sono consolidati nel corso di un tempo lungo. Comincia nellantica Grecia e arriva
fino a noi, alle nostre democrazie rappresentative. Diverse condizioni storiche, diverse
istituzioni e diverse forme di governo democratico, ma un simile principio di libert
politica come sfera separata dalla dimensione sociale.
Ci pu spiegare pi nel dettaglio quali sono questi principi?
Innanzitutto leguale libert politica di darsi leggi, ovvero lautonomia, un principio
che attraversa lintera storia occidentale. Quella democratica uneguaglianza
artificiale per cui persone di diversa condizione sociale, economica, e oggi dobbiamo
aggiungere culturale, religiosa e di genere, hanno un potere eguale di prendere parte al
processo politico, sia approvando direttamente le leggi che votando per chi dovr
coprire questa funzione. E questa la condizione per vivere liberi: non sottostare al
potere di chi lo reclama dichiarandosi superiore in una qualche cosa che non pu
essere acquisita anche dagli altri e idealmente da tutti. Gli antichi ateniesi chiamavo
questa eguaglianza isonomia o per legge ovvero per una ragione che nulla aveva a che
fare con qualit naturali o situazioni sociali. Quando Solone dichiar che i poveri
erano uguali ai ricchi, intese dire che come cittadini di Atene essi erano uguali e la
legge li doveva proteggere dal rischio derivante dalla traduzione delle diseguaglianze
sociali in diseguaglianze di potere politico. La democrazia fece dunque una promessa
di ugual potere in qualcosa, non in tutto. Due sono i principi correlati a questo:
isegoria o il potere eguale che ogni cittadino ha di partencipare con la parola alla
formazione della decisione, e parrhesia o il sapere di poter con sicurezza parlare
francamente in pubblico. La condizione democratica di tranquillit e di sicurezza
non solo di libert. Essa non promette se non questo e per tanto il suo valore come
ordine politico sta nellessere un metodo, una procedura.
Parlando di questaspetto, mi viene in mente che nel suo libro lei insiste molto sul
rapporto stretto che lega la democrazia al liberalismo politico. Come lei scrive,
la democrazia prima di tutto promette la libert e usa leguaglianza politica e
legale per proteggere ed esaudire questa promessa. In altre parole, sulla scia di
Bobbio e Habermas, lei insiste sul ruolo delleguaglianza come necessario
complemento della libert. Come risponde a quei teorici, come Chantal Mouffe,
che guardano al rapporto tra liberalismo e democrazia in termini di
opposizione?
Credo che sia davvero difficile concepire la democrazia senza il principio della libert
di scelta da parte dei cittadini. Sia Hans Kelsen che Norberto Bobbio (che si ispirava a
Kelsen) hanno ben spiegato la relazione tra democrazia e libert. La mia visione del
rapporto tra democrazia e liberalismo simile a quella di questi autori e riposa su
unidea semplice: il liberalismo politico (governo moderato e fondato sui diritti
individuali) e la democrazia sono intrecciati perch senza le libert di parola e
associazione i cittadini non possono contribuire a costruire opzioni politiche e a
scegliere di schierarsi, pro o contro, ovvero a formare una maggioranza o a finire
allopposizione. Si ritorna insomma al ruolo fondamentale che la libert politica
assume nel garantire lisegoria. Autori come Chantal Mouffe che insistono sulla
centralit del conflitto in democrazia hanno per difficolt a contemplare il momento
della decisione. Quando si decide, si verifica uninterruzione momentanea del
processo conflittuale o di antagonismo o meglio quel processo si sposta fuori dalle
istituzioni, le quali procedono secondo quella specifica visione selezionata dalla
maggioranza. Quindi non sufficiente dire che la democrazia basata sul conflitto (o
il suo opposto, il consenso); bisogna specificare che la democrazia prima di tutto
metodo di decisione basato sulla regola di maggioranza. Questa specificazione
fondamentale perch elimina alla radice il consenso unanimistico, che non fa parte
della democrazia anche perch esso pu conferire il potere di veto anche a uno solo,
ovvero assegnare potere alla minoranza invece che alla maggioranza. La democrazia
comincia quando non si daccordo e si deve poter decidere e quando di decide di
decidere contando i singoli voti secondo il principio di maggioranza, che, come si
intuisce, presuppone lesistenza di una minoranza (cosa che, invece, il principio
unanimista non presuppone: qui, infatti, lesistenza dellopposizione vista come una
sconfitta). La regola di maggioranza e il voto individuale sono le condizioni
fondamentali che caratterizzano la democrazia rispetto a sistemi non-democratici. E
per questo che liberalismo (quello politico) e democrazia si implicano a vicenda,
hanno bisogno luno dellaltro.
