naturalismo sociologico di molti altri studiosi
doltralpe "che tendono a fare di ogni gruppo sociale in s
un dato gi disponibile ed auto evidente, a cui essi attribu-

II

INTRODUZIONE

scono una coscienza o una memoria" (Amselle 1999a, p. 27).


Questa stessa visione sarebbe poi stata solo riattualizzata
nella lettura hegeliano-marxista che pretendeva di poter iso
lare e ricostruire analiticamente modi di produzione, come
nel dibattito sulle societ di caccia e raccolta. Lo sforzo, vi
ceversa, quello di configurare una visione ispirata al co
struttivismo: se i gruppi definiti in s non esistono, allora "la
strategia di costituzione dei gruppi essenzialmente di natura
politica, di modo che la loro esistenza non pu essere ana
lizzata indipendentemente dai discorsi formulati dai loro
rappresentanti* (p. 28). Questa strategia politica di ricono
scimento e di accreditamento, peraltro, utilizza i metodi del
la produzione della verit che hanno corso nel campo scien
tifico, ovvero l'indurimento o consolidamento dei fatti.
In questo senso l'identit non pi un presupposto na
turale gi d isp o n ik ^
di pro
cessi storico sociali; essa
diviene il risultato di una negoziazione tra tutti gli attori che i
sono parte in causa nella definizione del legame sociale. Il con- . ,>
tratto sociale non pi definito una volta per tutte, ma diviene
laccordo sulloggetto stesso del disaccordo^ (p. 29).)

-V ..

Echi e reazioni
Al momento della sua uscita l ! invenzione dell etnia ha
conosciuto immediatamente una certa risonanza diventando
l'oggetto di discussioni ancora pi appassionate per il fatto
di essere stata mal compresa (Ajnselle, infra, pp. 26). Nel di
battito interno alla disciplina, il testo di Amselle e Mbokolo in qualche modo destabilizzava alcuni fondamenti perch
corrodeva l'apparato categoriale di un'antropologia che ave
va fatto dell'etnia, gi da Delafosse e Griaule, un referente sta
bile (astorico!) vitale per la disciplina. Si determinarono co
s una serie di reazioni, talvolta tardive (De Heusch 1997;
Paulme, in Bonnet 1992), che hanno voluto ridurne la por
tata innovativa. Per altri l'approccio alla complessit etnica

12

MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

circoscritto allidea che, in fondo, per Amselle, MBokolo


e colleghi, le etnie non esistono (Verdeaux 1987). Per un
importante studioso anglofono deiretnicit come Aidan
Southall, Amselle, MBokolo e soci meritano davvero un
plauso per essere arrivati a raggiungere il cuore della trib/et
nia degli etnologi africanisti che sulla scorta della lettura di
questo lavoro si dimostra come un grande organo artificia
le, malato e deformato, ostruito da persistenti e ben motiva
ti pregiudizi e fraintendimenti. A ciascuno la sua etnia!
(Southall 1985, p. 570, corsivo dellautore).
Tra le altre reazioni interessante quella di Carol Dickerman che, pur riconoscendo che la questione etnica ha a che ve
dere con categorie molto pi complesse e sfuggenti e che i re
gimi coloniali incentravano gran parte delle loro politiche pro
prio sullidentit etnica, ritiene che il libro, nel formato pro
posto, non realizzi pienamente i suoi obiettivi poich ogni stu
dio meriterebbe un maggiore approfondimento monografico,
come a ribadire, che paradossalmente lunico strumento vali
do per smontare letnia sarebbero proprio le monografe et
nografiche. Sorprendentemente, a questa reazione si sono ag
giunte quelle di pi ampia portata emerse nel dibattito politi
co-culturale francese, e questo perch il volume apparso
proprio in una fase storica caratterizzata dalla crisi delle spin
te localiste e autonomiste degli anni Settanta, venendosi a
scontrare con alcune delle evidenze del prt--penser delle
poca, ovvero quelle che si esprimevano nellambito del movi
mento ecologista e di sinistra (Amselle, MBokolo infra, p. 27).
In questo senso lidea di una decostruzione del concetto e del
vocabolario etnico si venuta a configurare come un oltrag
gio alla sensibilit e allimmaginario di quegli anni, laddove an
che nella cultura della sinistra si manifestava una curiosa con
vergenza con lidea dellorigine e della legittimazione etnica di
movimenti indipendentisti e regionalisti letti come rivendica
zione di minoranze in ambito pluralistico (Pompeo 2007).
Luscita a met degli anni Ottanta de LInvenzione dellet
nia si veniva a inserire in un pi ampio dibattito legato al de
costruzionismo e allinfluenza della scuola degli Annales, per
mettere in risalto i significati legati alla costruzione dellap

INTRODUZIONE

*3

partenenza etnica, il che vuol dire riconoscere che le etnie non


esistono oggettivamente come entit fsse e immutabili,
bens esse stesse vengono progressivamente introiettate in
modo da esistere soggettivamente nella coscienza degli at
tori sociali. Lappellativo decostruzionista, assumendo la
storicit come elemento interno dei processi identitari e dei
fatti culturali, in questo contesto viene ad analizzare la que
stione nei termini delle molteplici e successive reinvenzioni
della tradizione nella contemporaneit, evidenziando il ca
rattere ascrittivo dell'etnia come una finzione coloniale - si
veda ad esempio il Ruanda - che viene rimessa in gioco e stra
tegicamente reinterpretata nella competizione politica a par
tire dagli attori sociali che se ne fanno interpreti (Fusaschi
2000; 2003). Come gi preannunciavano Chrtien e Vdal nei
due contributi fondamentali di questo volume, proprio la vi
cenda ruandese, pochi anni dopo, avrebbe fornito l'esemplificazione pi tragica del potere di mobilitazione delFargomento etnico nella costruzione di un conflitto politico, fino
alla pianificazione di un vero e proprio progetto genocidario
concretizzatosi nei tragici eventi del 1994 (Fusaschi 2000;
2007), Allo stesso modo il valore quasi premonitore degli stu
di qui raccolti purtroppo facilmente riscontrabile, esten
dendo lo sguardo ad altre situazioni di estrema criticit qua
li la guerra del Congo (ex Zaire), di cui alcune premesse so
no presenti nel saggio di M'Bokolo, o la drammatica implo
sione della Costa dAvorio, anticipata in filigrana nell'analisi
di Dozon. Teatri di diversi conflitti che hanno comunque tut
ti ri-messo in gioco un vocabolario etnico.

Etnia, etnicit e culturalismi: il dibattito italiano


Se si fa eccezione della fase in cui dall'etnia in senso de
scrittivo derivava la prospettiva di studi delletnologia5, un ve
ro dibattito critico su questa nozione emerge, nel nostro pae
se, all'inizio degli anni Novanta, in relazione alle vicende le
gate alla transizione post-comunista dell'est europeo e, in
particolare, del lungo conflitto nella ex Iugoslavia.

MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

Il biennio 1993-1995 si configura, infatti, come un mo


mento centrale nella discussione, con una serie di iniziative
seminariali e di pubblicazioni a cominciare dal dibattito sul
la rivista Ossimori per arrivare agli importanti lavori di
Maher (1994), Fabietti (1995) e Solinas (1995), usciti quasi
in contemporanea.
Un punto di partenza pu essere individuato proprio in
Ossimori, in un intervento di Bernardi, Il fattore etnico dal
l'etnia aWetnocentrismo (1994), a cui rispondono Saccardi,
Aime, Fomari, Lisi, Rihtman Augustin, Resta Vereni e Sobrero. La discussione rilanciata Tanno successivo da Li
Causi, a sua volta accompagnato dagli interventi di Maher,
Squillacciotti, Ronzon e Bitti. Infine il dibattito si conclu
so con la replica dello stesso Bernardi (1995).
La riflessione traeva spunto dal paradosso di una ricono
sciuta e riguadagnata centralit del fattore etnico nella vi
cenda europea, con la fine della favola della presunta pacifi
cazione identitaria del vecchio continente, nel sanguinoso ri
sveglio della pulizia etnica.
Il riproporsi con drammatica evidenza della violenza in
nome dellidentit di per s gi denuncia linadeguatezza
delle categorie e della discussione, ovvero quel ritardo con
cettuale e quel vuoto lessicale che per Bernardi nel con
testo italiano si sarebbero tradotti in una vera a propria mor
tificazione del fattore etnico, in relazione al concetto di na
zione, a cui esso comunque legato. Cos per Sobrero let
nia come termine evocativo proprio un sinonimo ridutti
vo di popolo-nazione, concetto che non si poteva applica
re ai territori africani perch troppo nobile, troppo carico
di storia; la nozione di etnia sembr pi adatta, pi vicina al
la natura (in Bernardi 1994, p. 34). Vereni vede nel dibatti
to sulletnia la centralizzazione di un concetto marginale
(p. 31) come lemma che pronto a rivestire nelluso comune
il ruolo giocato finora da cultura (ib.) e nondimeno, a dif
ferenza di questultima, appare maggiormente refrattario a
ogni specificazione, portando con s unirriducibile ineffa
bilit, quella delle comuni concezioni e norme di vita che
ne costituirebbero la sostanza: sotto la voce 'etnia le diffe

INTRODUZIONE

15

renze interne (che per molto tempo abbiamo considerato


essenziali) vengono accidentalizzate (p, 32).
Linsufficienza lessicale dei dizionari italiani, con la ri
petizione di riferimenti agli aspetti biologici e il richiamo a
studiosi degli anni Trenta, spinge rafricanista Bernardi, gi
missionario, a rintracciare alcune radici del vocabolario et
nico, dal significato greco di aggregato distinto da carat
teristiche proprie (p. 14) fino alla migrazione attraverso il
linguaggio neotestamentario e della patristica: il riferimen
to etnico "passa nella lingua italiana con il senso generico
e .spregiativo di <non-cristiani>e poi di pagani', fino a de
signare tutti i popoli ritenuti senza religione" (ib.). Di par
ticolare interesse la presenza del termine nel Nuovo Testa
mento, laddove la voce ethnicus, al plurale ethnici, talvolta
sostituita con upokritai, ovvero ipocriti, termine di con
danna morale per chiunque non pratichi ci che predica
(ib.). La lettura e Pautorit del Vangelo ci consegnano dun
que l'eredit storica deYethnicus nel significato dispregia
tivo e discriminante:
quando il cristianesimo si identificher con la civilt occiden
tale, laccezione negativa verr applicata a tutti i non-occidentali, appunto perch non-cristiani - etnici e pagani -, facendo
di tale qualificazione il motivo promotore delle conquiste co
loniali, esaltate come mandati di civilt e di conversione per gli
stati cristiani occidentali (pp, 14-15).

Da questi riferimenti storici, tornando all'attualit si giun


ge cosi alla conclusione che
1 etnia e letnicit non sono solo concetti astratti o mere encla
ve linguistiche, ma riguardano comunit sociali fortemente co
scienti della propria identit, pronte a difenderla e a reclamar
ne il riconoscimento finanche con forma di lotta e di resisten
za (p. 13).

In questo modello interpretativo sono presenti livelli di


sovrapposizione tra un uso descrittivo del concetto, quasi un
identificatore geografico, e una lettura interpretativa e poli

16

MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

tica della densit del fattore etnico. Questa convivenza di


significati opposti, oggi diremmo delletnia nel senso classi
co ottocentesco e delTetnicit in senso moderno e postmo
derno, si ritrova anche nella definizione, non priva di tautologismi, secondo cui per etnicit intendo la concettualizza
zione e la sintesi astratta delle concezioni e norme di vita di
una etnia e dei suoi appartenenti (p. 16). Si rivela cos un
fondamento sostanzialista del discorso etnico, in seguito cri
ticamente sviluppato da Li Causi; il riferimento all etnia, ne
gli attori sociali, implica il richiamo di un livello ulteriore e
opaco rispetto alla cultura, nel rinvio quali fondamenti identitari a una comune sostanza o ad aspetti biologici. la ri
proposizione di unideologia della discendenza e delleredi
tariet, storicamente collegata al simbolismo del sangue e al
la razza: letnia si troverebbe ad essere definita in termi
ni di unicit culturale (e/o linguistica e religiosa), negando
quella che sembra essere al sua caratteristica pi specifica
(Li Causi 1995, p. 17).
Il punto di forza del fattore etnico per Bernardi sarebbe
nel suo radicamento nellidentit personale:
nessuno solo: ognuno nasce allinterno di un gruppo etnico,
fossanche solo quello duale dei genitori Fin dall'infanzia le
ducazione sancisce lindividualit e avvia ognuno alla maturit
di comportamento e di giudizio, secondo le concezioni e le
norme delletnia di appartenenza (Bernardi 1994 p. 17).

Il discorso si sposta cos sulletnocentrismo, come dimen


sione ineliminabile dellappartenenza, rispetto a cui possi
bile distinguere tra un significato positivo, precisa e legitti
ma esigenza di identit culturale (p. 18) e uno patologico che
costruisce il conflitto. Secondo tale distinzione, che per Sobrero improduttiva, il punto di approdo del ragionamento
la proposta di una vera e propria educazione etnica, per pre
venire il rischio della creazione di modelli educativi etnocen
trici. Fomari, dal canto suo, denuncia i limiti di questa pro
spettiva declinata tutta in chiave volontaristica e fideistica. In
questa postura , peraltro, possibile individuare una conver

INTRODUZIONE

17

genza con le nascenti retoriche dellinterculturalit per la lo


ro caratteristica impronta pedagogistica (Pompeo 2002).
Una linea interpretativa che emerge con forza negli altri
interventi sottolinea la manipolazione politica e luso strate
gico del vocabolario etnico. Cos per Aime un'antropologia
degli scenari contemporanei di regionalismi e di localismi de
ve aggiungere ai consueti strumenti di indagine quello del
l'analisi politica ed economica del problema cosiddetto et
nico" (in Bernardi 1994, p. 26). Sulla stessa linea YantropoIoga nativa Rihtman Augustin, a partire dalla letteratura so
vietica suYethnos e attraverso la sua esperienza diretta ri
costruisce la processualit politico-sociale del lungo e lace
rante conflitto della ex Iugoslavia, nel passaggio dalleduca
zione etnica negativa dell'esperienza socialista, che annulla
va le differenze, all'enfasi neo-romantica dellidentit dei
nuovi nazionalismi. Ancora in relazione a queste dinamiche
dell'area balcanica la riflessione di Resta sulle comunit al
loglotte arberesh per cui con l'arrivo dell'immigrazione albanese non si presentano pi come una minoranza che ha
basi etniche perch sono mutate le condizioni politico-culturali della propria auto rappresentazione (in Bernardi 1994,
p. 31). Premonitore poi il nesso proposto da Lisi con la te
matica del fondamentalismo come riscrittura etnica dell'i
dentit utilizzando l'alfabeto teologico (p. 28).
Qualche mese dopo, Li Causi converge sull'urgenza di re
cuperare i ritardi nello studio del fenomeno etnico al di l del
la superficialit di alcune riscoperte1. A dispetto di una
certa confusione del dibattito pubblico, occorre rivendicare
all'antropologia il merito di
aver delineato un contesto teorico, metodologico e terminolo
gico atto a dar conto di qualcosa (letnicit, pi che l'etnia) che
ha caratteristiche proprie e non riducibile ad altro (Li Causi
1995, p. 13).

Il riferimento alla traiettoria che da Barth a Eriksen, at


traverso le ricerche sul Social Change e le riflessioni legate alYethnic revival statunitense, ha tematizzato nell'etnicit il su

i8

MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

peramento delle dimensioni oggettivanti del concetto di etnia


(Pompeo 2002). Si vuole recuperare un posizionamento teo
rico che integri diversi punti di vista: lelemento soggettivo delrautoattribuzione viene infatti a ricoprire un ruolo fondante
nell'identificazione dell'etnia; al contempo esso diventa anche
caratteristica oggettiva della sua definizione (Li Causi 1995,
p. 15). Questa prospettiva, peraltro, si confronta, a distanza di
dieci anni, proprio con il lavoro di Amselle e MBokolo, lad
dove l'indagine storico-antropologica "che scavi nel passato di
una rivendicazione etnica, magari affermata 'naturale' e mil
lenaria, per svelarne invece la sua invenzione' pi o meno re
cente, e le sue caratteristiche e funzioni spesso politiche e di
potere rappresenta un'opzione scientifica legittima e, direi,
doverosa, ma che, tuttavia, non scalfisce la percezione sog
gettiva della propria identit da parte di chi si fa portatore, per
ragioni politiche, ideologiche ed anche emotive, di un'unicit
etnica rispetto ad altre unicit considerate diverse (p, 14).
In questo modo si vuole pertanto affermare il primato me
todologico della self-ascription etnica:
il concetto di etnicit, come manifestazione nel rapporto inte
retnico di unicit e di differenze, sospinge e concentra Fanalisi
verso un processo di continua qualificazione delle relazioni tra
raggruppamenti sociali diversi, per separare e delimitare ci che
etnico da tutto ci che invece non lo (p. 18).

La conclusione ancora provocatoriamente un rinvio ad


Amselle e M'Bokolo, dal momento che al cuore dell'etnia
dunque, [sta] l'etnicit (p. 18).
Il primato dellautorappresentazione degli attori sociali,
richiamato da Li Causi, qualora costituisca un punto di vista
esclusivo, in accordo con Amselle e nella prospettiva qui
adottata, rischia di costituire uningiustificata limitazione
della conoscenza. Nello studio delle condizioni di produzione
dell'etnicit il richiamo alle dimensioni soggettive non , in
fatti, in alcun modo alternativo alla valutazione del fattore
etnico come elemento politico da mettere in relazione an
che con poteri e dominazioni.

INTRODUZIONE

19

Proprio i contributi di questo volume chiariscono che


questa una contrapposizione falsa: Fanalisi della produzione
e riproduzione deletnicit da parte degli attori sociali, re
cuperando la storicit ha guadagnato in profondit e am
piezza, evitando le distorsioni derivanti da un approccio me
ramente sincronico, superando le limitazioni del fieldwork an
tropologico tradizionale, ovvero la riduzione dell'analisi del
le dinamiche delletnico allo studio dei reciproci posiziona
menti identitari in un campo sociale univocamente definito
nella dimensione atemporale del presente etnografico (Am
selle, Vidal infra).
Continuando il dibattito Maher (1995, p. 21) raccoglie
linvito a "privilegiare letnicit e ridimensionare letnia; co
s in unampia riflessione che va dallex Unione Sovietica al
Ruanda, sottolinea lesigenza di tornare allesame delle
forme di autorit, del potere e dellinteresse, piuttosto che
presumere una sorta di automatismo etnico". Gi un anno
prima la stessa Maher aveva raccolto e messo a disposizio
ne per il pubblico italiano una srie di classici dellantro
pologia britannica (Barth, Mitchell, Cohen, Philip e Iona
Mayer, Hannerz) anche come contributo allallora nascen
te dibattito sulle questioni del pluralismo culturale in Ita
lia, sottolineando che lidentit etnica va definita come la
somma delle identit che una persona assume nel corso
della vita e ha sempre una valenza relativa e situazionale
(Maher 1994, p. 31).
Tornando a Ossimori, per Squillacciotti necessario re
cuperare un riferimento allideologia e ai suoi linguaggi an
che in relazione ai contesti sociali e politici:
la contrapposizione degli interessi non parla pi il "linguaggio po
litico del conflitto, ma quando questa pu incarnarsi in una lo
gica dei gruppi egemonici allinterno dei gruppi sociali come
ideologia etnica che trova spazio prevalentemente in unaffer
mazione armata della propria esistenza (Squillacciotti 1995, p. 22).

Nel suo intervento, Bitti restituisce la profondit storica


della prospettiva delletnicit, facendo riferimento agli svi

20

MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

luppi pi attuali delPantropologia urbana e delle migrazio


ni, come nei lavori di Wallman. Ricercando un punto di equi
librio tra emico ed etico, Bini reinscrive loggetto etnico nel
le domande della complessit e della globalizzazione:
forse dietro questo interesse per l'inafferrabile etnicit che
coinvolge l'antropologia contemporanea c qualcosa di im
portante che rimanda al cuore della disciplina. Come si creano
le differenze oggi? Chi laltro oggi? (Bitti 1995, p. 28).

Le conclusioni di Bernardi riprendono il primo contribu


to per ricapitolare il dibattito dell'africanismo in riferimento
a storici come Lonsdale e Ranger o, per il nostro paese, Gen
tili. L'incertezza semantica della novit dellirruzione dell'et
nico deve mobilitare la riflessione antropologica a partire dal
lassunto perentorio secondo cui "etnia cultura, non moda"
(Bernardi 1995, p. 12). L'elemento centrale del suo approc
cio si conferma in una troppo semplice sovrapposizione tra i
due concetti, storicamente distinti se si vuol comprendere la
natura dell'etnia e delletnicit, e se ne vuole analizzare l'e
voluzione concettuale in termini anche di genericit e di spe
cificit, occorre porsi in una prospettiva culturale (p. 13). In
questo senso "la piena coscienza di s e la conoscenza delle
regole di comportamento e dei modi di vita della propria et
nia (p. 14) permettono a gni individuo la comunanza e la
partecipazione attiva alla cultura nonch alla vita sociale.
Quindi, per mezzo di una sorta di "inculturazione all'etnia
si determina una sorta di automatismo etnico.
Riveste particolare interesse rilevare dunque l'afferma
zione di una lettura culturalista della tematica etnica che, in
una peculiare convergenza e per propriet transitiva, peral
tro ben si coniuga con la tendenza all'etnicizzazione dei fat
ti culturali, che sembra oggi caratterizzare il dibattito italia
no sulla migrazione e il multiculturalismo (Pompeo 2007).
A questo momento di effervescenza della discussione ha
fatto dunque seguito una fase di sistematizzazione attraver
so i lavori di Maher (1994), Fabietti (1995), Solinas (1995).
Discorso parallelo nel campo della storiografia africanistica

INTRODUZIONE

21

quello di Gentili (1995) che, in riferimento alla storicit del


le societ africane, premette il riconoscimento della natura
fluida, fluttuante dei raggruppamenti sociali e politici: in
somma le trib come entit culturali e politiche omogenee e
statiche non esistevano; n esistevano etnie ben definite e fs
se nel tempo (1995, p. 16).
II contributo monografico di Ugo Fabietti a una storia e cri
tica di un concetto equivoco (1995) si propone come una rico
gnizione generale, sintetizzabile per mezzo della formula im
brglio della cultura-illusione delle trib-finzione delletnia, in cui, passando attraverso Amselle e MBokolo, in un per
corso tra confine etnico e politiche dellidentit, si giunge a in
dividuare alcune definizioni a partire dalla considerazione che
lidentit etnica e Ietnicit, cio il sentimento di appartenere ad
un gruppo etnico o etnia, sono, (...) definizioni del s e/o del
laltro collettivi, che hanno quasi sempre le proprie radici in rap
porti di forza tra gruppi coagulati attorno ad interessi specifici
(Fabietti 1995, p. 12, corsivo dellautore).

Nello stesso anno, il volume curato da Solinas fornisce la


traduzione sul piano della ricerca etnografica di questi orien
tamenti; raccogliendo una serie di saggi di terreno di autori
italiani (Astuti, Grilli, Palumbo, Viti), vuole infatti interro
garsi sul senso delle identit collettive nelle realt africane
contemporanee. Si tratta allora di riconoscere definitiva
mente che il terreno dei saperi antropologici infestato di
invenzioni, e dunque nessuna delle sue categorie appare
immune dal sospetto di inautenticit (Solinas 1995, p. 16).
Da questo assunto consegue che la ricerca, superando loggettivismo, lungi dallabbandonare il campo chiamata a
impegnarsi nella ricostruzione delle modalit concrete di
produzione e manifestazione dellidentit etnica, ovvero nel
lesame dei diversi processi di etnogenesi.
In fondo, come da pi di ventanni vengono insegnandoci
Amselle, MBokolo, Bazin, Dozon, Vidal e Chrtien e come
il nostro quotidiano ci dimostra

22

MICHELA FUSASCHI, FRANCESCO POMPEO

quando la fluidit sociale indominabile, quando le genti si as


somigliano troppo, e, soprattutto, si mescolano troppo facil
mente, qualcuno" interviene a mettere ordine: stabilisce chi de
ve assomigliare ad altri e chi deve differenziarsi, somministra
confini pretende che il discreto interrompa il continuo (p, 17).

1 U primo e il secondo paragrafo sono stati scritti da Michela Fusaschi, il


terzo da Francesco Pompeo,
2 In primo luogo grazie lintuizione del compianto Alfredo Saisano e alla
tenacia di Luisa Capelli che hanno sostenuto questo sforzo,
3 Non sfuggir a nessuno il riferimento al Conrad di Cuore di tenebra o al
le retoriche dei viaggi esplorativi.
4 Quattro saggi sono scritti da antropologi (Amselle, Bazin, Dozon e Vidal),
due da storici (M'Bokolo e Chrtien).
5 II primo insegnamento a Roma, nel 1937, con Raffaele Petazzoni, che vi
vedeva una disciplina storica .

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Prefazione alla seconda edizione


Au cur de l}ethnie rivisitato
Jean-Loup Amselle, Elikia MBokolo

NelTaccingerci a un lavoro di decostruzione del concet


to di etnia, disponiamo dei lavori di due precursori, Mercier
e Barth, le cui analisi andavano contro un certo numero di
preconcetti dell'antropologia. Nello studio dedicato ai sqmba del nord Benin, Mercier (1968) aveva constatato che la de
finizione classica di etnia non poteva applicarsi a questo
gruppo Collegandosi alla tradizione anglosassone e, in par
ticolare, ai lavori di Gluckman e di Nadel, Mercier poneva
Paccento sulla storicit dell'etnia attraverso la messa in luce
di una differenza radicale tra l'etnicit del periodo precolo
niale e quella dell'epoca coloniale. Da parte sua Barth (1969),
in uno studio oramai diventato classico, accordava la priorit
a una prospettiva legata al passaggio di una pluralit di grup
pi attraverso una frontiera, facendo di questultima il ve
ro oggetto dell antropologia.
Muniti di questo bagaglio teorico ci siamo immersi in
questo lavoro di smontaggio della nozione di etnia. Allini
zio degli anni Ottanta eravamo non pochi ad averne abba
stanza della vulgata giornalistica che consisteva, e consiste
tuttoggi, nel rendere conto di un qualsiasi avvenimento che
accade sul suolo africano in termini di conflitto tribale o
di lotta etnica, rinviando a una sorta di ferocia essenziale
che si sarebbe interrotta solamente durante un breve perio
do, quello della colonizzazione europea. In effetti, se nel
limmaginario giornalistico il mondo arabo il dominio del
l'integralismo e l'india quello delle caste, il continente afri

26

JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO

cano per eccellenza la terra di elezione degli antagonismi


etnici. Si pensi ad esempio al trattamento mediatico e all'u
tilizzazione politica dei conflitti che si sono prodotti o che si
producono attualmente in Liberia, in Sierra Leone, in Ruan
da, in Burundi e in Congo1.
Non si trattava per noi di dimostrare che le etnie in Afri
ca non esistevano - ci che ci stato rimproverato - ma che
le etnie attuali, le categorie nelle quali gli attori sociali si
pensano, erano delle categorie storiche. Per convincersi del
fondamento di questa posizione sufficiente ricordare ci
che successo in Liberia qualche anno fa. Come in tanti
altri paesi africani sconvolti da lotte fra gruppi, la situazione
liberiana sembrava andare incontro alle nostre tesi. In que
sto paese, in effetti, il conflitto che contrapponeva il go
verno di Samuel Doe e le forze di Charles Taylor e di Prince Johnson sembrava ridursi a uno scontro fra etnie krahn
e mandingo da un lato e le altre etnie della Liberia dallal
tro. Ora, come certi giornalisti, prima di essere sommersi
dalla vague etnicista sono stati costretti a riconoscere, il ter
mine mandingo non rinvia a un'etnia particolare, ma desi
gna linsieme dei commercianti musulmani. Se ci si riferi
sce al campo semantico dei termini mandingoymandingue
o malinky chiaro che laccezione del termine mandingo
in Liberia non che uno dei significati possibili di questa
categoria, la quale, per questo fatto, possiede una pro
priet performativa. Per noi si tratta quindi di mettere in
primo piano il costruttivismo piuttosto che il pensiero primordialista. Dimostrando che non si poteva attribuire un
solo significato a un etnonimo determinato, noi metteva
mo laccento sulla relativit delle appartenenze etniche
senza per questo negare agli individui il diritto di rivendi
care lidentit da loro scelta. Quello che qui oggi viene rie
ditato il risultato di questo lungo lavoro collettivo iniziato
allinizio degli anni Ottanta e pubblicato, per la prima vol
ta, nel 1985.
L'invenzione deWetnia ha conosciuto immediatamente
una certa risonanza diventando loggetto di discussioni an
cora pi appassionate per il fatto di essere stata mal compresa.

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

27

Pubblicata subito dopo il soffocamento dei movimen


ti regionalistici degli anni Settanta, urtava contro qualcu
na delle evidenze del pret--penser dellepoca ovvero quel
li che si esprimevano nelFarea ecologista e di sinistra. Ma
minava ugualmente i fondamnti di un'antropologia che ri
schiava di essere privata del suo riferimento di analisi pri
vilegiato, l'etnia. Se l'etnia non esiste, dicevano implicita
mente gli antropologo che cosa ci resta da studiare? Se non
abbiamo pi dei soggetti storici, sostenevano dalTaltra
parte gli storici, come possiamo narrare i grandi racconti
della storia del continente africano? Per noi non si tratta
va tanto di far sparire loggetto antropologico o storico,
quanto di vederlo sotto un'altra luce. Sembra, infatti, evi
dente a coloro che hanno contribuito a questo volume che
l'antropologia francese del dopoguerra, in ragione della do
minazione dello strutturalismo, aveva accordato al nome
del gruppo studiato - all'etnonimo - lo statuto di referen
te stabile, proprio mentre la sociolinguistica e la pragma
tica, il cui sviluppo procedeva a discapito dalla linguistica
strutturale, mettevano in primo piano la labilit socio-sto
rica di questo stesso referente.
La focalizzazione sulle catene di societ, Yecono
mia mondo africana precoloniale e gli spazi coloniali,
l'importanza accordata alla distinzione fra societ inglo
banti e societ inglobate cos cme la messa in eviden
za del carattere performativo degli etnonimi tratteggiava
no i contorni di un'antropologia diversa da quella che oc
cupava la scena in Francia. Piuttosto che concepire le et
nie come degli universi chiusi situati gli uni accanto agli al
tri, i sistemi politici precoloniali come delle entit netta
mente separate, le concezioni religiose come dei mondi
ben delimitati, i tipi di economia come regimi distinti, noi
facemmo la scelta di studiare le interrelazioni, le sovrap
posizioni e gli intrecci. In questo ci ricolleghiamo alle ela
borazioni di Kopytoff (1987) il quale da parte sua ha svi
luppato un'analisi che pone l'accento sulle relazioni cen
tro-periferia e sulla frontiera in quanto matrice delle for
mazioni politiche africane.

Il etnia: uninvenzione coloniale?


A questa problematica costruttivista delletnia legata la
questione della riappropriazione che pu essere definita co
me il fenomeno di retroazione ifeed back) degli enunciati
etici sugli stessi attori sociali. Questa questione riguarda
dunque la produzione delle identit locali a partire da ci che
Mudimbe (1988) ha definito biblioteca coloniale e che ben
si applica al carattere coloniale delle categorie etniche che,
come si sa, una delle idee portanti di questo libro. Secon
do questa prospettiva, il modo in cui gli indigeni si percepi
scono sarebbe legato agli effetti di ritorno dei racconti delle
esplorazioni e della conquista ma anche dei testi etnologici
coloniali e postcoloniali sulla loro coscienza di s. Da un
punto di vista generale, questa riappropriazione si iscrive
nel campo pi vasto dei rapporti fra lo scritto e lorale. Nel
le culture orali, in effetti, la diffusione della scrittura au
tentifica le pretese degli agenti e sacrifica in qualche modo
rapporti sociali. In questa argomentazione si ritrovano le
analisi di Jack Goody (1979) ma allo stesso tempo anche i suoi
limiti. Nelle societ africane che sono da molti secoli in con
tatto con la scrittura, e in particolare con una letteratura ara
ba che veicola rappresentazioni riprese dal Vecchio Testa
mento, come si pu essere certi che i materiali raccolti sul
campo dall'etnologo o dallo storico non portino le tracce di
concezioni importate prima della conquista coloniale? Lo
schema che oppone la gente del potere a quella della terra,
per esempio, presentata dagli antropologi come un tratto
culturale caratteristico di numerose societ africane. Questo
schema pu essere concepito come il prodotto dell'incorpo
razione deirinsieme di queste formazioni politiche in una
koin che include YAfrica del Nord; Luso ricorrente della
geomanzia obbedisce senza dubbio allo stesso principio.
Da questo tipo di riflessione si possono trarre due con
seguenze: innanzitutto limportanza accordata alla specificit
etnica e al comparativismo che essa induce ha leffetto di an
nullare questo fenomeno di inglobamento. In secondo luo
go possibile che i fatti di riappropriazione o di reimpiego,

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

29

sui quali gli storici attirano l'attenzione degli altri specialisti


delle scienze sociali e che fanno vacillare la sicurezza degli an
tropologo siano assimilabili a un incontro tra un gi l* in
cluso in un insieme che oltrepassa largamente la societ lo
cale studiata e una letteratura importata. Nel campo del
lantropologia politica delTAfrica, per esempio, le teorie lo
cali del potere non si ridurrebbero a una semplice creazio
ne coloniale ma risulterebbero da un accordo tra la coppia
gente del potere/gente della terra, coppia infiltrata o no dalTlslam e dalla teoria coloniale della conquista. A questo pro
ponilo non privo di interesse domandarsi se l'importazio
ne in Ruanda da parte dei missionari belgi del luogo comu
ne onnipresente della storiografia francese - quello che op
pone Franchi (gente del potere) ai Galli (gente della terra)
- non abbia contribuito a indurire le categorie locali tutsi e
hutu e ad assegnare loro un significato etnico esclusivo (Fran
che 1995),
La riappropriazione non pu quindi effettuarsi su una ta
bula rasa: occorre infatti ipotizzare l'esistenza di un suppor
to che possieda le stesse caratteristiche degli elementi che ven
gono ad aggiungersi alledificio affinch linnesto funzioni. Al
lo stesso modo, se le popolazioni un tempo senza Stato han
no risposto favorevolmente allimmagine che i colonizzatori
tentavano di attribuire loro, senza dubbio perch esse era
no gi iscritte o gi si iscrivevano in una rete di relazioni in
cludenti lo Stato come uno degli elementi vicini o lontani. In
Africa, in effetti, e questo molto prima della colonizzazione,
lo Stato cos come le reti mercantili che ad esso sono colle
gate in quanto fonti maggiori di registrazione etnica impri
mevano i loro segni non solo sullo spazio che controllavano
direttamente, ma anche sui suoi margini e al di l di essi.
Piuttosto che a un tutto coloniale , dunque a una
preoccupazione di re-storicizzazione, di re-politicizzazione e
di re-islamicizzazione delle societ africane che rispondeva,
questo libro e, a questo titolo, a essere presa di mira non era
tanto letnologia degli amministratori coloniali, anche se questultima ha contribuito non poco a trasformare le categorie
sociali africane in categorie etniche, quanto piuttosto lan

30

JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO

tropologia universitaria del periodo coloniale tanto francese


quanto inglese. In effetti, sono proprio i rappresentanti del
la scuola funzionalista inglese e della scuola di Griaule che
hanno fissato le societ africane in una mono-appartenenza
etnica disgiungendole dalle reti inglobanti airinterno delle
quali queste si inscrivevano allepoca pre-coloniale e nelle
quali si reinscrivono attualmente.
Colpisce a questo riguardo constatare che YAfrica - in par
ticolare lAfrica centrale - sta, in questo momento, tentando
di sfuggire definitivamente allinfluenza delle dinamiche de
rivate dalla colonizzazione e dalle tutele delle potenze ester
ne, in particolare degli antichi colonizzatori, per reinserirsi in
un gioco complesso di relazioni e di potenze locali. Da que
sto punto di vista YAfrica ritorna alla problematica della fron
tiera e delle relazioni tra centri e periferie che la caratterizza
vano prima della conquista coloniale. In un continente dove
le frontiere, bench reali, restano eminentemente porose e do
ve gli apparati dello Stato sono lontani dal controllare come
un tempo tutto lo spazio che figura sulle carte geografiche,
possono talvolta rientrare in gioco degli scenari antichi. Que
sti sarebbero per riproposti in modo semplicistico sotto for
ma di concetti nuovi, come, ad esempio, quelli che mettono,
nella Repubblica Democratica del Congo, gli scopritori ruandesi camiti o etiopi contro gli autoctoni bantu, termi
ne di cui si conosce il peso storico (Chrtien 1997). Ma dal
tra parte non bisognerebbe ridurre queste evoluzioni con
temporanee a un qualunque ritorno di un passato, se cos
si pu dire, messo fra parentesi dalla colonizzazione che
avrebbe giocato un ruolo di congelatore sociale, che avreb
be soffocato, fissato e, allo stesso tempo preservato questo stes
so passato. Parallelamente alla riaffermazione e al ritorno di
identit antiche - a cominciare da quelle degli africani o dei
Negri - si vede in effetti perpetuarsi sotto i nostri occhi la
costituzione di nuove identit rapportate a territori dalle fron
tiere instabili: identit etniche, come i banyamulenge del
lex Zaire; identit regionali, come i nordisti e i sudisti in
molti Stati; identit nazionali, di cui rendono conto i dibatti
ti, (ri)attivate attraverso le consultazioni elettorali democrati

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

31

che e la registrazione dei cittadini in base alla nazionalit, gli


alloctoni e gli autoctoni (Dozon 1997).

La ricostruzione dell'africanismo
A una fase salutare di decostruzione o di smontaggio del
la nozione di etnia deve succedere una fase di ricostruzione di
una scienza sociale africanista preoccupata di procedere a un
esame circostanziato della questione deUetnicit nelle societ
africane e in generale nellinsieme delle societ che sono di
competenza dellantropologia. Oramai non si pu pi utiliz
zare un qualunque etnonimo senza definire preliminarmente
il suo contesto di impiego, d modo che si assiste alla sostitu
zione dellessenzialismo etnologico con una pragmatica delle
societ. Cos facendo le societ africane raggiungono il con
certo delle altre societ e soprattutto di quelle che ridefniscono
in permanenza le condizioni del dibattito con se stesse e con
le altre. Letnologia africanista confluisce cos in unantropo
logia del dibattito sociale che riguarda linsieme dellumanit.
Dopo luscita di qusto volume e indipendentemente dai no
stri lavori (Amselle 1987; 1990; 1993; 1996 e MBokolo 1993;
1995) molti altri studi hanno arricchito I4 problematica delle
costruzioni identitarie in Africa. Tra questi ultimi menzionia
mo in particolare la raccolta di testi pubblicati da de Bruijn e
van Dijk (1997) che riguarda non unetnia determinata, ben
s i rapporti fra due etnie, fatto che rappresenta uno sviluppo
considerevole rispetto allapproccio monoetnico classico. Stu
diare le relazioni fra popoli vicini che intrattengono da molti
secoli rapporti politici, economici e culturali costituisce il mo
dello di quella che deve essere la ricerca nelle scienze sociali,
ossia una ricerca che pratica un comparativismo temperato che
si limita allosservazione delle variazioni delle forme sociali, al
linterno di un quadro geografico relativamente ben delimitato.
Tuttavia questo tipo di approccio plurietnico che consiste nel
considerare un insieme di gruppi nella sua giustapposizione
deve essere esso stesso sorpassato. Bench generosa, una tale
attitudine multiculturalista non risolve in effetti nulla sul pia

32

JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO

no dei principi metodologici poich riproduce lappiattimen


to che al principio della costruzione delle carte etniche delPAfrica o di altre regioni del mondo, sottolineando, in questo
modo, la debolezza del modello di Barth (1969) che, situan
do la frontiera al centro del suo discorso, lascia intatti i grup
pi che la attraversano.
nel postulare una vera creolit di ogni gruppo etni
co o linguistico (Amselle 1990; Nicolai 1998), ovvero nel ri
conoscere che l'identit sociale e individuale si definisce tan
to per ripiegamento su di s quanto attraverso lapertura al
l'altro, in una parola che l'identit insieme singolare e plu
rale, che possibile arrivare a rispettare le differenze cultu
rali e a fonderle in unumanit comune. Gli etnonimi sono
in effetti delle etichette, degli stendardi, degli emblemi ono
mastici che si trovano gi l e di cui gli attori sociali si ap
propriano in funzione delle congiunture politiche che a essi
si offrono. Il lato camaleontico dell'identit non certa
mente estensibile all'infinito, cos come la plasticit degli sta
tus sociali non assoluta. Ma resta il fatto - gli studi sull'et
nia e ancor di pi quelli sui gruppi statutari come le caste lo
hanno dimostrato - che le possibilit di gioco della struttu
ra sono molto pi grandi di quanto non vi appaiano. Gli at
tori sociali africani non sono fissati nel loro statuto; nello stes
so modo in cui si potuto mostrare che le identit etniche
erano flessibili, si potuto mettere in evidenza che la tripar
tizione uomini liberi/schiavi/genti di casta era una costru
zione coloniale (Conrad, Frank 1995).
Questo nuovo tipo di ricerche ci invita dunque a una ri
definizione totale degli strumenti di investigazione delle so
ciet africane, restando inteso che questo sconvolgimento
non pu non avere degli effetti anche sul modo in cui noi af
frontiamo anche la nostra propria societ.

Il fantasma del meticcato


Elaborata a proposito del continente africano, la proble
matica costruttivista dell'etnia cos come i concetti che le so

PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE

33

no legati, come creolizzazione e meticciato, trova unappli


cazione in Europa e negli Stati Uniti nel quadro della lotta
contro il razzismo e dell'affermazione delle politiche che fan
no riferimento al modello del multiculturalismo. La gestio
ne della differenza culturale sperimentata in un primo tem
po nelle colonie fa attualmente ritorno in Francia dove ser
ve ad amministrare i settori sensibili della societ e allo stes
so tempo a contrastare lideologia della purezza della raz
za francese sviluppata dal Fronte Nazionale.
Tutta una tematica del meticciato ha cos visto la luce nel
corso degli anni Ottanta e Novanta tanto nel dominio della
commemorazione quanto in quello della pubblicit, della mo
da e della musica (Amselle 1996), Ispirati da motivi generosi
o semplicemente mercantili, i sostenitori di questo concetto
hanno tuttavia il torto di dimenticare che lidea di meticciato, desiderata o, al contrario, aborrita, intimamente legata
a una problematica poligenista che deve la sua origine alla razziologia del XIX secolo. In questo modo i ricercatori ben in
tenzionati che, per dimostrare che Tintegrazione in seno alla
societ francese sempre allopera, ricorrono ai concetti di
francese di origine e di straniero o alle categorie coloniali
come quelle di mand, in un certo senso non fanno altro che
accreditare e consolidare questi concetti e dunque rinforzare
il problema che desidererebbero eliminare grazie alle loro ri
cerche. Ma, paradossalment,e anche coloro i quali criticano
questa direzione in nome dellidea che i francesi sono tutti me
ticci e che di conseguenza il concetto di francese di origine non
ha alcun senso rinforzano lasse portante poligenista e razzi
sta di questa nozione. Il concetto di meticciato, allo stesso mo
do di quello a lui prossimo di creolit, riposa in effetti sulli
dea erronea, cara alla zootecnia, del mescolamento del sangue
o dellincrocio, concezioni esse stesse inficiate dalle scoperte
della genetica mendeliana.
solamente a condizione di vedere nel meticciato una me
tafora libera da ogni problematica relativa alla purezza ori
ginaria e al mescolamento del sangue, e quindi un assioma che
rinvia allinfinito lidea di una indistinzione originaria, che si
pu, a rigore, conservare questo termine.

34

JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA M'BOKOLO

Leventuale introduzione in Francia dei criteri etnici nei


censimenti - analogamente a quanto gi accade negli Stati
Uniti - dovrebbe consentire, secondo i suoi sostenitori, di
stringere le maglie della rete destinata a definire e ad ammi
nistrare le risorse della povert e deUhandicap. Prescinden
do da ci che si possa pensare in merito alla sua efficacia, que
sto nuovo dispositivo si inscrive nel quadro dellestensione
del dominio dei bio poteri instaurato nel XIX secolo nel
campo della demografia e delPepidemiologia (Foucault
1997). Se fosse messo in pratica, questo sistema farebbe del
la Francia, alTimmagine degli Stati Uniti, una nazione in un
senso molto pi etnico rispetto ai paesi africani tradizio
nalmente considerati il modello negativo rispetto alla buona
coscienza occidentale. Per un curioso ribaltamento della si
tuazione, lespansione coloniale, che stata condotta in no
me della missione civilizzatrice della Francia, ma che di fat
to si basava largamente sulla gestione della differenza cultu
rale, farebbe oggi ritorno nella sua terra di origine per met
tere in pratica una modalit di amministrazione delle po
polazioni assai distante dal modello teorico che pone il cit
tadino solo dinanzi allo Stato.

1 Questa seconda prefazione datata 1999 e i conflitti a cui gli autori fan
no riferimento sono quelli che hanno caratterizzato non pochi anni della fine
del secolo scorso; ricordiamo, ad esempio, che quello irlandese del 1994 ha as
sunto la tragica caratteristica del genocidio con pi di un milione di morti (Fu
saschi 2000); mentre nel caso del lungo conflitto del Congo (ex Zaire) si calco
la che i morti siano addirittura pi di tre milioni <N.d.T.).

Prefazione alla prima edizione


Jean-Loup Amselle, Elikia MBokolo

Abbiamo riunito in questo testo alcune riflessioni teori


che e degli studi di caso sul concetto di etnia e su altre no
zioni (trib; razza, nazione, popolo) che sono a esso fre
quentemente associate, ma anche sui fenomeni correntemente designati nel contesto africano attraverso le espressioni
di tribalismo, etnicit, regionalismo, nazionalismo tribale,..
Questi fenomeni non sono certo solo caratteristici delTAfrica: le ideologie di autoctonia, i movimenti separatisti, la
ricerca e laffrmazione di identit collettive diverse da quel
le legate allo Stato nazione, in breve, i particolarismi di ispi
razione culturale o politica si ritrovano, con unintensit va
riabile, in un buon numero di regioni e di Stati, dall'Ameri
ca anglosassone alla Cina e alTIndocina, dalla Russia sovie
tica allAmerica Latina, dal Vicino Oriente allEuropa, E non
raro che vi esplodano di tanto in tanto violente rivolte.
In nessun altro luogo questi particolarismi occuparono o
sembrarono occupare il terreno politico e il campo intellet
tuale in modo cos massiccio come in Africa. Molteplici fat
tori spiegano questa particolarit.
Innanzitutto, nel seno stesso dellafricanismo, una lunga
tradizione scientifica, incentrata sulletnologia o sullantro
pologia, si identificata con l studio delle etnie senza af
frontare, in un silenzio eloquente e compromettente, una
nalisi rigorosa del concetto di etnia.
D altronde la maggior parte delle interpretazioni dei fe
nomeni politici caratteristici delTAfrica contemporanea han

36

JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO

no integrato l'etnia e tutto ci che ne deriva in uno schema


semplicistico e rassicurante: qualificati come modernisti, i
movimenti che hanno condotto alle indipendenze e le ege
monie che li hanno seguiti sono presentati come altrettante
aspirazioni a costruire delle nazioni e a consolidarle. Im
provvisamente, le molteplici opposizioni a questi pretesi
Stati nazionali in costruzione sono state ridotte a delle
lotte tribali, essendo lo stesso tribalismo concepito come
lespressione politica delletnia e squalificato pi spesso co
me sopravvivenza e risorgenza di arcaismi precoloniali. Se
necessaria una testimonianza recente dellincredibile resi
stenza di questi clich, eccone qui una, attinta da una buona
fonte, ovvero dalla seria rivista Afrique contemporaine1. Il
primo agosto del 1982 ci fu in Kenya un colpo di Stato. Lar
ticolo che lo riferisce pone una domanda essenziale: Resta
da comprendere perch abbia avuto luogo. La risposta cer
tamente evidente: ben inteso, qui come in Uganda e come
in Zimbabwe, i dati etnici servono da supporto ai combatti
menti politici, che non fanno altro che 'modernizzare com
portamenti antichi che il periodo coloniale in Africa inglese,
pi che altrove, non riuscito ad eliminare. Ed cos che si
scopre che, dietro agli insorti, si profilano i Kikuyo, trib il
lustre e maggioritaria in Kenya2 . Si potrebbero moltiplicare a piacere gli esempi delle variazioni alle quali la vulgata etnicista continua a dare luogo sul modello del discorso scien
tifico o su quello dellevidenza comune.
Diciamolo sin da subito, c una grande distanza fra queste
opinioni e gli studi qui riuniti che giungono a delle conclusio
ni molto vicine a quelle sviluppate da Paul Mercier pi di ven
ti anni fa, quando, interrogandosi sul "significato del tribali
smo, egli notava che le opposizioni etniche attuali esprimo
no e riflettono ben altre cose che differenze culturali e ostilit
tradizionali, che si perpetuano sotto altre forme (1961, p. 70).
Ma quali altre cose? Occorre sottolineare che il dibattito
sulletnia e il tribalismo non puramente teorico; a partire da
lord Fredrick Lugard, teorico del colonialismo britannico, se
cos si pu dire, fino al regime dell'apartheid sudafricano, pas
sando per i poteri dello Stato contemporaneo, tutti i sistemi di

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE

37

dominazione in Africa hanno allegramente attinto dalle teorie


delletnia e abilmente manipolato i sentimenti etnici. Nel 1923,
lord Lugard, ispirandosi allapproccio naturalista degli etno
logi dellepoca, proponeva di classificare la popolazione
dellAfrica tropicale in tre tipi, secondo le strutture sociali, os
sia le trib primitive, le comunit evolute e gli africani euro
peizzati. Sappiamo cosa simili argomentazioni hanno deter
minato sul piano della politica in paesi come il Ghana, il Kenya,
la Nigeria o lUganda: vessazioni e controlli minuziosi nei con
fronti degli africani europeizzati e delle comunit di evo
luti giudicate troppo dinamiche; privilegi di ogni tipo per le
chefferes delle trib primitive ritenute rappresentare lAfrica
tradizionale congelate nelle loro strutture e nella loro vocazione
a essere colonizzate.
Erede del pensiero e della politica coloniale britannica del
la fine del secolo scorso, il regime dell 'apartheid ha perfe
zionato questa manipolazione: assimilare le societ africane
a trib non comporta solamente proclamare la loro diffe
renza irriducibile allo sguardo della societ bianca - societ
di classe e Stato nazionale -, ma significa anche abbassarle
al rango pi basso nella gerarchia delle societ umane; allo
stesso modo erigerle a societ tribali significa anche affermare
che queste sono in permanente conflitto tra loro e legittima
re una sistematica politica di divisione.
Abbassare, escludere e dividere rappresentano davvero
lessenza della politica dei bantustan. Quanto ai poteri del
lo Stato dellAfrica indipendente, questi hanno fatto propri e
interiorizzato la visione, i clich e gli stereotipi delletnologia
coloniale: la diversit tribale degli Stati africani serve loro
come argomento per rifiutare il pluralismo politico, dietro il
pretesto che esso non sarebbe che unespressione di questa diversit e di conseguenza un ostacolo alla costruzione nazio
nale. Il culto dello Stato nazione serve naturalmente a legitti
mare poteri personali e dittature oligarchiche; sicch i rumo
rosi discorsi sullunit nazionale sono ovunque accompagna
ti da una politica abilmente spettacolarizzata, dai dosaggi et
nici e regionalistici, che permettono al potere di dissimula
re la sua natura nel perpetuare gli stereotipi etnicisti.

JEAN-LOUP AMSELLE, ELIKIA MBOKOLO

Abbiamo cercato in questo libro di rimettere un po le co


se al loro posto.
Per fare ci occorre innanzitutto operare le necessarie ri
classificazioni concettuali interrogandosi sistematicamente
sulla nozione di etnia. Jean Bazin a proposito dei bambara e
Jean-Pierre Dozon per i bete dimostrano che in fatto di etnie
siamo in presenza di realt in movimento: qui come altrove,
nessuno esclusivamente membro di un'etnia, e gli individui,
come i gruppi sociali, sono o cessano di essere secondo il luo
go e il momento membri di una o di talaltra etnia. In defini
tiva sono l'etnologia e il colonialismo che, misconoscendo la
storia o negandola, ansiosi di classificare e di nominare, han
no cos fissato le etichette etniche. Si deve procedere, come
dimostra in effetti Jean-Loup Amselle, a decostruire loggetto
etnico": una volta riabilitate la storia e unantropologia dina
mica, appare chiaro che i gruppi etnici sono stati integrati in
insiemi pi ampi, degli spazi" strutturati attraverso fattri
economici, politici e/o culturali che hanno determinato i
gruppi etnici", fornendo loro anche un contenuto specifico.
I
tribalismi" contemporanei non possono pertanto espri
mere altro che l'etnia. Le analisi di questi fenomeni a Shaba
proposte da Elikia M'Bokolo, in Ruanda e Burundi da JeanPierre Chrtien e Claudine Vdal dimostrano quanto essi sia
no legati a determinate fasi storiche nel corso delle quali gli
attori politici, le categorie e le classi sociali si trovano ridot
ti a esprimere le loro ambizioni, la loro collera o il loro falli
mento nel linguaggio tribale, etnico o regionalista. Cos, nel
la maggior parte dei casi, la lotta per il potere dello Stato
che si riflette in queste pratiche.
Tutti questi punti rappresentano le principali tappe di un
lungo percorso tanto collettivo quanto individuale. Scom
mettiamo che queste saranno ripercorse da altri e che in que
sto modo saranno svelate le vere spinte delle societ africane.

1 Le tentative du coup d'tat au Kenya, Afrique contemporaine, n. 123,


1982, pp. 14-15.
2lb.

Etnie e spazi: per unantropologia topologica


Jean-Loup Am selle

ovvio affermare che la questione delT etnia al cen


tro della riflessione antropologica ed altrettanto ovvio
che essa costituisca il fondamento del suo approccio scien
tifico. Tuttavia facile constatare che, fino a tempi recen
ti, questo tema di ricerca non ha suscitato un grande entu
siasmo da parte della maggioranza degli antropologi. Scor
rendo la letteratura, si ha in effetti la sensazione che il trat
tamento del problema delletnia sia considerato dai ricer
catori sul campo come una corve di cui occorre sbarazzarsi
al pi presto per affrontare i veri campi: la parentela, le
conomia e il simbolismo, ad esempio. Bench la definizio
ne delletnia studiata dovrebbe costituire linterrogazione
epistemologica fondamentale di ogni studio monografico e,
in un certo senso, tutti gli altri aspetti ne dovrebbero con
seguire, si percepisce invece che, spesso, esiste uno iato tra
un capitolo preliminare che, per poco che vi ci si attardi,
mostra la fluidit relativa delloggetto, e il resto del lavoro,
in cui al contrario le considerazioni sullorganizzazione pa
rentale e la struttura religiosa fanno prova della pi gran
de sicurezza.
Questa relativa dimenticanza o questo disinteresse
da parte degli antropologi ha senza dubbio a che fare con
la storia della disciplina e anche con le differenti tendenze che lhanno animata. sempre pi evidente che lan
tropologia si formata sulla base del rigetto della storia e

40

JEAN-LOUP AMSELLE

che questo rifiuto si di fatto mantenuto da allora. Senza


pretendere di lasciarci andare a un inventario classico, che
consiste nel passare in rassegna ogni scuola antropologica
e nelTesaminare il modo in cui essa avrebbe trattato il pro
blema delletnia, in questa sede sufficiente ricordare
che le correnti che hanno segnato maggiormente il pensiero
antropologico - revoluzionismo, il funzionalismo, il cuituralismo e lo strutturalismo - sono delle dottrine essen
zialmente astoriche.
Se si considera, seguendo il pensiero di Marc Aug
(1979), lo spazio dentro il quale si sviluppa il pensiero an
tropologico contemporaneo, si capisce chiaramente come
mai l'analisi sulletnia non possa essere posta al centro del
la riflessione degli etnologi. Secondo Aug, questo spazio
antropologico diviso fra due grandi correnti: luna che si
interessa al senso e al simbolo e laltra che tratta essenzial
mente della funzione. La prima corrente comprende la
scuola di Griaule e gli strutturalisti, la seconda i funzionalisti e i marxisti, che Aug mette, a ragione, sotto la mede
sima categoria.
E ben evidente, dunque, se si considera la prima ten
denza, che n i discepoli di Griaule, che accordano la prio
rit a ci che le societ stesse dicono, n tantomeno gli
strutturalisti, che hanno invece bisogno di pi societ o al
meno di pi sistemi di parentela o di miti per pensare le pos
sibilit differenziali dello spirito umano e stabilirne la tra
sformazione nel senso matematico del termine, non pote
vano di fatto porre il tema delletnia al centro del loro di
scorso.
Per quanto riguarda la seconda tendenza, quella che
comprende i funzionalisti e i marxisti, la questione pi
complessa. Si sa che il padre fondatore della scuola funzionalista, Malinowski, rifiuta la storia, da lui assimilata al
levoluzionismo. Dal momento che non esiste la sequenza
tipo selvaggio, barbaro, civilizzato si tratta di considera
re ogni societ nella sua specificit ma senza che sia presa
nello stesso tempo in considerazione la possibilit di stabi
lire la sua micro-storia. cos che seguendo Lucy Mair, Ma-

ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

41

linowski (1945) postula lesistenza di un grado zero del


cambiamento corrispondente allambiente rurale e prosegue
lo studio del "contatto culturale a partire dallo stato ori
ginario delle societ contadine africane. Si pu allo stesso
modo notare, in senso inverso, come Nadel, il quale si si
tua in continuit con Mlinowski, come vedremo, sia tra co
loro i quali hanno fornito una delle migliori definizioni di
cosa sia letnia.
Se ora ci si avvicina alla sponda marxista la situazione si
presenta ancora pi ambigua. Certamente ci si potrebbe
aspettare che gli antropologi che si richiamano a Marx ab
biano focalizzato il loro approccio in particolare sulletnia,
avendo tenuto la storia come riferimento costante. Ma non
questo il caso: a eccezione dello studio di Maurice Godelier (1973, pp. 93-131) sulla nozione al primo sguardo vi
cina, ma in realt distinta, di trib, su questo punto i
marxisti non hanno particolarmente brillato per la loro ri
flessione teorica. Non difficile comprenderne il perch: as
similando talvolta la storia alla sola evoluzione delle forze
produttive e preoccupati di individuare uno o pi modi di
produzione, per come si combinano allinterno di una for
mazione sociale, essi hanno trascurato lanalisi della pro
duzione di forme (Amselle 1979) e si sono accontentati del
la comprensione empirista delletnia tale e quale gli era sta
ta trasmessa dai loro predecessori - molto spesso degli am
ministratori coloniali o missionari (Chretin 1981a) - e che
gli forniva un quadro comodo allinterno del quale essi po
tevano situare questi concetti (Copans 1982). Da questo
punto di vista occorre notare lesistenza di una distanza
considerevole fra lassenza di una riflessione marxista di or
dine generale sulletnia e la qualit della speculazione del
la realt dei gruppi etnici cos come essa appariva nelle mo
nografie di questi autori (Meillassoux 1964; Terray 1969).
In tal senso ci si pu domandare se questi antropologi non
siano rimasti prigionieri di una problematica indubbia
mente assai influenzata da una lettura neo-positivista del
marxismo (Althusser) e dalla condanna che quella implicava
di ogni storicismo e se, per altri aspetti, non abbia gravato

JEAN-LOUP AMSELLE

42

su di loro il peso dellistituzione antropologica che spinge


ogni ricercatore a identificare il proprio nome con unetnia
particolare (Meillassoux 1979). Questa corrente marxista
non di meno soggetta da qualche tempo a unevoluzione
sensibile: alcuni dei suoi rappresentanti stanno rimettendo
in questione quello che era il loro approccio monoetnico
(1978) mentre si stanno avvicinando alla terza corrente che
sar adesso chiamata in causa, quella che Paul Mercier
(1966) ha definito dinamista. A questa prospettiva si collgano i nomi di Max Gluckman, Georges Balandier, Paul
Mercier, Jacques Lombard, Guy Nicolas e Jean Copans.
Questi autori sono abbastanza vicini al marxismo nel sen
so che insistono sulla necessit di procedere attraverso un
approccio storico a ogni societ pi precisamente al qua
dro scelto come luogo di inchiesta: villaggio, chefferie, re
gno, e cos via. Questo primato accordato alla storia inter
viene nella maniera seguente: conviene scegliere l'insieme
delle determinazioni che pesano su uno spazio sociale determinato e mettere Taccento sull^ rete di forze, tanto
esterne quanto interne, che lo strutturano; in poche pa
role si tratta di analizzare Tefficacia di un sistema su di un
luogo (Amselle 1974, p. 103). Questo approccio conduce
a mettere in rilievo nel senso pi ampio il quadro politi
co di questo spazio e a inserirlo in un insieme che lo ol
trepassa. Questa riflessione dovr arrivare, se non a una de
finizione operativa dell'etnia (ce n bisogno?), almeno al
la decostruzione delFoggetto etnico che rappresenta sem
pre un freno per il progresso della disciplina. Ma prima di
vedere a che cosa potr portare il superamento della pro
blematica etnica opportuno esaminare le differenti defi
nizioni deiretnia proposte dagli antropologo

Definizioni
Il
termine etnia (dal greco ethnos: popolo, nazione)
apparso recentemente nella lingua francese (1896); nel XVI e
nel XVII secolo, come sottolinea Mercier (1961, p. 62), il ter

ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

43

mine nazione equivaleva a quello di trib. Lapparizio


ne e la definizione tardive dei termini trib ed etnia
conducono sin da subito a porre un problema sul quale ri
torneremo, quello della congruenza tra un periodo storico
(colonialismo e neocolonialismo) e lutilizzazione di una de
terminata nozione.
Se questi termini hanno acquisito unutilizzazione mas
siccia, a detrimento di altre parole, come il termine na
zione, senza dubbio perch si trattava di classificare a
parte talune societ, negando loro una qualit specifica.
Conveniva infatti definire le societ amerindiane, africane
e asiatiche come altre e differenti dalle nostre, togliendo lo
ro quegli elementi attraverso cui esse potevano partecipa
re di una comune umanit. Questa qualit che le rendeva
dissimili e inferiori alle nostre societ evidentemente la sto
ricit, e in questo senso le nozioni di etnia e di trib so
no legate ad altre distinzioni attraverso le quali si opera la
grande divisione tra antropologia e sociologia: societ sen
za storia/societ storiche, societ preindustriali/societ in
dustriali, comunit/societ1.
Gli antropologi si sono dunque trovati prigionieri di al
cune categorie allinterno delle quali si sono dovuti situare per
studiare societ di loro competenza, nel momento stesso in
cui queste venivano fissate dalla colonizzazione (Piault
1970, p. 23). Questo forse pu spiegare come mai accanto a
brillanti studi su parentela e religione si siano avute davvero
poche analisi sulla categoria delletnia.

Etnia e trib
Innanzitutto, ci troviamo dinanzi allesistenza di due
termini il cui significato in francese simile ma di cui il se
condo, nella letteratura antropologica anglosassone, ha in
vece acquisito un senso tutto particolare. Se il termine
trib in francese ha pi o meno lo stesso uso di quello di
etnia, per gli antropologi anglosassoni designa invece un
tipo di organizzazione sociale propria, ovvero quello delle

44

JEAN-LOUP AMSELLE

societ segmentane. Queste sono definite, nella maniera


classica, attraverso la presenza di elementi sociali di natu
ra identica, come ad esempio il lignaggio, e provenienti da
scissioni successive di una stessa cellula iniziale, e si distin
guerebbero cos dalle societ statiche in cui il potere cen
tralizzato, questo senso della parola trib, che designa
allo stesso tempo un tipo di societ e uno stadio deir evo
luzione umana, che Godelier nel 1973 sottopone a interro
gazione epistemologica. Contrariamente a questo autore io
non intendo, quantomeno in un primo momento, affronta
re una riflessione sullorganizzazione di tipo segmentano,
bens presentare le molteplici definizioni delletnia o di un
gruppo etnico considerate come una societ globale. Talu
ni autori, come Gellner (1965), daltra parte stimano che
questa prospettiva sia senza fondamento per gli ambiti lo
cali che essi studiano; rifiutano infatti di applicarvi i termi
ni etnia e trib e ritengono che le zone rurali dellAfrica del Nord ospitino solo organizzazioni di tipo seg
mentano. Ci dovremmo dunque domandare se si tratti ve
rosimilmente di un'opposizione di tipo geografico o cultu
rale, oppure se le societ segmentarle africane non si defi
niscano sempre in un certo modo, come nel caso nordafri
cano, in rapporto alle citt o agli Stati precoloniali.
Le definizioni del termine etnia sono piuttosto scarse,
e girano tutte intorno ad alcune grandi caratteristiche.
Per Fortes (1945, p. 16) letnia non rappresenta che lo
rizzonte pi lontano che i gruppi conoscono, al di l del qua
le i rapporti di cooperazione e di opposizione non sono pi
significativi o non lo sono che eccezionalmente. Fortes insi
ste ugualmente sul carattere relativo della realt etnica che va
ria in funzione della posizione geografica e sociale occupata
dallosservatore.
Nel suo libro dedicato ai nuba della Nigeria, Nadel ca
ratterizza la trib nel modo seguente: la trib esiste, non
in virt di una qualsivoglia unit o identit, bens in virt
di ununit ideologica e di una identit accettata come un
dogma (1947, p. 13). Qualche anno prima lo stesso Na
del in Black Bysantium forniva una definizione in qualche

ETNIE E SPAZI; PER UN'ANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

45

modo smile - si chiama trib o popolo un raggruppa


mento unitario i cui membri rivendicano la loro apparte
nenza a questo stesso raggruppamento (1942, p. 45) ma aggiungendo una precisazione importante a proposito
dei nupe, secondo cui essi sarebbero identificati come re
gno e trib.
Richard-Molard considera che presso i neri primitivi
della foresta (...) linsieme etnico unarea di pace tra col
lettivit dalle parentele reali o fittizie, le relazioni sono me
no tese tra di loro che con le collettivit di etnie vicine
(1952, p. 14).
Per Mercier letnia un gruppo chiuso discendente da
un antenato comune o pi generalmente avente una stessa ori
gine, che possiede una cultura omogenea e che parla una lin
gua comune, e anche ununit di ordine politico (1961, p.
65). Nella sua monografa sui somba del Benin, egli fornisce
una definizione molto vicina a quella di Nadel: il concetto
di appartenenza etnica esprime in gran parte una teoria ela
borata da una popolazione data (Mercier 1968, p. 76), o an
cora letnia smba la coincidenza di un gruppo che, per
quanto eterogeneo, abbia almeno realizzato lunit linguisti
ca con uno spazio (p. 421). Allo stesso tempo lautore ap
porta due sfumature che attenuano il carattere un po trop
po rigido di queste due definizioni. Per Mercier infatti: let
nia, come una qualsiasi delle sue componenti, non che un
segmento sociogeografico di un insieme pi vasto e non bi
sogna considerarla isolatamente bens ricomprenderla nel
linsieme di un paesaggio etnico regionale considerato in una
prospettiva storica (pp. 73-76).
Per Nicolas:
allorigine unernia prima di tutto un insieme sociale relativa
mente chiuso e durevole radicato in un passato dal carattere pi
o meno mitico. Questo gruppo possiede un nome, generalmen
te una lingua, dei costumi e dei valori propri, e si afferma come
differente dai suoi vicini. Luniverso etnico costituito da un mo
saico (...) di lignaggi. Esiste una profonda parentela tra etnia, li
gnaggio o clan, parentela che si trova il pi sovente rinforzata da
un vocabolario familiare, oppure da un mito di origine che sta

46

JEAN-LOUP AMSELLE

bilisce la comune discendenza dei membri del gruppo a partire


da una coppia iniziale o da un eroe mitico (1973, p. 103).

Lo stesso Nicolas aggiunge che la realt etnica possiede


un'indeterminatezza caratteristica, tanto che il quadro etni
co coincide solo raramente con la formazione politica di ba
se: unetnia pu cos corrispondere a una o pi trib o na
zioni, come una cultura o una civilizzazione (p. 104). Infi
ne per lo stesso autore unetnia non n una cultura n una
societ, bens un composto specifico, in equilibrio pi o me
no instabile di culturale e di sociale (p. 107).
J. Honigmann, da parte sua, ritiene che
in generale gli antropologi sono daccordo sui criteri attra
verso i quali una trib, in quanto sistema di organizzazione
sociale, pu essere descritta: un territorio comune, una tra
dizione di discendenza comune, un linguaggio comune, una
cultura e un nome comuni, tutti questi criteri costituiscono
la base dell'unione di gruppi pi piccoli come quelli dei vil
laggi, delle bande, dei distretti e dei lignaggi (in Godelier
1973, p. 102).

