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27/9/2014 Treccani, il portale del sapere

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Industrial Design
XXI Secolo - stampa
di Antonio Citterio
Industrial design
Delineare in un breve saggio la variet di vicende, caratteri e condizione contemporanei del design presenta numerose
difficolt. Prendendo le mosse dallesperienza e dal punto di vista del progettista attivo sul campo, in questo saggio si cercher
sinteticamente e senza alcuna pretesa di esaustivit di focalizzare alcune questioni di metodo, di identificare gli elementi
identitari della prassi disciplinare, di esporre alcune riflessioni sulla situazione odierna e sul futuro prossimo, concentrandoci
sullItalia, ma facendo anche riferimento al contesto internazionale.
Definizione del punto di vista
Molto cambiato rispetto alla condizione storica cui era legato loperare, la reputazione e lidea stessa del design, un settore
che invece oggi divenuto centrale nellagire dellimpresa, nellattenzione dei media, nellatteggiamento accorto del
consumatore evoluto. Questo ha portato oltre naturalmente a unutile notoriet, conoscenza e valorizzazione ad alcune
ambiguit, per cui, per es., talvolta lo stesso termine design utilizzato intendendo cose differenti o contraddittorie. In tale
situazione di ipercomunicazione, in grado di incidere sul mercato, capita che venga proposto come buon design soprattutto il
prodotto facile e di immediato impatto visivo, ideale per le copertine della riviste di settore, a scapito di una chiave di lettura
articolata e complessa che ne faccia emergere il carattere di approccio globale, funzionale alla realizzazione di prodotti, sistemi
e servizi. Daltra parte, tale superiore riconoscibilit e tale esposizione hanno aumentato le responsabilit attribuite a imprese
e designer, assegnando loro un ruolo importante nella definizione del sistema delle merci contemporaneo. Secondo il filosofo
Vilem Flusser il termine design riuscito a ritagliarsi una posizione chiave nel linguaggio quotidiano perch iniziamo (forse a
buon diritto) a non credere pi che larte e la tecnica siano fonti di valore e a renderci conto dellintenzione (design) che le
sorregge [] perch in sostanza il concetto di design sostituisce quello di idea (1999; trad. it. 2003, p. 5).
In un simile contesto, per il progettista quindi divenuto decisivo affiancare agli strumenti disciplinari tradizionali rinnovate
modalit di dialogo con la cultura dimpresa, e considerare con attenzione le trasformazioni del vivere e dellabitare. Senza
voler entrare nellinfinita querelle definitoria, in buona parte attribuibile al mutato e incerto status disciplinare-terminologico
(in particolare odierno, e specificamente nel furniture design), si nota che oggi: tutto diventato design, niente pi design.
La presunta democraticizzazione del termine, delle informazioni e della comunicazione relativa ha ammantato tutto di unaura
di indeterminatezza dove il diverso identico, non essendo in grado di riconoscere n specificit n merito (Bassi 2004, p.
11). Alla fine non risulta sempre facile comprendere di cosa si sta parlando e raggiungere quella minima uniformit rispetto ai
criteri di valutazione, qualit e senso dellinnovazione che resta prerequisito fondante del progetto.
Si tenter in questa sede, comunque, di partire da una semplice definizione, volta a circoscrivere ci che si esaminer e a
individuare il relativo punto di vista. Il vero design tale solo quando agiscono forti interazioni fra scoperta scientifica,
applicazione tecnologica, buon disegno ed effetto sociale positivo (G.K. Koenig, Design: rivoluzione, evoluzione o
involuzione?, Ottagono, 1983, 68, p. 24). In questo caso ha sostenuto Renzo Zorzi gli artefatti appaiono come prodotti
dalla necessit, e si vorrebbe dire dal destino di una interazione dellintelligenza e progettualit industriale, cio dellindustria
in quanto tale, con il generale pensiero dellepoca, in particolare con le idee, le sperimentazioni, le ricerche, il linguaggio che in
campo scientifico e artistico, letterario e ideologico, tecnico e speculativo, la cultura pi avanzata elabora ed esprime nel suo
incessante bisogno di spingere pi avanti le frontiere dellumano, della conoscenza, razionale e intuitiva, delle capacit
immaginative, della vocazione plasmatrice della specie uomo; a una civilt delle macchine finisce per corrispondere in
questo modo una civilt delle forme (Civilt delle macchine, civilt delle forme, in Civilt delle macchine. Tecnologie,
prodotti, progetti dellindustria meccanica italiana dalla ricostruzione allEuropa, a cura di V. Castronovo, G. Sapelli, 1990,
p. 149).