Democrazia sfigurata. Questo il titolo del suo ultimo libro in uscita con
universit Bocconi editore in cui racconta la crisi delle democrazie
contemporanee (edizione in Inglese Democracy Disfigured. Opinion, Truth and the
People per Harvard University Press). Lei descrive la democrazia come un
sistema diarchico basato sui concetti di volont e opinione. Allo stesso tempo, la
sua intenzione dichiarata quella di difendere una concezione procedurale della
democrazia. Pu spiegarci cosa intende?
Lespressione diarchia vuol significare che in democrazia ci sono due poteri o due
sorgenti di autorit e poi che essi non sono in opposizione ma che, pur restando
diversi e distinti, sono in permanente relazione. Una, la volont, lautorit formale
della legge e di chi la fa e lapplica (il voto dei cittadini, quello dei corpi elettivi, le
regole e le istituzioni dello Stato) e il cui procedere secondo norme stabilite in una
costituzione scritta; uso il termine volont riferendomi alla tradizione delle teorie
della sovranit che identificavano la legge con la volont (Rousseau in particolare,
dove la volont la legge del sovrano). Laltro potere, quella che chiamo opinione, sta
e vive fuori delle istituzioni, nel mondo regolato dai diritti individuali politici che
servono ad articolare il giudizio dei cittadini e a esprimere il dissenso nella societ, a
raccogliere informazioni. Questa seconda forma di autorit include forme diverse di
partecipazione. Per opinione (che dovrebbe essere pensata al plurale), intendo il
mondo vario di formazione delle idee che coinvolge settori diversi della societ civile.
Lopinione ha tre funzioni: la prima conoscitiva-cognitiva e cio raccoglie e
diffonde informazioni grazie alle quali noi formuliano i nostri giudizi politici; la
seconda politica e consiste nello schierarsi al momento di costruire o scegliere
agende politiche; la terza estetica nel senso che si basa sullidea dellesposizione
pubblica da parte di chi gestisce il potere e le istituzioni (noi cittadini vogliamo vedere
quello che avviene dentro il palazzo per poter giudicare). Queste tre funzioni
costituiscono insieme lidea di autorit dellopinione.
Una concezione, questa della diarchia democratica, che sembra molto simile a
quella di Habermas per cui la democrazia deliberativa si basa su una struttura
doppia della deliberazione formale e informale. Quali le differenze con la teoria
habermasiana?
Sicuramente queste due forme di autorit politica, volont e opinione, sono presenti in
diversi autori, soprattutto nel lavoro di Jrgen Habermas. Tuttavia, in Fatti e Norme di
Habermas le due forme di autorit, le procedure che corrispondono alla volont e
lopinione, rimangono indipendenti luna dallaltra. Inoltre, la democrazia come
deliberazione sulla quale Habermas ha focalizzato la sua teoria politica d molto
rilievo alla funzione integrativa dellinterazione etica tra cittadini che argomentano
delle questioni pubbliche e meno alla funzione decisionale che nasce dal suffragio e si
manifesta con le opzioni partigiani ovvero in partiti politici. Infine, lopinione
ragionata di cui parla Habermas intende in qualche modo emendare gli interessi e le
opinioni non riflessive, modi se cos si pu dire inferiori di partecipazione perch
esposti alla ragione strumentale. Secondo me le due dimensioni devono essere pensate
insieme bench ciascuna abbia una funzione sua propria e il loro potere sia diverso; e
infine, la dimensione dellopinione deve contemplare le ragioni partigiane e interessi e
non escluderle come forme contaminate di deliberazione.
E qual la posizione di Bobbio su questaspetto?