Infine, per Barth


il termine gruppo etnico nella letteratura antropologica in ge
nerale serve a designare una popolazione che: 1) ha una gran
de autonomia di riproduzione biologica, 2) condivide dei valo
ri culturali fondamentali che si attualizzano nelle forme cultu
rali che possiedono ununit manifesta, 3) costituisce un cam
po di comunicazione e di interazione, 4) ha un modo di appar
tenenza che lo distingue in s e che a sua volta distinto dagli
altri proprio in quanto costituisce una categoria distinta da al
tre categorie dello stesso tipo (a cura, 1969, pp. 10-11).

Secondo lo stesso Barth questultimo punto, quello del


l'attribuzione {ascription), senza dubbio il pi importante:
unattribuzione categoriale un attribuzione etnica solo se clas
sifica una persona nei termini della sua identit, la pi fondamentale e la pi generale, identit che si pu presumere deter

ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

47

minata dalla sua origine e dal suo ambiente. Nella misura in cui
gli attori utilizzano delle identit etniche per categorizzarsi es
si stessi e gli altri, per interagire, essi formano dei gruppi etni
ci nel senso organizzazionale del termine (pp. 13-14).

Barth introduce ugualmente la nozione di confini etni


ci, confini che sono allo stesso tempo mantenuti e oltre
passati dalle popolazioni.
Questo rapido inventario di differenti definizioni del con
cetto di etnia, tratte dalla letteratura geografica e antropolo
gica, si reso necessario al fine di mostrare la grande con
vergenza delle posizioni su questo tema. Continuare con
questa rassegna non condurrebbe probabilmente a risultati
tanto diversi, tanto vero che se gli antropologi sono concordi
in generale sulla definizione dell'etnia, essi si trovano piut
tosto a disagio nelTindicare con precisione che cosa fanno ri
cadere sotto questo vocabolo.
Attraverso le differenti accezioni che abbiamo sopra con
siderato appaiono un certo numero di criteri comuni come:
la lingua, uno spazio, dei costumi, dei valori, un nome, una
stessa discendenza e la coscienza che gli attori sociali hanno
di appartenere allo stesso gruppo. Il modo di esistenza del
l'oggetto etnico deriverebbe dunque dalla coincidenza di
questi differenti criteri. Oltre alla prossimit della nozione di
etnia con quella di tazza, si vede quanto la definizione di
questo termine sia impregnata di etnocentrismo e quanto sia
tributaria della concezione dello Stato-nazione, per come es
sa ha potuto essere elaborata in Europa.
Senza voler forzare troppo le cose, possibile afferma
re che il denominatore comune di tutte queste definizioni
dell'etnia corrisponde in definitiva a uno Stato-nazione a ca
rattere territoriale in difetto. Distinguere abbassando di li
vello costituiva sicuramente la preoccupazione del pensie
ro coloniale, accanto all'esigenza di trovare il capo e di
individuare delle entit specifiche2 in seno al magma delle
popolazioni residenti nei paesi conquistati.
Nonostante ci, pur restando prigionieri delle categorie
coloniali d'indagine, certi etnologi hanno proceduto nello

48

JEAN-LOUP AMSELLE

stesso tempo a una torsione della nozione che li ha fatti an


dare oltre lo stereotipo con cui erano chiamati a confrontar
si. A questo proposito opportuno chiedersi, con Dozon
(1981b, p. 63), se i migliori antropologi non siano quelli che,
partendo dal quadro etnico, hanno tentato di dimostrare in
che cosa esso non fosse adeguato al loro oggetto. In questo
senso, le imprese teoriche di Nadel, Mercier e Barth, cos co
me le monografie davvero innovative come quella di Watson
(1958) o nchele precauzioni metodologiche di Meillassoux
(1964) e di Terray (1969), nella misura in cui sovvertono le
categorie coloniali, mi sembrano nei loro principi molto pi
audaci rispetto ai tentativi di fare entrare con grande sforzo
le realt studiate nei concetti di modi di produzione e di
formazione sociale.
Ma questa prospettiva non consiste sovente nelTapplica
re imprudentemente delle nozioni-feticcio a una storia pres
soch sconosciuta (Amselle 1974)? Questo modo di proce
dere presenta alcune analogie con quello degli etnologi co
loniali che distribuivano arbitrariamente degli etnonimi a
popolazioni di cui non conoscevano praticamente nulla. Par
lare di la formazione sociale x piuttosto che dell'etnia x
a dire il vero non cambia un gran che.
La corrente dinamista, per come labbiamo potuta iden
tificare nella letteratura antropologica, ha avviato un pro
cesso di decostruzione delloggetto etnico che ora deve es
sere portato a termine. certamente evidente che questa
riflessione non deve essere condotta in un senso esclusi
vamente critico, ma deve contribuire a rivelare le caratte
ristiche specifiche delle realt etnologiche, ci che fino a
oggi n i concetti marxisti n quelli pi classici dellantro
pologia (etnia, clan , lignaggio ecc.) sono riusciti a fa
re. Da questo punto di vista linterrogazione su questi con
cetti chiama in causa la disciplina antropologica nella sua
integralit.
Lavvio di questo movimento di decostruzione si ritro
va in Nadel, che in Black Bysantium, del 1942, mostrava co
me la realt etnica dei nupe della Nigeria si imbricasse in
insiemi sempre pi vasti:

ETNIE E SPAZI: PER UN'ANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

49

lunit culturale di fatto pi estesa di quella tribale. Lor


ganizzazione politica e sociale dei nupe comune a numerose
trib dellAfrica occidentale: essi condividono la religione tra
dizionale con alcuni gruppi vicini a nord, a est, a sud, e la re
ligione moderna, lislam, con tutto il Sudan. Sicch, in ef
fetti possibile parlare a giusto titolo di una cultura deirAfri
ca occidentale o di una cultura di gruppi che vivono alPinterno in Africa delPOvest (opponendola a quella dei gruppi
che abitano la foresta subtropicale o la regione costiera). In
fin dei conti, sembra che la cultura apparisse come cristal
lizzata sotto forma di una cultura tribale e larea di questa
unit culturale si presentava dunque, a taluni sguardi, este
sa quanto la trib (p. 46).
Tuttavia, questo sforzo di relativizzazione del gruppo et
nico e di rifiuto del termine trib a vantaggio di quello
di regno non sar perseguito da Nadel per ci che concer
ne i nuba del Sudan. In effetti, la definizione data dallau
tore a proposito di queste popolazioni (lidentit e lunit
ideologiche accettate come un dogma) non pienamente
soddisfacente. Non si tratta certamente di fare un torto al
grande antropologo che era Nadel se si afferma che egli non
stato in grado di cogliere le reali determinazioni dellin
sieme nuba, ovverosia linserimento di popolazioni di mon
tagna molto diverse in un insieme politico dominato dagli
arabi del Sudan.
Si ritrova la stessa difficolt in Fortes (1945), che fa sua
questa preoccupazione di relativismo etnico, ma non rica
vandone tutte le conseguenze per quanto riguarda il caso dei
tallensi del Ghana.
In effetti, come ha ben dimostrato Skinner (1964, pp.
33-35), Fortes occulta l'inserimento di questa societ, nelPepoca precoloniale, nel regno mamprusi, per farne il mo
dello delle societ segmentarle acefale. Occorre attendere
Mercier, Lombard e Barth affinch l'innovazione teorica
di Nadel venga approfondita. Mercier senza dubbio co
lui che andato pi lontano nel suo tentativo di deco
struzione dell'oggetto etnico. Nel suo libro sui somba,
Pautore sottolinea la necessit di risituare questo gruppo

50

JEAN-LOUP AMSELLE

nella geografia e nella storia nonch di includerlo in qua


dri pi ampi. Egli procede ugualmente a redigere - cosa
fondamentale per ogni tentativo di definizione di ununit
sociale - un inventario del campo semantico del termine
somba, preoccupazione che si ritrova in Lombard (1965,
pp. 42-43) e in Izard (1977) a proposito delle cosiddette
societ inglobanti3 bariba del Benin e mosi del Burkina
Faso. Stando cos le cose Mercier conserva - e in ci ri
troviamo tutto il peso dellistituzione antropologica - una
certa specificit del suo oggetto e quindi spinto, pren
dendo in prestito da Lvi-Strauss la nozione di soglia, a
reintrodurre unidea vicina a quella di Fortes: letnia ces
sa di funzionare laddove sindebolisce la comunicazione tra
i suoi membri. Mercier ritorna dunque a un concetto di so
ciet africane precoloniali considerate come insiemi di
scontinui (Amselle 1974, pp. 107-108). Barth (1969), da
parte sua, come abbiamo avuto modo di vedere, conside
ra la nozione di confine al centro del suo ragionamento,
mostrando che le separazioni tra etnie servono a stabilire
degli schemi di identificazione socialmente significativi e
che parallelamente attraverso questi confini si produce un
flusso continuo di popolazioni. Lautore apre cos la via a
unanalisi delle relazioni tra etnie concepite in termini di
rapporti di forza.
in alcune monografie che questo processo di dissolu
zione di etnie specifiche condotto pi lontano. Claude
Meillassoux (1964, p. 16) si spinge fino a chiedersi se i gouro della Costa dAvorio esistano davvero in quanto etnia. Le
uniche unit sociali pertinenti gli paiono essere le aree degli
usi matrimoniali al punto che la coscienza di appartenere a
uno stesso gruppo gli sembra il risultato dellazione^olitica
del Rassemblement Democratique Africain (RDA).
Terray ancora pi categorico a proposito dei dida del
la Costa dAvorio, sostenendo che non esiste il punto di
vista nel quale si possa osservare questa societ come una
totalit (1969, p. 36) e, con un approccio che ricorda quel
lo di Meillassoux, sottolinea che, a seconda dei tratti con
siderati, si ottengono delle aree culturali pi grandi o pi

ETNEE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

piccole della regione dida (1969, p. 31). Egli afferma non


dimeno, senza fornire per molte precisazioni, che esista un
insieme dida il quale tuttavia deriva da una classificazio
ne elaborata dalPesterno e accettata dagli interessati in oc
casioni relativamente rare nelle quali essi ne avvertono la ne
cessit. In definitiva Terray d prova di un certo scettici
smo, stimando che nelTOvest forestale ivoriano, in effetti
la nozione stessa di etnia che deve essere contestata (p. 35).
Bench Meillassoux e Terray ci forniscano delle indicazio
ni preziose che ci aiuteranno a "ricostruire l'oggetto an
tropologico, possibile affermare che solo con Watson,
allievo di Gluckman, che si produce davvero la rottura con
retnologia coloniale. In Tribai Cohesion in a Money economyylavoro molto importante ma relativamente poco co
nosciuto soprattutto in Francia, Watson gi dal 1958 di
mostrava che l coesione tribale dei mambwe dello Zam
bia, ovverosia la costituzione stessa della trib, era di fatto
la conseguenza della colonizzazione britannica (cfr. anche
Colson 1951; 1953; Fried 1968). Questa regione, organiz
zata in comunit di villaggio indipendenti nelle quali gli uo
mini si dedicavano principalmente alla guerra, ha cono
sciuto dei profondi sconvolgimenti con la conquista ingle
se. Liberati dai compiti difensivi dalla Pax Anglica e rim
piazzati dalle donne in agricoltura, gli uomini avevano po
tuto migrare verso le miniere del Copperbelt.
Linstaurazione dellamministrazione indiretta e il soste
gno accordato ai capi da parte dei britannici hanno permes
so a questi ultimi di accrescere il loro potere sulla terra e di
controllare la circolazione dei migranti tra le zone rurali e mi
nerarie di modo che questa regione precedentemente seg
mentata si trasformata in un insieme politicamente centra
lizzato e dotato di una coscienza collettiva. allinterno di
questo quadro di analisi che si colloca Dozon (1981b) quan
do nega ogni forma di realt a unentit bt precoloniale e
vede nellapparizione delletnia bt una produzione e
ima creazione coloniali4.
Non esisteva nulla che assomigliava a unetnia duran
te il periodo precoloniale. Le etnie derivano dallazione del

JEAN-LOUP AMSELLE

5*

colonizzatore che, nella sua volont di territorializzare il con


tinente amicano, ha ritagliato delle entit etniche che sono sta
te in seguito rivendicate dalle popolazioni. In questa pro
spettiva, 1etnia, come altre numerose istituzioni pretese pri
mitive, non rappresenterebbe che un ulteriore falso arcaismo.
Ma se prima della colonizzazione non esistevano delle etnie,
che cosa vi si trovava? In quali cornici si organizzavano gli
attori sociali?

Gli spazi precoloniali


Attualmente, un numero crescente di ricercatori concor
dano sul carattere originario, nel periodo precoloniale, di
uno spazio internazionale (Copans 1978, p. 97), di rela
zioni simplettiche (Meillassoux 1978, p. 132) o di catene
di societ (Amselle 1977, p. 275), vale a dire in definitiva sul
primato delle relazioni intersocietarie. Le societ locali, con
il loro modo di produzione, di redistribuzione, e cos via, lun
gi dallessere delle monadi ripiegate su se stesse, erano inte
grate allinterno di forme generali inglobanti che le determi
navano e donavano loro un contenuto specifico. per que
sto motivo che ogni societ locale deve essere concepita co
me leffetto di una rete di relazioni che, se non fosse esplo
rata nella sua totalit, non potrebbe rivelare la chiave per
comprendere il funzionamento di ogni singolo elemento.
Questa attitudine implica la definizione delle differenti reti
che danno forma alle societ locali, il riconoscimento delle
sistenza di uno sviluppo ineguale precoloniale e, a lungo ter
mine, un completo cambiamento di prospettiva ndlantropologia, consistente nello spiegare il meno elaborato attra
verso il pi elaborato, allinterno di filogenesi specifiche e li
mitate (Lewis, in Godelier 1973, p. 124).
Tutta una tradizione dellantropologia deve dunque es
sere messa da parte dal momento che vede nelle societ pi
semplici o pi primitive gli antenati contemporanei
delle societ pi sviluppate, o meglio ancora delle moda
lit di resistenza allo Stato e al capitalismo. chiaro che qui

ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

53

sono chiamate in causa tutte le forme di evoluzionismo


marxista o non marxista (selvaggi, barbari, civilizzati), gli
indirizzi tipologici (societ con stato/societ senza Stato),
cos come la nuova antropologia (Amselle, a cura, 1979)
che, pretendendo di presentarci delle societ contro lo
Stato, di fatto non ci consegna altro che dei sottoprodotti
dello Stato stesso.
Si potr obiettare che se questo vero per il continente
africano pu non esserlo affatto per le societ amerindiane
o asiatiche, dove la vita di relazioni, come la chiamano i
geografi, meno sviluppata, e dove le societ sono meglio
preservate dai contatti con resterno. I continenti america
no e asiatico, per come li mostra lantropologia, manifesta
no infatti una stessa continuit nel tessuto che unisce le dif
ferenti societ: ciascuna di esse deve essere concepita, in
qualche modo, come il punto ultimo di tutta una rete di rap
porti di forza5.
In questottica occorre definire una serie di spazi sociali
che strutturavano il continente africano nellepoca precolo
niale. Si tratta di: 1) spazi di scambio; 2) spazi statuali, poli
tici e guerrieri; 3) spazi linguistici; 4) spazi culturali e religiosi.

Gli spazi di scambio


Per quanto le differenti fonti consentano di risalire in
ditro nel tempo nella storia del continente africano, in ogni
caso vi si trovano delle reti di scambio tra unit sociali di di
mensioni e di struttura diverse. Che si tratti della circolazio
ne delle donne, del commercio transahariano sotto limpul
so del Maghreb e del mondo arabo, del commercio lungo il
golfo di Guinea svolto da africani molto prima dell'arrivo dei
portoghesi nel XV secolo o della presenza secolare dei com
mercianti arabi sulle coste dellAfrica orientale, e senza fare
riferimento alla tratta interna ed esterna degli schiavi, dal XVI
al XIX secolo non c un luogo del continente che sembri al
riparo da questa vita di relazioni molto attiva. Questi scam
bi, che siano opera di commercianti stanziali o itineranti, di
gruppi, o di popolazioni con un ruolo di mediazione, rendono
evidente il carattere originario dello spazio internazionale o

54

JEAN-LOUP AMSELLE

dell'economia mondo (Braudei 1979, pp. 11-34) che dava


forma all*Africa prima della colonizzazione.
Inesistenza di questi scambi (mercantili o no) ugual
mente l'indice dello sviluppo ineguale che da questo pe
riodo in poi ha investito l'insieme del continente africano.
Si pu pertanto notare tra il Sudan medievale e il mondo
arabo una differenza di potenziale che si esercita attraver
so la direttrice della tratta araba. Questa dominazione ara
ba e questo processo di sottosviluppo - che comincia mol
to prima delParrivo dei primi europei - si ritrovano nella
parte orientale del continente (Alpers 1973). Queste rela
zioni di scambio ineguale provocano una gerarchizzazione
e dei dislivelli che si traducono in massicce migrazioni:
migrazioni di popolazioni che partono alla ricerca di beni
economici - Poro, la cola ecc. (Deluz 1970, p. 121; Lovejoy
1980a) - e migrazioni di mercanti che subentrano proba
bilmente in seguito alla caduta dei grandi imperi medievali
e che costituiscono quel fenomeno di reti mercantili inter
nazionali osservato da molti autori (Cohen 1969; Amselle
1977; Lovejoy 1980a). Limportanza di questi scambi rap
presenta dunque un primo fattore di strutturazione degli
spazi precoloniali. Tale strutturazione si manifesta in mol
teplici maniere, innanzitutto attraverso lesistenza di spa
zi di produzione6. Si pu osservare - contrariamente ai cli
ch particolarmente diffusi circa Pautosussistenza delle so
ciet africane precoloniali - una specializzazione, una di
visione sociale del lavoro e del commercio a lunga distan
za di alcune merci pregiate come la cola, il sale, Poro, i tes
suti e gli schiavi, ma anche di prodotti alimentari come il
riso, Pigname e il miglio, che servivano certamente ad ap
provvigionare i centri urbani, ma che tra Paltro costituivano
Poggetto di scambi tra zone agricole distinte (Chauveau et
al. 1981). Questi spazi di produzione disegnano cos delle
regioni economiche specializzate in questo o quel prodot
to. La realizzazione del valore economico di questa pro
duzione si determinava allinterno di spazi di scambio che
potevano coincidere con delle aree di mercato frequenta
te dagli stessi produttori, da popolazioni intermediarie o da

SIM E E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

55

commercianti di professione. Questi spazi di scambio ol


trepassavano largamente il luogo di produzione dei beni
ce potevano infatti trovare il proprio consumatore a cen
tinaia o migliaia di chilometri di distanza.
Questo processo di realizzazione del valore si effettua
la essenzialmente in tre modi: attraverso il trasferimento
Idono e contro dono), attraverso il baratto e per mezzo del
lo scambio monetario. ormai noto che delle vere mone
te - cauri, sompe, gwinzin, maniglie, perle daigri ecc. - cir
colavano nel continente africano prima della colonizza
zione. Lo spazio di circolazione di queste monete, i diffe
renti luoghi in cui esse avevano corso delimitavano a loro
volta delle zone monetarie vere e proprie che rappresen
tavano unaltra forma di strutturazione dello spazio afri
cano precolniale.
Allo stesso modo, lo scambio ristretto e generalizzato di
donne o lacquisto degli schiavi giungevano alla definizione di
aree matrimoniali che molto spesso costituivano - in partico
lare nei casi dei gouro della Costa dAvorio - le sole unit so
dali pertinenti nellAfrica precoloniale e che si articolavano con
le altre aree di scambio che analizzeremo (Couty et al. 1981).
Linsieme di questi processi socioeconomici rendeva evi
dente lextraversione delle sodet africane precoloniali cos
come resistenza di una piccola produzione mercantile e di un
settore capitalistico che si appoggiava su un reticolo relati
vamente denso di citt - Timbuktu, Djnn, Kong, Kanao,
ecc. - nelle quali risiedevano i differenti gruppi di commer
cianti (jula, hausa, sonink ecc.) che si incontravano in qudlepoca (Amselle 1980; Amselle, Le Bris 1981).

Spazi di produzione, spazi di circolazione e spazi di con


sumo rappresentavano cos una prima suddivisione dd con
tinente africano e rappresentavano la predominanza di una
forma generale inglobante sulle differenti sodet locali da es
sa derivate.
Gli spazi statuali, politici e guerrieri
Per quanto si torni indietro nella storia dellAfrica, vi si
trovano degli Stati, dei regni e degli imperi che potevano rag-

56

JEAN-LOUP AMSELLE

grappare diverse migliaia o decine di migliaia di villaggi e che


talvolta si estendevano su superfici considerevoli.
Per convincersene, non resta che citare gli imperi medie
vali del Ghana, del Mali e di Songhay, i regni mosi e ashanti,
quelli del Dahomey e del Kongo ecc. sempre pi evidente
per gli antropologi e gli storici africanisti che c un legame
tra lapparizione dei grandi imperi, lesistenza di un grande
commercio intemazionale e lo sviluppo della schiavit, isti
tuzione che forma il substrato economico di queste organiz
zazioni statuali. Peraltro le classi dirigenti di questi Stati, in
particolar modo quelle degli imperi medievali, non erano nel
la maggior parte dei casi che dei rappresentanti locali di altre
classi dominanti situate allestremit dei reticoli mercantili
intemazionali, in Maghreb e nel mondo arabo per esempio.
senza alcun dubbio allinterno di una tale suddivisione
statuale che occorre riposizionare un gran numero di movi
menti di popolazione che si sono prodotti in Africa nellepoca
precoloniale. La relazione tra questi reticoli statuali e le mi
grazioni precoloniali complessa e non potrebbe essere rap
presentata in maniera univoca. Si pu notare, in primo luo
go, che la costituzione dello Stato in una data regione spes
so la risultante dellincursione di un gruppo di guerrieri che
impone la sua dominazione su una popolazione di primi oc
cupanti. Talvolta questo gruppo di conquistatori proviene da
quella che si potrebbe definire una dissidenza statuale, in
modo che il villaggio o la chefferie che essi creano in questo
senso sono rappresentabili come il figlio o la figlia di colui o
colei da cui sono derivati7. Ma si pu osservare, inoltre, co
me una dissidenza statuale, ovvero il fatto che un conflit
to all'interno di un regno determini la partenza di alcuni
gruppi, possa non sfociare per questi ultimi nella ricostru
zione di ununit politica di natura analoga.
Un buon esempio di questa situazione fornito dal caso
di una frazione dei baule che originaria del regno ashanti
e che si ricostituita in Costa dAvorio sulla base di piccole
chefferies o di sistemi retti attraverso delle relazioni di pa
rentela8. Una buona parte delle popolazioni della Costa dAvorio, qualificate come segmentane, provengono da un altro

ESIME E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

57

Jbogo, dalle aree culturali mande e akan, esse stesse grandi


produttrici di forme statuali, cosa che ha spinto a domandarsi,
estrapolando un po, se le ebefferies da una parte e le societ
ci lignaggio da una altra non siano, in molti dei casi, delle
contrazioni di forme statuali9.
Un altro caso preso dal Mali permetter di spingere pi
fontano la nostra argomentazione. cos che in seguito alla
caduta di Biton Kulubali, fondatore del regno di Segu nel
XVm secolo, uno dei gruppi subalterni fuggito dalla regio
ne e si spostato a trecento chilometri, nel Jitumu, dove di
venuto un lignaggio kulubali considerato come facente
parte dei primi occupanti10.
Questi esempi di dispersione, di costruzione o al con
trario di contrazione statuale pullulano nellAfrica preco
loniale. Essi spingono ad abbandonare una visione evolu
zionista della storia e a ridurre limportanza delle differen
ti tipologie in uso in antropologia (societ segmentane ver
sus societ statuali), le quali tendono a considerare le for
me pi ridotte come le antenate delle forme pi sviluppa
te, le societ di lignaggio come le antecedenti delle societ
statuali, e a stabilire una rottura radicale tra il lignaggio e
lo Stato. Ora, se esiste un punto relativamente acquisito da
un certo numero di africanisti, consiste nel fatto che le for
me di organizzazione sociale che si possono repertoriare nellAfrica precoloniale sono il prodotto di fenomeni di dia
stole e sistole, di andirivieni continui, in una parola di pro
cessi di composizione, decomposizione e ricomposizione
che si sviluppano allinterno di uno spazio continentale.
Non rientra nelle nostre intenzioni spiegare linsieme dei
movimenti di popolazioni dellet precoloniale attraverso le
crisi o il declino dei differenti Stati o chefferies della regione;
assai evidente che le societ di lignaggio o segmentane ge
nerano da s alcune migrazioni (si vedano i lobi dell*Alto Vol
ta e della Costa dAvorio, in Filoux 1980), ma inevitabile
constatare che le societ non sono tutte sullo stesso piano e
che certe hanno un peso maggiore di altre.
In questo senso sarebbe possibile procedere a una pri
ma distinzione piuttosto grossolana che consiste neliop

JEAN-LOUP AMSELLE

porre le societ inglobanti alle societ inglobate. Le pri


me - Stati, imperi, regni e chefferies - stanno dalla parte del
la determinazione, detenendo la massima capacit di deli
mitazione dello spazio. Questi Stati esercitano una forte
pressione sulle societ di agricoltori e favoriscono le divi
sioni al loro interno, accentuando in questo modo il loro ca
rattere segmentario e rendendole prima delle semplici ap
pendici e pi tardi, sotto la colonizzazione, dei falsi arcai
smi (tallensi/mamprusi, somba/bariba, dogon/mosi, toucouleur, kirdi/fulbe). linsieme della questione delle so
ciet incluse o interstiziali che qui viene sollevato, societ
che in numerosi casi si sono rifugiate su massicci montagnosi
{falaise di Bandiagara, monti del Camern settentrionale,
massicci del Togo e del Benin settentrionali) e che di con
seguenza praticano unagricoltura intensiva. Queste societ
non si riproducono che allinterno di uno spazio concesso
dagli Stati o dalle chefferies. Nel momento in cui, con la co
lonizzazione, la pressione di questi Stati viene meno, esse
saranno oggetto di una vera e propria apertura che le con
durr a espandersi nelle zone pianeggianti circostanti (co
s ad esempio i dogon scendendo nella piana del Seno). Al
cune di queste societ nella contemporaneit divengono
minoranze etniche nel caso in cui il reclutamento del
personale politico sul piano linguistico identico a quello
degli Stati precoloniali. Allo stesso modo, il villaggio afri
cano che stato presentato come unorganizzazione socia
le e spaziale fuori dal tempo molto spesso non altro che
il risultato di una creazione databile, in alcuni casi, in mo
do preciso. Cos i villaggi bwa dellAlto Volta hanno fatto
la loro apparizione solo nel XIX secolo, in seguito alle pres
sioni che esercitavano su questa popolazione i peul del Ma
cina. Precedentemente in questa zona non esistevano che
delle localizzazioni disperse di lignaggi (Capron 1973, pp.
87-88; Savonnet 1979, p. 41). Questo fenomeno si ritrova
in numerose altre regioni dellAfrica.
NellAfrica precoloniale possono esistere diversi tipi di re
lazioni tra societ inglobanti e societ inglobate. Le so
ciet inglobate possono esser sottomesse al versamento di

EIME E SPAZI; PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

59

mi tributo in natura o in denaro (per esempio oro e cauri nel


regno di Segu) e in questo caso abbiamo a che fare con dei
rapporti tributari; o possono essere vittime di razzie da par
te di questi stessi regni, e si tratta allora di relazioni preda
torie. Si arriva cos, talvolta, all esistenza di reti di relazioni
intermediate, come nel Ghana precoloniale, dove limpero
ashanti imponeva un tributo in schiavi al regno gonja, che a
sua volta organizzava delle razzie per procurarsi schiavi gurnnsi, konkomba, lodaaga e tallensi, societ oggigiorno qua
lificate come segmentarle11.
Queste relazioni tributarie o predatorie provocavano in
tensi movimenti di popolazione servile verso quegli Stati la
cui base economica riposava sulla schiavit e su attive cor
renti di scambio, allorch gli schiavi erano venduti a com
mercianti che andavano a rivenderli in altre parti del conti
nente, in particolare sulle coste, da cui poi venivano spediti
verso PAmerica.
Lopposizione societ in globan tisociet inglobate
determinava allo stesso modo i rapporti tra gli agricoltori se
dentari bantu e i cacciatori nomadi pigmei della foresta con
golese. In questultimo caso, si tratta di societ non molto dif
ferenti culturalmente, se non geneticamente, dalle societ
sedentarie; sono state respinte nelle foreste dagli agricoltori
bantu e la caccia rimasta la loro unica modalit di sussi
stenza (Bahuchet, Guillaume 1979)12.
Gli spazi linguistici
Se c un criterio che stato spesso richiamato a suppor
to dellesistenza della nozione di etnia proprio quello del
la lingua.
Una lingua comune sembra rappresentare davvero il prin
cipale indicatore, se non quello determinante, della condi
zione di esistenza di un gruppo etnico: 1etnia bambara par
la bambara, 1etnia baule parla baule e cos via. Ora, se esi
ste un terreno, in materia di ricerca africanistica, in cui la con
fusione grande, proprio quello della linguistica. Mentre
in antropologia le ricerche recenti permettono di operare
ogni giorno di pi una decostruzione delloggetto etnico, in

6o

JEAN-LOUP AMSELLE

particolare grazie allo studio delle migrazioni precoloniali,


della storia del popolamento, delle reti di scambio e delle for
me politiche, la localizzazione degli studi linguistici sulla
morfologia e la sintassi non permette di procedere a un ap
proccio adatto ai problemi linguistici considerati in una pro
spettiva geografica e storica.
Ci che manca particolarmente agli antropologi la de
finizione di aree linguistiche relativamente ben delimitate e
situate nel tempo. Naturalmente definire con precisione ta
li aree in paesi in cui la scolarizzazione ancora debole risulta
pi difficile rispetto a quelle regioni in cui le lingue sono mas
sicciamente insegnate a scuola, a causa della dialettalizzazione pi ampia di queste lingue. Ma questo compito non di
meno rimane fondamentale, visto che condiziona il progres
so della storia dellantropologia africana.
Molti antropologi, in effetti, hanno insistito sulla scarsa
omogeneit linguistica delle differenti etnie di cui dove
vano rendere conto. Spesso la lingua parlata da uno dei seg
menti dell'etnia ha pi affinit con la lingua della societ
vicina che con un altro segmento dello stesso gruppo et
nico. Questi esempi sono numerosi: bte pi vicini ad al
cuni dida che ad altri bt; dida linguisticamente meno distanti da alcuni gouro che ad altri dida; dogon originari di
villaggi situati a dieci chilometri di distanza l'uno dallaltro
che non si comprendono e sono costretti a parlare peul13.
Peraltro, l'idea secondo cui la lingua determina l'apparte
nenza a un1etnia lascia irrisolto il problema di gruppi per
i quali esiste una contraddizione tra Tetnonimo e la lin
gua effettivamente parlata. Questo il caso delle popola
zioni del Wasolon in Mali che rivendicano un'appartenen
za peul - fatto che, come vedremo, ha un significato essen
zialmente politico - e parlano una forma di bambara-malinke (Amselle et al. 1979).
importante dunque stabilire una sorta di tagli sin
cronici delle aree linguistiche. Probabilmente si arriver a
distinguere differenti tipi di aree linguistiche in funzione
del posto di ogni societ neirinsieme africano precolonia
le: delle aree linguistiche segmentate, ovvero delle aree

E M E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

61

m cui lintercomprensione di debole estensione geogra


fica, corrispondenti a delle societ inglobate o seg
mentane, contrapposte a delle aree linguistiche di gran
de estensione corrispondenti a delle societ inglobanti,
statuali o imperiali14.
Questa opposizione maschera in parte unaltra distin
zione, quella relativa alla coppia lingue veicolari/lingue vernacolari.
In Africa le lingue veicolari come il bambara-malinkedioula o lhausa sono spesso derivate da grandi formazioni
statuali (impero del Mali, regno di Segu, Samori o Stato haui& i La diffusione di queste lingue legata alle conquiste rea
lizzate da questi Stati, ma anche alle reti mercantili intema
zionali precoloniali che ne sono scaturite e la cui azione, tal
volta, stata rinforzata dal colonizzatore15.
Gli spazi culturali e religiosi
Il processo di decostruzione dell,<ioggetto etnico come
oggetto ideologico esige il reperimento, in seno della realt
africana precoloniale, di un certo numero di tratti che, in
mancanza di meglio, si possono qualificare come culturali
e di cui importante redigere la cartografia. Per tratto cul
turale noi intendiamo tanto la vita materiale quanto le strut
ture sociali e religiose.
Accanto agli aspetti relativi alla produzione, la distribu
zione e il consumo, che sono stati precedentemente evocati,
sarebbe necessario conoscere la ripartizione nello spazi di
istituzioni tanto diverse come le tecniche, gli stili architetto
nici, le forme artistiche, le buone maniere a tavola, le regole
della parentela e dell'alleanza, i culti religiosi, le societ se
grete, e cos via16.
Tale cartografia avrebbe il merito di delimitare delle aree
culturali e delle aree di potere17, che non ricalcherebbe
ro quelle messe in opera dalle sempiterne carte etniche del? Africa e potrebbero essere davvero rivelatrici dei contatti,
dei legami tra le differenti societ, in una parola del peso
e del lavoro della storia sui differenti elementi dellinsieme
africano precoloniale.

62

JEAN-LOUP AMSELLE

Allo stesso modo sarebbe prezioso conoscere, per ogni pe


riodo storico, la diffusione delle grandi religioni universaliste e in particolare dell'islam. Questo studio permetterebbe
proprio di identificare le ondate successive e i riflussi dell'islamizzazione in Africa occidentale e orientale e di determi
nare se alcune regioni, considerate attualmente pagane, non
costituiscano nei fatti delle sopravvivenze della fase di islamizzazione precedente.
In questo modo nell'alta valle del Niger, in Mali, culti con
siderati oggi assolutamente animisti vengono consacrati a
delle reliquie di marabouts vissuti secoli addietro. Allo stes
so modo la geomanzia, che viene vista dai musulmani di Bamako come un'istituzione tipicamente politeista, senza dub
bio ci che rimane di un processo di islamizzazione molto
antico.
Il porre in evidenza l'opposizione musulmani-pagani, che
giocava allora come oggi un ruolo molto importante in Afri
ca, costituirebbe infine il modo per far saltare un certo nu
mero di pretese divisioni etniche - peul/dogon, foulb/guiziga, massa; maninka, jula/banmana, e cos via - e di dare un
contenuto concreto, ossia sincronico e spaziale, al paradig
ma selvaggi/civilizzati, totalmente offuscato dall'evoluzio
nismo antico o moderno18.

Paradigmi e mutazioni etniche


Se si accorda il primato all'insieme rispetto alle parti e
si accetta il carattere logicamente primario di uno spazio in
ternazionale africano precoloniale rispetto ai diversi ele
menti che lo compongono, si allora spinti ad ammettere
l'esistenz,a di catene di societ" all'interno delle quali gli
attori sociali si muovono. Questi ultimi, in funzione del po
sto che occupano nei differenti sistemi sociali, sono allo stes
so modo in grado di circoscrivere nella lingua una serie di
elementi significanti o dei semantmi che, attraverso una
somma di trasformazioni successive, daranno vita a un pa
radigma etnico.

CIME E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

63

Si cos posti dinanzi ai problemi dellattribuzione e


di' identificazione etnica per come li ha efficacemente
analizzati Barth (a cura, 1969): un attore sociale, in fun
zione del contesto in cui viene, a trovarsi, operer una scel
ta didentificazione allinterno del corpus categoriale mes
so a sua disposizione attraverso la lingua. Questultimo
potr cambiare e si arriver cos a delle tavole di trasfor
mazione e di coniugazione simili a quelle che ci fornisce,
a titolo di esempio, Dieterlen (1955, p. 42) allorch ci d
la lista delle corrispondenze tra i patronimici malinke e
un gran numero di etnie dellAfrica occidentale. L'esi
stnza di tali corpus categoriali e le mutazioni etniche
(Gallais 1962) che essi permettono rappresentano dunque
rindicator pi probante della presenza di queste catene
di societ e il segno che le strategie sociali precoloniali si
producevano spesso su scala continentale. Piuttosto che
concepire le frontiere etniche come dei limiti geografici, bi
sogna considerarle come delle barriere semantiche o dei si
stemi di classificazione, ossia, in definitiva, come delle ca
tegorie sociali.

L'etnia, una creazione precoloniale?


Lanalisi di tali sistemi di classificazione conduce cos a
sfumare un po la nostra affermazione preliminare secondo
cui letnia sarebbe una pura creazione coloniale. Certa
mente, non questione di negare il fatto che, in alcuni ca
si, il termine che stato isolato dal colonizzatore e che suc
cessivamente ha fornito letnonimo non designava effetti
vamente alcuna unit sociale relativa allepoca precolonia
le. In questo modo Dozon (1981b, p. 474), a proposito dei
bt della Costa dAvorio, ha potuto mostrare che il termi
ne bt, che significa perdono e che rinvia alla sottomissione delle popolazioni di questa regione ai francesi,
stato applicato dallamministrazione coloniale a un territo
rio da essa arbitrariamente delimitato nellambito di un
continuum culturale. Nonostante questo, sarebbe allo stes

64

JEAN-LOUP AMSELLE

so modo totalmente falso pensare che la nozione ideologi


ca di trib , di razza o di etnia non avesse alcun tipo
di corrispondenza nelle lingue africane. In bambara-malinke, per esempio, esiste una nozione, quella di shiya, che
corrisponde bene a quella di razza, di "etnia, o addirit
tura di clan o di lignaggio. In questa lingua e in questa so
ciet si trovano in effetti, come nella nostra, delle nozioni
ideologiche che permettono di raggruppare un certo nu
mero di agenti sotto la finzione di un'appartenenza o di una
discendenza comune19. Il caso dei peul maninkofoni del Wasolon in Mali da questo punto di vista molto rivelatore, dal
momento che queste popolazioni, di cui anche l'analisi pi
sommaria rivela la grande diversit di origini, in determinate
occasioni, pretendono di discendere da quattro figli di una
stessa donna (Amselle et al. 1979, p. 426).
In questa prospettiva, linterrogazione epistemologica
della nozione di etnia spinge a riesaminare in maniera cri
tica parti intere dell'antropologia, e in particolare le nozioni
di clan e di lignaggio le quali, come hanno ben eviden
ziato Mercier (1961) e Nicolas (1973), sono in continuit di
retta con quelle di etnia o di razza20.
Tutte queste nozioni che l'antropologia utilizza spesso
in maniera acritica, ossia ripetendo, realizzando un dop
pione dell'ideologia della societ da cui esse vengono ri
cavate, non sono infatti altro che delle forme simboli
che che consentono di riunire un certo numero di effet
tivi umani sotto l'insegna di una comunit immaginaria di
sangue o di razza , e questo soprattutto nell'ambito de
gli Stati21.
Prendiamo il paradigma banmanan fino (bambara
nero) - fula (peul) - maninka" (malinke) come lo pos
siamo trovare all'interno dei materiali relativi alla storia di
molte chefferies del sud del Mali2. Analizzando questi ter
mini ci si rende immediatamente conto che i differenti ele
menti del paradigma vengono utilizzati dal lignaggio mas
simo jakite shabashi in funzione dei diversi contesti sociali
all'interno dei quali questo viene a trovarsi. Cos l'antena
to dei jakite shabashi, all'origine soninke o banmanan

ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

65

fino con il nome di Jara o Konate, diverr "fula e assu


mer il patronimico Jakite per assimilarsi al gruppo poli
ticamente e culturalmente dominante nel Wasolon. Allo
stesso modo uno dei suoi figli abbandoner questa regio
ne, fonder a una certa distanza da l una chefferie-figlia che
porta lo stesso nome di quella creata da suo padre e ri
prender il patronimico Konate per integrarsi ai "maninka
dominanti in questa regione23.
In questo modo, i patronimici, i nomi di "clan o di li
gnaggio e gli etnonimi possono essere considerati come
ujqta gamma di elementi che gli attori sociali utilizzano per
affrontare le differenti situazioni politiche che si presenta
no loro. Ritroviamo qui la preoccupazione di Nadel (1942)
per il quale la nozione di "trib ha un carattere essenzial
mente politico.
Nell'Africa precoloniale, solo le unit locali a carattere
politico sono pertinenti, e questo spiega il fatto che i pa
tronimici, gli etnonimi, i differenti sistemi di classificazio
ne siano una sorta di bandiere o di simboli che servono da
segni di riconoscimento o meglio da "emblemi onomastici
(Berque 1974, p. 26), ossia in definitiva dei modi di domi
nazione. Da questo punto di vista, "letnia, nel senso di en
tit omogenea, "razzialmente, culturalmente e linguisticamente, non esiste nell'epoca precoloniale pi di quanto esi
sta in quella attuale; ci che ha sempre prevalso, al contra
rio, sono delle unit sociali eterogenee e diseguali nella lo
ro composizione .
Indubbiamente si pu rilevare una continuit nellutiliz
zazione di alcune categorie nellepoca precoloniale e in quel
la attuale e constatare una ripresa da parte del colonizzatore di termini che erano gi impiegati prima del suo arrivo
("peul, "bambara , dioula24, e cos via) ma questo evi
denzia semplicemente il fatto che 1"etnonimo un "signi
ficante fluttuante (flottant)23 e che la sua utilizzazione di
natura "performativa26, di modo che contrapporre una de
terminata significazione di un etnonimo a unaltra non ha
grande senso, fintanto che non sia stabilita la lista completa
degli usi sociali di uno stesso termine27.

66

JEAN-LOUP AMSELLE

Cos perfettamente legittimo rivendicarsi come peul o


bambara. Quello che contestabile la convinzione che que
sta modalit didentificazione sia esistita dalleternit, ovvero
il fame unessenza. Un etnonimo pu ricevere una moltitudine
di sensi in funzione delle epoche, dei luoghi o delle situazio
ni sociali; legarsi a uno di questi sensi non condannabile, ma
lo diviene laffermare che questo senso sia unico oppure che
la serie dei sensi che la categoria ha assunto sia terminata28.

G li spazi coloniali
In alcuni casi, come abbiamo visto, letnia dunque una
creazione precoloniale, nel senso che una modalit di rag
gruppamento ideologico di un certo numero di agenti, e que
sto in perfetta continuit con le unit sociali pi piccole che
sono i clan e i lignaggi29. Nel momento in cui le poten
ze europee si impadroniscono dellAfrica, si assiste talvolta
alla semplice ripresa di alcuni etnonimi impiegati nello
stesso contesto o allinterno di contesti differenti. Ma, in al
tri casi, si constata lutilizzazione di un nuovo lessema, e sen
za riferimento a ununit sociale precoloniale o a uno spazio
circoscritto dallamministrazione coloniale. Lutilizzazione
ricorrente delle tassonomie etniche contrassegna la conti
nuit esistente tra la politica dello Stato precoloniale e quel
la dello Stato coloniale. In tutti e due i casi, uno stesso pro
getto soggiace al processo di territorializzazione: raggruppa
re delle popolazioni e designarle attraverso categorie comu
ni al fine di controllarle meglio.
Il fenomeno pi rilevante della colonizzazione cos lin
staurazione di nuove delimitazioni territoriali ( cercles, di
stretti, territori), ossia il frazionamento (Amselle, Le Bris,
a cura, 1981) di questa economia-mondo che costituiva lAfrica precoloniale in una miriade di piccoli spazi sociali, che
arriva ben presto a istituzionalizzare in altrettante razze,
trib ed etnie (Amselle 1974).
Mentre prima della colonizzazione questi diversi spazi
erano imbricati allinterno di catene di societ, con la con

ETNIE E SPAZI: PER UN'ANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

67

quista si assiste invece a unimpresa di disarticolazione delle


relazioni tra le societ locali.
Questo fenomeno assumer essenzialmente tre forme. La
creazione ex nihilo di etnie, come nel caso dei bt del
la Costa dAvorio, la trasposizione semantica di etnonimi
utilizzati prima della colonizzazione in contesti nuovi
(bambara, dioula") o la trasformazione di unit politiche
o di toponimi precoloniali in etnie (mandenka-malink; gurma-gourmantche ). Queste nuove divisioni
territoriali saranno, in un primo tempo, riprese dagli etno
logi che tratteranno dei dogon, dei senufo come al
trettanti soggetti etnici (Dozon 1981b, pp. 2-5), mentre
queste popolazioni erano suddivise in unit di ben pi pic
cola taglia (aree matrimoniali, localizzazioni di lignaggi,
trib, federazioni di villaggi, raggruppamenti territoria
li di societ segrete, e cos via) o meglio erano inglobate, in
ragione dlia loro dipendenza nei confronti di alcuni Stati
o di reti commerciali internazionali, allinterno di entit
molto pi vaste, o meglio ancora - ci che sembra rappre
sentare il caso pi frequente - combinavano le due carat
teristiche.
In un secondo tempo, questi etnonimi e queste etnie
create dal colonizzatore saranno rivendicate dagli agenti che
ne faranno uno strumento ideologico di determinazione so
ciale. Chiamati a situarsi in rapporto a degli spazi nuovi, ov
vero essenzialmente in relazione a uno spazio statuale colo
niale e postcoloniale, le differenti regioni rivendicheranno co
me altrettanti segni distintivi gli etnonimi inventati o tra
sposti dallamministrazione coloniale.
La volont di affermazione etnica apparir cos come
uno strumento di resistenza alla pressione delle regioni con
correnti e la lotta allinterno dellapparato dello Stato as
sumer le forme del tribalismo. Questo fenomeno si mani
fester in maniera sempre pi evidente dal momento che la
colonizzazione avr accresciuto i movimenti migratori ver
so le citt, e degli originari di una stessa ragione saranno
spinti a raggrupparsi in ambiente urbano e al di fuori dei
quadri dei lignaggi e del villaggio di provenienza (ib.).

68

JEAN-LOUP AMSELLE

Il tribalismo moderno
Se vi un punto sul quale la maggior parte degli antropologi raggiunge laccordo certamente quello del prete
so tribalismo attuale in Africa. Mercier (1961), Gluckman
(1960), Wallerstein (1960), Lombard (1969) e Sklar (1981)
mostrano tutti in maniera convincente che il tribalismo
di cui ci si pu abbeverare a saziet nei media quando trat
tano dellAfrica (ex Zaire, Ciad, Etiopia, Nigeria ecc.)
sempre il segno di unaltra cosa, il mascheramento di con
flitti di ordine sociale, politico ed economico. Questanali
si una di quelle da considerare acquisite dallantropolo
gia e ci si auspicherebbe di vederla ripresa e diffusa nel
linsegnamento e dai mezzi di comunicazione di massa.
Nessun antropologo degno di questo nome oggi oserebbe
analizzare qualsiasi rivolta o sciopero o qualsivoglia movi
mento sociale in termini tribalisti. Bisogna, di conse
guenza, sottolineare il merito degli etnologi su questo pun
to, dal momento che sarebbe loro risultato facile, al con
trario, porre laccento sullestraneit e lesotismo di alcuni
costumi barbari, e questo in perfetta continuit con le ten
denze profonde dellideologia dominante.
Ma vi unaltra ragione per la quale lanalisi di questi antropologi per noi preziosa, ed la tentazione tribalista
permanente degli Stati africani contemporanei. Come ab
biamo potuto osservare insieme a molti altri ricercatori, il di
scorso del potere, nel momento in cui deve ad esempio af
frontare una rivolta degli agricoltori (Amselle 1978), si espri
me sempre in un linguaggio tribalista o regionalista .
Questa proiezione dello Stato neo-coloniale su movimenti che
gli si sollevano contro indice di una debolezza e di unas
senza di controllo su ampi settori della popolazione. Defini
re un qualsiasi movimento sociale come tribalista o re
gionalista significa tentare di squalificarlo negandogli ogni
legittimit, la quale per gli apparati statali africani contem
poranei non si potrebbe esprimere altrimenti che in un vo
cabolario modernista. Tuttavia, facile constatare che lo Sta
to molto spesso il responsabile delle forme che le rivolte

ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

69

contadine o gli scioperi assumono. In questo modo, il pote


re socialista in Mali, dopo avere eliminato, poco tempo do
po lindipendenza, un sindacato che raccoglieva un grande
numero di coltivatori (cfr. Narbeburu 1980), ha praticamente
costretto tutte le rivendicazioni popolari ad assumere come
quadro ideologico le antiche chefferies private del loro
contenuto gerarchico.
Ed cos che se si pu individuare una longue dure" del
le rappresentazioni del potere in Africa per il fatto che es
sa sinscrive in un quadro delimitato dagli attuali apparati di
Stato.
Il tribalismo moderno appariva dunque come un si
stema di elementi significanti manipolato tanto dai domi
nanti quanto dai dominati allinterno di uno spazio naziona
le o intemazionale; si tratta di uno strumento di definizione
sociale e di un sistema di classificazione che attribuisce a cia
scuno la sua posizione allinterno di una struttura politica de
terminata.
A questo titolo e contrariamente a molte affermazioni
che pongono laccento sulla periodizzazione della storia dellAfrica, sembra che non esista una cesura radicale tra il tri
balismo moderno e il suo omologo antico.
I
movimenti di superamento delle barriere etniche
(Barth, a cura, 1969; Lovejoy, Baier 1975), di migrazione
verso le citt (la detribalizzazione )30e di utilizzazione di re
ti indigene come modalit di organizzazione economica e
sociale (retribalizzazione31 o supertribalizzazione)32han
no preso le mosse ben prima della colonizzazione - lo testi
monia lesistenza di citt precoloniali e di reti commerciali in
temazionali, jula e hausa in particolare.
Questo stesso movimento oggi prosegue verso le citt e
verso le piantagioni e giunge a raggruppare fuori dalle col
lettivit rurali e di villaggio un certo numero di originari. In
questo senso, piuttosto che indice di modernit, letnicit
potrebbe dunque apparire prima di tutto come un prodotto
dellurbanizzazione, delledificazione statuale e del com
mercio, nel senso pi ampio di questo termine e quale che sia
il periodo considerato.

70

JEAN-LOUP AMSELLE

Se si accetta questo punto di vista, facile constatare che


nulla distingue il tribalismo o r etnicit africani dalla ri
nascita del regionalismo alla quale si assiste in Europa. In
entrambe i casi, questi movimenti di ritorno alle fonti, di ri
cerca delTautenticit, si radicano piuttosto nella realt ur
bana, e in questo senso rappresentano una proiezione citta
dina su una realt rurale e passata, puramente immaginaria.
proprio lallontanamento sociale e geografico che, tanto in
Europa quanto in Africa, consente di dare purezza e omo
geneit a un ambiente eterogeneo e gerarchizzato.

In conclusione: lo Stato, la citt, gli scambi


Per tutta la stesura di questo testo non abbiamo potuto
evitare una certa ambiguit, quella legata allutilizzazione di
nozioni come clan, lignaggi, trib, etnie, etnonimi,
tribalismo, etnicit ecc. che, anche usate con precau
zione, tra virgolette, tradiscono colui che le impiega. Certa
mente in ogni lavoro epistemologico necessario partire dal
le nozioni empiriche per decostruirle e ricostruire un altro
spazio concettuale pi adatto a rendere conto di una realt
data. Tuttavia, lantropologia forse pi vulnerabile di altri
campi della conoscenza, nella misura in cui lo scarto tra le
realt osservate e i concetti utilizzati qui pi debole che al
trove. Abbiamo potuto cos constatare che in questa disci
plina si ritrovavano delle nozioni o delle concezioni che era
no a malapena trasposte da quelle delle stesse societ studiate
o secondo linterpretazione che ne avevano dato i coloniz
zatori e i missionari.
Lesistenza di questo immaginario antropologico, di que
sto mondo fantasmatico di soggetti, di sostanze e di fe
ticci, rappresenta un freno considerevole al progresso del
sapere. Al limite, si sarebbe tentati di non utilizzare nessu
na di queste nozioni, ivi compresa quella di societ, per
quanto sono cariche di ideologia e per come impregnano
le produzioni pi diverse, comprese le pi scientiste e positiviste.

I < m m E SPAZI: PER UN'ANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

71

|
Lungi da noi la volont di accusare gli antropologi
; -^assido essi utilizzano in maniera acritica alcune categorie:
vfatto di designazione necessario non fosse altro che per
; s s d e r e un po pi vive delle opere la cui formulazione
destinata esclusivamente a un pubblico iniziato. Pur con
'-.jaesta riserva, rimane il fatto che vi un fossato conside
revole tra la sofisticazione estrema che anima alcuni terres i antropologici - per esempio la parentela - e lassenza
spasi completa di riflessione sulloggetto stesso di questa
vdisciplina. Ora, noi abbiamo potuto vedere, nel corso del
nostro tentativo di ricostruzione delle realt precoloniali
africane, che, secondo il punto di vista adottato, la natura
aessa di queste realt si modificava. Porre laccento sulle
catene di societ", 1economia-mondo, gli spazi pre
coloniali, l sviluppo ineguale, le societ inglobanti
e le societ inglobate sconvolge totalmente la visione
che si pu avere delle societ precoloniali africane. Mn
tre lanalisi antropologica e monografica non ci consegna
che delle entit chiuse, lapproccio storico, lo studio della
morfogenesi dei simboli33 ci fa scoprire alcuni opera
tori che sono gli Stati, le citt e gli scambi.
Da questo punto di vista, le categorie etniche non ap
paiono che come un genere particolare di categorie, quel
le impiegate da organizzazioni che cercano di raccogliere
sotto la loro bandiera un certo numero di persone. Pi
queste organizzazioni saranno sviluppate, pi il numero di
persone da incorporare sar ampio, pi lutilizzazione di
queste categorie sar resa necessaria; dunque le societ
africane non sono fondamentalmente diverse dalle altre:
producono delle categorie sociali, ovvero delle categorie
che servono a classificare socialmente degli agenti. Solo con
la colonizzazione queste categorie sociali, queste classi
sociali, sono trasformate in feticismi etnici , dal momen
to che il colonizzatore, come gli Stati postcoloniali, aveva
bisogno di cancellare le gerarchie precoloniali per meglio
imporne di nuove34.
In questo senso la categoria delletnia, e attraverso di
essa una buona parte dellantropologia, sarebbe legata al co

72

JEAN-LOUP AMSELLE

lonialismo e al neo-colonialismo, non tanto perch questa di


sciplina si sarebbe messa al servizio dellimperialismo, ma
piuttosto per il fatto che avrebbe avuto il suo momento ge
nerativo nel suo ambito e che si sarebbe sviluppata trovan
do rifugio nelle forme coloniali di classificazione.
In futuro uno dei compiti dellantropologia, affiancata dal
la linguistica e dalla storia, potr essere esattamente quello di
delimitare luniverso semantico delle categorie raccolte sul
terreno in funzione dellepoca, del luogo e della situazione
sociale presa in considerazione.
Invece di partire da etnonimi dati, da nozioni vuote che
si tratta in seguito di riempire con strutture economiche, po
litiche e religiose, sarebbe preferibile mostrare in che modo
un termine situato nel tempo e nello spazio acquisisce pro
gressivamente una molteplicit di sensi e in sintesi stabilire
la genesi ideale dei simboli.

1 Si pu ricordare che l'uso antico del termine etnia non privo di lega
mi con il nostro, I greci opponevano in effetti ethnos (plur. ethn) e polis
(citt). Le societ di cultura greca alle quali tuttavia mancava l'organiz
zazione in citt-Stato erano delle ethn. Il termine sovente tradotto con
trib* (tedesco: stamm) o con stato tribale9. Secondo Ehrenberg (1960, p.
54), verosimile che Vethnos sia assai pi vicino alla societ primitiva. Let
nologia presa alla lettera dunque una scienza delle societ a-politiche, e a
questo titolo deprivate della possibilit di essere soggetti* della propria sto
ria. Una definizione negativa si perpetua cos nella tradizione ecclesiastica che
chiama ethn le nazioni, i gentili, i pagani in opposizione ai cristiani (Littr
1865, alla voce etnico),
2 Sul legame tra le attitudini razziste e lutilizzazione delle nozioni di et
nia e di etnicit non certo inutile citare in extenso un passo del profes
sor Montandon, nominato da Vallat, sotto loccupazione tedesca, etnologo
dei commissariato stille Questioni ebraiche: quando un uomo dal patronimico
SUberstein stato battezzato cristiano, discende da cristiani da tre generazioni,
secondo i suoi documenti, ha sposato una donna ariana e fatto battezzare i suoi
figli, ma si fa arrestare al momento di attraversare la frontiera svizzera nel ti
more di essere preso per un ariano obbligato al servizio militare, come tanti
altri non infeudati alle potenze ebraiche, noi diciamo che questuomo possiede
la mentalit ebraica e che la legge dovrebbe dunque dare la possibilit di ri
classificarlo come ebreo: cos sarebbe se, invece di parlare di razza ebraica e
di spiegare la razza attraverso la religione, la legge si accontentasse di parla
re molto semplicemente di etnicit ebraica (corsivo di Amselle) determinabi-

3EINZE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

73

2; d b !insieme dei criteri che forniscono la biologia, la lingua, la religione, la


-amdogia e la psicologia (in Blumenkranz, a cura, 1972, pp. 406-407).
? Per una spiegazione di questa nozione v. infra, pp. 58 sgg.
' Cfr. infraypp. 77-117.
5 Si veda ad esempio, per lAsia sud'Orientale, Hours 1973, pp. 2-28, che
^ost?a come i lav del Laos siano stati respinti sulle montagne dagli invasori lao
A d isti e vengano considerati come gli schiavi del regno; o, per ? America
hm na, lopera di Andr Marcel dAns, che rivela come la presenza dellTnca,
wrero, di fatto, dello Stato, impregni i miti dei cashinaua, popolazioni di cacmsori-raccoglitori (Le dii des vrais hommes 1978).
6Pu apparire curioso, contrariamente allimpostazione tradizionale, il fat
to di considerare la produzione dopo gli scambi, ma di fatto, come ha efficace
mente dimostrato H. Denis (1980) la determinazione in ultima istanza attra
verso la produzione" un colpo di forza teorico di Marx.
7 Gfe, peri mosi, Izard 1975, p. 219, e 1977; Skinner 1964, pp. 35 sgg.
* La letteratura sui baoul abbondante: Salverte Marmier 1965; tienne
1975; Weiskel 1976, p. 387; Chauveau 1979.
9 Cfr. Dozon 1981b; Terray 1969; Deluz 1970. La tesi dellorigine mande
di alcune popolazioni come i dan e i gouro, per esempio, tuttavia soggetta
a cauzione, nella misura in cui opera dei griots malink abili nelTincrporare tutte le popolazioni ovest-africane dentro la "matrice mande (Deluz
1970, p. 140) o di ricercatori come Delfosse che costruivano dei gruppi lin
guistici totalmente arbitrari (per esempio: mande tan/mande fu).
10Osservazione personale presso i kulibali di Sugula, Mali, 18 febbraio 1978.
11 Cfr, Goody 1971. da notare che il termine gurunsi sarebbe secondo
Rouch (1956, pp. 63-64) una parola dagomba che serve a designare gli uomi
ni della foresta tra i quali i dagomba andavano a cacciare i loro schiavi, o me
glio ancora il nome attribuito dai mossi agli autoctoni a causa loro sfollati al di
l del Volta rosso. Questo da accostare alietimologi del termine somba che
un nome bariba e che fa riferimento al terreno di razzia occidentale di questo
regno (Mercier 1968, p. 8).
12Questo processo di respingimento a nostro avviso rende conto delle con
traddizioni del mito bantu relativo ai pigmei aka che fa di questi ultimi insieme
dei civilizzati e dei selvaggi,
13 Osservazione personale.
^ V. su questo soggetto Alexandre 1967, p. 22; Houis 1971, pp. 109-110.
15 In particolare il caso della Costa dAvorio dove i dioula hanno pro
sperato allombra della colonizzazione francese.
16 Un buon esempio di questo tipo di sintesi fornito dal lavoro di Person
19.68, pp. 47-88. Allo stesso modo vedere la tabella che indica le principali ca
ratteristiche regionali del pays gouro, in Deluz 1970, pp. 18-19.
17 Io penso qui in particolare, ai raggruppamenti territoriali dei funerali e
dei poro senufo (C. pai, comunicazione personale).
18 Io faccio allusione in questa sede tanto alievoiuzionismo di Morgan
quanto a quello pi recente di Deleuze, Guattari 1972.
19 Vedere ugualmente le nozioni di kabila e di bonson.
20 Il caso dei lignaggi e dei 'clan tuttavia abbastanza simile a quello
dell'etnia. Ma si manifestata la tendenza a vedere in queste nozioni delle

74

JEAN-LOUP AMSELLE

espressioni di realt sociali invariabili. Ci nondimeno questi concetti e so


prattutto le costruzioni realizzate a partire da questi concetti sono delle ideo
logie, Come tutte le ideologie, quella che si fonda sul lignggio segmentano
0 sul clan non corrisponde allorganizzazione sociale vissuta ma lha influen
zata. Essa esprime piuttosto ci che dovrebbe essere e non ci che (Vansina 1980, p. 135).
21 Izard (1977, pp. 310-311) mostra in questo modo che il termine mooga
non rivendicato dalle popolazioni del comune Ualse) del regno di Yatenga. Su
questo punto v. ugualmente Perrot 1981.
22 Cfr. Amselle et al. 1979, e Yaya Konate, Kuruba, Mali, 8 gennaio 1981.
25 Ci si potr obiettare che noi reintroduciamo surrettiziamente dei nomi
di etnie, di clan e dei lignaggi. Allo stesso modo in cui noi domandiamo a uno
dei nostri informatori se l'antenato di questo lignaggio massimo non era in
fatti un senufo, egli ci risponde che i senufo erano in realt dei banmanan
raffinati, volendo affermare, attraverso ci, che il suo antenato era un pagano
raffinato, il colore nero indicando il carattere particolarmente pagano di que
sto personaggio. U termine fula designa la zona controllata altrimenti dalle po
polazioni del Wasolon (Amselle et al. 1979, p. 416, n. 61). Quanto al termine
maninka, questo la deformazione del termine mandenka che significa:
gente del Mande* e si riferisce a uno spazio politico che si estende dal Kurusa (Guinea) al Waye-wayanko (nei pressi di Bamako) e da Kita a Kama sul
Sankarani (Mamadi Keita, Narena, Mali, 29 dicembre 1980). Occorre notare che
1patronimici ijamu) come Jakite o Konate erano poco impiegati prima della co
lonizzazione. Si tratta di nomi donore o di divise che erano soprattutto utiliz
zate dai griots ijelt).
24 Per le differenti utilizzazioni del termine dioula v, Amselle 1977, pp.
227-228.
25 Noi utilizziamo questa nozione in un senso leggermente diverso da quel
lo di Lvi-Strauss 1960. Per noi un significante flessibile un significante che
reinvia a una moltitudine di significati.
26 Sulla nozione di performativo, v. Austin 1970, pp. 39-42 e Benveniste
1966, pp. 269 sgg. Affermando che Futilizzazione deU,aetnonimo perfor
mativa, noi vogliamo semplicemente dire che lapplicazione di un significan
te a un gruppo sociale determina essa stessa questo gruppo sociale.
27 Io vorrei assolutamente sottolineare quale errore funesto si commette
sempre allorch si affronti la spiegazione dellutilizzazione di una parola non
avendo considerato seriamente che una parte minima dei contesti in cui di fat
to essa si utilizza (G. Lane, in Austin 1970, p, 15).
28 Cfr. infra il testo di J. Bazin.
29 Non abbiamo la pretesa di affermare che i gruppi di filiazione non esi
stono, ma che preferibile postulare un eterogeneit originaria al fine di ana
lizzare con maggior chiarezza i limiti dell'omogeneit di questi gruppi.
30 Cfr. Richards 1939; Wilson 1942 e la critica a questo approccio da parte
di Gluckman, in Watson 1958, pp. X-XVI, cos come la nostra analisi (Amselle,
a cura, 1976, pp. 32-36). Si ritrova questa angoscia della detribalizzazione in
tutto un altro contesto, quello delTetnocidio (Jaulin 1970, p. 45).
31 In merito allutilizzazione di questa nozione, v. Cohen 1969 e la critica di
Lovejoy (I980b).

ETNIE E SPAZI: PER UNANTROPOLOGIA TOPOLOGICA

75

32 Cfr. Rouch 1956,


33 Noi non stabiliamo alcuna differenza tra una organizzazione e la sua rap
presentazione, seguendo in questo Aug 1977, p, 83.
34 Per una buona analisi di questo problema, v. Deverre 1980 che mo
stra che in Messico la categoria di indio non significa altro rispetto a quel
la di contadino, e Albergoni, Pouillon 1976 che sottolineano il fatto che
nellestremo Sud tunisino il termine berbero nei fatti sinonimo di di
pendente.

I bt: una creazione coloniale


Jean-Pierre Dozon

Una riflessione domina ampiamente linterpretazione dei


tribalismi degli etnismi nell'Africa nera1. Quali che siano
le loro specificit o i loro significati locali, si concorda nel ri
conoscere in questi movimenti sociali la perennit dei qua
dri di riferimento tradizionali, la prevalenza di modi diden
tificazione tribale o etnica rispetto a quelli, ancora a livello
embrionale, che accompagnano i processi di sviluppo della
nazione (identificazione con un determinato gruppo sociale
e professionale, con una determinata classe, con la nazione
stessa). Indizi smplici della fragilit o della scarsa matura
zione degli Stati africani, i tribalismi ricorderebbero che ta
li Stati non hanno pi di ventanni di esistenza, e soprattut
to che, in quanto configurazioni politiche, sono il prodotto
della colonizzazione europea, ovvero di una divisione arbi
traria delle frontiere nazionali che ha spezzato in due, e tal
volta in pi parti, degli insiemi etnicamente coerenti, crean
do in questo modo le condizioni di partenza della rivendi
cazione tribalista. Essi dimostrerebbero dunque che a di
spetto delle trasformazioni intervenute gi da un secolo, di
colonizzazione e indipendenze, lAfrica nera resta abbastan
za fedele a quest'immagine di mosaico etnico popolarizzata
dagli etnologi e prima di loro dagli amministratori coloniali,
e non sarebbero altro che il prolungamento logico di un pas
sato immemore di cui i processi definiti come moderni (svi
luppo economico, urbanizzazione, costruzione di Stati-na
zione) giungono con difficolt a dissipare il pesante carico.

JEANPIEREE DOZON

78
MALI

HAUTE-VOLTA

GUINE

BAKW

;rv\%

^p
D

GUINE

60__ 100 bn

La regione bt in Costa d*Avorio.

