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Il termine evoluzione non è di Darwin ma già prima di lui rappresentava l'idea di una natura
dinamica, l'idea di un divenire non necessariamente positivo. Per selezione si intende invece il
fattore dominante nell'indirizzare lo sviluppo di organismi adatti all'ambiente. Selezione e
adattamento sono i due pilastri introdotti da Darwin per fornire una spiegazione dell'evoluzione
delle specie.
Il geologo Charles Lyell fece notare a Charles Darwin che riusciva benissimo a comprendere il
modo di agire della selezione alla maniera di Vishnu il conservatore e di Shiva il distruttore ma di
non riuscire ad afferrare come potesse agire alla maniera di Brahama il creatore. E ancora, il
naturalista Charles Wyville Thomson criticava la teoria che attribuisce all'evoluzione della varietà
biologica il meccanismo della sola selezione naturale. La selezione elimina i non adatti, paiono
sussurare i dubbi, ma da dove provengono gli organismi selezionati?
Darwin non era banalmente selezionista, prima di lui anche i teologi naturali come Paley parlavano
della selezione come meccanismo per preservare il creato. I fattori in gioco sono svariati, la
selezione naturale è semplicemente quello a frequenza dominante. Tale posizione era ben presente
nel pensiero del naturalista tanto che all'inizio del ventesimo secolo nacque una battaglia
terminologica per cosa si intendesse con il termine darwiniano: pluralismo o selezionismo? Darwin
stesso si prodiga per porre vincoli (constraints) sulla natura della variabilità: a) Deve essere
abbondante, la selezione non può nulla senza materie prime; b) Deve essere a raggio limitato, la
selezione altrimenti sarebbe un fattore minoritario: c) Non deve essere direzionata, così come
pensavano i Lamarckiani.
Darwin in sintesi era un pluralista che non disdegnava l'uso e il disuso delle parti, l'azione diretta
delle condizioni esterne sugli organismi e altri fattori di tipo lamarckiano anche se comunque dava
alla selezione il ruolo più rilevante.
S. J. Gould ci dice che la convinzione evoluzionistica in Darwin era seconda solo alla fede nel
gradualismo. Egli era convinto insomma che l'evoluzione delle specie avvenisse un tassello alla
volta, passo dopo passo in maniera continua. Da questa convinzione provengono il tentativo di
falsificazione empirica proposto dalla dottrina dell'anello mancante come anche il ragionevole
dubbio sui tempi evolutivi. In realtà essi oggi si mostrano come falsi problemi. Da ricordare che
oggetto focale dell' evoluzionismo oggi è la speciazione, la nascita e lo sviluppo di nuove specie e
non semplicemente l'evoluzione intrinseca di una specie in particolare. L' equilibrio di quest'ultima
comunque per Darwin nascondeva al suo interno una forte competizione, la lotta per l'esistenza,
che egli ha mutuato dalla teoria della mano invisibile di Adam Smith. Da non confondere questa
con la teoria del darwinismo sociale che vuole l' "adattato" come il più forte e che proviene dalle
interpretazioni di Spencer.
Gli studi di Mendel rappresentano gli apripista dello sviluppo della genetica. Essi permettono di
introdurre nell'evoluzionismo il concetto di ereditarietà sconosciuto a Darwin. Da ricordare che
alcuni termini ora di uso comune quali gene, fenotipo e genotipo non appartengono nemmeno a
Mendel ma verranno introdotti lungo il '900. L'ereditarietà rappresenta il fenomeno attraverso il
quale le caratteristiche biologiche vengono trasmesse attraverso agenti interni agli individui
genitori, al contrario di quello che si credeva all'epoca. Lo studio di Mendel è abbastanza noto: egli
selezionò grandi varietà di piselli con caratteri evidenti che impollinò a suo piacimento lungo
diverse generazioni. Il vastissimo numero di esperimenti con i quali operò non è casuale ma dovuto
alla conoscenza della "legge dei grandi numeri" o meglio alla coscienza delle leggi della
probabilità.
Dopo aver selezionato "linee pure" di piselli, varietà rimaste costanti lungo sette anni di selezioni,
Mendel incrociò varietà caratterizzate da caratteri ereditari (geni) evidenti: fiori gialli e fiori verdi
o semi lisci e semi rugosi. La generazione figlia mostrò uno solo dei due caratteri della generazione
parentale che venne quindi ribattezzato come dominante. La seconda generazione invece mostrò
nuovamente la presenza di entrambi i caratteri e spinse Mendel a concludere che non vi è alcuna
perdita di caratteristiche ma solo un momentaneo oscuramento. Le generazioni figlie portano con sè
entrambi i caratteri parentali e possono quidi manifestarsi in differenti forme (alleli).
Naturalmente gli schematismi proposti sono dovuti sempre al calcolo delle probabilità che ci
nasconde la casualità della distribuzione dei caratteri ereditari nei cromosomi e la maggiore
complessità dei risultati dell' ereditarietà che non sviluppa necessariamente una dominanza assoluta
di un carattere sugli altri e può mostrare,ad esempio, la nascita di individui ibridi. Un indivduo
porta comunque sempre vasti e potenziali caratteri ereditari, genotipi, che si manifestano in
determinate forme evidenti, fenotipi. La determinazione di una specifica forma è dovuta non solo
alle caratteristiche genetiche, che ne rappresentano la struttura di fondo, ma anche dai vincoli
(constraints) ambientali che indirizzano un individuo durante il proprio sviluppo. Consideriamo il
genoma umano, esso è vastissimo e ricco di una complessità di caratteri e di potenziali forme che si
manifestano in maniera evidente, ad esempio, sotto differenti caratteri somatici e differenti
caratteristiche fisiche. La differenza non è significativa dal punto di vista genotipico ma lo è
solamente dal punto di vista fenotipico: l'uomo è rappresentato sulla terra da un' unica specie.