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La filosofia delle donne: uguaglianza, differenza, in-differenza

di Paolo Ercolani

Nel secolare percorso della vicenda umana non c dubbio che quella della donna sia una
storia a s. Le lunghe ed estenuanti lotte condotte dallaltra met del cielo, prima alla
ricerca delluguaglianza, quindi, in epoca a noi pi vicina, per rimarcare la differenza
dallessere maschile, derivano innanzitutto da alcuni fondamenti della cultura occidentale,
e da politiche sociali concrete, che hanno impostato il rapporto con la donna allinsegna
della discriminazione e della maledizione.

1. Un antico pregiudizio

Che si tratti di un essere fisiologicamente connaturato al male, capace di accoglierlo e di
produrlo (e riprodurlo?) in maniera perfino inimmaginabile da parte delluomo,
convinzione radicata e agevolmente riscontrabile nel panorama culturale dellOccidente.
Se la prima donna Eva a convincere il primo uomo Adamo a disobbedire al volere
divino, introducendo cos nel mondo il peccato e soprattutto la morte, secondo la chiosa di
S. Paolo (Biblia sacra: Rom 5,12), morte che Dio non aveva previsto originariamente per la
sua creatura prediletta (Biblia sacra: Sp 2,24); sempre una donna, stavolta la moglie, a
tentare il buon Giobbe, descritto di per s come integro e retto, timorato di Dio ed
estraneo al male, esortandolo a maledire Dio per tutti i colpi gratuiti ricevuti (Biblia sacra:
Gb 1,1 e 2,9).
N le cose andavano meglio nella cultura della Grecia antica, dove la donna era vista come
un essere irrazionale e ferino, sostanzialmente portatore di discordie, guerre e, infine,
morte. Nel poema esiodeo de Le opere e i giorni Pandora, una donna, colei che recita il
ruolo di portatrice dei doni che gli di fanno agli uomini (fra i quali proprio le donne),
dando in questo modo inizio alle interminabili sciagure che da quel momento li avrebbero
colpiti (Esiodo, Opere e giorni: vv. 80-82).
Paradigmatico il caso della Medea raccontata da Euripide, che in seguito al tradimento del
marito rivela quella che significativamente il tragediografo descrive come unindole
odiosa e feroce che tutta la riempie (Medea, vv. 103-104), fino al punto di uccidere i figli e
negargli persino la sepoltura, pur di vendicare il proprio sentimento offeso e infliggere
dolore al coniuge fedifrago.
Alla furia animale, la Medea di Euripide aggiunge anche limmancabile nota irrazionale,
per esempio quando al marito Giasone che piangeva la morte dei due cari (Figli miei
diletti) ella, che pur li aveva uccisi con crudelt, riesce a rispondere [diletti] alla madre,
non certo a te (Medea, v. 1397). Una visione, quella di Medea, al tempo stesso olistica e
totalitaria (il nucleo famigliare come entit unica e indistinta, per cui il male che colpisce
un singolo elemento coinvolge, deve inevitabilmente coinvolgere anche tutti gli altri), ma
anche figlia di una deresponsabilizzazione ritenuta del tutto tipica della donna (non sono
io a uccidere i figli, stato mio marito con il suo gesto fedifrago e distruttivo. Io anzi li
amo, lui no).
Questa connotazione originaria con cui viene definita lessenza della donna fin dai testi
pi antichi e fondanti della tradizione occidentale, certamente alla base di tutto il portato
di discriminazioni intellettuali e sociali che ne sono seguite, e che trovano in san Paolo,
ideologo del cristianesimo, il suggello pi autorevole.
E lui, infatti, che pur in altre opere aveva pronunciato delle parole inaudite per quei
tempi, ispirate alla perfetta uguaglianza fra tutte le creature di Dio, comprese il maschio e
la femmina (Biblia sacra: Gal 3,26-28), ad esprimersi in maniera inequivocabile attraverso
delle vere e proprie sentenze che sarebbero rimaste indelebili sulla parete della coscienza
cristiana e occcidentale:

Voglio tuttavia che sappiate che capo di ogni uomo Cristo, capo della donna luomo e capo di
Cristo Dio [] Le mogli siano obbedienti al proprio marito come al Signore [] Le donne
tacciano nelle assemblee, perch non permesso loro di parlare: siano sottomesse, piuttosto, come
recita la legge (Biblia sacra: 1Cor 11,3; Ef 5,22; 1Cor 11,8).