Sebbene questo ragionamento non sia del tutto privo


d'interesse, sottolineando nella sua parte migliore gli sfasa
menti tra i livelli della coscienza collettiva, e delle mentalit,
piuttosto refrattarie al cambiamento, eie sfere dell'economia
e della politica capaci invece di trasformazioni rapide, esso
presenta soprattutto il limite di essere insieme troppo gene
rico e di procedere per stereotipi, aggiungendosi sotto que
sto aspetto ai tanti discorsi sulTAfrica nera e alle numerose
rappresentazioni semplicistiche della sua storia.
In primo luogo, la spiegazione dei tribalismi attraverso
la permanenza di entit etniche precoloniali si preclude Pa-

IBT: UNA CREAZIONE COLONIALE

79

nalisi di ci che costituisce precisamente la singolarit di cia


scuno di loro. La genericit dellintenzione tale da non po
ter rendere conto del loro contenuto specifico: una co
scienza etnica assai esacerbata, unopposizione allo Stato o
a un altro gruppo etnico, una rivendicazione di autoctonia,
un numero tanto rilevante di espressioni e di pratiche col
lettive che occorre considerare nei loro aspetti pi partico
lari e interpretare in funzione del loro contesto nazionale.
In altri termini, il riferimento spontaneo una figura di ti
po arcaico da cui deriverebbero quasi naturalmente i tri
balismi impedisce di comprendere ci di cui ciascuno di es
si portatore, ovvero le contraddizioni socio-economiche,
i conflitti interregionali, nonch i giochi politici. Forte di ta
le riferimento, linterpretazione dominante crede di poter
avanzare spiegazioni, ma si accontenta di uno pseudo-sapere
concernente lAfrica nera precoloniale: un universo lonta
no che essa riduce alla nozine semplice, ma carica di sen
so e di ambiguit, di societ tradizionale , un termine che
nelluso equivalente a quello di etnia o di trib. Tale in
terpretazione lascia pensare che lAfrica prima della colo
nizzazione fosse chiusa nella ripetizione, raramente intac
cata dal tempo e dalla storia. Infischiandosi in questo mo
do delle conoscenze storiche di cui si dispone attualmente
(in particolare della diversit delle situazioni e dei periodi
in cui gli insiemi socioculturali appaiono legati, nella loro
costituzione e nelle loro trasformazioni, a dei processi e a
degli avvenimenti di ogni ordine: economico, politico...) es
sa fissa luniverso precoloniale sotto unetichetta unica e gli
conferisce tutti i tratti di una sostanza. Si comprende allo
ra come, posta come a priori dellargomentaziorie, questa
sostanza, questa societ tradizionale, a dispetto delle
trasformazioni intervenute dopo le conquiste coloniali, con
tinui a far valere le sue prerogative, in particolare a deter
minare i processi di identificazione collettiva a spese degli
sforzi di costruzione nazionale.
Da questo punto di vista risulta sintomatico il fatto che
questo ragionamento che presiede allinterpretazione dei
tribalismi o degli etnismi sia utilizzato per altri fini. Li

8o

JEAN-PIERRE DOZON

deologia dello sviluppo che intorno agli anni Sessanta ha


massicciamente invaso i discorsi suirAfrica nera ne forni
sce Pesempio pi pertinente. Allo scopo insieme di pro
muoversi essa stessa e di legittimare delle pratiche econo
miche indirizzate a integrare i nuovi Stati africani in seno
al mercato mondiale, questa ideologia si strutturata se
condo uno schema binario che oppone luno contro laltro
gli attributi della tradizione a quelli della modernit. At
traverso questa teoria dualista, il sottosviluppo assimila
to a un certo tipo di societ in cui il rispetto delle leggi e
delle tradizioni ancestrali impedisce ogni possibilit din
novazione. In uno stesso tempo le difficolt dello svilup
po, i freni al decollo non possono essere imputati che al
la permanenza di queste mentalit arcaiche. Lavanza
mento in direzione del progresso economico, proprio co
me, nellordine del politico, lascesa degli Stati sovrani, ri
sulta vincolato al superamento degli ostacoli sociocultura
li, vale a dire allabbandono dei modelli tradizionali e la
dozione di comportamenti moderni.
Altri esempi testimoniano di una medesima direzione di
marcia. sufficiente evocare le ideologie ufficiali espres
sione dei diversi poteri statuali africani, come la ngritude
di Lopold Sdar Senghor (Senegai), il communalismo di
Julius Nyerere (Tanzania), o la grande impresa dautenti
cit di Mobutu (Zaire [oggi Repubblica Democratica del
Congo, N.d.T.]). Ovviamente, in questi differenti casi di
studio il ricorso ai valori antichi presente in una manie
ra interamente positiva; questi valori non giocano pi il ruo
lo di ostacoli alla stabilit degli Stati o allo sviluppo eco
nomico; al contrario, i loro attori ne fanno un ingranaggio
decisivo della costruzione nazionale e della mobilitazione
della massa contadina, come nel caso del movimento Ujamaa in Tanzania. Ma a dispetto di tale inversione di sen
so, la procedura ancora una volta la stessa; il riferimen
to alla tradizione resta molto lontano da ci di cui si pre
tende che essa debba rendere conto, ovvero questa o quel
la societ precoloniale, e si presenta semplicemente come
unimpresa pi o meno riuscita di legittimazione di alcuni

I BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

81

regimi africani. In definitiva, linterpretazione dominante


dei tribalismi non che uno degli elementi di un discorso
pi generale sull1Africa nera contemporanea. Sullesempio
delle ideologie dello sviluppo e delle ideologie di Stato, es
sa si costruisce a partire da un riferimento originario, la so
ciet tradizionale; a seconda che sia valorizzata o svaluta
ta, che costituisca un ostacolo o un trampolino, questa so
ciet concepita come un'astrazione, una figura ideale e
chiusa; la sua funzione non consiste nel rendere esplicito
l'univrso che si ritiene rappresenti (le societ precolonia
li), ma nel lasciar credere che lessenza dei problemi dell'Africa si radichi in una specificit culturale di cui la mag
gior parte del continente nero sarebbe in qualche modo de
positario.
Lo studio di caso che noi qui proponiamo si muove in
contrasto con tale interpretazione o piuttosto con le proce
dure che sono soggiacenti a essa. E questo in due sensi. Non
si tratter solo di criticare i presupposti sostanzialisti che gli
servono da punto di ancoraggio, attraverso una breve anali
si del mondo precoloniale, ma anche di evitare di sostituirvi
un nuovo orientamento che si conformerebbe allo stesso ec
cesso di generalizzazione.
In effetti, Tetnismo in questione, anche se pu essere
considerato come esemplare, deve rimanere al livello in cui
si presenta, cio quello di un particolarismo il cui significa
to resta circoscritto alla colonia e quindi al paese in cui sto
ricamente apparso. Secondo la nostra opinione, questo non
avverr che procedendo nella ricerca, ovvero moltiplicando
gli studi di caso, di modo che attraverso la comparazione si
potr proporre un'interpretazione pi globale dei movimenti
ispirati al tribalismo nell'Africa nera.
Questo etnismo mette in scena il gruppo bt che con
circa 15.000 kmq occupa la maggior parte della regione cen
tro-occidentale della Costa dAvorio. Prima di considerarne
le espressioni pi manifeste, riteniamo utile fornire qualche
indicazione legata al contesto nazionale.
Rispetto a numerosi paesi africani, come la Nigeria, l'ex
Zaire o il Burundi, in cui il confronto etnico ha trovato sboc

82

JEAN-PIERRE DOZON

co in vere e proprie guerre civili, la Costa dAvorio sembra


una nazione pacifica. Il potere dello Stato ivoriano, sotto il
pugno di ferro del presidente Flix Houphout-Boigny, sem
bra avere realizzato l'integrazione nazionale e di conseguen
za avere superato le appartenenze a questo o a quel gruppo
etnico. La spiegazione pi comune di una tale riuscita met
te in evidenza 1Jeffetto convergente di due circostanze posi
tive. Da una parte, la relativa espansione delleconomia ivonana dallindipendenza sembra avere favorito la stabilit po
litica del regime. Su questo punto, la causa e leffetto posso
no perfettamente invertirsi, dal momento che taluni, rico
noscendo labilit e il pragmatismo del capo dello Stato ivo
riano, sono daccordo nel ritenere che proprio questa sta
bilit che ha permesso linvestimento di numerosi capitali
stranieri, in particolare francesi, nel paese. Dallaltra, la Co
sta dAvorio avrebbe beneficiato di una situazione etnica as
solutamente eccezionale. In effetti, a differenza di paesi pre
cedentemente evocati in cui lesistenza di alcuni grandi grup
pi (haussa, yoruba, ibo, ba-kongo, hutu-tutsi ecc.) sembra
rendere difficile linstaurazione di un potere legittimo, essa
presenta il vantaggio di una diversit etnica (una sessantina
di gruppi), ovvero di una divisione di fatto, che permette co
s allo Stato di imporre la sua autorit.
Dal canto nostro, non procederemo oltre con questo ti
po di argomentazioni, dal momento che se vero che la Co
sta dAvorio offre lesempio rarissimo della stabilit politica,
e che anche il Senegai, il Camern e il Kenya non hanno co
nosciuto colpi di Stato, ci non significa che se ne debba fret
tolosamente dedurre lassenza di problematiche etniche. O
meglio ancora, lincertezza che attualmente regna sulla suc
cessione al capo di Stato ivoriano apre la strada a un dubbio
sulle acquisizioni (lintegrazione nazionale) della politica con
dotta da pi di ventanni, come se si temesse che nelleven
tualit di un vuoto di potere possano fare la loro apparizio
ne qua e l dei fenomeni respinti per molto tempo dal di
scorso ufficiale.
Un primo indizio ci invita a rivedere limmagine di una di
versit su base etnica, che si lascia in effetti facilmente sosti-

13T: UNA CREAZIONE COLONIALE

83

taire da una ripartizione pi grossolana corrispondente a


una specie di identit regionali. Al Nord, due grandi grup
pi, i malink (o dioula) e i senufo. A Sud gli insiemi krou e
akan. Non si pu negare che si tratta di uno schema sempli
ficato ma si deve tuttavia ammettere che questa nuova divi
sione costituisce una buona matrice delle rappresentazioni
popolari2. Essa organizza lo spazio nazionale in grandi unit
coerenti, in civilizzazioni rispetto a cui loccupazione ter
ritoriale pone in evidenza due grandi tipi di frontiera natu
rale: da una parte, al nord, la savana, essenzialmente occupat&dai malink e dai senufo, dallaltra la foresta, principa
le zona dinsedimento dei krou e degli akan. Una sottodi
visione ulteriore poi quella prodotta dal fiume Bandama,
che attraversa'il paese da nord a sud e redistribuisce le po
polazioni della foresta tra genti deUOvest e "genti dellEst, rispettivamente i krou - ai quali si aggiungono dei grup
pi mand - e gli akan.
Senza assumere dal nostro punto di vista questa rappre
sentazione semplificata del paesaggio ivoriano insieme geo
grafico, economico e socioculturale, si pu tuttavia tentare
di coglierne luso e la funzione. Prendendo a titolo di esem
pio la regione forestale - il problema etnico bt si colloca
esattamente in questo quadro - si pu constatare che tra gen
ti dellOvest e genti dellEst si stabilita una netta distinzione
o meglio una vera opposizione, la cui legittimit parrebbe
fondarsi su dei riferimenti alla tradizione. Cos, allOvest le
popolazioni, sul piano agricolo, sarebbero dedite essenzial
mente alla coltivazione del riso, cosa che sul piano dellor
ganizzazione sociale, segmentaria e di lignaggio si tradur
rebbe, riprendendo unespressione cara agli amministrato
ri coloniali, in unattitudine anarchica, libertaria ecc.,
tutte rappresentazioni di una mentalit caratteristica delle so
ciet prive di un apparato di potere separato o centralizza
to e sorrette peraltro da un modello di filiazione patrilineare. AllEst, in compenso, domina la cultura delTigname; la
struttura di lignaggio si coniuga con unorganizzazione po
litica basata sulle chefferies e il modello di filiazione orien
tato piuttosto verso la matrilinearit3.

84

JEAN-PIERRE DOZON

A questi diversi elementi di differenziazione, si aggiunge


la questione dell'origine. Le popolazioni krou (che raggrup
pano non solamente i bt, ma anche i dida, i guer, i wob,
i neyo ecc.) si ritiene che provengano dalla Liberia, allo stes
so modo quelle del gruppo akan, che in particolare raccoglie
i baoul e gli agni, sarebbero originarie del Ghana, esatta
mente dellantico regno ashanti, da cui esse si sarebbero se
parate allinizio del xvm secolo.
Linteresse di questi riferimenti culturali risiede non tan
to in ci che enunciano esplicitamente (alloccorrenza un
certo sapere sulle societ dette tradizionali) quanto nel fatto
che forniscono la trama ideologica che consente di giustifi
care, sia nella modalit della consacrazione sia in quella del
la qualificazione, le posizioni di ciascuna di queste societ al
linterno dello spazio sociopolitico ivoriano. Pi precisamente, queste referenze acquistano il loro vero significato so
lo in relazione ai giochi politici nazionali che ruotano intor
no al regime e alla sua legittimit. Prima di comprendere il
tenore e lutilizzo di tali riferimenti, qualche punto deve es
sere precisato.
Un primo approccio indica che i pesi rispettivi dei grup
pi dellOvest e delTEst non sono equivalenti. Prima di tutto
sul piano demografico: gli akan sono circa due milioni, men
tre i krou non raggiungono i seicentomila individui. Per cia
scuno di questi due insiemi c unetnia dominante: presso gli
akan, il gruppo baoul (circa 1 milione di persone) presso i
krou il gruppo bt, circa 300.000 persone. Questi dati non
hanno in s un particolare interesse, dal momento che il dif
ferente peso demografico non pu determinare o giustifica
re a priori una diseguaglianza pi globale (in particolare sul
piano sociopolitico); tuttavia essi assumono una dimensione
reale nel momento in cui si prenderanno in considerazione al
cune caratteristiche delleconomia di piantagione nella re
gione bt, in particolar modo i movimenti migratori delle po
polazioni baoul verso il Centro-Ovest ivoriano, che fanno di
questa regione una zona di colonizzazione agricola.
Un secondo elemento privo di un legame particolare
con il precedente rinforza nettamente lo scarto differenziale

1ST: UNA CREAZIONE COLONIALE

tra i due gruppi. Gli akan, e in maniera specifica i baoul,


sono i meglio rappresentati a livello dellapparato e so
prattutto al livello del potere dello Stato. Questa afferma
zione richiede alcune spiegazioni e sfumature. Sarebbe
certamente eccessivo, addirittura sbagliato, ridurre lordi
ne politico ivoriano a una sola etnia, come se ogni indivi
duo di origine akan o baoul (fatta eccezione per persone
di diversa origine etnica) si indentificasse interamente con
il regime messo in piedi dal presidente Houphout-Boigny.
Le cose sono infinitamente pi complesse e sottili: ricor
diamo le rivalit o gli antagonismi interni al mondo akan,
cosicome al mondo baoul, la presenza di nuove modalit
di identificazione che tendono a cancellare i riferimenti cul
turali a profitto delle appartenenze a una o a unaltra fa
scia socioeconomica, lesistenza di una spaccatura allin
terno della classe politica ivoriana tra la giovane e la vec
chia generazione, ovvero tra coloro i quali hanno fatto la
storia politica della Costa dAvorio a partire dalla nascita
del sindacato dei coltivatori e del PDCI-RDA alla fine della
seconda guerra mondiale, e quelli la cui carriera si avviata
dopo lindipendenza, sotto il regime di Houphout-Boigny.
Ma soprattutto, tra i livelli alti dellamministrazione, del
l'apparato dello Stato, si contano numerosi funzionari pro
venienti da altre etnie4, in particolare dei malink (o dioula) e dei bt. In apparenza queste precisazioni, piuttosto
che sfumare la nostra tesi iniziale, sembrano smentirla to
talmente e, messa da parte lorigine baoul del presidente
ed eventualmente limportanza demografica degli akan,
tutto parrebbe indicare al contrario lassenza di una do
minazione etnica allinterno dello Stato ivoriano. In realt,
se si osserva una reale diversificazione o un equilibrio etnico al livello dellapparato dello Stato propriamente det
to (governo, esercito, gendarmeria, polizia, amministra
zione prefettizia ecc.) e pi in generale a livello della fun
zione pubblica, lo stesso non pu dirsi del potere di Sta
to. Una distinzione di questo tipo conferma largamente la
struttura duale del regime ivoriano in cui si confrontano la
rete del partito unico (PDCI-RDA) e quella dellamministra

86

JEAN-PIERRE DOZON

zione; le due reti si incontrano naturalmente nella perso


na di Houphouet-Boigny, che contemporaneamente ca
po del partito e presidente della Repubblica. In effetti que
sto potere designa essenzialmente l'ufficio politico e so
prattutto il comitato esecutivo del partito; certamente, al
l'interno di queste istanze dirigenti, si ritrova la maggior
parte dei ministri e alcuni alti funzionari, ma qui si realiz
za un filtraggio, una selezione, che certamente mette in
evidenza la predominanza di coloro i quali sono di origi
ne akan (e in particolar modo baoul) e la netta sottorap
presentazione delle popolazioni delTOvest.
Tutto accade dunque come se, al di l del quadro pro
priamente istituzionale o repubblicano, la questione del
l'essenza dell'atto politico, ovvero quella della sovranit, do
vesse regolarsi allinterno della sfera akan e dovesse tra
durre simultaneamente una certa diffidenza nei confronti di
coloro i quali provengono della zona occidentale del pae
se, in particolare bt. Da questo punto di vista, signifi
cativo il fatto che le rivalit che sono emerse da qualche an
no, dal momento in cui si posto con acutezza il problema
della successione di Houphouet-Boigny, si sviluppano al
l'interno di una cerchia ristretta di rappresentanti del mon
do akan, e in particolare dell'universo baoul3. Risulta dun
que opportuno identificare l'origine di una tale diffidenza,
spiegare la genesi del rapporto politico diseguale che si in
staurato tra l'Est e lOvest ivoriani, in breve comprendere
le molle delTetnismo bt. In prima analisi, i riferimenti so
cioculturali precedentemente evocati parrebbero giocare
un ruolo essenziale. Tutto accade in effetti come se essi
permettessero di sostenere le differenze percepibili nel
l'ambito dell'intera societ ivoriana, come se la politica
riformulasse le proprie pratiche per nascondere la masche
ra di una Costa d'Avorio arcaica, ritagliata in singole for
mazioni etniche. In questo modo l'Ovest ivoriano con in te
sta il gruppo bt sarebbe in qualche modo vittima delle sue
stesse tradizioni e giustificherebbe cos la diffidenza del
potere. Un tempo cacciatori e guerrieri, poco inclini alle at
tivit agricole, i bt non avrebbero potuto sviluppare al

SBT: UNA CREAZIONE COLONIALE

87

no che un'economia di piccola piantagione e avrebbero


mantenuto un rapporto abbastanza debole con il lavoro e
k terra; lassenza notoria di strutture di autorit degne di
questo nome spiegherebbe il comportamento velleitario^
addirittura sovversivo, delle genti delPOvest nei confronti
del potere politico ivoriano.
Sul piano generale, il richiamo alPuniverso precoloniale,
a una personalit di base, costituisce insieme una procedura
di legittimazione e di squalificazione; o piuttosto esso giusti
fica una situazione politica stabilendo un rapporto gerarchi
co sul piano culturale. In un primo tempo un tale sposta
mento mistifica la sua origine nella dominazione e si perde
assumendo il carattere di semplici rumori ivoriani; gli enun
ciati di ordine etnico o culturale cessano di riferirsi al soggetto
dellenunciazione, propriamente il potere politico, e posso
no essere formulati un po da tutti. Ma in un secondo tem
po i loro destinatari ovvero le popolazioni delPOvest e in par
ticolare i bt, collocandosi sullo stesso registro, divengono
a loro volta soggetto dellenunciazione. Semplicemente, ap
propriandosi di tali enunciati, essi ne ribaltano il contenuto,
e il processo di squalificazione lascia il posto a dei tentativi
di valorizzazione. Il gioco il fatto di ricavare dalluniverso
precoloniale degli elementi positivi; per ritornare sul piano
politico senza nominarlo, sufficiente situarsi su questo ter
reno. Si scopre qui uno dei passaggi chiave dellelaborazio
ne etnica: attraverso un movimento riflessivo, il gioco delli
dentit si amplifica e giunge a conferire alletnia un valore so
stanziale, ovvero a stabilire un legame organico tra una si
tuazione attuale o recente (il rapporto dellOvest ivoriano con
la societ globale e il potere politico) e le tradizioni antiche.
Sotto questo aspetto vedremo che coloro i quali prendono
parte con maggiore impegno a questo movimento delletnicit sono precisamente quelli che possiedono la coscienza o
il risentimento politico pi marcati, vale a dire gli intellettuali.
Per costoro, la sfida culturale non costituisce semplicemen
te una risposta indiretta alle pratiche discriminatorie del po
tere, ma anche una modalit privilegiata di approfondire la
coscienza collettiva.

88

JEAN-PIERRE DOZON

Del resto, lanalisi non pu contentarsi di ratificare que


sta dialettica in cui la cultura nella sua accezione pi vasta e
talvolta pi triviale rappresenta la posta in gioco di un rap
porto che non osa dire il suo nome. Sebbene i riferimenti tra
dizionali senza dubbio siano parte del fatto etnico bt, la lo*
ro utilizzazione maschera una delle sue dimensioni essenzia
li, vale a dire la sua dimensione storica.
Pi esattamente, questo uso nasconde un non detto, o me
glio uninterdizione, alToccorrenza la genesi del rapporto
diseguale evocato precedentemente, e il processo relativa
mente recente delTetnicit bt.
Lo scopo del nostro intervento di descrivere questo
processo: in quale modo si formato, a partire dalla colo
nizzazione francese, un insieme coerente - la regione bt
- e in che modo, nel periodo che ha fatto seguito allindi
pendenza, si rafforzato e si cristallizzato attraverso
unopposizione latente e talvolta manifesta al potere dello
Stato ivoriano.
Il fatto etnico bt deriva dunque pi da una serie di de
terminazioni appartenenti alla storia ivoriana contemporanea
che dal prolungamento tardivo dei riferimenti tradizionali.
Una tale proposizione si appoggia su un primo argomento
che mette specificamente in causa lesistenza di un etnia bt
precoloniale.
Se da un lato incontestabile affermare che oggi letnia
bt esiste, che la sua designazione e il suo territorio non co
stituiscono loggetto di alcuna ambiguit, non si pu essere
altrettanto certi per ci che concerne luniverso che precede
la colonizzazione francese, per quanto esso sia lontano. In
nanzitutto, letnonimo poco attendibile; le nostre ricerche,
condotte essenzialmente presso uno dei tre grandi gruppi che
compongono letnia bt6, chiamato comunemente bt di
Gagnoa, attestano il fatto che gli interessati ignoravano que
sta indicazione prima del periodo coloniale. Secondo loro il
termine bete proviene da unespressione corrente bete o be
te o, che letteralmente significa pace o perdono; gli ar
chivi lasciati dallamministrazione coloniale indicano ine
quivocabilmente che questa espressione fu pi volte utilizzata

I BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

89

dalle popolazioni locali durante la fase di pacificazione in


tensiva, e designa, a mo didentit, un gesto di conciliazio
ne o di sottomissione.
Al di l dei pareri, delle opinioni o delle interpretazioni
differenti sull'origine delPetnonimo7, una cosa appare certa:
i gruppi che compongono Fattuale regione bt non si rico
noscono in un'identit comune.
In effetti la nozione di "regione bt (pays bt), che
suppone lesistenza di un territorio chiaramente delimita
to, non possiede un corrispondente reale nella sfera pre
coloniale: questultimo, come vedremo, stato elaborato
nl quadro della conquista e della mise en valeur colonia
li. Per cogliere ununit sociologica che sia almeno un mi
nimo pertinente occorre infatti scendere al livello inferio
re a quello delletnia, vale a dire al livello di ci che vie
ne comunemente definito come la trib, A questa scala
si scopre non soltanto uno spazio coerente (alloccorrenza
un territorio e una rete di relazioni sociali intense) ma an
che un etnonimo; in tal senso i militari francesi non si so
no sbagliati: quando si trattato di affrontare le popola
zioni dette bt, le hanno denominate attraverso i nomi che
esse stesse si davano, essendo le trib di dimensioni varia
bili da poche unit fino a diverse decine. La coerenza in
terna di queste trib non significa che esse formassero de
gli insiemi autonomi, estranei lun laltro; sul piano del
lorganizzazione sociale, tutte presentavano gli stessi trat
ti fondamentali, precisamente una struttura patrilirieare di
lignaggio e segmentarla. Tuttavia, questa caratteristica
davvero troppo estesa per conferire unidentit allinsieme
di queste trib e per definire l'etnia bt, anche perch si
potrebbe applicare alla maggior parte delle popolazioni
dellOvest ivoriano (gouro, dan, wobe, gur, dida, gagou,
popolazioni di cui alcuni etnologi hanno contestato l'i
dentit etnica prima della colonizzazine)8.
D altronde, un tessuto di relazioni matrimoniali, eco
nomiche e commerciali9 organizzava altri spazi che anda
vano ben oltre il quadro tribale dal momento che non cor
rispondevano a unentit etnica. Anzi, tali relazioni diffe-

90

JEAN-PIERRE DOZON

renziavano i gruppi bt tra di loro e li avvicinavano alle


popolazioni vicine. Questi spazi comuni si distinguevano
sulla base di pratiche sociali, di istituzioni, di tratti lingui
stici, andavando a costituire una tale quantit di aree so
cioculturali che trovano poche corrispondenze con le di
visioni etniche che oggi sono in vigore. Un esempio tra tan
ti: presso i "bt di Gagnoa, tre trib coniugano la loro
organizzazione patrilineare con un sistema di matriclan.
Questo stesso sistema si ritrova presso i gruppi vicini gban
e dida; a questo si aggiunge il ruolo importante accordato,
sia presso gli uni che presso gli altri, alla caccia collettiva
con la grande rete (grand filet) e dunque lesistenza di una
stessa procedura didentificazione con questo strumento ci
negetico (la grande rete viene assimilata a un essere viven
te che incarna Tinsieme del gruppo di lignaggio e costitui
sce oggetto di una divisione tra frazioni quando intervie
ne il processo di segmentazione).
Al contrario, altri bt> in particolare i bt di Daloa stu
diati da Denise Paulme nel 1958 e pi di recente da Zunon
Gnobo (cfr. Paulme 1963; Gnobo 1980), ignorano listituzione matriclanica ma di contro hanno sviluppato unorga
nizzazione tribale e di lignaggio a sua volta pi strutturata (se
condo quanto attesta la nozione di digpe che designa tanto
il patriclan quanto la trib) e meno legata alle attivit cine
getiche.
In un altro ordine di idee, la questione delVorigine, al
la quale si spesso ricorsi per spiegare l'identit etnica,
non fornisce maggiori argomenti in favore dellesistenza di
unidentit bt precoloniale. Essa piuttosto rinforza ulte
riormente il punto di vista inverso. Le nostre ricerche, con
dotte principalmente nella regione di Gagnoa, e lesame de
gli archivi coloniali indicano che la storia del popolamento
singolarmente diversificata. Alcuni gruppi affermano di
provenire da nord, dalle zone di savana, altri da sud-ovest,
altri ancora da est e da sud-est. Una tale dispersione con
trasta curiosamente con la versione ufficiale che pretende
che tutti i bt sarebbero originari della Liberia. Questa te
si risale alle prime classificazioni realizzate da Delafosse

I BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

91

(1904) e Thomann (1901; 1903) su una base strettamente


linguistica. I bt costituirebbero uno dei rami del gruppo
eburneo-liberiano (denominato comunemente krou); il lo
ro centro di irradiazione sarebbe stato originariamente li
beriano e in seguito alle migrazioni essi si sarebbero instal
lati nel Centro-Ovest ivoriano. Ci troviamo dinanzi alPesempio tipico di una costruzione insieme intellettuale e am
ministrativa - dal momento che per il potere coloniale si
trattava di designare e classificare le popolazioni prima di
amministrarle e svilupparle - che non fa cenno alle sue
fonti dinformazione. Delafosse e Thomann parlano della regionebt, ma nei fatti, rispetto alle sue delimitazioni uffi
ciali attuali, la disconoscono del tutto; siamo nei primi an
ni del secolo (1901-1904) e la regione del Centro-Ovest
sar realmente colonizzata (o, secondo Fespressione colo
niale, pacificata) tra il 1907 e il 1912. Thomann risale il
fiume Sassandra (dalla citt di Sassandra fino a Seguela) e
fonda le stazioni militari di Soubr, Issia e Daloa, che per
non costituiscono che il perimetro occidentale dell'attuale
regione bt. Al momento della conquista coloniale pro
priamente detta, questa costruzione di Delafosse e Tho
mann porr seri problemi ai loro successori; scoprendo e pa
cificando quella regione bt (non senza qualche rovescio
militare)10, essi, nei loro rapporti, non cesseranno di reite
rare la loro totale ignoranza delle popolazioni che la abita
no e, convinti di tale lettura del reale, metteranno in evidenza
le differenze interne, di ordine fisiologico, linguistico o et
nologico, al punto di ricomporre lunit iniziale in molti
gruppi distinti, cos i bt propriamente detti collocati sul
lasse tracciato da Thomann: Soubr-Issia-Daloa, gli tsien del
Nord, gli yocolo, gli tsien del Sud.
Alcuni autori, fissando le prime monografie etnografi
che, talvolta sottolineeranno il carattere eterogeneo delle ori
gini: in questo modo gli yocolo (che attualmente formano una
delle numerose trib della regione bt, ma che in quel pe
riodo di conquista militare designavano un importante sot
togruppo) sarebbero dorigine malink. Peraltro, i bt di Gagnoa, chiamati nelle prime fasi della colonizzazione tsien del

92

JEAN-PIERRE DOZON

Sud, saranno distinti dai bt dell'Ovest, in particolare al li


vello dei tratti fisici e dalla vita materiale. Qualche anno pi
tardi un amministratore coloniale illuminato, Tauxier, a pro
posito dei bt osserver giudiziosamente:
Nessuna razza linguistica pi mescolata dal punto di vista an
tropologico. Nei fatti l si trova un gruppo di uomini di cui le
origini antropologiche sono diverse ma che sono stati acquisiti
allo stesso sistema linguistico (Tauxier 1935, p. 139)11.

Malgrado tali riserve, la tesi di un'origine comune verr


mantenuta; ma - fenomeno interessante - una seconda
versione, che giunge in qualche modo a smentire la prima,
situa il luogo primigenio non pi in Liberia ma in Costa
d'Avorio, esattamente nel Sud-Ovest forestale. Questa ver
sione stata recentemente proposta da Louhoy Tty Gauze (1969) che vede nei bt i discendenti di un gruppo ori
ginario chiamato magwe12. Sar necessario discutere il fon
damento positivo di tale tesi, ricercare le sue fonti, ma l'es
senziale per noi consiste nelTindividuare ci a cui essa con
tribuisce, cio il movimento delFetnicit, Senza voler gio
care d'anticipo rispetto a chiarimenti che verranno pi
avanti, si pu per sin da subito affermare che nello spo
stamento del sito primigenio dei bt dalla Liberia al SudOvest ivoriano, conservando inalterato il principio di un'i
dentit originaria, questa nuova versione effettua una dop
pia operazione: da una parte rimanda la prima tesi al pe
riodo coloniale e alle costruzioni assai poco consolidate de
gli amministratori coloniali, dallaltra essa costituisce so
prattutto una rivendicazione di autoctonia (sito ivoriano e
non liberiano) la cui comprensione paradossalmente ri
mane estranea ai riferimenti precoloniali. In effetti essa as
sume senso proprio nel quadro geopolitico ivoriano, nel
l'ambito delle pratiche di squalificazione, o meglio di esclu
sione, derivanti da un luogo che non osa dire il suo nome
(il potere politico), e allo stesso tempo si presenta come
un'impresa di valorizzazione e come un tentativo di inver
tire l'ordine di precedenza: le genti delTEst, gli akan, ven-

! BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

93

gono dal Ghana, mentre invece noi, bet, siamo originari


della Costa dAvorio. Dunque la questione dellorigine,
j*er quanto indefinibile, costituisce la pietra angolare del
la coscienza collettiva. Sotto questo aspetto vedremo il
molo particolare giocato dagli intellettuali in questo pro
cesso di cristallizzazione etnica.
In definitiva, se chiaro che la societ precoloniale rap
presenta uno dei momenti chiave delletnicit, il capitale
simbolico di un'identit etnica fondata in un passato imme
morabile, non si pu che ricondurre tale tentativo di rico
struzione di questa societ a questo movimento riflessivo; pi
semplicemente non si pu trasporre letnia e soprattutto il
sentimento di appartenere a una stessa comunit nel riferi
mento precoloniale. Dare conto di questo riferimento esige
una rottura metodologica, labbandono del soggetto, per
come esso attualmente si lascia comprendere; nello spazio li
mitato di questo testo non possiamo definire pi positivamente e dettagliatamente i compiti di un tale programma; in
dichiamo semplicemente che la rottura in questione richie
de un vero spaesamento, ovvero una decostruzione del
loggetto predeterminato, in questo caso i bt, attraverso
unapertura sulle popolazioni vicine. procedendo in que
sta direzione, nellelaborare nuovi spazi sociali, attraverso
Tindividuazione di tratti socioculturali comuni a gruppi og
gi differenziati etnicamente, o meglio con lidentificazione di
interessi economici complementari, che si potr fornire
unimmagine della societ precoloniale pi conforme a ci
che essa realmente fu, e in particolare restituirgli tutta la sua
dimensione storica (storia del popolamento, formazione dei
gruppi tribali, ruolo ed evoluzione degli scambi nellelabo
razione di questi spazi sociali). Di conseguenza resta da spie
gare come si effettivamente formata letnia bt, e da iden
tificare la serie delle determinazioni che lhanno condotta a
occupare una posizione unica sulla scena sociopolitica ivoriana.
Letnonimo "bt deriva dalle classificazioni linguisti
che di Thomann e Delafosse, ma allo stesso tempo si se
gnalato che nella fase di conquista e pacificazione, che si

94

JEAN-PIERRE DOZON

protratta per cinque anni dal 1907 al 1912, i responsabili


militari, quasi a loro insaputa, mettono in discussione il va
lore generale del designativo; essi affermano non solo che
la scoperta della regione bt non si appoggia su alcuna co
noscenza anteriore, ma che peraltro questa regione po
polata da gruppi distinti che meritano ciascuno un voca
bolo specifico. Ci nonostante, dopo questo periodo di
instabilit, ovvero intorno agli anno Venti, letnonimo de
signa senza ambiguit la regione bt. Cosa accaduto nel
frattempo? Molteplici fattori hanno contribuito alla for
mazione e allintegrazione effettiva della regione bt. In
nanzitutto, dallinizio dellinstaurazione del sistema colo
niale francese, e anche prima che fosse intrapresa una po
litica di pacificazione, linsieme bt, sotto la responsabi
lit di Thomann (Comandante del cercle), parte integrante
della circoscrizione di Sassandra {circoscrizione cui limi
ti non subiscono cambiamenti tra il 1896 e il 1908); esat
tamente in questo quadro amministrativo che venne con
cepito e realizzato il primo grande tracciato stradale della
regione bt, precisamente lasse Soubr-Issia-Daloa. In se
guito, al momento delle grandi operazioni militari (19081912), venne creata una quarta stazione, quella di Gagnoa.
Al termine di queste operazioni (il cui bilancio si chiuso
non solo con il disarmo generalizzato delle popolazioni
ma anche con numerosi morti e feriti, e con la distruzione
di gran parte dellhabitat tradizionale), la regione bt in
teramente pacificata ma soprattutto forma un insieme coe
rente, che ha pressappoco la forma di un triangolo le cui
estremit rappresentano le tre stazioni di Soubr-DaloaGagnoa, collegate tra di loro da tre strade: Gagnoa-Soubr,
Soubr-Daloa, Daloa-Gagnoa. Occorre segnalare che que
sto spazio, in seguito a una riforma intervenuta nel 1908,
non ha subito unevoluzione omogenea sul piano ammini
strativo: Soubr e i suoi immediati dintorni vennero ri
compresi nella circoscrizione del Basso Sassandra, e il re
sto dellarea bt nella circoscrizione dellAlto Sassandra.
Tuttavia - e questo costituisce un punto essenziale nel no
stro discorso - il dispositivo delle infrastrutture stradali ha

BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

9S

creato le condizioni di ci che negli anni Venti le autorit


coloniali hanno definito un grande spazio economico na
turale , ovvero il bacino del Sassandra.
A noi dunque appare che per comprendere il processo et
nico occorra preliminarmente comprendere la nozione di
""pays, che integralmente compresa allinterno delle prati
che militari e amministrative dei colonizzatori francesi. Nel
la loro visione generale, si tratta di creare un nuovo spazio che
sia agevolmente controllabile e che consenta di portare a ter
mine la mise en valeur economica. questo il motivo per cui
tale nozione viene in larga parte elaborata su una tabula ra
sa. Intere parti delluniverso precoloniale spariscono o sfu
mano progressivamente: le attivit legate alla caccia e alla
guerra, lorganizzazione degli scambi e delle comunicazioni
intertribali, le forme di mobilit residenziale Sotto questo
aspetto, occorre disfarsi di una rappresentazione che fissa nel
le sue tradizioni la societ precoloniale: i numerosi conflitti
tra villaggi, la vocazione segmentaria della struttura sociale
gli conferiscono un carattere instabile. In seguito, il disposi
tivo coloniale mette fine a questo genere di pratiche e inte
gra le popolazioni locali in uno spazio precedentemente de
terminato; lhabitat in gran parte distrutto (dai militari o dal
le popolazioni stesse) viene riorganizzato dautorit lungo gli
assi stradali o in loro prossimit. La nozione geografica di pays
d dunque il nome a questo nuovo corso imposto manu mi
litari ai colonizzati e annuncia, future trasformazioni socioe
conomiche; lobbligo di pagamento dellimposta, di coltiva
zione e vendita di alcuni prodotti (cola, caucci) per la sua
riscossione, il lavoro forzato destinato alla sistemazione di in
frastrutture sono altrettanti elementi che insieme richiedono
e giustificano il controllo dello spazio e dellhabitat.
Durante questa prima fase di colonizzazione (X913-1925,
corrispondente allinstaurazione del dispositivo coloniale) la
regione bt si costituisce dal punto di vista pratico. Ma a
questo si aggiunge un dato supplementare che d il via al pro
cesso etnico propriamente detto.
Questo dispositivo coloniale si scontra con molteplici
forme di resistenza: con il rifiuto di pagare limposta, con

96

JEAN-PIERRE DOZON

una debole partecipazione delle popolazioni ai primi pro


getti di valorizzazione (operazione caucci); ma soprattut
to il lavoro forzato e l'arruolamento per la grande guerra eu
ropea provocano numerose defezioni, che coinvolgono prin
cipalmente giovani uomini e hanno come destinazione la
Basse-Cte10.Questa regione della Costa d Avorio, che nel
la seconda met del XIX secolo (dunque prima della crea
zione della colonia) costitu la zona di appoggio della pe
netrazione francese (ma dove gli inglesi possedevano degli
scali commerciali), costituisce un polo dattrazione in par
ticolare per la presenza dei pi importanti centri urbani del
la colonia: Grand-Lahou, Bassam e Bingerville (queste ul
time due avendo svolto in successione il ruolo di capitali del
la colonia prima di Abdjan). Questa primissima ondata di
esodo rurale essenziale per la comprensione del processo
etnico: da una parte, essa pone in contatto il pays bt con
i poli dominanti della colonia ivoriana e inaugura un mo
vimento migratorio e di salariati verso la citt, che si am
plificher nel corso dei decenni successivi; dalPaltra, que
sto rapporto con la societ globale sinstaura sotto il segno
dellineguaglianza. La regione bt non si integra nel siste
ma coloniale che tardivamente: quando terminano le ope
razioni militari, nel 1912-1913, questo uno degli ultimi ter
ritori a essere pacificato, tanto che i giovani migranti che
s'installano nella Basse-Cote scoprono una regione in cui la
colonizzazione ha gi largamente avviato la sua opera, do
ve si elaborata una vita amministrativa ed economica in
cui i rapporti tra colonizzatori e colonizzati non sono im
prontati alla semplice sottomissione, ma seguono unevo
luzione pi complessa; uneconomia di piantagione essen
zialmente indigena, fondata sul caff e sul cacao, si svi
luppa nel Sud-Est (ovvero in prossimit della Basse-Cote),
il commercio africano attivo e, soprattutto, numerosi po
sti di comando, di controllo, sono occupati non pi da fran
cesi quanto piuttosto da ivoriani. In breve, questi giovani
si trovano di fronte a una realt che gli assegna automati
camente la posizione pi bassa della scala sociale e li con
fina nel ruolo di manodopera o di subalterni.

1BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

97

su queste basi che si definiscono i primi rudimenti di


Tono stereotipo e di una coscienza etnici. I rapporti coloniali
dellepoca sotto questo profilo risultano eloquenti; essi espli
citamente fanno riferimento a "questi giovani bt dal tem
peramento turbolento e instabile che non arrivano a stabi
lizzarsi in un impiego.
In questo modo, la Basse-Cote e pi in generale il Sud-Est
si presentano rispettivamente come un polo in cui esiste un
mercato del lavoro e come il luogo in cui si riassume la sto
ria recente della colonia. I rapporti sociali cristallizzano dei
riferimenti etnici, poich la colonizzazione ha generato del
le disuguaglianze specifiche tra regioni; cos alcune popola
zioni collaborano da subito allimpresa coloniale, mentre al
tre sono a malapena pacificate. Cos essere manodopera si
gnifica allo stesso tempo essere bt, dal momento che la si
tuazione oggettiva (proletariato instabile) di questi giovani mi
granti si identifica con lo scarto differenziale tra il loro con
testo di origine e le zone di attrazione della colonia ivoriana.
Precisiamo che lespressione giovani bt nei rapporti am
ministrativi assume un senso assolutamente estensivo e desi
gna indistintamente gli originari di unampia regione com
presa tra Sassandra e Daloa, equivalente pressappoco allan
tica circoscrizione di Sassandra. Senza dubbio nella BasseCote che il vocabolo divenuto di uso corrente, ovvero emer
ge dallambiente rurale (ilpays recentemente pacificato), per
essere utilizzato tanto dagli interessati che dalle altre popo
lazioni ivoriane. Oltre a queste premesse di una coscienza col
lettiva fuori dal pays bt, il movimento etnico si sviluppa
ugualmente in ambiente rurale. In effetti il grande rag
gruppamento economico naturale annunciato dagli ammi
nistratori si realizza progressivamente a partire dagli anni
1925-1930; in questo periodo prende forma uneconomia di
piantagione fondata su due coltivazioni arbustive, il caff e
il cacao, la cui dinamica particolare dar vita qualche de
cennio pi tardi a quella che si convenuto definire come una
ideologia di autoctonia. Ma prima di studiare questo aspet
to essenziale delTetnicit bt esaminiamo pi in dettaglio la
genesi e i principali tratti strutturali di questa economia.

98

JEAN-PIERRE DOZON

Un elemento principale domina lo sviluppo delleco


nomia di piantagione nella regione bt e pi in generale
nel Centro-Ovest ivoriano: a differenza di altre regioni del
la colonia, come il Sud-Est, in cui lo sfruttamento delle cul
ture perenni, dalPinizio del secolo, in sostanza preso in
carico dalle popolazioni autoctone14, la valorizzazione di
questa zona deliberatamente concepita come unimpre
sa di colonizzazione agricola. In effetti dagli anni Venti
qui si installano numerosi coloni europei che si perimetrano
importanti piantagioni, spesso di diverse centinaia di etta
ri ciascuna. Ma soprattutto, grazie allincoraggiamento del
lamministrazione, questo diviene uno dei pi importanti
poli dellimmigrazione africana: in una prima fase si tratta
di vecchi fucilieri delle truppe coloniali e di commercian
ti malink che popolano i posti (e diventano anche i prin
cipali agenti deUurbanizzazione nel pays bt, gagnoa, daloa ecc.), in seguito di popolazioni attratte dalla possibilit
di reddito che offre la produzione del cacao (fino al 1935
viene coltivato solo il cacao, poi si aggiunger il caff, che
ben presto scalzer il primato del cacao). Queste popola
zioni sono diverse per origine: molti provengono dalla sa
vana ivoriana (malink-senufo) e dalle colonie sudanesi li
mitrofe (maliani-voltaici), altri dal Centro-Est ivoriano,
dall'imponente regione baul, che nel corso degli anni non
cesser di aumentare il suo contingente di migranti verso
la regione bt. Sebbene linsediamento degli stranieri nel
la regione abbia svolto il ruolo principale per lavvio del
leconomia di piantagione, le popolazioni autoctone non re
stano ai margini della sua espansione. Il processo si ef
fettivamente sviluppato in due tempi. In un primo mo
mento le popolazioni resistono allamministrazione che
pretende di obbligarle a coltivare il cacao su campi collet
tivi; in seguito, agli inizi degli anni Trenta, esse si dedica
no progressivamente allo sfruttamento del caff in picco
le piantagioni rigorosamente individuali, che in seguito di
versificano con la coltivazione del cacao. La ragione di ta
le disposizione, che gli amministratori dellepoca inter
pretarono in termini di infatuazione, attiene interamente al

I BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

99

l'instaurazione, intorno agli anni 1930-1940, di un sistema


socioeconomico originale e largamente autonomo: originale
oel senso che si sviluppa nella regione bt e in tutto il "ba
cino del Sassandra sulla base di relazioni di complemen
tariet tra autoctoni e allogeni; autonomo nella misura in
cui il contenuto di queste relazioni, e pi in generale la di
namica delleconomia di piantagione, sfugge (anche se es
sa ne stata Piniziatrice) al controllo dellamministrazio
ne coloniale15.
La complementariet tra autoctoni e alloctoni deriva
principalmente da due tipi di relazioni. Da una parte un rap
porto di lavoro: i migranti, in primo luogo i malink e i vol
taici? simpiegano presso i bt e in questo modo prendono
parte allo sviluppo di uneconomia di piantagione autocto
na. Dallaltra, una relazione fondiaria, che fondamentale
dal momento che condiziona la prima. Per fissare questo vo
lano di manodopera, ovvero per rispondere favorevolmen
te alle aspirazioni dei migranti, il cui obiettivo non quello
di vendere per lungo tempo la loro forza lavoro ma piutto
sto di accedere alla propriet della terra, gli autoctoni cedono
alcuni appezzamenti di foresta agli stranieri: in un primo
tempo per permettere loro di assicurarsi la sussistenza, do
po per consentirgli laccesso al mercato delle coltivazioni arboricole. Questultimo punto merita alcune precisazioni dal
momento che al cuore della dinamica specifica del siste
ma socioeconomico locale, della flessione progressiva delle
relazioni tra autoctoni e alloctoni in direzioni concorrenziali
o meglio antagonistiche.
In effetti, la possibilit offerta agli stranieri di dedicar
si alle culture perenni senza dubbio la contropartita ob
bligata dei rapporti di lavoro contrattati altrove, ma an
che per gli autoctoni una maniera privilegiata per realizzare,
parallelamente alla commercializzazione del caff e del ca
cao, una seconda fonte di reddito. Senza esaminare in det
taglio i motivi soggiacenti al massiccio movimento di alie
nazione della propriet fondiaria, si terr a mente sempli
cemente che la metamorfosi dalla terra in merce segue un
processo analogo a quello dei cambiamenti sociali che so

IOO

JEAN PIERRE DOZON

praggiungono nel quadro deireconomia di mercato. Visto


che, generalizzandosi, tale economia implica unindivi
dualizzazione, ovvero uno spostamento della struttura so
ciale fondata sullunit dei lignaggi nella direzione della fa
miglia nucleare, anche le vendite delle terre si realizzano al
l'interno di un contesto di relazioni strettamente interin
dividuali e cambiano ogni volta, a seconda dei bisogni mo
netari degli uni (gli autoctoni) e la domanda fondiaria de
gli altri (gli alloctoni).
In altri termini, la vendita rappresenta una delle forme del
processo di individuazione o piuttosto, di fatto, realizza il mo
vimento dellappropriazione privata. Dal momento che il re
gime fondiario precedente era fondato sul semplice diritto di
uso, essa dimostra agli occhi di tutti e nellistante stesso del
suo compimento l'accesso di ciascuno alla propriet. Certa
mente si constata che un buon numero di alienazioni si con
centrano in poche mani, quelle dei primogeniti che, facendo
uso del loro tradizionale potere di distribuzione16, trasfor
mano questo stesso potere in capacit di vendita; ma, alme
no virtualmente, ogni coltivatore in grado di vendere una
parte di terra che si ritiene gli spetti.
Prima di prendere in esame gli effetti di questa logica par
ticolare di cessioni della terra sullevoluzione dei rapporti tra
autoctoni e alloctoni, opportuno far notare le caratteristi
che principali del sistema socioeconomico locale.
Innescato sin dagli inizi della colonizzazione, questo mo
vimento di immigrazione prende progressivamente ad am
pliarsi nel corso dei decenni che seguono, in particolare du
rante il periodo 1950-1960 (periodo in cui le valutazioni del
caff e del cacao sono particolarmente elevate, e che peral
tro corrisponde - in seguito allabolizione del lavoro forza
to17- allarrivo sul mercato del lavoro agricolo di unabbon
dante manodopera), in cui si moltiplicano gli insediamenti di
dioula, voltaici e soprattutto di baoul.
Il paesaggio etnico del Centro-Ovest si ricompone dun
que interamente; i territori di insediamento originario, di
villaggio, formano oramai degli insiemi compositi in cui le
piantagioni bt e le piantagioni alloctone si mescolano; lha

I BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

IOI

bitat stesso trasfigurato: ai toponimi autoctoni si aggiungono


quelli delle localit di residenza dioula o baul. In alcuni
luoghi, in particolare nei villaggi situati in prossimit delle
citt, nel corso degli anni le popolazioni bt sono divenute
minoritarie.
Basandosi fondamentalmente sulla facilit di accesso al
la terra, il sistema socioeconomico locale genera coltivazio
ni di piccole dimensioni, nell'ordine di tre o quattro ettari in
media. Di questo si possono fornire diverse spiegazioni.
Per quanto riguarda gli autoctoni* l'espansione dell'e
conomia di piantagione corrisponde alla scomposizione dei
patrilignaggi e a un movimento di individualizzazione che
si traducono nella mancata riproduzione dei rapporti di di
pendenza tra primogeniti e cadetti. Ogni agricoltore bt di
viene dunque responsabile della sua unit di produzione ma
non dispone che di pochi attivi18 per metterla in valore (fat
ta eccezione per i notabili nominati dairamministrazione co
loniale che beneficiano delle requisizioni di manodopera).
questo il motivo per cui fa appello alla manodopera "stra
niera" per svolgere alcune mansioni della coltivazione, in
particolare per la manutenzione delle piantagioni. Ma dal
momento che l'insediamento di questa manodopera di
pende dalle possibilit di accesso alla terra, egli spinto a
limitare le sue stesse piantagioni cos da potergli concede
re qualche appezzamento di foresta.
Le cessioni e le alienazioni fondiarie si realizzano a poco
a poco e sulla base di piccole superfici. L'economia di pian
tagione alloctona a grandi linee la replica della sua omolo
ga autoctona.
Tuttavia, la media delle estensioni coltivate dai migranti
sensibilmente superiore a quella delle piantagioni bt;
mentre quest'ultima si aggira intorno ai tre ettari, l'altra su
pera i quattro ettari. Pur senza essere rilevante, un tale scar
to denota una disuguaglianza tra autoctoni e alloctoni.
Questi ultimi hanno due vantaggi strategici. Da una par
te possono diversificare le loro acquisizioni fondiarie; ac
quistare una parcella da un autoctono, una seconda da un
altro e cos via (globalmente l'occupazione alloctona si pr-

102

JEAN-PIERRE DOZON

duce a partire da due o pi territori bt); dallaltra di


spongono di una manodopera - in particolare familiare pi numerosa.
Questo scarto molto probabilmente non avrebbe avu
to gravi conseguenze se il sistema si fosse stabilizzato, va
le a dire se l'immigrazione straniera e lofferta di terra au
toctona fossero progressivamente diminuite. Nulla di ci
accaduto, piuttosto il contrario. Le ondate migratorie
continuano a succedersi nel decennio che fa seguito alle in
dipendenze, periodo durante il quale sempre pi massic
ciamente sinstallano degli originari della regione baoul.
Limmigrazione di genti dellEst presenta delle caratteri
stiche assolutamente specifiche. A differenza dei dioula e
dei voltaici, i migranti baoul non stabiliscono rapporti di
lavoro con gli autoctoni; la loro unica strategia consiste nellacquisire terra (sia attraverso un semplice acquisto, sia of
frendo diversi regali) e nello stabilirvi il proprio habitat, il
proprio spazio per le coltivazioni allinterno dei territori
dinsediamento autoctono. Questa strategia senza dub
bio incoraggiata dai bt, che cedono le proprie terre ab
bastanza facilmente, ma soprattutto beneficia dellappog
gio delle autorit, tanto coloniali quanto ivoriane; i nume
rosi conflitti emersi dalla cessione delle terre abusive o di
dubbia attribuzione sono quasi sempre regolati a favore dei
migranti: allindipendenza, la parola dordine del governo
la terra spetta a chi la coltiva ratifica la dinamica migra
toria, interrompe bruscamente di fatto ogni ricorso ai di
ritti fondiari tradizionali.
Peraltro, gli agricoltori baoul nel loro insieme si di
spongono al vertice della stratificazione socioeconomica lo
cale; le loro coltivazioni hanno unestensione media di sei et
tari. Una dimensione che si spiega con il fatto che essi spes
so costituiscono dei gruppi di mutua assistenza e controlla
no una rete di manodopera autonoma di origine baoul (dei
giovani baoul in particolare vengono impiegati sei mesi o un
anno per il mantenimento delle piantagioni).
In ultima analisi, quella che nella fase ascendente del
leconomia locale di piantagione apparsa come una com

I BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

103

plementariet funzionale 19 tra autoctoni e alloctoni si


progressivamente trasformata in un rapporto concorren
ziale. Pi precisamente, limmigrazione straniera si con
cretizzata attraverso un movimento di colonizzazione agri
cola il cui controllo sfuggito alle popolazioni bt. La
moltiplicazione incontrollata delle vendite delle terre ha ge
nerato due difficolt principali, mettendo in crisi la ripro
duzione delleconomia di piantagione autoctona. Da una
parte le alienazioni fondiarie hanno comportato una forte
pressione sulla terra e in alcuni casi hanno trovato sbocco
in una vera saturazione dei territori (la quale, a sua volta,
ha provocato un invecchiamento delle piantagioni e una de
gradazione dei suoli). Dallaltra i migranti, divenendo pro
prietari di piantagione, non soltanto per la maggior parte
smettono di lavorare nelle aree coltivate autoctone, ma
inoltre si accaparrano per loro conto buona parte delle
manodopera disponibile. Tutto questo determina una ra
refazione della forza di lavoro e di conseguenza una situa
zione concorrenziale, addirittura conflittuale, tra i diversi
gruppi. In questo quadro gli alloctoni hanno conquistato
una posizione di vantaggio nella misura in cui controllano,
spesso per una semplice affinit dorigine, le reti della ma
nodopera dioula, voltaica e baoul. In questo modo lo
scarto tra autoctoni e alloctoni tende ad accrescersi, e non
tanto in ragione di una differenza in termini di superfici
coltivate, quanto in rapporto ai rendimenti ottenuti, ossia
alla quantit di prodotti raccolti, dal momento che gli al
loctoni, grazie alla loro manodopera, realizzano i migliori
raccolti.
aUintemo di questo contesto di rarefazione dei fattori
di produzione che presso i bt progressivamente emersa
quella che noi abbiamo designato come ideologia di autoc
tona. La vendita delle terre, dal momento in cui giunge a
determinare una pressione fondiaria, quando non consente
pi di stabilizzare la manodopera, viene in qualche modo ri
mossa velocemente dalla coscienza collettiva; la presenza di
stranieri nella regione ora vissuta come una vera coloniz
zazione, e il riferimento ai diritti fondiari tradizionali, alla pre

104

JEAN-PIERRE DOZON

senza autoctona, diventa il punto centrale della rivendica


zione etnica; meglio ancora, questa ideologia diviene uno
degli elementi costitutivi delTetnicit bt.
Attraverso questa analisi della formazione e dell'evolu
zione del sistema socioeconomico locale, noi non abbiamo
esaurito Panalisi della serie delle determinazioni che hanno
contribuito alPelaborazione della suddetta etnicit, dal mo
mento che su questo sfondo di economia di piantagione si
sono innestati degli altri elementi che da una parte possono
essere considerati come la conseguenza delle contraddizio
ni di interessi che hanno progressivamente minato questa
economia, ma che per altri aspetti derivano da processi in
dipendenti.
Il primo elemento concerne rapporti tra il mondo rura
le e il mondo urbano. Cos come abbiamo posto in eviden
za, dalla fine della conquista militare e durante Pinstaurazione
del dispositivo coloniale, numerosi originari bt, giovani in
particolare, si installano nella Basse-Cote e costituiscono uno
dei nuclei importanti della manodopera dei cantieri in area
urbana, A dispetto dello sviluppo di uneconomia di pianta
gione autoctona, questo esodo rurale prosegue e si amplifi
ca; con maggiore esattezza esso cresce fino alla fine degli an
ni Quaranta, quindi conosce una fase di ripiegamento e din
versione nel decennio 1950-1960 (periodo che fa seguito al
labolizione del lavoro forzato e che copre una fase privile
giata di quotazioni elevate del caff e del cacao), infine ri
prende nuovo vigore a partire dallindipendenza: la degra
dazione delle condizioni di sfruttamento dei territori di vil
laggio, e soprattutto una strategia di scolarizzazione massic
cia conferiscono a questemigrazione un carattere che sem
brerebbe definitivo.
In qualche modo questo esodo rurale, che non ha smes
so di seguire la stessa direzione, Passe regione bt-Basse C
te (e pi precisamente Passe pays bt - Abidjan), ha con
sentito di ritardare una crisi pi acuta delleconomia di pian
tagione autoctona.
Si stima che attualmente il 45 % della popolazione bt vi
va in citt e occupi essenzialmente il settore del lavoro sala-

1 BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

105

ciato. Una percentuale tanto rilevante di cittadini che mette


m evidenza una netta separazione tra la regione e letnia bt
in linea di principio dovrebbe smorzare i richiami etnici; la
citt {e soprattutto la capitale ivoriana) parrebbe il luogo
ideale delle ibridazioni socioculturali in cui emergono nuo
vi rapporti sociali, per esempio nel quadro del quartiere e del
lambiente di lavoro. Nel caso in questione non possibile
sostenere un ragionamento simile: al contrario, lesistenza di
un importante polo urbano costituisce un fattore essenziale
per lelaborazione di una coscienza collettiva bt. Da que
sto punto di vista molti dati devono essere presi in conside
razione.
Innanzitutto fino a un periodo ancora recente (allincirca gli anni Sessanta, prima che leconomia di piantagione co
noscesse gravi difficolt e prima che gli agricoltori bt in
traprendessero una strategia di scolarizzazione), lesodo ru
rale non ha sempre trovato sbocco in un insediamento urbano
definitivo. Dopo avere lavorato molti anni nella Basse Cte
numerosi migranti sono ritornati nella regione a costo di ten
tare un nuovo reinserimento urbano un po pi tardi; cos du
rante tutto il periodo coloniale si assiste a un andirivieni con
tinuo tra la citt e la campagna, tra i poli di attrazione della
societ ivoriana e lambiente dorigine. Questa oscillazione co
stituisce secondo il nostro punto di vista un momento im
portante della formazione etnica, dal momento che, esten
dendo lorizzonte della regione bt, in particolare stabilen
do dei collegamenti tra la condizione di agricoltore e quella
di salariato, forgia i contorni di una societ civile allinter
no della societ globale ivoriana.
In secondo luogo lemigrazione, che ha assunto un ca
rattere pi definitivo Ritorno agli anni Sessanta, non ha per
questo creato una rottura tra lambiente rurale e luniverso
cittadino. Ogni villaggio bt affiancato da ci che si pu
definire un doppio urbano, cio dallesistenza in citt (so
prattutto ad Abidjan) di associazioni di originari, destinate
ai cittadini che trovano nei legami di villaggio un mezzo im
mediato per risolvere alcuni dei loro problemi (finanziari in effetti si tratta spesso di gruppi a carattere mutualistico

io 6

JEAN-PIERKE DOZON

-, lavorativi, ecc.), ma la cui la funzione oltrepassa questo


quadro strettamente urbano per applicarsi di ritorno al po
lo rurale. In effetti, questi raggruppamenti di originari as
sumono spesso un ruolo attivo nella vita dei villaggi, ridi
stribuendovi una quota importante delle loro risorse salariali,
e si impegnano direttamente nelle imprese di modernizza
zione (habitat, rete stradale ecc.): Oggi non si pu com
prendere Pambiente del villaggio (Dozon 198la) senza in
tegrarvi questi assenti . Meglio ancora, assumendo come
dato la crisi attuale delleconomia di piantagione autoctona
questo ambiente di villaggio si definisce sempre di meno at
traverso le sue attivit arboricole e tende a identificarsi con
l'universo urbano e salariale.
Da questo punto di vista, su scala regionale si osserva
una differenziazione tra villaggi (che si traduce in rivalit e
sfide che intervengono in momenti particolari della vita so
ciale, come i funerali) dovuta al peso ineguale dei doppi cit
tadini: alcuni non hanno che degli operai e degli impiegati
mentre invece altri vantano ugualmente dei quadri e dei rap
presentanti delle professioni liberali.
Malgrado il loro interesse, questi indicatori sono insuf
ficienti per la nostra argomentazione; essi sono rispettiva
mente troppo particolari (ogni villaggio rinviato al suo
doppio urbano) e troppo generali (la maggior parte dei vil
laggi ivoriani pu essere definita a partire da questi ele
menti). Essi assumono tuttavia un valore reale se si aggiun
ge un dato importante: spesso queste associazioni o alcuni
dei loro membri (quadri, intellettuali) non si accontentano
di orientare i destini molto specifici del loro villaggio di ori
gine ma, dinanzi alla degradazione delleconomia di pianta
gione, assumono il ruolo di detentori di una coscienza pi
globale dei problemi regionali; pi esattamente, le difficolt
proprie al loro villaggio di origine non sono che Pillustra
zione locale di una crisi che concerne Pinsieme della regio
ne bt, anzi Pinsieme delTOvest ivoriano. Talvolta, del re
sto, essi si scontrano con un ambiente di villaggio che mal
grado (o causa di) questa difficolt continua a cedere le sue
terre. Cos la disuguaglianza tendenziale tra agricoltori bt

BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

107

e agricoltori alloctoni chiaramente messa in evidenza o ad


dirittura amplificata attraverso coloro che sono fuori dal si
stema socio-economico locale.
In questa prospettiva Tideologia dautoctonia in prece
denza evocata una questione tanto dei cittadini (e in parti
colare degli intellettuali) quanto dei rurali. Attraverso la lo
ro intermediazione essa si deforma in coscienza etnica; non
si tratta solo di ridare vita ai diritti fondiari ancestrali ma, alPinterno di un tale contesto di colonizzazione agricola, di va
lorizzare Pinsieme della societ autoctona (ossia le sue rego
le, i suoi valori ecc,). Lideologia dellautoctonia si accompa
gna cos a unideologia tradizionalista.
Tuttavia non si potrebbe rendere veramente conto del
problema bt senza prendere in esame Pultima dimensione,
dal momento che il ruolo dei cittadini, in particolare degli in
tellettuali, non si gioca solo sulla scena rurale, ma anche sul
la scena propriamente politica, in cui Pinsieme dei fattori che
favoriscono Pespressione etnica {mise en valeur colonialerapporti autoctoni/alloctoni) si cristallizza in una sorta di
opposizione al potere dello Stato ivoriano.
Per collocare la scena ritorniamo per un attimo indie
tro, esattamente alla fine degli anni Quaranta. In quel mo
mento storico il potere coloniale si liberalizza: vengono
autorizzate le attivit sindacali e politiche, e quasi nello stes
so momento nascono il sindacato dei coltivatori (1944) e
Prda (sezione ivoriana creata nel 1946). Alla testa di que
sti due apparati un unico leader, quello che diverr il pre
sidente: Flix Houphot-Boigny. Molto rapidamente (in
quanto deputato all'Assemblea Nazionale) egli ottiene sod
disfazione in merito a una delle rivendicazioni principali del
sindacato degli agricoltori, ovvero Pabolizione del lavoro
forzato (1947). ,
Se, negli anni che seguono, PRDA si afferma incontesta
bilmente come il partito dominante, rappresentando, mal
grado qualche riallineamento20, un certo radicalismo (riven
dicazione indipendentista), numerosi partiti emergono nel de
cennio che precede Pindipendenza, in particolare un movi
mento politico importante, PMSA (Movimento Socialista Afri

io 8

JEAN-PIERRE DOZON

cano), affiliato alla SFIO. Sebbene apparisse pi riformista e


moderato dellBDA (la sua posizione era assimilazionista e
non indipendentista), questo partito attira numerosi simpa
tizzanti, specialmente nellOvest ivoriano e in una delle gran
di province della regione bt, quella di Gagnoa.
La rivalit, divenuta in seguito antagonismo, tra i due
movimenti deriva da uno schema conosciuto: gli apparati
politici diretti dalle prime lite africane trovano sponta
neamente la loro base sociale e la loro legittimit presso le
popolazioni di cui i leader sono originari ( quello che si de
finisce comunemente clientelismo); in questo modo
Houphot-Boigny reclutava i suoi seguaci nelletnia baoul,
e il leader dellMSA, in questo caso Dignan Bailly (origina
rio di Gagnoa), tra i bt. In realt le cose sono pi com
plesse; invece di spiegare le poste politiche in gioco in fun
zione delle appartenenze etniche, a noi sembra pi giusto
analizzare queste appartenenze, o piuttosto questi rag
gruppamenti, come lespressione politica di rapporti so
ciali che si sono elaborati tanto su scala locale quanto a li
vello di territorio nazionale.
Prima di sostenere questa affermazione, diamo alcuni ri
ferimenti storici.
Nel 1956 il risultato delle elezioni municipali testimonia
del forte radicamento dellMSA nel Centro-Ovest dal mo
mento che la lista di Dignan Bailly ha la meglio su quella dellKDA. Lanno seguente hanno luogo le elezioni per lassem
blea territoriale; durante la campagna elettorale, la rivalit
tra MSA e BDA provoca numerosi incidenti; il pi importan
te si verifica nella regione di Gagnoa: mentre una carovana
condotta dal deputato uscente di Daloa (M. Diarrassouba)
si appresta a compiere una campagna elettorale, alcuni abi
tanti dei villaggi, non lontano dalla citt, gli tendono una ve
ra imboscata. Lassalto causa due morti (tra cui Diarrassou
ba) e molti feriti.
Il risultato dello scrutinio nel maggio 1957 attribuisce
la vittoria allRDA. Tuttavia la validit dellelezione con
testata: l MSA ritiene che le cifre siano state truccate e che
la vittoria avrebbe dovuto ritornare ai socialisti di Dignan

I BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

IO9

Bailly. Questo avvenimento, che dimostra lampiezza del


le ostilit che hanno contrapposto i due movimenti, meri
ta un breve esame.
Innanzitutto, lanalisi in termini di opposizione etnica de
ve essere fortemente attenuata, dal momento che se si conta
una maggioranza di alloctoni nei ranghi dellRDA, vi si enu
merano anche degli autoctoni, in particolare dei notabili (ca
pi amministrativi). Allo stesso modo, nellMSAsi trovano sen
za dubbio numerosi bt ma anche migranti dioula.
Come ha ben dimostrato Raulin (1957), che in quellepoca
si dedicava allo studio dei problemi fondiari nella regione,
lopposizione dei due movimenti riposa essenzialmente su
una separazione tra una classe di piccoli proprietari agricoli
e una sorta di borghesia locale, formata da grandi proprie
tari di piantagioni (per la maggior parte stranieri: dioula,
baoul, dahomeiani)21, di notabili, di commercianti e di trasprtatori, in breve tutti coloro i quali gravitano attorno agli
affari lucrativi della regione, formando in questo modo del
le vere e proprie lobby.
11 programma di Dignan Bailly pone in evidenza la realt
socioeconomica locale. In effetti, vi figura lesigenza di re
golare le ondate migratorie e le cessioni delle terre. La pre
senza alloctona in quanto tale non viene rigettata (il bisogno
di manodopera al contrario viene affermato), ma viene de
nunciato il processo attraverso il quale essa instaura pro
gressivamente una rapporto diseguale tra autoctoni e aloctoni che conduce gli uni allimpoverimento e permette agli
altri una eventuale accumulazione.
In questo contesto, il rigetto dellBDA riguarda essenzial
mente la sua base sociale (e non precisamente la sua scelta in
dipendentista), ovvero la matrice economicamente domi
nante sulla quale si appoggia. Del resto non si saprebbe com
prendere questa percezione locale dellBDA senza cogliere la
dimensione pi globale, visto che, reclutando essenzialmen
te tra i personaggi influenti e i gruppi di pressione della re
gione, il PDCl-RDA rinforza la rappresentazione pi generale
che gli viene assegnata. Come si detto, questo movimento
politico (sebbene avesse una vocazione panafricana), in Co

no

JEAN-PIERRE DOZON

sta dAvorio, organicamente legato al sindacato dei colti


vatori, che ha trovato poco seguito tra i piccoli coltivatori del
la regione di Gagnoa e pi in generale nelTOvest ivoriano,
mentre la maggior parte dei suoi aderenti proviene dalTEst
e dalla Basse-Cote,
A questo doveroso aggiungere che quella che sulle pri
me potrebbe sembrare un opposizione etnica (per esempio
bt/baoul) deve innanzitutto essere analizzata sotto unangolatura insieme socioeconomica e storica. La base attiva o
militante del sindacato principalmente formata da grandi
proprietari di piantagioni22 e da commercianti; opponendo
si all'amministrazione coloniale e presentando un program
ma di rivendicazioni (che verte principalmente sulla parifi
cazione del prezzo delle coltivazioni arbustive tra agricolto
ri ivoriani e coloni europei e sullabolizione del lavoro for
zato), essa senza dubbio incarna linteresse generale, ossia
quello di tutti i coltivatori di derrate da esportazione, ma so
prattutto difende la sua sfera particolare; in altre parole, que
sta avanguardia si rivela come uno strato dominante in se
no alla societ colonizzata.
In ultima analisi, la base sociale del sindacato e infine
lopposizione MSA/RDA pongono in evidenza lo sviluppo dif
ferenziale delle economie di piantagione ivoriane. AllEst, ab
bastanza presto (dagli inizi del secolo) si formata una sor
ta di borghesia rurale, tuttavia coesistente con un settore di
piccola produzione commerciale, mentre allOvest del Bandama si elaborato pi tardivamente un sistema fondato
sulla piccola piantagione e sul rapporto tra autoctoni e al
loctoni.
A dispetto del carisma di Houphot-Boigny, il PDCI-RDA,
che diventa il partito unico della nazione ivoriana, resta in
qualche modo segnato dalle sue origini, portando con s la
storia recente della colonia e dei rapporti diseguali che si so
no creati tra le regioni della zona della foresta ivoriana.
Lindipendenza conferma e rafforza questa separazione.
Dignan Bailly certamente deputato allAssemblea Nazionale
ma non ottiene alcun portafoglio ministeriale, sparisce piut
tosto velocemente dalla scena politica ivoriana e muore qual

I BT: UNA CREAZIONE COLONIALE

III

che anno pi tardi. Per giunta un numero molto esiguo di rap


presentanti del mondo bt partecipa ai diversi governi che
si sono succeduti sino a oggi.
In ambiente rurale, le ondate migratorie in direzione del
la regione bt conoscono una nuova espansione; qui sin
stallano in massa migranti baoul che per la loro strategia spe
cifica rilanciano il movimento di cessione delle terre.
Fedele al suo recente passato, la regione di Gagnoa, du
rante questi primi anni dopo Pindipendenza, teatro di nu
merosi incidenti tra autoctoni e alloctoni. Inoltre, al mo
mento del tentativo di colpo di Stato del 1963, che ha di
mostrato che le scelte del capo di Stato ivoriano erano ben
lontane dallessere condivise allunanimit, numerosi originari
del pays bt (e in particolare della regione di Gagnoa) sono
arrestati. Lavvenimento pi grave si verifica nel 1970, quan
do si svolgono le elezioni per il rinnovamento dei posti di se
gretari del PDCI. A Gagnoa tutto concorre allelezione del can
didato ufficiale del partito, ma dopo qualche tempo nei vil
laggi del Sud della regione, e in particolare nel cantone di
Gubi, si tengono delle riunioni pi o meno segrete. Il lo
ro animatore uno studente noto come Nrab Kragb, ori
ginario del Gubi; il loro obiettivo contestare la validit
del prossimo scrutinio.
Il
26 ottobre,una piccola folla di qualche centinaia di col
tivatori bt originari dei cantoni Paccolo, Zabia e Gubi23,
guidata da Nrab Kragb, sale verso Gagnoa. Un gruppo inu
suale e visibilmente deciso a venire alle mani dal momento
che numerosi di qtfesti agricoltori sono armati di machete e
di fucili da caccia (alcuni abbigliati con insegne da guerra tra
dizionali). Giunto al centro della cittadina, il gruppo occu
pa prontamente le diverse sedi dellamministrazione di Ga
gnoa; dai racconti, durante le prime ore della ribellione non
si pu parlare proprio di scontri: solo alcuni rappresentanti
dello Stato vengono molestati. Labbigliamento bizzarro e so
prattutto la reputazione di temibili guerrieri sono sufficien
ti perch i coltivatori autoctoni riescano ad assumere il con
trollo dei luoghi; durante questi momenti di presa del pote
re simbolica, ci si dedica a una specie di de-ivorizzazione

112

JEAN-PIERRE DOZON

degli edifici pubblici: sulla piazza del municipio, viene pro


clamata la "Repubblica dEburnia e sinnalza una nuova
bandiera.
Tuttavia molto rapidamente gli avvenimenti vengono ad
assumere una piega pi drammatica con lintervento della
gendarmeria di Gagnoa: primi colpi darma da fuoco e pri
me vittime. Sopraggiunge quindi lesercito, che assume il
controllo dei punti strategici e circonda la citt. Ma la re
pressione non si ferma l: prosegue nei villaggi e nei cantoni
in cui si fomentata la ribellione, ossia nel Paccolo, lo Zabia e la Gubi. Oggi risulta difficile stabilire un bilancio,
e nessuna stima ufficiale stata finora fatta: secondo alcu
ni si tratta di qualche decina di morti, secondo altri di di
verse centinaia, addirittura migliaia di vittime. Il solo dato
che si possa fornire con precisione quello relativo al nu
mero delle persone arrestate, ossia circa duecento (il loro
processo ha avuto luogo nel 1976, e sulla spinta della preoc
cupazione per la pacificazione sono stati quasi tutti libera
ti). Quanto a Nrab Kragb, la diceria popolare per molto
tempo ha sostenuto che egli fosse riuscito a scappare, ma
si pi o meno ricostruito che qualche giorno dopo la ri
bellione fu gravemente ferito dai militari e mor durante il
trasporto allospedale.
Non rientra nelle nostre intenzioni formulare un giudizio
sullavvenimento in s; diciamo semplicemente che ci che
apparso come un esercizio piuttosto eccessivo della "vio
lenza legittima sembrerebbe tradurre il timore mal con
trollato presso le istanze dirigenti che questa ribellione, mol
to localizzata e perlomeno ingenua nella sua realizzazione, po
tesse propagarsi a macchia dolio, portare con s altri grup
pi bt o altre popolazioni dellOvest ivoriano, a meno che
il potere, che senza dubbio avrebbe potuto fermare il corso
delle cose sin dalle prime riunioni, avesse ritenuto opportu
no lasciare che la ribellione montasse per meglio denunciar
ne il carattere etnico e in questo modo occultare il suo con
tenuto propriamente politico.
Malgrado le sue aspirazioni regionalistiche (dato che la
"Repubblica dEburnia corrispondeva grossolanamente

IIT: UNA CREAZIONE COLONIALE

113

sIFOvest ivoriano), la rivolta rimasta limitata ai tre can


toni sopracitati; solo alcuni individui originari dei cantoni
micini si sono uniti al movimento. Inoltre, non tutti i villaggi
e i migranti di quella frazione dei bt di Gagnoa vi han;ae preso parte; alcuni hanno infatti rifiutato di partecipa
te a unimpresa ritenuta avventurosa. Tuttavia il carattere
molto circoscritto della rivolta mette in luce alcuni feno
meni analizzati precedentemente. II personaggio di Nragb
Kragb che al centro dellepisodio concentra in una fi
gura-limite la questione delle due categorie di originari
dei villaggi; la sua vicenda mostra concretamente in che
modo la coscienza etnica, cristallizzata intorno a unop
posizione e a un obiettivo politico, sia mediatizzata attra
verso le appartenenze tribali e di villaggio, attraverso i le
gami e le reti di parentela, in sintesi attraverso la sfera per
sonale. Nragb Kragb, pur rivolgendosi a un vasto insie
me - la regione bt, addirittura lOvest ivoriano, trae so
stegno dalla sua base rurale immediata. Egli in effetti ori
ginario del Gubi e i tre cantoni coinvolti dallepoca co
loniale intrattengono intense relazioni sociali. Attraverso
questo trampolino egli pu pretendere di globalizzate il
problema e contestare la legittimit del potere ivoriano. Al
momento della fuggevole proclamazione della Repubbli
ca dEburnia, i ribelli hanno distribuito un volantino sul
quale figuravano la promessa di un aumento spettacolare
dei prezzi delle colture da esportazione pagati al produt
tore (da 180 a 500 CFA), ma anche lesigenza dellallonta
namento degli stranieri installatisi nellarea bt. Lideolo
gia dellautoctonia trova dunque qui, almeno sulla carta, la
sua espressione pi netta. Peraltro su questo volantino ve
niva anche menzionata la composizione del governo di
questa nuova Repubblica: alla carica di presidente evi
dentemente avrebbe dovuto essere nominato Nragb
Kragb, originario egli stesso, come la maggior parte dei
ministri, del pays bt.
Al di l di questa curiosa fascinazione per il potere poli
tico, che mostra come la ribellione appena cominciata si tra
sformi da subito in apparato di Stato, questa Repubblica

114

JEAN-PIERRE DOZON

si ritiene che raccolga la maggior parte delle popolazioni delTOvest ivoriano. L a coscienza etnica diviene in questo m o
do movimento regionalista; o piuttosto, in questa aspirazio
ne chiaramente separatista, i bt, sotto la guida della loro
avanguardia (regione di Gagnoa), sono spinti ad assume
re un ruolo di primo piano in una vasta regione le cui diver
se popolazioni condividono con loro tutta una serie di ca
ratteristiche: dei riferimenti precoloniali (unorganizzazione
sociale simile, dei processi di popolamento che talvolta coin
cidono, delle reti di scambio ecc.), ma soprattutto una colo
nizzazione tardiva in rapporto al resto del paese, unecono
mia di piantagione fondata sulla piccola coltivazione, un ter
ritorio che diventato centro di attrazione per decine di mi
gliaia d immigrati; infine, segnate dallesistenza di forti o p
posizioni locali aURDA e malgrado la presenza di un nume
ro elevato di quadri e intellettuali, queste popolazioni dellOvest ivoriano non hanno molti rappresentanti degni di
questo nome a livello del potere statale.