La mutazione del contesto
Per comprendere meglio le prospettive del design agli inizi del 21 sec., risulta necessario ripensare brevemente in chiave
storica al mutamento epocale che ha coinciso con la fine del secolo breve. In Italia questo mutamento ha creato condizioni
assai diverse rispetto a quelle che avevano determinato laffermazione del design stesso.
Alla base del successo culturale e commerciale del disegno industriale nel nostro Paese, possibile identificare alcuni elementi
distintivi, in particolare nella fase fondativa risalente agli anni Cinquanta e Sessanta, tenendo comunque presente che tale
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periodo doro affonda parte delle sue radici teoriche e metodologiche negli anni fra le guerre. Ha sintetizzato Vittorio Gregotti:
la dimensione relativamente ridotta dellimpresa e la possibilit di elasticit e sperimentazione ad essa connesse; le capacit e
laggressivit del nuovo imprenditore, anche talvolta la sua sincera tensione verso il mondo della cultura; la presenza di una
manodopera intermedia poco parcellizzata, legata alle proprie radici artigianali e capace quindi di un intervento creativo, di
unottica complessiva del manufatto; infine un gruppo di designer (quasi tutti architetti nel caso italiano) di grande capacit e
talento, spesso inespresso nel settore disciplinare dellarchitettura e colti nel particolare momento di fondazione del mestiere
specifico del progettista industriale [] infine una societ, cio anche un pubblico dei consumatori, in fase di rapida radicale
trasformazione verso una nuova accezione del rapporto consumo-accumulazione. E ancora per lo specifico dellarredamento:
Il disegno italiano nel settore della casa fu certamente, in quegli anni, pi attento a sperimentare nuovi materiali, a proporre
nuove tecnologie degli arredi, a lasciarsi penetrare dalle influenze che filtravano direttamente dalle esperienze industriali e da
quelle delle arti visive (in Unindustria per il design, 19993, p. 22).
Decisivo di quel periodo risultato il concetto di deroga, come stato definito da Zorzi, che stato sviluppato da una
generazione imprenditoriale vivace e incalzante e soprattutto decisa a trovare unalternativa allesperienza artigianale. Una
modalit che, secondo Zorzi, ci ha permesso di uscire da quella prima, pi restrittiva definizione di metodo della produzione
industriale, insistere di pi sui valori di progettazione, di studio dei materiali e delle loro specifiche tecnologie, di significato
formale (e di immagine) delloggetto, di sua rispondenza alluso, di adattabilit allambiente, del carico di intenzioni, di
cultura, di cui il progettista le carica, o le libera, piuttosto che sul preminente valore di serie (in Unindustria per il design,
1993, p. 28). In sostanza, ha sintetizzato Sergio Polano, il design italiano nei suoi esiti pi alti appare segnato dal tentativo di
unoriginale sintesi tra eversione sperimentale e raziocinio progettante (Achille Castiglioni, 2001, p. 9).