Una vera e propria paura della donna, mista a una sottovalutazione a dir poco sospetta,
visti i toni estremi, che certamente, come scriveva Jean Delumeau nel suo illuminante La
peur en Occident (1978: 309), non costituisce una prerogativa esclusiva dellascetismo
cristiano, visto che a Roma si considerava la debolezza o pusillanimit mentale della
donna (imbecillitas mentis) come un dato perfettamente naturale, e anche nella tradizione
greca, malgrado lampio lasso di tempo che separ le opere di Esiodo e Omero dallAtene
democratica, le cose non cambiarono molto, visto che un campione della democrazia come
Pericle poteva affermare (anticipando S. Paolo) che la virt pi grande di una donna
saper tacere (cfr. Fossier 1991: 360).

2. Fra tradizione pagana e cristiana

Lanalisi incrociata della tradizione cristiana e di quella pagana conduce sostanzialmente
allo stesso assunto di fondo: quello di una creatura, la femmina, viziata fin dallorigine,
difettosa e quindi portatrice insana di un virus malefico ben capace di distruggere
larmonia terrena, e anzi, a pensarci bene, perfettamente in grado di identificarsi con quel
male che caratteristica della vita mondana segnata dallassenza di Dio e quindi del
Bene (privatio boni).
Per la tradizione pagana Aristotele si impegna a descrivere con analisi minuziose
linferiorit e la difettosit dellanatomia femminile rispetto a quella maschile,
concludendo che le femmine sono per natura pi deboli e pi fredde, e si deve supporre
che la natura femminile sia come una menomazione (Aristotele, De gen. anim.: 775a, 15-
16), ma anche lo stesso Platone, pur alieno dal maschilismo viscerale degli altri filosofi
antichi, nel Timeo (90e 91a) immagina che la donna sia stata prodotta da un processo di
corruzione delluomo.
Per la tradizione cristiana, si pu ricordare S. Ambrogio, che nella fisiologica diversit fra
luomo che spirito (mens) e la donna che sensazione (sensus), riteneva di scorgere la
risposta al quesito teologico del tempo, cio se fosse pi colpevole Adamo oppure Eva
nellaver ceduto alla tentazione del maligno: sicuramente Adamo, perch lei non era
particolarmente furba, e aveva dalla sua la scusante della stupidit (S. Ambrogio, De inst.
Virg.: PL 16, col. 325).
Ma anche S. Tommaso, che nella Summa theologiae riprende proprio Aristotele e la
definizione che questi dava della donna in quanto maschio mancato (mas occasionatus),
per arrivare a confermare la sua sottomissione e inferiorit rispetto alluomo (subiectio et
minoratio), nei confronti del quale ella svolge un ruolo di aiuto, ma soltanto finalizzato a
cooperare alla generazione (in adiutorium generationis), perch per tutto il resto altri
maschi potevano essere ben pi efficaci.
E del resto, che di solo aiuto si tratta, lo evinciamo dal fatto che anche nella procreazione
comunque luomo, con il suo seme, a svolgere un ruolo attivo (virtus activa), mentre a
quellessere difettoso e mancato (deficiens et occasionatus) che la donna resta una mera
funzione passiva di instrumentum procreationis (Tommaso dAquino, Summa Theol.: I, q. 92,
arg. 1,2, co. e ad. 1).
Insomma, irrazionalit, debolezza (fisica ed emotiva), pusillanimit, difettosit
generalizzata della sua natura, ma ancora, aspetto imperdonabile e irrecuperabile per la
cultura cristiana, porta del Diavolo (diaboli janua), prima ad abbandonare la legge
divina (legis prima desertrix), di fatto vera e propria incarnazione del male (Tertulliano, De
cultu foem.: PL 1, col. 1419).
Siamo di fronte a un marchio indelebile, destinato a caratterizzare per secoli la reputazione
e la condizione della donna, nonch a giustificare ampiamente loppressione maschile e le
discriminazioni attuate nei suoi confronti lungo i secoli.
Marchio tanto indelebile quanto influente: indelebile perch non risolvibile neppure con
leducazione e listruzione, influente perch capace di convincere di ci persino una
personalit illuminata come quella di J.J. Rousseau (non certo lunico), che nellmile ou de
lducation scrive:

Tutta leducazione delle donne deve essere relativa agli uomini. Piacere loro, essergli utili, farsi
amare e onorare da loro, allevarli da giovani e prendersi cura di loro da adulti, consigliarli,
consolarli, rendere la loro vita piacevole e dolce: ecco i doveri delle donne in tutti i tempi e ci che
bisogna insegnargli fin dalla loro infanzia (Rousseau, O.C.: II, 637).