In breve, la Repubblica dEburnia riepiloga in una sin


tesi utopistica linsieme delle determinazioni identificate pre
cedentemente; o piuttosto essa le rimuove simbolicamente,
impegnandosi a portare a compimento, fino in fondo e fino
allatto sovversivo, le velleit dellideologia dautoctonia.
Malgrado questo appello allestensione del movimento, la
ribellione rimane isolata e viene duramente repressa esatta
mente l dove aveva mosso i primi passi. Tuttavia la repres
sione porta con s incidenti spontanei tra autoctoni e alloc
toni (in particolare tra bt e baoul) nella regione di Gagnoa,
e una manifestazione nel campus di Abidjan testimonia del
la solidariet di alcuni ambienti studenteschi.
Gli avvenimenti del 1970 ci spingono a concludere cir
ca la realt etnica bt. Essi rappresentano lespressione
manifesta di un etnismo, addirittura di un tribalismo, dal
momento che solo alcuni gruppi tribali vi hanno preso
parte; pertanto, noi li abbiamo presentati e analizzati non
come il risorgere di un arcaismo nel cuore della modernit
ivoriana, ma come il prodotto di una storia recente nel
corso della quale molteplici fattori - amministrativi, eco

I BETE: UNA CREAZIONE COLONIALE

115

comici e politici - si sono combinati e hanno prodotto


f etnicit bt; il ricorso ai valori tradizionali, ai riferimen
ti precoloniali, riunendo la societ bt nella sua differen
za culturale, costituisce una maniera privilegiata di richia
mare i lineamenti fondamentali di questa storia; e il senso
dellidentit bt, invece di perdersi o rinchiudersi alFintemo del quadro etnico, assume finalmente una dimensione
propriamente ivoriana.
Dopotutto, risulta insufficiente fissare questi avvenimen
ti in una prospettiva strettamente causale: essi stessi danno
forma alla storia. La ribellione di Gagnoa ha rinforzato let
nia bt nel suo ruolo di gruppo virtualmente oppositivo, e
le voci che qua e l circolano nei suoi confronti amplificano
il movimento delletnicit. Tra laltro, il vano tentativo di
colpo di Stato del 1973, fomentato da alcuni militari, non
privo di relazioni con questa ribellione. Noi non sapremmo
immaginare un futuro scenario ivoriano; lesercizio troppo
azzardato e l questione etnica bt lungi dallesaurire lin
sieme della situazione sociopolitica ivoriana. Nonostante ci
si pu suggerire che per il suo carattere esemplare essa rinfor
zi le ragioni degli interrogativi, che di giorno in giorno si fan
no pi pressanti, sullavvenire del regime e alloccorrenza
sul wdopo-Houphouet-Boigny .

1 Si tratta alloccorrenza di un ragionamento che domina i commenti gior


nalistici, ma che si ritrova anche nella letteratura antropologica o sociologica.
Letnia costituisce sovente il quadro immediato degli studi africani e un movi
mento quasi naturale conduce questa letteratura a identificare 1*Africa con una
somma di etnie.
2 Talvolta essa viene ricondotta a una semplice tripartizione: le genti del
Nord, insieme malink e senufo (paese della savana dominata dallislam), le gen
ti dell'Est (gruppo akan) e le genti delTOvest, Si tratta di una rappresentazio
ne veicolata proprio dalle popolazioni delTEst e dellOvest.
3 Su questi problemi di opposizione agricola socio-cultrale tra lEst e 1*0vest, cfr. l'articolo che stato realizzato da Chauveau, Richard (1981).
4 Ci che corrisponde ai discorsi ufficiali: i posti legati allamministrazione
dello Stato avrebbero dovuto riflettere un equilibrio etnico.
5 Ci si potr domandare che cosa accaduto agli altri grandi gruppi etnici
malink e senufo. II problema della loro presenza a livello del potere statale non

ii 6

JEAN-PIERRE DOZON

si pone negli stessi trmini che per i bt. La legittimit akan sembra implicare
un'apertura o meglio unalleanza con le popolazioni del Nord; alleanza del re
sto storica dal momento che queste ultime hanno militato da subito nei ranghi
delTRDA.
6 Si distinguono in effetti i bt di Daloa, i bt di Soubr e quelli di Ga
gnoa. Di passaggio possiamo notare che questa tripartizione non ha in s nien
te di precoloniale dal momento che il criterio di differenziazione fa riferimen
to a tre citt che sono state create integralmente dallamministrazione colonia
le (avamposti militari).
7Probabilmente occorrer risalire agli scritti o piuttosto alle fonti degli scrit
ti di Dclafosse e Thomann (entrambi amministratori coloniali, essendo stato Thomann, all'inizio del secolo, amministratore della circoscrizione di Sassandra di
cui faceva parte la regione bt), e questo dal momento che il termine "bt
(esattamente bet) vi figura e designa pi o meno Fattuale regione bt. In ogni
caso un elemento principale emerge: questo vocabolo viene da loro utilizzato
mentre la pretesa area bt resta largamente sconosciuta (la penetrazione colo
niale comincia nel 1908 e i loro scritti datano dal 1901 al 1904) e sembra desi
gnare unentit linguistica. A questo proposito si ignora il modo in cui essi ab
biano proceduto per costruire questa entit.
8 Cfr. Meillassoux (1964) per i gouro e Terray (1969) per i dida.
9 Le relazioni commerciali erano organizzate secondo due assi principale
luno orientato verso il sud, animato dai commercianti europei a partire dal xvi
secolo e specializzato negli scambi di schiavi contro oggetti chiamati manilles;
raltro orientato verso il nord, organizzato attraverso le reti dei mediatori malink e specializzato nello scambio della cola della foresta contro ferro, fucili,
sale ecc.
10 In particolare il blocco del posto di Daloa nel 1908> e la rivolta contro
quello di Gagnoa nel 1913.
11 Sotto questo aspetto, ma noi non siamo linguisti, converrebbe definire
meglio questo sistema linguistico dal momento che, da una parte, la compren
sione reciproca fra i principali gruppi bt lungi dall'essere la regola, mentre
dall'altra, se questo sistema designa delle strutture sintattiche allora non si ap
plica solamente alletnia bt ma a un insieme assai pi ampio che raggruppa
una buona parte delle popolazioni dellOvest ivoriano.
12 Secondo Tty Gauze altri gruppi etnici sono derivati dai magwe, in par
ticolare i dida, i gagou, i godi, i neyo.
13 In questo modo viene chiamata la regione compresa tra Grand-Lahou e
Grand-Bassam.
14Queste economie di piantagione tipiche del Sud-Est ivoriano daranno vi
ta a una classe di coltivatori agiati, che giocher un ruolo determinante nella for
mazione di ima opposizione sindacale e politica al regime coloniale.
15 Su questi punti si rinvia alla nostra tesi editata da Karthala (1985).
16Prima della colonizzazione gli anziani controllavano la distribuzione fon
diaria ma in realt non disponevano di alcun diritto di propriet. Infatti, que
sto controllo corrispondeva a una delle loro numerose attribuzioni e non era scin
dibile da un potere pi generale sul funzionamento del sistema dei lignaggi.
17 Destinate ai lavori per la realizzazione delle infrastrutture e ai coloni eu
ropei, le requisizioni di manodopera sono state abolite nel 1947 suggellando la

I STE: UNA CREAZIONE COLONIALE

li 7

Attoria del sindacato agricolo africano e del suo leader Houphot-Boigny sulFamministrazione coloniale.
18 Lui stesso la sua o le sue spose ed eventualmente alcuni dei suoi figli.
19 Per riprendere un'espressione di Chauveau e Richard (1977).
20 A partire dal 1950 T r d a firma la pace coloniale e inaugura un perio
do di collaborazione con lamministrazione francese; in particolare sostiene la
"legge quadro del 1956 e invita a votare positivamente al referendum del 1958
che istituisce la comunit franco-africana (cfr. Suret-Canale 1972).
21 Alcuni fra di loro a partire da questa epoca hanno acquistato delle pian
tagioni europee.
22 In testa ai quali figura Houphot-Boigny.
23 Cantoni intermedi, situati a sud e a est di Gagnoa, corrispondenti a tre
gruppi "tribali.

A ciascuno il suo bambara


Jean Bazin
Il pi facile se non il pi superficiale approccio al
la struttura sociale di una societ quello attra
verso la nomenclatura di identificazione sodale, le
tecniche da cui la gente sceglie i suoi rapporti so
ciali reciproci alfine di gestirli autonomamente.
Ma la nomenclatura, come il comportamento ten
de a precipitare, sempre una funzione di una si
tuazione e non una classificazione assoluta.
Meyer Fortes, The Dynamics o f Clanship among
th Tal-lensi

Del portatore dt un nome si pu dire che non esi


ste, e naturalmente non proprio unattivit, ben
ch si possa comparare questo fatto ad unattivit
e dire: deve davvero essere l se non esiste.
Ludwig Wittgenstein Grammatica filosofica

Di una dppia entrata in scena


Heinrich Barth, nella tavola cronologica che aggiunge in
appendice al racconto del suo viaggio, indica per gli ultimi
anni del XVI secolo: apparizione dei bambara come razza
conquistatrice (Barth H. 1857, p. 679). Durante il suo sog
giorno a Timbuktu, nel 1853, Barth in effetti ha potuto leg
gere nel T'rkh al-Sdn1 che, all'indomani della conquista
marocchina (1591), degli "infedeli con questo nome (Kuffar
Banbara) saccheggiarono nel modo pi orribile la regione
di Djenn:
all'est come all'ovest, al nord come al sud, distrussero tutti i vil
laggi, depredarono tutti i beni e fecero delle donne libere le lo
ro concubine da cui ebbero figli che furono allevati nel paga
nesimo2. Che Dio ci protegga da queste calamit! (Al-Sadi
1964, p. 223)

IZO

JEAN BAZIN

Un secolo pi tardi, nel 1950, redigendo la prefazione a


La Religion bambara di Germaine Dieterlen, Marcel Griaule si compiaceva di potervi infine leggere un quadro coe
rente della metafisica bambara. Con queste pagine, con
clude Griaule, i bambara entrano nella storia3 (Dieterlen
1951, pp. rx-x).
Cos i bambara avrebbero giocato in questo teatro due
ruoli: innanzitutto quello di barbari feroci, orde urlanti alle
soglie della citt; e contemporaneamente la parte di metafi
sici non pi apertamente violenti ma depositari di una dot
trina segreta.
Da qui la domanda inevitabile: chi sono dunque costoro,
dei saccheggiatori o dei pensatori?
Nel 1785, Golberry li trova soprattutto: stupidi, super
stiziosi e fatalisti al di l di ogni considerazione (1802, p.
101); nel 1903, Charles Monteil nota che la loro pesantezza
di spirito e la pochezza delle loro idee corrispondono a una
testardaggine insormontabile4.
LAbb Henry della stessa opinione ma sottolinea il fat
to che per il bambara accovacciarsi sotto un albero fron
doso e passarvi la giornata immerso in una lunga chiac
chierata o in un torpore il suo sogno e realizza il suo be
nessere (1910, p. 9): questo potrebbe essere segno di un
qualche gusto per la speculazione o una semplice siesta ru
stica? Sembra infatti che i bambara abbiano anche la re
putazione di popolazioni molto quiete, pigri, dice Gol
berry (1802), ma gai e di un carattere assai dolce5; par
rebbe infatti raro che sulle navi negriere si debba metterli
ai ferri (Debien 1974, p. 43). Il loro unico peccato noto
la golosit che fa attribuire loro, presso gli abitanti delle iso
le, il soprannome di ladri di tacchini e di pecore (Moreau de Saint-Mry 1797)6. Nel marzo 1846, poco dopo il
suo arrivo a Kaarta, Anne Raffenel annota nel suo diario: fi
no a oggi non ho riscontrato presso i bambara nessuno dei
vizi che mi erano stati preannunciati. Al posto di un popo
lo feroce, di malfattori e ladri, ho visto genti affabili, di
screte, ospitali, educate, compiacenti (1856, p. 199). Se
condo Paul Soleillet, i bambara, a differenza dei toucoleurs

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

121

e degli altri saccheggiatori di professione, fanno parte di


quelle popolazioni dai costumi dolci, laboriose e indu
striose, particolarmente dotate per i lavori agricoli: a
questo titolo, aggiunge Soleillet, furono giustamente com
parate dal generale Faidherbe ai nostri contadini dellAuvergne (1887, pp. VI, vili). Tuttavia, all'indomani dellim
boscata tesa da quelli della regione di Dio alla missione
francese (maggio 1880), Popinione si ribalta:
la sincerit delle mie intenzioni, nota Gallieni; non poteva es
sere messa in dubbio da alcun uomo di buona fede; ma era chia
ro che io non avevo a che fare che con genti la cui cupidigia era
stata risvegliata dalla vista del mio convoglio (...). Per questi
bambara, abituati alla guerra e abili soprattutto nel saccheggio,
il mio arrivo rappresentava una fortuna insperata di cui si do
veva profittare; invece di vedere in me un uomo venuto in ami
cizia per offrire loro una solida alleanza, non pensavano ad al
tro che a impadronirsi dei miei beni. Questi sentimenti dimo
strano a sufficienza il livello di selvatichezza di questa popola
zione bambara, che perde certamente nella considerazione a un
esame ravvicinato e che non pensa a far altro che a dare libero
sfogo ai suoi peggiori istinti, allorch non soggiogata da un pa.drone potente (rapporto di Gallieni, in Bayol 1888, p. 57).

In poche parole, una volta ben inquadrati, questi contadini-saccheggiatori, tanto pacifici quanto violenti, diventano
alToccorrenza buoni e forti soldati (come gli auvergnati?). I
due tratti dominanti del bambara, assolutamente incontestati
e incontestabili, sono, concluder Louis Tauxier, di essere
insieme sia un coltivatore molto forte sia un fuciliere so
lido e disciplinato (1927, p. XIV) - cosa che, metafisici o no,
li rende una nazione interessante (1942, p. 7).
Potrei prolungare ad libitum questo esercizio insulso; dal
momento che rinterrogativo non ha un senso determinabi
le e le risposte sarebbero inevitabilmente di una variet sen
za limiti. Perch assolutamente necessario che i bambara
siano qualche cosa, bestie o cattivi, rozzi o filosofi, pacifici o
sanguinari, e cos via? Doppia illusione: innanzitutto si sup
pone che il fatto di essere designati attraverso uno stesso no

122

JEANBAZIN

me rappresenti il segno certo di una qualche consustanzialit fondamentale, mentre per esempio sufficiente occupa
re una stessa posizione nei riguardi di un terzo. Si suppone
poi che un bambara non sappia saccheggiare o pensare che
in virt di questa necessit immanente; di questo qualcosa
- natura, destino o vocazione - che definisce la sua specifi
cit. E la bambarit che orienta ragire dellindividuo bam
bara, e dunque ciascuno dei suoi atti la significa: terribile lo
gica dellimputazione, proprio quella che viene messa in ope
ra in ogni lettura meta-sociale (razzista o differente) della
realt sociale.

La sostanza e lo schedario
Mi si obietter che letnologia non pi a questo punto.
Sfonderemo delle porte aperte? Ricordo di avere inteso, du
rante una discussione di tesi7 dottorale, Georges Balandier
affermare che era ormai da un bel pezzo che letnia non ve
niva considerata come un elemento di sostanza. Se questo
certo, e ciascuno sa che lo stesso Balandier vi si dedicato
pi di ogni altro, resta tuttavia il fatto che non si tratta solo
di una questione di opinione o credenza, ma piuttosto di
struttura del discorso scientifico. Se ad esempio io dico: i
bambara sono un insieme eterogeneo di popolazioni che non
hanno niente in comune, non faccio altro che attribuire al
substrato bambara una qualit ulteriore: leterogeneit.
Allo stesso modo, se io affermo che i bambara non esisto
no: si tratta di un enunciato che rimane logicamente analo
go a: i bambara sono patrilineari.
La questione, pertanto, non sapere quello che letnia
o non , ma se si tratta di un referente di cui noi possiamo o
no fare a meno. Io posso non credere pi che al significante
bambara corrisponda una qualche entit effettivamente
determinabile, e continuare non di meno a fare come se le co
se non stessero cos. Pi la realt sostanziale delletnia viene
messa in dubbio, pi letnografo deve assumere la sofferta e
scomoda postura del come se. Accordatemi il fatto che es

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

123

si esistano giusto il tempo necessario a mostrarvi che di loro


non ne niente... O altrimenti posso utilizzare le virgolette,
questo rifugio troppo facile della coscienza critica infelice, al
quale abbiamo tutti fatto ricorso. Tuttavia le virgolette non
risolvono nulla: dal momento che un altro che parla, di chi
si tratta?
Forse possiamo sfasciare il museo ma, in mancanza di me
glio, manteniamo le etichette, controvoglia o per ragioni di
praticit. Questo perch le conversazioni mondane o i rap
porti di ricerca al CNRS, gli schedari bibliografici o gli indici
delle riviste vi obbligano a declinare il vostro etnonimo jivafo, bambara o papua? Si tratta di un marchio di identifi
cazione al quale nessuno sfugge * nella trib (ah! Voi dun
que siete bambarologo !?).
Si dir forse che ogni scienza in cammino ha bisogno di
queste segnalazioni grossolane e che vi sarebbe una certa do
se di imprudenza nello scatenare la tempesta nei nostri
schedari, con il rischio di disperdere una tale massa di co
noscenze, cos ben ordinate dai nostri predecessori. Tutto
quello che si lentamente sedimentato alFinterno della ce
lebre voce bambara non rischia forse di diventare inaf
ferrabile? Come in quei vecchi solai dove, nel corso degli
anni, si sono ammassati edifici di venerande anticaglie il
cui equilibrio cos precario che appare pi ragionevole non
toccare nulla. I bambara non hanno forse, e gi da molto
tempo, unanima (Henry 1910), una lingua (Bazin 1906),
una religione o piuttosto due8, una storia (Tauxier 1942), e
cos via? Eppure ho il sospetto che agisca una specie di ar
gomento di autorit: se il nome sulla bocca di tutti e in tut
ti i libri, deve davvero designare qualcuno; e dietro questa
maschera un po rozza, forse anche una qualche prova on
tologica, a un essere cos ricco di attributi non potr certo
mancare lesistenza.
Letnia, nei fatti, non mai un semplice quadro formale,
la cui comodit operativa compenserebbe larbitrariet. Tie
ne sempre il posto di un soggetto al quale noi riconosciamo
quel livello minimo di esistenza tale da poter a essa attribui
re come predicati, enunciati, avvenimenti, rapporti sociali di

124

JEAN BAZIN

cui potremo dare una descrizione differente se fossimo libe


rati da tale riferimento obbligato. In qualit di sustrato pas
sivo del discorso etnografico, essa si sostituisce agli attori ef
fettivi (per esempio le unit politiche), li mette fuori campo,
li cancella dalla scena. Questo il motivo per il quale la vi
sione etnica non appare mai tanto appropriata come nel ca
so delle societ dette acefale o segmentane in cui non
agevolmente reperibile nessun attore collettivo permanente
e distinto.
A differenza del popolo o della nazione, prodotti di una
storia, letnia in effetti il risultato di .unoperazione preli
minare di classificazione. A questo riguardo ogni etnologia
comincia cme una zoologia, sebbene di una tassonomia
razionale e scientifica essa non abbia che lapparenza. Ci si
potrebbe certamente immaginare una specie di etnologo
ideale, scrupolosamente sordo a ogni operazione preliminare
di denominazione e preoccupato solo di classificare al me
glio gli usi e le abitudini osservati, alla maniera di un ento
mologo e di un mineralogista, lavorando per arrivare a una
nomenclatura rigorosa che consenta di organizzare i generi
e le specie in un quadro esplicativo: una scommessa impos
sibile da mantenere perch, a differenza delle farfalle o del
le pietre, gli umani si classificano da soli9, cos bene che i no
mi sotto i quali gli osservatori conoscono i loro gruppi non
sono mai privi di un legame con quelli che questi ultimi si
attribuiscono. Cos accade con gli etnonimi: ognuno stato
effettivamente proferito da alcuni degli attori - non fosse che
a titolo di ingiuria o di derisione da parte di vicini ostili o di
conquistatori ignoranti - prima di diventare unetichetta
scientifica. Letnologo non inventa ex rtihilo, per i bisogni
della causa, n entit fittizie n nomi arbitrari; sarebbe me
glio forse che lo facesse10? Generalmente non si certo at
teso il suo arrivo per mettere i popoli assoggettati o perife
rici nello stesso paniere allinterno di una qualche categoria
confusa e dispregiativa11, n per assegnare loro un qualche
comportamento tipico come stigma della loro alterit; gli
scozzesi sono gi avari, cos come gli abitanti dellAuvergne,
mentre i cretesi sono bugiardi; letnologo arriva dopo che

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

125

tutto questo gi avvenuto, ed per questo che, il pi del


le volte, soccombe alla tentazione di assumere queste cate
gorie ricevute o questi stereotipi familiari in luogo di darsi
modo di comprenderli, conferendo cos urla cauzione scien
tifica a un uso pratico, una realt in s a un insieme inde
terminato e relativo.
L'etnologia procede dunque sul modello, ma in senso
inverso rispetto a quella che sarebbe una storia naturale
del genere umano: in generale di un insieme gi denomi
nato che essa cerca di sapere a posteriori se non gli corri
sponda una qualche cultura comune. L'etnia, cos, come
un Quadro vuoto predefinito dagli usi locali, di cui si sup
pone che esso debba davvero delimitare qualcosa e che dun
que possa legittimamente rappresentare un elemento preli
minare alla ricerca.
Se ad esempio prendessimo in esame la * religione bam
bara non pensiate di immaginare che ci si trovi di fronte a
un ambito definito, dove tutto curato nei minimi dettagli,
dalla classificazione dei rituali e delle credenze ecc... in mo
do da poter affermare: questo proprio della religione bam
bara, quest'altr no. Si procede piuttosto all'inverso: ci sono
dei bambara, e ciascuno sa molto bene chi sono, e necessa
riamente essi hanno una religione; dunque reputato "cre
denza bambara tutto ci che un bambara crede. proprio
cos che Louis Tauxier pu raccogliere i materiali della sua
Religion bambara grazie al suo interprete e al suo sottoposto,
mentre in servizio a Nyafounk12. Come un bambara, in
terrogato a proposito della religione, potrebbe rispondere se
non parlando della religione bambara? come dire che un
solo coniglio sufficiente per Io studio dell'anatomia del co
niglio: un ammirevole principio di economia! ! !

La storia di un nome
Che si creda o no alla sua realt sostanziale, l'etnia que
sto soggetto fittizio che letnologia contribuisce a far esste
re, prpetandh il significt^retine entit di riferimento nel

126

JEAN BAZIN

suo spazio scientifico, grazie alla sue procedure induttive e


attributive attraverso cui un contenuto del sapere, per quan
to disparato, si trovi riunito e sussunto sotto un unico nome
nello stesso compartimento di un schedario. Accanto a que
sto bambara delletnologo, ritmuto unico m i che nessuno ha
mai incontrato, ci sono tutti gli altri, tutti coloro i quali, a un
qu^siasi titolo, portano o hanno portato questo nome in
funzione delle tassonomie pratiche effettivamente utilizzate
dagli attori di un determinato campo sociale: ciascuno di lo
ro ha a questo proposito, nel bene o nel male, la sua opinio
ne su cosa costituisca la bambarit del bambara, ma sen
za che nessuno vi rappresenti necessariamente lo stesso in
sieme, tenendo conto della posizione occupata e della pro
spettiva che ne deriva. La nostra missione quella di istitui
re qui una regola - per convenzione, per selezione o sempli
cemente per ignoranza - o piuttosto descrivere il sistema di
queste variazioni?
Per dissolvere la sostanza o scacciare il suo fantasma,
occorre ritornare al nome, alla sua grammatica, alPinventario completo delle sue utilizzazioni. Non si saprebbe
essere un bambara senza essere stato designato attra
verso tale nome: designato da chi, in quale contesto, e
quando? Invece di cercare inutilmente una natura sui ge
neris che gli corrisponda, sarebbe meglio restituire al ter
mine la sua funzione di identificazione relativa, di riferi
mento approssimativo nello spazio sociale, e comprender
lo per quello che effettivamente : un significante conti
nuamente scambiato tra soggetti parlanti - Petnia come in
sieme morto di soggetti parlati? Definendo gli altri ri
spetto a s e, viceversa, s rispetto agli altri - Pernia come
insieme piatto, senza profondit?
Quando la descrizione dei fatti umani si mescola a quel
la dei fatti di natura, ad esempio nella lettura di un raccon
to di viaggio, si rimane sempre tentati dal dimenticare che le
popolazioni incontrate non portano il loro nome scritto in
fronte, e che bisogna davvero che questo venga enunciato.
Miraggio ancor meno evitabile per il turista di oggi che pu
leggere gli etnonimi sulla sua carta Michelin - come se i car-

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

127

iografi non avessero per vecchia abitudine quella di popola


te di figure immaginarie il deserto del loro sapere. A quan
do, dunque, i pannelli esplicativi, come lungo le nostre au
tostrade: baobab, bambara...?
Nel febbraio 1864, Eugne Mage, sulla strada verso Sgou, attraversa il Fadougou: una regione "magnifica di cui
egli ammira le foreste dai tronchi secolari e che abitata,
secondo quanto ci dice, dai sonink e dai bambara13 (Ma
ge 1868, p. 161). Bisogna credere che la bambarit dei bam
bara per lui rappresenti un elemento dato allinterno del pae
saggio allo stesso titolo che i suoi palmeti (Borassus Aethiopwn)? Oppure diventano di fatto bambara ai suoi occhi e nel
suo testo solo quelli che sono stati denominati in questo
modo in sua presenza? A questo riguardo, un villaggio
bambara (a differenza di una palma) suppone un enun
ciatore preliminare sconosciuto di cui Mage ripete implici
tamente il proposito, proposito che ripeteranno anche, sen
za saperlo, tutti quelli che riprenderanno lo stesso Mage.
Certamente questultimo voleva davvero imparare a rico
noscere lui stesso un bambara. Ma il suo evidente imbaraz
zo sul terreno indicherebbe che la sua ricerca di un crite
rio sicuro e di facile applicazione resta insoddisfatta. Quan
do attraversa il Kaarta, gli dicono che la regione popolata
da kagoros o kagorotas (p. 116)14. Ma queste genti, sebbe
ne parlino il sonink, sono apparentemente denominate co
me bambara. In uno dei loro villaggi, a Bambara-Mountan,
Mage nota che alcuni uomini giovani portano i capelli ac
conciati in piccole trecce; immediatamente si informa sulla
loro identit: mi si dice che erano dei bambara:, ma in ag
giunta, che erano sonink dorigine (p. 124)15. Pi a est, nel
Lambalak, gli abitanti di Tifougoula, sebbene si trattas
se di sarracols puro sangue che parlavano il sonink, han
no adottato in parte lusanza di sfigurarsi la guancia con tre
tagli, dalla tempia fino al mento, cosa che, come si sa, rap
presenta il blasone (segno distintivo) dei bambara (p.
148)16. Confusione di nomi, di lingue, di costumi, di segni:
quanto basta per fargli perdere il suo latino - il latino ideal
mente obiettivo dei botanici.

128

JEAN BAZIN

Mage trasferir volentieri questo disordine sullogget


t o - melange di razze, meticciato generalizzato - apren
do la strada a unetnologia insieme naturalista, perch im
pegnata a ricostruire specie pure a partire dallesposizione eteroclita degli ibridi, e coloniale, per il fatto che vi
si postula che gli assoggettati non sappiano chi sono e che
debbano apprenderlo attraverso la scienza dei dominato
ri. Mage non prende in considerazione il fatto che il nome
possa variare in funzione della posizione del suo interlo
cutore e la prospettiva che egli adotta in un contesto dato.
Siccome i suoi contatti con gli abitanti dei villaggi, che egli
percepisce progressivamente avanzando nelle tappe, e di
cui non parla le lingue, sono praticamente inesistenti, ve
rosimilmente sar Fahmhara, la sua guida ufficiale, che in
questo contesto svolger la funzione di informatore privi
legiato: Fahmhara originario di un villaggio del Lanballakh e la sua lingua madre il sonink (p. 147); ma in qua
lit di talibe di al-Hajj Umar, certamente assume anche le
rappresentazioni e la terminologia divenute abituali nel
lambito della guerra santa intrapresa contro il paganesi
mo17. A questo bisogna aggiungere ancora il fatto che pri
ma di fare il sarto a Saint-Louis prende la misura delli
gnoranza degli europei e sa che il termine bambara, es
sendo a questi da tempo familiare, pu servire da risposta
passe-partout. La stessa quantit di logiche embricate e di
scordanti che senza dubbio determinano luso che egli fa
del termine. Quindi, in senso stretto, Mage, come qualsia
si altro, non vede dei bambara; egli solo testimone di al
cune utilizzazioni del nome. Non ci sono dei bambara ai la
ti della pista di cui possa dire vedi l, eccone uno, allo
stesso modo in cui io potrei dire ecco un termitaio . Qual
sivoglia identificazione che io intenda pronunciare rela
tiva; per comprendere ci che essa significa, necessario
restituire lo spazio sociale allinterno del quale essa sta
ta enunciata, le posizioni che rispettivamente vi occupavano
il nominante e il nominato ed eventualmente situarmi an
chio al suo interno in quanto straniero che pone la do
manda: Chi sono queste genti?.

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

129

E non ci si sbagli! Io non nego che vi siano dei bambara.


Al contrario, io ne trovo a bizzeffe. Ingannati dal rigore ras
sicurante delle tassonomie coloniali e della loro interiorizza
zione sotto forma di sapere comunemente condiviso negli am
bienti urbani e letterati del Mali attuale, non ci si immagina
lestrema variet di coloro i quali a un titolo o a un altro, a
seconda del contesto, della congiuntura, del punto di vista o
delPinterlocutore, un tempo o poco fa, hanno potuto trovarsi
sotto questo nome designati, repertoriati, onorati, temuti,
ingiuriati, maltrattati, sterminati.
4 partire dai miei primi soggiorni a Segou e nei villaggi
dei dintorni, ho rapidamente appreso, non fosse altro che per
l'educato imbarazzo suscitato dalle mie domande, che il ter
mine bamana18- la forma pi spontaneamente utilizzata nel
la lingua mandingo - si utilizzava qui in pi sensi, senza che
alcuno potesse essere legittimamente ritenuto quello buo
no e che tanto valeva assumere lambiguit dell'uso attuale
come un dato1di partenza e sforzarsi di leggervi la traccia se
dimentata di una storia sociale complessa. Tuttavia, dal mo
mento che non ci sono molte popolazioni in Africa occiden
tale che non abbiano fatto o che non facciano uso del termi
ne banbara!9, almeno nella sua forma pi diffusa, va da s che
un inventario completo fuori dalla mia portata. In questa
sede mi limiter a dare, a titolo di ipotesi, qualche punto di
riferimento.
Lungo le rotte commerciali che collegano la valle del Niger e Djenn alle regioni meridionali produttrici di oro e co
la (al nord degli attuali Costa dAvorio e Ghana), da secoli cir
colano quelli conosciuti come juula (dioula) o "mercanti
mandingo e, pi anticamente, nei testi arabi o portoghesi,
attraverso lappellativo di wangara. Costoro chiamano ba
mana o banbara le popolazioni assai diverse che incontrano
in questo percorso e fra le quali sono a poco a poco sciama
ti, installandosi, tappa dopo tappa, in margine alle loro co
munit. Nel 1828, Ren Cailli, seguendo una carovana da
Time a Djenn e facendo affidamento su quanto dicevano gli
juula che lui accompagna, conclude molto logicamente che
i bambara sono il solo popolo che si trova su questa strada

130

JEAN BAZIN

(Caill 1830, t, 2, p. 50). Ma luso del nome molto pi an


tico, senza dubbio almeno quanto Tasse commerciale stesso.
Alla fine del XV secolo, i portoghesi vengono a conoscenza
del fatto che i mercanti mandingo si riforniscono di oro ar
rivato dai territori akan attraverso mercati intermedi, tra i
quali, oltre alla celebre Bergho (Beetuu), figura un luogo
denominato Banbarranaa (Pacheco Perera 1956, p. 67). Re
gione, citt o quartiere, non dato saperlo. Si tratta di un to
ponimo (.Banbara-na, presso i bambara) verosimilmente
tanto incerto quanto il nome da cui deriva. Si ritrova l, per
quanto di mia conoscenza, la prima menzione scritta del ter
mine, ma nulla impedisce di pensare che questo possa esse
re stato di uso corrente gi da lustri.
Le popolazioni cos designate non hanno pressoch
nulla in comune - se non esattamente il fatto di apparire
globalmente simili dal punto di vista dei juula20. Poco im
porta che questi bamana si distribuiscano in una cinquan
tina di gruppi aventi ognuno il proprio nome e la propria
specificit, che parlino delle lingue distinte (confuse nella
rubrica Bamana kan , la lingua dei bamana; cfr. Delafos
se 1912,1.1, p. 126)21, che abbiano dei "costumi variabi
li (in particolare sono tanto matri quanto patrilineari) ecc.
Per la cultura comune dei juula, per come si costituisce e
si diffonde lungo le loro fitte reti di molteplici legami in
crociati (di parentela e di alleanza, di ospitalit, di affari,
di insegnamento religioso), i bamana sono un tuttuno: dei
fornitori (di viveri, di manodopera in forma servile o altra),
degli acquirenti (di sale, di tessuti, ecc.), dei potenziali
guerrieri di cui ci si possono assicurare i servigi, degli au
toctoni o reputati tali, e a questo titolo possessori rituali del
suolo sul quale gli juula fondano le loro colonie. Si osser
va come unidentit collettiva, certamente alienante e ar
bitraria, si costruisca cos per effetto della cancellazione
delle differenze che chiama in causa linteresse sociale do
minante di uno degli attori. Tuttavia, cos non si ottiene
unetnia: sar necessario che questa prospettiva pratica sia
sottomessa a una neutralizzazione scientifica che ne faccia
dimenticare la genesi.

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

131

Gli juula non fanno etnologia, ci che loro intendono per


ternana o banbara varia secondo il contesto. Per tutti coloro i
*pali si vogliono prima di tutto commercianti e musulmani, che
siano juula o maraka, sulle sponde del Niger o ai confini della
foresta, i bamana sono innanzitutto dei contadini idolatri. Co
me sotto altri cieli, anche in questo caso il contadino anche il
pagano. Nei fatti, per molti juula o maraka, il commercio non
e altro che una vocazione, Pislam una infarinatura e la vita ru
rale una realt quotidiana. Tuttavia, tutti si richiamano - non
fosse altro, giustamente, che per mantenere questa differenza
che fa la loro identit - a una civilizzazione urbana, mercanti
tele musulmana che idealmente Djenn e Timbuktu incarnano.
Il ritratto che i cittadini di Djenn si fanno del bambara type
senza dubbio traspare attraverso questo testo di Charles Monteil, che dal 1900 al 1903 fu amministratore in questa citt:
Cranio allungato, prognatismo pronunciato, capelli neri, crespi,
cresciuti a ciuffi, spesso raccolti in trecce (...). La fronte sfug
gente, le arcate sopracciliari sporgenti, (...) il naso camuso; la
radice del naso schiacciata, le narici largamente spalancate, Le
labbra spesse (...), la bocca grande e amplia, i denti grossi e un
po distanziati cadono o si deteriorano rapidamente per labu
so del tabacco indigeno (...), il mento spesso sfuggente. Il col
lo massiccio. Le spalle larghe e dritte; il petto forte e largo. Le
membra robuste, i legamenti grossolani (..,), L'aspetto genera
le manifesta una costituzione rozza e robusta.
Il bambara un rozzo, il suo spirito troppo pesante per pen
sare e per comprendere, ma egli tiene alle sue idee, rare senza
dubbio, e in questo di una testardggine insormontabile (...).
Non sa presentarsi, ha difficolt a spiegarsi, toma sempre "in
dietro fino al diluvio e, sempre parlando pacatamente, lo sguar
do distratto o fisso al suolo, non pronuncia che la met delle pa
role, cosa che lo rende difficilmente intelligibile. in genere pi
gro, ubriaco, poco ospitale e cavilloso alleccesso. E soprattut
to coltivatore (Monteil 1932, pp. 124-125),

Fatti salvi alcuni dettagli, davvero la figura universale del


bifolco e dello zotico: e qui il bambara, una volta di pi,
raggiunge suo cugino, il contadino dellAuvergne!

132

JEAN BAZIN

Tuttavia, al di l di questi stereotipi transculturali, per ap


prezzare questa caricatura sar necessario anche tenere con
to dello schema generale di classificazione gerarchica delle
Trib del Sudan che la cultura araba dominante utilizza da
secoli: da una parte, prevalentemente verso nord, i miglio
ri, i pi belli, coloro i quali hanno dei capelli non cre
spi, buon senso e intelligenza e che si recano in pelle
grinaggio alla Mecca. Dallaltra, per la maggior parte verso
sud, i pi cattivi, che hanno il collo piccolo, il naso piat
to, gli occhi rossi e i cui capelli assomigliano a grani di pe
pe: genti prive di religione e di intelligenza, che si posso
no impiegare come domestici e lavoratori, ma che sono an
che considerati per il loro coraggio e la loro capacit di for
nire degli eccellenti arcieri22.
Pertanto, da un lato bamana, in questo mondo, appariva
come il significante di uso comune per limmagine dellal
tro, per come questa era generata da uno stesso fascio di rap
porti sociali, ma dallaltro anche la denominazione di un in
sieme determinato, quantunque fluido ed eterogeneo. C una
geografia umana degli juula e dei maraka che sarebbe ne
cessario ricostruire. Si vedrebbe allora, in questa sede, che
non tutte le popolazioni di agricoltori incontrate a sud del fiu
me vengono chiamate bamana.
Da un mercante mandingo originario di Kong Caill
viene per esempio a conoscenza del fatto che a sud di quel
la citt, in direzione delle aree aurifere, gli abitanti, sebbe
ne abbiano i capelli crespi, siano idolatri e non si spostino,
non sono pi dei bambara: loro parlano unaltra lingua
(Caill 1830, p. 105). Allo stesso modo, non che ogni pa
gano sia ritenuto bamana. A riprova di ci, lutilizzazione
delle lettere di Djenn alla met del XVII secolo. Se ai loro
occhi luniverso umano si divide esattamente tra fedeli
{mumin) e infedeli (kafir, plur. Kuffr), nondimeno vi so
no molteplici specie di infedeli: quelli detti banbara {kuffr
banbara)2 sono differenti dalle trib idolatre che, ai confi
ni del territorio controllato da Djenn, popolano le monta
gne di Tonbola (jabal tunbula) e di Dum {jbal dum) (Al-Sadi 1964, pp. 25, 104, 181-182) - meglio conosciute come i

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

133

famosi dogon - cos come i bobo {kuffr bubu) (p. 304), sen
za considerare, molto pi a est, i pagani del Gurma {kuffr
gurma) (ib.). Non daltronde escluso che bamana in origi
ne sia stato il nome di una popolazione dei dintorni di
Djenn, sulla riva destra del Bani, nel punto di partenza
delle piste carovaniere verso il sud; il termine sarebbe stato
quindi arbitrariamente esteso dai juula a tutti i gruppi me
ridionali. Questa lipotesi che Maurice Delafosse formula
nel 1904, molto prima del suo Haut-Sngal-Niger. In effet
ti sembra che coloro i quali oggi vengono chiamati minianka24 (nessuno sa pi perch) si attribuiscano questa denominazione di bamana. Si tratta di una spiegazione indi
mostrabile ma pi verosimile di tutte le etimologie popo
lari, ovvero pseudoscientifiche, che ci si sforzi di inventa
re in lingua mandingo25, provando allo stesso modo che non
vi si trova alcun significato evidente.
In questo modo bamana o banbara avrebbe acquisito nel
la lingua degli juula il dppio significato, tanto regionale, al
meno di direzione nello spazio, quanto sociale, denotando a
sua volta e indissolubilmente delle popolazioni del Sud, pi
o meno tra il Niger e il Kong (cosa che spiegherebbe perch
il termine ignoto ai viaggiatori arabi), e dei contadini pa
gani. In entrambi i casi si tratta di una categoria relativa che
consente un orientamento pratico nello spazio sociale, non
un concetto. Come non si sa molto bene dove cominciano o
finiscono i bamana, cos a livello locale, nel campo pi ri
stretto della chefferie o del gruppo di villaggi, per un osser
vatore esterno difficile talvolta decidere chi o non ba
mana. Vista la molteplicit di criteri utilizzati, numerose so
no le posizioni intermedie; si tratta di una questione di valu
tazione tra vicini. Si pu divenire bamana perch si beve del
la birra, e divenire juula dal momento che si inizia a pratica
re il commercio. Ci sono dei bamana che si dioulizzano
cambiando progressivamente religione, lingua, patronimi
co, occupazione; altri, al contrario, restano fedeli agli ante
nati, tenendosi al margine dei circuiti commerciali o lo stes
so mantenendo uno stato di ostilit potenziale. Al contrario,
vi sono dei quartieri juula che hanno la loro propria societ

134

JEAN BAZIN

di iniziazione (Poro) al pari dei loro vicini senufo. Alcuni


juula sono di tradizione pi guerriera che commerciale: le lo
ro abitudini di mercenari e i loro feticci, agli occhi delle fa
miglie letterate {mori) (Launay 1982), li fanno facilmente
passare per bamana. Gli apparati militari controllati dagli juu
la, come Kong, reclutano dei guerrieri localmente: bevitori
inveterati ma progressivamente assimilati al mondo juula, la
loro identit diviene velocemente questione di opinione o di
congiuntura. Altrove, come nella regione d'Odienne, per
esempio, il potere detenuto da unaristocrazia militare usci
ta dall'antico impero del Mali: sebbene vi sia un termine
mandingo specifico per definire il loro statuto, tontigP3, es
si possono anche essere designati come bamana, tanto si di
stinguono, per il loro genere di vita e la loro mancanza di ze
lo per l'islam, dai commercianti juula; nondimeno essi sono
di lingua mandingo e loro stessi chiamano bamana la massa
contadina che gli sottomessa. Si comprende in questo mo
do come un mandingofono, a seconda della congiuntura o del
criterio considerato, possa essere condotto a chiamare ba
mana tanto delle popolazioni che parlano la sua stessa lingua,
quanto dei barbari incomprensibili, dei vicini o dei cugi
ni, degli stranieri selvaggi, dal momento che questo signifi
cante dellalterit intrinsecamente relativo.
con questa identit ambigua che, a partire dal XVI se
colo e per tutto il xvn, bande guerriere si infiltrano nella me
dia valle del Niger; mercenari pi o meno nomadi che, in que
sta epoca di disintegrazione dei grandi apparati statuali (del
Mali, quindi di Songhay), vendono i loro servigi alle citt mer
cantili o alle aristocrazie rivali: tanto forze dell'ordine, quan
to bande di predatori, sempre pronti a cambiare padrone o
a servirne due contemporaneamente, tanto temuti quanto in
dispensabili; attraverso questo gioco essi innanzitutto acqui
siscono la possibilit d'installarsi ai margini, quindi, alle spe
se delle popolazioni locali, formando una rete, dispersa o fit
ta, di colonie agricole.
Dal 1559, la presenza di infedeli chiamati banbara (o del
Banbara) appariva un elemento di minaccia agli occhi delle
autorit songhay nella regione di Djenn (Al-Sa'di 1964, p.

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

135

172). Dei predoni dello stesso nome, agli ordini di capi d'o
rigine diversa oppure per proprio conto, sono, come si vi
sto, parte in causa in quelle catastrofi che scatenano, dando
credito ad Al-Sadi, l'intervento marocchino del 1591 (p.
223). Degli ausiliari definiti banbara sono allo stesso modo
utilizzati come fanteria dai capi jallube del Maasina contro
le truppe marocchine nel 1593 e nel 1599 (pp, 274,288); ma
cinquantanni dopo, profittando di una vittoria marocchina,
questi banbara si rivoltano apparentemente contro i loro
padroni:
gli infedeli Banbara s'impadroniscono di tutto ci che passa
sul loro territorio, persone e beni, avendo Dio permesso loro
anche di vendicarsi deiroppressione delle genti del Msina,
della loro arroganza, della loro tirannia, che avevano semina
to il terrore nella regione in ogni luogo e in tutte le direzioni

(p. 411).
Quasi che questi temibili pagani, calamit da cui suppli
care Dio di essere risparmiati, potessero avere Dio dalla lo
ro parte; daltronde, quando nella stessa epoca essi distrus
sero la citt di Shibla, ne rispettarono la moschea27 (p. 420):
la depredazione non esclude infatti le preoccupazioni me
tafisiche ...
Definire queste popolazioni compito particolarmente
difficile. Il fatto che Al-Sadi le designi attraverso uno stes
so nome non implica davvero che esse siano le stesse. Vero
similmente, almeno nella visione che ne hanno i cittadini di
Djenn o i maraka della riva del fiume, questo flusso in
controllabile di guerrieri-contadini viene da sud, da questo
mondo oscuro di trib idolatre che gi ormai da tempo
definito banbara. Dalle attivit multiformi di queste bande
nacque una nebulosa di piccole chefferies rivali da cui infi
ne emergeranno i due potenti stati di Segu e del Kaarta; ora
sappiamo che alcune di questi lignaggi dominanti, che por
tano generalmente come nome di onore1kulubali, sareb
bero venuti dalla regione di Kong28; i kulubali masasi del
Kaarta conservano nelle loro tradizioni il ricordo di Begho

136

JEAN BAZIN

e del regno Gonjia29. Altri kulubali riconoscono - non sen


za reticenze, dal momento che ai loro occhi poco onore
vole - di avere avuto degli antenati che parlavano il minianka. Da una ricerca condotta tra Niger e Bani, a ovest di
Djenn, ricavo la stessa impressione dinsieme: per la mag
gior parte, i quartieri o villaggi detti Bamana sono abitati da
migranti venuti dal sud.
Tuttavia, a mia opinione, costituirebbe uno sforzo ab
bastanza vano interrogarsi sull * appartenenza etnica di
questi nuovi attori della scena politica. Il significato del lo
ro nome va ricercato dal lato della percezione delluniver
so sociale dei gruppi musulmani e commercianti che cos
li chiamano, senza supporre lesistenza di un referente uni
tario gi costituito (etnia, popolo o cultura). Queste ban
de guerriere, certamente di formazione composita, si ac*
crescono lungo i loro percorsi di spostamento di aderenti
di ogni specie: prigionieri in fuga, mercenari "disoccupa
ti o cacciatori senza preda, giovani in cerca di avventura,
ecc. A colpo sicuro, si diviene banbara piuttosto che es
serlo, prendendo partito nei conflitti in corso, seguendo
questo leader o quellaltro. Vi si denomina anche a parti
re dal vostro aspetto (da patibolo), dai vostri atti (violen
ti), in base al luogo di provenienza, chiunque voi siate30. Se
gno di riconoscimento per gli uni, di spavento per gli al
tri. Tra le altre cose questo movimento di colonizzazione
agraria e militare copre una zona molto ampia: a est fino
al Bara - e dal 1716 alcune truppe dette banbara sono ac
campate in piena Timbuktu, con archi, tamburi e trombe,
al servizio di una della fazioni armate che si contendono la
citt31; al nord, fino ai confini del Sahel, nella regione di lin
gua sonink; a ovest, delle bande dette banbara fanno la lo
ro apparizione nel complesso paesaggio politico dellAlto
Senegai nel 175232, ancora prima della formazione dello
Stato masasi del Kaarta. Bisogna davvero supporre che da
un capo allaltro dellAfrica dellOvest si diffonda e si spar
pagli uno stesso popolo? O meglio, che una volta che il pro
cesso avviato, porti con s questo nome un po dapper
tutto, quali che ne siano gli attori? Molti senza dubbio so

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

137

no reclutati sul posto e perdono la loro identit anteriore,


fatto questo che pu suscitare lillusione retrospettiva che,
da una parte o dallaltra, ci fossero gi dei bambara33* I no
mi hanno una storia; vi sono delle congiunture e delle si*
tuazioni locali che fanno s che un nome sia adottato dagli
uni e rifiutato dagli altri. La lettura in termini etnici della
realt sociale una specie di appiattimento, di trasferi
mento su carta, il cui principio ispiratore Poblio ostina
to di questa storia.
Da questo lento movimento dinfiltrazione e di parassiti
smo, pi che di conquista, negli anni 1680-1730, nascono in
fine Sei potentati di una certa rilevanza, di cui il nome ra
pidamente trasmesso, lungo i percorsi e le reti della tratta, fi
no ai mercati senegambiani: il toponimo bambarana ritorna
cos, dopo due secoli di eclissi, nel sapere europeo, ma desi
gna ormai limmensa regione, assai poco conosciuta, che si
estende a est del Khaso fino alle foci del Niger34e di cui i ne
grieri si fanno soprattutto limmagine di uninesauribile ri
serva di schiavi.
In effetti, per estendere ulteriormente il campo seman
tico del termine, se si preferisce, per accrescerne la confu
sione, in Senegai sono ormai chiamati * bambara tutti i pri
gionieri che provengono dalFinterno - un nuovo flusso
che alla fine del XVII secolo, dopo lesaurimento delle zo
ne pi prossime, diviene largamente dominante (Curtin
1975, p. 179). Va da s il fatto che coloro che sono cos eti
chettati nel mercato della tratta formano una specie per
lomeno eterogenea. Non manca tuttavia qualcuno che ri
trova dei tratti comuni. Goldberry (1802,t.1, p. 101) cre
de di poter notare che il "loro colore non un bel nero35,
che le loro teste sono rotonde, i loro capelli lanosi e cre
spi, i loro tratti forti e grossolani, gli zigomi molto spor
genti, il naso molto piatto, le labbra assai grosse e le gam
be storte. Fatto che, aggiunto alla loro stupidit, alla lo
ro pigrizia e al loro linguaggio rozzo e selvaggio, defini
sce probabilmente male la loro etnicit, ma li destina mol
to esplicitamente alla servit. Lamiral riconosce tuttavia che
su cinquanta schiavi che portano questo nome generico

138

JEAN BAZIN

di bambara, ce ne saranno di venti nazioni differenti per


costumi e linguaggio, che tra di loro non si capiscono; si
possono distinguere dalle differenti maniere in cui que
sti hanno il viso e il corpo intagliati . Con questo inventa
rio di scarificazioni - che far la delizia del sapere coloniale.
- comincia nei luoghi di prigionia un'etnografia che si vuo
le obiettiva, ma di cui in qualche modo bisogna essere sod
disfatti, dal momento che, dice Lamiral, io ne ho inter
rogati molti circa il loro paese, ma sono cos stupidi che
pressoch impossibile ricavarne una nozione chiara. Si sa
rebbe tentati di credere che li si prenda laggi in mandrie
e che li si porti senza che sappiano n da dov vengono n
dove vanno (Lamiral 1789, p. 184). Il termine banbara co
mincia cos la sua carriera scientifica come significante ze
ro, come emblema di unignoranza totale.
Questa massa di schiavi venuti dall'interno sicura
mente in parte generata da operazioni militari di diverso ti
po (guerre intestine, scorrerie...), grazie alle quali si costi
tuiscono e quindi si riproducono gli Stati detti bambara.
Tanto che, stranamente, una stessa parola viene a designa
re il cacciatore e la preda, il produttore e il prodotto; ve
ro che la maniera migliore per evitare di essere venduto
ancora catturare, e che tra il guerriero e la sua vittima tut
to rimanda alla sorte del combattimento, anche se tra le ar
mate regali e gli abitanti dei villaggi riparati dietro le loro
mura le chances non sono mai uguali (Bazin 1982, pp. 344
sgg.). D'altra parte, i guerrieri dei masasi e pi ancora
quelli di Segu sono spesso di statuto servile o semi-servile,
essendo una parte dei prigionieri assimilata dall'apparato
militare. Gli europei non Pignorano: nel regno bambara,
scrive Labat dal 1728 (t. 2, p. 357), tutto il popolo schia
vo del Re o dei grandi36 - figura classica del dispotismo.
Ma allaltro capo della catena, in Senegai, la stessa ambi
guit si ripete: a dispetto della loro pretesa stupidit
(che probabilmente non altro che un argomento di ven
dita presso dei compratori doltre Adantico), i bambara
rappresentano reclute preziose: com necessario per di
fendere i forti dei soldati stranieri dagli intrighi locali, in-

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

139

&lso luso di attribuire questo compito a schiavi dell'in


terno, stimati per la loro grande lealt, al punto che nella
prima met del XVIII secolo bambara finisce anche per
significare tutti i prigionieri reclutati come guerrieri in Se
negal37 (Curtin 1975, p. 115): gli antenati dei futuri *timlleurs. In sintesi, predone selvaggio, soldato fedele o
bestiame servile, gi in questa circostanza: a ciascuno il suo
bambara.
Allorch si abbandonano le rive senegambiane, seguen
do ritinerario degli esploratori che sono venuti in seguito,
per penetrare nel bambarana, la grammatica della paroLfrsi modifica. Al momento del suo ingresso nel Kaarta,
Anne Raffenel chiama dapprima uniformemente bambara
gli abitanti del regno, ma presto percepisce chiaramente che,
secondo Fuso locale, non vengono chiamati bamana che i
kulubali, i loro clienti e i loro alleati, i loro prigionieri e i
loro soldati38. In questo senso i kagoro, incontrati pi tar
di da Mage, dalPesterno possono facilmente essere presi per
bambara, in quanto assoggettati ai masasi; ma loro stessi, co
me i loro vicini (jawara, sonink), non attribuiscono questo
nome che all*apparato militare e alFaristocrazia che li do
minano dal 1755.
Accade la stessa cosa con lo Stato di Segu, conosciuto
e temuto da lungo tempo con il nome di Bambara: allin
terno del regno, il termine bamana appartiene infatti al
complesso sistema di identificazioni relative secondo le
quali le diverse comunit che coesistono in questo spazio
politico si definiscono le une con le altre. Bamana, maraka,
somn (i pescatori e battellieri) o fula (gli allevatori) par
lano tutti, con qualche lieve differenza, la lingua mandin
go39, ma sono (o erano) endogami e in principio occupa
no degli insediamenti diversi: sia dei villaggi particolari (i
Marakadugu o villaggi di Maraka, per esempio), sia dei
quartieri spazialmente distinti (sokala) di uno stesso vil
laggio e che generalmente portano i nomi di Bamana (o Bamanan), Marakala (presso i maraka), Somsso (quar
tiere dei somn), Fualala (dai fula). Allutilizzazione
reciproca di questi nomi sono legati diversi stereotipi di cui

140

JEAN BAZIN

non posso fornire in questa sede un'esposizione completa.


Per prendere lesempio del rapporto bamana/maraka si
pu dire che agli occhi dei primi i maraka sono commer
cianti, musulmani e pacifici, se non persino vigliacchi; al
contrario i bamana sono ritenuti agricoltori, feticisti im
penitenti e guerrieri, o piuttosto predoni. Infatti, se, in ge
nerale, i bamana effettivamente disdegnavano le attivit
commerciali, solo alcuni lignaggi maraka praticavano il
commercio mentre per la maggior parte si trattava soprat
tutto di contadini. Quanto all'islam, molti, tra i maraka, non
vi sono arrivati (o ritornati) che recentemente (un movi
mento che investe anche i bamana nella regione). I due
gruppi, eterogenei l'uno quanto laltro, devono per una par
te la loro identit alla differenza che si riconoscono vi
cenda, anche quando si tratti oggettivamente di elementi
pi tenui: per esempio una semplice questione di abbi
gliamento. A Kin, a sud di Bani, un vecchio conflitto op
pone i due quartieri bamana e marakala; il capo di bama
na, un vegliardo pieno di humor, discendente di vecchi
prigionieri-guerrieri (tnjn) dei re di Segu, prende in gi
ro i suoi vicini, su questo tema eterno che labito non fa il
monaco:
non per il fatto che pregano chessi sono dei maraka. Se pre
gano, lo fanno da ieri! Noi eravamo tutti uguali, nessuno pre
gava. Noi veniamo dallo stesso ceppo. Loro sono divenuti ma
raka perch volevano portare degli abiti da maraka (Maraka fi
ni) ovvero dei tessuti neri tinti con l'indigo (gala fini). Prima i
nostri anziani ci impedivano di portare quella roba l. Noi do
vevamo portare degli abiti colorati con la terra argillosa (bgo
lafini). Il fatto che loro sono dei maraka non che una questione
di abito40!

Il criterio religioso appare tuttavia quello maggiormente


preso in considerazione, almeno attualmente, e questo seb
bene ai tempi dei monarchi di Segu molti maraka avesse
ro praticato un sincretismo dei pi sospetti, che comunque
non elimina mai del tutto gli altri criteri. Il termine kafiri
viene impiegato molto raramente, mentre molto pi facil-

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

141

mente, anche negli ambienti letterati di Segou, utilizza


to bamana. Si potr cos dire di un lignaggio maraka (o di
origine maraka) che a una tale epoca era bamana, ovve
ro pagano:
I jir di Togu, un villaggio maraka un po a est di Segou, rac
contano che, dopo una guerra che aveva totalmente distrutto
il sito, essi andarono alla ricerca di un celebre mori (ma
rab), Maamari Kamit, chiedendogli di indicare loro un luo
go pi sicuro e di installatisi con loro. Ma voi siete dei Ba
mana, gli risponde lui, voi portate le trecce! Andate prima
^di tutto a tagliarvi i capelli. Cosa che essi fecero; in seguito tor
narono a trovarlo e gli affidarono i loro bambini per l'inse
gnamento coranico41.

Reciprocamente, si dir spontaneamente di un converti


to recente che divenuto un maraka, anche se l'espressione
pu, in certi ambienti, provocare sorrisi o rettifiche:
quelli di Busn, un villaggio maraka vicino a Togu, affermano
dei loro vicini, gli antichi re (masa) tarawl di Faraku (una
citt di cui Al-Sa'di ci racconta che venne distrutta da infedeli
Banbara nel 1645): questi non erano dei maraka, ma piuttosto
dei bamana dal momento che praticavano sacrifici. Sono dive
nuti maraka da quando pregano. Ma i veri maraka sono quelli
che pregavano dairorigine, si tratta di una discendenza (shiya)
differente42.

Un tale imbarazzo mostra sufficientemente come gli stes


si locutori, dinanzi a uno straniero che suppongono deside
roso di chiarimento, possano diventare coscienti della poli
semia delle categorie che utilizzano quotidianamente e la cui
ambiguit, se non disturbante nella pratica, tuttavia quan
do deve essere esplicitata diviene pura incoerenza.
Se attraverso un nuovo restringimento del campo di
osservazione ci si situa ora airinterno di una di queste co
munit che i loro vicini definiscono globalmente bamana,
vi si noter unaltra utilizzazione del termine, che qui de
signa uno statuto, quello delle famiglie contadine libere, in

142

JEAN BAZIN

contrapposizione alle genti di casta, i gruppi artigianali


specializzati. Essere un numu (un membro del gruppo endogamo per statuto a cui riconosciuto il monopolio dei
lavori dei metalli) o un jeli (i calzolai, conosciuti anche per
il ruolo di griots) significa non essere un bamana. Per
esempio, raccontando la storia comune del villaggio, un
vecchio numu dir come il suo antenato sia venuto a in
stallarsi in quel luogo in compagnia di un bamana43. in
fatti solo in riferimento a un lignaggio bamana in funzio
ne di ospite (jatigi) che un membro di una di queste
caste" pu stabilire la sua appartenenza a una comunit
di villaggio (dugu), intesa come un insieme di essere uma
ni che vivono della stessa terra. Abbastanza paradossal
mente, visto che si concorda nel riconoscere che la regio
ne di Segu apparteneva un tempo ai maraka e che questi si
considerano a questo titolo come gli ospiti" di tutti gli al
tri gruppi, i bamana appaiono come le genti della terra
per eccellenza: gli artigiani, ma anche eventualmente le
genti del fiume o gli allevatori, devono necessariamente
passare attraverso la loro mediazione per assicurarsi la coo
perazione della terra e la generosit dei suoi benefici, co
me se tutti soffrissero di unincapacit rituale maggiore ri
guardo a ci (quale che sia la loro eventuale capacit tec
nica a divenire agricoltori).
A Kalabugu, per esempio, sulla riva sinistra di fronte a
Sgou, i bari del quartiere Fulala (presso i Fula), oggi
agricoltori, sono considerati come i fondatori del villaggio.
Ma il quartiere bamana, del quale tuttavia si dice che gli
abitanti sono giunti a installarvisi dopo i fula (Fulaw /),
che fornisce il signore del suolo, incaricato dei sacrifici
comuni annuali, cos come i sacerdoti del Grande Cailcedrat {ala ha ), un luogo di culto particolarmente repu
tato della regione44. In numerosi villaggi della zona centrale
dellantico regno, Bamana il nome del quartiere dei si
gnori del suolo (dugukolotigi ), di coloro i quali avevano
o hanno ancora (quando la loro linea di discendenza non
si estinta, cosa che capita di frequente) il controllo rituale
della prosperit delle coltivazioni, quantunque i prigio

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

143

nieri-guerrieri dei re abbiano spesso approfittato del loro


numero e del loro potere per attribuirsi la parte migliore
delle terre. A Sando, per esempio, a sud-ovest di Sgou, gli
attuali abitanti sono in parte dei discendenti di guerrieri
dlite chiamati sof, e il quartiere bamana non esiste pi,
ma se ne mantiene la memoria. Coloro i quali, in un vil
laggio, hanno dissodato il terreno , {tninw ye tu tig: quel
li che hanno tagliato la boscaglia) mi si spiega, loro so
no quelli di Bamana45. Sebbene coltivatori a tempo par
ziale, i soldati del re sono anche loro degli specialisti e
spesso degli stranieri. Genti della guerra, prodotti e ripro
dotti dalla guerra, la terra non di loro competenza. Cu
riosamente, coloro i quali sotto il nome di bamana o ban
bara si sono fatti la terribile e consolidata reputazione che
si conosce, nel momento che ritornano al loro focolare, qui
vi trovano alcuni pi bamana di loro nella persona di
questi contadini di antica discendenza o ritenuti tali, e a
questo titolo incaricati di mantenere il legame contrattua
le tra gli esseri umani e la terra.