A differenza di Habermas, Bobbio sembra suggerire lidea della democrazia come
diarchia. Quando in Il futuro della democrazia Bobbio definisce la democrazia un
metodo, egli aggiunge che questo metodo presuppone che la societ sia luogo di
espressione e contestazioni delle opinioni, un esercizio di dissenso che necessita di un
metodo per convergere verso decisioni. In Bobbio la democrazia promette lelezione
dei rappresentanti, e si basa anche su un processo di partecipazione regolata diretta e
indiretta alla formazione del consenso, di condivisione del potere da parte di tutti. La
forma razionale della deliberazione una componente, non per ci che vale a
nobilitare la democrazia: sono invece le procedure a nobilitarla perch consentono il
libero gioco delle idee e degli interessi, il rispetto dellesito della gara a patto che le
regole consentano sempre di provare a vincere domani. E la temporaneit di ogni
decisione che ci rende liberi, il fatto che nessuna vittoria ultima. Quello che faccio
rispetto a Bobbio di schematizzare la distinzione servendono dellidea diarchica di
volont e opinione. La mia idea che i due poteri debbano rimanere separati e distinti
e interagire senza mai confondersi o sovrapporsi. Questo equilibrio o meglio la
tendenza a mantenere questo equilibrio il lavoro in cui consiste la democrazia, un
ordine politico e insieme un modo di agire nello spazio pubblico (definito sia dal voto
che dalla sfera dellopinione).
Il libro arriva a conclusione di un periodo decennale in cui il suo pensiero si
contraddistinto per unattenzione particolare, storica e teorica, al concetto di
democrazia rappresentativa. Lidea alla base del suo libro del 2006
Representative Democracy: Principles and Genealogy che la democrazia
rappresentativa sia una forma unica di governo democratico peculiare delle
societ moderne che non costituisca un'alternativa alla partecipazione. In
contrasto rispetto al democratismo radicale alla Rousseau e lelitismo
schumpeteriano (che convergono nel definire rappresentanza e partecipazione
come opposti concettuali) lei sostiene che la partecipazione ha bisogno della
rappresentanza per dispiegarsi e dipinge la rappresentanza come una forma
complessa di partecipazione, un processo politico che genera e si sostiene su un
continuo flusso di influenza, controllo e comunicazione tra cittadini e
rappresentanti. In che modo questidea della rappresentanza come
proposta da votare non si deve chiedere: mi piace questa proposta?. Si deve invece
chiedere: questa proposta in accordo col patto fondativo del contratto sociale per il
quale lutilit individuale deve andare insieme alla giustizia? Rousseau non dice
quindi che chi allopposzione sbaglia nel senso che si oppone a u certo contenuto o a
una verit assoluta; lo dice invece presumendo che come cittadini dobbiamo farci la
domanda giusta, alla quale, secondo lui, non ci possono essere due risposte diverse ma
una sola. Il punto di riferimento i principi fondamentali il termine centrale sul
quale il goudizio politico si forma, rispetto al quale chi ha ottenuto meno voti
prevedibilmente nel torto (presupponendo che tutti ragionino senza malevolenza o che
nessuno usi larte della retorica per persuadere). La lezione di Rousseau importante
per questa ragione: ci ricorda che la democrazia presume la diversit di opinione e
largomentazione, anche se non possiamo seguire Rousseau nella regola del silenzio
per tenere lotanto il discorso e larte della persuasione (sulle quali del resto riposa la
rappresentanza, che Rousseau come sappiamo esclude). Retorica e ideologia sono le
armi che i cittadini usano quendo partecipano alla formazione delle opinioni, le quali
sono plurali. I filosofi alla ricerca della verit non sono contenti di questa soluzione e
credono che la democrazia non debba soltanto concederci di vivere nelleguale
opportunit di participare alla formazione della volont politica; vorrebbero inoltre
che le sue procedure ci diano la possibilit di ottenere decisioni buone o migliori di
quelle che otterremmo se seguissimo procedure non-democratiche. Tuttavia, le
procedure democratiche non sono costruite perch noi otteniamo risultati di un certo
tipo. Noi abbiamo quelle procedure perch prendiamo decisioni allinterno di
situazioni per nulla omogenee o organiche e questo ci pu portare anche a decisioni
non soddisfacenti. Lo scopo delle procedure non di darci buoni risultati ma risultati
che siano sempre modificabili direi quindi che la democrazia il regno delle
decisioni penultime.
In altre parole, le teorie epistemiche della democrazia rigettano una visione
procedurale della democrazia e preferiscono considerarla un mezzo per ottenere
certi risultati. Ma quale pu essere una risposta democratica a queste teorie?