Il timore che la fragilit innata impedisse alle donne di impegnarsi negli studi pi alti
stato condiviso anche al di l dellOceano, e per di pi quando gi eravamo da poco entrati
nel XX secolo. Negli Stati Uniti, infatti, alcune commissioni mediche vennero incaricate di
analizzare le prime studentesse con lo scopo di prevenire il sovraffaticamento del cervello
e verificare il timore diffuso che lo studio troppo impegnativo potesse implicare la sterilit
delle loro ovaie (Matthaei 1985: 5).
Un pregiudizio imponente e sedimentato nel sentire comune degli individui dalla matrice
culturale pi varia e diversa. Un vero e proprio muro allapparenza insormontabile,
destinato a separare la donna dal raggiungimento di una consapevolezza e di una
riconoscibilit culturale e sociale in grado di parificarla alluomo.

3. Uguaglianza e differenza

La ricerca di una parit, infatti, o se si preferisce delluguaglianza, stato il leit-motiv
costante delle prime battaglie culturali condotte in difesa delle donne, quasi un
programma minimo di reazione, si potrebbe dire col senno di poi, volto a tentare di
scalfire quel grande muro costruito con le pietre della maledizione e del pregiudizio.
Prendiamo il caso di Mary Wollstonecraft, per esempio, che esattamente trentanni dopo
lEmilio di Rousseau compone unopera, forse la prima sistematicamente compiuta nel
panorama della letteratura femminista, che sembra una risposta diretta al filosofo francese.
Per esempio l dove scrive che per rendere il contratto sociale veramente giusto, con lo
scopo di diffondere quei principi illuminanti che soli possono migliorare il destino
delluomo, alle donne deve essere concesso di fondare la propria virt sulla conoscenza,
cosa scarsamente possibile se non vengono educate con gli stessi criteri e obiettivi degli
uomini (Wollstonecraft 1792 (1891): 250).
La scrittrice inglese riconosce il livello inferiore delle donne dellepoca, per lo pi
interessate allaspetto estetico, alle storie damore e alla sola, piccola e misera, dimensione
privata. Ma imputa tale condizione non a uninferiorit congenita, bens alla societ
governata dai maschi, che esclude la maggior parte di loro dalla possibilit di ricevere
uneducazione culturale e mentale adeguata.
Si tratta di unesplicita richiesta di uguaglianza delle opportunit, con delle finalit
neppure troppo sconvolgenti (per lordine valoriale della tradizione occidentale). Infatti
Wollstonecraft sottolinea s la massima importanza che deve essere riconosciuta
alleducazione nazionale delle donne, con lo scopo ultimo di renderle creature razionali
e libere cittadine affinch possano diventare buone moglie buone madri
(Wollstonecraft 1792: 255 e 257).
Certo, si era saliti di livello. In quel libere cittadine era comunque insita unistanza
sociale che ha caratterizzato per oltre un secolo la fase cosiddetta liberal-democratica
della lotta femminista, e che si poneva come scopo quello di far raggiungere alle donne un
trattamento paritario allinterno delle societ liberali che si erano affacciate alla rivoluzione
industriale.
Fatto sta che i protagonisti della tradizione liberale si guardarono bene dallaccogliere tale
istanza, tanto che anche lo stesso pregiudizio negativo nei confronti delle donne fece