Rispetto a questa tradizione, a partire dagli anni Settanta e con una rapidissima accelerazione nellultimo decennio del secolo
scorso anche in relazione al processo di internazionalizzazione avvenuto un radicale mutamento del contesto in cui
operano e vengono collocati gli oggetti di design, che ha riguardato i modi produttivi, le tecnologie, la riorganizzazione dei
sistemi proprietari delle aziende, la percezione del mercato, il modo di intendere il prodotto da parte degli utilizzatori. Nel
mondo delle imprese sono aumentati notevolmente il lavoro di gruppo, la parcellizzazione delle responsabilit, il numero dei
referenti e di coloro che prendono le decisioni; perch in un sistema pi complesso sono diventate molteplici le competenze in
campo e le componenti e variabili da prendere in considerazione prima di decidere se e come
progettare/produrre/comunicare/distribuire un prodotto. Inoltre, nel panorama della mondializzazione sono avvenuti altri
cambiamenti: produzione/progetto/ricerca sono stati delocalizzati; le dimensioni economiche e produttive sono divenute
decisive; profili e percorsi del consumatore e del mercato dei prodotti spesso non sono pi immediatamente riconducibili a
logiche di razionale intelligibilit. Daltro canto, il ricambio generazionale allinterno delle imprese stato talvolta tormentato
e problematico e lintroduzione nel settore di rigorose (o necessarie che fossero) logiche manageriali e finanziarie stenta ancora
a generare adeguati risultati complessivi.
Dal punto di vista dei linguaggi espressivi, gli anni tra la fine del secolo scorso e linizio del 21 sono stati segnati dal cosiddetto
Minimalismo e dalla risposta del Neodecorativismo, Neobarocco e cos via. Il Minimalismo collegato a un modo di operare
attraverso interventi sulla superficie degli oggetti, ed sensibile alle componenti comunicative ed emozionali, ma spesso meno
attento al processo globale del design.
Un certo numero di esponenti e di oggetti sono stati indicati come minimals, prendendo a prestito un termine nato allinterno
del mondo della ricerca artistica per indicare una tensione verso la riduzione dei segni, della forma, dei valori, delle risorse.
Spiega Vanni Pasca: il minimalismo costituisce lestremizzazione di una cultura progettuale che privilegia la semplicit alla
concitazione formale, la riduzione dei segni alla ridondanza, la laconicit alla rappresentazione confusa, il riserbo alleffusivit
discorsiva (Design degli anni Novanta. Minimalismo e neorazionalismo, in F. Carmagnola, V. Pasca, Minimalismo: etica
delle forme e nuova semplicit del design, 1996, p. 63). Pare quindi, in definitiva, un linguaggio riconducibile a un filone
neorazionalista che si riafferma allinterno di una generale tendenza a una nuova semplicit.
Delocalizzazione produttiva, cultura del progetto e dellimpresa
Una corrispondenza virtuosa fra culture produttiva e progettuale, tecnica e umanistica , capace di integrare i numerosi
fattori (economici, produttivi, sociali, culturali) che concorrono alla realizzazione di un prodotto, si attua quando lambiente
della produzione stabilisce forti interazioni con il territorio in cui insediato. In questa logica, il fenomeno ormai decennale
della delocalizzazione della produzione e, in numerosi casi, della progettazione e della ricerca rispetto ai siti dorigine, sta
portando progressivamente a uno spostamento del design verso nuovi luoghi dinsediamento. Com noto, ci accaduto per le
produzioni del settore manifatturiero a bassa tecnologia, che sono state collocate in Paesi dove la manodopera ha un costo
inferiore. Una scelta dellimpresa legata quindi generalmente alla rincorsa del low price, che ha ottenuto come risultati, fra gli
altri, la rinuncia alle competenze e al saper fare presenti sul territorio e un inevitabile affanno del settore progettuale. Questa
fase dellindustrializzazione ha infatti determinato lo spostamento delle produzioni e, in parte, delle progettazioni. accaduto
nellelettronica di consumo e infatti non ci sono pi designer italiani in questo settore ma anche nel settore dellufficio,
dove le aziende italiane di sedie tecniche per il lavoro sono in difficolt.
In altre parole, considerato che il design ha bisogno di un humus per svilupparsi, questo sar generato dalla nuova situazione,
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anche geografica, in cui lindustria collocata. A tale proposito, un esempio emblematico (allinterno di una pi generale crisi
della grande impresa nel nostro Paese, come hanno ben delineato gli studi di Luciano Gallino) costituito appunto dalla
progressiva sparizione in Italia di progetti destinati allelettronica di consumo, come testimoniano le difficolt di Olivetti,
unazienda storica e un tempo allavanguardia. I grandi centri di sviluppo di questi prodotti che configurano alcuni ambiti
del design contemporaneo pi interessanti, significativi e in grado di incidere sul mercato e sulla vita delle persone sono
oggi, per es., in Finlandia con Nokia, nei Paesi Bassi con Philips, in Corea del Sud con Samsung, in Giappone con Sony, negli
Stati Uniti con Apple e Motorola, e il loro design concepito allinterno di teams progettuali aziendali in collaborazione con
studi esterni di dimensioni multinazionali (da Ideo a Continuum, a Fuseproject, per citare alcuni fra pi noti).