L'invenzione dell*etnia
Da questa analisi troppo succinta mi aspetto almeno
qualche effetto di turbamento. Pi si moltiplicano i signi
ficati del nome, pi le logiche che ne regolamentano Tuso
si intrecciano, meno si sa dov e letnia. I bamana sono pro
prio l, in carne e ossa, ma la loro etnia evaporata. Co
me per i fantasmi, la questione non di sapere se essa esi
ste o meno, ma quali sono le condizioni della sua appari
zione: non si tratta di un affare di credenza, ma di una de
scrizione clinica.
Vorrei ora ripercorrere questo cammino in senso in
verso; linvenzione delletnia procede in effetti in contro
senso (o in cortocircuito) rispetto a un tale inventario se
mantico. Per fare s che il nome acceda al suo statuto et
nologico, e alla sua funzione di designazione di unentit
unica, i bambara, necessario sottrarne elementi di senso,

144

JEAN BAZIN

impoverirlo della sua ambiguit attraverso operazioni di


prelievo, di selezione, di censura che gli conferiscano l'u
nivocit. L'etnia apparir in questo modo in negativo, co
me il residuo scientifico di una polisemia pratica contraria
alla razionalit etnologica come alla ragion di Stato. Cer
tamente il termine bamana non privo di senso nella lin
gua, almeno in alcune di quelle parlate da coloro che lo im
piegano (a meno di prendere sul serio le etimologie fanta
siose che ne sono fornite); a questo titoo si tratta di un no
me proprio che merita la maiuscola e che non dovr esse
re tradotto46. Per sapere quello che vuol dire in linea di
principio sarebbe dunque sufficiente farsi indicare il suo
riferente: chi Bamana (o Banbara)? Ma a questa doman
da, come si visto, vi sono tante di quelle risposte che la
ricerca di un'identit assoluta e originaria (da cui tutte le
altre deriverebbero) resta uno sforzo vano; al punto che, a
dire il vero, questa mancanza rappresenta in un certo mo
do il senso ultimo della parola; la sua indeterminatezza la
rende appropriata alla denominazione di insiemi multipli
e anche, quando ve ne sia bisogno, alla sua funzione di et
nonimo. Perch per il fatto che esso non designa rigidamente nessuno, ciascuno dei suoi impieghi assume il va
lore di assegnazione relativa a una classe: contadino,
guerriero , schiavo, pagano , pagano del Sud,
schiavo dellinterno, predone o mistico... Tutto si dis
solve connotando una caratterizzazione evanescente dove
ha sempre perduto chi non pu essere altro che re-instau
rato per decreto; simulacro di nome proprio - di cui let
nia rappresenter il referente introvabile - che conviene tra
sformare, attraverso una serie di operazioni appropriate, in
un autentico nome proprio47.
Questa apparizione dei bambara non deriva da una
mutazione improvvisa; bisogner seguirne i balbettamen
ti esitanti negli archivi coloniali delPesplorazione e della
conquista. Nel racconto del viaggio di Binger, pubblicato
nel 189248, i principi tassonomici sono tutti gi presenti; an
dando intanto oltre le fasi confuse delPembriogenesi, si
giunge cos direttamente alPatto di nascita in buona e ap

di CIASCUNO IL SUO BAMBARA

H5

propriata forma, cos come si trova in Haut-Sngal-Niger


IDelafosse 1912). Ricordiamo che si tratta di un lavoro di
compilazione critica realizzato a partire da monografie ri
chieste ai comandanti di circoscrizione dal governatore
Clozel nella sua circolare del 15 gennaio 1909, Queste mo
nografe dovevano fornire, tra le altre cose, delle informa
zioni sui "gruppi etnici rappresentati nella circoscrizione.
Tra i documenti che il comandante doveva fornire in alle
gato figura una carta geografica scala 1/200.000 indican
te la divisione della circoscrizione amministrativa in pro
vince o cantoni e in razze1 (indicare ogni razza attraverso
w& combinazione di tratteggi separati da ampi intervalli
m modo da conservare alla carta tutta la sua chiarez'za)9(Delafosse 1912, documenti annessi, t. 1, p. 27). Si ri
tiene che Delafosse, attraverso un lavoro di rimaneggia
mento e coordinamento, ricostruisca il puzzle e ricavi da
questi dati emersi in maniera eclatante attraverso le cir
coscrizini amministrative, la realt dei popoli, presen
tandone inoltre una classificazione metodica ed esaustiva:
da una parte gli individui e le loro comunit vengono di
stribuiti in unit amministrative, dallaltra li si ricompone
in etnie; si tratta di un solo gesto che pone reciprocamen
te in una composizione ordinata due modalit comple
mentari di identificazine dei soggetti dello Stato colonia
le. un'impresa propriamente ideologica, di sistematizza
zione e di consacrazione colta del sotto-sapere allo stato
pratico di cui disponeva, nel bene e nel male, lammini
strazione locale dellepoca e che a essa in questo modo ri
torna, rivestito di una sanzione scientifica di rispettabilit
- una sintesi che Delafosse avrebbe voluto come provvi
soria ma che arriva a essere utilizzata per formare genera
zioni successive di amministratori e fornire il quadro del sa
pere scolastico imposto agli amministrati.
I banmatta - scrive Delafosse - sono comunemente chiamati
bambara, non solo dagli europei, ma ancora dalla maggior
parte dei popoli del Sudan che li circondano (...). E assolu
tamente certo che, per i musulmani del Sudan in generale e per

146

JEAN BAZIN

quelli della foce del Niger in particolare, la parola bambara de


signi non gi un popolo determinato n una trib speciale, ma
l'insieme di tutti i sudanesi che vivono in mezzo o accanto ai
musulmani e che sono rimasti fedeli alla religione indigena:
cos che i dioula di Sikasso e della regione di Kong chiamano
bambara i snoufo
che a Sikasso l'espressione bamabara-kan significa non gi la lingua mand n il dialetto mand
dei banmana, quanto piuttosto la lingua snoufo. In seguito,
Pimpiego del termine bambara, senza discernimento, ha pro
dotto dei risultati spiacevoli (...). Perci preferisco astenermi
completamente da questa espressione dal valore anfibologico
e designer sempre il popolo di Sgou, del Bldougou, ecc.
come si designano essi stessi, ovvero attraverso il termine banmana (pp. 125-126).

Si tratta di un testo fondatore di tutta la bambarologia fu


tura; esso non constata, ma decide; non si tratta tanto di stu
diare i fatti linguistici quanto piuttosto di riformare le rego
le di dizione e appropriatezza. Questo il motivo per cui il
tono quello di un impegno, la forma quella di un atto so
lenne, ovvero di un'operazione avente effetto di diritto aJToccorrenza un atto di battesimo* I bambara sono gi l, co
me un individuo ritenuto esistere precedentemente rispet
to al nome che gli viene attribuito, ma sono stati registrati sot
to un nome che non il loro. Si impone l'esigenza di una cor
rezione, una cancellazione iniziale che ristabilisca la vera
identit.
La prima operazione consiste nel fissare strettamente la
procedura di identificazione, come richiesta da una sana
pratica amministrativa. reputato francese ogni individuo
in possesso di documenti autentici che ne facciano fede: co
me si bambara? Con questo genere di sotto-nazione pro
blematica, di nome proprio dal portatore incerto, si deve de
cidere. Malauguratamente non si riconosce unetnia dal suo
aspetto, come un uomo. I criteri somatici, vista Pantichit
e la complessit dei mescolamenti (migrazioni individuali,
schiavit, unioni interetniche...), non sono affidabili. I co
lonizzatori, allinizio, non hanno in bocca che il termine
razza49, non solo perch Pidea alla moda, ma perch non

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

147

esiste assoggettamento pi profondo di quello che si im


prime attraverso i tratti fisici; tuttavia essi giungono rapi
damente (almeno in questa contrada) a definire, in man
canza di meglio, la razza per mezzo della lingua. Il fatto
che questa sia detta materna rivela abbastanza chiaramen
te che di pertinenza del " quasi fisico, del substrato ge
nerico pi che dei rapporti sociali. Il metodo linguistico di
classificazione, osserva Delafosse nella sua introduzione,
che non tiene conto che del livello o dellassenza di paren
tela delle lingue parlate dai diversi gruppi, presenta un van
taggio incontestabile:
quello di essere basato su dei dati attualmente esatti, facili da
controllare e che, una volta stabiliti, non lasciano spazio a di
scussioni ulteriori (...). La classificazione dei popoli di questa
colonia (Haut-Senegal-Niger) sulla scorta dei loro idiomi sen
za dubbio quella che offre il numero maggiore di garanzie e la
pi praticamente utilizzabile (p. I l i )

Da questo punto di vista la confusione che fa s che po


polazioni che parlano lingue di famiglie diverse ("mande
o "senufo) vengano designate attraverso uno stesso ter
mine, bambara (o altrimenti, quantunque ne dica Delafos
se, spesso bamana), certamente in primo luogo "spiace
vole, ma spiacevole per chi? Grazie alla classificazione co
struita da Delafosse, i "bamana sono ormai uno dei cinque
"popoli del "gruppo del centro della "famiglia mand50.
Ne deriva in particolare che ogni bambara che parla senufo
un falso bambara. I comandanti possono cos in tutta
tranquillit riempire la casella RAZZA nei documenti che
rilasciano agli indigeni, i quali infine possono apprendere
in una maniera certa se sono o no dei bambara. Laltro in
teresse consiste nel fatto che, una volta che la terminologia
viene purificata da questa "spiacevole confusione, i bam
bara diventano in un sol colpo enumerabili e cartografabili. Il rigore del nome rende manifesta la realt obiettiva di
un popolo. A differenza dei bambara di cui nessuno cono
sce molto bene chi sono o dove sono, i banmana cos ri

148

JEAN BAZIN

definiti, costoro sono 538.450 (pp. 142 sgg.)51; restano sem


pre 538.450 nel 1924 (Monteil 1924, p. 3), nel 1927 (Tauxier
1927, p. X II)52 e nel 1942 (Tauxier 1942, p. V ii); il loro ha
bitat si estende dalTl 1 al 14 grado di latitudine nord, e dal
7 all 11 grado di longitudine ovest, salvo se si intende in
globare i gruppi pi periferici; in quel caso occorre esten
dere questi limiti dal 9 al 16 grado di latitudine nord e dal
5 al 12 grado di longitudine ovest (Tauxier 1927, p. X l)5\
Questa inscrizione cartografica delletnia viene ripresa da
Germaine Dieterlen nel 1951. Cos, della sostanza i bambara
hanno almeno la perennit.
Si suppone che se un popolo esiste possiede la sua lin
gua, che rappresenta la manifestazione immediata e irrefu
tabile della sua identit. Si sa quale apparato complesso
presupponga la laboriosa imposizione di una lingua nazio
nale unica, quali possibilit di resistenza o di accomoda
mento offra la pratica del multilinguismo; ma letnia rite
nuta parlare naturalmente la "sua lingua, come la gazza
gracchia o lelefante barrisce. Secondo la casualit dei cen
simenti o degli interpreti, delle frontiere si trovano cos
tracciate su carta, negli archivi e negli schedari, tra comu
nit simili che da diverse generazioni praticano lo stesso bi
linguismo. Tra lingua mandingo e lingue senufo per esem
pio, il confine per secoli senza dubbio stato fluttuante, se
condo le congiunture politiche, i flussi e i riflussi delTislam, le strategie di espansione o di ripiegamento dei dif
ferenti gruppi di uno stesso spazio politico, e cos via. Se si
avesse avuto meno rispetto della lingua e pi del discorso,
ci si sarebbe domandati perch il criterio linguistico possa
non essere riconosciuto pertinente agli occhi degli attori
stessi, al punto che chi non parla pressoch pi senufo pu
essere definito bamana proprio cos come chi non parla
ancora veramente dioula. Allo stesso modo, sono ritenuti
maraka anche dei soninkofoni piuttosto di altri che parla
no mandingo da secoli e che spesso non hanno alcun ricordo
di avere mai parlato il sonink. Si possono chiamare fula po
polazioni che non sanno pi una parola di peul o che ma
gari non lhanno mai parlato. Questo non significa che la dif

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

149

ferenza delle lingue sia sconosciuta, ma che appariva se


condaria in tale contesto, sebbene potesse essere eventual
mente esplicitata in altro ambito; si dir per esempio ma
raka fin (neri) e maraka Je (chiari) a seconda che si par
li mandingo o sonink; cos bamana fin pu designare quel
li che parlano senufo.
La seconda operazione quella di neutralizzazione. Per
far s che bambara sia veramente un nome appropriato oc
corre ripulirlo da ogni connotazione, in particolare da quel
le spiacevoli. Come potrebbe unetnia essere designata og
gettivamente attraverso un termine spregevole!
la denominazione bambara (,..) nel linguaggio corrente assume
molteplici accezioni. Per il musulmano, il bambara l'infede
le, il pagano, il bevitore dalcool; per gli allevatori (mauri, peul),
il bambara il coltivatore e anche "il Negro (...); per coloro
che hanno detenuto o detengono il potere, il bambara lo
schiavo; per tutti il primitivo, lindividuo socialmente infe
riore. A forza di essere impiegato in questo modo come un
semplice epiteto, questo vocabolo ha assunto un valore peg
giorativo al punto di divenire qualche volta uningiuria grave.
Da ci la necessit di ritornare al "senso stretto della parola,
alla sua accezione ristretta (Monteil 1924, p. 9).

Ma il "semplice epiteto rispetto al senso stretto ha


in pi il vantaggi di essere effettivamente impiegato. In
quale enunciato il senso potr essere ritenuto puro da ogni
connotazione, negativa come positiva? Anche quando at
tori sociali si riconoscano questo nome, invece di vederse
lo solamente attribuire dagli altri, comunque ancora in ne
gativo, per opposizione a taluno o talaltro gruppo (le gen
ti di casta, le genti del fiume) di cui cos viene affermato
implicitamente che non lo merita, che non vi ha diritto.
Letnologia costruisce qui, per i bisogni della sua causa e
attraverso lastrazione, uno spazio metasociale nel quale i
soggetti, dotati di unidentit assoluta, coesistono senza
essere in relazione, nel senso in cui i generi e le specie coe
sistono in un trattato di zoologia. Supponendo che, nel gio

ISO

JEAN BAZIN

co dei nomi collettivi di cui gli attori dispongono per de


signarsi mutualmente, alcuni siano neutri (pu darsi quel
li che fanno riferimento a dei toponimi)54, rimane il fatto
che occorre trovarli e censirli, invece di generare, attraverso
una serie di cancellazioni riconosciute o meno, un puro ar
tefatto.
In virt di questo principio, se bambara vuol dire pa
gano , questo non un etnonimo e lo stesso nel caso con
trario55; ora, dal momento che si suppone che questo deb
ba essere un etnonimo, coloro i quali gli conferiscono que
sto senso religioso commettono un puro e semplice abu
so linguistico. Daltronde, per rimanere sordi rispetto a
una differenza cos immediatamente percepibile quale quel
la delle lingue (mandingo e senufo), non bisogna forse ave
re lo spirito oscurato da qualche potenza dellirragionevo
le, quale il fanatismo musulmano, in nome del quale gli
infedeli - o piuttosto, secondo lespressione molto laica
di Delafosse, tutti coloro che sono rimasti fedeli alla reli
gione indigena - sono tutti da mettere nello stesso sacco?
Come affermer Tauxier, a torto che Caill e i suoi com
pagni di strada chiamano bambara le popolazioni che in
contrano tra Tim e Djenn; egli non ha visto i bambara,
sebbene li nomini (1942, p. 32); lui ha visto dei veri pa
gani, ma che sono dei falsi bambara e in realt dei senufo.
Come possono gli juula sbagliarsi in questo modo nellu
so che fanno della loro propria lingua? Non sanno forse
quello che dicono? E in che modo Delafosse e Tauxier
possono saperlo meglio? Da dove deriva loro questa cer
tezza sovrana e legiferante di quello che sarebbe il vero uso
dei nomi?
Di fatto, come si visto, non che ogni infedele sia de
finito banbara. certamente verosimile che, nel linguaggio
quotidiano dei militanti del Jihad condotto da al-Hajj Umar,
banbara sia divenuto un sarcasmo sprezzante di uso genera
le; diversamente tra coloro i quali intraprendono la resisten
za alla dominazione dei fuutaka, figurano un buon numero
di maraka per i quali il riferimento allislam ritenuto dav
vero spesso assai sospetto, ma che gli informatori di Mage a

'&OASCUNO IL SUO BAMBARA

Segu non confondono in alcun modo con i banbara. Senza


considerare i fulbe di Maasina che nessuno immaginerebbe
di definire banbara, anche se attraverso delle sottili arguzie
giuridiche Umar ha trovato il modo di accusarli di essere
iotedeli.
Al contrario, assai improbabile che un individuo o un
gruppo detto banbara o bamana sia musulmano - una valu
tazione d'ordine religioso e necessariamente implicata in
ogni utilizzazione del termine, fatto salvo il caso in cui essa
sia esplicitamente negata (sono dei bamana, ma che ora si
sono messi a pregare). D fatto di non essere un musulmaB%costituisce pertanto uno dei criteri didentificazione pra
tica dellinsieme bamana, sebbene non sia mai lunico.
questo il motivo per il quale il governatore Clozel aveva un
bel dire a ordinare che si dividessero nettamente le etnie da
'una parte e le religioni dallaltra, in queste circostanze non
possibile: tutti i bambara censiti sono dei non-musulmani
CDelafsfe 1912),
Terza operazione: per farne un puro etnonimo, ne
cessario anche dissociare il significante bamana/banbara da
tutte le sue utilizzazioni sociali o classificatorie. Delafosse
conosce assai bene il fenomeno di slittamento semantico
attraverso il quale un termine normalmente utilizzato per
designare una comunit vicina pu arrivare a significare
una specializzazione professionale. Allo stesso modo in
cui il nome degli auvergnati da noi stato per lungo tem
po sinonimo di portatore dacqua e quello dei savoiardi
sinonimo di spazzacamino, ugualmente e senza mag
giore esattezza juula o maraka un modo di dire com
merciante (p. 125); sebbene ci sia una parola nella lingua
per designare questo mestiere {jagkla in mandingo). In
apparenza un etnonimo in questo modo si trova sostitui
to al termine appropriato, ma si tratta generalmente di
una situazione pi complessa. Invece di proseguire lin
terminabile dibattito - juula, nome di un popolo o di un
mestiere? - sarebbe preferibile domandarsi se il termine
juula designi, sempre e dappertutto, qualsivoglia com

152

JEAN BAZIN

merciante. A Segu, a titolo di esempio, un juula un com


merciante "del Sud (i mercanti di cola per esempio); un
maraka un commerciante "del Nord, in relazione so
prattutto con i mauri (schiavi, tessuti, cereali,..). In altre pa
role, in questo contesto, i significati juula/commerciante
non si sovrappongono completamente. Rimane il fatto che
per un bamana i due termini evocano necessariamente que
sta attivit, il commercio, che lui non pratica o addirittu
ra disprezza e la cui distribuzione sociale contribuisce a de
finire la sua identit.
Agli occhi di Delafosse, questa utilizzazione socioecono
mica di un etnonimo rappresenta un'estensione illegittima,
un'inesattezza da correggere. Ma la questione non consiste
tanto nel fatto di giudicare quanto piuttosto di sapere se ef
fettivamente vi siano delle utilizzazioni del termine conside
rato che non implichino alcuna connotazione di questo ge
nere. evidente che noi possiamo (in particolare al giorno
d'oggi) dire "auvergnate senza pensare in alcun modo a un
portatore d'acqua. Ma non sempre stato possibile in Europa
dire "un ebreo senza designare nello stesso tempo il mestiere
di prestatore a pegno o il ruolo di usuraio. E ancora, in un
contesto in cui il termine significherebbe esclusivamente un
abitante della Giudea, non davvero sicuro che anche at
tualmente verrebbe compreso da tutti.
Essere un bamana a Segu (tranne che nel linguaggio di
venuto "puramente etnico di coloro i quali oggi vivono nel
le citt) significa necessariamente occupare un certo statu
to sociale che corrisponde insieme a una posizione nel si
stema di ripartizione degli incarichi o dei "doni. Delafos
se riconosceva bene il fatto che "al di sotto o dentro del
le "trib (la cui somma d luogo a un raggruppamento
etnico) vi sono delle "suddivisioni sociali come le caste, le
classi e i clan; ma, afferma lui stesso, non conviene tenerne
conto all'interno di una classificazione puramente etnica
(p. 113). in questo modo che, senza dubbio con la preoc
cupazione di introdurre elementi di chiarezza, Delafosse de
creta: "io ricollego ai bamana la casta dei somono (pescatori
e battellieri) (p. 139). evidente il fatto che questa asse

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

153

gnazione autoritaria non presenti alcun significato in rela


zione al contesto locale (visto che nel 1912 i somn for
mano ancora un distretto a parte): "genti dellacqua (jilamaa) e non genti della terra ferma (glekamaa), pescato
ri e non agricoltori, di statuto gerarchicamente inferiore,
abitando in quartieri distinti, i somn non possono esse
re dei bamana in nessun contesto, salvo che in Haut-Sngal-Niger di Delafosse; allinverso essere un bamana signi
fica anche, nel linguaggio pi quotidiano, non essere un
somn, n un jeli, n un numu...
Delafosse stesso, a dire il vero, non lignora: egli osserva
mteffetti:
queste caste differenti non sono specialit del popolo banmana, le si ritrova sotto gli stessi nomi presso gli altri popoli mand
e, con altri nomi, presso la maggior parte dei popoli del Sudan.
In ogni popolo dato, i membri di queste caste non sono desi
gnati dagli indigeni sotto il nome del popolo, ma sotto il nome
delle loro rispettive caste; tuttavia, dal punto di vista etnico, con
viene incorporarli nellinsieme del popolo (p. 139).

Non si saprebbe dire di meglio che il punto di vista et


nico fa riferimento pi al colpo di forza che al sapere; che
le categorie degli attori si ritiene possano piegarsi a ogni co
sto alla bella armonia del quadro classificatorio stabilito a lo
ro insaputa o a loro spse; che la descrizione sarebbe pi
esatta e pi semplice se non si supponesse che bamana do
vesse essere allinverso e contro ogni evidenza, un nome di
popolo.
Per esempio, sarebbe possibile prendere sul serio il fat
to evidente che in molti contesti, compresi quelli contem
poranei, un bamana implicitamente un conoscitore di
cose bamana, non pi solamente al negativo un infe
dele quanto piuttosto al positivo un esperto. Mettendo da
parte il periodo del Jtbad, ai tempi dei re di Segu come og
gi in una crta misura, il dominio magico-religioso as
sume soprattutto la forma di un mercato concorrenziale e
tollerante. A chi desidera potere, ricchezza o salute si of~

JEAN BAZIN

freno due strade: slamya , lislam, e bamanaya. Da un la


to la ricerca del favore divino attraverso la preghiera (ka
seli) e il sacrificio-elemosina (saraka ) grazie allinterces
sione di marabouts (mori), spesso, a Segu, dei maraka;
dallaltro la manipolazione, attraverso la mediazione di
oggetti carichi di potere (boli o feticci), che controllano
sia gli individui, sia le societ di culto (Komo, Nama ecc.),
e attraverso il sacrificio di sangue (ka sn ), delle forze na
scoste del cosmo. Di questo insieme eteroclito di rappre
sentazioni e di servizi rituali, individuato localmente at
traverso il termine bamanaya e che non deve la sua coe
renza apparente ad altro che alla sua situazione di rivalit
nei confronti delle pratiche islamiche (o reputate tali), si
data unimmagine certamente inesatta vedendovi in pri
mo luogo lespressione di una cultura etnica particolare (la
religione bambara); allorch a dire il vero ciascuno pu
acquisire, attraverso un periodo di apprendimento suffi
ciente presso i migliori maestri, la reputazione di un ba
mana esperto, quale che sia la sua identit di origine o la
sua razza56.
Infine, ultimo sedicente argomento decisivo, sono au
tenticamente bamana coloro i quali si autodefiniscono in
questo modo (a differenza di coloro i quali sono definiti
bambara dagli altri); i veri bamana non saprebbero in effet
ti sbagliarsi circa il loro nome e sono dunque necessariamente
quello che dicono di essere. Letnologia e lamministrazione
pretendono in questo modo di riconoscere a questo popolo
la sua vera identit, che i suoi vicini, ignoranti, malintenzio
nati o fanatici, gli rifiutano.
Si visto come Maurice Delafosse si impegni perso
nalmente a non fare uso di altro termine se non quello nel
quale gli interessati si riconoscevano: banmana. Nei fat
ti linvito che lancia alla comunit scientifica non avr ri
cadute in termini di effetti. Come noter Tauxier nel 1927,
sebbene il loro vero nome sia piuttosto bamana, non
dimeno il termine bambara, con questa ortografia dive
nuta classica, ora passato nella lingua etnografica euro
pea: questo il motivo per cui meglio attenervisi

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

155

(Tauxier 1927, pp. XVII-XVIII)57. E si tratta di ci che io ho


fatto, da parte mia, scrivendo Petnonimo alla francese, ma
riportando il termine in trascrizione (bamana, banbara)
cos com ancora (in margine alla cultura dominante) o co
s come era utilizzato dagli attori.
Nel 1912, la decisione terminologica di Delafosse pu
essere enunciata con unautorit tanto pi serena dal mo~
mento che gi da pi di mezzo secolo che questa distinzione
tra "bambara e bamana conosciuta e ripetuta. Di fatto,
tanto Barth quanto Raffenel58 non forniscono altro che
un'informazione di ordine linguistico: invece di dire banba
ra ^ome a Timbuktu o in Senegai, i mandingofoni di prefe
renza dicono bamana; nozione esatta, ma relativa, dal mo
mento che degli juula o dei maraka possono chiamare in
mandingo bamana gli stessi che gli altri chiamano banbara
nella loro lingua (sonink, songhay, arabo...).
Cosa significa daltronde autonominarsi? Letnologia
porta ancora con s molte ingenuit su questo tema. Il no
me che io mi do giustamente uno pseudonimo e quello
che viene riconosciuto come il mio altri me lo hanno at
tribuito o trasmesso. Al contrario, supponendo che ordi
nariamente mi si chiami con un nome che non il mio,
questo nome nondimeno definir la mia identit. La de
nominazione non un enunciato che concerne la verit,
non si tratta della constatazione di uno stato di fatto. Se
quello che io interpello si gira, significa che effettivamen
te risponde a questo nome. Dal momento che un popo
lo esiste in quanto attore storico collettivo, esso si ricono
sce necessariamente un nome, quale che sia - come simbolo
tra gli altri della sua unit. Il fatto che sia obbligatorio de
cidere per decreto quale sia Petnonimo giusto basta a in
dicare che letnia non equivale ad alcuna delle unit poli
tiche reali, sia perch talora non ve ne sono di immediata
mente individuabili (societ segmentane), sia perch
non le si prende in considerazione.
Non vi nessun bisogno, in effetti, di ricercare sotto qua
le nome si designa il popolo di Segou; semplicemente
il popolo di Segu, Segukaw, le genti di Segu; non ha altro

156

JEAN BAZIN

nome; come accade molto spesso, il nome della capitale ser


ve da riferimento all'identit politica. Se ci si dice bamana,
10 si fa per distinguersi gli uni dagli altri, per lo statuto, la fun
zione, la vocazione o i "doni particolari, ma sulla base di un
destino comune di soggetti dei re di Segu.
L'etnia, il "popolo" in quanto rubrica di una classifica
zione, si divide in trib e sotto-trib, come la famiglia
in generi e il genere in specie. In questo modo i bamana di
Delafosse si ripartiscono tra molteplici frazioni politiche
e geografiche: kaartanka, bldougouka, sgouka, baninkola, ecc. (Delafosse 1912,1.1, p. 139). Si dir che qual
che sostanza soggiacente, al di sotto della storia, viene a co
lare in questi differenti stampi, cosicch la bambarit ar
riva a dividersi in insiemi regionali di cui alcuni sono degli
Stati e altri delle unit senza esistenza politica prima della
colonizzazione: baninkkaw , per esempio, designa sola
mente l'insieme eterogeneo di popolazioni che, dal punto
di vista di loro vicini del Nord, abitano aldil del Bani\
In seguito, a questo substrato fittizio si attribuiscono delle
istituzioni politiche; si giudica in merito alla sua capacit o
incapacit di generare delle forme statali59. O meglio, si di
stingue tra dei bambara con Stato e dei bambara senza
Stato: quelli del Segou e del Kaarta, afferma Charles Monteil, offrono rispetto ai loro consimili questa particolarit
degna di nota di avere dato vita a degli imperi gloriosi
(1924, p. 1). Sarebbe pi opportuno interrogarsi quando,
attraverso chi, da quale punto di vista questo o quello Sta
to ha potuto essere conosciuto attraverso questa denomi
nazione di bambara, visto che designarlo in questo modo
non significa semplicemente declinare la sua identit (co
me se si dicesse lo Stato francese) - il riferimento toponi
mia) (Segu, Kaarta) sotto questo aspetto sufficiente quanto piuttosto dirne qualcosa, assegnargli un epiteto,
lusinghiero per alcuni e spregevole per altri.
Nessun nome di per s il nome di un popolo, ma ognu
no pu diventarlo. Basta che un popolo se ne appropri; non
c' un'essenza che preesiste alla sua formazione: esso deriva
11 suo nome da ci che trova, per effetto delle circostanze o,

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

157

secondo necessit, attraverso un elemento costituente arbi


trario. Lasciando da parte il punto di vista etnico, si resti
tuisce al nome bambara il suo divenire. Il fatto che questul
timo non designa "per natura alcun insieme oggettivamen
te determinato non leva nulla alla sua esistenza storica, al con
trario. La sua indeterminatezza fondamentale piuttosto lo vo
ter a incarnare bene dei destini, a mascherare con successo
delle divergenze.
Ai tempi del Jihd di al-Hajj Umar e della dominazione
dei fuutaka su una larga parte dellAfrica delTOvest, nel mo
mento in cui, in maniera per la verit assai debole, si rea
lizzata unalleanza contro il nemico comune - che andava dai
principi Masasi e Ngolosi, da un secolo rivali acerrimi, fino
agli abitanti dei villaggi del Bldugu o a sud del Bani, fero
cemente gelosi della loro autonomia - possibile abbiano co
minciato a prendere corpo i banbara.
Stranamente, questo termine alienante utilizzato da dei
conquistatori sicuri della propria fede per confondere, fa
cendoli ricadere tutti sotto uno stesso termine obbrobrio
so, i loro nemici pagani, razziatori e metafisici, potuto di
venire il significante di una nazione in via di costituzione.
Lo studio resta ancora da fare, ma sotto lo Stato coloniale
e i suoi prolungamenti fino ai giorni nostri, le nazioni, an
che cariche di passato, divengono delle etnie allo stesso ti
tolo delle societ frammentate in micro-unit indipenden
ti. Che i gruppi vengano classificati e identificati con laiu
to di procedure insieme amministrative e scientifiche rap
presenta il rovescio di una libert perduta: quella di attri
buirsi il nome da s. vero che da questa etichetta in par
tenza arbitraria, o anche talvolta assurda, pu nascere una
nuova identit politica, in grado di sopportare rivalit e re
sistenze in uno stesso spazio politico sovrano. Qui si fer
ma la mia riflessione. Che le etnie divengano eventual
mente dei soggetti, che le divisioni coloniali si trasformi
no in referenze culturali indispensabili ed "evidenti per
gli attori contemporanei, tutto ci non deve implicare che
se ne proietti la figura in un passato in cui esse non aveva
no alcun senso, e che a esse venga accordato, con il prete

JEAN BAZIN

sto della legittimazione, il beneficio delTeternit. Il nostro


compito piuttosto davvero di liberare la conoscenza del
la storia dal peso delle sue deviazioni coloniali o postcolo
niali. Ci suppone che, dolorosamente o pericolosamente,
Tantropologia cambi i suoi oggetti di studio.

1Una cronaca scritta verso il 1650 da Al-Sadi, un letterato nato a Timbnktu


e residente per lo pi a Djenn. Heinrich Barth il primo europeo ad avervi avu
to accesso (cfr. Barth H. 1857, p. 282: Barth attribuisce a torto lopera al cele
bre Ahmad Bab).
2 Letteralmente, nel magismo{tnajsiyya). un termine applicato allorigi
ne allo zoroastrismo c che viene comunemente utilizzato per designare le reli
gioni senza scrittura (cfr. Cuoq 1975> p. 13, nota i).
3 Sar consigliato, oppure necessario, avere una metafisica coerente per en
trare nella storia?
4 Monteil 1932, pp. 124-125 (il tsto ripreso dalla sua Monographie de
Djenn, 1901).
5 vero che alla stessa epoca altri li trovavano tristi e lavoratori. Cfr. Moreau de Saint-Mery 1797,1.1, p. 49, e Pruneau de Pommegorge 1789, p. 185.
6 Sono debitore a Christiane Bougeroi dei riferimenti sulle Antille e gli so
no per questo grato.
7 Quella di Dozon - vedi anche il suo contributo in questo testonel mar
zo 1981.
8 Louis Tauxier (1927) e Germaine Dieterlen (1951) hanno evidentemente
ognuno di loro une Religion Bambara.
9 (...) il numero delle parole che la scienza impiega per designare le clas
si che essa costituisce preso in prestito dalluso ordinario in cui esse servono
a esprimere la visione, spesso polemica, che i gruppi si fanno gli uni degli altri.
Come trasportati dalla loro ricerca di una sempre maggiore obbiettivit, i so
ciologi quasi sempre dimenticano che gli oggetti che essi classificano sono a
loro volta produttori di pratiche oggettivamente classificabili, ma anche di ope
razioni non meno oggettive di classificazioni, per altro esse stesse classificabi
li (Bourdieu 1979, p. 189).
10Un esempio estremo pu essere rappresentato da J ack Goody (1962): in
mancanza di termini collettivi e appropriati effettivamente utilizzati dagli atto
ri, Goody designa gli insiemi che gli appaiono pertinenti attraverso delle espres
sioni vemacolari di orientamento spaziale (quelli dellovest , "quelli dellest).
11 Si vedano i barbares (barbari) e gli altri berber, vale a dire i baragouineurs \ coloro il cui gergo propriamente inumano. Barbara (plur. ai-Barabir) viene sovente utilizzato dagli autori arabi per designare diverse e miste
riose popolazioni dellAfrica sudanese (cfr. lindice di Cuoq 1975). possibile
che Banbara debba il suo successo a questa quasi omofonia. Molti di questi ap
pellativi di disprezzo - Nyam-nyam, Kado, Caffres... - sotto la colonizzazione
hanno acquisito uno statuto di etnonimo.

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

159

12 Tauxier 1927, pp. vn-vni. Niafounk (Nyafiink) a sud-ovest di Timbuktu, in una regione dove i fulbe (peuls) formano, come dice lo stesso
Tauxier, la popolazione dominante. Vi certo qualche villaggio detto bam
bara al sud del circoscrizione, ma Tauxier non sembra averlo visitato. Linter
prete in questione un fuutaka (Toucouleur), vale a dire un discendente dei
guerrieri venuti a conquistare Segou nel 1861 dopo i fuuta senegalesi sotto la
guida di al-Hajj Umar. Ma, nota Tauxier, ha vissuto a Sgou sino a quindici
anni in pieno territorio bambara, ci che gli vale lappellativo di meticcio Poullo-Bambara (Tauxier 1942, p. 5).
13H Fadougou (Faadugu) a nord di Banamba e dipendeva tuttavia dai ca
pi di Danfa, vassalli del re di Segu. Secondo Mage proprio in questa regione
che 1idioma bambara domina e non il sonink.
14 Kagr un termine dal significato oscuro che pu essere avvicinato al
nome del paese (Kagrt, Kaarta): i kagr saranno considerati dall'etnologia
coloniale come i meticci dei bambara e dei sonink.
15Cfr. sulle carte il Kagr-Mountan: nel Kaarta detto "nero "(bine). Por
tare i capelli intrecciati ritenuto un costume particolarmente bambara. In ef
fetti le modalit con cui si diffuso questo tipo di acconciatura restano ancora
da studiare. Continuare a acconciarsi in questo modo sotto la dominazione dei
fuutaka costituisce, per io meno in un adulto, un segno di resistenza o anche di
provocazione, o, secondo altri punti di vista, di feticismo inveterato.
,16 II laballakh (laballakh in sonink, kdala in mandingo) ha allora per
capitale Touboula a sud-est di Mourdian (Murujan). Questo tipo di scarifica
zione costituiva in particolare il segno delle genti di Segou; da cui pu esser
si diffuso per effetto di una moda pi ampia (cfr. Monteil 1924, p. 313; Person
1968,1.1, p. 78, nota 1).
17Dalla scena di palabre [discussione pubblica che di solito aveva a che ve
dere con questioni di rivendicazioni territoriali, N.d.TJ osservata da Mage a
Dianghirte (Mage 1868, pp. 136-137), egli comprende chiaramente che i kagr,
anziani abitanti del villaggio, sono stati raggiunti e spossessati della loro iden
tit: i fuutaka, con quella ignoranza sovrana tipica dei conquistatori* li chiama
no bambara esattamente come gli altri!
18 Si dice secondo le regioni banmana, bamanam o bamana; personalmen
te ho adottato la pronuncia in uso a Segou.
19 verosimile che bamari e banbara siano (come pensa Delafosse 1912,1.1,
p. 126) delle varianti dello stesso nome. Lo studio linguistico resta da fare e va al
di l delle mie competenze; noter solo che questo genere di alternanze (bama/banbat sama/sanba) frequente nelle lingue della regione e che possibile quindi ipo
tizzare una parentela con i nomi collettivi delle lingue senufo (il singolare cebaon
al plurale diventa cebabele e all'indefinito cebara o cenbara, Le. Tyembara).
20 Pu essere che questo valga loro lopportunit di formare una sola clas
se nella nomenclatura coloniale: i Miniankas si trovano arbitrariamente ag
giunti agli altri gruppi per costituire linsieme senufo.
21 Secondo Delafosse, i juula direbbero solo Banbara kan e non Bamana kan;
ma inesatto. Essi impiegano indifferentemente le due forme (cfr. per esempio
la Table ronde sur les orgines de Kong 1977). Nel 1977 osservai io stesso che i
miniankofoni parlano in lingua mandingo (sono sovente bilingui), chiamano Bamuna kan la loro propria lingua e Juula kan quella mandingo.

i6o

JEAN BAZIN

22 Secondo un testo scritto nel 1162 da Ab Hamid al-Ghamati (cfr. Cuoq


1975, pp. 169-170) molto rappresentativo delle idee comunemente acquisite in
materia.
23 Banbara, che al plurale banbir, a Timbuktu si pronuncia benaber (cfr.
Barth H. 1857, p. 246).
24 Delafosse apprende che un popolo porta questo nome nella regione di
Nnsso, Kouiiala e Kouoro (1904, p. 193), vale a dire lungo Tasse nord
est/sud-ovest in cui giunge Caill recandosi a Djenn, La distinzione che De
lafosse prova a introdurre tra i bamana e i banmana di lingua mandingo
non regge; non c che un solo termine, diversamente nasalizzato, e che ef
fettivamente pronunciato con un tono basso sulla seconda sillaba (cfr. anche
Chron 1921, p. 560), che ricorda che la parola minianka sconosciuta agli
interessati, Essi si definiscono sempre ancora oggi bamana (come mi ha con
fermato Jean-Paul Colleyn) a dispetto delluso generale che riserva questo ter
mine ai mandingofoni.
25 La pi in voga minwye banma na, quelli che rifiutano il maestro, va
le a dire, a discrezione, i ribelli e gli infedeli. Ma vi stato certamente un pe
riodo totemico (bama significa coccodrillo).
26 O tuntigty coloro che possiedono un astuccio per le frecce (su riserva
di studi ulteriori sulla parola tun). In maniera significativa, turitig pu anche
sostituirsi a banbara per designare i pagani. A proposito di Nafana (la regio
ne dOdienn) cfr. Person 1968,1.1, p. 168.
27 Essi risparmiano anche la casa nella quale abitava A lS adi. Shibla o Si
bila, vicina dellattuale Sansanding, era la capitale {maudugu) del Sana.
28 Questo sar il caso degli antenati del primo re di Segu, Maamari Kulu
bali. Le fonti sono molteplici ma lanalisi, piuttosto delicata, non pu essere con
dotta in questa sede.
29 Cfr. il racconto di Raffenel (1856,1.1, p. 365). Le knidougou di Raffenel (o Gwnyekr, in certe tradizioni) potrebbe essere il Gonja.
30 Per esempio, le truppe di Banbara che, secondo Al-Sadi, distrussero
nel 1645 (1964, pp. 418 e 420) Shibla e, a sud del fiume, Faraku, sarebbero sta
te guidate, secondo quanto ho appreso, da capi kyta, vale a dire dalle genti
del Mand o maninka. Ma in questo contesto e dal punto di vista dei cittadi
ni musulmani, questa identit non pertinente.
31 Cfr. Tadhkirat al-Nisyn 1966, p. 71. Il Bara la provincia situata a nordest del lago Debo.
32 Cfr, la lettera del direttore del Forte di Saint-Joseph, il 24 febbraio 1752
(Archives nationales de France, C 6 13).
33 Certe tradizioni attestano la presenza di bambaras al nord del Niger ben prima del XVII secolo (cfr. Ba, Daget 1962, p. 20). Ma nulla prova che
queste popolazioni portassero gi questo nome allepoca. Questa identit
stata data loro o riconosciuta ulteriormente per assimilazione (cfr. Gallais
1967,1.1, p. 90).
34 Cfr. per esempio la carta di G. Delisle del 1726 e la memoria di Charpemtier del primo aprile 1725 (Archives Nationales de France, C 6 9).
35 Lei di un cioccolato scuro - commenta Tauxier (1942, p. 29) - men
tre gli ouolofs sono di un nero pi bello: si tratta di diverse qualit di legno
debano...

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA


36 Sui prigionieri guerrieri di Segu, cfr. Baziti 1975.
37 La loro lealt non gli impedisce eventualmente di ribellarsi. Nel 1737, a
Farabana, i prigionieri del forte si impadroniscono dei cannoni, attirando a s
molti dei loro fratelli al punto che i francesi, temendo che essi vogliano forma
re uno Stato, fanno ricorso alle truppe del Fuuta-Toro (Lettera del comandan
te di Saint-Joseph, 22 luglio 1737. Arch. Nat. de France, C 611).
38 Cfr, per esempio Raffenel 1856,1.1, p. 270, dove egli oppone i bambaras presi in massa (di cui pensa molto bene) ai kulubali con i loro prigionieri
e griots (di cui pensa molto male). Dal suo racconto storico (pp. 363 sgg.) si ca
pisce chiaramente che i bamana (bamanaos) sono i masasi e i loro alleati per
opposizione alle popolazioni locali sottomesse*, kaartas (cio kagr), genti
dijafunu, Jawara... (p. 367).
39 Fino a prova contraria, non considero che esista una lingua propria
mente bambara. Il fatto principale (cfr. Person 1968, p. 47) lesistenza di una
^ lingua che permette lintercomprensione in una larga parte dellAfrica delTOvest e che logico chiamare mandingo poich la sua estensione almeno par
zialmente dovuta allimpero dei mandenka o maninka, le genti di "Mand. Le
parlate locali sono molteplici e resta da fare il loro censimento. Non si parla lo
stesso mandingo a Sgou, a sud di Bani, nel Bldugu, sebbene tutte queste re
gioni siano dette bambara. Notiamo che la lingua veicolare dominante nel Ma
li attuale chiamata bambara, e corrisponde a quella che in Costa dAvorio
il doula.
.
40 Nota di campo, 15 dicembre 1975. Il copricapo detto "fauci del cocco
drillo {barn da) fa parte dellabbigliamento normale del Bamana e serve come
simbolo, alloccasione, di riconoscenza. Sembra che portare il vestito da maranka sia stato interdetto in alcuni rituali.
41 Nota di campo, 9 agosto 1970.
42 Nota di campo, 8 agosto 1970.
43 Racconto di Kncni Kn sulla fondazione di Kndimini (31 dicem
bre 1968). Da questo punto di vista i bamana si oppongono ai nyamakala (lin
sieme dei gruppi della casta degli artigiani). Unaltra gerarchia distingue i con
tadini liberi o franchi (hron) dai prigionieri o dai discendenti dei prigionie
ri (jn, woloso). Il termine bamana pu cos utilizzarsi anche in questo registro.
Si ritrova lo stesso uso presso i minianka foni: ad esempio, essere bamana non
vuol dire essere tuntun (fabbro), e viceversa: sebbene, anche in questo caso,
il termine non sia propriamente un etnonimo, bens unidentit relativa. E co
s per i differenti gruppi detti snoufos. Tiona Ouattara (Les Tiembara de Korbogo, tesi dellUniversit Paris 1,1977, p. 69) ritiene che la parola snoufo"de
rivasse da senaon (plur. senambek), coltivatore; e sottolinea, in appoggio al
la sua tesi, che i membri delle caste di artigiani ( fononbele o "fabbri, ad
esempio) chiamano senanbele gli agricoltori, vale a dire gli altri Snoufos. Sa
rebbe meglio dire che il termine Senufo, generato dalle classificazioni colonia
li (cfr. Launay 1982, p. 17), ha valore di designazione etnica globale.
44 Essi hanno conservato queste funzioni anche dopo la venuta di una fi
glia del re e dei suoi prigionieri e fabbri, i cui discendenti formano oggi la mag
gioranza della popolazione. Nota di campo, 28 giugno 1969.
45 Questo uso del termine spiegherebbe, forse, perch frequentemente ri
portato che i primi abitanti di Mand sarebbero stati i bamana: si pu sup

iz

JEAN BAZIN

porre che sia, in questo contesto, un modo di designare gli autoctoni, quali che
siano (senza cos escludere che dei non-mandingofoni abbiano popolato pri
mitivamente il paese).
46 Io stesso per i gruppi definiti caste (numu, jeli, kule, ecc), che a di
re il vero non dovrebbero essere tradotti da termini professionali. Il nome non
designa il mestiere, ma il gruppo che ne ha il monopolio: per questo che si pu
essere numu senza aver mai praticato il lavoro d fabbro.
47 U fatto che un nome proprio classifichi colui che si nomina o colui che
nomina (cfr. Lvi-Strauss 1962) non gli impedisce di denominare effettiva
mente qualcuno. Non indifferente che io chiami il mio cane Pleas piutto
sto che Medor; ma certo il mio questo cane, e non un altro. Che ogni de
nominazione significhi non vuol dire che "non si nomini mai, In questo
caso, al contrario, il nome si esaurisce tanto nello sforzo di classificare che la
sua funzione di nome proprio si diluisce.
48 in particolare in questo testo che i bammana sono definiti come una
branca della famiglia (o della razza) mand ; cfr. Binger 1892,I,2, pp. 372,
375,386.
49Delafosse propone di riservare il nome di razza alle grandi divisioni della specie umana e considera come sia "assolutamente improprio riparlare di
razza peuT o di razza mand (1912, p. 112). U termine continua tuttavia, an
che oggi, a essere utilizzato in questo senso, quello di etnia o di gruppo etnico
derivante da una lingua pi importante.
50 Cfr. (pp. 111-112) la tavola che classifica i trentasei popoli di "razza ne
ra rappresentati nel territorio. Delafosse obbligato all'occorrenza a essere in
fedele ai suoi principi tassonomici: a ogni popolo (o raggruppamento etni
co) corrisponde una lingua; eppure i banmana non parlano che un dialet
to differente e dovrebbero essere considerati, a questo titolo, come una "trib.
51 Dopo la nomenclatura (di famiglie, gruppi e popoli) vicine la riparti
zione numerica per circoli (per i bambara, p. 150).
52 Tauxier ne aggiunge solo 2.000 in Costa dAvorio (per fare cifra tonda:
540.000).
531 luoghi di occupazione eccentrica della razza sono i Kaarta allovest e
la circoscrizione di Niafounk a Tesi.
54 Si pu notare che Maraka fa riferimento a un toponimo (le genti di Ma
ra); ma siccome nessuno sa pi dove sia Mara, il termine assume lo stesso va
lore relativo di bamana. Allo stesso tempo mandenka, le genti di Mand, de
signava innanzitutto Tapparato politico dell'antico impero del Mali (prima di
diventare un etnonimo: i malink): questo perch nella lingua delle genti di
Djenn il termine significa "i guerrieri, in opposizione a wangara, i commer
cianti (Tarikh al-Fattsh 1964, p. 65).
55 II dibattito su questo punto antico. NeTAme sociologique 1909-1912
Marcel Mauss sottolinea a proposito dellopera del religioso Henry (1910) che
la parola bambara un termine generale che designa i pagani e non un po
polo in particolare (p. 154); e aggiunge: Nulla daltronde pi diffcile che de
limitare i raggruppamenti sudanesi. La parola bambara (...) un appellativo am
ministrativo che non ha valore linguistico. allo stesso tempo possibile che i
bambara siano stati musulmani, e poi abbiano cessato di esserlo . Nel 1927
Tauxier (p. XVll) risponde: c una razza bambara appartenente alla grande fa

A CIASCUNO IL SUO BAMBARA

163

miglia Mand e decisamente distinta dalle altre razze negre feticiste. Il grande
pmiio distinguere i veri bambara di razza da quelli che si chiamano bambat i nel senso di pagani, feticisti, e che non sono verosimilmente dei bambara,
cos i senufo (...). Nello stato attuale delle nostre conoscenze SullAfrica occi
dentale la distinzione facile da fare.
56 Da questo punto di vista secondario che linformatore privilegiato sia
*toucoleurrt (Fuutaka) di origine. il caso dellinterprete di Tauxier, che evo
cavo pi in alto, come di Dyodo Diallo, 1;intervistato principale anche di Dielerien, per nulla bambara, ma effettivamente esperto di bamamya. sufficien
te ammettere che non descrive per nulla la religione di un'etnia, ma degli ele
menti frammentari di un complesso di rappresentazioni e di prtiche comuni a
ratta la regione e a disposizione di chi le voglia usare, fatta eccezione per gli in
terdetti, i segreti e i diversi monopoli.
57 Notiamo che per Tauxier tra le due forme esiste solo differenza di pro
nuncia, non si tratta di nomi distinti. Il modo in cui gli interessati lo pronun
ciano pi autentico, ma limportante come, per Monteil, rilevare il senso
^stretto della parola, quale che sia la forma-registrata e la sua ortografia.
58 Barth H. 1857, t. 3, p. 246 (bamanon) e Raffenel 1856, p. 363 (ba
mana, al plurale bamanaos, i.e. bamanaw).
59 Secondo Tauxier (1942, p. 8), i bambara non sono mai stati in grado di
fondare dei regni e le dinastie di Segu e di Kaarta sarebbero di origine peul. In
fatti i bambara, in quanto indefinibili, sono certamente capaci di tutto!

Hutu e tutsi in Ruanda e in Burundi


Jean-Pierre Chrtien

d esistenza delle etnie hutu e tutsi in Ruanda e Burundi


rileva uno strano insieme di evidenze. Ecco delle "etnie che
non si distinguono n per lingua, n per cultura, n per la sto
ria e tantomeno per lo spazio geografico occupato. Certo le
voluzione sociale e politica contemporanea dei popoli ruandesi e burundesi ha proposto questa separazione come una
realt sovente tragica. Ma, molto prima degli avvenimenti del
1959-1963 in Ruanda e di quelli del 1972-1973 in Burundi,
Fevidenza dellopposizione definita etnica si imposta agli os
servatori sotto un doppio registro: quello delle formule ste
reotipate, riprese in maniera ossessiva nei reportages o nei ca
taloghi turistici come nei rapporti degli esperti e nelle re
censioni accademiche; e quello di un immaginario falsamen
te ingenuo, come in quel saggio fotografico del 1957 do
ve tutti i bahutu del Ruanda erano ripresi in profondit su
un fondo di erbe o di terra battuta e vestiti in maniera suc
cinta, mentre i batutsi si staccavano in contro-profondit,
su uno sfondo azzurro cielo, con i profili etiopici calcola
ti, insieme alle silhouette delle vacche dalle coma lunghe. Si
gnori tutsi e servitori hutu vengono messi in scena con le
posture e labbigliamento che conviene agli uni e agli altri co
me in certi film etnografici dellepoca dove il mondo tradi
zionale veniva presentato attraverso sequenze di un vero ro
manzo fotografico (Maquet 1957). Le miniere del re Saiomone, un film girato in Ruanda e uscito nel 1950, contribuir
a riattualizzare in un vasto pubblico europeo la fantasmago

166

JEAN-PIERRE CHRTIEN

ria egiziana elaborata da pi di un secolo. Roland Barthes, a


proposito di un film dello stesso stile, pot scrivere: Di fron
te allo straniero, lOrdine non conosce che due condotte en
trambe come mutilazioni: o riconoscerlo come marionetta o
neutralizzarlo come puro effetto delTOccidente (Barthes
1957, p. 184).
In Ruanda, alla vigilia dellindipendenza, anche gli am
ministratori pi convinti, i coloni pi limitati o i missionari
meno sottili potevano concedersi l'illusione di comprendere
questo esotismo ragionevole in modo da poter agire su una
societ feudale da manuale scolastico.
In ogni caso, lo sguardo gettato su questo paese lo situa
va fuori dal tempo, gli negava la sua storia e anche gli effet
ti dellimperialismo coloniale. Le etnie, in questo ambito
ideologico, sono dei fatti di natura e lazione moderna de
gli Stati rigettata sotto i discorsi teorici della civilizzazio
ne. Solo unanalisi storica rigorosa permette di mettere in
luce il processo che ha condotto a cristallizzare le coscienze
etniche nei paesi senza etnie degne di questo nome.

Un*eredit della razziologia del XIX secolo: camiti e bantu


I
due paesi furono attraversati per la prima volta dagli eu
ropei nel 1892 (Oscar Baumann in Burundi) e nel 1894 (il
conte von Gtzen in Ruanda). Ancor prima che vi mettesse
ro piede, la teoria che tracciava i ritratti contrastanti del ne
gro dellAfrica delle tenebre e del misterioso Orientale ve
nuto ad avventurarsi fino a l gi era stata forgiata a partire
dai contatti con le altre regioni dellAfrica e dalle riflessioni
antropologiche dellepoca.
attorno alla Bibbia e al Vicino Oriente che il dibattito
si era intrecciato a partire dalla prima met del XIX secolo: la
linguistica, larcheologia e lesegesi razionalista giunsero a
mettere in discussione la negritudine attribuita fino a quel
momento a Cham e a rimpiazzare la discendenza di que
stultimo nella razza caucasica bianca. Il poligenismo ave
va condotto gli intellettuali a vedere nei Neri in quanto ta-

SIT U TUTSI IN RUANDA E IN BURUlfol

167

( ' i rappresentanti di unaltra specie umana. I viaggiatori


\ he si avventurarono verso il Niger, lo Zambesi o lAlto Ni
lo scoprirono che gli africani non corrispondevano affatto al
; cBodello del negro caricaturale che si vedeva allepoca sulle
msegne dei tabaccai e che lo raffigurava volentieri come lansbesi della statua greca antica, tipo ideale delluomo bianco.
Le impressioni estetiche giocarono sin dall'inizio un grande
ruolo nel gettare le fondamenta dei saperi antropologici. Le
etnie furono molto presto classificate, non senza contraddi
zioni fra gli osservatori, secondo il loro grado di bellezza,
di "intelligenza, di fierezza o di organizzazione politica;
Etetti culturali, morali e fisici dovevano concorrere in ma
mera coerente alla gerarchizzazione delle popolazioni (Chr1977a).
La soluzione di queste contraddizioni fu trovata verso la
met del XIX secolo da alcuni linguisti sotto forma di un ve
to gioco di parole: il rovesciamento del senso della parola cha~
mta, sempre pi utilizzata, sotto linfluenza dei filologi te
deschi, in hamita, per designare degli africni "superiori, in
qualche modo dei neri sbiancati, quelli che gi altrove ab
biamo definito come "falsi negri1. La mania della classifi
cazione e delTetichettamento, eredit delle scienze naturali
del XVIII secolo, trova in questo modo la sua soddisfazione.
Ma il grande dibattito sullunicit della specie umana, sulle
48razze e sulla sorte da riservare alla Tavola delle Nazioni del
la Genesi fu certamente determinante per il successo di que
sta nuova terminologia.
La tesi delle grandi migrazioni nord-sud, le pi recenti del
le quali dovevano essere le pi evolute, e lo schema socio-bio
logico dei meticciamenti presentati come fonti delle culture
intermedie fra la barbarie e la civilizzazione ispirarono les
senza delletnologia africanista della fine del XIX secolo e
della prima met del XX. Lefvre, un esponente della scuola
di antropologia di Parigi, nel 892 fornir la sua ricetta:
Seguendo a ritroso il cammino degli invasori e la distribuzione
geografica dei vincitori e dei vinti, soprattutto il grado di me
ticciamento, che misura la durata dei rapporti forzati fra gli au-

i68

JEAN-PIERRE CHRTIEN

toctoni e gli ultimi arrivati si finisce per supplire ai dati storici


assenti (Lefvre 1892, p. 69).

Quella che spesso si chiamata storia nelle monogra


fie o nei manuali dellepoca coloniale si riduce in effetti a una
serie di ipotesi delletnologia diffusionista. La teoria delle
aeree culturali, sviluppata allinizio del XX secolo da auto
ri tedeschi come Ankermann (1905, pp. 54-84) e quasi uffi
cializzata dalle riedizioni incessanti del manuale di Baumann
e Westemann su Ipopoli e le civilizzazioni dell'Africa, di fat
to una teoria degli strati culturali. Le variazioni sono lette
in termini biologici di meticciati differenziati: le espressioni
hamito-nilotico, negroide , bantu hamitizzato spesso
eserciteranno il ruolo di spiegazione dellAfrica orientale.
La maggior parte della civilizzazione viene quindi attri
buita a uninfluenza straniera, in particolare asiatica confor
memente al miraggio orientale che si ritrovava in questepo
ca nello sviluppo del mito ariano. Il naturalista Franz Stuhlman, uno degli esperti pi ascoltati in seno allamministra
zione tedesca prima del 1914, in una monografia del 1910,
in relazione allartigianato in Africa dellEst, scrisse: A pro
posito di ogni tratto di civilizzazione in Africa, bisogner
sempre domandarsi se questo non venga dallesterno e cio
dallAsia (Stuhlmann 1910, p. 77).
proprio in virt di questa visione, considerata scienti
fica, che gli autori proporranno di vedere nei galla i discen
denti di una scorreria dei Galli, nei fang unondata tedesca,
nei peul dei giudeo-siriani dellantichit, nelle rovine dello
Zimbabwe una costruzione fenicia o negli zulu dei discen
denti di Smer. Chi pu giurare che queste elucubrazioni sia
no oggi del tutto sparite? Nel maggio del 1970 Fautore di un
racconto etnologico sul Ruanda tradizionale affermava
che il suo soggiorno in questo paese gli aveva permesso di es
sere contemporaneo dei grandi intellettuali di Sumer e di
scoprire una regalit meravigliosa le cui capitali ricordano
i campi mongoli del Medioevo (Del Perugia 1970)! Sono
quindi del tutto evidenti le implicazioni razziste dellimma
ginario letterario e scientifico riguardo ai popoli dellAfrica

HUTU E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

169

nera. Lopposizione del negro in quanto tale e delThamifa divenne il motivo ricorrente dei manuali specializzati tra
gli anni Trenta e i Cinquanta. Quello di Charles Seligaman ripubblicato molte volte e tradotto in francese dal 1935 -, ne
resemplificazione pi nota: le civilizzazioni dellAfrica
sono le civilizzazioni degli hamiti (...) i conquistatori camiti
erano dei caucasoidi pastori arrivati a ondate successive, me
glio armati e dallo spirito pi vivo di quello degli agricoltori
negri dalla pelle pi scura (Seligman 1930).
Nel 1948 un medico belga pubblic un piccolo libro re
datto al ritorno da un soggiorno effettuato in Ruanda-Urundi sotto la tutela belga (Sasserath 1948), nel quale si pu tro
vare un siffatto ritratto dei batutsi: Li si chiama batutsi. In
realt sono degli hamiti, probabilmente di origine semitica o,
seguendo talune ipotesi, hamiti o meglio adamiti. Rappre
sentano circa un decimo della popolazione e formano nella
realt una razza di signori (pp. 27-28). Gli hamiti sono al
ti 1,90 metri. Sono slanciati. Possiedono un naso diritto, la
fronte alta e le labbra sottili. Si intravede in loro una sorta di
furbizia, celata da una certa raffinatezza. Le donne giovani
sono davvero molto belle e di una tinta talvolta leggermente
pi chiara di quella degli uomini.
Si trattava, secondo Sasserath, di discendenti di una mi
steriosa razza rossa, quella di Adamo in persona e delle pri
me civilizzazioni ( !), secondo un libro esoterico del 1906 su
gli adamiti: la formazione medica non vaccina sempre con
tro la fantasia sul terreno delle scienze umane...
La letteratura religiosa cristiana, da parte sua, ha conti
nuato a giocare un ruolo essenziale in questo dibattito antro
pologico, non solo a causa della presenza sul posto dei mis
sionari, ma anche perch i detentori del racconto biblico sul
la dispersione dei popoli si sentivano obbligati a rispondere
alle sfide della scienza. Questo sforzo apparir per esempio
nei diversi manuali pubblicati dopo il 1880 dal sutpiziano Vigouroux fino al suo Dizionario della Bibbia del 1926.
Lepisodio della Torre di Babele ha preso il posto di quel
lo della maledizione di Cam come episodio saliente. E allo
ra che i chamiti, puniti per questo atto di orgoglio, saranno

170

JEAN-PIERRE CHRTIEN

respinti verso le terre pi lontane e le pi bruciate dal sole.


L'opposizione fra hamiti e negri viene in questo quadro
spiegata in due maniere: i primi sarebbero i sopravvissuti del
l'ondata pi recente di questi esiliati; o i frutti del meticciato tra i figli di Cam e di Sem, vale a dire hamiti semitizzati. questa la teoria sostenuta per i bahima e i batutsi del
la regione dei Grandi Laghi da due Padri Bianchi, lolande
se Van Der Burgt nel 1903 e il francese Gorju nel 1920, ri
conosciuti come due autentiche autorit in materia.
In questo modo il monogenismo biblico venne salvaguardato e la diversit delle razze riconosciuta. Altrove la
lezione morale della maledizione di Cam fu invece recu
perata in maniera edificante per le societ industrializzate e
urbane contemporanee: creatori dei primi imperi, delle pri
me citt e delle prime civilizzazioni, i camiti sarebbero sta
ti pervertiti dagli eccessi del progresso. Questi neri portato
ri delle tracce della loro origine orientale divennero come i
simboli del degrado piuttosto che della primitivit. Nel suo
Dizionario del 1926 padre Vigouroux sosteneva che so
prattutto la forza al servizio di una civilizzazione tutta mate
riale, in seno alla quale regna il pi grande disordine mora
le. Una visione penitenziale della storia, caratteristica del cat
tolicesimo del XIX secolo, che si connetteva senz'altro al pes
simismo gobineiano nella sua teoria delle razze.
Si dir che risaliamo sino al Diluvio; ma Papplicazione di
questa griglia di lettura delPAfrica orientale pu essere seguita
di autore in autore a partire dal 1863 e fino ai nostri giorni:
sono le bibliografie di questi ultimi che di fatto ci hanno
condotto a questo metodo regressivo. impossibile riassu
mere in questa sede il gioco di filiazione intellettuale che ha
portato allo schema etnico evocato all'inizio di questo inter
vento. Non c dubbio che gli assi essenziali della costruzio
ne ideologica alla base della situazione propria del Ruanda e
del Burundi dovevano essere sottolineati.
L'ideologia hamitica si tradusse in questa regione attra
verso l'ipotesi di una migrazione galla del XVII secolo. Nel
1863 l'esploratore Speke avanz questa idea, ripresa poi in
cessantemente sino agli anni Cinquanta. Ritornato dall'In

m W J E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

dia in Africa per scoprire le "sorgenti del Nilo, questo in


glese apprezz molto lospitalit dei sovrani che lo accolse
ro nella zona dei Grandi Laghi (a Karagwe e a Buganda),
l'organizzazione dei loro regni, la bellezza delle persone del
la corte, che gli ricordano addirittura i somali incontrati in
una precedente spedizione. Stupefatto di questa raffinatez
za nel cuore del continente oscuro, diede vita a una "teo
ria personale e cio quella di unascendenza etiope (galla)
dei pastori bahima incontrati in queste corti regali. Attra
verso una tale ipotesi vennero create le "aristocrazie pasto
rali di questi paesi (anche a Buganda, dove non esistevano
in quanto tali) come popoli a parte, quasi asiatici, che ri
scossero un successo amplificato nellimmaginario che evo
ca le sorgenti del Nilo e le "montagne della luna dopo To
lomeo di Alessandria (Speke 1864).
I
viaggiatori europei successivi a Speke, lettori dei suoi
diari e affascinati dallo stesso romantico immaginario, ri
presero il suo schema per spiegare le realt socioculturali
che li sorpresero in queste regioni. A questo riguardo sono
rivelatori i commentari di Oscar Baumann e del conte von
Gtzen che accompagnarono le prime descrizioni del Bu
rundi o del Ruanda. Il primo descrive i batutsi come dei "ca
valieri briganti di un impero scomparso i quali si distin
guevano per i "tratti abissini e "una pelle pi chiara di
quella degli altri abitanti2. Il secondo deduce la "natura no
made dei batutsi dalla corte del re guerriero Kigeri Rwabugiri evocando la teoria di Speke come se si trattasse del
la tradizione propria del Ruanda: dei "pastori hamiti ve
nuti dai paesi galla assoggettarono una "trib di negri
bantu e cio gli agricoltori sedentari wahutu (von Gt
zen 1895). Questa separazione etno-razziale non era co
munque ancora stata assunta a dogma al punto da oscura
re totalmente losservazione tant che von Gtzen dir che
"nel Ruanda propriamente detto capi e assoggettati si so
no gi pressoch completamente assimilati nei loro usi e co
stumi. Non infatti possibile, il pi delle volte, distingue
re il Mhuma (1895)3 dagli agricoltori n dallarmamentario
tanto meno dall'abbigliamento.

172

JEAN-PIERRE CHRTIEN

Ma nel mezzo secolo seguente lo sguardo si sistematizz


e lipotesi di Speke si consolid in una vera vulgata interlacustre che fece di questa regione dellAfrica una seconda
Etiopia, nonch il paradiso del mito hamita fondamental
mente fondato sulla dinamica di ima convinzione quadru
plice: di una natura allo stesso tempo storica, biologica, cul
turale e religiosa.
Lo schema delle invasioni venute dal Nord-Est forn la
soddisfacente illusione di una ricostruzione storica. Le leg
gende delle origini (quella degli eroi fondatori Bacwezi in Ouganda, Kigwa in Ruanda, Ntare Rushatsi in Burundi) vennero
di fatto recuperate in questo senso, tanto da favorire etimo
logie fantasiose: secondo Van der Burght, gukara, essere fe
roce in kirundi, faceva riferimento ai galla! I successivi re
sponsabili dellamministrazione o delle missioni in Ruanda e
in Burundi, totalmente impregnati di questa letteratura, non
potevano che essere convinti del carattere orientale, egizia
no o etiope, quindi straniero, dei batutsi. Il governatore Pier
re Ryckmans, negli anni Venti e Trenta, comparava i batutsi
a Ramsete n o Sesostris (Ryckmans 1936, p. 34). Il pi gran
de successo di questa ideologia fu di far dimenticare il sen
so iniziale della definizione: la parola hamita venne sgan
ciata dal suo riferimento biblico per essere tradotta con bru
no rossastro (si direbbe secondo larabo). ci che per
esempio sosteneva il canonico De Lacger, un francese dive
nuto storico ufficiale del Ruanda e anche docente nel semi
nario di Kabgayi, in un suo libro pubblicato nel 1939 e ri
stampato nel 1959.
La classificazione biologica trov il suo sbocco nelle im
prese sofisticate delle misurazioni. Nel 1950-51 fu condotta
da Jean Hiemaux (1954) uninchiesta antropologica delllRSAC dAstrida su 879 persone, su una popolazione allora sti
mata intorno ai quattro milioni di abitanti per linsieme del
Ruanda-Urundi. Adottando in partenza lassioma delle in
vasioni successive, considerate come costitutive delle cate
gorie hutu e tutsi, si intraprese la selezione di buoni campioni
di questi tipi umani, ripartiti per piccoli lotti su tutto il ter
ritorio con laiuto degli amministratori belgi, dei capi locali

m m j TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

e delle missioni, veri "conoscitori delle questioni indigene.