riscontrare un salto di qualit. Non pi confinato alla sola sfera dellindole e della
conformazione fisica pi debole (e quindi inferiore), ora si tentava di bollare la donna
come costituzionalmente incapace di coltivare delle virt pubbliche e civili, insomma di
interessarsi al bene della collettivit e della societ. Ed in nome di questo ulteriore
pregiudizio che i pensatori liberali, ma anche gli stati che si richiamavano a tale nobile
tradizione, esclusero per secoli le donne dal godimento di quei diritti politici e sociali che
pur essi teorizzavano con tanta enfasi.
Basti pensare al padre del liberalismo economico, Adam Smith. Questi, ritenendo che il
possesso della generosit e dello spirito pubblico fosse fondato sullo stesso principio della
giustizia, distingue la generosit dallumanit e conclude che questultima una virt
della donna, mentre la prima appartiene alluomo. Il sesso debole s fornito di umanit
e maggiore sensibilit rispetto al maschio, ma si tratta di una dote che si estrinseca nella
sfera privata, quella della cerchia ristretta degli affetti. Nel pi ampio ambito sociale la
donna meno generosa e meno disposta a impiegare i beni propri o della propria famiglia
per il bene della collettivit (Smith 1759: 190).
Allo stesso modo la pensava Tocqueville, compiaciuto nel notare come nella democrazia
americana ci si guardava bene dallimpegnare le donne negli affari politici e sociali, che
esulassero da quellambito famigliare in cui lei s la regina, ma comunque sottoposta
alluomo che ne il capo naturale (chef naturel) (Tocqueville 1951 sgg., t. I, v. II: 219-220).
Non cera niente da fare, insomma, perch il pregiudizio naturalistico si estendeva con
grande facilit anche allambito sociale, portato avanti da quegli stessi autori liberali da cui
era lecito attendersi una ricerca delluguaglianza delle opportunit.
a partire da questi presupposti che il movimento femminista decise di compiere un salto
di qualit, concentrandosi sul principio della differenza sessuale e non pi su quello
dellemancipazione e della ricerca della parit fra uomo e donna.
Gli scritti di autrici come Luce Irigaray e Julia Kristeva ebbero uninfluenza enorme
soprattutto sul movimento femminista italiano, artefice di una dura requisitoria contro il
concetto di uguaglianza inteso come momento incapace di valorizzare le differenze di un
essere, quello femminile, che doveva uscire dallordine costituito maschile e liberarsi dai
rischi dellomologazione. Insomma, se lo sfruttamento delle donne fondato sulla
differenza sessuale, non pu risolversi che attraverso la differenza sessuale, secondo le
parole della stessa Irigaray (Boccia 2002: 155-8).
La donna, insomma, almeno quella immaginata dalle femministe, prende le distanze da
quel cosmo maschile che lha culturalmente bollata e relegata ai margini pi bassi del
consorzio sociale, e nel fare questo, in maniera coerente, si trova a rimettere in discussione
ogni aspetto della storia del pensiero, della storia e della prassi politica, persino del
linguaggio, poich questi sono tutti rami di una pianta malata allorigine: la pianta di un
mondo pensato dagli uomini e per gli uomini, in cui la donna destinata a recitare un
ruolo marginale, quando non subordinato o del tutto strumentale (servile).