Tema centrale per chi opera nel settore della produzione industriale dunque quello del rapporto qualit-prezzo, secondo un
meccanismo gi evidente nei settori industriali pesanti, come la meccanica o lautomotive, e oggi divenuto per tutti obbligato.
In questa situazione, per imprese e progettisti si vanno delineando in sostanza due filoni fondamentali, al di fuori dei quali
appaiono notevolmente ridotte le possibilit di agire e alla fine di sopravvivere a livello industriale. Da una parte un design
fondamentalmente elitario che talvolta viene semplicisticamene ricondotto al solo mercato del lusso nel quale un ruolo
importante giocato dal brand, in ogni caso legato alla qualit complessiva del prodotto, a sua volta connessa ai servizi offerti,
per es. di consulenza per il progetto su misura o di assistenza postvendita. la direzione intrapresa da aziende come la
danese Bang & Olufsen o dalle griffe della moda. Allo stesso modo esistono professionisti che operano in analogo contesto e si
rivolgono di fatto al mercato collezionistico, lavorando sul pezzo unico o sulla piccola serie (come del resto avveniva in passato
con gli architetti-arredatori, come il francese Pierre Chareau, o gli architetti-designer italiani degli anni Cinquanta).
La seconda direzione possibile rappresentata dalle imprese realmente industriali (in termini di dimensioni economiche,
distributive, comunicative) e al contempo design driven; quelle cio in grado di lavorare contemporaneamente a scala
internazionale sul controllo dei prezzi e sulla qualit del prodotto, secondo un modello che solamente qualche decennio fa
appariva in certi settori assai difficoltoso. Casi emblematici in questa direzione sono quelli di alcune grandi catene
dabbigliamento come la svedese H&M o la spagnola Zara, e, per il furniture, la svedese IKEA, che come ha sostenuto
Renato De Fusco (2008) unazienda organizzata quasi in modo da far propria la vecchia idea di design: la quantit, la
qualit e soprattutto il giusto prezzo e che, da fine anni Ottanta rispetto al panorama italiano, ha certamente esercitato una
positiva concorrenza sulle aziende produttrici di mobili che si reggono ancora sullequazione qualit = alti costi di
produzione e vendita (p. 11).
Altre aziende dellarredo, come in Italia B&B o Molteni, hanno operato importanti investimenti industriali, innescando un
meccanismo che prevede lofferta di prodotto affiancata da unelevata attenzione alle politiche commerciali, in particolare la
distribuzione, con lapertura di negozi monomarca destinati a garantire la qualit del servizio. Il furniture design perci ha la
necessit oggi di acquisire sempre pi una logica pienamente industriale (non pi manifatturiera), di puntare su ricerca e
formazione, di affrontare il rapporto qualit-prezzo e le problematiche dei nuovi modi della distribuzione, nonch di realizzare
prodotti innovativi. In settori obbligatoriamente industriali, come quello dellautomobile, il caso della Germania
emblematico. Da tempo ha delocalizzato, ma resta altamente produttiva e innovativa, a dimostrazione che un Paese pu
rimanere leader se possiede un vero know-how in termini di ricerca e sviluppo. In Europa, considerata limpossibilit di
competere con i costi bassissimi della manodopera di alcuni Paesi del mondo, bisogna allora scommettere su formazione e
ricerca.