Un esponente di punta delle teorie epistemiche della democrazia, David Estlund,
critica Habermas per diferere il proceduralismo senza dargli nessun valore oltre la
procedura stessa; in questo senso il proceduralismo habermasiano sarebbe indicativo
di un atteggiamento nichilista. Questa la visione propria delle teorie epistemiche
della democrazia che vedono nella procedura una struttura in s priva di valore se non
finalizzata a un esito buono. La mia risposta a questa visione consequenzialista che
nella procedura c un valore perch le regole dicono chi siamo, cio uguali cittadini
che liberamente partecipano alla costruzione delle decisioni. Le procedure della
democrazia sono piene di contenuto in questo senso. Tra laltro, lidea epistemica
della democrazia storicamente infondata. La democrazia non ci promette dove
andare ma soltanto come dobbiamo camminare, non uno strumento quindi ma un
fine in se stesso. Questo si porta alla mente Machiavelli, secondo il quale la politica
assomiglia allacqua che gli argini incanalano per approfittare al massimo della sua
forza e tener sotto controllo le sue potenzialit disastrose. La democrazia procedurale
fa le veci degli argini. La visione epistemica ci porta invece a vedere la procedura
politica come un mezzo per raggiungere certi risultati ovvero per correggere le nostre
opinioni nella ricerca di ottenere risposte vere o corrette ai problemi. Gli epistemici
vogliono una democrazia la cui bont sta nelle buone leggi che produce. E invece, la
democrazia produce anche decisioni pessime, eppure noi continuiamo a preferirla a
sistemi dispotici che promettono e forse anche producono bone decisioni. Perch
scegliamo la democrazia invece del dispotismo illuminato? Se noi ci basiamo su
quello che produce, rischiamo davvero di svalutare la democrazia, la quale come
regime politico produce molto spesso mediocri o pessime decisioni.
Tra laltro, difficile non riscontrare delle somiglianze tra le teorie epistemiche
della democrazia e la crescente importanza della tecnocrazia o dei tecnici nei
governi democratici contemporanei. Ad esempio, al livello europeo adesso si
parla spesso di output democracy intendendo con questespressione il fatto che
la democrazia debba essere un regime in grado di raggiungere risultati tanto
legittimi quanto efficienti. Che rapporto c tra le teorie epistemiche e questa
visione efficientista della democrazia?
Credo che gli epistemici, a differenza degli efficientisti, partano dal concetto di
eguaglianza. La democrazia d la stessa voce a tutti perch c una base di
uguaglianza di potenzialit intellettuali in tutti. Secondo la visione epistemica, la
procedura gi contenuta nel principio di eguaglianza della capacit intellettiva. Per
gli efficientisti, invece, la situazione pi estrema e, credo, pericolosa perch
trasformano la democrazia in una questione di problem-solving, proprio come accade
nella governance. Il ragionamento sembra sia il seguente: dato che le democrazie sono
incapaci di prendere con certezza decisioni efficaci o efficienti, occorre restringere il
raggio dazione della scelta politica. Questo il discorso che emerge per esempio dal
libro Republicanism di Philip Pettit, che discuto nel secondo capitolo del mio libro.
Secondo Pettit, i parlamenti devono diventare silenti mentre tutto il lavoro deve essere
fatto da commissioni di esperti che sanno meglio ragionare imparzialmente perch
non soggetti al verdetto popolare; ai parlamenti si lascia il voto finale si/no. In
questottica, lopinione deve essere superata, non pu entrare nel gioco deliberativo se
la democrazia deve raggiungere buone decisioni. Ma se le decisioni nei luoghi
deliberativi elettivi non sono pi rilevanti, allora ci dirigiamo verso una forma di
deliberazione spoliticizzata. Come si vede, il rischio lesautoramento dei corpi
elettivi. Ma al di l di ci, la procedura non ha bisogno di una giustificazione basata
sulleguaglianza delle capacit intellettive per essere legittima: del resto lidea di
universalit del suffragio una risposta radicale contro il principio della capacit
intellettiva. Bobbio ha ben chiarito questo: la democrazia non ha un fine specifico da
raggiungere. Se riempi il fine della democrazia con qualcosa, da quel momento tu
limiti le possibilit dei cittadini, la loro libert. La democrazia ci lascia quindi la
capacit di sbagliare e rifare decisioni. E un sistema aperto di decisione: il regno,
appunto, delle decisioni penultime. Tra laltro, se la ragione dovesse essere il
fondamento della sovranit allora dovrebbero votare solo i pi sapienti (unidea
permanente nella storia, da Platone fino a Guizot). Invece, la nostra libert la
ragione della nostra partecipazione. E per questo che credo che, sia la democrazia
epistemica che quella efficientista siano un ossimoro. Nel dialogo platonico del
Protagora c un esempio interessante per capire il rapporto tra la democrazia e la
competenza tecnica. In questo dialogo, Platone ci spiega che se il popolo vuole
costruire una nave si rivolge ovviamente ai tecnici competenti e ai costruttori di navi,
non le costruisce da solo. Per il popolo che decide se quelle navi servono e se
devono essere costruite: questo il loro potere politico, che risiede appunto nel potere
eguale di decidere non nel potere di decidere bene o correttamente (per cui si possono
delegare competenti o tecnici).