4. Per un nuovo femminismo tra Freud e Hegel

Non compito di questo saggio tentare di trarre un bilancio della deviazione estremistica
posta in essere dal movimento femminista negli ultimi decenni del XX secolo, n
certamente di tentare un bilancio esaustivo della vicenda femminile nel suo complesso,
quanto piuttosto evidenziare quello che mi sembra un ulteriore salto di qualit nel
rapporto tra filosofia e pensiero femminista.
Questo ulteriore salto di qualit composto certamente da slanci in avanti significativi, ma
anche da ripensamenti tanto inaspettati quanto prolifici sul piano della speculazione
scientifica e su quello di una nuova percezione che le donne posso avere della propria
identit di genere.
Loccasione fornita dalluscita, per i tipi di Mimesis, del Manifesto per un nuovo
femminismo, a cura di Maria Grazia Turri (pp. 236), filosofa ed economista dellUniversit
di Torino, che si avvale dei contributi di studiose e studiosi di estrazione culturale e ambiti
disciplinari diversi.
Dalla lettura di questo testo, veniamo a scoprire un cambiamento radicale di
atteggiamento che si manifesta fin dalla premessa contenuta nel saggio intitolato
Specchio, della psicologa e ricercatrice dellUniversit di Bologna Sara Giovagnoli. La
cui lettura mi ha ispirato una parafrasi del celebre incipit del Manifesto di Marx ed Engels:
un fantasma si aggira dentro lanimo di ogni donna! Tremendamente capace di
condizionarla, di fornirla di senso come anche di annichilirla.
Si tratta dello sguardo delluomo, una sorta di vero e proprio specchio interiore attraverso
cui la donna cerca quellapprovazione in cui reperire finalmente una propria identit
pacificata.
In questa strettissima dipendenza dallapprovazione dello sguardo maschile risiedevano
lerrore fatale e la debolezza congenita della donna fin dai tempi di Simone de Beauvoir,
che nel suo celebre Il secondo sesso (1949) scriveva gi di una fanciulla che ha sognato se
stessa attraverso gli occhi di uomo: negli occhi di un uomo la donna crede finalmente di
ritrovarsi (de Beauvoir 1949: 627).
Lo scopo supremo dellamore umano il medesimo dellamore mistico, ossia
lidentificazione con lamato, la ricerca della sua approvazione, il bisogno di servirlo, di
trovare in esso lidentit e il senso della vita, che altrimenti sfuggono tragicamente
relegando lindividuo in una dimensione chiusa e soffocante. Senza speranza alcuna di un
possibile salvezza.
Lessere che ama per antonomasia la donna, come scriveva il Nietzsche de La gaia scienza,
capace del dono totale dellanima e del corpo, con una dedizione incondizionata che fa
del suo amore una fede, la sola che abbia (cit. in de Beauvoir 1949: 623).
La forza delluomo consisterebbe proprio in questo disequilibrio, perch esso non si
concede mai del tutto, non abdica mai per farsi servitore della donna amata, mentre a lei
concesso di amarsi soltanto attraverso lamore che ispira, secondo le parole di de Beauvoir
riportate in apertura del suo saggio da Giovagnoli (p. 195).
Questo aspetto, possiamo dire consustanziale allanimo femminile, quanto forse stato
pi trascurato dallala estremista del movimento femminista, che nel rimarcare la
differenza delle donne ha spesso dimenticato di pensare (e quindi concettualizzare)
quelli che sono gli elementi anche di debolezza insiti in quella differenza:

Cos come Freud vedeva nelle donne della sua epoca il motivo portante del disagio della civilt e il
simbolo evidente della repressione sociale scrive Giovagnoli con perspicacia profonda e
suggestiva cos oggi, nellillusiva parvenza di parit, nella corsa alla conquista del negato,
possiamo vedere nella donna moderna una persona altrettanto frustrata, non pi vittima della
repressione sociale, ma della sua stessa repressione. lei stessa che si vincola, che si impone delle
rinunce, che castra il suo essere donna e si getta tra le braccia della nevrosi. Forse meglio cadere
vittima per propria mano che per quella altrui? Meglio una castrazione autoinflitta di una subta?
Ma poi, a prezzo di tutto ci, le donne di oggi hanno realmente maggior potere? Abbiamo parlato
dellattrazione, sfruttata come oggetto, un mezzo per arrivare alla mta finale (affermazione
dellintelletto). Ma, a parere di chi scrive, pi che una propriet della donna, sembra una
concessione delluomo. Nellillusione del pieno controllo del mezzo, ci troviamo ancora una volta a
subire una decisione altrui. Il credere di sfruttare questo potere un misero ripiego per nascondere
unulteriore imposizione. in realt luomo che ci concede il potere illusorio dellattrazione, che
non mai appartenuto fino in fondo alla donna. Scarso o nullo , in verit, il potere che ella ha
sulla razionalit maschile (p. 206).