Moda e design
Un altro aspetto da considerare, in particolare negli anni compresi tra la fine del secolo scorso e linizio del 21, costituito dal
riconoscimento della moda e dal confronto che ci ha comportato, in modo implicito ed esplicito, con il design. Un dialogo
interessante e stimolante per produttori, designer, media e pubblico, ma che non deve annullare diversit di obiettivi,
strategie, metodi. Una parte della cultura del progetto ha guardato infatti al modello del sistema moda (non senza
contraddizioni, luoghi comuni e fraintendimenti) e ne ha travasato nel design le modalit dimpostazione riguardanti la fase
progettuale/produttiva/distributiva, nonch i modi e gli strumenti di comunicazione, modificando in tale maniera non solo i
propri prodotti ma anche i criteri di definizione dellidentit complessiva dellazienda. Questo confronto, incisivo sulle scelte
strategico-operative del sistema design, in evidente relazione con le mutazioni avvenute nelle strutture industriali,
proprietarie, finanziarie, commerciali e distributive, in particolare del settore dellarredamento.
Per quanto riguarda i processi di progettazione e realizzazione, tutto ci da un lato ha portato, per es., a cadenzare il timing di
rinnovo del prodotto su ritmi stagionali, favorendo cos un linguaggio progettuale relativamente omogeneizzante, con oggetti
sempre pi simili tra loro e destinati a breve durata; dallaltro, sebbene tali modalit non fossero estranee alla ricerca e alla
pratica del design, ha messo in evidenza la possibilit di differenziazione del pezzo come risorsa economica e di marketing, che
pare oggi una delle strade possibili per la costruzione di una precisa riconoscibilit sul mercato.
Tuttavia, principalmente nelle modalit di promozione di prodotti e aziende che linfluenza del fashion design ha trovato
terreno fertile. Ci ha determinato almeno due conseguenze: lemergere di un nuovo tipo di designer, connotato da un segno
riconoscibile e spendibile mediaticamente, e limposizione del marchio dellazienda e della sua cultura fino alla proposta di
un vero e proprio life style costruito con i suoi prodotti come progetto di design, dissimulando cos lapporto del progettista e
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facendo diventare il brand la garanzia di qualit. Non infrequente anche la scelta di optare per la caratterizzazione della
doppia griffe: brand aziendale pi firma del designer. La volont di puntare con decisione sulla valorizzazione del marchio,
motivata anche dallintenzione di differenziarsi dalla miriade di prodotti nati dalla cultura di fine secolo scorso, appare in
alcuni casi indirizzata verso un altro modo di intendere la ricerca di prodotto, un modo storicamente alla base del design
italiano che soprattutto nei casi pi esaltanti, in maniera abbastanza spontanea, seppur condizionata ideologicamente da
una certa idea del significato della modernit nasceva con laspirazione a essere definitivo, senza tempo, a divenire classico.
Del resto, si pu osservare come anche una parte del settore moda si sia orientata verso una complessit progettuale, una
ricerca sui materiali e sulle funzioni dei suoi prodotti; com avvenuto, per es., nei tessuti utilizzati per attivit svolte in
condizioni ambientali estreme e poi reimpiegati anche in altri ambiti, o nelle calzature, che hanno rivoluzionato il mondo della
scarpa tecnica e non solo.
Industria e designer lavorano dunque da tempo a un nuovo artefatto, che sia non pi solo forma/funzione, ma anche dotato
di altre qualit, e che si collochi allinterno di quella strategia complessiva di distribuzione, di esposizione nei punti vendita, di
comunicazione di cui di frequente il progettista autore e/o coprotagonista. Il design, quindi, si muove oggi allinterno di una
condizione degli artefatti come hanno approfondito numerosi contributi di filosofi, antropologi e sociologi nella quale
loggetto duso si progressivamente ricoperto di segni, di simboli, di tratti fortemente iconici. Fulvio Carmagnola sostiene a
tale proposito: la forma vistosa delloggetto leffetto di superficie di una strategia di marketing avanzato, o la fuga dalla
schiavit dellutilit (Della mente e dei sensi. Oggetti dellarte e oggetti del design nella cultura contemporanea, 1994, p.