Passiamo a quella che lei considera nel libro la seconda disfigurazione della
politica, e cio il populismo. In che modo esso si appropria del concetto di volont
in una democrazia e lo riformula in senso anti-democratico?
Delle tre disfigurazioni, il populismo lunico che agisce in maniera radicale anche
sulla trasformazione del concetto di volont. Per i populisti, lideologia del popolo
unisce volont e opinione: lopinione pi omogenea o quella che ha pi largo
sostegno dovrebbe essere eo ipso la volont o la legge. Mentre la democrazia
epistemica si concentra sullopinione (per negarla) qua abbiamo a che fare con una
critica serrata al concetto di rappresentanza che svuota la volont di qualsiasi aspetto
formale e procedurale per essere espressione dellopinione popolare. Il populismo usa
le procedure solo nella fase della propria affermazione, allo scopo di vincere. In un
secondo momento, il leader populista tenta in tutti i modi di realizzare la propria idea
facendo ad essa coincidere il potere dello stato. Se nella visione epistemica la
democrazia giudicata dal punto di vista della verit esterna alla procedura, qui
giudicata dal punto di vista delladerenza della procedura a quel che il popolo (ovvero
il leader) vuole che la verit sia. Un esempio di questa visione viene o spesso venuto
dallAmerica latina, dove i leader populisti o i caudilli hanno utilizzato il potere dello
stato per favorire la propria costituency e quindi togliere le armi allopposizione.
Questo modo di concepire il potere, tuttavia, toglie valore alle procedure
democratiche concepire come mezzi al servizio di unidea di popolo. In questa visione
della democrazia, il liberalismo espunto. Il vero obiettivo polemico del populismo
la democrazia rappresentativa, la competizione e il pluralismo partitico, espressioni
del fatto che nella societ ci sono interessi diversi e non tutti unificabili sotto unidea
egemonica di popolo.
La sua critica alla deformazione populista della democrazia ha come obiettivo
principale il libro di Ernesto Laclau, la ragione populista. Qual la sua critica
principale al libro del filosofo argentino scomparso recentemente?
Laclau stato forse lunico pensatore contemporaneo che ha cercato di dare al
populismo una statura teorica autonoma; per fare questo ha sostenuto unidentit di
populismo, democrazia e politica. Questultima avrebbe a che fare con la costruzione
collettiva del sovrano (Laclau non lo chiama sovrano ma popolo). Il popolo di Laclau
tale nel senso romano di plebe, cittadini meno abbienti, coloro che cercano
nellunit sotto un tribuno la loro protezione dai potenti. La politica costruzione
ideologica dellunit del popolo. Laclau giungo a questo esito con due mosse
teoriche notevoli: ha prima emancipato il popolo dallidentificazione con la massa
ignorante e la democrazia oclocratica (nella tradizione di Gustave le Bon o Ortega-iGasset); poi, ha emancipato lazione politica della massa dallaccusa di irrazionalit
che servita a giusitificare la teoria della scelta razionale, cio la dissoluzione del
soggetto collettivo immettendo nella politica il ragionamento strumentale economico
individuale. Laclau emancipa la politica dalla razionalit economica ed emancipa la
massa dallirrazionalit rivendicando lunicit della ragione politica, che fatta di miti
e di retorica ed in questo profondamente razionale allo scopo: uniformare una massa
di individui portatori di varie rivendicazioni in un popolo attore collettivo agire
politico. Laclau rivendica loriginalit dellazione politica e popolare collettiva
attraverso un processo egemonico. Questo indubbiamente un importante contributo.