Ora, tralasciando il fatto, peraltro non marginale, su quanto converrebbe alleconomia
globale della societ che la donna riuscisse effettivamente a scalfire limpianto razionale
delluomo (materia di discussione pressoch infinita), bisogna prendere atto di un dato
filosofico sostanziale che sembra uscire da questo Manifesto: la proposta di
riappacificazione del pensiero femminista con Freud (o quantomeno un tornare a leggerlo
con obiettivit e profitto), il cui contenuto obiettivamente maschilista di alcuni scritti
stato fin troppo volgarmente esasperato, ma anche con Hegel, il pensatore su cui le
femministe storiche proponevano di sputare.
E non tanto lo Hegel che riproduceva gli schemi reazionari gi visti, per esempio nella
Fenomenologia dello spirito, in cui definisce il feminino come leterna ironia della
comunit, lelemento limitato e limitante pronto a sminuire il fine universale del governo
riconducendolo a fine privato, a possesso e orpello della famiglia, oppure nella Filosofia
del diritto, dove attribuisce alluomo una vita sostanziale e reale che si realizza nello stato e
nella scienza, a differenza della donna, per cui ci avviene esclusivamente nellambito
della famiglia (Hegel 1807, v. 2: 34; 1821: 166).
Quanto piuttosto, potremmo dire, con il metodo dialettico hegeliano, nella misura in cui
esso permette di superare la contrapposizione duale maschio/femmina, per rimettere al
centro il concetto di individuo, non pi sospeso nella dicotomia differenza/uguaglianza,
ma riconosciuto e sintetizzato nel concetto di libert (che le contiene, o le dovrebbe
contenere, entrambe).
Un aspetto quanto mai centrale per lepoca odierna, in cui occorre andare oltre, e qui
risiede una tesi dirompente del volume, per superare quel femminismo anacronistico che,
rimanendo comunque ancorato alla rigida distinzione di genere (o differenza),
dimentica tutto il resto del mondo, come scrive la curatrice Maria Grazia Turri nel suo
lungo saggio introduttivo. Come per esempio i gay uomini, a cui una femminista storica
del calibro di Luisa Muraro voleva negare il diritto di adozione dei bambini, ma anche i
transgender, gli ermafroditi etc..
Mai come oggi, insomma, un pensiero femminile e femminista che voglia superare le
rigide dicotomie dellordine maschile, nonch la logica del dominio e dellesclusione che lo
sottende, deve innalzarsi alla considerazione dellindividuo nella sua irriducibilit
generica e sessuale, compiendo un salto di qualit che comprenda le persone non nella
loro differenza, quanto piuttosto nellin-differenza che le caratterizza come esseri umani
(a prescindere dal sesso, dalla razza, dal censo etc.). Cosa che del resto era stata intuita gi
da Judith Butler nel suo Gender Trouble del 1990 (ora rieditato in italiano attraverso una
pregevole edizione per i tipi di Laterza: J. Butler, Questioni di genere. Il femminismo e la
sovversione dellidentit, pp. 221), l dove scriveva che la categoria del sesso e listituzione
naturalizzata delleterosessualit sono costrutti, fantasie o feticci, categorie politiche e non
naturali (Butler 1999: 126).
Il superamento dellantico pregiudizio di cui stata vittima la donna, in nome del quale si
esercitato su di essa un dominio secolare, non pu essere superato, almeno non da un
pensiero femminista che opera in unepoca e in una civilt evolute e libere, attraverso la
riproduzione di schemi dicotomici che possono generare nuove forme di dominio e di
esclusione. Attraverso questo snodo fondamentale pu essere ancora attuale il grande
contributo, e la nobile lotta, che il pensiero femminile e femminista hanno condotto,
conducono e condurranno contro quella volont di potenza che alberga irrimediabilmente
nellessere umano. Uomo, donna, gay o transgender che sia.




RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI


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Tipographeo Academico, Oxonii 1837
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Delumeau J (1983).: La Pch et la Pur. La culpabilisation en Occident, XIII-XVIII sicles,
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Turri M.G., a cura di, (2013): Manifesto per un nuovo femminismo, Mimesis, Milano
Wollstonecraft M. (1792): A Vindication of the Rights of Woman, Scott, London 1891


Paolo Ercolani insegna storia della filosofia e teoria e tecnica dei nuovi media
allUniversit di Urbino. Collabora allinserto culturale del Corriere della sera (La
Lettura), redattore della rivista Critica liberale, oltre che fondatore e membro del
comitato scientifico dellOsservatorio filosofico (www.filosofiainmovimento.it). Fra i suoi
libri, che pi volte hanno suscitato un dibattito acceso sui media nazionali: Il novecento
negato. Hayek filosofo politico (Perugia 2006); Tocqueville: un ateo liberale (Bari 2008); La storia
infinita. Marx, il liberalismo e la maledizione di Nietzsche (Napoli 2011) e Lultimo Dio. Internet,
il mercato e la religione stanno costruendo una societ post-umana (Bari 2012).

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