149). Superato il classico binomio valore duso/valore di scambio della merce, si infatti affermato, continua Carmagnola, un
sistema basato sulleconomia del simbolico. E la rinnovata condizione degli oggetti ha relazione con un consumatore evoluto
che, in sintesi, acquista seguendo essenzialmente la logica dei desideri e non quella dei bisogni, stimolato non tanto o solo da
meccanismi legati alle necessit, ma da quelli che fanno riferimento alle emozioni, e al tempo stesso sempre pi consapevole
della stretta relazione fra consumo e sostenibilit globale dei processi di generazione degli artefatti.
Il ruolo dellindustrial designer
Il contesto prima brevemente delineato porta anche alla ridefinizione del ruolo del designer, o meglio dellindustrial designer,
il quale deve essere interno alla struttura delle imprese e tornare ad avere una visione dinsieme. Anche nellarredo le questioni
reali non riguardano tanto il mercato quanto la visione, cio il fatto di prevedere i mutamenti che avverranno fra una decina
di anni nellabitare, effettuando un lavoro sulle tipologie pi che sullo stile, centrato fondamentalmente sullinterpretazione
dei comportamenti e dei bisogni emergenti. Allindustrial design si chiede in sostanza unintelligenza complessiva. Il designer
luomo che assume il rischio dellidea; colui che si avvicina al cuore dellimpresa e ne interpreta le potenzialit. Il design
un valore intrinseco al prodotto, significa progetto, e progettare implica confrontarsi con la realt industriale senza sottostare
alle aride regole del marketing, ma facendo propria la realt per immaginare ci che non c, per concepire quindi invenzioni o,
semplicemente per il compito non facile per migliorare quello che gi esiste.
A questo proposito, interessante il concetto di progettazione continua, consistente nelloperare su prodotto e mercato non
tanto con lassillo della novit a tutti i costi, a ritmo serrato, quanto sottoponendosi a un incessante impegno di messa a punto
e perfezionamento di soluzioni, muovendo da unintuizione iniziale verificata attraverso una costante revisione. In tal senso, il
mercato resta un parametro di progetto ineludibile; i vincoli imposti dal marketing, dalla produzione, dai materiali, dalla
logistica possono rappresentare una sfida nei casi in cui la creativit e linventiva sostengono un ruolo chiave nella definizione
del prodotto. Tale operare paragonabile alla modalit definita fine tuning, mediante cui il prodotto si pone in sintonia, in
modo sempre pi raffinato, con le necessit produttive e di progetto e con i riscontri del mercato. I designer devono essere
dotati oggi di una sensibilit pi che di mercato (come viene talvolta un po semplicisticamente intesa) attenta agli aspetti
culturali e sociologici, in grado di leggere le esigenze contemporanee, elaborando un corretto equilibrio fra design, industria e
pubblico.
Prodotti come liPod o liPhone sono le icone del nuovo secolo, e indicano come ci si stia muovendo verso forme semplici, verso
la riduzione delle dimensioni e una tecnologia user-friendly; si tratta di oggetti veri, che nascono da necessit concrete,
risolvono esigenze reali e forniscono nuove prestazioni. Indicativo ancora una volta il settore dellautomobile, che si sta (forse
con ritardo) indirizzando verso le fonti energetiche sostenibili, sviluppando macchine ibride o elettriche. Si pu dire in
sostanza che va crescendo la consapevolezza verso luso delle cose e verso la cultura intorno alla cose: questo aiuter i designer
e le aziende a concentrarsi su fatti reali e non su falsi miti.
La formazione del designer
In questo quadro si collocano le problematiche relative al percorso di formazione per chi opera nel design, in particolare in
Italia. Senza trascurare altre modalit di istruzione di matrice ingegneristica, collegate alle necessit di progetto di prodotti a
tecnologia complessa, tradizionalmente i designer si sono formati presso le facolt di Architettura, almeno fino agli anni
Novanta, periodo in cui sono state istituite le facolt di Design e si sono sviluppate alcune scuole private (per es., la Domus
academy di Milano).