E del tutto inutile dire che si sarebbe trovata alla fine ci che
si cercava fin dallinizio ovvero ladeguamento della categoizzazione sociale con un incasellamento somatico. Tuttavia,
fc conclusioni presentarono delle sfumature, dovute al rigo
re auspicato dal ricercatore, che sorpresero persino le auto
rit che avevano favorito l'impresa. In particolare, lo studio
si astenne dal ricorrere al vocabolario estetico abitualmnte
impiegato per fornire dei colori pi adatti ai ritratti. Per
esempio, nel 1902, Lon Classe, futuro vescovo del Ruanda,
notava che i batutsi
sono uomini superbi, dai tratti fi&i e regolari, con qualche cosa che ricorda il tipo ariano o
quello semitico (p, 385). evidente l'ideologia soggiacen
te: come scriver Franois Mnard nel 1917, il mutuisi " un
europeo sotto una pelle nera (cit. in Gahama 1983, p. 275).
Senza negare la frequenza pi o meno grande di certi tratti
nei gruppi umani considerati, bisogna riconoscere che si as
siste alla costituzione di un vero e proprio stereotipo razzia
le la cui soggettivit si legge nel limitato numero di campio
ni presi come tipo ideale. Gli aristocratici della corte ruandese, a cominciare dai re Musinga e Mutara, sono presi mol
to spesso come modelli "del tutsi generico.
Ugualmente, al livello culturale, lorientamento razziale
dellideologia coloniale sulle "etnie hutu e tutsi apparve in
tutta la sua evidenza. I tratti fisici vennero in effetti associa
ti intimamente a quelli culturali e morali. Gli antropologi fu
rono chiamati a prendere il posto dei linguisti, imbarazzati
dallomogeneit linguistica dellinsieme dei barundi o dei
banyarwanda (Von Lucschan 1912). Fino a unepoca piut
tosto recente, lo studio dei caratteri fisionomici ereditato dal
XIX secolo fu a sua volta mobilitato: i batutsi "leptosomici
opposti ai bahutu "pycnici, secondo la terminologia di Kretschmer (Rodegem 1975).
Le realt politiche hanno costituito la sfida essenziale di
queste pretese prove delle disuguaglianze naturali. Ratzel,
nel XIX secolo, sosteneva che i popoli pastori degli altopiani
avrebbero sempre avuto la vocazione di dominare gli agri
coltori delle pianure. I grandi ispiratori della politica co

174

JEAN-PIERRE CHRTIEN

loniale in Ruanda e in Burundi, il vescovo Lon Classe e il


governatore Pierre Ryckmans, si trovarono d'accordo su
questa visione della razza conquistatrice. I batutsi era
no destinati a regnare, la sola prestanza fisica assicura lo
ro un prestigio considerevole nei confronti delle razze in
feriori che li circondano... non c da stupirsi se i bravi
bahutu, meno scaltri, pi semplici, pi fedeli nonch spon
tanei si siano lasciati asservire senza mai dare neanche un
segno di rivolta (Ryckmans 1931). Questa stessa teoria delYHerrenvolk fece sognare, nella Germania nazista, molti an
tropologici nostalgici della colonizzazione, come ad esem
pio von Eickstedt o Spannaus4. Non a caso i batutsi, de
scritti come hamiti, venivano spesso e volentieri pensa
ti come ariani.
Un discorso a parte merita laspetto religioso, conside
rando il ruolo svolto dalle missioni cristiane. A partire dal
loro arrivo nella regione alla fine del X IX secolo, cattolici e
protestanti si convinsero della filiazione kuscitica delle
dinastie e dei remoti contatti con gli antichi cristiani del
Nord-Est delTAfrica. Padre Pags, la cui opera sul Ruan
da fu considerata per molto tempo autorevole, ancora nel
1933 affermava che i batutsi fossero di fatto discendenti de
gli abissini monofisiti che avrebbero dimenticato la loro lin
gua (Pags 1933). Questi fantasmi condizionavano la po
litica di evangelizzazione dalPalto tanto che i capi di ori
gine etiope venivano assimilati alla spinta meridionale di
un popolo di dio!
In maniera del tutto opposta ritratto dei bahutu traccia
to dalla lettura coloniale, costituiva il vero e proprio rovescio
della medaglia. Il Ruanda e il Burundi sembravano esistere
ufficialmente solo come entit tutsi. E spesso ragionavano co
s anche i negoziatori degli spazi frontalieri dal 1910 fino al
lo scoppio della prima guerra mondiale. La categoria hutu
non poteva che essere l'ombra informe dei suoi maestri ba
tutsi. In questo senso si inser anche un brutto gioco di pa
role mutuato dalla linguistica seria, e che si protratto ai gior
ni nostri (!), che assimilava bahutu e bantu. Occorre sottoli
neare che quest'ultimo termine aveva assunto un valore del

HLTU E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

175

dispregiativo. Coniato alla met del XIX secolo da un fi


lologo tedesco, Wilhelm Bleek, per caratterizzare una gran
de famiglia linguistica, venne presto ad assumere un chiaro si
gnificato razziale, diventando una delle varianti del vocabo
lario applicato ai negri nelle classificazioni antropologiche.
Nel 1948, il dottor Sasserath, citato in precedenza, scrisse: Il
resto della popolazione bantu. Si tratta di bahutu o meglio
di negri che ne possiedono tutte le caratteristiche: naso schiac
ciato, labbra spesse, fronte bassa, cranio brachicefalo. Costoro
conservano un carattere infantile, talvolta timido e lento, e an
cor pi sovente sono inclini a una sporcizia cronica. Questa
non pu essere che la classe dei servi dalla quale quella dei ca
pi esige una serie di corve.
Nel 1959, si ritrova un simile ritratto nel manuale di De
Lacger: il tipo fisico del muhutu E tipo pi comune e pi
generico del Nero (...) brachicefalia e prognatismo (...) gusto
e attitudini agronomiche (...) socievolezza e giovialit (...) fi
ducia illimitata nella saggezza e nella tecnica soprannaturale
deigriot (...) lingua agglutinativa (De Lacger 1959, p. 49; Sas
serath 1948, p. 27).
Bisogner attendere fino agli anni Settanta e Ottanta per
assistere allo sviluppo di una critica scientifica radicale tanto
del concetto di bantu quanto di quello di hamita, anche
se questa critica, disturbando troppe immagini familiari, pur
troppo non stata sufficientemente socializzata a livello di
vulgativo. Le etnie del Ruanda e del Burundi, non poten
do essere caratterizzate in quanto tali, sono state conosciute
come delle razze anche se talvolta le si pure qualificate in
termini di caste.
r o tto

Una feudalit pseudo-tradizionale: signori iutsi e servi hutu


Occorre a questo punto, dopo un secolo, interrogarsi sul
linfluenza avuta esattamente da questa ideologia delle raz
ze sulle pratiche delle societ interessate, soprattutto in re
lazione al loro passaggio dalle antiche strutture monarchiche
agli Stati attuali, senza tralasciare gli effetti decisivi determi

JEAN-PIERRE CHRTIEN

nati dal potere coloniale. Troppo spesso si liquida questo in


terrogativo sostenendo che si tratti di una sovrastruttura
o meglio di una maschera intellettuale che nasconderebbe di
fatto un rapporto secolare che oppone i pastori agli agricol
tori. Sarebbe sufficiente, dunque, in tal senso, tradurre il ter
mine mutuisi con quello di signore o ricco e quello di muhutu con servo o povero per ottenere una risposta chiara e sod
disfacente per lo spirito. Maniera un po distorta di ridare una
verginit ideologica e sociale a uno schema fondamentlmente razziale, trovando cos una scappatoia nel non consi
derare tutta la storia che ha condotto ai conflitti del XX se
colo! A dire il vero, questo presunto presente etnografico, o
sociologico, porterebbe a spostare nel tempo delle pedine su
una scacchiera socioculturale considerata eternamente im
mutata e immutabile, come se i fantasmi creati e diffusi al
l'ombra del colonialismo non avessero esercitato alcun effetto
alienante sulle prime generazioni, come se l'ideologia impe
riale non rispondesse a interessi dei conquistatori europei e
non fosse stata messa in opera sotto la loro gestione. Questo
accecamento storico potrebbe essere di fatto incoraggiato da
alcune strategie contemporanee, sia interne che esterne, ma
la presa di coscienza politica neirAfrica attuale non ha nul
la da guadagnare dal mantenimento di queste confusioni.
La storia sociale dellepoca coloniale quella d una razzializzazione, riscontrabile tanto nell'ideologia ufficiale degli
anni Trenta-Cinquanta quanto nelle pratiche segregazioniste
sviluppatesi di conseguenza.
Il gioco coloniale del Congo Belga a questo riguardo
ben conosciuto (Chrtien 1981a, pp. 109-115): la cristalliz
zazione pi o meno artificiale delle opposizioni tra rag
gruppamenti tribali. In Ruanda-Urundi questa politica
indigena ha preso la forma di una politica delle razze sul
la scorta di uno schema gerarchico di tipo feudale. L'imma
ginario medievale, gi presente prima del 1914 sotto i tede
schi, stato di fatto messo in pratica a cavallo degli anni Ven
ti-Trenta sotto l'impulso di responsabili imbevuti da un idea
le cattolico-tradizionalista, come il gi citato vescovo Clas
se in Ruanda o il residente dell'Urundi Pierre Ryckmans.

m m E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

177

Fu cos che, persuasi di ritrovare una sorta di Medioevo


africano, essi si prefissero di preservarlo e mantenerlo puro
grazie allazione congiunta delle missioni cattoliche e delI amministrazione coloniale.
Lanalisi etnica tanto in Ruanda quanto in Burundi si
pertanto chiaramente legata a uninterpretazione del potere
cosiddetto tradizionale, concepito come un gioco fra raz
ze superiori e inferiori. significativo, infatti, che si sia
continuato a parlare incessantemente, dei capi tutsi e del
la massa hutu: confortante semplificazione e confusione in
teressata tra razze e caste, malgrado tutte le sfumature
e tutte le contraddizioni che si sarebbero rilevate nelle in
chieste pi serie. Questo a priori si ritrova anche nei dati pro
posti per la ripartizione delle due principali categorie della
popolazione: Ritengo che non ci siano in Ruanda pi di ven
timila batutsi scriveva Lon Classe nellagosto del 19165;
mentre nel 1954, in un volume sui bambini presenti nei due
paesi, il dottor Vincent affermava ancora che i batutsi, che lui
stesso riteneva i signori hamiti venuti nel XIV secolo ad as
soggettare il paese, non rappresentassero che il 7% della po
polazione (Vincent 1954, p. 6). Victor Neesen, nel 1956, al
termine di una ricerca demografica che conteneva le prime
stime piuttosto precise (da 13 a 18% dei batutsi a seconda
della regione), non nascondeva la sua sorpresa davanti alTimportanza di questi tassi, senza per modificare la visione
stereotipata di una minoranza etnica vivente come una leisure
class (Neesen 1956, pp. 481-483).
Questa cecit circa lesistenza di una massa di allevatoriagricoltori batutsi che non occupavano ruoli direttivi non era
tuttavia generalizzata. Il residente Albert Gille, in Burundi,
e pi tardi leconomista Philippe Leurquin lo sottolinearo
no. Ma il clich era abbastanza forte per marcare in maniera
condiderevole fino a poco tempo fa le spiegazioni fornite cir
ca lesodo dei lavoratori migranti verso TUganda fra gli an
ni Trenta e Sessanta. Si diceva (Chrtien 1978, p. 101) che
fuggivano davanti alle esazioni dei capi tutsi, dimentican
do le corve, le imposte, le punizioni corporali e i nuovi bi
sogni monetari legati allimpresa coloniale. In proporzione,

i78

JEAN-PIERRE CHRTIEN

possibile affermare che bahutu e batusi furono egualmen


te coinvolti dallo stesso fenomeno.
Lintegrazione del Burundi e del Ruanda in uno stesso
territorio sotto mandato contribuir cos in maniera deci
siva a occultare le mancanze e le contraddizioni del model
lo razziale. In effetti, malgrado la loro parentela culturale, i
due popoli avevano ognuno la propria storia e, in particola
re, revoluzione interna dei rapporti tra bahutu e batutsi vi si
presentava differentemente6.
In Ruanda, una dinastia tutsi, appoggiata sistematicamente da una serie di grandi lignaggi appartenenti alla stes
sa categoria, dopo la fine del XVII secolo aveva intrapreso una
vera e propria conquista militare interna facendo sparire a po
co a poco tutti i potentati hutu, gli ultimi dei quali furono di
strutti sotto legida della colonizzazione tedesca negli ultimi
anni del XIX secolo. Si pu dunque osservare, a partire dal
1920, la cristallizzazione di unaristocrazia tutsi che benefi
ciava di un monopolio politico malgrado le sfumature anco
ra molto presenti tra una regione e laltra.
In Burundi, invece, la dinastia dei Baganwa, istaurata do
po l fine del XVII secolo e molto probabilmente di origine
hutu, aveva giocato un ruolo di arbitro tra grandi lignaggi tut
si e hutu in favore dei principi di sangue. I grandi lignaggi ave
vano dunque conservato una grande influenza sul sistema po
litico. D altra parte lunificazione sotto un mwami (re) fu ca
ratterizzata dalla dimensione religiosa dellistituzione mo
narchica e, sul piano militare, ha contribuito a non distrug
gere i principati esistenti e a respingere i regni vicini. Pos
siamo pertanto affermare chele separazioni regionali ed et
niche in Burundi fossero certamente meno apparenti. Le ba
si di un antagonismo tra bahutu e batutsi vi si sono manife
state solamente verso la fine degli anni Cinquanta in relazio
ne diretta con il processo ruandese.
La politica coloniale tent di concentrare tutti i suoi sfor
zi nel senso di una fusione amministrativa, sociale e cultu
rale di cui il Ruanda veniva rappresentato come paese mo
dello. Lidealizzazione dellordine ruandese, letto nei termi
ni di una sana gerarchia delle razze, fu fino alla vigilia del

istm i E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

179

la decolonizzazione il principio chiave della gestione belga,


e il Burundi, considerato allepoca come uno Stato meno per
fe t t o o comunque degradato, fu invitato di buon grado o per
forza ad adattarsi a questo modello. E quando oggi si scri
ve ancora che il caso ruandese pi chiaro o pi tra
sparente, si dimentica che una societ non deve essere ana
lizzata secondo definizioni estranee alla sua evoluzione (cfr.
Botte 1982, p. 288).
A questo proposito, in altre sedi sono state proposte
delle analisi pi precise del processo di manipolazione so
ciale condotto nei due paesi dai colonizzatori7. davvero
importante sottolineare i tre assi essenziali: feudalizzazione,
politica delle "razze e segregazione culturale.
Uamministrazione definita "indiretta condotta dagli am
ministratori coloniali si fondava sullassunto di voler uma
nizzare il "costume. Volendo mettere in rilievo la gestione
* territoriale a dispetto delle "linee personali, negli anni
Trenta si arriv di fatto a costruire una piramide di chefferie
e sotto-chefferie i cui capi disponevano di maggiori mezzi di
azione e di esazione rispetto al vecchio regime, eliminando
cos ogni contrappeso politico tradizionale. Secondo Catharine Newbury, nel Sud-Ovest del Ruanda "il risultato fu una
diminuzione del controllo centrale nella regione e un au
mento del potere dei capi potenti in contesto locale. La
somma delle prestazioni "tradizionali standardizzate delle
prestazioni coloniali "di interesse pubblico, la protezione da
ta dagli europei ai capi ritenuti pi "efficaci, il passaggio dal
la grande famiglia alT"uomo adulto valido per la ripartizione
delle prestazioni e infine, in Ruanda, lo sfruttamento dei
grandi allevatori in materia fondiaria e per le corve permet
tono di parlare globalmente dello Stato coloniale in termini
di Stato neofeudale.
Questo tipo di arcaismo calcolato fu reso possibile solo
attraverso quella che si riteneva fosse la realt delle razze.
In nome di una tradizione restaurata, alPintemo della vi
ta sociale cominci a prendere corpo una dicotomia rigida tra
"signori tutsi e "servi hutu. In questa direzione il rag
gruppamento di chefferie e sotto-chefferie nei due paesi a

i8o

JEAN-PffiRRE CHRTIEN

opera del governatore Voisin, all'inizio degli anni Trenta, co


stitu loccasione per uneliminazione massiccia di dirigenti
bahutu in carica a quellepoca. Questo tipo di politica non
fu adottato senza polemiche, come attesta la grande inchie
sta amministrativa del 1929 (cfr. Nkundabagenzi 1962), ba
sata tra laltro sullinfluenza dei capi batutsi e sulla possi
bilit di rimpiazzarli con dei capi bahutu: gli amministrato
ri territoriali risposero in maniera spesso sfumata, soprattut
to in Burundi, ricordando da un lato lesistenza di numero
si batutsi fra i poveri , e segnalando dallaltro che capi baganwa o batutsi potevano essere vicini al loro popolo cos co
me capi bahutu potevano invece essersi ritagliati unautorit
indiscutibile. In questo testo del tutto confidenziale, le con
traddizioni furono meno dissimulate che nella letteratura di
propaganda.
Ma il principio di un potere tutsi si impone da s, so
prattutto sotto limpulso del vescovo Classe in Ruanda il
quale, nel Essor colonial et marittime (1930), scrisse alcune
frasi rimaste famose:
Il pi grande torto che il governo potrebbe fare a se stesso e al
paese sarebbe quello di sopprimere la casta mutuisi. Una rivo

luzione Hi questo genere condurr il paese tutto diritto all'anar


chia e al comuniSmo odiosamente antieuropeo. (...) in linea ge
nerale noi non avremo dei capi migliori, pi intelligenti, pi at
tivi, pi capaci di comprendere il progresso e allo stesso tem
po pi accettati dal popolo che i batutsi (p. 524).

Secondo Classe le scuole dovevano formare in primo luo


go dei quadri esclusivamente batutsi per i differenti livelli del
lamministrazione locale, ivi compresi i pi bassi. I giovani
bahutu avrebbero potuto occupare dei posti nelle miniere
e nelle piantagioni (p. 523; cfr. Linden 1977, p. 163; e MBonimana 1981, pp. 354-355; Classe 1940). A partire dal
1928 in Ruanda funzionava una vera e propria segregazione
a livello delle scuole elementari, tanto in qualche scuola del
governo quanto in quelle missionarie. Le istruzioni di Mon
signor Classe alle differenti missioni erano a questo riguar

HUTU E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

181

do particolarmente chiare: la scuola dei batutsi deve veni


re prima quella dei bahutu (...) questa prepara lavvenire fa
cendoci guadagnare i capi futuri, avvantaggiandone i genitori
e il governo C.,)8.
attraverso la conversione dei batutsi che noi ci assicureremo
la conversione definitiva del Ruanda: un paese pu dirsi con
vertito quando lo sono i capi (...) bisogna spingere affinch la
scuola mututsi non abbia nei suoi locali che dei batutsi9.

Fu cos che gli allievi batutsi beneficiarono effettivamen


t e di interventi formativi complementari, in particolare nel
la lingua francese, e allo stesso modo furono a loro assegna
ti i migliri maestri. La scuola, come era accaduto nelle an
tiche corti regali, divenne il crogiuolo costitutivo di unari
stocrazia fondata su un doppio principio di eredit e di se
lezione. La nozione di nobilt venne estesa fino a rag
giungere le dimensioni di una razza.
I
ranghi dei privilegiati si aprirono dunque a molte di quel
le famiglie tutsi che precedentemente ne erano state tenute
fuori dai grandi lignaggi vicini alle dinastie regnanti, mentre
vennero chiusi a talune famiglie hutu che vi avevano fino a
quel momento avuto accesso. La composizione del persona
le dirigente africano in seguito a questa selezione degli anni
Trenta rende evidente senza alcuna ambiguit la scelta colo
niale. In Ruanda, nel 1959,43 capi su 45 erano batutsi cos
come 549 sottocapi su 559. In Burundi, tra il 1929 e il 1954
la percentuale di capi bahutu pass dal 10 allo 0%, quella dei
capi batutsi dal 2lai 26%; i principi di sangue - i Baganwa
- si prendevano la parte del leone. Ma certamente al livel
lo delle sottochefferies che la tutsizzazione appariva come
la pi spettacolare (Chrtien 1982).
Un vero e proprio popolo di signori venne dunque for
giato con la benedizione della Chiesa e dell'amministrazio
ne di un paese in principio democratico. A questo proposi
to sufficiente sfogliare il numero speciale della rivista
Grands Lacs, del 1950, pubblicato per commemorare il
cinquantenario dell'evangelizzazione del Ruanda: discorsi e

182

JEAN-PIERRE CHRTIEN

foto mostrano i Padri Bianchi e gli amministratori belgi al


fianco di principi e principesse batutsi, presentati proprio co
me apostoli, sotto Tala protettrice del nuovo Costantino,
il re Mutara Rudahigwa. Nellarco di mezzo secolo nei due
paesi si cos fissata limmagine del mutuasi istruito, fran
cofono e ben vestito, opposta all'immagine del muhutu con
sumato, analfabeta e malvestito. I colonizzatori vennero dun
que convincendosi che gli squilibri scolastici e sociali erano
dovuti alla passivit dei bahutu contrapposta alla mate
ria grigia tutsi10. La ragion di Stato ha pertanto condotto una
colonizzazione che si voleva modernizzatrice per contribui
re in maniera decisiva alTetnicizzazione di una societ.
Gli effetti pi perversi si situano per al livello della so
ciet del Burundi e del Ruanda. Le nuove generazioni, tan
to hutu quanto tutsi, sono state intrappolate da unanalisi et
nica che, al momento dellindipendenza, fu imputata loro dai
colonizzatori che avevano contribuito a forgiarla. Questa in
teriorizzazione di un modello etnologico e coloniale in Afri
ca certamente meno rara di quanto si pensi, ma in questo
caso particolare stata straordinariamente profonda e signi
ficativa, tenuto conto del complesso sociale e ideologico che
abbiamo visto formarsi. A dire il vero gli stessi interessati han
no oggi grande difficolt a distinguere ci che hanno eredi
tato dagli antenati rispetto a quello che ha portato loro la co
lonizzazione. La stessa tradizione derivata dai notabili,
motivati dai loro interessi, e dagli intellettuali, affascinati
dallautorit della cultura scritta.
Laristocrazia tutsi ruandese, nella sua nuova definizione,
si rivelata particolarmente sensibile ai riconoscimenti scien
tifici dei suoi caratteri di nobilt; anche nellambiente
dellesilio ruandese i miti delle origini egiziane e della supe
riorit hamitica sopravvivono ancora oggi nel pensiero di
coloro che ne sono state le vittime dopo avere creduto di es
serne invece i beneficiari. La cristallizzazione di una vera e
propria ideologia ruandese, avvenuta sotto il regno di Mu
tara Rudahigwa tra il 1931 e il 1959, merita a questo punto
unanalisi puntuale. Questo sovrano, portato al potere dalla
volont congiunta di Monsignor Classe e delPamministra-

HUTU E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

183

zione belga, battezzato nel 1943, vot il suo paese al Cristo


re nel 1946, consapevole di assistere alla fine di unepoca, e
volle preservarne la tradizione allombra della colonizzazio
ne. Ma il suo nazionalismo ruandese coincise con la convin
zione di appartenere a una discendenza tutsi che avrebbe co
struito il paese. Egli, dunque, coltiv al massimo tutto ci che
poteva alimentare la fierezza di unaristocrazia tutsi moder
nizzata e allo stesso tempo i pregiudizi dei suoi protettori bel
gi. Politicamente impotente, tent di giocare la carta della di
mensione culturale, incoraggiando le attivit sportive o arti
stiche, nelle quali si riteneva che i batutsi si distinguessero,
privando ad attirare a s i nuovi intellettuali ruandesi e burundesi, spingendosi fino a mantenere vivo il fantasma raz
ziale delThamita nella scelta dei membri delle delegazioni
da inviare all estero, quando se ne presentava loccasione,
prendendosi gioco con malignit della piccola statura dei re
sidenti belgi rispetto alla sua. Il "Ruanda tradizionale, per
come oggi correntemente descritto, ha come tratto essen
ziale quello di essere stato ricostruito, o meglio costruito, pro
prio in quellepoca. allora che le missioni e le scuole favo
rirono la trionfante diffusione di mode, secondo il modello
neotradizionalista di Monsignor Classe: grandi drappi bian
chi che davano alle colline del Ruanda limpressione di una
seconda Etiopia, acconciature delle ragazze che si sviluppa
vano in altezza, e che facevano somigliare le "principesse
ruandesi a delle piccole Nefertiti... In questo processo fu
di fondamentale importanza il ruolo dei "clerici, proprio nel
senso medievale del termine, dal momento che i primi intel
lettuali erano spesso di statuto clericale. Non certo un ca
so che Alexis Kagame, seminarista a Kabgayi tra il 1929 e il
1941, proprio in questepoca condusse delle ricerche che lo
resero il primo storico moderno del Ruanda. Presentato tal
volta come discendente di una famiglia biru, custode delle tra
dizioni regali, fu infatti in questo senso incoraggiato dal ca
nonico francese De Lacger e illuminato dallimmagine di
uno splendore medievale che lo stesso canonico aveva proiet
tato sul passato del Ruanda. Autorizzato in seguito dal re Mutara a raccogliere le tradizioni dei ritualisti della dinastia,

184

JEAN-PIERRE CHRTIEN

Kagame, nell'intento di conservare il patrimonio nazionale,


tra il 1943 e il 1947 pubblic i due volumi della sua storia di
nastica Inganji Ralinga, letteralmente Kalinga (tamburo di
nastico) trionfante. Certamente l'opera di Kagame non pu
essere isolata da quel contesto ideologico che ha segnato tut
ta la giovane storiografia ruandese. Autore negli anni Qua
ranta di un poema che esaltava congiuntamente la regalit
ruandese e la cristianizzazione, difese fino airultimo il ruolo
eminente dei batutsi, definiti come hamiti"11. Anche la ri
cerca laica, inaugurata nel 1950 all'mSAC di Astrida, non fa
eccezione in questo quadro politico. La premessa di disu
guaglianza" definita pi tardi da Maquet s'inscrive nella vi
sione, in parte realizzata, di un Ruanda feudale eterno. Nel
numero gi citato precedentemente di Grands Lacs. del
1950, il medesimo autore, responsabile allepoca del nuovo
centro di Astrida, spiegava linteresse dell'antropologia per
le questioni legate all'"eterogeneit razziale in Ruanda e
Burundi, in connessione con la missione civilizzatrice de
gli occidentali (Maquet 1950). Il Ruanda avrebbe potuto di
ventare un'abbazia di Theleme africana, all'ombra del Cristo
re e nellincontro di due regni illuminati come il Belgio e il
Ruanda. Qualche maligno avrebbe potuto trovare che in
questo grande internato, dove nessun suono di campana era
discordante, la vita culturale presentasse qualche sentore di
totalitarismo. I primi istituti scolastici secondari assicurava
no in effetti, in maniera del tutto coerente, l'influenza nelle
nuove lite ruandesi e burundesi del modello etnico a forte
connotazione razziale di cui abbiamo visto la cristallizzazio
ne nelle analisi degli europei e nella pratica coloniale, A que
sto riguardo, sono due tipologie di istituti a essere coinvol
te: il gruppo scolastico di Astrida e i seminari. Il primo fu
aperto nel 1932, attraverso dei finanziamenti di Stato, dai fra
telli della Carit di Gand; il suo direttore, fratello Secundien,
fino al 1949 non nascose il progetto generale della scuola: la
formazione dei futuri ausiliari amministrativi, dei capi, degli
assistenti medici o agronomi mirava alla creazione di "una
nuova classe sociale che avrebbe costituito un'aristocrazia
non ereditaria. Nonostante questo elogio alla meritocra

HUTU E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

185

zia, i dati rivelano tutto il peso dellereditariet nel recluta


mento12: nel 1932, 45 studenti batutsi o baganwa, 9 bahutu
e 14 congolesi; nel 1946, 44 studenti batutsi o baganwa, 1
muhutu del Ruanda e 8 del Burundi; nel 1954, 63 studenti
batutsi o baganwa, 3 bahutu del Ruanda, 16 del Burundi e 3
congolesi. Secondo Kagame, gli astridiani, gli ausiliari
pi apprezzati, furono reclutati dall'amministrazione. Per
costoro vennero create delle mansioni speciali da evoluti
e riservato un banco nelle parrocchie; furono soprannominati
gli indatwa, ossia, nel vocabolario della poesia pastorale ruan
dese, le teste pi belle della mandria ! Quando rientrava
no a casa, questi giovani fingevano di non poter dormire in
una capanna e tantomeno distinguere Peleusine dallerba;
furono comunque i primi quadri competenti dei due paesi,
ma allo stesso tempo furono i portatori di un elitarismo evi
dentemente troppo spesso associato ai pregiudizi etnici, co
me si pu ritrovare anche negli articoli della loro rivista Ser
vir pubblicata tra il 1940 e il 196113.
I
seminari creati nei due paesi furono prevalentemente
aperti agli allievi bahutu. Ma il contenuto dellinsegnamen
to non fu mai orientato a disinnescare una separazione di na
tura etnica: abbiamo gi visto, a tale riguardo, il ruolo giocato
dagli storici-missionari De Lacger o Gorju nellaffermazione
delle tesi diffusioniste e razziali. Queste ultime si ritrovano
ancora alla vigilia delle indipendenze nei corsi di missiologia o nei piccoli manuali come VEssay dhistoire du Burun
di, pubblicato intorno al 1959 e direttamente derivato da un
corso tenuto nel seminario di Burasira.
sempre attraverso la mediazione scolastica che la dif
fusione del modello etnico, la cosiddetta ideologia ruande
se, si diffuse fino al Burundi. Gli studenti burundesi di
Astrida - molti di loro me lhanno confermato - apprende
vano il diritto e gli usi ruandesi, definiti proprio come tipici
del Ruanda -Urundi . Allo stesso modo alcuni di loro mi
hanno parlato anche della corve del buletwa e dei clienti
bagaragu14 a proposito del loro paese, bench questi termi
ni fossero l ignorati. Secondo un gioco di parole, molto ap
prezzato dai ruandesi, lUrundi non doveva essere che un

i8 6

JEAN-PIERRE CHRTIEN

altro (Urundi) Ruanda! Le visioni pi estreme della sepa


razione hutu-tutsi, fondate sullesperienza storica ruandese,
circolavano allo stesso tempo fra i giovani intellettuali burundesi. L'interiorizzazione del modello etno-razziale in Bu
rundi non raggiunse mai il grado che invece abbiamo appe
na visto nelle lite ruandesi, senza dubbio in virt di una si
tuazione storica sensibilmente differente, sia prima che du
rante la colonizzazione. Si pu tuttavia allo stesso modo os
servare una deriva particolarmente significativa nella storio
grafia: la diffusione di una tesi sull'origine tutsi ruandese
della dinastia del Burundi, contrariamente a quello che in
dicavano le fonti orali, le pi numerose e attendibili. Pierre
Baranyanka, il pi grande capo del paese, gioc un ruolo fon
damentale a fianco del vescovo Julien Gorju in questa ope
razione che gli sembrava lusinghiera, sia per il suo paese che
per la sua famiglia (cfr. Chrtien 1981b, pp. 3-41, anche in
Mabintch 1981, pp. 254-270; Chrtien 1984, pp. 11-52).
Alla fine degli anni Cinquanta, si era dunque sviluppata
nelle lite dei due paesi, principalmente in Ruanda, una co
scienza etnica a partire da una storia particolarmente com
plessa. Le etnie, in questo contesto, erano in effetti piut
tosto dei fantasmi che si credeva di poter intuire nella testa
delle persone, nelle loro genealogie, nei miti di origine, ma
soprattutto nei discorsi antropologici sulle "razze definite
bantu e camitiche. D mantenimento, la conservazione o la cri
stallizzazione di una separazione antica tra i gruppi a predo
minanza agricola e i gruppi che associavano le colture a un
importante allevamento del bestiame, e soprattutto levolu
zione politica percepibile nel XIX secolo, che garantiva un pri~
mato, progressivamente affermato, a taluni lignaggi tutsi,
erano destinati a fissare nella massa della popolazione Pimmagine dei due popoli, hutu e tutsi. Ma le frange di indeci
sione (clan che raggruppavano bahutu, bahutu e batwa, in
Ruanda; categorie a parte rispetto ai principi baganwa in
Burundi), i margini di manovra (alleanze, vicinati, talvolta
cambiamenti di categoria), le situazioni contraddittorie (ca
pi bahutu, poveri batutsi) e Pomogeneit linguistica nonch
culturale lasciavano la porta aperta a evoluzioni multiple.

HUTU E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

187

Bench dei vecchi colonizzatori si accanissero a negarlo, l'in


trusione europea in queste societ contribu in maniera de
cisiva a indurire il sistema politico (a burocratizzarlo, co
me dice Ren Lemarchand, a rimodellarlp secondo quello che
nella nostra analisi abbiamo definito come un modello neo
feudale) e a razzializzarlo nelle pratiche e nelle coscienze,
dunque a fissare i rapporti sociali su una separazione insor
montabile presentata come etnica. Letnicit in senso stretto
stata dunque generata dallo Stato coloniale; la decoloniz
zazione fece esplodere le contraddizioni rivelando cos i vi
coli ciechi ereditati da questa evoluzione.

Ualibi etnico dopo ventanni: fantasmi razziali, ragioni di


Stato e massacri legittimati
Lungi dalTaccmpagnare un ribaltamento dei pregiudi
zi della razza, l'accesso all'indipendenza dei due paesi, nel
1962, ha dato diritto di cittadinanza alle solidariet etniche,
e anzi talvolta le ha ufficializzate. I nuovi Stati hanno segui
to rinclinazione dell'ideologia globale definita sotto la co
lonizzazione, sia per comodit politica, sia per l'ignoranza e
l'alienazione di certi loro primi dirigenti (ognuno dei due
paesi, al momento dell'indipendenza, non disponeva che di
un dozzina di laureati), sia sotto l'effetto delle paure e del
le passioni legate ai massacri degli anni Sessanta e Settanta,
che affliggeranno dapprima il Ruanda e poi il Burundi. L'a
nalisi ideologica e politica di questa etnicit, talvolta eleva
ta a dottrina, talvolta ancora pi assillante per il fatto di es
sere nascosta, deve essere condotta senza dimenticare lo
sguardo esterno postcoloniale, sempre rilevante per questi
piccoli paesi che dipendevano di fatto dagli interventi della
cooperazione straniera.
Questa analisi deve infatti cominciare dalla rivoluzione
ruandese del 1959-1961, perno della maggior parte delle rea
zioni e dei calcoli da almeno venti anni. Sono state proposte
a questo riguardo numerose interpretazioni: colpo di Stato
manipolato dai colonizzatori belgi, rivoluzione politica, lot

i88

JEAN-PIERRE CHRTIEN

ta di classe, guerra etnica... Vi si pu ritrovare un po di tut


to questo, ma il ruolo della dimensione etnica nei cam
biamenti politici e sociali il pi sovente menzionato come
unevidenza che non merita commenti ancorch sia proprio
questa confusione tra i due livelli, luno detto tradizionale,
laltro detto moderno, a meritare una riflessione che vada ol
tre gli slogan.
Il
fondamentale documento che precedette e ispir gli av
venimenti ruandesi, diffuso nel marzo 1957, fu firmato da no
ve intellettuali bahutu e intitolato il manifesto dei bahutu;
il suo sottotitolo si rivela di particolare interesse: nota sul
laspetto sociale del problema razziale indigeno in Ruanda .
La confusione di una problematica sociale con una proble
matica etnica, qualificata nei termini di razziale (i batutsi
vi sono sempre pi spesso indicati come hamiti), nel docu
mento sistematica:
Alcuni si sono domandati se si tratti di un conflitto sociale o di
un conflitto razziale. Noi riteniamo che sia della letteratura. Nel
la realt delle cose e nelle riflessioni delle persone sia l'uno che
laltro. Possiamo dunque precisarlo: il problema prima di tut
to un problema di monopolio politico, che rimanendo allo sta
to delle strutture attuali diviene un monopolio politico e socia
le che, viste le selezioni de facto nelle scuole, diventa un mono
polio culturale, a grande scapito dei bahutu che si vedono con
dannati a rimanere gli eterni lavoratori subalterni.

Questa denuncia ha a che fare con lintero sistema poli


tico di questi anni Cinquanta, e fa s che la componente tut
si della popolazione ruandese si trovi globalmente classificata
nella medesima riprovazione. Nello stesso documento vie
ne in seguito invocato un intervento medico che possa ri
solvere la questione di eventuali meticciati. A fianco delle ri
vendicazioni che riguardano il diritto fondiario, il credito
rurale, la libert di espressione, il funzionamento della giu
stizia, la soppressione di tutte le discriminazioni nellacces
so alle funzioni pubbliche e alle borse di studio, si rileva an
che la denuncia del colonialismo deUhamita sul muhutu
e il rifiuto totale di sopprimere i riferimenti etnici sulle car-

mjTV E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

189

di identit, al fine di identificare meglio le persone nella


^ripartizione dei vantaggi. Nonostante una clausola di stile cir
ca il difetto (defaut) opposto che consisterebbe "nel ban
alizzare (!) l dove si hamitizzato, si constata che tutri i pro
blemi del Ruanda che avevano a che fare con il suo accesso
affindipendenza e alla necessaria democratizzazione della
societ sono ridotti nel manifesto a uno scontro etnico. Cer
eamente questo documento si configura come il testo base che
prelude, nel 1958, alla nascita del partito Parmehutu, il cui
.leader, Gregoire Kayibanda, sar il primo presidente della Re
pubblica ruandese dal 1962 al 1973.
x L'equazione tra "nobilt, "casta tutsi , e "razza hamitick* da una parte, e "massa del popolo, "etnia maggiorita
ria hutu e "razza bantu dallaltra uscita dai libri e dalle
pratiche dellamministrazione coloniale per entrare ufficial
mente nella vita politica di un paese africano, ma anche nel
le tribune internazionali, dal momento che sia lopinione
pubblica belga che le agenzie responsabili delle Nazioni Uni
te tra il 1959 e il 1962 (Dcolonisation.., 1963, pp. 439-718)
saranno costantemente sollecitate in questo senso.
Ritroviamo quindi un vocabolario gi conosciuto, assi
stendo in qualche modo a una volont di ritorno di quella che
tre anni prima lantropologo Maquet aveva definito "pre
messa di disuguaglianza, ma secondo la stessa linea di se
parazione considerata di fatto come immutabile. Lo stesso
Maquet (1964) assume questa nuova posizione, arrivando a
sostenere che proprio il gioco coloniale aveva nei fatti nega
to ai bahutu di risvegliarsi. Non possibile, con la copertu
ra di un linguaggio apparentemente progressista, svicolare
dalle questioni centrali del dibattito, Parafrasando lanalisi
sartriana della "questione ebraica, potremo affermare che
la "riduzione allargomento etnico in questo caso consenti
va di mantenere la buona coscienza coloniale: leternit di una
guerra delle "razze o classi dispensava coloro che avevano
gestito questa societ per ben mezzo secolo dalTinterrogarsi sulle loro effettive responsabilit storiche.
Davanti a questa situazione le reazioni delllite tutsi so
no state diverse: alcuni notabili tradizionalisti vicini al re

190

JEAN-PIERRE CHRTIEN

(che si firmavano i grandi bagaragu della corte) si accon


tentarono nel 1958 di diffondere un testo nel quale riaffer
mavano la preminenza tutsi. Colpiti dal livello delloltraggio
ai loro occhi subito, questi aristocratici descrivevano la loro
posizione di superiorit come multisecolare, consentendo
cos ai loro avversari di utilizzare questo stesso argomento a
loro comodo. L'analisi pi dettagliata del loro testo mostra
per la presenza di curiosi "rimescolamenti culturali (Nkundabagenzi 1962): facendo un riferimento esplicito al testo di
Kagame Inganji kalinga, essi si avvalsero di una lettura razzialista del mito di Kigua, eroe fondatore della dinastia, ben
lontana dallessere evidente. Questi notabili, alcuni dei qua
li erano in costante contatto con i ricercatori di Astrida o di
Kabgayi, erano dei bravi ripropositori della tradizione uffi
cializzata, come abbiamo visto, a partire dagli anni Trenta e
fino ai Cinquanta. Alcuni hanno ironizzato (cfr. D Hertefelt
1964) sulle domande poste nel settembre del 1958 dal ve
scovo Bigirumwami, mutuisi, ma originario del Gisaka, os
sia di una regione che era stata vittima delFespansione guer
riera della dinastia tutsi nyiginya. Queste domande erano
davvero incongrue15?
Quali sono i criteri su cui basarsi per fornire le defini
zioni di muhutu e mutuisi? Sono dei criteri fisici, razziali op
pure dei criteri sociali ed economici? Ma i bahutu si rivolgono
davvero ai batutsi? O a tutti quelli che portano l'etichetta di
batutsi? O a un piccolo gruppo? O specificamente ai capi del
le province che in Ruanda non sono che un pugno di cinquantadue persone, o ai sottocapi e ai loro aiutanti che a ma
lapena raggiungono i mille?.
In questo caso il problema era posto al suo vero livello,
ovvero sotto l'aspetto sociale, quello delle lite e della loro
promozione. La mobilitazione intorno a un programma et
nico si realizzava innanzitutto in un contesto ben preciso, che
era quello della prima generazione degli intellettuali bahu
tu, nel senso occidentale del termine, ossia tra gli antichi se
minaristi che al termine dei loro studi secondari si erano con
vinti di essere stati esclusi da quelle che erano giudicate le
funzioni pi importanti, quelle amministrative, a vantaggio

m n v E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

191

degli anziani astridiani, cio dei colleghi batutsi predomi


nanti in questa formazione. A questo proposito Ren Lemarchand cita il caso significativo di Anastase Makuza, uno
dei futuri leader del Parmehutu, che, uscito dal seminario di
Nyakibanda, aveva studiato nel collegio universitario di Kisantu, nellallora Congo Belga, ma che al suo ritorno aveva
potuto trovare soltanto un posto a Kibuye (un piccolo cen
tro delTEst del paese), in qualit di dattilografo. In funzio
ne di questa discriminazione si cristallizz dunque negli an
ni Cinquanta una cosiddetta contro-lite, il cui malcontn
to trov un'eco favorevole anche nella nuova generazione di
missionari, ispirati dall7Azione cattolica e dal movimento
Cristiano sociale belga che teneva in mano 1*informazione sul
Ruanda nelle pubblicazioni coloniali. La contro-lite hutu si
organizz pertanto attorno alle istanze ecclesiastiche: la
stampa cattolica, come il giornale Kinyamateka, pubbli
cato a partire dal 1933 dal vescovo di Kabgayi; iniziative di
mutuo soccorso che troveranno sbocco nel 1956 nella crea
zione di una rete di cooperative di consumo denominata Trafipro (Travail, Fidelit...); associazione di monitoraggio del
le scuole; Legione di Maria, la cui rete apparentemente ano
dina si installer in tutto il paese.
I
nuovi favori di cui avrebbero beneficiato quelli che al
lora venivano chiamati gli hutu evoluti rispondevano, alla
fine degli anni Cinquanta, alla preoccupazione di frenare l'e
spansione crescente del nazionalismo, che riguardava tanto
il Ruanda quanto il Burundi e il Congo, e allo stesso tempo
alla volont di sbarrare la strada al comuniSmo, un pericolo
che ossessionava i religiosi. Non a caso tutto il sentimento an
ticoloniale era stato molto presto descritto come un segno di
"bolscevismo nei sermoni. La dottrina sociale della Chiesa
andava di pari passo con lesaltazione della vergine di Fatima e del suo "messaggio che potremmo qualificare come salazariano. In questo contesto, la divisione delle nuove lite
africane non poteva dispiacere alle autorit politiche e mo
rali di un colonialismo di fatto in difficolt. A questo riguar
do ci pare particolarmente significativo un evento che si ve
rific nel 1951 quando, nel seminario maggiore di Nyaki-

192

JEAN-PIERRE CHRTIEN

banda, prese vita un movimento di contestazione: bahutu e


batutsi in questa occasione si presentarono uniti nella stessa
opposizione ai missionari europei; proprio in quelloccasio
ne uno dei contestatori principali fu espulso dallistituto:
si trattava di Anastase Matusa, niente di meno che uno dei
futuri redattori del Manifesto dei bahutu. La conseguenza di
questa crisi fu non solo unafricanizzazione accelerata dei
quadri, di qui il primo vescovo nel 1952, ma soprattutto la
cristallizzazione di una nuova politica consistente nel guadare
unlite docile, pronta a sollecitare delle riforme piuttosto che
a sognare lindipendenza.
La biografia di Kaybanda certamente simbolica da que
sto punto di vista: seminarista divenuto insegnante in un
istituto di formazione artigianale, assunse il segretariato di
una sezione degli amici belgo-congolesi creata da un co
lono di Kigali; divenne in seguito capo redattore di Kinyamateca nel 1954; presiedette il consiglio di amministrazio
ne di TRAFIPRO divenendo poi il segretario di Monsignor
Perraudin, nuovo arcivescovo svizzero del Ruanda a partire
dal 1955. Tutta la sua carriera viene seguita da preti cristia
no-sociali come i padri Djemeppe e Emotte, che lo invia
rono in Belgio nel 1950 e nel 1957 e che parteciparono a Kab
gayi, nel marzo del 1957, alla redazione del manifesto, in
collaborazione proprio con Kayibanda, ma anche con Cal
liope Mulindahabi, nuovo segretario di Perraudin e Aloys
Munyangaju, tutti anziani seminaristi (Linden 1977).
La posta in gioco del conflitto etnico sul piano socia
le in gestazione alla fine degli anni Cinquanta divenne dun
que reale, ma avvolta in quella opacit scio-razziale ere
ditata dal periodo coloniale e adattata da allora su un mo
dello democratico (la difesa delle masse e del popoli
no contro i feudali). Il discorso sui bantu e gli hamiti
giustificava non pi solamente una forma di imperialismo in
diretto, ma anche le ambizioni di un nuovo strato istruito.
Il populismo copriva quindi il mantenimento di un razzismo
interno che copre a sua volta gli interessi propri di una clas
se media in formazione. Gli istitutori e gli impiegati (i cle
rici) rappresentano anche, in questo periodo, linsieme di

j$SBSV TUTSI IN RUANDA e in BURUNDI

193

low middle class intermedia (piantoni, camionisti...) che


presta fortuna fuori dal mondo rurale cercando di uscirne in
mamera individualista senza per questo esserne tagliata fuo
ri. Sembra strano, in questo caso, parlare di borghesia, dal
momento che si tratta di persone semplici, se le si compara
eoa l'agiatezza occidentalizzata nella quale si sono installa
ti i cosiddetti capi "tradizionali (coutumiers) a loro volta as
sociati al sistema coloniale. Tuttavia davvero un ideale di
^classe media che traspariva dal "manifesto dei bahutu e
dalle prese di posizione, in particolare missionarie, che lo ac
compagnavano.
^ Tutto questo spiega la facilit con cui gli occidentali
Sanno creduto di rintracciare una rivendicazione come
terzo Stato. La Rivoluzione francese, evocata fino a quel
momento nei seminari come un'opera di ateismo e di Ter
rore, si trov improvvisamente valorizzata dai fondatori
del Parmehutu. I modelli del 1789 e del 1830 perpetuava
no in effetti in maniera utile il malinteso sul concetto di
"classe media che poteva in questo modo designare tutto
il popolo hutu, situato a mezza strada tra Paristocrazia
tutsi e la minoranza paria dei batwa16; di fatto questa clas
se era pi specificatamente rappresentata dal gruppo degli
"evoluti rurali (termine impiegato nel 1954 nella rivista
PAmi), vale a dire gli intellettuali bahutu che si credeva
rappresentassero la massa contadina. Letnismo diventava
dunque un discorso mediatore fra i calcoli di questa nuo
va lite, futura "borghesia dirigente dello Stato ruandese,
e la massa popolare, e veniva a rappresentare un allarga
mento a tutta una nazione della pratica del clientelismo po
litico. Era sufficiente infatti reclamare un'ascendenza hu
tu per essere del popolo. La posta in gioco era chiara
mente il controllo del futuro Stato indipendente, ma mo
bilizzando delle passioni etniche emerse da un passato re
cente. Bench questa situazione fosse maturata alPombra
della colonizzazione europea, il feudo-colonialismo dei
batutsi il bersaglio preferito17.
H Ruanda il paese dei bahutu (bantu) e di tutti coloro
che, bianchi o neri, tutsi, europei o anche di altre prove

194

JEAN-PIERRE CHRTIEN

nienze, si sbarazzeranno delle pretese feudo-imperialiste


(Manifesto dei bahutu, 1957).
I
ruandesi di ascendenza tutsi erano, da questo punto di
vista, considerati come immigrati. Questa opzione, larga
mente spiegabile nel contesto politico e ideologico del Ruan
da degli anni Cinquanta, ha i fatto aperto le porte ai rilan
ci ideologici. La fedelt ai principi democratici della rivo
luzione del 1959' fu successivamente misurata spesso con il
metro dellintransigenza antitutsi piuttosto che in funzione
del contenuto sociale concreto della politica attuata.
Le delegazioni internazionali che visitarono il Ruanda in
questo periodo videro sventolare dei volantini nei quali si re
clamava il ritorno in Etiopia dei colonialisti tutsi, i quali
non avrebbero certamente trovato pi l i loro antenati, co
me sarebbe accaduto ai bahutu se fossero stati rinviati alli
potetico luogo di origine proto-bantu nel Camerun meri
dionale. Ma questa posizione non poteva trovare sbocco
che in gravi violenze.
Non il caso di richiamare in questa sede la cronaca dei
sinistri massacri che hanno interessato successivamente il
Ruanda e il Burundi per una quindicina danni18. Lopinio
ne intemazionale d ha visto in generale il risorgere di vecchie
rivalit tribali e la grande stampa ha esitato fra lindigna
zione tardiva e lo sguardo disilluso dello zoologo che osser
va delle specie in lotta per una nicchia ecologica. Le analisi
politiche, dal canto loro, sono state davvero troppo rare.
per questo motivo che vi proponiamo di riflettere su qualche
momento cruciale, nel quale si possono individuare le pas
sioni etniche eccitate e invocate per interessi politici ben pre
cisi. Le lotte tribali sono sempre state, in questi due paesi, de
gli affari di Stato, nella misura in cui si sono situate nel cuo
re del potere e non ai suoi margini.
In Ruanda, innanzitutto, linsurrezione del novembre
1959, che resta di fatto da studiare nel dettaglio, fu certa
mente a carattere popolare - i bahutu si ribellavano ai ten
tativi di intimidazione del partito monarchico UNAR - ma
permise anche al Parmehutu, soprattutto al Nord e al Cen
tro del paese, di affermare la propria preminenza sugli altri

s r r e e tu t si in ruanda e in bu rundi

195

partiti riformisti, quello dei batutsi, il RADER, o dei bahutu,


f APROSOiMA. Profittando dellemigrazione di numerosi batutsi
%s 130.000 esiliati alla fine del 1963), della paura e della
flessione amministrativa e militare delle autorit belghe sem
pre comunque presenti, i quadri amministrativi locali furo
no profondamente trasformati e le elezioni comunali del giu
gno del 1960 fornirono 160 borgomastri del Parmehutu su
229 posti. La rivoluzione politica si era dunque realizzata: non
restava che proclamare la Repubblica il 28 gennaio del 1961
s seguito di una riunione generale degli eletti comunali a Gitarama e guadagnare le elezioni legislative del settembre
1961. La violenza, di fatto, serv al gruppo pi determinato
pfcr giocare la carta etnica, conia complicit davvero poco dis
simulata di un colonizzatore sempre presente.
Tre anni dopo, il Ruanda, divenuto indipendente nel lu
glio del 1962 come il Burundi, venne coinvolto in una nuo
va crisi. Alcune centinaia di rifugiati batutsi venuti dal Bu
rundi, ,dove erano allora circa 50.000, organizzarono nel di
cembre del 1963 unincursione in direzione di Kigali. Il pa
nico suscitato nella capitale da questi ribelli, soprannomina
ti gli scarafaggi (inyenxi), si plac in seguito attraverso una
repressione in cui trovarono la morte almeno 15.000 batut
si, le cui terre furono redistribuite da parte dei prefetti o dei
borgomastri ai fedeli del partito. Nel febbraio del 1964,
France-soir faceva fremere i suoi lettori evocando i cada
veri dei batutsi, con le gambe tagliate, che riempivano le ac
que del fiume Rusizi. Secondo uno stesso processo che si ri
peter pi tardi in Burundi, lindignazione intemazionale
rientr senza che i responsabili dei massacri fossero nemmeno
indagati: il governo di Kigali giustific la repressione contro
il terrorismo inyenzt. Di fatto il Parmehutu aveva trovato
il modo di gestire un potere senza spartirlo: i principali lea
der del RADER furono messi a morte nel 1964, quelli dellAPROSOMA, cio bahutu, furono esplulsi dai posti di dirigenti.
La nuova ondata di violenze permise di risolvere la solida
riet della razza a profitto delle fazioni dominanti del Par
mehutu provenienti dalle regioni del Ruhengeri e di Gitarama. Kayibanda divenne pi che mai lincamazione della so

196

JEAN-PIEKRE CHRTIEN

vranit hutu, fonte di legittimit nazionale e arbitro nella ripartizione delle funzioni.
A ogni crisi politica, la minoranza tutsi sopravvissuta (uf
ficialmente il 9% della popolazione) fece da capro espiato
rio ideale per mobilizzare la classe dirigente. Dallottobre
del 1972 al febbraio del 1973, bande del Parmehutu intra
presero una campagna per verificare se la percentuale del 9%
fosse rispettata nelle scuole, facendo espellere gli studenti in
eccedenza, come se il numero clausus dovesse funzionare
meccanicamente dalla prima elementare sino alla laurea. Per
lo stesso motivo, tra il febbraio e il marzo del 1973, anche dei
salariati furono cacciati dai loro posti di lavoro, con una con
seguente nuova ondata migratoria tutsi. Lepurazione etnica
si spinse sino alla caccia degli ibridi, ibyimanyi, figli dei ma
trimoni misti e dei cosiddetti imbroglioni, abaguze ubwoko,
ovvero coloro che avevano cambiato categoria razziale ! Gli
avvenimenti del Burundi, che prenderemo in esame, inco
raggiarono in questo periodo la febbre di etnismo. Ma il
governo di Kayibanda, indebolito dai litigi delle fazioni e
vedendo avvicinarsi la scadenza di una quarta elezione pre
sidenziale, lasci che si ricreasse il contesto di lotta che ave
va di fatto portato a vincere nel 1960 il fondatore del Par
mehutu. Questo non impedir, nel luglio del 1973, il colpo
di Stato militare che porter al potere il presidente Habyarimana. Le logiche delletnismo resteranno decisamente viva
ci, nonostante la volont di questultimo di placarle, Nel
1980, ad esempio, fu sventato un tentativo di complotto: gli
autori reclamavano il rispetto integrale del numerus clausus
rimproverando al governo di non aver pubblicato i risultati
del censimento del 1979 e di aver dato pi posti del 9% ai
batutsi! Questo rilancio del razzismo si inscriveva ancora in
un contesto politico difficile, caratterizzato dal malcontento
davanti allavanzata dellaffarismo legato allo Stato e dalle cri
tiche da parte degli studenti ruandesi in Europa contro i li
miti dellideologia hutuista 19.
Anche levoluzione del Burundi durante lo stesso perio
do presenta alcuni paradossi. Leredit storica non aveva di
fatto messo allordine del giorno lopposizione hutu-tutsi.

HUTU E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

197

L'amministrazione belga, nel corso delle elezioni del 1961, ap


poggi un partito cosiddetto democratico-cristiano diret
to da alcuni capi direttamente legati alla colonizzazione (la
famiglia di Baranyanka, citato in precedenza), di spirito par
ticolarmente aristocratico e grandi ammiratori dellantico re
gime ruandese. Dovunque sia stata la verit, sta di fatto che
I belgi perdevano sempre le elezioni. Si ritrovavano con
frontati a un partito nazionalista, l UPRONA, che raggruppa
va i capi delle famiglie della corte tanto bahutu che batutsi,
alcuni preti cattolici e alcuni mussulmani delle zone del Tanganyika, tutti sotto la guida del figlio del re Mwambutsa, il
principe Louis Rwagasore, che aveva sposato una muhutu e
il cui principale luogotenente, Paul Mirerekano, era a sua vol
ta un muhutu.
Sono gli avvenimenti del Ruanda che, considerate le
analogie culturali in mancanza di similitudini, innesche
ranno un processo di etnicizzazione nella societ burundese. bene Lemarchand ha applicato a questo fenomeno il
concetto di profezia che si autoawera - self fulftlling
propbecy (Lemarchand 1970, p. 344): fornendo allinizio
una falsa definizione della situazione del Burundi, questi po
litici hutu suscitarono nuovi comportamenti tanto fra di
loro che fra i tutsi che resero infine vere le loro imputazio
ni inizialmente false.
Pi concretamente, possiamo dire che londata delle de
cine di migliaia di ruandesi batutsi esiliati dal proprio paese
abbattutasi sul Burundi svilupp una corrente di inquietudine
nei loro omonimi burundesi, propizia a tutti gli estremismi.
Si aggiunga a ci, visti anche i problemi della decolonizza
zione congolese, il gioco delle tensioni internazionali, con le
manovre dei cinesi e della CIA americana (1977, p. 87).
Lanno 1965 rappresent una svolta decisiva nella vita
politica burundese: nel maggio le elezioni legislative pre
sentavano, tra le diverse liste, due terzi di deputati bahutu
che verranno a costituire assai presto un ufficio etnica
mente omogeneo. Nellottobre seguente, mentre al go
verno sedevano per due terzi ministri bahutu, ebbe luogo
un tentativo di colpo di Stato della gendarmeria, seguito da

198

JEAN-PIERRE CHRTIEN

attacchi contro le famiglie tutsi in molti comuni della mon


tagna, che porter a una repressione molto dura con un cen
tinaio di esecuzioni. L ' u p r o n a , che aveva perduto il suo lea
der carismatico Rwagogasore nell'ottobre del 1961, non re
sister allavanzata di una vera e propria inflazione tribalista. Il regime repubblicano instaurato dall'armata nel 1966
fu molto presto segnato dal primato di una politica auto
difensiva tutsi, tanto che gli oppositori bahutu si avvicina
rono sempre di pi al modello ruandese. Questa tensione
porter a due crisi: quella del 1969 (un complotto sventa
to, seguito da un processo e da molte esecuzioni) e soprat
tutto quella del 1972, definita il flagello (ikiza) dagli stes
si burundesi. Verso la fine di aprile nel Sud del paese scop
pia un movimento hutu nel quale saranno uccise alcune
migliaia di tutsi, che scatena nel maggio-giugno rappresa
glie con i responsabili bahutu a tutti i livelli. Panico, rego
lamento di conti coperti dalle autorit, massa di arresti or
ganizzati dai responsabili della polizia, militare o giudizia
ria, arrivarono a provocare circa 100,000 vittime. La gravit
dell'evento non consente di riportare il numero esatto dei
morti, ma il carattere genocidario della procedura ripropose
l'immagine di quello che il Ruanda aveva vissuto, in senso
inverso, otto anni prima.
Ma in Burundi come in Ruanda, le responsabilit politi
che sono state assolutamente trascurate dagli osservatori.
Nel 1969, come nel 1972, il contesto politico era davvero par
ticolare: di fronte al governo del colonnello Micombero che
giocava al massimo con il clientelismo e con le rivalit di or
dine regionale o clanico o ancora etnico, si svilupparono al
cune correnti di opposizione che raggruppavano bahutu e ba
tutsi aspiranti a un regime sociale e politico pi progressista
e sganciato dall'ossessione etnica. Alla fine del 1968 tutto ci
traspariva chiaramente in una presa di posizione pubblica del
ministro dell'informazione, un ufficiale muhutu, il coman
dante Martin Ndayahoze20:
Improvvisamente possiamo affermare senza rischio di sbagliare
che la classe agiata che rafforza il virus del trialismo. (...) Si trat-

HUTU E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

199

ta di quadri che meritano poco e che, per mantenersi o elevarsi


verso posti ambiti, hanno bisogno di spinte, di astuzie o di arti
fci: si tratta ancora di certi responsabili insaziabili che, per rag
giungere le loro ambizioni inconfessabili, fanno della divisione et
nica una vera e propria strategia politica. Allora, se sono tutsi, de
nunciano, magari attraverso dei complotti tattici, un pericolo hu
tu imminente; mentre se sono hutu scoprono un apartheid tut
si da combattere, E tutto ci si orchestra con una messa in sce
na diabolica affinch il sentimento prenda il passo sulla ragione.
Nel 1971, quando limpresa di un gruppo di estremisti tut; si detti il gruppo di Bururi (di fatto una rete di personalit
piuttosto che un gruppo regionale) si fu consolidata, gio
cando al massimo lo spauracchio hutu, si verific una nuo%mondata di critiche, soprattutto fra gli studenti, in occasioi ee del congresso del 1971. L'opposizione tutsi liberale ven;e dispersa, nellottobre successivo, in conclusione di un
processo costruito. Ma gli intellettuali hutu che criticavano
1 regime, senza pertanto aderire al modello etnico ruande;seTfurono guardati in malo modo dai politici bahutu in esi
lio a partire dal 1965, non concependo un cambiamento se
\mm nei termini di una guerra civile. Nel maggio-giugno del
:1972yi numerosi intellettuali nel corso di una repressione razsista furono di fatto vittime di questo doppio estremismo. Mi
conceda di dire che, proprio su questo punto, ho avuto mo*Iq di raccogliere numerose confidenze, verbali ma anche
^scritte, da parte dei miei corrispondenti burundesi in quel pegiiodo. lutto pass come se dei gruppi politici precisi avesj:;$ero avuto bisogno di causare degli scontri etnici per man
tenere il loro potere o comunque per accedervi; Si sa che nel
1976, tre anni dopo il Ruanda, il Burundi ha conosciuto un
colpo di stato militare che ha instaurato un regime, altrettanto
preoccupato di eliminare unipoteca etnica il cui peso si ri
velava suicida. Ma durante ogni periodo di difficolt nellufio o nellaltro di questi paesi, e ugualmente in quelli vicini21,
h tentazione di mobilizzare questa separazione traspariva
Ira i responsabili politici o fra gli intellettuali.
Possiamo senza dubbio affermare che, dopo trentanni, i
.Sbattiti sulla questione cosiddetta etnica in Ruanda e in Bu-

200

JEAN-PIERRE CHRTIEN

rund si inscrivono nelle lotte per il potere e nei grandi orien


tamenti degli Stati: Tetnismo , purtroppo, una delle forme
della modernit in Africa.
In conclusione, si osserver che l'analisi storica mette in
discussione le belle certezze abitualmente ripetute. Abbiamo
rimarcato la diversit delle argomentazioni messe al servizio
delPetnicit vissuta in questi due paesi: teorie razziali, poli
tiche che giocavano sia con un certo elitarismo, sta con la de
mocrazia, legittimazione dei fratricidi per una lotta di clas
se. A questo proposito, gi in altre occasioni abbiamo de
scritto questi fenomeni di safari ideologici . Uelemento
permanente si trova nella struttura dello sguardo posato sul
la societ, nella cristallizzazione del viso dell' altro in ter
mini di marginalit, inferiorit o esclusione. Ci che di fatto
ha permesso che scoppiassero degli scontri recentemente, pi
che la difficolt della coabitazione, stato il primato di una
pratica politica in cerca di un capro espiatorio o di un tipo
ideale, dalla colonizzazione alle indipendenze. La trappola di
un razzismo interno si cos consolidata su tutta la popola
zione. In questo caso, laddove i gruppi hutu e tutsi non so
no affatto delle etnie in quanto tali, caratterizzate geografi
camente, linguisticamente e storicamente, lo sviluppo delle
coscienze etniche non poteva che significare la messa in di
scussione radicale dellaltro: politica del disprezzo o politi
che dell'esclusione, logiche deir apartheid fondate esclusivamente su stereotipi razziali Il tribalismo in Ruanda e in Bu
rundi ha ispirato, in generale e in maniera rivelatrice, la de
scrizione a colori di una sorta di fumetto: piccoli contro
grandi, occupanti alternativamente in ogni campo la posi
zione dei buoni o dei cattivi. In questa immagine di Epinal,
il buon mututsi sar di preferenza un esiliato, dalle tradizio
ni affascinanti ma condannato dalla storia, mentre il buon
muhutu sar visto come un lavoratore docile (abbiamo avu
to modo di ricordare altrove l'episodio dell'espulsione di
uno studente muhutu da un collegio protestante del Burun
di per il fatto che non aveva svolto il compito che gli era sta
to assegnato (Chrtien 1976). Lo specchio offerto a questi
paesi dai media dei paesi industrializzati non indifferente.

I H t e u E TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI

201

Un altro avatar ideologico pi volte menzionato consiste


|fStI ridurre le violenze degli anni Sessanta e Settanta in Ruane m Burundi nei termini di un conflitto di classe o meglio
j| ^razzismo di classe . Sfortunatamente la storia del XX se||jh ci dimostra che la deriva razzista non n un accessoll'ISbrs una circostanza. Il nazismo rivela delle contraddizioe dei fantasmi pi profondi in seno alla societ tedesca di
crisi congiunturale del capitalismo (Aycoberry 1979, p.
|2t7^ Quando Alphomse Toussenel (1886, p. 134) scriveva,
frmi XIX secolo, che la feudalit industriale si personifica nel^f>d>reo cosmopolita, la sua teoria si perdeva nelTantisemij f c i o , La confusione fra critiche di ordine socioeconomico
S e k denuncia delle categorie socioculturali ereditate sta molt tadipi nella teoria delle razze storiche sviluppata da AuThierry nelTOttocento che nelle righe di Marx. Uet\ ^agrafia interlacustre ha piuttosto seguito proprio Thierry,
La cristallizzazione dei due etnismi antagonisti a parti
re dalle categorie antiche di un'altra natura non dunque
la semplice superstruttura dei conflitti sociali moderni,
e la superurgenza di oscurantismi esotici. Dopo un quar
to di secolo le migliaia di vittime degli scontri vissuti in Ruan
da e in Burundi non possono essere n classificate come con
seguenze di barbarie passate, n come vittime sacrificali per
i futuro. Qusto si tradurrebbe, di fatto, nel non voler vedere
che in Africa, come in Europa, i valori del sangue, della ter
ra e della razza possono prendere corpo in una luce mol
to moderna e nel cuore delle politiche. Letnicit si riferisce
quanto meno in questi casi a delle tradizioni locali e non a
dei fantasmi applicati dalletnografia occidentale sul mon
do cosiddetto tradizionale. Lanomia delle prime genera
zioni scolarizzate, allontanate dai valori del proprio passa
to senza mai essere veramente integrate in quelli delle cul
ture occidentali (visti anche i limiti dellinsegnamento pri
mario e post-primario), ha suscitato delle vere e proprie fu
ghe airindietro, insieme interessate (le ambizioni aiutano)
e alterate impiegando tutti i mezzi a disposizione e tutte le
giustificazioni. Non pensiamo che la situazione messa in sce
na da Bertolt Brecht in Teste rotonde e teste aguzze sia fuo

202

JEAN-PIERRE CHRTIEN

ri luogo in questa sede e lasciamo quindi il lettore su que


sta citazione (1936):
il nostro Iberin sa che il popolo, non molto esperto di astrazio
ni, reso impaziente dal bisogno, cerca un reo di tutti i mali che
abbia aspetto famigliare: un essere che sia con occhi, naso, boc
ca e su due gambe, uno che si possa incontrare per strada. (...)
ecco cosa ha scoperto: qui a Jahoo, convivono due razze che di
vergono in tutto, anche nell'aspetto, gli uni hanno la testa ton
da, gli altri a punta; e con la testa cambia anche lo spirito, piat
tamente onesti e fedeli i testapiatta, puntuti i testa-a-punta,
scaltri, ambigui calcolatori, proclivi allinganno. La prima raz
za, quella a testa tonda Iberni la chiama Ciuk, e afferma che
indigena di Jahoo sin dal principio e di buon sangue. Laltra, se
gnata dalla testa a punta, straniera, calata qui fra noi, non ha
una patria ed chiamata Cik.

1 Vrais et afaux* ngres, articolo comparso il 18 giugno 1981 su Le Mon


de-Dimanche.
2 Corrispondenza apparsa nella Norddeutsche aUgemleine zeitung, 11
maggio 1893.
3 In questo caso il termine mhuma designa il mutuasi. I termini muhima o
muhuma venivano utilizzati nel Nord e nell'Est della regione dei laghi per de
signare i gruppi a predominanza pastorale.
4 Cfr. a titolo di esempio la rivista Africa Nachrichten, del gennaio 1934,
pp. 6-8.
5 Nota di Lon Classe al governo belga, 28 agosto 1916.
6 Per una visione generale dei regni dei Grandi Laghi prima della coloniz
zazione cfr. Mwuoroha 1977, p. 352.
7 Sul Burundi: Chrtien 1970; Gahama 1983. Sul Ruanda: Newbury 1975;
Mbonimana 1981; Vidal 1973.
8 Cfr. Mbonimana 1981, p. 352 (istruzioni alla missione di Kigali, 1924).
9 P. 354 (istruzioni a Rulindo, 1925).
10 Cfr. De Wilde D'Estmael I960 p. 502. Altra fonte: una corrispondenza
privata indirizzata al Centro di storia delTAfrica delTUniversit di Louvain-la
Neuve nell'aprile 1979.
n Cfr. Linden 1977, p. 200, e la nostra recensione nella Revue belge de philologie et dhistoire, 1980, n. 1, pp. 119-123. Levocazione deliapolitica cul
turale del mwami Mutara si appoggia anche su alcune testimonianze di con
temporanei dellepoca raccolte a Bujumbura nel 1981.
12 Cfr. Secundien 1952, p. 39; Lemarchand 1970. Si noter che le statisti
che dei belgi mescolano volentieri ruandesi e burundesi, fatto che le spinge a
confondere, per il Burundi, baganwa e batutsi nella stessa rubrica "etnica.