Se non che la politica non soltanto costruzione dellegemonia. Oltretutto, come
spiego nel libro, il modo in cui Laclau usa lidea gramsciana di egemonia
secondo una logica Schumpeteriana, che ben si lega a questa visione della
democrazia. E chiaro che nel caso del populismo c una presenza dirigistica assai
forte, come nel caso del plebiscitarismo; ma la differenza che nel primo lelemento
popolare pi attivo che nel secondo. Nel populismo c la massa mobilitata mentre
nel plebiscitariamo ci sono soprattutto gli spettatori che guardano la televisione o
usano Twitter o seguono il leader nelle sue permanenti esternazioni pubbliche. Nel
populismo la voce centrale mentre nel plebiscitarismo la vista a farla da padrone.
Nel plebiscitarismo non c bisogno che il tema del popolo sia centrale perch ci sia
un leader. Come dice Bernard Manin, nella democrazia dellaudience i veri attori sono
gli esperti di comunicazione dei partiti che diventano mezzi di costruzione
dellaudience e non sono pi strumenti di elaborazione politica.
Nel suo libro, lei spiega che il concetto di Cesarismo (cio il rapporto diretto tra
un leader carismatico e il suo popolo) ha varie declinazioni e pu essere
interpretato sia come una conseguenza del populismo che come una componente
del plebiscitarismo. Quali sono gli elementi di specificit del cesarismo populista
in rapporto a quello plebiscitario?
In effetti, il concetto di Cesarismo assume un aspetto diverso nel populismo e nel
plebiscitarismo. Il leader plebiscitario un leader carismatico come di insegna Max
Weber, e ha bisogno di essere amato dalle masse e di dare loro quella forma che esse
non sanno darsi da sole. Il leader del nostro tempo tuttavia non cresce nel parlamenro
e nemmeno nel partito, ma nella sfera dellopinione. Ecco perch uso lespressione
plebiscitarismo dellaudience. Questo leader non ha pi vita privata e paga questo
prezzo in cambio del potere. Questo nuovo plebiscitarismo pensa che finalmente il
pubblico riesca a controllare il leader senza pi doversi affidare a istituzioni non
democratiche, come le corti costituzionali o la dovisione dei poteri o il
bicamenralismo. Si tratta di visione idealistica del ruolo dei mezzi di comunicazione,
che si scontra con lesperienza recente e recentissima: noi non abbiamo in effetti alcun
controllo o potere sul leader, la sua immagine che controlla noi; egli vuole il nostro
consenso e di serve di strategie commerciali o mediatiche per ottenerlo. Quel che noi
facciamo vedere quel che qualcuno ha deciso che dobbiamo vedere. Al contrario,
nel populismo il leader cesarista un attore politico: c unione mistica tra popolo e
leader in tutti e due i casi, ma viene raggiunta in maniera diversa in ciascun caso. Nel
populismo, il leader va in piazza, interagisce col popolo, talvolta si confonde con esso
e in mezzo a questo. Nel caso del plebiscitarismo, invece, la costruzione del leader
carismatico dei media unimmagine, una costruzione mediatica dai contorni mitici e
sfumati. Il leader rappresenta se stesso: un esemplare di uno di noi. Laspetto
estetico essenziale mentre nel populismo c un aspetto politico preminente. Credo
tuttavia che la deformazione totalitaria sia molto pi pericolosa nel caso del
plebiscitarismo perch qui il popolo scompare per diventare pubblico. In entrambi, i
corpi intermedi sono comuque esautorati. Esempi di leader plebiscitari sono stati
Bettino Craxi, Tony Blair e, pi recentemente Matteo Renzi. Silvio Berlusconi
combinava fattori populisti e plebiscitari, se non altro perch aveva un apparato
ideologico (liberali contro comunisti) del quale si serviva per gestire la dialettica
amici/nemici. Ma queste semplificazioni sono semopre stiracchiate; in realt tra
populismo e plebiscitarianismo c osmosi, soprattutto nella societ dellopinione
mediatica.