Allo sviluppo dei luoghi della formazione specifica, finora non sempre ha corrisposto lelaborazione di percorsi capaci di
definire profili idonei alla realt del design: si oscilla fra la pratica preparazione tecnico-professionale e un difficile confronto
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con culture/ideologie in sostanza altre, che vanno dal marketing alleconomia, fino alla comunicazione; e si coltiva poco la
specificit e lorgoglio di una cultura/pratica del progetto che, in sintonia con letimo latino, allude a un gettare oltre, andare
oltre lesistente verso linnovazione. Nel frattempo numerosi designer internazionali, formatisi in istituti specifici, hanno
iniziato a collaborare attivamente con le pi importanti aziende italiane, a cominciare da Cappellini.
Rispetto a universit che preparano progettisti anche in soli tre anni, la professione obbligatoriamente in fase di
trasformazione. Di frequente queste modalit di trasmissione/apprendimento, oltre a impoverire la formazione, rendono le
nostre scuole e le persone che vi studiano scarsamente competitive in una prospettiva internazionale. Le facolt di Architettura
restano ancora carenti per quanto riguarda gli insegnamenti tecnico-scientifici e disciplinari destinati specificamente al design,
anche perch considerati ancillari ai pi tradizionali corsi di progettazione. Inoltre, in Italia in pratica non esistono adeguate
scuole di interior design o di architettura dinterni e questa resta una lacuna grave nel panorama internazionale e di
conseguenza non sempre larredo delle abitazioni, ma anche degli spazi collettivi, opera di progettisti specializzati, mentre
frequente il fai da te, con esiti talvolta qualitativamente mediocri. E questo nonostante lelevato numero di riviste di
arredamento edite nel nostro Paese.
La figura leonardesca, enciclopedica, dellarchitetto onnisciente non per pi proponibile. Questo assai evidente in settori
in cui lelettronica divenuta preponderante, portando allabbandono delle tecnologie meccaniche in passato si riusciva
ancora a disegnare qualche dispositivo e alla necessit di costituire centri di ricerca specializzati nei quali indispensabile
operare per poter ambire a essere protagonisti del design e dellinnovazione. Qualcosa di simile sta avvenendo in tutti i settori
a tecnologia complessa, come, per es., nei mezzi di trasporto o nei grandi macchinari per la produzione.
Nuovi territori per il design
Con il 21 sec. ma le questioni erano in campo da tempo ai designer e alle imprese si vanno presentando con urgenza
nuove direzioni di lavoro, collegate in generale a tematiche relative al ruolo etico delloperare rispetto al mondo, e in
particolare, fra laltro, alle questioni di sostenibilit ambientale. Molti segnali sono gi stati lanciati in questo senso, ed nota
la delicata condizione dellintero pianeta. In tale ambito, il designer pu fornire un contributo importante perch conosce luso
delle risorse, le caratteristiche dei materiali, le logiche dei processi produttivi.
Senza volerci addentrare in argomentazioni sulla necessit di affrontare le questioni a livello di sistema complessivo, appare
utile segnalare, a titolo di esempio, possibili interventi praticabili. Il primo riguarda una risorsa considerata tradizionale per il
design, quella del legno, che pu trovare impieghi maggiormente consapevoli. Per il mercato dellEuropa settentrionale sono
stati gi certificati con il marchio FSC (Forest Stewardship Council) diverse decine di prodotti realizzati in silvicoltura gestita
in modo sostenibile da semilavorati segati e piallati, a mobili e oggetti di falegnameria, a porte e finestre ; gli organismi
non-profit annoverano fra i propri membri imprese commerciali come B&Q, Collins pine, Home depot, IKEA, o grandi
sindacati come lIFBWW (International Federation of Building and Wood Workers). Quello della sostenibilit rappresenta un
costo aggiuntivo che lindustria in grado di affrontare, soprattutto se pu contare su consumatori consapevoli e avvertiti. Il
secondo intervento considera invece un ambito interessante, fino a oggi poco percorso o dove prevalgono interventi di scarso
valore legati a uninsufficiente cultura e a un carente approccio professionale: quello dellarredo e dellattrezzatura delle citt e
degli spazi aperti, ma anche dei luoghi pubblici. Sviluppare la cura e lattenzione per gli ambiti collettivi infatti significativo
indice di un Paese democratico che funziona, capace di ragionare in termini di miglioramento della qualit globale della vita
delle persone.
Bibliografia
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