ME7fE TUTSI IN RUANDA E IN BURUNDI


(flK
p iH

203

^er esemP*0 Piron 1948, pp. 280-283: a proposito dei batutsi razza suimelligente\ aristocrazia naturale. Siamo debitori della nozione di ina Mbonimana, p. 363; cfr. anche Kagabo 1981, pp. 122-134.
:WSul contratto pastorale ubuhake del Ruanda e i rapporti fra cliente e

. Belge, 5 settembre 1958


f*fendabagenzi 1962, pp. 37-41).
Cfr. Coupez 1955, pp. 707-708: muhutu significa membro della classe
cesale media, come scrive Fautore per criticare a giusto titolo un religioso che
|IS f
assimilato questo termine al kiswahili mtu (equivalente a muntu Tessesa xsnmo in kyniarwarda). E cfr. anche Cymana, in Nkundabagenzi 1962, pp.
!tls&
ift p
17 Testo di una chiamata del Comit national del Parnehutu dell8 mag
l i - f b 1950, cfr. Nkundabagenzi 1962, p. 252.
1S Su questi avvenimenti cfr. Lemarchand 1970, p. 561 ; Chrtien 1975, pp.
2-184; 1977b; 1976, pp. 822.834; 1974, pp. 11-13.
19Associazione generale degli studenti ruandesi 1980, soprattutto unanai dettagliata della crisi del 1973.
25 M. Ndayahoke, Le tribalhme au Burundi, editoriale destinato alla radio
Jfe sio n e del 25 novembre 1968.
21 Crisi recenti hanno riguardato i gruppi di lingua ruandese emigrati nel
Sod Ovest dellUganda e nellEst delTex Zaire (Kivu), e ogni volta gli interessi
politici hanno portato a separare le persone fra le "etnie hutu e tutsi.

Situazioni etniche in Ruanda


Claudine Vidal

Si chieder al lettore di accettare un itinerario insolito in


antropologia. Dal luglio del 1973 - data del colpo di Stato mi
litare - si risalir nel corso del tempo fino agli ultimi anni del
XIX Secolo, operando una sorta di regressione storica: dagli
avvenimenti che seguiranno lindipendenza a quelli che pre
cederanno immediatamente le prime incursioni europee in
Ruanda.
Questo percorso, nonostante la sua brevit, fornir qual
che idea delle modalit concrete secondo le quali gli indivi
dui si riconoscevano e si riconoscono come tutsi, come hu
tu e come twa. I twa, pigmei, sono considerati i primi abitanti
della regione, progressivamente allontanati dagli agricoltori
bantu, gli hutu, seguiti a loro volta, gi molti secoli fa, da pa
stori venuti dal Nord, i tutsi.
Per ora sufficiente sapere che, nel periodo precolonia
le, regnava una dinastia di origine tutsi, che la colonizzazio
ne tedesca e la tutela belga mantennero fino a quando, nel
1960, a seguito di una guerra civile, si instaur un regime repubblicano indipendente, controllato dagli hutu.

Le spinte etniche di un colpo di Stato


Il
5 luglio del 1973, allalba, il generale maggiore Habyarimana, comandante in capo della Guardia nazionale, si

20 6

CLAUDINE VIDAL

impadroniva del potere: gli erano bastati due mitragliatori


automatici - di cui uno davanti al Parlamento - per pren
dere la capitale. Una dichiarazione del generale, diffusa per
radio, avvertiva che Tarmata controllava i posti di coman
do, decretava il coprifuoco e chiedeva alla popolazione di
restare calma. Anche questo brevissimo discorso fu suffi
ciente. Non ci fu, infatti, alcun bisogno di un dispiega
mento di forze per assicurare il colpo di Stato: furono in
stallati solo alcuni posti di blocco lungo i principali assi stra
dali. Questo atto decretava la fine della prima repubblica
che era stata presieduta e mantenuta per dodici anni da Gregoire Kayibanda, emblema della lotta rivoluzionaria hutu
contro l'oppressione tutsi. A Kigali, l'atmosfera generale era
di un certo sollievo: lo si attendeva dal momento che, da
qualche mese, si erano verificati alcuni disordini che non
sembravano per nulla delle manifstazioni popolari che agi
tavano i centri urbani. Provocati evidentemente per desta*
bilizzare il governo, essi non avevano ancora ottenuto lef\
fetto sperato, bens solo reazioni incoerenti, come se, il go
verno stesso, ignorasse da dove veniva liniziativa o non
avesse i mezzi per contrastarla.
Colpi di mano misteriosi e uccisioni avevano avuto luo
go contro le dimore di noti uomini politici e dei loro alleati.
Regolamento di conti? Qualsiasi cosa fosse stata, senza dub
bio costituiva il preludio di una campagna anti-tutsi vera
mente molto dura. Alcune liste contenenti i nomi di impie
gati tutsi nellamministrazione e nel settore privato erano
state affsse nei luoghi di lavoro per esigerne il licenziamen
to immediato. Dall'universit ai collegi, studenti e collegiali
tutsi, minacciati e molestati da colleghi hutu, erano costret
ti ad andarsene. Dal canto loro, i professori tutsi si ritrova
vano insultati e boicottati. A Butare, il micro polo universi
tario, fu interdetto l'accesso ai tutsi nei tre o quattro bar fre
quentati dai notabili e dalla clientela universitaria. Tutto ci
in maniera non ufficiale: espulsioni dal lavoro e angherie si
producevano spontaneamente, vale a dire dopo che l'e
sempio era stato impartito al momento opportuno in qual
che luogo strategico.

SITUAZIONI ETNICHE IN RUANDA

207

Non era facile capire se gli hutu fossero spinti a perse


guitare i colleghi tutsi per conformismo, per razzismo et
nico o per semplice opportunismo. Una cosa sola era cer
ta: il movimento non riguardava che i piccoli borghesi mu
niti di diploma o che dicevano di esserlo, non gli ambien
ti popolari, vale a dire la massa contadina. Chi dunque
manipolava in questo modo Podio etnico? I leader al po
tere al fine di innescare una controffensiva nei loro rivali,
0 piuttosto questi ultimi per dimostrare Pincapacit del go
verno a mantenere l'ordine? Io sinceramente lo ignoro. Di
qualsiasi cosa si trattasse, la manovra, divenuta usuale do*f>o l'indipendenza, che consisteva nel restaurare periodi
camente Punit nazionale attraverso Pesacerbazione del
sentimento anti-tutsi non suscitava che Padesione di una
certa minoranza di chierici o assimilati. Si sapeva, infatti,
che la lott^ per il potere vedeva scontrarsi i leader di due
regioni: il Centro e il Nord, dove, di fatto, dimoravano
tutti i leader hutu. Anche Pesercito era quasi tutto reclu
tato nei comuni del Nord.
Questi avvenimenti causarono un nuovo esilio tutsi,
per cui molti giovani, ma anche meno giovani, che aveva
no sperato di vivere in Ruanda si videro invece costretti a
partire per il Burundi, lo Zaire, la Tanzania, o addirittura
per PEuropa. Eppure qualche anno di pace c'era stato,
che di fatto non aveva alterato le tragedie che invece si era
no succedute in Burundi dove, al contrario di quanto ac
caduto in Ruanda, i tutsi avevano conservato il controllo
dello Stato. L'ultima tragedia burundese aveva fatto deci
ne di migliaia di vittime: dopo Pannientamento di un'in
surrezione hutu molto violenta e sanguinosa, era seguita nel
maggio e nel giugno 1972 una repressione spinta fino al ge
nocidio: funzionari, insegnanti, commercianti, preti, con
tadini - questi ultimi designati perch la loro casa era co
perta di lamiera o perch vendevano qualche prodotto al
mercato - furono massacrati in quanto hutu, se non ave
vano avuto il tempo di scappare. Donne e bambini non fu
rono affatto risparmiati. Abbiamo avuto modo di racco
gliere le testimonianze di qualche sopravvissuto in Ruan

208

CLAUDINE VIDAL

da e altre a Bukavu, da un prete europeo; missionari e coo


peranti concordavano nel descrivere la stessa identica vo
lont sistematica di liquidazione. Il dramma fu largamen
te conosciuto in Ruanda dove i tutsi, bench assolutamen
te non coinvolti in questi omicidi, avevano timore della ven
detta degli hutu, resi furiosi dalle uccisioni dei fratelli burundesi. Non furono condotte inchieste.

Razzismi
Nel novembre del 1959, fazioni hutu e fazioni tutsi si
erano scontrate in una sanguinosa guerra civile. Il colpo di
Stato e la proclamazione della Repubblica, il 28 gennaio
1961, abolirono il regime monarchico e misero fine alla su
premazia politica tutsi. Nel 1963, migliaia di tutsi furono
massacrati in diverse regioni del Ruanda, mentre altre fu*
rono atroce teatro di saccheggi, con capanne bruciate e
molti imprigionati. Le incursioni dei rifugiati stabilitisi in
Burundi, amplificate dalle dicerie, accrescevano il senti
mento di insicurezza e provocarono delle nuove persecu
zioni nei confronti dei tutsi, considerati come complici
dall'interno. Sul finire del 1967, anno in cui approdai per
la prima volta sul campo, per quanto riguarda la ricostru
zione del passato immediatamente precoloniale e del pe
riodo coloniale fino almeno agli anni Trenta, ebbi modo di
constatare che il risentimento etnico trovava i suoi fanati
ci soprattutto fra coloro che avevano ricevuto uneduca
zione occidentale. I contadini hutu, da parte loro, non ave
vano pi alcun motivo per lamentarsi dei capi e dei sotto
capi tutsi e nessun tipo di vendetta avrebbe in ogni modo
impedito l'inesorabile: i figli non avevano pi terre da ere
ditare dai loro padri; per loro questa era Tunica certezza.
Datrice di lavoro potenziale, mi trovavo, come tutti gli
stranieri, volente o nolente, obbligata ad agire tenendo
conto della dimensione etnica come se, in fondo, nella so
ciet occidentalizzata, Tantagonismo hutu-tutsi avesse as
sunto oramai un carattere esistenziale. Ci si ritrovava per

SITUAZIONI ETNICHE IN RUANDA

209

esempio avvertiti, nelle maniere pi disparate, che lim


piego di tutsi era sconsigliato. Le misure e le pratiche di
scriminatorie pesavano su giovani che non avevano commesso altro errore che nascere tutsi, cosa che assumeva una
dimensione razzista; di fatto let li discolpava rispetto al
loppressione subita prima del 1960 dagli hutu, I tutsi di fat
to si rivolgevano sistematicamente agli europei, perch pen
savano che potessero offrire loro qualche opportunit, e a
questo scopo facevano sfoggio delle loro capacit abbor
dandoli senza alcuna timidezza e con una certa sicurezza, ri
scuotendo qualche successo. In quel periodo, la disinvoltu
ra alloccidentale era un qualcosa a cui tutti aspiravano; e
gli hutu, che avrebbero dovuto possedere una simile attitu
dine allo stile elegante sia per gli studi intrapresi sia per le
posizioni lavorative occupate, non potevano che constatare
i successi dei tutsi ed esserne gelosi. Frustrazioni e com
plessi si focalizzavano ancor di pi nei confronti delle gio
vani tutsi, che passavano per le pi belle, le pi desidera
bili, come se portassero ancora in s qualche cosa dell"An
tico Regime che le faceva distinguere; possedere queste
qualit, da parte delle hutu, doveva significare una sorta ri
vincita. Si diceva che le tutsi fossero fiere, sprezzanti nei
confronti delle sospiranti hutu. Esse erano oggetto di di
scorsi particolarmente violenti, che ispiravano fantasmi di
vendetta; i pi radicali arrivavano a criticare in modo pe
sante tutti i deputati e le autorit che avevano sposato del
le donne tutsi.
Da questo punto di vista, davvero significativo il fatto
che forme di razzismo e di odio si siano sviluppate in quegli
ambienti, in linea di principio, pi capaci di oggettivare le
redit del passato e di analizzare le componenti sociologiche
e storiche delle ineguaglianze precedenti. Nella realt, era
proprio questo ambiente che naturalizzava le ineguaglianze,
come se di fatto leuropeizzazione, invece di uniformare,
avesse esacerbato le differenze al punto di stigmatizzarle.
Non appena lantropologia e la storia si trovavano a essere in
terrogate dagli intellettuali tutsi o anche hutu, ciascuno vi sco
priva il ritratto dellAltro, odioso ed evidente. E lawersio-

210

CLAUDINE VIDAL

ne reciproca a autolegittimarsi attraverso il ricorso a una sto


ria fantasmatica era truccata in maniera da nutrire questo im
maginario che invadeva il presente: un razzismo etnico che
produceva le figure degli oppressori e degli oppressi (quelli
di prima e quelli del momento) come quasi eterni e indubi
tabili, un essere tutsi, un essere hutu, che nessun gesto e nes
sun pensiero riuscivano a tradurre Di contro, questa tra
sformazione dei tratti sociali propri degli antichi dominato
ri [i tutsi] in una natura fisica e psichica non veniva realiz
zata dalla popolazione che abitava sulle colline [i pi pove
ri] che, dicendosi che non tutti i tutsi dominavano, di fatto
evitava sempre di confondere la posizione di un capo con
quella di un semplice tutsi.
Il
paese si era trasformato in unisola. I governanti te
mevano tutto rispetto a chi li circondava: terrorizzati dal
la ribellione zairese, riservati nei confronti della Tanzania,
nemici del regime tutsi burundese, dipendenti dalle vie di
comunicazioni olandesi per Papprowigionamento gene
rale. I suoi abitanti, confinati, subivano impotenti il depe
rimento del paese. Inoltre, ogni sorta di censura era stata
introdotta: quella esercitata da un cattolicesimo trionfan
te, come quella imposta da un potere che, per timore di un
risveglio popolare di tendenza comunista, diventava poli
ziesco e che, per paura della loro impronta tutsi, aveva in
terdetto le cerimonie tradizionali. Sfiducia generalizzata, ripiegamento su se stessi e sentimenti di stanchezza: alle pri
vazioni materiali subite - mancava praticamente tutto nel
paese, uno dei pi poveri al mondo - si sommava una to
tale paralisi del pensiero.

La scoperta del regno


Gli esploratori europei avvertirono questa insularit e
perfezionarono fin nei minimi dettagli le descrizioni di un
mondo chiuso* selvaggiamente protetto contro Testerno.
Certamente, sul finire del XIX secolo, quando raggiunsero il
suolo ruandese, dopo una lenta e ardua progressione dal ma-

CITAZIONI ETNICHE IN RUANDA

211

" verso le "montagne della luna e le sorgenti del Nilo aridhiteniente ricercate, vi trovarono uno strano paesaggio, fat
ta di monti e di colline, e dove gli uomini, con le loro manAie, per il loro numero, davano Fimpressione di una den
sit mai vista prima in Africa. Furono altres sorpresi delfesistenza di un substrato culturale: una lingua comune a tut'identificazione mistica di un territorio che la persona del
fe e il tamburo sacro - profondamente preservati dai riti proteggevano contro gli influssi delle magie avverse; la con
vinzione - assunta attraverso i racconti popolari e i saperi
esoterici - che una storia multisecolare avesse realizzato
integrazione di elementi ancestrali. Ciononostante nessun
viaggiatore - esploratori, missionari, militari - descrisse il repio come ununit compiuta. In questa sede cercheremo di
seguire questi viaggiatori attraverso alcune tappe e di con
frontare le loro cronache di quei periodi tradizionali con i
modelli che sono stati elaborati dagli antropologo qualche de
cennio pi tardi.

La prima metafisica delle etnie: un esploratore tedesco al


la Corte
Il
14 giugno del 1898, il dottor Kandt - geografo, etno
logo e poeta tedesco - si accampa nel Mkingo, nei pressi del
Nduga. Si trova proprio nel cuore del regno. Appostato di
fronte alla collina dove si trovava la residenza regale e in at
tesa deirincontro, gli ritornano alla mente le pagine che il
conte von Gtzen ha dedicato, qualche anno prima, a que
sto paese: una popolazione considerevole - centinaia di ne
gri bantu, i bahutu - in una dipendenza servile dai watussi,
casta straniera, da cui veniva amministrata e sfruttata fi
no al sangue; e infine, una trib di nani, batwa. Tutto
ci che egli vede in quel momento non fa che confermare le
annotazioni del conte. Due tutsi di immensa statura e di
rango politico non meno elevato - luno capo molto impor
tante e Paltro zio del giovane re - gli rendono visita. Kandt
offre loro tessuti e vestiti: ai ricami e ai lustrini i tutsi prefe

212

CLAUDINE VIDAL

riscono sobri tessuti in cotone. Non cessano di perseguitare e di bastonare i bahutu che propongono viveri allo stra
niero in cambio di qualche tesoro. Kandt si diverte molto nel
guardare i tutsi che si avventano sulle stoffe donate loro per
accaparrarsele. Sulle colline che circondano la residenza re
gale si assiepano mandrie di vacche il cui latte nutre i pa
rassiti che vivono a corte. Lesploratore otterr delle prov
viste per continuare il suo cammino solo al prezzo di spet
tacolari manifestazioni (tiri di fucile nella notte) destinate a
intimidire il re e i suoi capi i cui sentimenti ostili nei confronti
dellospite sembrano crescere pericolosamente. Kandt teme
sempre pi un voltafaccia, tant che pensa di aver commesso
unimprudenza. In effetti, agli hutu che si lamentano della
loro condizione:
ho detto che si devono aiutare da soli e mi sono leggermente pre
so gioco di loro domandando come abbiano potuto lasciare che
i watussi li sottomettessero visto che loro sono cento volte su
periori numericamente e perch infine si lamentano come del
le donne (Kandt 1905, p. 188).

Non ci sono dubbi che questi propositi ripetuti non sia


no stati tanto apprezzati nelle alte sfere...
Questo quadretto conoscer di fatto uninsospettabile
fortuna postuma legata a quella visione immaginaria del
Ruanda che pi tardi verr costruita dallantropologia. Su
questo immaginario, per il momento, mi sia consentita solo
qualche parola. Uantropologia trasfigurer il mondo ruan
dese precoloniale attraverso due operazioni distinte ma ef
fettuate simultaneamente. La prima procede a una conver
sione dellesistente in entit, gli hutu e i tutsi, che, personi
ficati, divengono quegli attori pseudostorici i cui progetti tra
scendono e aboliscono la diversit delle situazioni concre
te; la seconda consiste nellestensione al paese intero di una
forma politica regionale - quella della zona centrale dove il
potere dinastico aveva il suo pi alto grado di applicazione
effettiva - che lascia libero corso alla rappresentazione di uno
Stato centralizzato e unificatore.

SITUAZIONI ETNICHE IN RUANDA

213

Dei provinciali recalcitranti


Sempre seguendo Kandt, lasciamo la corte; la spedi
zione procede infatti verso nord. Qualche giornata di mar
cia, una sessantina di chilometri e tutto cambia: non ci so
no pi guerrieri giganti, n schiere di portatrici di offerte,
tanto meno capi con i quali confrontarsi. Forte di cento
sessanta uomini, la piccola truppa si difende contro ban
de di saccheggiatori che si lanciano allattacco alla minima
disattenzione: poche parole, bisogna assolutamente con
trattaccare e sparare. Cos, non lontano dalla residenza re
gale, l'ordine non regna un granch; il paesaggio si tra
sformato. Il geografo nota che parti coltivate e pascoli si
succedono senza fondersi, a differenza della regione che
hanno appena lasciato dove la dominazione tutsi ha im
posto il primato dei pascoli. Al posto delle immense man
drie di bovini che circondano la capitale, qui ci sono solo
piccoli raggruppamenti in prossimit dei fiumi. E l, iso
lati, alcuni capi tutsi si dimostrano infinitamente pi
cordiali dei loro omologhi dellNduga, inviano regali e av
visano che quella o quelPaltra collina un nascondiglio per
i ladri (p. 264),
Pi a nord ancora, a Kingogo, non solo cresce la turbo
lenza delle popolazioni, ma i tutsi sono invisibili. Talvolta si
riescono a distinguere solo una loro mandria e il suo pasto
re. Ma le scaramucce continuano: questi hutu non hanno pau
ra, tant che il viaggiatore tedesco non osa certamente pa
ragonarli a delle donne che si lamentano della loro condizione
come aveva fatto nelloccasione che abbiamo visto sopra. Ed
ecco che un giorno egli riceve la visita di un vecchio mutussi
molto ragionevole che lo mette in guardia rispetto agli au
toctoni:
sono di principio sottomessi al re del Ruanda, ma eternamente
ribelli e recalcitranti, soprattutto nel corso di questi ultimi an
ni, allorch dopo la morte del re Rwabugiri [quello preceden
te] le province di origine dei batutsi si sono lacerate fra di loro
a causa di dispute interne (p. 229).

CLAUDINE VIDAL

214

Von Gtzen aveva avuto modo di qualificare il mwami


attraverso lespressione Pultimo dei potentati africani. Al
passaggio di Kandt Pautomatismo regale poco pi che
una figura sbiadita: il suo potere non si esercita che su una
porzione di territorio, e anche l - dal momento che il
vecchio tutsi * non aveva fornito un quadro del tutto fal
so - si erano avute lotte sanguinose fra gli alti lignaggi che
dominavano le politiche della corte. Altrove, nel paese,
ognuno aveva fatto di testa sua. Von Gtzen aveva evoca
to proprio Rwabugiri, e in verit questo mwami aveva re
gnato bene per una ventina di anni: controllandole attra
verso le armate, aveva ridotto sotto il suo potere tutte le ca
sate di origine dinastica che tendevano a stabilirsi nei pic
coli territori; il suo metodo era veloce: faceva uccidere i ca
pi e, attaccando periodicamente le province, era riuscito in
fine a sottomettere tanto quelle del Nord quanto quelle delPOvest. Sottomissione tutta provvisoria, come quella dei
grandi lignaggi: a soli tre anni dalla morte di Rwabugiri, le
annotazioni di Kandt non fanno che rivelare la fragilit di
questa impresa.

Uriatmosfera "merovingia
Per saperne un po di pi sulla regalit, cercheremo ora
di avvicinarci alla questione missionaria e in particolare ai Pa
dri Bianchi che, nel 1900, si erano stabiliti a Save, non lon
tano da Nyanza, la nuova residenza del re Musinga. A que
sto riguardo il loro diario brulica di informazioni. I suoi re
dattori tenevano gli occhi fissi proprio sulla corte: la riusci
ta della loro impresa ne dipendeva visto che i tedeschi ave
vano lasciato ogni autonomia alle autorit indigene dal mo
mento che i corrieri circolavano liberamente e le loro guar
nigioni restavano al sicuro. In quel momento la corte vive
va nel terrore e tutto ci che i Padri riportano suggerisce una
tensione estrema. Si temeva una rivolta generale del Ruan
da capeggiata da uno dei figli di Rwabugiri, il precedente
mwami. Questo principe, infatti, volendo impadronirsi del

SITUAZIONI ETNICHE IN RUANDA

215

tirono, attaccher la residenza regale, dopo aver mobilitato


truppe dal Nord e fomentato una sommossa hutu. Kandt
e v a presentito questa minaccia e i Padri l'avevano con
fermata. Non si trattava infatti di un puro prodotto del
l'immaginazione inquieta delle parti in causa: una decina di
mni pi tardi, i tedeschi dovranno prestare man forte alle
annate regali per fermare l'avanzata di questo pretendente
e sconfiggerlo. Dopo tutto, Musinga non regnava che in
irt di un colpo di Stato: era figlio di Rwabugiri, ma al po
sto di sua madre il re aveva designato come regina madre
smaltra sposa, la quale fece assaltare la residenza del legit
timo erede che, circondato, si suicid. La conseguenza fu che
costei riusc a mettere sul trono suo figlio.
Questo avvenimento ebbe luogo nel 1896, un anno dopo
h morte del temibile Rwabugiri, e da quel momento i parenti
e gli alleati della nuova regina-madre si impegnarono al fine
di distruggere le potenze che difendevano le posizioni che
avevano acquisito sotto il regime precedente. Lotte fino alla
morte: la vittoria di uno significava la messa a morte del suo
nemico e il quasi sterminio dei suoi fedeli. I diari dei religiosi
riportano questi avvenimenti nei quali i Padri vedevano una
crudelt e una selvatichezza tutta pagana1.
Quanto a noi, vediamo in questi fatti una smentita delPimmagine maestosa della regalit sacra che l'antropologia
si compiacer di dipingere: sublimazione della civilizza
zione pastorale trionfante, lenta elaborazione del genio
politico tutsi, questa sarebbe divenuta fonte mistica del po
tere di tutta l'autorit che emanava dalla persona regale. Si
tratta piuttosto di una lotta senza tregua n piet: le tradi
zioni orali riportano di un Rwabugiri che regnava come un
forsennato contando tanto sul terrore fisico quanto sulla
paura sacralizzata. La sua vedova, regina madre, come
avranno modo di constatare alcuni europei, non fu meno
sanguinaria. In poche parole, l'esercizio dell'autorit su
prema consiste in un rapporto di forza costante: la conti
nuit dinastica si mantiene attraverso il concorso dei fedeli,
circondati dalla loro parentela. Certamente solo i tutsi
prendono parte a questi intrighi e a queste battaglie: non

216

CLAUDINE VIDAL

inutile ricordare che a questi giochi piuttosto pericolosi


partecipavano solo coloro che occupavano le posizioni di
pi alto rango, che venivano da un lignaggio dinastico o da
quello della regina madre, figli o nipoti di uomini illustri
dal destino trgico o trionfante.

La seconda metafisica delle etnie: la caratteriologia mis


sionaria
Il
mondo tutsi, anche in queste regioni del Centro e del
Sud, dove da molto tempo trionfavano gli imperativi pa
storali, non possiede in alcun modo l'omogeneit che pre
tender di attribuirgli la letteratura scientifica. Eccetto gran
di personaggi i cui destini si legavano al livello pi alto, i Pa
dri distinguevano i piccoli capi - li conoscevano bene,
perch ci parlavano quotidianamente - i quali comanda
vano, per conto del re o di altri notabili, dagli uomini che
vivevano su uno spazio ben definito, i pezzi grossi o i ric
chi, semplici pastori che possedevano un certo numero di
vacche, a loro volta distinti in piccoli tutsi o meglio i. tut
si poveri. Ma soprattutto sui tutsi dellentourage regale
che, a ragione, si soffermavano, tanto da disegnarne un ri
tratto caratteriale: intriganti, crudeli, ambiziosi, dissimula
tori, lascivi. Questo tipo di tutsi era un perverso e senza
dubbio il nemico costante; i Padri si dicevano, infatti, che se
tutto lentourage della corte fosse stato in possesso dei mez
zi per misurarsi con gli europei si sarebbe immediatamente
ricompattato per giocare loro un brutto scherzo.
E gli hutu? Noi poveri negri...: per quanto li riguar
da, nessuna analisi psicologica, ma piuttosto l applicazione
degli stereotipi propri del razzismo ordinario dellepoca: su
perstiziosi, non molto furbi, pronti a dar credito e a gonfiare
tutte le chiacchiere, a fuggire disperatamente al minimo
brusio di un arrivo di guerrieri tutsi. Fu tra costoro che i Pa
dri trovarono i primi cristiani e i loro catechisti: la loro ac
condiscendenza spingeva i capi a trattarli bene indipen
dentemente da qualsiasi cosa essi commettano, dal mo

SITUAZIONI ETNICHE IN RUANDA

217

mento che la ribellione sarebbe cosa grave per chi cono


sce lanima negra, cos avida di rendersi indipendente, an
cor pi avida perch il muhutu innanzitutto cosa del ca
po (Diario di Save 1907, p. 165.)
Insomma, i Padri radicalizzano la partizione tutsi/hutu,
e quando il re Musinga, per pura malignit, propone che al
am i protestanti si stabiliscano vicino a loro, si affretta a di
re essi annunciano la stessa vostra cosa, siete dunque simi
li. S, risponde il padre superiore, proprio come se fos
se un tutsi o un hutu, si tratta proprio della stessa cosa! Ma
questo non molto gradito a Musinga (p. 167).

1914-1918: la prima guerra mondiale, guerre ruandesi


Ripartiamo quindi verso il nord per seguire, nel 1903, pa
dre Dufays che va a fondare Rwaza, la missione di Mulra,
e continuiamo con i Padri che avevano gi preso in carico
yundo, la missione di Bugoyi. Fra i balera c una certa co
stante effervescenza; essi si raggruppano in clan cos vigo
rosamente territorializzati che nessuno straniero pu avventurarvisi senza rischiare di morire. Sotto lautorit del ca
po clan, si perpetua la guerra contro i vicini; ciascuno dei bel
ligeranti assistito dai suoi alleati. Si pu riconoscere in al
cune di queste descrizioni la turbolenza del mondo seg
mentario. Nessun capo delegato dalla corte ha potuto farvi
parte e nemmeno le molteplici spedizioni di Rwabugiri han
no sortito alcun effetto. Musinga spera di approfittare del
linstallazione della missione per infilarci uno dei suoi emis
sari che entra per parlamentare quando i Padri lasciano il
campo, ma lui e tutto il suo seguito devono subire lanci di
pietre e altre beffe da parte degli autoctoni. Pi lontano un
capo clan rifiuta semplicemente di lasciar abbeverare la
mandria, il che si traduce in una minaccia armata. Questo
succedeva sulle montagne, mentre in pianura vivevano i tut
si, che si occupavano esclusivamente delle loro vacche, sen
za tentare in alcun modo di battersi contro i balera; anzi,
quando qualcuno di essi tentava di sottrarre del bestiame,

218

CLAUDINE VIDAL

non lo perseguivano. Questo scenario sarebbe assolutamente inimmaginabile nelle regioni di cui abbiamo tratta
to precedentemente (Dufays 1928).
Attorno a Nyundo, i bagoyi [hutu di Bugoy] maneg
giano con abilit la lancia; le risse tra questi e i tutsi, stabili
tisi da generazioni in quei luoghi, non sono affatto rare.
Lultima, riferita dalle cronache, ha lasciato morti da una par
te e dallaltra. Infatti le due comunit non comunicano af
fatto, ripiegate ognuna sul proprio modo di produzione.
Musinga ricomincia con la stessa operazione politica e le cir
costanze questa volta saranno a lui pi favorevoli. H suo
emissario, un certo Rwakadigi, sa molto bene che i rappre
sentanti della corte non erano mai riusciti a stabilire unam
ministrazione che, come al Centro, fosse a vantaggio dei pa
stori; egli giocher cos il tutto per tutto: nella sua qualit di
inviato della corte, si fa passare accortamente per protetto
dei Padri e dei tedeschi, profittandone per saccheggiare. Ri
marr, dunque, fra alti e bassi, obbligando, con lausilio di
qualche intrigo, gli europei a calmare il furore dei bagoy.
Trionfer, infine, in balia delle altalenanti sorti della prima
guerra mondiale, giocando un ruolo intermedio tra i Padri
- francesi - i tedeschi e i belgi.
Tra il 1917 e il 19.18 i bagy sono vittime di una grande
carestia e abbassano conseguentemente la guardia. Improv
visamente, gli allevatori di antico insediamento, da qualche
tempo trattati brutalmente, si vendicano, bruciando capan
ne e raccolti, ma anche uccidendo. Consultato dal coman
do belga, nel febbraio del 1918 il superiore di Nyundo di
fende appassionatamente lautonomia del Nord:
mi sforzo di dimostrare che, riguardo alla volont di applica
re in questa zona il sistema degli nduga [il Centro], se i mututsi
di qui fossero i padroni assoluti di tutta la regione e di tutte le
vacche il paese sparirebbe. NellNduga, regione di formazio
ne mututsi, questo pu andare, qui invece ci sono le famiglie
e i clan che hanno le loro propriet. Se i mututsi avessero la pos
sibilit di sottrarle loro come vorrebbero, questo significhe
rebbe spossessare tutti i proprietari, negare l storia del Ruan
da (ir) (Diario di Nyundo, 1918).

SITUAZIONI ETNICHE IN RUANDA

219

Sarebbe ingiusto a questo punto dimenticare i batwa,


dei quali non abbiamo ancora detto nulla, tanto pi che al
Nord del Ruanda essi fanno parlare di s. Un twa, Basebya, esattamente come i grandi dignitari tutsi, organizz
una piccola armata molto efficace e ben addestrata; il suo
riparo era unimmensa palude situata nel Buberuka, dove
gli abitanti terrorizzati sono fuggiti. Costui sfid i due eser
citi inviati da Musinga e continu impunito, per una doz
zina di anni, a dettare legge in questa zona, al punto che
gli stessi Padri furono costretti a venire a patti con lui. Nel
1912 ebbe il torto di immischiarsi nella vita politica ade
r e n d o al partito del pretendente al trono. Perder la vita
vittima di un agguato.

La terza,metafisica delle etnie: quella degli etnologi


Rispetto agli altri paesi africani, il Ruanda era davvero
un piccolo regno, non pi esteso della Bretagna o del Bel
gio- Tuttavia, secoli di interazioni tra allevatori e agricol
tori non avevano portato n a una vera e propria fusione,
n a un unico modo di produzione. Dei loro contatti pri
mitivi, noi non sappiamo proprio nulla, se non che, atter
rivo degli europei, tutsi, hutu e twa mantenevano la loro
identit rigorosamente distinta. La volont di potenza di
nastica non aveva mai uniformato i particolarismi, e la po
litica, cristallizzata in forme diverse, non si dispiegava in
un continuum di varianti locali. Da questo punto di vista
l'antropologia del mondo tradizionale ruandese, passando
sopra i suoi tumulti e le sue disomogeneit, lo dipinger
unanimemente come uno Stato primitivo che aveva rag
giunto un alto grado di sviluppo, una macchina del pote
re decisamente efficace. Un modello feudale la cui analisi
privilegia le relazioni tra uomo e uomo e incatena, attra
verso la moltiplicazione dei rapporti di subordinazione, il
re ai suoi soggetti e gli allevatori agli agricoltori. O anco
ra, un mondo pensato attraverso logiche di casta nel qua
le il ruolo positivo la sublimazione dei valori pastorali

220

CLAUDINE VIDAL

trova il suo negativo nei twa caricati di tutte le impurit


possibili. Un modo di produzione fondato su delle proto
classi, sempre che badare a una mandria possa considerarsi
alla stregua di un capitale primitivo, O infine, qui si trat
ta di una metamorfosi recente, laccurata conservazione da
parte dei tutsi dei loro cromosomi avrebbe realizzato un
prototipo precoloniale della societ multirazziale a ten
denza razzista2.
Caste, classi, aristocrazia, razze ... gli antropologi si in
gegneranno a dare un ruolo alle etnie che, in ogni caso, ri
chiedono un'omogeneit che il regno non aveva.
Le mie ricerche sul campo e quelle di qualcun altro con
fermavano al contrario molto bene le impressioni - tutte di
diversit e di effervescenza - che suggerivano le testimo
nianze antiche su questo paese, e mi domandavo come que
sta antropologia avesse potuto misconoscere a tal punto
quella realt che si era data invece come oggetto di studio
(Vidal 1974)..
Alla lunga ho finito per comprendere che ci che que
sta antropologia scopriva erano le istituzioni sviluppate
dopo gli anni Trenta. Questa regalit stabilmente insedia
ta, queste dipendenze personali generalizzate e presenti in
tutte le regioni, questi rapporti tutsi-hutu regolati secon
do uno schema standardizzato non erano pura immagina
zione, ma piuttosto, semplicemente, un anacronismo: la pax
belgica presa indebitamente per il fatto tradizionale. Nel
1931 Musinga e la regina madre erano stati esiliati dai bel
gi, con laccusa di essere refrattari e poco inclini alla col
laborazione, Diviso infine in chefferies e sotto-chefferies, il
Ruanda conobbe unamministrazione unificata al punto
che dappertutto entrava in vigore lo stesso regime fondia
rio e pastorale. Il discorso della Tutela coloniale si affret
tava ad affermare che questo ordine non modificava la si
tuazione antica, appena modernizzata e mitigata per favo
rire il progresso; tesi che non veniva mai smentita dai tut
si, i quali si trovavano fortemente avvantaggiati dalle rifor
me. Nel 1927 il vicario apostolico aveva consigliato il Re
sidente in questo senso:

SITUAZIONI ETNICHE IN RUANDA

221

Se ci vogliamo mettere da un punto di vista pratico e cercare


Finte resse vero del paese, noi abbiamo nella giovent mutui
si un elemento di incomparabile progresso (...). Se si doman
da ai bahutu se preferiscono essere comandati dal popolo o dai
nobili, la risposta non dubbiosa: la loro preferenza va ai ba
tutsi, e a ragione. Capi nati, hanno il senso del comando (De
Lacger 1959).

Ecco, come eco a questistruzione, un estratto del ma


nifesto dei bahutu (testo canonico della futura repubblica)
pubblicato cinquantanni pi tardi, il 24 marzo del 1957:
in che cosa consiste il problema razziale indigeno? Alcuni si so
no domandati se si tratti di un conflitto sociale o di un conflit
to razziale. Noi pensiamo si tratti di letteratura (...). Il proble
ma prima di tutto relativo al monopolio politico di cui dispone
una razza, i mututsi. Monopolio politico che, viste le selezioni
de facto nelle scuole, diventa un monopolio culturale, a gran
de scapito dei bahutu, che si vedono condannati a rimanere gli
eterni lavoratori subalterni e peggio ancora dopo un'indipen
denza eventuale che essi avranno aiutato a conquistare senza sa
pere ci che fanno (Les Dossiers du CRISP 1961, p. 23).

Etnodicea
A ben leggere i lavori degli etnologi, ci si convince che na
scevano tutti da una stessa matrice logica: la relazione
ubuhake. Ovvero un tutsi concedeva a un hutu un capo di be
stiame di cui egli stesso conservava la propriet; in cambio,
il donatario coltivava per il suo benefattore sperando anche
nella sua protezione. Peraltro, Vubuhake si sarebbe pratica
to a tutti i livelli della gerarchia dal momento che legava il re
ai pi grandi, i grandi ai tutsi ordinari e i tutsi agli hutu - so
lo in questultimo caso era prevista lestorsione del lavoro. In
fondo, queste linee di subordinazione spiegheranno allo stu
dioso solo la servit hutu e i privilegi tutsi.
Ne ero anchio persuasa quando inziai la ricerca sul ter
reno. Persuasa al punto tale che ci vollero alcuni mesi per ac

222

CLAUDINE VIDAL

cettare di mettere alla prova ci che dichiaravano gli infor


matori: prima della colonizzazione e durante il primo quar
to del XX secolo, c'erano scambi di doni di bestiame solo fra
tutsi, e quando, raramente, un tutsi ricompensava un hutu,
mai questultimo doveva lavorare in contropartita. Questo
dono significava amore e onore, negando l'interesse in s. Fu
certamente pi tardi che Yubuhake divenne questo contrat
to che l'antropologia considera come il pilastro della societ
tradizionale ruandese. Di contro, i documenti scritti non
mancano e permettono di analizzare come si sviluppa que
sta forma di subordinazione durante la colonizzazione.
Si pu notare a questo riguardo come rimmaginario an
tropologico lavori nel detemporalizzare una formazione
sociale e le sue determinazioni presenti, fabbrichi un pas
sato mistificato in figure ideali: queste si connetteranno
inevitabilmente con quello che viene chiamato il presen
te etnografico. Le due etnie, per questo gioco sui e dei tem
pi, si troveranno oramai descritte come saldate da questo
patto, Yubuhakeyrisoluzione tutto sommato elegante di un
problema sociale. Elegante perch economica e l'econo
mia della dimostrazione contava per come la societ tra
dizionale appariva, per coloro che praticavano esercizi
antropologici, come un sistema da dedurre. cos che
hutu e tutsi, trasformati in sostanze, non possiedono altre
realt se non quella di manifestare una struttura di casta,
o un modello feudale, ma queste rappresentazioni dipen
dono dagli autori.
Questo modello del Ruanda precoloniale passer per
una descrizione della societ reale. La sua longevit sor
prende: malgrado le contestazioni di una critica fondata sul
le tradizioni indigene ma anche sui documenti scritti dagli
europei, non ancora squalificato. Nonostante ci, inne
gabile che queste belle costruzioni crollino come un castel
lo di carte una volta stabilita l'inesistenza dell'elemento che,
all'epoca, costituisce il loro punto di appoggio principale: la
servit pastorale.
(Molte altre asserzioni si sono rivelate, cos, davvero
anacronistiche e anche se possono ancora risultare pi

SITUAZIONI ETNICHE IN RUANDA

223

dettagliate di fatto non inficiano la validit del modello).


Sembra difficile ammettere che un tale mito abbia potuto
essere costruito da ricercatori professionisti, tanto pi che
le loro bibliografie citano lavori come quello del viaggio di
Kandt, di cui abbiamo anche noi fatto uso in precedenza
per dare unidea della differenza dei rapporti etnici. E so
prattutto anche loro hanno fatto ricerche di terreno e han
no ascoltato gli informatori. Unattitudine epistemologica
dellepoca - che conduce alla convinzione che una combi
nazione di semplici elementi produca la logica stessa della
realt - sembra insufficiente a ispirare degli errori cos
grandi3, E tuttavia cos, visto che questa attitudine legit
tima una tale distanza dalloggetto che genera necessaria
mente - al di l delle mistificazioni del mestiere - una con
vinzione di credenza assoluta. Improvvisamente tutte le
discussioni diventano possibili e pensabili, tanto pi che
trovano, involontariamente o coscientemente, la complicit
degli autoctoni.
Nel caso elY ubuhake, lincontro tra unetnologia poco
incline alla critica storica e degli interlocutori ruandesi fu
particolarmente propizio nella costruzione del mito. Verso
gli anni Cinquanta, la servit pastorale ossessionava il mon
do politico e fu abolita nel 1954: tutsi che a livelli diversi ne
beneficiavano tentarono di idealizzarla come unistituzione
delle origini. E vero anche che un codice coloniale ne pre
cisava la modalit e la verbalizzava come se si trattasse di
un costume ancestrale. Lesame dei registri dei processi so
stenuti davanti diverse giurisdizioni, come anche di inter
venti di giudici - tutsi - rivela di giurisprudenza in giuri
sprudenza la messa a punto delle modalit deTububake fra
un hutu e un tutsi, messa a punto che di fatto comincia ver
so gli anni Trenta. I leaders hutu, infine, denunciavano Yu
buhake come unistituzione plurisecolare rappresentativa
del machiavellismo tutsi. Da questo punto di vista il modello
concepito dallantropologia si accordava con la teoria uffi
ciale di modo che, in alcune istanze, in particolare nelluniversit, si ripeteva come un dogma.

224

CLAUDINE VIDAL

Una domanda sempre insidiosa


In conclusione, una piccola storia: un giorno un tutsi mi
disse che a credere agli antropologo se non ci fosse stata la
colonizzazione, il Ruanda avrebbe proseguito nella conqui
sta di altre terre fino al mare: cos almeno oggi avremmo avu
to un porto!. Avevo avuto modo di ripetere questa frase a
uno storico dell'Africa centrale che si divertiva nellascoltar
la ah! Bene, con le loro famose armate non sono andati ol
tre Bubyabungo. Effettivamente questo minuscolo territo
rio situato a ovest del Ruanda resiste vittoriosamente a tutte
le imprese di annessione. Insomma, il mio interlocutore tut
si sognava... sotto il pretesto di un mondo fantastico etno
logico che, altro gioco sui tempi, del presente colonizzato ave
va fatto un passato tradizionale.
La questione etnica in Ruanda non pu che essere insi
diosa in quanto stata l'oggetto di politiche dalle lacerazio
ni violente. E anche lo studioso straniero, Yho sovente con
statato io stessa, se si attiene airoggettivit non deve imma
ginarsi senza partito, in mancanza del quale, in completa in
coscienza, ne assumer uno. DalTautoriflessione si constata
che si arriva a dire e a pensare: Tutsi e hutu... come se que
sta designazione fosse sufficiente in s, e in questo si finisce
il lavoro di oggettivazione.

1 Mi appoggio per queste informazioni principalmente sul Diario di Save


(microfilm, archivio dellautrice).
2 La bibliografia di questa antropologia del Ruanda decisamente ab
bondante e non il caso di riprodurla interamente in questa sede. Nondimeno
invito il lettore a leggere libro di D'Hertefelt che ne propone una bibliogra
fia sufficiente. Per lultima immagine della societ tradizionale come "mul
tirazziale ci si rivolga a Desmarais. Dopo aver dissertato nel corso di qual
che pagina sul passaggio in Ruanda dalla societ dei clan a quella delle caste
- non senza qualche sfumatura feudale - e dimostrato, con tanto di citazio
ni, di aver letto quattro grossi lavori di Lvi-Strauss, lautore viene a scopri
re che i tutsi, buoni genetisti per quello che riguarda le loro vacche e pre
cursori senza saperlo dei "futuri ariani, avrebbero essi stessi applicato i me
todi di incrocio fino a riuscire a realizzare una buona selezione artificiale: ec
co perch i tutsi sono cos grandi! Siamo veramente stupiti di vedere che i

SITUAZIONI ETNICI iE IN RUANDA

225

testi di Lvi-Strauss a proposito della nozione di razza non sotto citati da


Desmarais. Se non li conosce ne consigliamo vivamente la lettura.
3
In conclusione, questa immagine del Ruanda tradizionale dovrebbe esse
re in maniera definitiva rubricata al museo dei miti scientifici. Potrebbe per
essere utilmente studiata per se stessa, per capire come si sviluppata.

H separatismo katanghese1

Elikia MBokolo

La ricorrenza di quello che si convenuto chiamare il


separatismo katanghese appare indiscutibilmente come
una delle maggiori costanti della vita politica zairese dopo
la met degli anni Cinquanta, vale a dire dopo il momen
to in cui la competizione politica moderna stata introdotta
in quello che era lallora Congo Belga. Questo a giudicare
dalle sue pi spettacolari manifestazioni: dal 1960 al 1963,
una secessione territoriale pura e semplice, che porta alla
costituzione di uno Stato indipendente diretto da Mo'fse
Tshombe, una guerra civile e delle complicazioni interna
zionali consecutive sino allintervento delle forze militari
delle Nazioni Unite; nel 1966 e nel 1967 ammutinamento
della vecchia armata dello Stato separatista (i gendarmi katanghesi ), seguita dalla rivolta degli Orribili (i merce
nari europei incaricati delladdestramento dei gendarmi) e
dallaffare Tshombe (condanna da parte di un tribuna
le militare di Mo'ise Tshombe, il quale da l a poco verr in
viato in Spagna, successivamente sbarcato e imprigionato
ad Algeri); tutti questi disordini contribuiranno a destabi
lizzare lo Stato congolese e a screditare il nuovo regime mi
litare stabilito a Kinshasa in seguito al colpo di Stato per
petrato dal luogotenente generale Mubutu il 24 novembre
del 1965; nel 1977 e nel 1978, infine, incursioni militari vit
toriose condotte a Shaba da vere e proprie armate di ri
belli* che si presentavano come gli antichi gendarmi katanghesi e che, secondo quanto sostennero gli osservato

228

ELIKIA MBOKOLO

ri, giocavano sul terreno della complicit agitando la mas


sa della popolazione. Si sa che il regime mobutista deve la
sua salvezza airintervento delle forze militari straniere,
principalmente francesi.
Il
ricordo di questi fatti sottolinea che si in presenz
di una matassa difficile da dipanare. Solo la prima seces
sione, quella dal 1960 al 1963, ha avuto diritto a dei rac
conti circostanziati (Grard-Libois 1964; Chom 1966),
che pure si limitano a valorizzare l'azione dei partiti poli
tici e dei gruppi organizzati, dimenticando velocemente il
ruolo delle forze sociali suscettibili di intervenire in maniera
pertinente nel campo politico. Per gli altri avvenimenti, i
racconti sono piuttosto rari e quando esistono sono di fat
to parziali (Vansina 1966) e ci si riduce quindi a un insie
me di testimonianze ingombranti che non meritano un
gran credito. Ora, se i racconti sono rari, le interpretazio
ni invece fioriscono. Per taluni, i fatti testimonierebbero
della permanenza o dell'insorgenza delle trib del Katanga, elevate al rango di realt sociologiche e politiche pi
significative dagli slogan sonori del popolo congolese,
della nazione zairese (Tshombe 1975). Altri, invece, evo
cano il separatismo, il regionalismo o meglio il na
zionalismo katanghese senza circoscriverne i contorni
ideologici, senza precisarne le basi sociali o i contenuti po
litici. Le interpretazioni pi ricorrenti mescolano gli ele
menti propriamente katanghesi e le interferenze esterne,
privilegiando sempre queste ultime. In effetti, in questultima prospettiva, si vuole ben concedere lesistenza di qual
che separatismo, di natura cosiddetta tribale, etnica o
regionalistica , per decretare presto che i capi, i dirigen
ti e i quadri dei movimenti evocati in precedenza non so
no stati altro che degli oggetti, degli strumenti manipolati
dai potenti, dalle forze e dagli interessi stranieri. In maniera
piuttosto curiosa, si pu notare che questa tesi gioca a fa
vore degli specialisti e degli ideologi tanto di destra quan
to di sinistra. la tesi secondo la quale questi disordini non
sarebbero altro se non delle manifestazioni locali di un va
sto complotto internazionale ordito, per i progressisti,

IL SEPARATISMO KATANGHESE"

229

dal capitalismo mondiale (il riferimento agli anni Ses


santa) e per i conservatori di tutte le opinioni da un co
munismo intemazionale in riferimento alle crisi del 1977
e 1978.
Non c' dubbio che occorra andare a ricercare delle in
terpretazioni meno semplicistiche. Non si pu evitare in
questa sede il ricorso alla storia: non per trovarci delle ri
sposte predefinite ai problemi del tempo presente o delle
spiegazioni definitive a una serie di avvenimenti che hanno
in comune solo il terreno sul quale si svolgono, ma per met
tere in luce come si sono costituiti, alPepoca precoloniale,
degli Stati e, soprattutto, sotto la colonizzazione, una regione
che andrebbe, di concorrenza e in maniera complementa
re, a fornire il quadro territoriale di riferimento dei movi
menti e dei disordini dei tre ultimi decenni; per scoprire co
s l'emergenza e la formazione delle forze sociali antagoni
ste che di fatto costituiscono i veri attori della scena politi
ca katanghse. Ma proprio a queste nozioni - Stato, re
gioni, forze e classi sociali - che bisogna fermarsi piuttosto
che a quelle, troppo approssimative e sfuggenti, di trib e
di etnia. Si tratta quindi di vedere come in una congiuntu
ra di crisi prolungata - del regime coloniale innanzitutto e
poi dello Stato congolese e di quello zairese indipendente
- la coscienza etnica e il sentimento regionalista possano ser
vire da supporto a delle ideologie e a degli interessi suc
cessivi profondamente differenti, 0 meglio come possano es
sere mobilizzati da forse sociali antagoniste nella specifica
lotta politica dove la posta in gioco la conquista o la con
servazione del potere dello Stato.

Etnie, Stati, regioni: la lunga durata


Occorre innanzitutto distruggere un certo numero di mi
ti duri a morire, a cominciare dal "mito lunda che assimila
con una facilit davvero sorprendente katanghese e lun
da: ma il mito lunda non che una variante - la pi dif
fusa, senza dubbio perch molte personalit katanghesi han-

230

ELIKIA MBOKOLO

no rivendicato la loro appartenenza alletnia lunda - del


l'opinione secondo la quale leffervescenza di questa regio
ne reffetto della permanenza, della risorgenza, dellirridu
cibilit delle etnie katanghesi. Ma quali etnie?
Letnografia coloniale belga, molto preoccupata di clas
sificare gli indigeni, di distribuire denominazioni ed eti
chette, si particolarmente interessata al Katanga, reputa
ta giustamente la provincia pi ricca della colonia. Il testo
pi significativo di questo approccio la celebre Carte ethnique du Congo, Quart sud-est pubblicata solamente nel
1961 ma fondata su informazioni provenienti dal periodo
fra le due guerre e su indagini dirette nellimmediato do
poguerra (Boone 1961). Lautrice non distingue meno di
cinquantacinque gruppi, presentati come delle realt po
tenzialmente durature se non permanenti: i dati storici sui
quali si appoggia questa distinzione pretendono infatti di
avere una validit di quattro o cinque generazioni. Ci che
caratterizza principalmente questo studio la perfetta coin
cidenza con le preoccupazioni e le pratiche amministrative
dello Stato coloniale. Ricordiamo che nel 1933 un impor
tante decreto, modificato solo nel 1957, aveva riorganizza
to profondamente le strutture politiche africane creando, a
fianco delle cbefferies e delle sotto-chefferies reputate
tradizionali e specifiche dei luoghi, dei settori tratti il
pi delle volte da raggruppamenti autoritari delle circoscrizioni indigene deboli. Questo decreto stimola in effetti
gli studi etnografici: cos la pi grande rivista di riflessione
e dottrina etno-coloniale, Bulletin des jurisdictions indignes et du droit coutumier congolais, apre, nel 1935,
una nuova rubrica dal titolo Istitutions politiques indignes
con lo scopo di descrivere lorganizzazione politica nei
differenti raggruppamenti indigeni della colonia. Colpisce
constatare che Olga Boone riprenda, come quadro di rife
rimento, puramente e semplicemente le unit amministra
tive coloniali, cbefferies e settori, esistenti nel 1948 e nel
1949, periodo nel quale ha chiuso la sua inchiesta: si sa be
ne che, in quel periodo, i tagli successivi realizzati dalle au
torit coloniali, nel senso dellaggregazione o del fraziona-

L "SEPARATISMO KATANGHESE

231

mento delle circoscrizioni africane, avevano finito per raffor


zare le frontiere e per inasprire di fatto le loro differenze
CBustin 1975, pp, 65-158). In questo modo si spiegano le in
certezze concettuali che fondano questa classificazione;
Fautore impiega in maniera concorrenziale da quattro a sei
nozioni diverse: popolazione, che arriva talvolta sino a
grande popolazione; "trib, che si degrada sovente in
^piccola trib e in "sotto trib, e infine etnia. Dal pun$0 di vista dei criteri stessi dell'autore, i cinquantadnque
gruppi distinti corrispondono di fatto a delle realt ogget
tive (taglia, organizzazione) e soggettive (coesione, coscienza
storica) molto eterogenee. Ritorneremo su queste distinzioni
tteriormente ma, per quanto poco serie esse siano, sono an
cora particolarmente vitali nello Zaire [oggi Repubblica
Democratica del Congo] attuale e sono riprese tali e quali,
fissate e marchiate dal vincolo dell'autenticit da numero
si intellettuali, siano essi semplici ideologi, storici amatoriali
o etnologi occasionali.
Jan Vansina si sforzato, senza mai convincere del tut
to, di introdurre qualche chiarimento a questo proposito.
Nella sua Introcution lethnographie du Congo, nel quadro
del Katanga, egli distingue nove gruppi principali ripar
titi in tre "regioni: la regione Kasai-Katanga, con i gruppi
luba kasai, sogye e luba-katanga; la regione Lunda, con i
"lunda settentrionali, i lunda meridionali e un gruppo com
posito; la regione Tanganyika-Alto Katanga comprendente
il "gruppo dell'Alto Katanga (sanga, yeke, lemba ecc.), il
gruppo hemba e il gruppo bemba (Vansina 1966a, pp. 161199). Si tratta qui di un classico dell etnografia dellAfrica
centrale dal momento che si ricorder innanzitutto che il la
voro di Vansina si situa esplicitamente in diretta continuit
con i lavori di Olga Boone (p. 9). Nel quadro delle tre re
gioni repertorializzate, le distinzioni fra i gruppi rinviano a
criteri pi eterogenei che privilegiano secondo i casi le strut
ture politiche, i sistemi di parentela o gli etnonimi che i
gruppi stessi si danno.
Ciascuno di questi nove gruppi principale diviso a sua
volta in un numero variabile di sottogruppi. Infine si ritro

232

ELIKIA MBOKOLO

va, a livello dei sottogruppi, un numero di unit vicino a quel


lo della Carta etnica [Boone 1961]. L'originalit delVIntroduction [Vansina 1966a] si ritrova invece altrove in maniera
duplice. Innanzitutto questa originalit consiste in uno sfor
zo di datazione: i nove gruppi recensiti nello spazio katanghese appartengono ai " duecentocinquanta popoli - forse di
pi -=che vivono nel Congo intorno al 1900 (p. 5). In effetti
la storia or ora evocata pu essere trascurata: il periodo sto
rico di riferimento scelto non che il terminus ad quem - ter
mine considerato in maniera arbitraria - di un lungo processo
di mutazioni lente o accelerate la cui dinamica e le cui ca
ratteristiche sfuggono, come se i gruppi reperiti nel 1900 fos
sero fssi, immobilizzati, e abbiano conservato la loro costi
tuzione a dispetto delle violenze e degli interventi dello Sta
to coloniale. Peraltro dentro al lavoro di Vansina c un in
teressante sforzo di concettualizzazione che purtroppo ces
sa bruscamente. Questo libro riposa su tre nuovi concetti:
cultura, popolo e regione. I gruppi repertoriati sono chiamati
secondo i casi "gruppi culturali o "popoli: ovvero si rin
via a delle realt eterogenee, dove per "cultura si intende
"il modo di vivere di un popolo, le differenze tra le cultu
re come risultanti dall'ambiente geografico e dalla storia: si
tratta, quindi, di un oggetto costruito dalletnologo. Di con
tro, il popolo viene definito in molti modi: corrisponde tal
volta a uno Stato, talaltra a una comunit storica avente la
stessa origine, altrove un gruppo che si definisce cos e che
percepito in modo diverso dai suoi vicini; questo concet
to sar vicino a quello di "nazione come lo si intende in Eu
ropa. Quanto alla regione, ndlIntroduction viene definita im
plicitamente secondo criteri o che prendono in considera
zione esclusivamente la geografia fisica (le regioni Kasa-Katanga e Tanganyika-Alto Katanga) o puramente culturali:
viene del tutto trascurato linsieme dei fatti economici e po
litici che contribuiscono a organizzare, strutturare e pola
rizzare una regione2.
La storia precoloniale del Katanga resta pertanto da
scrivere e il compito rimane arduo nella misura in cui, per
il momento, gli storici sono largamente debitori all'etno

IL SEPARATISMO KATANGHESE

233

grafia coloniale per i loro materiali, che abbondano di con


cetti, ipotesi e teorie. E evidente, per esempio, che la scel
ta quasi esclusiva da parte di questa etnografia delle unit
tribali come oggetto di studio rende difficile tutte le sin
tesi che prenderanno in considerazione la regione* Questa
storia balbuziente suggerisce almeno due caratteristiche ri
marcabili per la loro durata. Una la sorprendente perma
nenza del Katanga in quanto regione, anche se i principi di
organizzazione, i centri di gravit e le forme di articolazio
ne di questa regione sono considerevolmente vari a secon
da dei periodi. L'altra riguarda la moltitudine delle mesco
lanze e la costanza dei prestiti in tutti i sensi, sui quali si fon
dano i saggi della astoria strutturale che si sforzano, non
senza successo, di ricostruire, attraverso alcuni miti e riti
molto diversi, una civilizzazione comune, un * spazio cul
turale omogeneo distintivo delle popolazioni luba, lunda,
bemba e kuba (de Husch 1972). Ci si accontenter qui di
ambizioni pi modeste.
Si tratter, in particolare, di reperire e di seguire i grup
pi etnici per come sono stati portati in scena negli ultimi
tre decenni dall'attualit politica (luba, lunda, yeke, cokwe)
e di procedere pertanto anche alle indispensabili rettifiche.
Una delle particolarit del separatismo katanghese, so
prattutto nella sua prima fase, stata in effetti uno sfrut
tamento sistematico della storia, sovente abilmente defor
mata, per degli scopi partigiani. Non un caso che i prin
cipali dirigenti politici di questo periodo fossero degli sto
rici amatoriali3.
Una di queste stupefacenti deduzioni pretende che i lu
t a siano venuti in qualit di "invasori nel Katanga: strate
gicamente, si lascia scivolare l'incertezza sul momento di
questa invasione, contemporanea della colonizzazione, se
condo gli uni; anteriore a questa, secondo altri. Nulla me00 vero di questo, qualunque sia la scelta a cui ci si vuole
fermare. Se l'etimologia e il significato della parola luba co
stituiscono da sempre loggetto di speculazioni senza solu
zione fra gli specialisti (Colle 1913, pp. 45-67; Avermaet
1954), l'etnonimo attestato intorno al xvm secolo grazie

234

EUKIA MBOKOLO

ai racconti dei viaggiatori europei: la sua apparizione e la sua


diffusione sono probabilmente anteriori (Reefe 1981, p. 8),
direttamente collegate con lo sviluppo delPimpero luba.
Tutte le tradizioni orali, confermate da una serie di scoperte
archeologiche, fanno del Katanga il paese di origine dei lu
ba dal momento che situano il punto di partenza della lo
ro espansione e il fulcro del loro impero intorno al lago
Boya, non lontano dall'attuale base militare di Ramina.
Questo Stato, costituito intorno al 1600, ebbe come prin
cipali eroi fondatori Nkongolo, Mbidi Kiluwe e Kalala Ilunga. Questultimo era conosciuto come il fondatore del se
condo impero luba. Spesso si rimproverato al missiona
rio, etnografo e teorico della politica indigena Verhulpen
{Baluba et Balubaiss du Katanga, 1936), di aver esageratamente inteso i limiti di questo impero (Young 1965, p. 5).
I lavori pi recenti confermano che la sua estensione mas
sima, alla fine del XVIII secolo e allinizio del XIX secolo, co
priva la pi grande parte del Katanga attuale (Reefe 1981,
p. 116)4. La sua struttura presentava flessibilit nella misu
ra in cui tollerava la coesistenza, allinterno dello spazio im
periale, di territori e di statuti molto differenti (villaggi sa
cri al cuore del regno, villggi individuali amministrati di
rettamente, Stati clienti). Gli storici di questa parte di Afri
ca Centrale, preoccupati soprattutto dalla storia politica e
dagli avvenimenti, non hanno fatto che rimarcare il fatto che
le concessioni ad alcuni individui e a dei gruppi ovvero la
dozione da parte loro del nome e della qualit di luba fos
sero legate a delle posizioni sociali, allesercizio di certe
funzioni e al godimento di determinati privilegi. La strut
tura sociale dellimpero era costituita dallaristocrazia dei ca
pi (mulopwe p i balopwe), dagli uomini liberi, dai clienti e
dagli schiavi. I luba furono innanzitutto i capi: le tradizio
ni storiche ufficiali e i miti dellorigine creavano le linee di
parentela e di solidariet tra i discendenti reali o supposti
degli eroi fondatori, i capi locali pi importanti e i preti, di
vinatori e altri detentori dei poteri magici. Il nome di luba
fu dato anche agli uomini liberi, soprattutto attraverso lin
termediazione della societ segreta dei bambudye incarica-

L SEPARATISMO KATANGHESE

*35

ta di vegliare sulla sicurezza dello Stato ma anche di costi


tuire e trasmettere le tradizioni e di diffondere gli altri va
lori e modi di essere (pp. 79-103). Non c' dubbio che i
clienti e gli schiavi partecipassero alla cultura comune: ma
restavano gli altri, ovvero quelli che in qualche modo po
trebbero essere definiti come gli stranieri dellinterno, i
quali, provvisti di soprannomi multipli, si davano dei nomi
propri che dopo la dislocazione dellimpero sarebbero di
ventati etnonimi durevoli. Proprio da qui nascono le nu
merose contraddizioni dell'etnografia coloniale, che crea
rono non poco imbarazzo: una grande area culturale luba
* e numerose etnie rivali, ostili soprattutto ai luba, un lungo
passato comune e la preoccupazione di affermare le sue
particolarit, ecc.
Quanto ai lunda, essi prendono una grande parte del
la loro cultura dall'impero luba. Sebbene la struttura e lor
ganizzazione politica dellimpero lunda fossero state decisa
mente differenti da quelle dellomologo luba, presero molto
in prestito da questo, e in particolare l'istituto della regalit
sacra, un importante vocabolario politico-amministrativo che
ha a che vedere significativamente con i titoli maggiori {mulopwe, kilolo, mwadi\ mfumu, termini che definiscono i tipi
di capi) e le qualit attribuite al capo, infine le tecniche del
la caccia e della guerra: i miti di origine dellimpero lunda che
attribuiscono la fondazione a una donna sterile di nome
Rweej sposata a Kibinda Ilga, il figlio di Cabala Ilunga, fon
datore del secondo impero luba",
I
principi di organizzazione dello spazio imperiale non
erano solamente politici, ma anche economici, come ha ben
dimostrato Vellut: il tributo, istituzione fondamentale del
l'impero, permetteva di raccogliere nella capitale dei pro
dotti (sale, rame e, soprattutto schiavi e avorio) destinati al
commercio atlantico; di contro il Mwaani Yaav, l'impera
tore, distribuiva ai suoi tributari dei doni composti essen
zialmente da merci importate come tessuti, perle, prodotti
di lusso, armi da fuoco. L'oligarchia politica ed economica
era chiamata Kuund. Il termine lunda, impiegato esclusivamente nel vocabolario politico attuale, designava allora

ELIKIA MBOKOLO

limpero - in quanto distinto dal suo nucleo - e i soggetti in quanto distinti dallaristocrazia che controllava lo Stato
- (Vellut 1972; Bustin 1975, v i i i -x i e 1-19). Il Katanga fu
dunque essenziale allimpero per ben due ragioni: intanto
ne proteggeva il centro; ma soprattutto forniva direttamente e indirettamente ricchezze decisamente apprezzabi
li, come conchiglie delloceano Indiano, braccialetti e cro
ci di rame, sale dal Tanganyika.
Limpero riusc pertanto a estendersi in questa direzione
controllando il Sud della provincia coloniale del Katanga e
una parte dello Zambia. Questa parte orientale, di acquisi
zione piuttosto recente, fu dichiarata provincia autonoma,
sottomessa allobbligo del tributo e piazzata sotto lautorit
di un Mwata Kazembe, venendo cos a intaccare il Sud del
limpero luba. Allinizio del XIX secolo si verific dunque un
antagonismo crescente tra lo Stato luba, allora in difficolt,
e lo Stato lunda, la cui provincia di Kazembe conobbe la sua
pi grande prosperit tra il 1760 e il 1850. Il ricordo di que
sti conflitti, abilmente conservato, al momento della decolo
nizzazione sarebbe divenuto una delle componenti del pro
blema katanghese.
Gli tshokwe e gli yeke non sono entrati nel gioco e nel
lo spazio katanghese che tardivamente, ovvero nella se
conda met del xix secolo. sintomatico il fatto che le
tradizioni storiche raccolte attualmente tendano a ma
scherare il carattere tardivo di questo intervento: a Bunkeya,
capitale degli yeke, si sente infatti raccontare che questi sa
rebbero arrivati nel Katanga alla fine del XVHI secolo5. Co
loro i quali sono stati classificati come tshokwe si distin
guevano per il loro numero relativamente limitato, senza pa
ragone rispetto al ruolo politico: nel 1951, McCulloch sti
mava linsieme della popolazione tshokwe in 600.000 indi
vidui di cui 330.000 vivevano in Angola, 35.000 in Rhodesia (Zambia) e 170.000 in Congo Belga, tra i quali 50.000
in Katanga (Boone 1961, p. 240). Il rapporto tra il numero
e il peso politico era ancora pi drammatico nel caso degli
yeke: verso il 1950, il loro numero, secondo gli autori, va
riava da qualche unit a circa cinquecento. Tshokwe o yeke,

IL SEPARATISMO KATANGHESE"

237

si trattava comunque di una situazione piuttosto consueta


in Africa centrale e australe: gruppi in via di costituzione il
cui processo di formazione verr fermato dalla colonizza
zione. Questa formazione non solo legata, come nei due
casi precedenti, allo sviluppo di Stati, ma anche alle tra
sformazioni degli scambi. Gli tshokwe, verso il 1830, era
no una societ ugualitaria di famosi cacciatori e abili fab
bri, che viveva al centro delT Angola, vicino ai punti di sno
do e alle strade del commercio di schiavi, ma senza parte
ciparvi, II declino della tratta forn loccasione di prender
vi parte attivamente come fornitori di avorio, di cera e di
* caucci in cambio di armi da fuoco. ^esaurimento delle ri
sorse locali di caccia e raccolta e il fatto di detenere un
enorme potenziale di distruzione scatenarono dei movi
menti migratori irresistibili, in particolare verso il Nord e
TEst, e degli interventi diretti negli affari politici degli Sta
ti lunda e luba a partire dal 1874. Il gruppo iniziale degli
tshokwe si rinforz attraverso la cattura, lacquisto e Tassimilazione di schiavi (Miller 1970). Verso il 1885, gli tshokwe
riuscirono a sovvertire gli antichi Stati senza tuttavia dotarsi
di strutture politiche proprie, ma a quel punto il loro terri
torio venne diviso tra le potenze coloniali. Essi dovettero re
sistere per lungo tempo alle forze britanniche, belghe e
portoghesi mentre le aristocrazie declinanti lunda e luba
tentarono di trarre profitto dalla nuova situazione.
Quanto agli yeke, si trattava inizialmente di trafficanti
nyamwezi, venuti dallattuale Tanzania e arrivati nel Katan
ga, nei possedimenti di Mwata Kazembe, nelle stesse condi
zioni degli tshokwe, alla ricerca di merci per il commercio con
Toceano Indiano. Il loro etnonimo ha reso perenni queste
preoccupazioni originarie, dal momento che byeke, nelle lin
gue del paese di accoglienza, significa rti cacciatori. Il capo
di queste carovane, conosciuto con il nome di Msiri, riusc a
dare vita a uno Stato verso il 1880, prendendo in prestito mol
ti elementi dal vocabolario e dalle istituzioni politiche loca
li. In questo quadro, gli yeke furono non solo i cacciatori im
migrati in Katanga ma tutti coloro i quali si riunirono intor
no a Msiri per formare Taristocrazia del nuovo Stato. Lo

238

ELIKIA MBOKOLO

Stato yeke non si attir solo le ostilit delle antiche aristocrazie


lunda e luba, condannate per il fatto stesso della sua instau
razione: lo sfruttamento forsennato delle popolazioni e 1?au
toritarismo di Msiri provocarono anche delle sollevazioni lo
cali. Lassassinio di questultimo e la distruzione delle sue
truppe ad opera degli eserciti coloniali, giungendo poco do
po laffossamento degli imperi luba e lunda, lasciarono dun
que sul terreno un numero considerevole di piccole unit po
litiche, di fatto autonome (MBokolo 1975). Fatto questo
che fece dire a Verhulpen:
All'arrivo degli europei in Katanga, questa regione si trovava in
una situazione che richiamava, sotto numerosi aspetti, quella in
cui si trovava lEuropa occidentale in seguito al crollo dell'im
pero di Carlomagno e alla sparizione di ogni effettiva autorit
centrale (Verhulpen 1936, p. 403).
In questa considerazione si ritrova tutto il pensiero colo
niale alla base dellazione dei belgi in Katanga: innanzitutto,
la certezza tranquilla che lassenza di Stati e il disordine po
litico non avessero nulla a che vedere con lintrusione colo
niale; poi, dal momento che in qualche modo occorreva da
re un nome a questo vuoto politico, il ricorso alla nozione di
"popolazione, di trib, e cos via; infine, la convinzione
rassicurante che civilizzare, ambizione permanente del co
lonialismo belga, avrebbe comportato compito di rico
struire delle unit politiche conformi alle nuove esigenze. In
effetti, che lo si voglia o meno riconoscere, la colonizzazio
ne belga a sua stessa insaputa realizz unopera originale in
Katanga facendone una regione: opera originale dal mo
mento che, secondo lavviso unanime degli osservatori e de
gli specialisti, in una prospettiva che privilegia le pratiche am
ministrative e i discorsi ideologici a spese delle trasformazioni
delle strutture economiche e sociali, la colonizzazione belga
ha piuttosto creato o suscitato trib o etnie, tribalismo ed et
nicit (Young 1965, pp. 232-272; Coquery-Vidrovitch 1983;
Mabika 1959)6. Se la colonizzazione belga ha definitivamen
te costituto il Katanga in una regione, non perch ha sta

IL SEPARATISMO KATANGHESE

239

bilito delle frontiere che si sarebbero rivelate durature, ma per


averla modellata in profondit, in un intervallo di tempo re
lativamente breve. La colonizzazione ha assunto in effetti
dei caratteri specifici in questarea. Loccupazione tardiva di
questo territorio non fu opera dello Stato coloniale ma di im
prese capitaliste private: fri in Katanga che fior il capitalismo
coloniale, producendo una ristrutturazione completa delle
forze e dei gruppi sociali.
noto che, grazie allostinazione e al genio di Leopol
do il, il re dei belgi, lo Stato indipendente del Congo (Eie)
venne ufficialmente costituito nel 1885 in seguito alla con
fidenza di Berlino. Leconomia di saccheggio, che si ab
batt ben presto sul Congo, permise di capitalizzare le co
lonizzazione grazie a delle esportazioni massicce di avorio
e di caucci, concentrandosi sulle regioni occidentali e di
foresta della colonia e risparmiando il Katanga (Gann, Duignan 1979, pp. 116-140. Verso il 1890, in Katanga non vi
era alcun agente dellElC: la situazione politica ed economica
era ancora quella che abbiamo tentato di ricostruire poco
sopra. Vi erano allora tutte le ragioni per temere le inizia
tive di Cedi Rhodes e della British South Africa Company
che miravano a impadronirsi del no-maris land katanghese
(Slade 1962, pp. 128-140; Katzenellenbogen 1973, pp. 8-20;
Roberts 1976, pp. 155-170; Vellut 1981, pp. 3-8). II leg
gendario appetito di Leopoldo II venne ancora eccitato dai
rumori persistenti che riferivano dellesistenza di enormi
giacimenti doro in Katanga (Stengers 1982). Le truppe
dellEIC penetrarono nella regione nel 1891. Ma fino al
1910, loccupazione effettiva sar lasciata nelle mani di
grosse societ: la Compagnia del Katanga fondata nel 1891,
quindi il Comitato speciale del Katanga (CSK) creato nel
1900, in seguito a un accordo firmato tra Ieic eia Compa
gnia del Katanga. Stando ai termini di questo accordo il CSK
riceveva la delega (...) al fine di esercitare (...) lautorit
dello Stato nei territori del Katanga (Bulletin officiel de
Ieic, 1900, pp. 167-193). Il CSK si dot ben presto di una
forza di polizia, organizzata sul modello e secondo i prin
cipi della forza pubblica che operava nelle altre parti del

240

ELIKIA MBOKOLO

Congo, ma indipendente da questultima. Sebbene lo Sta


to detenesse due terzi del CSK, la direzione effettiva ricade
va sugli uomini d'affari. Il ruolo essenziale del CSK consisteva
nel concedere dei diritti alle grandi societ, sorvegliando per
proteggere gli interessi belgi. Dal giorno 8 dicembre del
1900, una prima concessione fu attribuita alla Tanganyika
Concession Ltd (TLC), fondata da finanzieri britannici, con
la partecipazione di interessi belgi (Katzenellenbogen 1973,
pp. 21-33): la TLC doveva effettuare le prospezioni minera
rie che suscitavano la contrariet dei capitalisti belgi. Que
sto abbandono da parte dello Stato della totalit delle sue
prerogative regie a delle imprese capitalistiche costituiva un
fatto unico nel Congo. Al momento della riacquisizione del
Congo da parte del Belgio, nel 1908, la Carta coloniale sta
biliva che il potere esecutivo non pu delegare Pesercizio
dei suoi diritti che alle persone e ai corpi costituiti che gli
sono gerarchicamente subordinati. In ogni modo la delega
accordata dalPEic rimarr valida fino al 1 gennaio 1912 a
meno che un decreto non vi ponga fine prima di questa da
ta (art. 22). Lanomalia apparentemente venne meno nel
1910 quando il Katanga divenne la prima provincia del
Congo Belga, provincia largamente autonoma dal momen
to che il suo vicegovernatore generale trattava direttamen
te con il governo centrale a Bruxelles (Bulletin officici du
Congo belge, 1910, pp. 382-386). Ma questo cambiamen
to giuridico non pose fine alPaccaparramento del Katanga
da parte dei capitalisti: da una parte perch il primo vicegovernatore generale, Emile A. M. Wangerme, proveniva
dal posto chiave di rappresentante del CSK in Africa, inca
rico che aveva ricoperto per quattro anni (Cornet 1950,
pp. 123-126), dalPaltra perch fu esattamente da quel 1910
che i rapporti di produzione capitalistica cominciarono a
sconvolgere la provincia.
In effetti gli anni 1899-1904 avevano visto succedersi
importanti scoperte minerarie: molti giacimenti di rame, di
cui uno, quello di Kambove, veniva ben presto classifica
to tra i pi grandi al mondo; numerosi giacimenti di stagno
e di metalli mescolati (oro, platino...). Anche se altre sco

IL SEPARATISMO KATANGHESE

241

perte verranno fatte in seguito, dallinizio del secolo era di


venuto chiaro che la provincia era redditizia. Delle tre
grosse societ fondate nel 1906, due avevano per oggetto
10 sfruttamento di queste risorse. La Compagnie du chemin
de fer de Bas-Congo au Katanga (BCK) e soprattutto l Union
minire du Haut-Katanga (UMHK) controllata dalla Com
pagnie du Katanga, la Societ gnrale de Belgique e la Tanganika Concessioni. Lindustria mineraria avvi un pro
cesso di riproduzione estesa del capitalismo in Katanga. Lo
sfruttamento del rame cominci nel Sud-Est (Lumumbashi), per guadagnare il Centro (Likasi e Kolwezi) durante
gli anni Venti7. Parallelamente, lesaurimento dei minera
li' ad alto tenore obblig a mettere a punto delle tecniche
adatte allo sfruttamento di filoni a basso tenore (Veliut
1981, pp. 27-31). Quindi si moltiplicarono, durante gli an
ni Venti, le imprese di trasformazione del minerale e le
centrali elettriche. La grande crisi economica interrompe
questo slancio che riprende dopo il 1945 grazie ad alcune
condizioni favorevoli del mercato (forte domanda suscita
ta agli Stati dalla guerra fredda), alla possibilit di trovare
sul luogo energia a buon prezzo e una manodopera sem
pre pi formata. Sintraprende lo sfruttamento intensivo
del manganese, dello zinco e del cobalto. Le ditte costituite
a questo scopo erano sotto il controllo diretto o indiretto
dellUMHK e della Societ gnrale (Ydewall 1960; Mutamba Makombo 1977, pp. 139-158 e tavole 12-13). Lo
stesso valeva per le societ che, senza essere direttamente
legate alleconomia mineraria, approfittavano dei suoi mol
teplici effetti generatori (birrerie, cementifici, industrie ali
mentari). Cosi, se si potuto sostenere a giusto titolo che
11 Congo Belga fosse propriet della Societ gnrale, che
nel 1932 controllava il 64% dei capitali investiti nella co
lonia e nel 1950 il 75% (Merlier 1962, pp. 121-122; Peemans 1975, p. 183), laffermazione era ancora pi fondata
nel caso del Katanga, soprattutto dopo che la Societ nel
1928 aveva assorbito gruppi ai quali essa stessa aveva ce
duto una parte del capitale dellUMHK alla sua fondazione.
Lo sviluppo delleconomia mineraria e industriale confer

242

ELIKIA MBOKOLO

al Katanga un peso enorme, sebbene difficile da determi


nare, allinterno dellequilibrio generale del Congo8. Ora,
economicamente, il Katanga era pi integrato nel fortilizio
bianco delTAfrica australe che nel Congo. Innanzitutto
perch, attraverso lintermediazione della TLC, gli interes
si rhodesiani erano sempre presenti nelleconomia mine
raria (Chom 1966, p. 29). Poi, per il fatto che, malgrado
gli sforzi delle autorit coloniali, la BCK svolse un ruolo se
condario nellestrazione dei minerali del Katanga: questi ul
timi passavano per lAngola e, soprattutto, attraverso le due
Rhodesie (Zambia e Zimbabwe), per il Sudafrica e il Mo
zambico (Katzenellenbogen 1973). Infine, perch, dal 1906
agli inizi degli anni Cinquanta, la concentrazione e la raf
finazione del rame si potevano realizzare a condizioni red
ditizie solo grazie al carbone della Rhodesia, di cui la so
ciet di sfruttamento, la Wankie Collery Co. era a sua vol
ta in parte controllata dallUMHK (Vellut 1981, p. 27). Que
sto squilibrio regionale era pi complesso di quanto ap
parisse al primo sguardo: rispetto alla scala del Congo, dal
1910 il centro di gravit si era spostato in Katanga, ma
nella scala del Katanga esso si concentra nellestremit me
ridionale, su una ristretta fascia corrispondente a malape
na a un terzo della provincia.
Una delle principali conseguenze di questa nuova eco
nomia fu linstallazione in Katanga di unimportante po
polazione europea. Si commette un errore a definire que
sti europei come coloni; in realt; la presenza e la riusci
ta del grande capitalismo finanziario e industriale costitui
ranno un grande ostacolo allafflusso di coloni , in parti
colare di imprenditori agricoli: la redditivit delle miniere
si rivela nettamente superiore a quella delle piantagioni;
daltra parte, essendo la manodopera allinizio rara, le im
prese minerarie lasciavano al margine ogni seria concorrenza
nella domanda di forza-lavoro. Il ritmo di crescita di que
sta popolazione europea aderisce peraltro strettamente al ci
clo delleconomia mineraria: pressoch nessun europeo pri
ma del 1910, una forte spinta durante gli anni Venti, un ripiegamento significativo nel decennio della grande crisi,

IL "SEPARATISMO KATANGHESE

243

una ripresa spettacolare dopo la seconda guerra mondiale


(vedere tabella i). Si constata cos che in termini socio-pro
fessionali il gruppo dominante di gran lunga quello degli
impiegati delle grandi societ, dal momento che la quota di
"coloni rimane stabile intorno alP8% della popolazione.
Nonostante ci, pur non presentandone il profilo profes
sionale, questi europei esprimevano i riflessi, i comporta
menti, le aspirazioni e le attitudini politiche di una classe
omogenea di coloni: volont feroce e sentimento crescente
di radicamento nel paese di accoglienza che non era nul
la e di cui si fatto tutto; autonomismo allergico e sospetto
viscerale nei confronti dei politici, soprattutto quelli del
la metropoli, accusati di non comprendere niente degli af
fari della colonia; paternalismo misto a razzismo verso gli
africani. Questo paradosso non privo di spiegazioni: re
stando solo a loro, gli europei del Katanga hanno rappre
sentato fino al 55% della popolazione bianca del Congo
11926); alla vigilia dellindipendenza essi ne costituivano an
cora un terzo. H numero degli europei era sensibilmente me
no importante in ognuna delle altre province: meno di
30.000 nella pi densa, Lopoldville; appena 7.000 nella me
no densa, PEquatoria /Equateur (Mutamba-Makombo 1977,
p. 235). Nello stesso Katanga essi rappresentavano il 2,1 %
della popolazione totale, mentre gli europei rappresenta
vano meno dell1% della popolazione totale del Congo: si
ritrovava cos in Katanga la stessa proporzione di bianchi
del Kenya o della Rhodesia del Sud. Gli stretti legami eco
nomici e lintensit della circolazione con PAfrica australe
hanno senza dubbio facilitato il contagio ideologico da sud.
Infine, la rivendicazione del radicamento era tanto pi for
te dal momento che la maggior parte di questi europei (pi
di due terzi) erano arrivati in Katanga dopo la seconda
guerra mondiale, in una congiuntura politica e sociale gi
tesa: proprio questo gruppo che andr a servire da labo
ratorio per lideologia regionalista.
Dal lato africano, si avr una prima idea del tipo e del
ia velocit dei cambiamenti in corso analizzando la tavola
n. Queste cifre mostrano innanzitutto la crescita spettaco

ELIKIA MBOKOLO

244

lare degli effettivi urbani (* extra-coutumiers)\ questa cre


scita stata molto pi forte che nel resto del Congo. Ri
spetto alla scala del Congo, la proporzione di cittadini
considerevolmente aumentata, ma meno che in Katanga:
8,8% nel 1938; 14,8 nel 1945; 23,7% nel 1955; 22,7 nel
1958 (Merlier 1962, p. 147).
Tavola I. Gli europei in Katanga
Anni

Totale

Belgi Agenti del- Coloni Funzionari Missionari


le imprese

1919
1926
1929
1931
1935
1941
1944
1946
1947
1950
1951
1953
1957
1959

3.000 1.800
7.200 4.900
10.500 6.500
8.500
5.840
10.150
12.200 7.860
11.350 7.600
14.000 10.000
18.350 13.800
21.400
27.500
34.000
31.000

3.340

1.220
1.670
1.740
2.043

Foriti: Cornei (1950) per il 1919; Franck 1928 per il 1926-29; deliberazioni del
consiglio di Provincia per gli anni ulteriori; Gerard-Libois (1964) per il 1959.

Occorre per considerare che le nozioni di coutumiers


(consuetudinari) ed extra-coutumiers (extra-consuetudi
nari) sono categorie intellettuali corrispondenti peraltro a
degli statuti individuali e collettivi, creati dalle autorit co
loniali, certamente utili per gli scopi dell'amministrazione, ma
sociologicamente povere. Per esempio, il numero dei lavo
ratori nei due ambienti progredito in una maniera ancora
pi interessante: nel 1949 si contavano 184.000 lavoratori in
ambito rurale e 140.000 lavoratori in contesto cittadino, nel
1957 il numero era rispettivamente di 195.000 e 190.000.

Tavola II Gli africani in Katanga


Anni

Totale

Extra-consuetudinari
Numeri

1940
1941
1942
1943
1944
1945
1946
1947
1948
1949
1950
1951
1952
1953
1954
1955
1956
1957

1.048.584
1.078506
1108.975
1,117.178
1.121.141
1.142.019
1.166.678
1.200.280
1.242.234
1.280.779
1.296.000
1*326.000
1.374.000
1.424.000
1.456.300
1.496.728
1.561.344
1.609.635

149.635
169.956
208.012
223.661
239.535
242.537
245.218
274.394
325.546
351.932
368.500
390.000
441.229
480.082
509.327
536.336
569.312
589.722

Tasso
di crescita

Proporzione
della popolazione

+13,58
+ 22,39
+ 7,52
+ 7,10
+ 1,25
+ 1,11
+ 11,90
+ 18,64
+ 8,11
+ 4,71
+ 5,83
+ 13,14
+ 8,81
+ 6,09
+ 5,30
+ 6,15
+ 3,59

14,27
15,76
18,76
20,02
21,37
21,24
21,02
22,86
26,21
27,48
28,43
29,41
32,11
33,71
34,97
35,83
36,46
36,64

Fonte\ Consiglio della provincia, Katanga, Rapporti annuali (1951-58),

Consuetudinari

Numeri
898.949
908.550
900.963
893.517
881.606
899.482
921.460
925.886
916.688
928.847
927.500
936.000
932.456
943.953
947.056
960.392
992.032
1.019.913

Tasso
di crescita

Proporzione
della popolazione

+ 1,07
- 0,84
-0,83
-U 5
+ 2,03
+ 2,45
+ 0,48
-1,00
+ 1,33
- 0,15
+ 0,92
-0,38
+ 1,23
+ 0,33
+ 1,41
+ 3,29
+ 2,81

85,73
84,26
81,24
79,48
78,63
78,76
78,98
77,14
73,79
72,52
71,57
70,59
67,89
66,29
65,03
64,17
63,54
63,36

246

ELIKIA MBOKOLO

La composizione della popolazione extra-coutumire


era molto eterogenea. Uninchiesta molto approfondita delrinizio degli anni Cinquanta ha permesso di enumerare a Elisabethville almeno sei gruppi socio-professionali significati
vi: i "colletti bianchi (18% degli attivi), gli operai qualifi
cati (31,2%),i manovali per tutti i lavori (35,6%),i ser
vitori" (8,2%), i commercianti indigeni (5%), gli artigia
ni indipendenti (1,5%) (Grevisse 1951, p. 99). B gruppo pi
antico e, in ogni epoca, il pi importante era quello degli ope
rai e dei manovali di cui occorre sottolineare le principali ca
ratteristiche. Fino alla met degli anni Venti, lUMHK utilizz
esclusivamente manodopera non qualificata (scavatori, por
tatori...), reclutata sul posto o nelle regioni immediatamen
te circostanti e assoldata per periodi molto brevi (Mottoulle
1950; Perrings 1979; Vellut 1981, pp. 31-32). Limpulso del
settore minerario degli anni Venti, la diversificazione delle in
dustrie e le costrizioni tecnologiche imposero una politica di
stabilizzazione, caratterizzata da contratti relativamente
lunghi (tre anni); i lavoratori erano incoraggiati a stabilirsi con
la loro famiglia nei campi specificamente allestiti dalle gran
di societ (UMHK, BCK). La borsa del lavoro del Katanga, fon
data nel 191 e trasformata nel 1927 in Ufficio centrale del
lavoro del Katanga, si prese carico, insieme a contractrors
pi piccoli, di drenare la manodopera richiesta. La difficolt
consisteva nel debole popolamento del Katanga (2 abitanti
ogni kmq) che non consentiva di rispondere a tutta la do
manda. Ci si mise a sollecitare dei territori pi lontani, in par
ticolare il Nord-Katanga e il Kasai (popolazioni luba e
songye). Ma sembra che la maggior parte dei lavoratori con
tinuasse a provenire dalla regione mineraria stessa e dalla
Rhodesia; inoltre, PuMHK non smise di ricorrere, soprattut
to durante la recessione degli anni Trenta, alla manodopera
occasionale. Il vero cambiamento si verific a partire dalla se
conda guerra mondiale. Non era pi sufficiente stabilizzare.
Seguendo lesempio dellUMHK, tutte le imprese si mostrarono
preoccupate di ridurre i loro costi salariali; esse rinunciaro
no progressivamente ad assumere europei al di sopra del
grado di ingegnere e inaugurarono una politica liberale nei

IL "SEPARATISMO KATANGHESE

M7

confronti dei lavoratori africani: formazione professionale,


avanzamenti, aumenti dei salari; furono soprattutto il NordKatanga e il Kasai che fornirono questi lavoratori (Denis
1956b; Bustin 1975, p. 112; Fetter 1968). Nel 1950 un os
servatore notava:
i reclutamenti si sono trasformati poco a poco in vere migrazioni
che hanno avuto come risultato la stabilizzazione progressiva
nellAlto-Katanga di una popolazione nera non autoctona che
appariva ben decisa a prosperarvi e a fissarsi l definitivamen
te. Infatti, parallelamente alla colonizzazione europea si verifi
ca una colonizzazione bant delTAlto-Katanga (j /c). indi
spensabile per la pace e la prosperit delle nostra provincia
congolese, che queste due colonie/colonati che sono comple
mentari, continuino qui a svilupparsi armoniosamente (Toussaint 1947, p. 31).

Si avevano cos, in seno al proletariato katanghese, due


frazioni distinte nel periodo dellindipendenza. La prima
comprendeva i lavoratori pi anziani, reclutati nel Sud mi
nerario, impiegati nei compiti che esigevano minore qua
lificazione e mal remunerati; questi operai vivevano pi
spesso nei campi delle imprese, sottomessi al paternalismo
pi retrogrado (Fetter 1973), alla sorveglianza pignola del
le milizie padronali e al controllo diretto degli emissari dei
capi tradizionali del circondario. La seconda frazione,
una specie di aristocrazia operaia, comprendeva essen
zialmente i lavoratori venuti dal Kasai che vivevano libe
ramente in citt grazie ai loro migliori salari. Questo se
condo gruppo andava rapidamente diventando maggiori
tario. Perci a Elisabethville, mentre tra le due guerre si
contava un numero pressoch uguale di africani nei cam
pi e nella citt indigena (circa 11.000 nel 1929 e 6.500
nel 1934), Alla met degli anni Cinquanta l'equilibrio si
ruppe: 92.000 nella citt contro 25.000 nell'insieme dei
cinque campi (Fetter 1976, p. 124; Denis 1956a, p. 163; Minon 1957, p. 29). Abilmente sfruttata, questa contraddi
zione interna al proletariato, e in principio non antagoni
stica, degener in conflitto aperto.

248

ELIKIA MBOKOLO

Limmagine di permanenza e di stabilit che la nozione di


coutumiers voleva presentare deve suscitare delle riserve.
In effetti, sin dal primo momento (le Istruzioni in materia
di contese territoriali/palabres risalgono al primo marzo
1888) lamministrazione coloniale era coinvolta negli affari
cosiddetti tradizionali (Demunter 1975, 53-59, 77-83). In
Katanga prese spontaneamente liniziativa di smantellare gli
Stati in cbefferies (Bustin 1975, pp. 20-63). A partire dal
1910, con la costituzione del Katanga come provincia, e so
prattutto a partire dal 1920, grazie alla prosperit economi
ca, lamministrazione coloniale, definitivamente organizzata,
cominci sistematicamente a estendere il suo impero verso
la frontiera e a definire, fissandoli attraverso dei criteri spe
cifici della colonizzazione, gli ambienti coutumiers e tra
dizionali. Ma lo Stato coloniale non era solo sulla scena: do
vette anche fare i conti, soprattutto in Katanga, con gli altri
due componenti della trinit coloniale: il capitalismo fi
nanziario e industriale e il potente blocco missionario con
dotto dallonnipresente e infaticabile M. de Hemptine; da ci
delle contraddizioni interminabili assunsero la forma, abba
stanza semplicistica, di una discussione dottrinaria tra i par
tigiani dellamministrazione diretta e quelli dellammini
strazione indiretta. Ricordiamo solo che, in termini strettamente politici, la manipolazione degli ambienti tradizionali
appariva evidente prendendo in esame levoluzione del nu
mero delle circoscrizioni indigene (tavola in): e ancora, que
ste cifre non dicono nulla circa il lavoro costante di ristrut
turazione di queste unit politiche (smembramento, aggre
gazione, modificazione delle frontiere), n degli interventi
quotidiani (giustizia, fiscalit, designazione dei capi). Si
perci iniziato a riconoscere che questi ambienti tradiziona
li, che vivevano allombra e nella dipendenza del capitalismo
minerario e industriale, sono stati da questo intaccati in mol
ti modi (Jewsiewicki 1977; Vellut 1977): prestazioni di for
za-lavoro, fornitura, per mezzo di coltivazioni obbligatorie,
di surplus agricoli destinati ad assicurare, al minor costo, la
riproduzione della forza lavoro mineraria; a partire dal 1928,
costituzione, al di sopra delle unit politiche, di zone eco

249

IL SEPARATISMO KATANGHESE

nomiche quindi di zone agricole incaricate di realizzare


al meglio questi obiettivi. Questo mondo tradizionale era in
definitiva caratterizzato, oltre che dal suo carattere eminen
temente artificiale, innanzitutto da una circolazione stretta
con il mondo delle miniere e delle citt e da una lunga crisi
strutturale, crisi dautorit e crisi morale di cui soffriranno i
capi tradizionali, crisi economica che poi assume anche la
forma di una povert accentata dovuta alla stagnazione del-

Muoia ni. Evoluzione del numero di circoscrizioni indigene, Katanga


e Congo Belga
A dd

Province del Katanga


Chefferies

im 4

172
173
173
193
192
183
182
156
153
146
140
139
139
138
139
136
135
127
127
127
116
106
64

Congo Belga

Settori

Chefferies

Settori

1
2
4
5
13
14
15
16
17
17
17
17
18
18
21
21
21
23
27
35

2.546
2.542
2.496
2.067
1.629
1.212
1.070
678
629
594
559
552
506
490
476
467
460
445
440
433
414
402
343

57
142
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340
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496
495
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510
513
518
521
523

Ikssunrer 1975, p. 84. Rapporti annuali sulTamniinistrazione della Co


la Congo belge (1933-58).

ELIKIA MBOKOLO

la produttivit e, salvo durante un breve periodo nel corso


degli anni Venti, a unevoluzione costantemente sfavorevole
dei termini dello scambio. La tavola n non esprime pertan
to solo la dinamica propria delPeconomia mineraria e indu
striale, ma anche la crisi delle zone rurali e lesodo degli ele
menti pi dinamici, i giovani. dunque a giusto titolo che,
alla fine degli anni Venti, un osservatore accorto come Mon
signor de Clercq, scopr in queste zone un malessere che la
presenza dei bianchi non ha provocato direttamente, ma che
certamente ha accentuato: questo malessere porta gli africa
ni a rompere con i capi tradizionali, con i loro costumi
(Clercq 1931, p. 560).
Nelle differenti congiunture della storia katanghese, i ca
pi tradizionali non sono stati sempre manipolati dalle au
torit coloniali o dalle nuove lite africane: essi si sono an
che sforzati, in quanto gruppo e forza autonoma, di rovesciare
la tendenza in loro favore.

Etnicit e regionalismo: le congiunture katanghesi e con


golesi
II concetto di congiuntura assunto in questa sede nel
senso che a esso viene attribuito da alcuni politologi: Poulantzas ha significativamente dimostrato il grande interes
se che gli studi di storia politica o di politologia possono
avere nel rivalutare il concetto di congiuntura in quanto
oggetto specifico della pratica politica e come luogo pri
vilegiato in cui si riflette lindividualit storica sempre sin
golare di una formazione sociale (1968, pp. 97 e 99). Con
cepita in questi termini, la congiuntura costituisce un cam
po omogeneo, delimitato e articolato attraverso le pratiche
- e pi in particolare le pratiche politiche - delle classi e
delle forze sociali. Essa comporta pertanto elementi mol
teplici: innanzitutto classi distinte e frazioni autonome
che si riflettono i livello della pratica politica attraverso ef
fetti pertinenti, fatto questo che le caratterizza in quanto
forze sociali; in seguito possono costituire delle forze so-

IL "SEPARATISMO KATANGHESE*

251

" Frontiere di Stato


Frontiere di provincia
Frontiere di distretto

Cartina L Ripartizioni amministrative del Katanga, secondo Bustin


11975, p. 99).

252

ELIKIA MBOKOLO

Dilolo

Conakat
Cartello Balubakat + Conakat
Balubakat + cartelli
M.N.C. - Lumbasa
Conakat + singoli

Singoli, interessi locali


H

M.N.C. - Kalondji

m Confne della provincia del Nord Katanga (Legge delTll luglio 1962).
Fonte: C.R.LS.P.

Cartina 2. Distribuzione geografica delle formazioni politiche, elezio


ni del maggio 1960, secondo Grard Libois (1964, p. 328).

ciali, delle categorie specifiche che giungono, in un mo


mento concreto, ad avere degli effetti pertinenti a livello
della pratica politica, senza per questo essere delle classi o
delle frazioni di classi (p. 99). Nel caso in esame la que
stione diviene quella del riferimento a una serie di con

IL SEPARATISMO KATANGHESE

253

giunture valide per linsieme del Congo piuttosto che so


lo per alcune regioni, In questo senso, la maniera partico
lare in cui il capitalismo coloniale ha conformato il Katan
ga, a livello politico si manifestata attraverso lesistenza,
in alcuni periodi, di congiunture specificamente katanghesi relativamente autonome da quelle congolesi.
questo precisamente il caso della prima congiuntura qui
considerata e spesso tralasciata dagli specialisti, troppo preoc
cupati per la crisi congolese visibile a partire dal 1956. Si
tratta alTincirca del periodo 1920-1955, considerato come
let delloro della colonizzazione belga, e la cui caratteristi
ca principale sarebbe una polarizzazione semplice: da un la
to gli europei, che beneficiavano di tutti i privilegi materiali
e di un potere politico poco contestato; dallaltro gli africa
ni, tra i quali solo la piccola borghesia degli "evoluti mani
festava una qualche attivit politica (Young 1965, p. 3). Ora,
il Katanga, durante questo periodo, presentava un quadro pi
complesso. Due forze erano continuamente presenti sulla
scena politica: il proletariato operaio e il semi-proletariato del
le citt piuttosto che la chefferie rurale; al contrario, gli evo
luti si mostravano particolarmente discreti; quanto alTetnidt, anche se appare incidentalmente come principio di iden
tificazione sociale, non mai il motore dellazione politica.
Prendiamo innanzitutto gli ambienti operai. Molto pre
sto, a partire dal 1910, essi si organizzarono in associazioni
(Fetter 1974). In unepoca in cui le compagnie europee non
reclutavano che lavoratori migranti, sottomessi a uno sfrut
tamento forsennato e a condizioni desistenza precarie, per
questi operai la sopravvivenza materiale e morale rappre
sentava problema principale: le associazioni furono pura
mente e semplicemente trasferite dai villaggi con le loro
funzioni antiche (solidariet tra i membri, organizzazione di
culti religiosi, coesione e controllo politici) e alcune funzio
ni nuove adattate alle circostanze (preparazione di cibi, di
strazioni, opposizione totale al cristianesimo). Il carattere et
nico di queste associazioni non era particolarmente eviden
ziato. La pi importante, Butwa, si ritrovava sotto differen
ti nomi nella maggior parte delle regioni del Katanga. A

254

ELIKIA MBOKOLO

partire dal 1920, con la stabilizzazione della manodopera e


il rapido aumento del numero degli operai, le associazioni
si moltiplicarono e si fecero carico di preoccupazioni sem
pre pi complesse: accanto ad associazioni su ristretta base
etnica e dalle funzioni abbastanza limitate (solidariet, sva
go), si osservata la costituzione di associazioni regionali che
portavano il nome dei quartieri africani in cui avevano se
de; altre ancora, formate, sembrerebbe, da vecchi combat
tenti della prima guerra mondiale in Africa Orientale, pren
devano in prestito il nome, i titoli dei loro responsabili e i
loro riti dairesercito e dall'amministrazione coloniale. Questultima si allarm dinanzi alla proliferazione di questi grup
pi, nei quali vide l'infiltrazione delle idee comuniste! La sua
prima reazione fu quella di reprimere (ordinanza dell'11
febbraio 1926 relativa alle associazioni indigene); poi, invit
i missionari a creare delle associazioni rivali. Questa inizia
tiva, associata alla brutalit della forza pubblica, spiega i
gravi scontri tra associazioni che ebbero luogo tra il 1927 e
1931. La crisi economica che colp duramente il Katanga
dal 1927 al 1935 spinse molti lavoratori a ritornare verso le
zone rurali, sottraendo in questo modo alle associazioni la
loro base. In seguito agli incidenti che si verificarono nel
1931 nei campi minerari di Kipushi, PUMHK, sostenuta dal
governo provinciale, volle andare pi lontano e cercare si
stematicamente di dividere per regnare (risoluzione del 20
ottobre 1931, citata da Vellut 1981, p. 61). Secondo questa
strategia, tutti i mezzi erano buoni: opposizione secondo le
qualifiche, lo statuto (stabilizzati e temporanei) e natu
ralmente secondo le razze africane. poco probabile che
questa strategia potesse riuscire. Il principale avvenimento
sociale e politico delle regioni minerarie di questo periodo
fu lo sciopero del dicembre del 1941 (Perrings 1979, pp. 224229; Vellut 1981, p. 61) che mobilit in una grande solida
riet e indipendentemente dai riferimenti etnici gli operai
qualificati, i pi numerosi e i pi integrati nelTuMHK, nei
principali centri minerari. Lo sciopero, molto duro (48 mor
ti e 74 feriti da armi da fuoco), culmin nel cedimento delPuMHK, che accord precipitosamente aumenti salariali.

IL SEPARATISMO KATANGHESE

255

In zona rurale, la massa contadina non sembra avere


manifestato una resistenza attiva e diretta contro il colo
nialismo una volta che questultimo si fu solidamente in
stallato. Questo atteggiamento si spiega anche con il fatto
che lesodo rurale verso i centri minerari, dapprima obbli
gatorio e poi volontario, aveva assorbito gli elementi pi gio
vani e pi combattivi. In ogni caso, le principali iniziative
provennero dalla chefferie che la colonizzazione, fino agli an
ni Trenta, aveva completamente riorganizzato e che crede
va di continuare a manipolare, mentre i capi, dal canto lo
ro, si sforzavano di giocare un ruolo politico autonomo. GoS.s, dinanzi alla crescita spettacolare della popolazione ur
bana (cfr. tabella II), lamministrazione coloniale prese a
intervenire direttamente sul mondo rurale lanciando il si
stema dei ceti rurali indigeni durante gli anni Quaranta.
Questo sistema si basava sullo sviluppo delle coltivazioni
commerciali, in particolare il cotone, a quanto sembra, e
sinstaur senza particolari problemi in Katanga (Bustin
1975, p. 161). Per giungere a questo risultato lammini
strazione fece sistematicamente ricorso, nel paese lunda, al
Mwant Yaav, il cui prestigio si sforz di risollevare attraverso
privilegi materiali e politici (viaggi abilmente sfruttati in Bel
gio, conquista di un seggio nel consiglio di governo e nel
consiglio di provincia* e cos via). Il Mwant Yaav Ditende
- sul quale peraltro questi vantaggi non sortirono alcun ef
fetto - era stato eletto nel 1951 con lappoggio dei belgi. Egli
utilizzava costantemente questo sostegno per sbarazzarsi dei
lignaggi concorrenti e affermare la propria identit perso
nale non solo sulla corte imperiale di Musuumb, sempre in
cline allintrigo, e sui piccoli capi locali, ma anche sui capi
lunda della Rhodesia del Nord (Zambia) e dellAngola, che
egli riusc a far venire a Musuumb a rendergli omaggio. Fi
no alla met degli anni Cinquanta, nulla in questa politica
faceva pensare che esistesse la volont, anche confusa, di re
staurare lunit dei lunda, di ricostituire il loro impero e di
creare eventualmente uno Stato nazionale autonomo9.
La strategia bipolare del Mwant Yaav era semplice: appog
giarsi sui belgi per recuperare presso i lunda un prestigio

256

ELIKIA MBOKOLO

esaurito e unautorit vacillante; avvalersi di questo potere


presso i belgi per ottenerne un aumento di vantaggi. Nel gi
ro di qualche anno, questa strategia molto abile far del
Mwant Yaav il "capo tradizionale politicamente pi po
tnte in Congo. Probabilmente a causa del loro legame ine
stricabile con i lunda, anche gli tshokwe diedero prova di
una costante agitazione politica. Dallinizio degli anni Ven
ti, i capi tshokwe chiesero di essere trattati indipendente
mente dai capi lunda e sul loro stesso piano. Nel 1923 la
convenzione di Kapanga pose sotto lautorit di quattro
capi tshokwe alcuni territori sottratti ai lunda. Ma questi ter
ritori erano troppo limitati per contenere tutti i tshokwe, la
maggior parte dei quali continu a vivere nelle circoscrizioni
amministrate da capi lunda. La popolazione delle quattro
cbefferies diede prova di un dinamismo demografico che po
se un nuovo problema, quello fondiario, e aggrav la que
stione dei rapporti tra tshokwe, lunda e amministrazione co
loniale. Fino al 1960, questultima fu incapace e senza dub
bio poco desiderosa di trovare delle soluzioni.
Lazione degli altri gruppi sociali pi difficile da cir
coscrivere. Se si conoscono bene le personalit pi impor
tanti del gruppo degli evoluti , non si ha ancora nessuna
idea del loro numero in Katanga. Durante gli anni Trenta,
molti si ritrovavano in due associazioni indipendenti dagli
europei, la Tonga Special Comitee e VAssociation franco-bel
ge (sic), a cui le autorit coloniali si impegnarono a rende
re la vita impossibile. Seguendo lesperienza acquisita con
gli operai, i missionari crearono unassociazione rivale, il
Cercle Saint-Benoit, che, a differenza di quanto si stava ve
rificando nelle altre citt del Congo, confin, fino alla fine
degli anni Cinquanta, la piccola borghesia nera del Katan
ga in un paternalismo gretto e in un apolitismo retrogrado10.
La sommossa sincrtica del Kitawala fece la sua apparizio
ne a Elisabethville nel 1931, proveniente dallAfrica centrale
britannica, per tramite dei contadini congolesi della valle del
Luapula (Fetter 1974, p. 218); sembra aver toccato prima
di tutto i lavoratori originari delle colonie britanniche. In
fatti, sulla spinta di queste categorie intermedie, la rivolta

IL "SEPARATISMO KATANGHESE

pi importante ebbe luogo nel febbraio 1944 a Elisabethville, Jadotville e Kamina (Elisabethville, Conseil de pro
vince, 1944, pp. 71-88). Sebbene questi incidenti si fossero
verificati nello stesso momento dellammutinamento della
guarnigione di Luluabourg, non certo che le due ribellioni
avessero dei rapporti diretti. A Elisabethville, fulcro dei
sommovimenti del Katanga, i disordini furono provocati da
gli impiegati, avvelenati dalla lettura di certa stampa loca
le ed eccitati dallesempio dei Bianchi, e dai sergenti del
la forza pubblica: prestando credito alla polizia coloniale,
il movimento era diretto contro gli europei (...), i sergen
ti si vantavano di possedere delle armi (...), i graduati in
digeni avevano fissato un giorno per abbattere gli ufficia
li. Lamministrazione prese delle misure per neutralizzare
i capi: requis le armi e le consegn agli europei, al punto
che il Mwaant Yaav radun i suoi guerrieri per sbarrare la
strada agli ammutinati di Luluabourg in fuga verso il Ka
tanga. Fu solo in seguito a questa grande paura che lam
ministrazione coloniale riprese la strategia adottata dallUMHL dal 1931: manipolare gli africani (occorre autoriz
zare la formazione di alcune associazioni laddove esse sia
no richieste, ma alla condizione esplicita che siano dirette
da noi e strettamente sorvegliate) e dividerli o in base ai
mestieri o, preferibilmente, sulla base razziale {sic), formula
che ha avuto da poco successo.
Il fattore etnico e regionalista, assente dalla scena politi
ca durante questa prima fase, arriv a dominare la congiun
tura dal 1956 al 1963. Questa seconda fase, analizzata spes
so in termini di crisi (Ilunga 1965), corrisponde anche al
lentrata in scena della piccola borghesia congolese e in par
ticolare di quella del Katanga, in quanto forza sociale che
aspirava allegemonia politica. Tra le circostanze che hanno
favorito queste due novit - il fattore etnico e la piccola bor
ghesia - tre furono particolarmente importanti: la crisi eco
nomica che colp duramente tutto il Congo a partire dal
1957, le riforme politiche imposte dal colonialismo e la pre
sa di distanza politica (decalage) tra la capitale del Congo e
il Katanga.

2*8

ELIKIA MBOKOLO

La crisi economica, provocata essenzialmente dal crollo


del corso mondiale dei metalli non ferrosi, fu pesantemente
avvertita in Katanga, dove le industrie di trasformazione non
erano ancora sufficientemente sviluppate. La sua conse
guenza principale, dal punto di vista politico, fu un incre
mento drammatico della disoccupazione a Kolwezi, Jadotville, Elisabethville e nei centri minerari secondari. A Elisabethville il numero di africani impiegati precipit da circa
45.900 nel 1956 a 37.950 nel 1959 (Bustin 1975, p. 182): la
percentuale dei disoccupati, che prima della crisi si era sta
bilizzata al 4,8%, secondo le cifre ufficiali sal al 13,6% e, se
condo altre stime, al 20% degli attivi (Verhaegen, Bthune
1965, p. 254). Nel 1957 il consiglio provinciale stimava il nu
mero delle bocche divenute inutili a 30.000, cifra destina
ta in seguito ad aumentare. In Katanga la disoccupazione fu,
alla fine della colonizzazione, il problema cruciale del mo
mento (Conseil de province 1958, p. 22). La soluzione tradizionale del governo coloniale, consistente nel rimpatria
re verso i loro villaggi di origine i lavoratori divenuti inuti
li, si rivel pericolosa: non solo gli interessati vi si ribellava
no, ma coloro i quali rientravano, volontariamente o a forza,
rischiavano di contaminare le masse rurali, reputate pure, mu
te e inerti, con le idee di contestazione e di libert di cui l'ef
fervescenza continua delle citt minerarie manifestava la dif
fusione tra gli operai.
Ci si rassegn quindi a tenerne la maggior parte sia nei
centri minerari, riconvertendoli in altri mestieri (domesti
ci, artigiani, operai nei grandi lavori pubblici), sia nelle
periferie circostanti le citt come agricoltori temporanei.
Questi disoccupati andavano a costituire una forza dispo
nibile per tutti i nuovi partiti politici, ancora pi disposta
ad agire dal momento che soffriva della congiuntura eco
nomica, Le ditte si sbarazzavano degli operai reclutati pi
recentemente, che mal si adattavano al lavoro industriale
- lavoratori mediocri, assidui dei fine settimana prolun
gati (...) uomini tra i meno disciplinati (Conseil de pro
vince 1958, p, 23). Si trattava soprattutto di lavoratori re
clutati nelle zone rurali del Katanga: cos, a Elisabethville,

IL SEPARATISMO KATANGHESE"

2 59

il 62% degli impieghi perduti erano di originari delle zo


ne rurali del Katanga, che rappresentavano solamente il
40% degli attivi (Bustin 1975, p. 272, n. 67). Per questo es
si si mostreranno pi sensibili agli slogan che esaltavano i
katanghesi autentici .
A livello propriamente politico, fu proprio nel mezzo
della crisi economica che il governo belga decise, dopo lun
ghi decenni di immobilismo, di iniziare prudentemente i
congolesi alla democrazia e di organizzare, a questo fine,
delle elezioni comunali nel 1957. Oltre alla capitale, le due
altre citt scelte erano katanghesi: Elisabethville e Jadotville.
Queste elezioni ebbero delle conseguenze durature per il
peso che attribuirono ai fattori etnici. In effetti, non senza
abilit, il governo coloniale evit di organizzare le elezioni
al livello delle citt e impose come quadro della competi
zione i municipi africani. Da allora, gli africani comincia
rono a combattersi tra loro e non contro la colonizzazione.
Fatto significativo, i partiti politici non erano consentiti: le
diverse associazioni etniche si ritrovarono in questo modo
investite di un ruolo nuovo, direttamente politico. A Elisa
bethville queste elezioni assicurarono la vittoria dei candi
dati meglio organizzati: i quattro sindaci eletti in quanto ori
ginari della provincia del Kasai.
H dibattito politico sullavvenire del Congo, che il colo
nialismo belga era riuscito a impedire fino alla met degli
anni Cinquanta, si apr brutalmente nel 1956 quando, in se
guito a un progetto di emancipazione, peraltro assai mo
derato (trentanni per emancipare il Congo!), pubblicato da
un universitario belga, lopinione pubblica colta congolese
reag brutalmente e reclam, in ordine sparso, che leman
cipazione si svolgesse in un arco di tempo pi breve e con
un atteggiamento non paternalista (Mutamba-Makombo
1977, pp. 393-494). Ci si rese allora conto, con terrore, a Eli
sabethville, dellenorme distanza esistente tra la capitale
politica della colonia e il Katanga. Lopoldville era perce
pita dal Katanga, pi o meno fino al 1963-64, come il ba
stione di un radicalismo politico pericoloso; in questo con
glomerato di ideologie sovversive si mescolavano alla rinfusa

2O

ELIKIA MBOKOLO

rattivismo autonomista e separatista delPABAKO (Associa


zione dei Bakongo), Panticolonialismo ritenuto comunista
e il nazionalismo centralizzatore delPMNC (Movimento Na
zionale Congolese di Patrice Lumumba) e, in seguito alPinsurrezione popolare del gennaio 1959, le tendenze spon
taneamente rivoluzionarie dei lavoratori di Kinshasa. Nel
le sue Mmoires, Mo'fse Tshombe evocava questo periodo
parlando di un "abisso psicologico tra la capitale e le pro
vince: Duemila chilometri separano Lopoldville dal Ka
tanga, pressappoco la distanza tra Parigi e Mosca {sic)\
allora che io mi rendo conto sino a che punto si trattasse di
paesi differenti (Tshombe 1975, p. 35). La testimonianza
stata ricostruita a cosa fatta: prima di essere avvertito da
quegli africani del Katanga che avevano motivi per inquie
tarsene, questo scarto per molti anni aveva costituito Pos
sessione degli europei della provincia: tradizionalmente
contrari alla centralizzazione voluta dalla capitale, questi se
la presero quindi con quella banda di scervellati che si era
messa a incitare le popolazioni e che con dei balordi ave
va sconvolto una colonia che viveva prospera senza poli
tica (Chom 1966, pp. 50-51). Al contrario, avrebbero
davvero dovuto entrare nel gioco politico.
A prima vista, i raggruppamenti politici allora costitui
tisi danno Pimpressione di essersi strutturati su una base
mono o pluri-etnica. Al momento dellindipendenza due
coalizioni si dividevano quasi a met i voti popolari in se
guito alle elezioni del maggio 1960 (carta 2), (Verhaegen,
Bthune 1965, pp. 266-268; Grard-Libois 1964, pp. 60,
80-95).
Il
Cartello katanghese aveva conquistato 7 seggi sui 16
previsti per il Katanga alla Camera, 23 su 60 alPassemblea
provinciale, e raccoglieva la Balubakat (Associazione dei Ba
luba del Nord Katanga), PATCAR (Associazione dei Tshokwe
del Congo, delPAngola e della Rhodesia) e la Fedeka (Fede
razione delle associazioni tribali del Kasai). La Balubakat, fon
data nel 1956, era stata la prima associazione importante co
stituitasi in Katanga dopo la seconda guerra mondiale; come
la Fedeka, anchessa reclutava essenzialmente in ambito ur-

IL SEPARATISMO KATANGHESE"

bano; di contro, Iatcar, fondata ugualmente in contesto ur


bano alla fine del 1956, cominci, dallanno successivo, a
mobilitare le popolazioni rurali: il malessere legato alla pro
priet fondiaria e i rapporti conflittuali con le chefferies lun
da evocate in precedenza facilitarono linstallazione precoce
dell ATCARin ambiente rurale. Quanto allaltra coalizione, la
Conakat (Confederazione delle associazioni tribali del Ka
tanga), essa deteneva 8 seggi su 16 alla Camera, 25 su 60 allAssemblea territoriale. Fondata pi tardi (ottobre 1958)
salendo sul treno in marcia del gioco politico, questultima
riuniva molte associazioni tribali del Sud Katanga: i suoi
principali supporti erano la cbefferie e la massa contadina lunda e yeke; essa raccoglieva ladesione dellUnione katanghe
se: partito dei coloni europei, forte di 500/600 membri atti
vi, lUK costituiva lemanazione politica dellUnione dei co
loni del Katanga (Grard-Libois 1964, pp. 96-101).
Queste sigle e queste affiliazioni naturalmente non ba
stano a definire la natura di queste forze politiche. Dietro
l'apparenza etnica, le due coalizioni politiche del Katanga
veicolavano unideologia molto pi complessa. Il Cartello
katanghese era diretto dalla piccola borghesia intellettuale
e dai salariati della citt, reclutava le sue truppe negli am
bienti degli operai originari del Kasai, nella giovent urba
na proletarizzata o semi-proletarizzata, e si appoggiava sui
contadini del Nord Katariga e delle chefferies tshokwe. La
saa componente principale, il Balubakat, inizialmente si
sia avvicinata alla Conakat; poi, rimproverando a questul
tima i suoi legami troppo stretti con gli europei e la sua pro
paganda contro i congolesi stranieri presenti nella provin: da, se nera bruscamente allontanata per dare vita a una coa
lizione alternativa. Alcuni dei suoi membri furono sul pun
ta di lasciarsi sedurre dallideologia particolarista e iperetsirasta di Albert Kalondji che in quel momento stava dan0 forma a una mistica pan-luba del Kasai. La maggior par
ia, come gli altri gruppi del Cartello, condivideva lideolok nazionalista, anticolonialista e unitaria incarnata da Lusaumba. Nel contesto katanghese, essi non rigettavano solsesto il separatismo e il federalismo, ma furono anche i pri

262

ELIKIA iMBOKOLO

mi a manifestare inquietudine nei confronti delle tendenze


razziste degli europei del Katanga; dal 1958, sottolineava
no in una dichiarazione solenne: "lopinione pubblica ne
ra, a nome delle quale noi parliamo, vede nella formula di
un Congo autonomo e federale (preconizzato dagli Euro
pei) un trampolino di lancio in direzione della politica di
apartheid in vigore in Sudafrica (Chm 1966, p. 95). A
questo punto era naturale che, nel contesto congolese, que
sta visione globale delle sfide politiche venisse rapidamen
te radicalizzata; in seguito aireliminazione fisica di Lumumba, lala di sinistra del Cartello assunse progressiva
mente delle posizioni rivoluzionarie e nel 1964 guid la ri
bellione che investe il Nord Katanga.
La base sociale del Conakat era molto diversa da quel
la del Cartello. La sua direzione derivava anchessa dalla
piccola borghesia, ma il peso dei salariati nel movimento
era largamente controbilanciato da quello dei rappresen
tanti delle "classi medie indipendenti, formate essenzial
mente da commercianti. D altra parte, questa piccola bor
ghesia ci teneva a definirsi attraverso il suo radicamento
nella chefferie tradizionale rimasta potente nel Sud Katan
ga: Godefroy Munongo, funzionario dello Stato coloniale,
si faceva acclamare come il nipote del famoso Msiri e co
me il fratello del re degli yeke. Mose Tshombe riuniva
nella sua persona le nuov qualificazioni intellettuali valo
rizzate dalla situazione coloniale, la ricca eredit di una li
nea di discendenza di commercianti e di coltivatori e le sue
relazioni familiari con il grande capo dei lunda di cui era
rispettivamente il genero e il cugino (Tshombe 1975, pp.
11-38; Mutanba-Makombo 1977, pp. 195-198). La cheffe
rie tradizionale non si accontentava soltanto di sostenere
la Conakat, ma ne modificava anche sensibilmente gli
orientamenti. Il fatto che la fondazione della Conakat (4 ot
tobre 1958) avesse preceduto di poco lo scioglimento, ad
opera dellamministrazione coloniale, della Fegebaceka,
Federazione generale dei luba del Kasai accusata di attivit
di spionaggio a favore dei nazionalisti rhodesiani (10 no
vembre 1958), intacc in maniera durevole limmagine del

IL "SEPARATISMO KATANGHESE

263

la confederazione, in cui ciascuno vide uno strumento del


le autorit coloniali e degli europei in generale. Di fatto la
Conakat ricevette l'adesione compromettente delPUnione
katanghese, il partito estremistico dei coloni. Inoltre, ri
prese a suo vantaggio il vocabolario, gli slogan e la visione
politica di questi ultimi. Gli europei pi attivi, tradizio
nalmente decentralizzatori, alla met degli anni Cinquan
ta avevano popolarizzato il termine katanghese, sempre
collegato a un nome o a un aggettivo sonoro (coscienza
katanghese, patria katanghese , veri katanghesi, e co
s via): si trattava allora esclusivamente di tutti gli euro
pei che avevano deciso di scegliere questo paese come lo
ro nuova patria (Chom 1966, p. 71). Queste posizioni
non rappresentavano le grosse imprese, ma le classi medie
(avvocati, medici, coltivatori e allevatori, piccoli indu
striali). La sensibile accelerazione della politica congolese
a partire dal 1956 provoc insieme un indurimento e un ad
dolcimento di questa linea11: indurimento dal momento
che dalla rivendicazione del decentramento amministrati
vo si passava a quella deirautonomia politica sul modello
rhodesiano o quello, pi antico, dei dominions britannici;
addolcimento nella strategia nei confronti dei neri. AlTin. circa fino al 1955, gli europei si erano accontentati di una
visione razzista delle relazioni tra bianchi e neri che face
va esplicitamente riferimento al Sudafrica: i neri del Ka
tanga apparivano loro come una massa indifferenziata di
selvaggi e ripetevano che solo gli europei avrebbero po
tuto e potrebbero portare alla luce e mettere a disposizio
ne dellumanit le ricchezze materiali della provincia.
Dopo il 1955 cominci a imporsi una visione di classe:
per katanghesi, gli europei intendevano allora tutti gli
europei installati stabilmente (...) tutti i congolesi origina
ri del Katanga e tutti gli africani delle altre province aven
ti definitivamente fatto corpo unico con la popolazione ka
tanghesew(p. 90). La strategia di questa nuova visione con
sisteva nelTorganizzare una borghesia nera che sarebbe sta
ta naturalmente solidale con gli europei: non vi saranno pi
differenze tra razze ma, come in tutti i paesi del mondo, vi

264

ELIKIA MBOKOLO

saranno solo delle differenze tra classi, aperte a tutti (No


te du colonat au ministre des Colonies, 3 marzo 1955, cit. da
Grard-Libos 1964, p. 12). La Conakat espresse la sua li
nea politica solo nel febbraio del 1959. Il termine katanghesi
assumeva un senso restrittivo. Il Conakat non riconosceva
altro che i katanghesi autentici ; si trattava di katanghe
si di origine, con Tesclusione degli stranieri, reclutati dal
l'amministrazione e dalle imprese coloniali. La Conakat si
definiva come un movimento di reazione contro questi
stranieri: si lamentava del loro numero costantemente cre
scente, H accusava di voler schiacciare i conterranei del
la regione e si opponeva al loro soggiorno definitivo;
questi propositi si indirizzavano specificamente agli origi
nari del Kasai. Uinfluenza dei capi tradizionali confer alla
Conakat il suo carattere di movimento conservatore e rea
zionario, reticente alla rivendicazione delPindipendenza
che guadagnava tutto il Congo e ostile alle regole del gio
co politico democratico: Noi non comprendiamo laspet
tativa di molti di avere l'indipendenza (dichiarazione del
figlio del Mwaant Yaav nel giugno 1959), se il suffragio uni
versale pu essere concepibile in alcune regioni del Congo,
non esattamente la stessa cosa presso i lunda che, da mol
ti secoli, possedevano un regime monarchico ben solido
(memorandum del Mwaant Yaav nel gennaio 1959), at
traverso Pintroduzione del suffragio universale negli am
bienti rurali l'autorit tradizionale falciata via e votata al
la sparizione (memorandum del re degli yeke, febbraio
1959). Fu su queste basi, raccogliendo interessi sufficien
temente discordanti, che la Conakat riusc a radicarsi prin
cipalmente nelle zone rurali del Sud Katanga.
In seguito a una situazione tesa e confusa nel corso del
primo semestre del 1960 (violenze interetniche nei centri ur
bani, scioperi continui, tentativi falliti di secessione del 15
e 28 giugno), il governo provinciale del Katanga, all'inter
no del quale i quadri della Conakat (otto ministri su undi
ci) occupavano tutti i posti chiave, fin per proclamare la se
cessione P ii luglio del 1960, undici giorni dopo lindipen
denza del Congo. Lo Stato separatista sopravvisse fino al 14

IL SEPARATISMO KATANGHESE

265

gennaio del 1963. Appare ormai chiaro che le radici di que


sto separatismo sono da ricercarsi nella storia stessa della
provincia. Trionfo di un regionalismo suscitato dall'insieme
delle pratiche coloniali, il Katanga indipendente rappre
sent la rivincita, sognata da lungo tempo, dei "produtto
ri europei contro l'oligarchia burocratica di Lopoldville, delle cbefferies rurali contro i centri urbani, dei di
soccupati contro le categorie protette, della frazione pi tar
divamente politicizzata della piccola borghesia africana
contro i veterani della riflessione e dell'attivismo politico
ideologico. inutile imputarne la costituzione al calcolo dia
bolico del colonialismo. Le imprese che dominavano in Ka
tanga erano le stesse che dominavano nel resto del Congo;
se il Katanga pot sviluppare una ricca economia minera
ria, fu al prezzo di una divisione dei compiti con le provin
ce vicine. chiaro che l'UMHK, il Belgio e le potenze colo
niali sostennero lo Stato katanghese, non tanto per aiutar
lo a durare quanto per disporre di uno strumento di pres
sione e di ricatto contro Lopoldville. Come ha ben nota
to Chom, contro Lumumba, bisognava giocare la carta
della secessione (1966, p. 409). Dopo l'eliminazione di Lu
mumba, assassinato in Katanga, e con l'arrivo di un grup
po moderato e filo-occidentale al governo centrale del Con
go, ci si mise a negoziare la reintegrazione. Acquisita nel
1963, essa venne ultimata un anno pi tardi, quando il vec
chio capo dello Stato secessionista si ritrov al posto di
Primo Ministro del Congo riunificato. Pi difficile la que
stione delle interferenze rhodesiane. Nel marzo del 1960, sir
Roy Welensky, Primo Ministro della Federazione delle Rhodesie, attestava l'esistenza di contatti con dei gruppi ka
tanghesi in vista di unassociazione pi stretta. Nel giu
gno dello stesso anno, un portavoce della Conakat evoca
va la possibilit di negoziati con la Federazione (Grard-Libos 1964, pp. 53-56, 71). Non si conosce molto di pi. In
questo quadro sufficiente notare che un tale riavvicina
mento sarebbe stato economicamente e politicamente pi
proficuo per una federazione contestata dagli africani e discreditata all'esterno e per gli europei del Katanga piutto

266

ELIKIA MBOKOLO

sto che per gli africani di tutte le categorie, i pi avvertiti


dei quali, sindacalisti, operai e quadri del Cartello, hanno
sempre denunciato il razzismo rampante dei coloni e il lo
ro riferimento aYYapartheid.
Dal 1965, un nuovo rapporto di forze sociali e politiche
si venne progressivamente instaurando in Zaire. Nonostan
te ci, il particolarismo katanghese si mantenuto, esplo
dendo da un momento allaltro in rivolte violente (1977 e
1978). Gli eventi pi recenti sono stati interpretati come il
punto di partenza di una rivoluzione popolare. Tra le altre do
mande che questi avvenimenti, tanto spettacolari quanto mal
conosciuti, sollevano, due in particolare meritano un com
mento. Come rendere conto di questa permanenza? Ormai
il regionalismo ha assunto un altro contenuto?
Lattuale regime congolese, dopo avere duramente col
pito le tendenze centrifughe che hanno minacciato il Con
go, si prefissato tra gli altri compiti quello di forgiare una
nazione congolese. Almeno questo il discorso ufficiale.
Altrove si gi mostrato che le realt politiche erano pi
complesse (MBokolo 1978,1981,1983): da una parte per
ch la classe al potere manipola secondo il suo disegno Petnicit, suscitando cos una dinamica di cui le sfugge il con
trollo; dallaltra perch il discorso e le pratiche che lac
compagnano, relative allo Stato nazionale provocano au
tomaticamente e a tutti i livelli una reazione contro questa
forma specifica di Stato. La proliferazione dei particolari
smi etnici divenuta una delle caratteristiche principali del
paesaggio sociopolitico congolese12, e la storia particolare
del Katanga lo giustificava. La forte concentrazione operaia,
il numero importante di giovani scolarizzati e semi-prole
tarizzati, il raggruppamento massiccio di studenti, lesten
sione della piccola borghesia salariata, la miseria crescente
della massa contadina e il discredito di una chefferie com
promessa dal fallimento della secessione e dalla sua troppo
stretta associazione con il regime attuale hanno fatto credere
ad alcuni che queste antiche tendenze alla dissidenza po
trebbero essere fecondate attraverso lapporto di unideo
logia socialista. Questa fu, o almeno sembrerebbe, la tatti

IL SEPARATISMO KATANGHESE

267

ca dellFLNC (Fronte nazionale per la liberazione del Con


go), responsabile dei sommovimenti del 1977 e del 1978: ap
parendo impossibile la conquista rivoluzionaria del potere
a partire dalla capitale, si sarebbe messo a profitto il parti
colarismo katanghese per costituire in questa regione una
base rossa da cui delle truppe formate sarebbero partite
alla liberazione di tutto il Congo. Si sarebbe infatti ri
presa, colorandola di rosso, la strategia che aveva permes
so la vittoria, su scala nazionale, delle forze pi conserva
trici del Congo tra il 1960 e il 1963.
Il
dibattito sollevato dallFLNC resta aperto malgrado il fal
limento della sua impresa. Nonostante ci, appare gi evi
dente che, alla luce di quanto accaduto in precedenza, fin
tanto che i partigiani dei cambiamenti radicali non integre
ranno le forze sociali come motore di una strategia rivolu
zionaria, i discorsi e i calcoli relativi alTetnicit e al regiona
lismo non saranno altro che pure speculazioni e vane prati
che politiche.

1Lo Stato zairese (oggi Repubblica Democratica del Congo) ha imposto nel
1973 il cambiamento generalizzato dei nomi. Per evitare confusione e anacro
nismo, si preferito lasciare agli individui, ai luoghi e alle cose i nomi dellepoca.
2 Queste notazioni riguardano solo VIntroduzione e non lautore, il cui
punto di vista non cambiato sulla questione. In un testo pi recente, Van
sina scrive a giusto titolo: molte delle trib non esistevano prima della do
minazione coloniale che le ha create, in particolare fornendo loro unetichetta.
Prima di questepoca la maggior parte dei concetti etnici era piuttosto flui
da, a meno di corrispondere a comunit politiche o commerciali ben defini
te, cosa che costituiva senza dubbio pi leccezione che la regola. Il fatto che
lo storico non pu fare affidamento sulla trib implica un anacronismo di una
certa rilevanza. Di contro, esistono ben pochi storici di terreno (Vansina
1982, p. 6). Ma le analisi dellIntroduzione conducono al non meno classico
Kingdoms oftbe Savana (1966b, pp. 20, 70-97,155-179,227-235), che di
venuto il riferimento obbligato di tutta una parte dell'intellighenzia zairese
e continua daltronde a ispirare ricerche.
yJason Sendwe, assassinato nel 1964, scrisse sulla storia dei luba; Godefroid
Munongo, ancora in attivit, raccoglie e pubblica le tradizioni e i racconti sto
rici yeke (su queste personalit cfr infra). Sulla sponda belga, la Revue congolaise illustre, organo violentemente colonialista, pubblica dal 1959 al 1960 nu
merosi testi di volgarizzazione storica, firmati da eminenti rappresentanti del
l'etnografa coloniale e provando a sfruttare politicamente le differenze etniche.

268

ELIKIA MBOKOLO

Un esempio si ritrova nella rubrica non confondere. ./ d e i numero 10, ottobre


1960, I baluba di Albert Kalomdji con i baluba della Balubakat. Questi ultimi
si dedicano frequentemente alla canapa {pp. 7-11).
4 Da ovest a est, dalla riva Lubilasch al lago Tanganyika; da nord a sud, dal
Maniera airattuale Copperbelt.
5 L'influenza della congiuntura evidente, proprio come la volont di ma
nipolare le tradizioni, dal momento che gli scritti di Antoine Munongo, nipote
e successore di Msiri, pubblicati prima della crisi degli anni Cinquanta, affer
mano esplicitamente unaltra cosa e datano Pimmigrazione dalla seconda met
del XIX secolo. Vedi, per esempio, la sua serie pubblicata nella rivista Lovania:
Quelques souvenir historiques de Kalasa Mazwiri, pre de Msiri e de son
Mulgwue Magulu-Kunkweshi Hamana* (n. 21,1951, pp. 64-71; n. 24,1952, pp.
22-23; n. 35,1955, pp. 45-52); Mairi (n. 36,1955, pp. 65-73).
6 Uneccezione tanto pi significativa per il fatto che stata scritta a cal
do e prendendo tutte le precauzioni richieste in relazione agli avvenimenti: Ni
colai 1959.
7 Nomi zairesizzati: Lumumbaschi=Elisabethville, Likast=Jadotville.
8 La produzione mineraria e manifatturiera ha molto rapidamente distan
ziato la produzione agricola rappresentando il 50% del valore totale della pro
duzione nel 1920 e il 62% nel 1939 (Bezy, Peemans, Wautelet 1981, p. 21). Nel
1947, i cinque primi prodotti di esportazione, rame e stagno del Katanga in te
sta, rappresentavano il 55% del totale delle esportazioni (Mutamba-Makombo
1947, p. 140).
9 Vi una differenza molto netta con i kongo: nello stesso periodo lABAKO
(Associazione dei Bakongo, fondata nel 1950) si appoggiava suirunit cultura
le e linguistica e su una storia comune (il regno del Kongo), Tuna e l'altra for
temente valorizzate per suggerire prima di tutto la possibilit e quindi rivendi
care la costituzione di uno Stato nazionale" Kongo. Questa differenza deriva
almeno da due fattori: 1) l'antico reame del Kongo aveva realizzato un unit cul
turale spinta senza equivalenti nellimpero lunfuda, che privilegiava l'integra
zione politica ed economica di uno spazio pluri-etnico; 2) il movimento kongo,
condotto dalla piccola borghesia intellettuale, riusc senza difficolt a mobili
tare tutte le dassi e categorie della societ kongo e fu tanto pi dinamico per il
fatto che si presentava come la reazione suprema contro la colonizzazione: la
politica dei capi lunda, al contrario, siscriveva in tutta nella logica della colo
nizzazione.
10 Vedere il numero speciale del Bulletin du CEPSI>\ Quelques-uns de nos
problmes familiaux et sociaux, realizzato dai Membri del Cerde Saint-Benoit
di Elisabethville (n. 17, 1951): vi appaiono tutti i clich del colonialismo inte
riorizzati da questi intellettuali. Nello stesso momento, la molto moderata Voix
du Congo, pubblicata a Lopoldville, testimoniava gi la dissidenza ideologi
ca degli volus del Congo in relazione al colonialismo.
111 numerosi testi riprodotti da Chom illustrano in maniera notevole que
sta evoluzione (1966, pp. 53-68,87-115,157-175).
12 Si veda in particolare ii saggio di Lumuna 1978.

Bibliografa

Nel testo, Tanno che accompagna i rinvi bibliografici secondo il sistema autore-data sem
pre quello dell'edizione in lingua originale, mentre i rimandi ai numeri di pagina si riferi
scono sempre alla traduzione italiana, qualora negli estremi bibliografici qui sotto riporta
ti vi si faccia esplicito riferimento.

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